Il Pancaldo nel 1938 (Fotocelere A. Campassi, Torino, g.c. Carlo Di Nitto via www.naviearmatori.net) |
Cacciatorpediniere, già esploratore, della classe Navigatori (dislocamento standard 2125 tonnellate, 2760 in carico normale, 2880 a pieno carico). Durante il conflitto effettuò 13 missioni di guerra, percorrendo 6732 miglia nautiche e trascorrendo in mare 396 ore.
Breve e parziale cronologia
7 luglio 1927
Impostazione nei
Cantieri Navali Riuniti di Riva Trigoso.
5 febbraio 1929
Varo nei Cantieri
Navali Riuniti di Riva Trigoso.
Il varo del Pancaldo (tratta da “Riva Trigoso, il cantiere e la sua storia” di E. Bo, via Franco Lena e www.naviearmatori.net)
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La nave poco dopo il varo (g.c. Nedo B. Gonzales, via www.naviearmatori.net) |
30 novembre 1929
Entrata in servizio
come esploratore, seconda unità della sua classe.
Maggio-settembre 1930
Viene sottoposto,
come i gemelli, a lavori tesi ad aumentarne l’insufficiente stabilità
trasversale: le sovrastrutture vengono abbassate di un livello, vengono
abbassati anche i fumaioli, l’albero a tripode viene rimpiazzato da uno più
snello a fuso, i serbatoi di nafta posti ai lati dello scafo sopra la linea di
galleggiamento vengono eliminati, impiegando al loro posto i doppi fondi (ma
riducendo così le riserve di carburante da 630 a 533 tonnellate e di
conseguenza l’autonomia), ed i complessi lanciasiluri trinati (tubo centrale da
450 mm e due tubi laterali da 533) vengono sostituiti con altri binati più
leggeri (da 533 mm). Tutto ciò porta effettivamente ad un incremento della
stabilità, ma non della tenuta del mare, l’altro punto debole dei “Navigatori”.
Vengono anche aggiunte due mitragliere binate da 13,2/76 mm.
La nave negli anni Trenta (da http://www.warshipsww2.eu/shipsplus.php?language=E&id=61069)
|
Dicembre 1930-gennaio 1931
Il Pancaldo (CF Diego Pardo) è tra le unità
adibite ad appoggiare la crociera aerea transatlantica dall’Italia al Brasile
di Italo Balbo. Sono tutte unità della classe Navigatori: Pancaldo, Antonio Da Noli
e Lanzerotto Malocello formano il II
Gruppo dislocato a Pernambuco, per l’assistenza nella zona americana
dell’Atlantico, mentre Nicoloso Da Recco,
Luca Tarigo ed Ugolino Vivaldi costituiscono il I Gruppo (dislocati alle Canarie
ed assegnati all’Atlantico centrale) ed Emanuele
Pessagno ed Antoniotto Usodimare
il III Gruppo (di competenza della parte africana dell’Atlantico).
Gli idrovolanti di
Balbo, undici Savoia Marchetti S. 55 (cui se ne aggiungeranno altri tre in
Africa), decollano da Orbetello il 17 dicembre, fanno tappa a Cartagena,
Kenitra, Villa Cisneros e Bolama e da qui decollano il 6 gennaio 1931, all’1.30
di notte, attraversando l’Atlantico e raggiungendo Porto Natal, in Brasile,
alle 19.30 dello stesso giorno, dopo 3000 km. In questa fase di verificano
varie avarie ed incidenti, che provocano la perdita di tre degli aerei. Un
altro idrovolante, l’I-DONA del pilota Renato Donatelli, è costretto ad
ammarare nell’Atlantico, sebbene a distanza non eccessiva dalla costa: ad
accorrere in suo aiuto sono proprio il Pancaldo
ed il Da Noli, che giungono a
prenderlo a rimorchio. Alla fine l’idrovolante sarà in grado di decollare nuovamente
e raggiungere la sua meta. Dopo aver fatto tappa a Bahia, gli S. 55 volano per
altri 1400 km, arrivando infine in formazione su Rio de Janeiro, davanti al Pan
di Zucchero, alle 17 del 15 gennaio 1931, insieme agli esploratori di scorta,
sotto gli occhi di un milione di persone.
Il Pancaldo in navigazione nell’Atlantico meridionale durante la
crociera aerea di Balbo (g.c. Marino Miccoli)
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Il Pancaldo ed un’unità gemella ormeggiati a Recife (foto Antonio Miccoli, via Ozires Moraes/Sixtant)
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Il soccorso all’idrovolante
I-DONA (g.c. Marino Miccoli).
Il Pancaldo a Ceuta con un’unità gemella (g.c. Marino Miccoli)
La «Divisione Esploratori»,
composta dal Pancaldo e dalle altre
unità della stessa classe, ormeggiata ad Algeri (g.c. Marino Miccoli)
|
Negli anni ’30 il Pancaldo opererà in Mediterraneo
svolgendo normale attività di squadra.
Dicembre 1931
Riceve a Genova la
bandiera di combattimento, insieme ad altre unità gemelle, nel corso di una
grande cerimonia. Per contenere la bandiera di combattimento verrà realizzato,
nel 1934, uno scrigno in maiolica ad opera dell’artista Mario Gambetta.
1932
Per migliorare la
manovrabilità, il timone viene sostituito con uno di maggiori dimensioni.
1936-1938
Partecipa alla guerra
civile spagnola.
1938
Riclassificato
cacciatorpediniere ed assegnato alla XVI Squadriglia Cacciatorpediniere, di
base dapprima a La Spezia e successivamente a Taranto.
1939-1940
Dopo un breve periodo
in cui viene impiegato per l’addestramento a Pola, il Pancaldo viene sottoposto a nuove modifiche, per migliorarne la
tenuta del mare, nei cantieri del Muggiano. Lo scafo viene allargato di un
metro e la prua viene modificata e rialzata, con un tagliamare fortemente
inclinato in avanti in luogo dell’originario dritto. La lunghezza viene portata
da 105,5 a 109,3 metri, la larghezza da 10,2 a 11,2 metri, il pescaggio da 3,40
a 4,20 metri; il dislocamento standard e quello a pieno carico vengono portati
rispettivamente a 2125 tonnellate (da 1935 originarie) ed a 2888 tonnellate (da
2580 originarie). Grazie allo scafo ingrandito, le scorte di carburante possono
essere portate a 680 tonnellate, incrementando nuovamente l’autonomia, ma le
modifiche causano il calo della velocità massima da 38 a 34 nodi, ma quella
effettiva è intorno ai 27-28 nodi. I due complessi lanciasiluri binati da 533
mm vengono sostituiti con altrettanti trinati da 533 mm, vengono aggiunte altre
due mitragliere binate da 13,2/76 mm ed anche due tramogge per bombe di
profondità. I lavori si concludono nel gennaio 1940.
