lunedì 2 marzo 2015

Comandante Faà di Bruno


Il Faà di Bruno appena varato (da “Gli squali dell’Adriatico. Monfalcone e i suoi sommergibili nella storia navale italiana” di Alessandro Turrini, Vittorelli Edizioni, 1999, via www.betasom.it)

Sommergibile oceanico della classe Marcello migliorata (1059 tonnellate di dislocamento in superficie, 1313 in immersione). Svolse due missioni in Mediterraneo, percorrendo 656 miglia nautiche, e due in Atlantico.

Breve e parziale cronologia.

28 aprile 1938
Impostazione nei cantieri Odero Terni Orlando del Muggiano (La Spezia).
18 giugno 1939
Varo nei cantieri Odero Terni Orlando del Muggiano.
29 luglio 1939
Quattro uomini fuoriescono dal Faà di Bruno e risalgono in superficie da una profondità di 60 metri durante le prove per un nuovo apparato di salvataggio collettivo da sommergibili affondati, consistente in due “coni” metallici posizionati alle estremità del sommergibile, che vengono rilasciati, portati in superficie dalla pressione e poi – dopo che gli occupanti ne sono usciti – nuovamente tirati giù dagli occupanti del battello per essere riutilizzati.
13 agosto 1939
Durante i collaudi nelle acque davanti a La Spezia, il Faà di Bruno raggiunge la profondità di 117 metri.
23 ottobre 1939
Entrata in servizio.
10 giugno 1940
All’entrata in guerra dell’Italia, il Comandante Faà di Bruno (capitano di corvetta Aldo Enrici) fa parte della XII Squadriglia Sommergibili (1° Gruppo Sommergibili), di base a La Spezia, che forma insieme ai gemelli Comandante Cappellini, Mocenigo e Veniero ed ai meno recenti Glauco ed Otaria.
Lo stesso 10 giugno il battello prende il mare per la sua prima missione di guerra, da svolgere in Mediterraneo al largo di Orano; viene inviato 25 miglia a sudest di Capo Palos (Cartagena) insieme ai gemelli Dandolo, Morosini e Provana.
Il comandante Endici (a sinistra) a colloquio con l’ammiraglio Angelo Parona, il capitano di vascello Aldo Cocchia ed altri ufficiali di Betasom dopo l’arrivo del Faà di Bruno a Bordeaux, il 5 ottobre 1940 (fototeca USMM, via Platon Alexiades)

16 giugno 1940
Rientra alla base senza aver colto risultati.
15 luglio 1940
Prende nuovamente il mare per un’altra missione nelle acque di Orano, ad est di Gibilterra (nelle stesse acque sono inviati in pattugliamento anche i gemelli Morosini e Nani ed il più piccolo Berillo).
23 luglio 1940
Conclude la missione senza aver colpito navi nemiche.
Viene poi deciso di inviare il Faà di Bruno in Atlantico, per operare alle dipendenze della neocostituita base atlantica italiana di Betasom, a Bordeaux.
28 agosto 1940
Parte da La Spezia al comando del capitano di corvetta Aldo Enrici, diretto in Atlantico. Il Faà di Bruno ed i sommergibili oceanici Maggiore Baracca, Emo, Luigi Torelli, Capitano Tarantini e Reginaldo Giuliani dovranno pattugliare le acque tra il Portogallo, Madera e le Azzorre, ad ovest di Nordafrica, stretto di Gibilterra e penisola iberica.



Sopra, una cartolina scritta ai genitori da Venanzio Bulgherini, marinaio del Faà di Bruno, prima del trasferimento in Atlantico. Sotto, il manuale da elettricista su cui studiò (g.c. Andrea Tonini)


