sabato 29 marzo 2014

Brenta


Il Brenta in Sudafrica nella seconda metà degli anni ’30 (John H. Marsh – Maritime Research Centre di Capetown, via Mauro Millefiorini e www.naviearmatori.net)  

Piroscafo da carico da 5400 tsl, 3319 tsn e 8550 tpl, lungo 118,85 metri e largo 16,44, pescaggio 9,75 metri, velocità 10,5 nodi. Appartenente alla Società Anonima di Navigazione Lloyd Triestino (con sede a Trieste), matricola 92 al Compartimento Marittimo di Trieste.

Breve e parziale cronologia

1917
Varato nei cantieri San Rocco di Muggia come Narenta per la Navigazione Libera Triestina, all’epoca ancora austroungarica. I lavori vengono ritardati dalla guerra ancora in corso, al termine della quale la Navigazione Libera Triestina diverrà una compagnia italiana.
1920
Completato come Brenta per la Navigazione Libera Triestina. Ha quattro gemelli: Laguna, Maiella, Cherca ed Isonzo.
19 maggio 1921
Il Brenta viene speronato dal piroscafo Tampa della Inter-Ocean Company, finito fuori controllo a seguito di un’avaria al timone, al largo di Chalmette Point (New Orleans). La collisione apre una falla nella prua del Brenta, che deve essere portato a posarsi su un basso fondale fangoso nei pressi del luogo dell’incidente.
1923-1925
Viene noleggiato dal Lloyd Triestino, per il quale viaggia con il nome di Brenta II. A seguito del ritorno al servizio per la NLT, nel 1925, la nave riassumerà il nome di Brenta.
27 dicembre 1926
Il Brenta viene sottoposto a sequestro giudiziario negli Stati Uniti a causa di una disputa legale tra la NLT e le compagnie statunitensi United States Steel Products Company, Vacuum Oil Company e Bunge North American Grain Corporation.
Partito da Valencia il 15 novembre 1926 con un carico di cipolle ed altro (pomodori, olio d’oliva) nella stiva numero 2 (oltre che negli interponti 1, 4, 5 e 6) e 900 tonnellate di carbone nella stiva numero 3, diretto a New York, il Brenta vi è infatti arrivato il 4 dicembre e si è scoperto che le cipolle, partite in buone condizioni, si sono deteriorate; le compagnie destinatarie accusano gli armatori e l’equipaggio di negligenza.
Risulterà poi, tuttavia, che il carico ha subito degli spostamenti, ma non a causa di errato stivaggio (è stato stivato correttamente), bensì del tempo particolarmente avverso incontrato, che ha anche prolungato il viaggio di quattro giorni rispetto al normale, oltre ad impedire di tenere continuamente aperti i portelloni per ventilare il carico. Il 20 novembre è scoppiato a bordo un incendio, causato da combustione spontanea del carbone nella stiva numero 3; le fiamme sono state prontamente domate, ma il carico di cipolle ha subito ulteriori danni.
Alla fine viene concluso che nessuno dei problemi sorti durante il viaggio, ed il danneggiamento del carico, sono dovuti a negligenza da parte dell’equipaggio od inadeguatezza della nave, che pertanto viene rilasciata.
14 ottobre 1927
Alle otto del mattino il Brenta, durante la navigazione verso la Columbia britannica, soccorre l’equipaggio della goletta statunitense Flowerdew nel Mar dei Caraibi, 200 miglia al largo di Savannah. I sei uomini dell’equipaggio della goletta, in lento affondamento a causa di vie d’acqua apertesi nello scafo, stanno tentando da tre giorni di tenere la loro nave a galla: quando avvistano il fumo del Brenta in lontananza, la Flowerdew è quasi completamente sommersa. L’equipaggio della goletta issa un segnale per chiedere aiuto, e la nave italiana risponde che sta dirigendosi a soccorrerli; i sei uomini abbandonano la Flowerdew, che successivamente affonda, su una scialuppa, e vengono issati a bordo del Brenta. Dato che quest’ultimo è diretto nella Columbia britannica, mentre l’equipaggio della Flowerdew vorrebbe essere sbarcato a Portland, si decide di trasbordarlo sulla prima nave diretta verso est che verrà incontrata: i naufraghi vengono così trasferiti in serata sul piroscafo Santa Veronica. Dopo il salvataggio, il Brenta annuncia anche l’accaduto via radio.
22 febbraio 1931
Porta da Napoli a Castellammare di Stabia, dove arriva alle 9.30, un centinaio di ospiti di riguardo invitati alla cerimonia del varo del veliero scuola Amerigo Vespucci.
1935
Il Brenta è in servizio sulla linea Adriatico-Africa Orientale.
1937
Con l’assorbimento della Navigazione Libera Triestina nel Lloyd Triestino, il Brenta passa nella flotta di quest’ultima compagnia.
Maggio 1940
Ad inizio del mese il Brenta viene sottoposto a temporaneo fermo per controllo da parte delle autorità alleate. Il risultato è che, per il ritardo causato dai controlli, gran parte del carico (orzo e grano) viene rovinato dagli insetti.