Gennaio 1940: il Pancaldo a La Spezia dopo i lavori di rimodernamento. Notare il nuovo profilo del tagliamare, completamente cambiato (g.c. STORIA militare)
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10 giugno 1940
All’entrata
dell’Italia nella seconda guerra mondiale il Pancaldo (CF Luigi Merini) fa parte, insieme ai gemelli Ugolino Vivaldi ed Antonio Da Noli, della XIV Squadriglia
Cacciatorpediniere, di base a Taranto, assegnata alla IX Divisione Navale (I
Squadra Navale).
Le due morti del R. C. T. Leone Pancaldo
Nel corso della
grande operazione che vide l’uscita in mare del grosso della flotta italiana
per proteggere un convoglio diretto in Libia, tra il 7 ed il 9 luglio 1940, la
XIV Squadriglia Cacciatorpediniere, composta da Pancaldo, Vivaldi e Da Noli, rimase di riserva a Taranto,
pronta a muovere in caso di necessità. Il 9 luglio, però, la flotta italiana e
la Mediterranean Fleet, anch’essa in mare a protezione di convogli, diedero
battaglia al largo di Punta Stilo, e durante la fase di avvicinamento al nemico
anche alle unità della XIV Squadriglia fu ordinato di lasciare Taranto per
raggiungere il resto della flotta. Le tre navi salparono alle 6.18 del 9 luglio,
per raggiungere il previsto punto di riunione delle forze navali italiane
(37°40’ N e 17°20’ E, 65 miglia a sudest di Punta Stilo) entro le 14.
Nella tarda
mattinata, tuttavia, il Da Noli fu
colto da avarie e costretto a rientrare, riducendo la Squadriglia ai soli Pancaldo e Vivaldi. Alle 13.55 le due rimanenti unità si posizionarono a
dritta della IV Divisione (incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano ed Alberto
Di Giussano), andando a formare, insieme alla IX Squadriglia
Cacciatorpediniere ed alla IV e VIII Divisione incrociatori, la colonna
sinistra dello schieramento italiano, posta ad est della V Divisione costituita
dalle corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour.
Alle 14.05 ebbe
inizio l’avvicinamento alla flotta britannica, ed alle 15 il comandante della
IV Divisone, ammiraglio Alberto Marenco di Moriondo, ordinò a Pancaldo e Vivaldi di portarsi a proravia dritta rispetto ai suoi
incrociatori; ma i due cacciatorpediniere non riuscirono a raggiungere la
posizione assegnata, perché il loro margine di superiorità in velocità rispetto
alla IV Divisione era troppo ridotto.
Alle 15.15 gli
incrociatori aprirono il fuoco, seguiti alle 15.23 anche dalle corazzate.
Proprio all’atto dell’apertura del fuoco (e subito dopo aver avvistato il
nemico), alle 15.15, la XIV Squadriglia si posizionò a sinistra rispetto alla
IV Divisione, in modo da non essere intralcio al loro tiro ed alla loro libertà
di manovra.
Incrociatori e
corazzate cessarono poi il fuoco rispettivamente alle 15.31 ed alle 15.35, per
poi riprenderlo dalle 15.48 alle 16.04 (corazzate) e dalle 15.56 alle 16.15
(incrociatori). Durante questa fase, in cui gli opposti schieramenti si
scambiarono cannonate da grande distanza senza costrutto, la XIV Squadriglia
non ebbe parte rilevante. Alle 15.59, però, la Cesare, la nave ammiraglia, venne danneggiata da un proiettile da
381 mm, dovendo ridurre la velocità. A seguito di questo evento l’ammiraglio
Inigo Campioni, comandante superiore in mare delle forze italiane, decise di
rompere il contatto per rientrare alle basi, ed alle 16.05 diramò l’ordine
generale per le squadriglie di cacciatorpediniere di attaccare con il siluro le
navi della Mediterranean Fleet, in modo da facilitare lo sganciamento delle
navi maggiori.
La XIV Squadriglia
ricevette l’ordine di attacco alle 16.09, dall’ammiraglio Marenco di Moriondo,
perciò Pancaldo e Vivaldi accostarono a dritta, passarono
a poppavia della Cesare e diedero
inizio alla manovra di attacco, con rotta 15° e beta ritenuto 90°, da 25.000
metri di distanza. La XIV Squadriglia fu l’ultima ad andare all’attacco
silurante. Alle 16.28, però, il caposquadriglia (CV Giovanni Galati sul Vivaldi) constatò che le unità
britanniche, distanti ancora 18.000 metri, stavano accostando in fuori per
allontanarsi, rinunciando all’inseguimento, perciò rinunciò a sua volta ad
attaccare con i siluri ed assunse rotta 240°, emettendo cortine nebbiogene e
seguendo la flotta italiana nella manovra di disimpegno.
Terminata la
battaglia, la flotta italiana si avviò alle proprie basi. L’aliquota più
consistente delle unità italiane, compreso il Pancaldo, diresse su Augusta: nel pomeriggio del 9 luglio la
corazzata Conte di Cavour, gli
incrociatori pesanti Pola, Zara, Fiume e Gorizia, gli
incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano,
Alberto Di Giussano, Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi ed i 36
cacciatorpediniere delle Squadriglie VII, VIII, IX, XI, XIV, XV e XVI fecero il
loro ingresso nella base siciliana. Poco dopo mezzanotte, però, a seguito
dell’intercettazione e decifrazione di messaggi radio britannici che facevano
presagire un imminente attacco di aerosiluranti contro il naviglio ormeggiato
ad Augusta, Supermarina ordinò a tutte le navi di lasciare la base: dopo
essersi frettolosamente rifornite, le unità ripartirono per le basi di assegnazione
(Napoli e Taranto), lasciando ad Augusta i soli Pancaldo e Vivaldi. La Cavour con i quattro incrociatori
pesanti e le Squadriglie Cacciatorpediniere VII, VIII e IX partirono già alle
00.55 del 10 luglio alla volta di Napoli, mentre Duca degli Abruzzi, Garibaldi
e le Squadriglie Cacciatorpediniere XV e XVI presero il mare alle 17.05 dello
stesso giorno, diretti a Taranto; per ultimi salparono Da Barbiano e Di Giussano
con i cacciatorpediniere della XI Squadriglia, anch’essi per raggiungere
Taranto, alle 19.05.
Anche il Pancaldo (al comando del capitano di
fregata Luigi Merini) ed il Vivaldi
(caposquadriglia della XIV Squadriglia, al comando del CV Giovanni Galati), una
volta finito di rifornirsi, avrebbero dovuto lasciare Augusta alla volta di
Messina, così da eliminare qualsiasi possibile bersaglio del previsto attacco
aereo britannico.