2-3 settembre 1940
Attraversa lo stretto di Gibilterra durante la notte. In realtà, mentre il Faà di Bruno e gli altri sommergibili del gruppo stanno raggiungendo il Mediterraneo occidentale, viene loro inviato un contrordine: dovranno interrompere il trasferimento e restare in agguato per alcuni giorni per intercettare delle unità della Royal Navy, per poi riprendere la navigazione verso l’Atlantico (il Faà di Bruno, in base a queste nuove disposizioni, dovrebbe passare lo stretto il 6 settembre). Il Faà di Bruno, tuttavia, non riceve tale ordine e prosegue in base alle disposizioni precedenti.
Nell’attraversare lo stretto, come ordinato, il sommergibile controlla la navigazione in immersione misurando la profondità con lo scandaglio ultrasonoro, ma mentre il battello sta passando dalla quota periscopica a quella di profondità le forti correnti sottomarine avverse dello Stretto ed avarie all’ecoscandaglio gli impediscono di governare sia in rotta che in profondità e lo portano a sprofondare rapidamente per due volte, la prima sino a toccare il fondale sabbioso mezzo miglio a sud di Capo Tarifa e la seconda sino a 140 metri di profondità. Nonostante tutto il Faà di Bruno non riporta danni, e può proseguire nella navigazione in immersione.
8 settembre 1940
Raggiunge il proprio settore d’agguato a sud delle Azzorre, dove permarrà sino al 24 avvistando in cinque occasioni dei mercantili isolati (tre dei quali attaccati). Alle 00.30 dello stesso 8 settembre lancia un siluro contro un piroscafo di stazza valutata in 4300 tsl nel punto 37°15’ N e 20°43’ O, senza risultato (pur ritenendo di averlo danneggiato); la nave si allontana e riesce a sfuggire, essendo più veloce.
La mancata ricezione dell’ordine di restare in Mediterraneo per qualche giorno, comunque, ha fatto sì che il settore assegnato in Mediterraneo al Faà di Bruno sia rimasto vuoto, ed altererà la contemporaneità della presenza dei sommergibili nei settori d’operazione atlantici. Per evitare siffatti inconvenienti, per il futuro il Comando Flotta Sommergibili (Maricosom) ordinerà a tutti i battelli di lanciare all’aria un messaggio convenzionale non appena giunti in Atlantico, per comunicare l’avvenuto ingresso nell’oceano.
9 settembre 1940
Alle 10.40 (ora di bordo; 11.50 per l’orario dell’Auris) il Faà di Bruno attacca con il cannone la nave cisterna britannica Auris, da 8030 tsl, nel punto 36°13’ N e 22°05’ O (750 miglia ad ovest di Gibilterra). La petroliera viene danneggiata, ma riesce a sfuggire per via della sua maggiore velocità.
19 settembre 1940
Alle 17.20 lancia due siluri contro un piroscafo di 5000 tsl stimate nel punto 35°50’ N e 22°15’ O (700 miglia ad ovest di Gibilterra), senza successo (sul Faà di Bruno si ritiene di aver danneggiato la nave attaccata). Anche questa nave riesce a scappare in quanto più veloce del Faà di Bruno.
In uno degli attacchi, a bordo del sommergibile si riterrà di aver sentito la detonazione di uno dei siluri lanciati, ma il battello non inseguirà la nave (che si presume danneggiata) per finirla onde rispettare gli ordini d’operazione, che impongono di non uscire dalla zona assegnata.
24 settembre 1940
Lascia la propria zona d’agguato per raggiungere Bordeaux.
5 ottobre 1940
Arriva a Bordeaux.
 
L’arrivo del Faà di Bruno (in primo piano) e del Luigi Torelli (a sinistra) a Bordeaux, il 5 ottobre 1940 (da www.uboat.net)