Massaua
Quando l’Italia entrò nella seconda guerra mondiale, il 10 giugno 1940, il Brenta era tra la ventina di navi mercantili italiane che si trovavano nel porto eritreo di Massaua, sul Mar Rosso, nella colonia dell’Africa Orientale Italiana.
La fine, per queste navi bloccate fuori dal Mediterraneo e senza nessuna possibilità di recarsi altrove, era solo rimandata rispetto alle decine di mercantili italiani catturati od autoaffondati in tutto il mondo subito dopo la dichiarazione di guerra.
Come tutti gli altri mercantili rimasti in Eritrea, il Brenta passò i successivi dieci mesi fermo ed inattivo nel porto di Massaua, attendendo passivamente il susseguirsi degli eventi che alla fine, inevitabilmente, avrebbero portato alla caduta dell’Africa Orientale Italiana, circondata da colonie britanniche e del tutto priva di qualsiasi possibilità di rifornimento. Dopo l’iniziale avanzata del giugno 1940, le truppe italiane dovettero ripiegare sulla difensiva e poi arretrare sempre più: la Somalia cadde nel febbraio 1941, di lì a due mesi sarebbe toccato all’Eritrea.
La fine venne nell’aprile del 1941: ad inizio aprile era ormai evidente che nel giro di pochi giorni le forze britanniche avrebbero preso Massaua. Già da tempo era stata presa in esame la questione di cosa fare del naviglio italiano in Eritrea, nella quasi totalità concentrato nel porto di Massaua: tra fine febbraio e marzo furono fatte partire le poche navi che avevano scafi e macchine in buone condizioni, velocità non troppo bassa ed autonomia sufficiente a raggiungere porti amici o benevolmente neutrali in Francia (per i sommergibili) ed in Giappone (per le navi di superficie). Presero così il mare le motonavi India ed Himalaya, la nave coloniale Eritrea, i sommergibili Perla, Guglielmotti, Ferraris ed Archimede, il piroscafo Piave e gli incrociatori ausiliari RAMB I e RAMB II. L’India ed il Piave furono costretti a tornare indietro, il RAMB I fu affondato nell’Oceano Indiano, mentre le altre unità riuscirono a raggiungere le loro destinazioni.
Per tutte le altre navi, che non potevano lasciare l’Eritrea, l’unica sorte possibile era la distruzione: i cacciatorpediniere rimasti partirono per un’ultima missione suicida contro Porto Sudan, mentre per il naviglio mercantile ed ausiliario, parte a Massaua e parte nelle poco distanti Isole Dahlak, venne deciso l’autoaffondamento in massa, con il duplice scopo di non far cadere intatte le navi in mano nemica e di bloccare e rendere inutilizzabile per lungo tempo il porto di Massaua. Il piano predisposto dal comandante superiore navale dell’A.O.I., contrammiraglio Mario Bonetti, prevedeva che l’imboccatura del porto militare venisse ostruita da una fila di cinque navi (i mercantili Moncalieri, XXIII Marzo, Oliva ed Impero e la torpediniera Giovanni Acerbi) oltre a due bacini galleggianti da affondare più internamente; altre quattro navi (i mercantili Crefeld, Ostia, Gera ed Adua) ed un pontone gru si sarebbero autoaffondate in ordine sparso lungo il più ristretto accesso al porto commerciale, mentre l’imboccatura del porto meridionale, quella più grande, sarebbe stata bloccata da una fila di sette mercantili (Alberto Treves, Niobe, Vesuvio, Frauenfels, Brenta, Colombo e Liebenfels).
Fu questa la fine del Brenta: il 4 aprile 1941 il piroscafo si autoaffondò all’imboccatura del porto meridionale di Massaua, secondo l’ordine prestabilito, in linea di fila, tra il transatlantico italiano Colombo (a poppa) ed il mercantile tedesco Frauenfels (a prua).