Nel frattempo, però,
alle 18.50 del 10 luglio, un idroricognitore del 201st Group della
Royal Air Force, decollato da Malta, aveva sorvolato la rada di Augusta, avvistandovi
due incrociatori e sei cacciatorpediniere, dato che in quel momento la IV
Divisione (Da Barbiano e Di Giussano) e la XI Squadriglia non
erano ancora partiti. L’idrovolante aveva comunicato quanto visto ai comandi di
Alessandria ed Hal Far (Malta), che a loro volta avevano poi informato il
comandante in capo della Mediterranean Fleet, ammiraglio Andrew Browne
Cunningham, che si trovava in mare con il grosso della Mediterranean Fleet, 220
miglia a sudest della Sicilia, per l’operazione «MA 5». Tra le navi in mare con
Cunningham c’era l’anziana portaerei Eagle,
che aveva a bordo 17 aerosiluranti Fairey Swordfish e due caccia Gloster
Gladiator degli Squadrons 813 e 824. Dato che il numero degli aerei imbarcati
era superiore a quello che l’hangar della portaerei poteva contenere, alcuni
erano stati sistemati sul ponte di volo. Questo faceva sì che fossero già
pronti per un eventuale decollo: non vi sarebbe stato che da caricarli di bombe
o siluri.
Avuta notizia delle
unità avvistate ad Augusta dal Sunderland, l’ammiraglio Cunningham ordinò
immediatamente che i nove Swordfish dell’813th Squadron decollassero
per attaccarle con i siluri, ripartiti in due ondate di sei e tre aerei.
La Eagle si separò perciò dal grosso della
Mediterranean Fleet, e, scortata da alcuni cacciatorpediniere, si avvicinò
maggiormente alla Sicilia; alle 19.30 ebbe inizio il decollo dei sei Swordfish
della prima ondata, cui seguirono poi i tre della seconda. Gli aerei diressero
per nordovest, in modo da giungere su Augusta provenendo da sud, volando a 600
metri.
Ad Augusta, intanto,
il Pancaldo, dopo aver completato il
rifornimento di nafta, si ormeggiò intorno alle otto di sera alla boa A4, al
centro della rada, in precedenza occupata dal Da Barbiano, ora partito, mentre
il Vivaldi finiva di rifornirsi di
carburante a Punta Cugno.
Come ordinato dal
caposquadriglia Galati del Vivaldi,
il Pancaldo, dovendo presto lasciare
la boa e partire, era sui cavi leggeri. I mitraglieri e gli uomini del servizio
di sicurezza erano ai loro posti. Alle 20.45, come da ordini del
caposquadriglia, il Pancaldo era
pronto a muovere con due caldaie, ed alle 21 lo fu con tutte e quattro.
Proprio alle 21 i MAS
della IX Squadriglia, in agguato contro forze navali nemiche ed al contempo con
compiti di avvistamento di aerei avversari una trentina di miglia a sud di
Augusta, avvistarono i nove Swordfish che volavano verso Augusta e lo
segnalarono con un messaggio di Precedenza Assoluta, ma i ritardi dovuti alle
procedure di accettazione, smistamento e controllo fecero sì che il messaggio
arrivasse all’ufficiale in servizio nella centrale operativa della difesa di
Augusta venti minuti più tardi, ovvero proprio mentre il primo dei siluri
scoppiava.
Alle 21.15 gli
Swordfish della prima ondata avvistarono Augusta, ma poi, sorvolando la rada,
notarono con delusione che in luogo dei due incrociatori e sei
cacciatorpediniere avvistati dal Sunderland vi erano solo due
cacciatorpediniere, perciò si allontanarono senza attaccare, e tornarono alla Eagle.
I tre aerosiluranti
che formavano la seconda ondata, invece, arrivarono alle 21.20 da sudest,
sorvolarono la diga foranea, si abbassarono sino ad essere a soli trenta metri
di quota ed avvistarono a 1500 metri il Pancaldo,
ormeggiato alla boa con la prua a nord, ed il Vivaldi che finiva di rifornirsi al pontile di Punta Cugno. I due
cacciatorpediniere erano illuminati dalla luna; era una sera senza onde né
vento. Uno degli Swordfish si diresse verso il Vivaldi, gli altri attaccarono il Pancaldo.
Da bordo del Pancaldo, i tre aerei che si
avvicinavano per attaccare vennero avvistati intorno alle 21.25: ma il fatto
che gli Swordfish volassero con le luci di posizione accese, invece che
oscurati come avrebbero dovuto fare degli aerei nemici, il fatto che
effettivamente in quel momento stessero decollando da Catania dei velivoli
della Regia Aeronautica (diretti a Malta per un bombardamento), che – per
agevolare la messa in formazione – avevano le luci di posizione accese, ed
infine la totale mancanza di un allarme, fecero ritenere agli uomini del Pancaldo che i tre aerei avvistati
fossero italiani. La smentita sarebbe arrivata meno di mezzo minuto.
Il primo degli aerei
effettuò una larga virata ad ovest nella rada, poi si abbassò sino ad appena
dieci metri sopra la superficie del mare (come regolare per gli attacchi di
aerosiluranti a navi in porto) e sganciò il proprio siluro da una distanza di
poco inferiore ai 600 metri. Il siluro passò tra la poppa del Pancaldo ed una rete parasiluri (situata
600 metri a sud della boa A4, lunga 80 metri, profonda 10 metri su 25 di
fondale ed orientata verso nord-nord-est per evitare attacchi siluranti da sud),
poi scoppiò contro la scogliera situata vicino alla batteria Terre Vecchie
(meno di 30 secondi dopo che gli aerei erano stati avvistati da bordo della
nave). L’esplosione del siluro allarmò tanto le difese della base quanto
l’equipaggio del Pancaldo: subito
dopo la detonazione del siluro, il personale fu mandato ai posti di
combattimento.
Mentre il primo
Swordfish riprendeva quota e si allontanava verso est, il secondo, pilotato dal
tenente di vascello Leary, si avvicinò da sudest (da poppa), superò la rete
parasiluri – la cui presenza ed orientamento lo costrinsero però a sganciare
con un angolo molto sfavorevole – e subito dopo lanciò il suo siluro. Questa
volta l’arma andò a segno, raggiungendo il Pancaldo
sulla dritta, a prua, in corrispondenza del locale caldaie prodiero, con un
angolo di quasi 150 gradi (in luogo dei 30 da manuale). Il suo scoppio fece
sussultare la nave, e venne sentito dall’equipaggio come un colpo sordo.
Proprio in quel
momento i mitraglieri aprirono il fuoco contro gli aerei, ma ormai il danno era
fatto: il Pancaldo si stava appruando
rapidamente, ed in pochi minuti l’acqua iniziò ad invadere il ponte.