La scomparsa

Il 31 ottobre (per altre fonti il 3 novembre) 1940 il Faà di Bruno, al comando del capitano di corvetta Aldo Enrici, salpò da Bordeaux per raggiungere il proprio settore operativo, fissato tra i paralleli 57°20' e 58°20' N ed a ovest del meridiano 20° O (a nord-ovest della Scozia), per andare a rinforzare i battelli già operanti nel settore d’operazioni nordorientale.
Dopo la partenza, tuttavia, il sommergibile non diede più notizia di sé: ufficialmente fu dato come perduto tra il 31 ottobre 1940 ed il 5 gennaio 1941, data del suo previsto rientro. Fu la prima perdita tra i sommergibili atlantici italiani, oltre che uno dei soli quattro sommergibili di Betasom ad andare perduti senza aver affondato alcuna unità nemica.
Una delle voci, infondate, che circolò all’epoca sulla sua scomparsa fu che il Faà di Bruno fosse stato affondato da una scialuppa di falsi naufraghi, attrezzata per lanciare siluri contro unità dell’Asse che si fossero avvicinate per soccorrere gli occupanti della lancia. Da parte tedesca si dette credito a siffatte voci, ma non risulta in realtà che simili finte scialuppe “antisommergibili” siano mai esistite.
Per lungo tempo fonti britanniche ritennero che il Faà di Bruno fosse rimasto vittima, l’8 novembre 1940, di un attacco con bombe di profondità da parte del cacciatorpediniere HMS Havelock (una delle unità di scorta al convoglio HX 84), nel punto 56°01' N e 17°50' O (un centinaio di miglia fuori rotta rispetto alla rotte che il Faà di Bruno avrebbe dovuto seguire), a seguito del quale l’unità britannica aveva visto emergere rottami, bolle d’aria e chiazze di carburante. Successivi confronti rivelarono tuttavia che il sommergibile attaccato dall’Havelock era un altro, il Guglielmo Marconi, che era sfuggito alla caccia senza subire danni gravi ed espellendo rottami, aria e carburante con il preciso scopo di trarre in inganno il cacciatorpediniere e portarlo così a cessare la caccia.
La scomparsa del Faà di Bruno sembrò quindi dover restare avvolta nel mistero, tanto da far ipotizzare che il sommergibile potesse anche essere affondato non per azione nemica ma per cause connesse allo stato del mare, particolarmente avverso in quei giorni, magari per un cedimento strutturale causato dalla disavventura occorsa durante l’attraversamento dello stretto di Gibilterra ad inizio settembre 1940.
Nuove ricerche permisero però, nel 1982, di gettare nuova luce sulla sorte del Faà di Bruno.
Il 6 novembre 1940, alle 19.45, i cacciatorpediniere Harvester (capitano di corvetta Mark Thornton), britannico, ed Ottawa (capitano di fregata Edmond Rollo Mainguy), canadese, appartenenti alla scorta del convoglio WS 4 (in partenza da Liverpool), avevano ricevuto l’ordine di accorrere in aiuto del piroscafo britannico Melrose Abbey di 2473 tsl, che, mentre navigava isolato 200 miglia a nordovest dell’Irlanda, era stato inseguito ed attaccato con il cannone da un sommergibile, ed aveva lanciato una richiesta d’aiuto. Le due unità si erano lanciate a 34 nodi verso la posizione indicata nella richiesta di soccorso del mercantile, che distava da loro 150 miglia. Prima che il piroscafo potesse subire danni seri, i due cacciatorpediniere erano giunti sul posto ed avevano avvistato l’unità attaccante, poi l’Ottawa aveva aperto il fuoco (diretto dal tenente di vascello “Mook” Madgwick) contro il sommergibile, che si era immerso dopo la quinta salva sparata dall’unità canadese, frattanto imitata dall’Harvester. Ottawa ed Harvester, servendosi dell’asdic, avevano poi iniziato una pesante caccia antisommergibile che si era protratta per ben cinque ore: l’Ottawa aveva eseguito quattro attacchi con bombe di profondità, l’Harvester cinque. In tutto erano state lanciate ben 83 cariche di profondità, 21 dall’Ottawa e 62 dall’Harvester. Dopo l’ultimo attacco dell’Harvester, le unità anglo-canadesi avevano avvertito due esplosioni subacquee secondarie, poi avevano perso il contatto con il sommergibile. Le prime luci dell’alba, il mattino del 7 novembre, avevano rivelato la presenza di una grossa chiazza di carburante nel punto 51°05’ N e 17°32’ O (proprio sulla rotta che il Faà di Bruno avrebbe dovuto verosimilmente seguire per raggiungere il proprio settore d’operazioni), ma nessun rottame (e, essendo necessaria la loro presenza altrove, le due unità non si erano potute trattenere sul posto più a lungo per meglio verificare il risultato). Tanto i comandanti dei cacciatorpediniere quanto l’Ammiragliato britannico erano certi che il sommergibile fosse stato affondato, ma l’U-Boat Assessment Committee aveva ritenuto che non vi fossero sufficienti prove, ed aveva invece assegnato l’affondamento all’Havelock (accreditando ad Ottawa ed Harvester un “probabile danneggiamento”).
L’unico sommergibile che poteva trovarsi in quella zona in quel momento era il Faà di Bruno: questa fu, verosimilmente, la sua fine. L’affondamento del Faà di Bruno da parte dell’Ottawa fu – oltre che il primo incontro, da parte di una nave da guerra canadese, di un’unità nemica sin dal 1918 – il primo affondamento di un’unità nemica nella storia della Marina canadese, ma il suo autore, il capitano di fregata Edward Mainguy, promosso nel dopoguerra a viceammiraglio, morì prima di poter apprendere del suo successo. Sia l’Ottawa che l’Harvester erano andati perduti in guerra con la maggior parte dei propri equipaggi, senza che fosse loro riconosciuto il merito dell’affondamento.