Tre foto del relitto del Brenta, per g.c. di Edward (Ted) Ellsberg Pollard, nipote di Edward Ellsberg, autore del recupero e delle fotografie. Lo scafo rovesciato in secondo piano è quello del transatlantico Colombo, dietro al quale si vede il relitto del piroscafo tedesco Liebenfels.






Il cimitero delle navi affondate per bloccare l’imbocco del porto meridionale di Massaua: da sinistra verso destra, alcuni relitti apparentemente distrutti e non identificabili (probabilmente Alberto Treves e Niobe), il piroscafo italiano Vesuvio, il tedesco Frauenfels (parzialmente “sovrapposti” per via della prospettiva), il Brenta (unico ad avere anche il ponte di coperta sommerso), il Colombo (rovesciato) ed il Liebenfels (g.c. Ted Pollard)


Una foto cronologicamente successiva dei relitti del Brenta e del Colombo: Liebenfels e Frauenfels sono scomparsi, già recuperati (g.c. Ted Pollard).


Quattro giorni dopo, l’8 aprile, le forze britanniche occuparono Massaua, trovandovi nel porto un autentico cimitero di navi: 18 mercantili e navi ausiliarie tra italiane e tedesche, una torpediniera, un posamine e 13 unità di minori dimensioni, insieme a due grossi bacini galleggianti ed ad un pontone gru, si erano autoaffondati secondo il piano del contrammiraglio Bonetti.
L’equipaggio del Brenta venne internato. Il marinaio chersino Giuseppe Pavolini, un membro dell’equipaggio del piroscafo, morì in prigionia il 21 febbraio 1945 ad Embatkalla, in Eritrea.

A Massaua, dopo l’occupazione, le autorità britanniche avviarono le operazioni di bonifica del porto (affidate dapprima al tenente di vascello Peter Keeble della riserva della Royal Navy e successivamente, nell’aprile 1942, ad una squadra di specialisti al comando del capitano di fregata Edward Ellsberg dell’US Navy), per rimuovere i relitti e rendere il porto nuovamente agibile, ma solo a partire dal maggio 1942 il porto di Massaua divenne nuovamente utilizzabile.
Il recupero del Brenta si rivelò uno dei più pericolosi: nella stiva prodiera, infatti, prima di autoaffondare la nave, era stata collocata una trappola esplosiva composta da una mina navale innescata ed appoggiata sulle testate di tre siluri. Oltre a ciò, erano state sistemate nelle stive della nave parecchie altre mine e testate di siluri; per disinnescarle e rimuoverle, prima di procedere al recupero della nave, al tenente di vascello Keeble dovette essere affiancato il sottotenente di vascello Cox della Royal Australian Navy, un ufficiale specializzato nelle operazioni di sminamento. Le operazioni continuarono poi sotto la direzione del comandante Ellsberg, che rimosse sei mine ed una ventina di testate di siluri nel novembre 1942.
Da alcune lettere del comandante Ellsberg:
11 novembre 1942: “(…) Locally we are still soaked up in salvage. My salvage ship which lately raised the Tripolitania in a week, has gone back to work on the Brenta, which job we suspended temporarily while we were examining the unexploded mines and torpedo warheads we had already removed from the forehold of that vessel. Another salvage ship began rigging up for lowering the second pair of pontoons on our sunken derrick. My third ship is working sealing up the submerged deck of the XXIII Marzo (Mussolini could explain what that means) which we shall try to lift with compressed air, as the holes in her bottom are quite terrific. And my fourth salvage ship is wintering as you know, in the salubrious climate of the West Indies. Perhaps Mrs. Whiteside’s letter (when I get it from you) will help to explain why. (…)”
13 novembre 1942: “Tomorrow we sink our third pontoon on our sunken derrick. A busy day for me, I imagine. Today we removed a second mine from the hulk of the Brenta (we have already removed one and eight torpedo warheads) but find on closer examination of the hold that there are four more mines and about a dozen warheads still left to hoist out.”

Sopra: l’acqua viene pompata fuori dallo scafo del Brenta durante il recupero. Sotto: recupero di mine dal relitto del Brenta. Tutte le foto sono di Ted Pollard.




Il relitto del Brenta, recuperato dagli occupanti britannici, venne dichiarato buona preda e demolito nel 1951.


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