Il personale di macchina
intercettò il vapore e lo scaricò in aria, mentre i mitraglieri continuavano a
fare fuoco e quanti non avevano un compito specifico calavano zattere Carley e
lance, o cercavano di forzare il portello di sottocastello, che era stato
bloccato dall’esplosione intrappolando degli uomini. Il comandante Merini,
constatato che non vi era possibilità di impedire o rallentare l’affondamento,
dispose che l’equipaggio salisse in coperta, poi ordinò il saluto al re e
l’abbandono della nave. Gli uomini si radunarono a poppa, sulla dritta, mentre
la nave sbandava a sinistra; i mitraglieri continuarono a sparare finché il
mare non invase le loro piazzole. Quando poco mancava all’affondamento
completo, gli uomini radunati a poppa dritta gridarono “Viva il Re!” e si gettarono
in mare. Alle 21.39 il Leone Pancaldo giaceva sul fondale dalla rada
di Augusta, completamente sommerso, in 28 metri d’acqua. La bandiera, lasciata
issata al picco, continuò a fluttuare sott’acqua nella debole corrente marina
che aveva rimpiazzato il vento.
Mentre tutto questo
accadeva, il Vivaldi e le difese di
terra della base aprivano il fuoco a loro volta, lo Swordfish affondatore
risaliva in quota dopo una stretta virata a destra e si allontanava verso est,
ed il terzo aerosilurante attaccava il Vivaldi
senza colpirlo.
Alle 21.30 il
semaforo di Torre Avolos, situato all’estremità settentrionale della diga
foranea, con visuale su tutta la rada, avvertì di aver visto chiaramente la
colonna d’acqua sollevata dallo scoppio del siluro che colpiva il Pancaldo. La centrale operativa della
difesa di Augusta, informata per telefono, poté così inviare tempestivamente
diversi mezzi navali in soccorso, prima ancora del cessato allarme. Sul luogo
dell’affondamento si diressero immediatamente il Vivaldi, un rimorchiatore, una bettolina ed altre imbarcazioni
minori.
Tutto l’equipaggio
superstite del Pancaldo, 204 uomini
su 220, venne tratto in salvo nel giro di un’ora e mezza, poi si continuò a
cercare i dispersi per tutta la notte. In tutto vennero recuperate 16 salme,
l’ultima, quella di un sottufficiale, il mattino dell’11 luglio; non vi furono
dispersi. Tutte le vittime si erano venute a trovare nella zona della nave
colpita dal siluro. Altri nove uomini del Pancaldo
erano rimasti feriti.
Morirono nel primo affondamento del Pancaldo:
Libero Andreanelli, sergente motorista, 25 anni
Ermenegildo Dalchecco, marinaio fuochista, 22 anni, da Pontelongo
Antonio Del Medico, sottocapo meccanico, 22 anni, da Molfetta
Angelo Di Bella, marinaio fuochista, 22 anni, da Milazzo
Luigi Fresoli, marinaio fuochista, 24 anni, da Licciana Nardi
Franco Imeroni, secondo capo segnalatore, 28 anni, da Cagliari
Giuseppe La Vecchia, marinaio fuochisa, 23 anni, da Barletta
Mauro Manna, marinaio, 20 anni, da Casoria
Francesco Manunza, marinaio, 22 anni, da Oristano
Francesco Marino, marinaio, 22 anni, da Palermo
Michele Nicoli, marinaio elettricista, 25 anni, da Castrignano del Capo
Angelo Rocco, marinaio fuochista, 21 anni, da Milano
Virgilio Sabbatini, capo meccanico di seconda classe, 40 anni, da Cupra Marittima
Giovanni Signorini, secondo capo meccanico, 27 anni, da Cicognolo
Costantino Solinas, marinaio fuochista, 20 anni, da Sassari
Emilio Sommacal, marinaio elettricista, 21 anni, da Trichiana
L’equipaggio del Pancaldo venne poi assegnato a varie altre unità, andando incontro alle avverse vicende della guerra. Certo non furono pochi i sopravvissuti del Pancaldo che trovarono la morte su altre unità negli anni a venire: tra di essi vi era il sottocapo radiotelegrafista Giovanni Ferrandina, perito nell’affondamento del sommergibile Ammiraglio Millo, il 14 marzo 1942.
Immersioni sul
relitto, dopo l’affondamento, rivelarono che lo scafo non era tanto danneggiato
da impedire un recupero, pertanto si decise di recuperare il Pancaldo per rimetterlo in servizio. Il
corrispondente di guerra Vero Roberti, nel suo libro “Con la pelle appesa a un
chiodo”, ricordò che nell’aprile 1941 la bandiera del Pancaldo sventolava ancora al picco, tesa dalla corrente, e riportò
il commento di uno degli addetti al recupero: “Bisogna lasciarla stare lassù
perché, quando la silurante verrà a galla, la prima cosa che vedrà il sole sarà
la sua bandiera che non venne mai ammainata”. Ricordava ancora Roberti: “Con
uno specchio da polpi guardo anch’io. La piccola nave riposa sul fondale
sabbioso. Un’ombra di velluto avvolge la silurante che è scesa dritta sul
fondo, tanto che apparve viva ai palombari, in un abisso verdeazzurro. Frange
di alghe rosse sono abbarbicate alla carena, ma il tagliamare le sovrasta.
Nella diluita luce solare sembra che la silurante navighi ancora. La sua sagoma
lunga e sottile tremola nel gioco delle correnti e le due lettere dipinte sullo
sguscio di prora s’intravedono come in corsa sul mare. Al picco, che è quel
mezzo pennone aderente all’albero di poppa, sventola la bandiera, distesa tra
due lame d’acqua”.
I palombari
dell’Ufficio porto e gli uomini dell’officina lavori di Augusta, dopo lunghi
lavori (per alleggerire la nave in vista del recupero fu necessario asportare
le artiglierie, i tubi lanciasiluri e le ancore con le relative catene a mezzo
di pontoni a gru), riportarono a galla il Pancaldo
il 26 luglio 1941, un anno dopo il suo affondamento. Non prima, però, che la
nave reclamasse per sé una diciassettesima vita: quella del secondo capo
palombaro Bruno Lorenzi, che trovò la morte in un incidente verificatosi
durante i lavori di recupero.
Un’altra immagine della nave dopo il recupero (da http://www.warshipsww2.eu/shipsplus.php?language=E&id=61069)
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Il 1° agosto il
relitto del cacciatorpediniere poté essere immesso in bacino, dove fu
sottoposto ai lavori necessari a metterlo in grado di affrontare il viaggio
sino a Genova, dove avrebbe subito più estesi lavori di riparazione e
ricostruzione.