Scomparvero con il Faà di Bruno il comandante Enrici, altri 6 ufficiali e 48 tra sottufficiali, sottocapi e marinai.

I loro nomi:

Pasquale Agosto, sottocapo radiotelegrafista, da Portici
Amilcare Anelli, marinaio silurista, da La Spezia
Vittorio Arnone, sottotenente di vascello, da Napoli
Alfredo Avigliano, sergente cannoniere, da Napoli
Libero Bagarini, sottocapo meccanico, da Torino
Romeo Bicchieri, capo meccanico di seconda classe, da Corinaldo
Corrado Bisà, tenente di vascello (comandante in seconda), da Livorno
Enrico Borioli, marinaio fuochista, da Legnano
Venanzio Bulgherini, marinaio elettricista, da Torrita di Siena
Lilio Ceccanti, capo silurista di terza classe, da Pontedera
Carlo Chiarugi, sergente elettricista, da Ponsacco
Valentino Chiesa, sergente furiere, da Bassano del Grappa
Battista Corsetti, marinaio, da Pietrasanta
Giuseppe Cozzolino, marinaio fuochista, da Ercolano
Edmondo De Barbieri, sottocapo elettricista, nato in Argentina
Mario De Simone, marinaio silurista, da Napoli
Aristide Di Marcello, secondo capo nocchiere, da Roma
Giovanni Donato, sottocapo silurista, da Villafranca Tirrena
Aldo Enrici, capitano di corvetta (comandante), da Roma
Antonio Filippin, marinaio, da Castello di Godego
Vincenzo Forlenza, marinaio silurista, da Napoli
Carlo Giovanni Frumento, tenente del Genio Navale, da Piacenza
Eligio Frusta, secondo capo meccanico, da Orte
Pasquale Gambone, marinaio silurista, da Montella
Armando Geri, sottocapo segnalatore, da San Marino
Angelo Giasti, marinaio fuochista, da Castiglione d'Adda
Alessandro Giusso, marinaio cannoniere, da Biella
Michele La Francesca, marinaio fuochista, da Trapani
Teodoro Lanzillo, capo meccanico di terza classe, da Torre del Greco
Carmelo La Placa, marinaio radiotelegrafista, da Catania
Francesco Leonardi, marinaio, da Gabicce Mare
Andrea Loffredo, marinaio fuochista, da Monte Argentario
Corrado Lorenzini, marinaio silurista, da Castel Maggiore
Romeo Mamini, marinaio elettricista, da Ravenna
Giuseppe Mottini, sottocapo cannoniere, da Fusine
Antonino Nicolosi, marinaio motorista, da Palermo
Mario Novelli, secondo capo silurista, da Pontremoli
Gregorio Pagnotta, marinaio fuochista, da Genova
Giovanni Paini, marinaio cannoniere, da Civitella San Paolo
Giuseppe Palazzo, marinaio elettricista, da Taranto
Riccardo Passeroni, capo radiotelegrafista di seconda classe, da Calasetta
Osvaldo Patrucco, secondo capo elettricista, da Casale Monferato
Piergiorgio Pina (o Pinna), sottotenente del Genio Navale, da Alessandria
Cesare Pozzi, marinaio, da Busto Arsizio
Giacinto Pratola, marinaio motorista, da Margherita di Savoia
Francesco Raffa, sergente silurista, da Palermo
Michele Ricevuto, marinaio, da Torre del Greco
Loris Santon, sottotenente di vascello, da Trieste
Salvatore Trapanese, marinaio, da Napoli
Angelo Troian, marinaio, da Isola d'Istria
Francesco Vellan, sottocapo nocchiere, da Pisino
Vincenzo Vendola, marinaio radiotelegrafista, da Terlizzi
Antonio Villa, marinaio, da Sciacca
Teodoro Zandonella, marinaio silurista, da Verona
Sergio Zigrossi, capitano del Genio Navale (direttore di macchina), da Borgorose