Lo scafo del Pancaldo dilaniato dall’esplosione del siluro, in bacino dopo il recupero (g.c. STORIA militare)
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Le sovrastrutture prodiere
del Pancaldo nell’agosto 1941,
durante il periodo di lavori in bacino (g.c. STORIA militare)
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Il Pancaldo ormeggiato ad Augusta nell’ottobre 1941, dopo i lavori in bacino (g.c. STORIA militare) |
Il 27 ottobre 1941 il Pancaldo lasciò Augusta alla volta di Genova, dove fu quindi avviato ai lavori di ripristino nei cantieri Ansaldo. Tali lavori si protrassero per oltre un anno, avendo termine solo il 17 novembre 1942. Durante le riparazioni venne anche modificato l’armamento: dapprima, a fine 1941, le due mitragliere singole da 40/39 mm e le quattro binate da 13,2/76 mm vennero rimpiazzate da nove più efficaci mitragliere Breda 1940 singole da 20/65 mm, poi, nel corso del 1942, il complesso lanciasiluri trinato poppiero venne sbarcato e sostituito con due mitragliere pesanti Breda 1939 da 37/54 mm.
Completata la
ricostruzione, il Pancaldo fu
trasferito all’Arsenale di La Spezia, dove venne dotato di un radar EC.3/ter
“Gufo” e di un ecogoniometro. La nave tornò finalmente in servizio il 12
dicembre 1942, quasi due anni e mezzo dopo il suo affondamento, venendo
assegnata alla XV Squadriglia Cacciatorpediniere. Ma la sua seconda vita
avrebbe avuto breve durata.
Il Pancaldo in uscita da La Spezia nel dicembre 1942. Sulla coffa è visibile il radar EC.3/ter “Gufo” (g.c. STORIA militare)
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Il ricostruito Pancaldo venne assegnato alla XV
Squadriglia Cacciatorpediniere, di base a Trapani, ritornando pienamente
operativo solo nel marzo 1943, quando cominciò ad operare in compiti di scorta
convogli e trasporto truppe da Trapani a Tunisi.
Queste missioni, con
il procedere della battaglia dei convogli verso la sua conclusione, divenivano
sempre più rischiose. La sera del 23 marzo 1943 il Pancaldo (CF Raffai) lasciò Pozzuoli insieme al gemello Lanzerotto Malocello, per una missione
di trasporto di truppe tedesche (circa 350 uomini ciascuno) a Tunisi. Poco più
tardi i due cacciatorpediniere vennero raggiunti da un terzo, il Camicia Nera (partito da Gaeta), mentre
il quarto ed ultimo, l’Ascari, si unì
alla formazione all’alba del 24 marzo.
La formazione, al
comando del CF Mario Gerini dell’Ascari,
sarebbe dovuta transitare tra i campi minati difensivi italiani X 2 e S 73 con
rotta 101°, puntando su Zembretta, un’isola del golfo di Tunisi, per poi
raggiungere Tunisi, la sua meta. Le navi procedevano a zig zag, che
interruppero momentaneamente alle 6.44 del 24 marzo per accostare con rotta
201°. Alle 7.05 fu avvistato un gruppo di navi a sinistra, sul rilevamento
160°, a 12 km, e venti minuti più tardi un altro gruppo, sempre a sinistra e su
rilevamento 160° ma a 15 km; in breve, tuttavia, apparve evidente che entrambe
le formazioni erano convogli di ritorno dalla Tunisia. I quattro
cacciatorpediniere procedevano a zig zag a 27 nodi.
Alle 7.28, però, il Malocello urtò una mina a dritta e
rimase immobilizzato e sbandato, circa 28 miglia a nord di Capo Bon, segnalando
“siluro a dritta” (da bordo si ritenne infatti di essere stati silurati): gli
altri cacciatorpediniere accostarono perciò a sinistra. Seguì un momento di
indecisione: i comandanti delle varie unità, essendo partiti da porti diversi,
non avevano potuto discutere in precedenza su che misure prendere per una
simile eventualità, ed alcuni comandanti non sapevano chi fosse al comando
del Pancaldo e del Malocello. Poco dopo, infine, il
comandante Gerini ordinò a Pancaldo e Camicia Nera di proseguire per
Tunisi, mentre lui con l’Ascari sarebbe
rimasto ad assistere il Malocello.
Il Pancaldo ed il Camicia Nera raggiunsero entrambi indenni la loro destinazione, ma
le altre due unità andarono incontro ad una tragica sorte: il Malocello affondò dopo un’ora e l’Ascari, mentre era impegnato nel
salvataggio dei naufraghi, urtò a sua volta tre mine ed affondò. Su 1138 uomini
imbarcati sui due cacciatorpediniere, solo 197 vennero salvati.
Il Pancaldo, a destra, ed il gemello Pigafetta a Gaeta nell’aprile 1943 (Coll. Erminio Bagnasco via Maurizio Brescia ed Associazione Venus)
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Un’altra immagine del Pancaldo a Gaeta nell’aprile 1943 (Coll. Erminio Bagnasco via Maurizio Brescia)
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Alla fine di aprile
del 1943 il Pancaldo, insieme al
cacciatorpediniere tedesco Hermes,
venne incaricato di una nuova missione di trasporto di truppe tedesche e
rifornimenti da Pozzuoli a Tunisi. La guerra in Nordafrica ormai era persa, la
caduta della Tunisia una questione di settimane: ma, per non dare ai soldati
rimasti in terra africana l’impressione di essere stati abbandonati e per
ritardare il più possibile il completamento dell’occupazione alleata della
Tunisia, cui sarebbe seguita l’invasione del suolo italiano a partire dalla
Sicilia, ancora venivano organizzate missioni di trasporto in condizioni ormai
disperate, con i cieli del Mediterraneo ormai in mano agli Alleati e le loro
unità navali e subacquee che si facevano ogni giorno più numerose ed
aggressive.
A Pozzuoli il Pancaldo e l’Hermes imbarcarono rispettivamente 247 e 215 militari tedeschi,
oltre ad alcuni rifornimenti, poi, appena truppe e carico furono sistemati a
bordo, i due cacciatorpediniere salparono dal porto campano. Erano le 19.30 del
29 aprile 1943: nessuna delle due navi avrebbe mai più rivisto l’Italia.
Sul Pancaldo, al comando del capitano di
fregata Tommaso Ferreri Caputi, erano sistemati in tutto 527 uomini: oltre ai
247 soldati tedeschi diretti a Tunisi (5 ufficiali, 34 sottufficiali e 208 soldati), infatti, la nave aveva 280 uomini di
equipaggio.
Nella serata e nella
notte successiva la navigazione procedette tranquilla, poi, a metà mattino del
30 aprile, ebbero inizio gli attacchi aerei mentre i due cacciatorpediniere
navigavano nel Canale di Sicilia.
Intorno alle 9 del
mattino, cinque aerosiluranti alleati assalirono le due unità dell’Asse a
ponente di Pantelleria. Pancaldo ed Hermes aprirono il fuoco con il loro
armamento contraereo, e gli aerei dovettero sganciare i loro siluri senza
riuscire a mettere nessuno a segno.
Passò un’ora, poi,
verso le 10.10, ad otto miglia da Kelibia (costa tunisina), comparvero nel
cielo dodici cacciabombardieri che furono identificati come Spitfire; si
trattava in realtà di altrettanti Curtiss P-40 “Kittyhawk” del 5th
Squadron del 7th Wing della South African Air Force. I due
cacciatorpediniere fruivano della scorta aerea di otto caccia Macchi C. 200
della Regia Aeronautica, decollati dalla Sicilia, che si gettarono nella
mischia contro gli aerei nemici. La battaglia aerea era nel pieno del suo
svolgimento, quando sopraggiunsero anche dei caccia tedeschi Messerschmitt Bf
109 dello Jagdgeschwader 27; a loro volta, altri dodici P-40 del 2nd
Squadron del 7th Wing SAAF furono inviati a rinforzare i loro
compagni del 5th Squaron. Lo scontro si concluse a favore degli aerei
dell’Asse, che respinsero l’attacco dei velivoli sudafricani senza che questi
riuscissero a colpire i due cacciatorpediniere. Gli aerei italo-tedeschi
ritennero di aver abbattuto dieci velivoli nemici; in realtà, da parte
sudafricana risultò la perdita di un singolo Kittyhawk, abbattuto mentre
mitragliava una delle navi, mentre un secondo P-40 subì gravi danni. Gli aerei
del 7th Wing rivendicarono a loro volta l’abbattimento di un caccia
tedesco Bf 109.
Alle 11.22, al largo
di Capo Bon, il Pancaldo e l’Hermes subirono un terzo attacco, questa
volta da parte di 18 bombardieri scortati da dei caccia, che arrivarono da sud
e bombardarono le due navi, senza però che nessuna bomba andasse a segno. Dopo
aver superato le due navi dell’Asse, i bombardieri si congiunsero con un gruppo
di altri 32 aerei provenienti dalla direzione di Zembra: i 50 aerei si riunirono,
poi si divisero equamente in due gruppi di 25 e, alle 11.36, tornarono
all’attacco. I nuovi arrivati erano degli altri P-40 (“Warhawk” in quanto
americani, mentre gli aerei dello stesso tipo in servizio per il Commonwelth
erano chiamati “Kittyhawk”) del 79th Fighter Group dell’USAAF (85th,
86th, 87th e 316th Squadron, quest’ultimo
“prestato” dal 324th Fighter Group), scortati a quota maggiore da
degli Spitfire.
Verso mezzogiorno i
P-40 dell’86th e dell’87th Squadron si gettarono sul Pancaldo: dopo aver superato indenne i
tre precedenti attacchi aerei, il cacciatorpediniere italiano, nonostante il
violento tiro contraereo e le continue evoluzioni a tutta forza per eludere gli
attacchi (al pari dell’Hermes),
esaurì la propria buona sorte e fu più volte colpito da diverse bombe, due
delle quali colpirono in pieno ed asportarono grossi pezzi della prua. Molte
altre caddero tutt’attorno alla nave, avvolgendola nelle colonne d’acqua
sollevate dalle loro esplosioni; il Pancaldo,
con gravi danni, ridusse di molto la velocità, emettendo denso fumo, poi si
fermò e rimase immobilizzato e vulnerabile. I velivoli statunitensi attaccarono
ancora, per mitragliare la nave italiana a bassa quota, ma a quel punto
intervennero 15 Messerschmitt Bf 109G dello Jagdgeschwader 77 e del Gruppe I.
dello Jagdgeschwader 53. Nel furioso scontro che ne seguì, da parte americana
vennero rivendicati tre Bf 109 abbattuti (due con certezza ed uno probabile) e
tre danneggiati, mentre da parte tedesca si ritenne di aver abbattuto uno Spitfire
(da un aereo dello JG 77) e tre P-40 (da aerei dello JG 53). Le perdite
effettive risultarono poi essere di tre P-40 perduti (due entrati in collisione
ed il terzo travolto dai loro rottami) da parte americana, e di un Bf 109
abbattuto ed uno danneggiato da parte tedesca.
Ciò non servì a
salvare il Pancaldo, che, colpito da
bombe che danneggiarono le macchine, perforarono lo scafo e provocarono vari
allagamenti, iniziò ad affondare con decine di morti e feriti a bordo. Lo
stesso comandante Ferreri Caputi era stato gravemente ferito da schegge al
petto ed alla testa, ma rimase al comando fino alla fine, abbandonando la nave
per ultimo.
Alle 12.30 il Pancaldo s’inabissò due miglia per 29° (a
nord/nordest) da Capo Bon, e l’Hermes,
seriamente danneggiato e con morti e feriti a bordo, non poté fermarsi a
prestare soccorso, per non fare la stessa fine. L’unità tedesca riuscì alla
fine ad arrivare a Tunisi, dove sarebbe poi rimasta immobilizzata per i gravi
danni riportati all’apparato motore, dovendo essere autoaffondata una settimana
dopo, alla caduta della Tunisia.
Mentre ancora
l’attacco era in corso, il Comando Marina di Biserta, ricevutane notizia,
dispose che alcune unità prendessero il mare per fornire aiuto al Pancaldo, il più messo a mal partito
(ancora non si sapeva del suo affondamento) e, dopo che fu affondato, per
soccorrerne i naufraghi. Nemmeno questi mezzi soccorritori ebbero pace: due di
essi, il MAS 552 e la motosilurante MS 25, partiti insieme da Biserta poco
dopo l’una del pomeriggio ed in navigazione verso il luogo dell’affondamento, vennero
mitragliati e bombardati nel primo pomeriggio da 22 Kittyhawk del 2nd
e 5th Squadron SAAF, che, pur perdendo un aereo, affondarono il MAS 552 tre miglia a nord di Zembra e ridussero
la MS 25 ad un relitto, che fu portato all’incaglio a Zembra senza tornare mai
più in servizio.
Dei 280 membri
dell’equipaggio del Pancaldo, 156
uomini, tra cui il comandante Ferreri Caputi, vennero infine tratti in salvo,
mentre altri 124 morirono.
Tra le truppe tedesche imbarcate i morti furono 75, mentre 172 uomini furono tratti in salvo.
Tra le truppe tedesche imbarcate i morti furono 75, mentre 172 uomini furono tratti in salvo.