Il Faà di Bruno in navigazione (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)

11 commenti:

  1. vorrei conoscere eventuali parenti dei caduti

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  2. Bsera Lorenzo. Potrei sapere, se possibile, di dov'era il com.te Aldi Enrici? Non sono mai riuscito a saperlo... e sul Onorcaduti e' uno dei pochi comandante di smg Caduti ad esser assente. Grazie

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    1. Buonasera, era nato a Roma il 19 aprile 1904 e si chiamava EURICI, non Enrici: per questo non riuscivo a trovarlo neanche io.

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  3. Buonasera,
    Venanzio Bulgherini elettricista sul Faa di Bruno era originario di Montefollonico (SI) dove, al cimitero locale esiste la sua tomba, ovviamente vuota che i suoi genitori avevano comunque voluta per piangere il figlio disperso. Abbiamo ritrovato quella che probabilmente è l'ultima cartolina postale scritta da Venanzio dal Gruppo Sommergibili (credo a La Spezia) ai genitori prima di partire in missione per l'Atlantico. Per contattarmi toninian@libero.it

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  4. sono figlio di uno dei caduti su quel battello.Riccardo Passeroni, anche io vorrei conoscere eventuali parenti

    Passeroni Giancarlo

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  5. Sono il nipote di Armando Geri, Sottocapo segnalatore del Faa di Bruno dalla Rep. di San Marino. Conservo gelosamente il "Manuale del segnalatore" ed i pochi oggetti dello zio Armando fra cui qualche sua foto di fianco al cannone del sommergibile con la scritta sul retro "Gli aerei ci stanno bombardando e noi rispondiamo con le nostre mitarlgiatrici".
    Nel cimitero di Chiesanuova (San Marino) una lapide lo ricorda.
    Il mio pensiero a tutti i caduti.
    ageri@studioaldogeri.sm

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  6. Sono la nipote di Corrado Bisà, ho sempre voluto sapere qualcosa di più su mio nonno

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  7. Capo radiotelegrafista Riccardo passeroni era mio nonno materno

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  8. sono una nipote di riccardo passeroni, lui era mio nonno, mai conosciuto perche morto da telegrafista sul faa di bruno. sono nipote di giancarlo passeroni, suo figlio.e sono figlia di carla passeroni.

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  9. La sorella di mia madre fu la fidanzata di Aristide Di Marcello, di Tivoli non Roma come riportato erroneamente. L'ultima licenza di questo mio mancato zio fu segnata da un episodio che merita indignazione. Invitati ad un ricevimento, l'ufficiale fu affrontato da un funzionario del locale partito fascista, il quale pretendeva di essere salutato come condizione prioritaria per accedere alla festa. A questa pretesa l'ufficiale oppose il suo rifiuto, girò le spalle e se ne andò insieme alla fidanzata. La sua licenza finiva lì. Zia Clara non lo avrebbe più rivisto. Forse qualche parente del signor Aristide può confermare l'episodio. Grazie

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    1. La ringrazio per l'interessante, per quanto amaro, aneddoto. Aristide Di Marcello era, presumo, residente a Tivoli, ma era nato a Roma l'8 marzo 1912.

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