I caduti tra l’equipaggio:
Giuseppe Accordino, marinaio, disperso
Luigi Acquarone, marinaio nocchiere, disperso
Giuseppe Agnello, sottocapo cannoniere,
deceduto
Pasquale Amenta, sergente meccanico, disperso
Lino Gennaro Amelotti, sottocapo cannoniere,
disperso
Francesco Ardizzone, marinaio nocchiere,
disperso
Vito Arenare, marinaio cannoniere, disperso
Aldo Arvedi, marinaio, disperso
Luigi Ascione, marinaio fuochista, disperso
Luigi Balzano, marinaio fuochista, disperso
Guglielmo Barello, sottocapo cannoniere,
disperso
Giuseppe Battaglia, marinaio, disperso
Lodovico Bergonzi, marinaio fuochista,
disperso
Tommaso Borromeo, marinaio nocchiere, disperso
Primo Botti, marinaio cannoniere, disperso
Giovanni Bringhenti, marinaio, disperso
Daniele Cairo, marinaio fuochista, disperso
Ennio Calamati, marinaio elettricista, disperso
Vincenzo Calestini, sottocapo furiere,
disperso
Livio Callaga, marinaio fuochista, disperso
Francesco Campo, secondo capo motorista,
disperso
Alfio Cappello, marinaio, disperso
Ugo Carli, marinaio cannoniere, disperso
Vittorio Catrimi, marinaio, disperso
Benito Ceccarelli, marinaio, disperso
Luigi Chiappoli, marinaio cannoniere, disperso
Mario Cocchi, marinaio fuochista, disperso
Luigi Costagliola, marinaio cannoniere,
disperso
Vincenzo Crapulli, sergente cannoniere,
disperso
Enrico Curti, marinaio S. D. T., disperso
Ercole De Maio, marinaio elettricista,
disperso
Giovanni Dell’Amura, marinaio fuochista,
disperso
Giovanni Di Leva, sergente meccanico, disperso
Sirio Dondini, sottocapo cannoniere, disperso
Vincenzo Drudi Casadei, sottocapo cannoniere,
disperso
Pasquale Esposito, marinaio cannoniere,
disperso
Filippo Evola, sergente cannoniere, disperso
Franco Fava, marinaio cannoniere, disperso
Annibale Fedi, sottocapo S. D. T., disperso
Giuseppe Fenotti, marinaio cannoniere,
disperso
Mario Fiorillo, sottocapo segnalatore,
disperso
Giuseppe Fortis, marinaio idrofonista,
disperso
Giovanni Fortunato, marinaio cannoniere,
disperso
Ernesto Fortuzzi, marinaio cannoniere,
disperso
Giordano Foschi, sottocapo torpediniere,
disperso
Luigi Fumagalli, marinaio fuochista, disperso
Domenico Galati, marinaio cannoniere, disperso
Agostino Gavotto, marinaio cannoniere,
disperso
Martino Genna, marinaio S. D. T., disperso
Michele Giacomantonio, marinaio fuochista,
disperso
Filippo Giannetti, sergente meccanico,
disperso
Corrado Giardinella, capo radiotelegrafista di
seconda classe, disperso
Adolfo Giovannini, marinaio motorista,
disperso
Giuseppe Glielmo, secondo capo furiere,
disperso
Domenico Guadagno, capo meccanico di terza
classe, disperso
Attilio Gualco, capo S. D. T. di terza classe,
disperso
Vittorio Guarnieri, marinaio fuochista,
disperso
Carlo Sergio Imbimbo, sottocapo meccanico,
disperso
Antonio Impicciché, marinaio, disperso
Balsassarre Lavorante, capo meccanico di
seconda classe, disperso
Vincenzo Leonetti, sergente cannoniere,
disperso
Vito Lepore, sottocapo infermiere, disperso
Francesco Lezza, marinaio cannoniere, disperso
Carlo Mannini, marinaio elettricista, disperso
Vincenzo Marino, marinaio, deceduto in Tunisia
il 3.5.1943
Francesco Mattera, sergente meccanico,
disperso
Guerrino Medeot, marinaio motorista, disperso
Elio Mengoni, marinaio, disperso
Enzo Micol, marinaio S. D. T., deceduto in
territorio metropolitano il 26.11.1944
Giovanni Mondo, marinaio carpentiere, disperso
Silvio Monico, capo nocchiere di terza classe,
disperso
Rolando Morezzi, sottocapo elettricista,
disperso
Carmine Napolitano, marinaio silurista,
deceduto
Ivo Nardi, marinaio S. D. T., disperso
Pietro Pallante, secondo capo segnalatore,
disperso
Matteo Palumbo, marinaio cannoniere, disperso
Cataldo Pane, marinaio fuochista, disperso
Gino Parrini, marinaio cannoniere, disperso
Aldo Pastorino, marinaio fuochista, disperso
Mario Pelosi, marinaio cannoniere, disperso
Ezio Petrini, secondo capo cannoniere,
disperso
Giuseppe Pittui, sottocapo cannoniere,
disperso
Angelo Pivaro, marinaio, disperso
Nicola Ragno, sottocapo S. D. T., disperso
Mario Rava, tenente del Genio Navale, deceduto
Stefano Ravizza, marinaio fuochista, disperso
Nicola Recchiuti, marinaio, disperso
Agostino Ressia, marinaio cannoniere, disperso
Agostino Ressia, marinaio cannoniere, disperso
Guido Ricci, marinaio, disperso
Giulio Rigato, secondo capo meccanico,
disperso
Oscar Rosignoli, secondo capo S. D. T.,
disperso
Attilio Rottoli, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Sartoretti, capo cannoniere di
seconda classe, disperso
Benedetto Savona, marinaio cannoniere,
disperso
Francesco Settanni, sergente elettricista,
disperso
Nicola Siniscalchi, sottocapo
radiotelegrafista, disperso
Giovanni Solinas, marinaio fuochista, disperso
Luigi Tarissi, secondo capo elettricista,
disperso
Giuseppe Tiano, sottocapo fuochista, disperso
Alberto Treccani Chinelli, marinaio
elettricista, disperso
Francesco Trimboli, marinaio, disperso
Angelo Tuttorosa, marinaio fuochista, disperso
Primo Vai, sottocapo fuochista, disperso
Antonio Valentino, sottocapo
radiotelegrafista, disperso
Francesco Vallone, marinaio fuochista,
deceduto in territorio metropolitano l’8.10.1944
Gennaro Vitale, sottocapo cannoniere, deceduto
Davide Zorzi, marinaio elettricista, disperso
Carlo Ottone, marinaio radiotelegrafista, disperso
Ancora una foto del Pancaldo come appariva nel 1943 (g.c. Aneta Brzezinska/Profile Morskie)
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Di seguito una serie di
immagini scattate a bordo del Pancaldo
nei primi anni Trenta, quando ancora era classificato esploratore. Tutte le
fotografie, realizzate dall’allora cannoniere puntatore (successivamente
divenuto maresciallo capocannoniere stereotelemetrista) Antonio Miccoli,
imbarcato sul Pancaldo dal 1930 al
1933, sono state gentilmente concesse dal figlio Marino.
In esercitazione con
emissione di cortine nebbiogene, insieme ad altre unità della classe
Navigatori:
In navigazione con mare
mosso, sempre insieme ad altri “Navigatori”:
Lanci di siluri:
La scia prodotta all’estrema
poppa
Il complesso
binato centrale da 120 mm
Teloni usati per convogliare
area fresca attraverso le maniche a vento e nei locali interni, usate
comunemente prima che venisse introdotta l’aria condizionata o forzata (foto
scattate durante la crociera aerea di Balbo):
Sovrastruttura e complesso da
120 visti da prora estrema:
La squadra del Pancaldo vincitrice di una gara di voga
tra unità della Regia Marina, in posa dopo la vittoria. Antonio Miccoli è il
secondo da destra in prima fila, a braccia conserte, seduto accanto al
salvagente.
Il maresciallo Antonio Miccoli (la terza foto è del 1936, la quarta del 1938, subito successiva alla nomina a capo di terza classe):
Il Pancaldo ed altri “Navigatori” ormeggiati con la poppa a terra
La maggior parte delle
informazioni sui due affondamenti provengono dagli articoli “1940: l’estate
degli Swordfish”, di Franco Prosperini, e “Canale di Sicilia, 30 aprile 1943”,
di Marco Mattioli, su “Storia Militare”. Si ringraziano inoltre Antonello
Forestiere, direttore del Museo della Piazzaforte di Augusta, e Domenico C. per alcune precisazioni e correzioni risultanti dalla sua ricerca documentale.
Sono grato a te e a tutti quelli che come te spendono ore e ore del proprio tempo per regalare agli altri il ricordo di un mondo che - ormai lontano e dimenticato - vive solo grazie al vostro ricordo, ma che non per questo è stato meno reale.
RispondiEliminaBelle le foto, bello il sito, bravo, complimenti.
francesco@scarinci.it
buongiorno e complimenti per il lavoro svolto. mio nonno doveva imbarcarsi sul Pancaldo ad Augusta, ma non potè per i fatti bellici sopra riportati. E' bello sapere che la memoria di tutto ciò non sia andata persa. distinti saluti s. aloe
RispondiEliminaLa ringrazio.
EliminaBellissimo lavoro, sono arrivato sulla pagina perché cercavo informazioni su mio nonno, imbarcato sul Pancaldo. Sopravvisse all'affondamento.
RispondiEliminaLa ringrazio.
Eliminacomplimenti per il tuo meticoloso e preciso lavoro, bravo
RispondiEliminaSimon Pocock
Grazie.
EliminaGrazie per avermi regalato l'emozione di scoprire un pezzo della storia di mio nonno Filippo Evola scomparso sulla Pancaldo. Mi raccontava mio zio (suo fratello) che a nuotare era un "delfino" e che prima di annegare risucchiato dalla nave che affondava riusci a salvare una decina di suoi commilitoni.
RispondiEliminaPeccato non averlo conosciuto perchè doveva essere un grande uomo! RIP
Grazie Lorenzo per avermi regalato l'emozione di scoprire un pezzo della storia di mio nonno Filippo Evola scomparso sulla Pancaldo. Mi raccontava mio zio (suo fratello) a nuotare era un "delfino" e che prima di annegare risucchiato dalla nave che affondava riusci a salvare una decina di suoi commilitoni.
RispondiEliminaPeccato non averlo conosciuto perchè doveva essere un grande uomo! RIP
Bsera Lorenzo. Il comte in seconda del Pancaldo il 30 aprile 1943 era il TV Filippo Panicali (nato a Tolentino il 2 aprile 1912) che si salvò e ricevette la medaglia d'argento al v.m.
RispondiEliminaSolo ora ho letto questo articolo. Mio padre VITO MANDATORI fu uno dei marinai che si salvò dall'affondamento del Pancaldo il 30 aprile del 1944.Mi raccontava che un suo commilitone volle attardarsi sulla nave che affondava per recuperare degli effetti personali e non lo vide più. Purtroppo non ricordo il nome di questo suo amico e neanche posso chiederlo a mio padre che è venuto a mancare nel 2008 all'età di 86 anni. Grazie di avermi fatto rivivere questi preziosi ricordi.Giancarlo M.
RispondiEliminaLa PANCALDO è stata l'ultima dimora di mio nonno Filippo Evola la cui dipartita ha lasciato un vuoto incolmabile nonostante non lo avessi conosciuto. Vuoto che oggi è intriso di orgoglio e fierezza nel portare il DNA di un uomo che ha sacrificato la sua vita per il proprio paese e per salvare coloro che in quei tragici momenti erano in difficoltà. Un caro saluto Nonno, ovunque tu sia. RIP
RispondiEliminaBuongiorno Lorenzo,
RispondiEliminaapprofittando del tuo egregio lavoro di storiografia, avrei il desiderio di poter ritrovare tra i lettori qualche testimonianza di chi era mio Nonno Filippo Evola e delinearne il carattere, i suoi sogni di ragazzo ancora ventenne. Sarebbe come poter inserire un ulteriore tassello al mosaico della mia vita. Un Grazie in anticipo a te e a chi tra i lettori vorrà contribuire (anche se visto gli anni ormai trascorsi sarà molto difficile....ma mai dire mai)
Purtroppo non ho informazioni specifiche su di lui... forse qualcuno vedrà il commento e saprà aggiungere qualcosa.
EliminaVoglio unirmi ai complimenti delle altre persone. Io sono il figlio di uno dei marinai che il 10 luglio 1940 era sulla nave affondata nella rada di Augusta. Mio padre: Fucile Placido Gaetano, mi ha parlato tantissimo di quella sua esperienza con dettagli su quei tragici momenti dell'affondamento. Ho avuto una forte emozione quando ho potuto leggere della storia del Leone Pancaldo; mio padre non c'era più ed avrei condiviso volentieri la sua gioia nel vedere che qualcuno mantiene vivo ancora quel ricordo con foto e tanta storia.
RispondiEliminaGrazie.
Domenico Fucile
Mio padre Vito Mandatori classe 1922 era sul Pancaldo quel giorno che fu' affondato. Quando era in vita avrei voluto che me ne avesse parlato di quel fatto tragico, ma non ha mai voluto farlo, forse per il fatto che molti suoi amici perirono in quel tragico frangente. L'unica cosa che so me la raccontò mio zio . Mi disse solo che quando il fratello ritorno' a casa per una licenza stento' a riconoscerlo avendo il viso bruciato dalla nafta in fiamme. Mio padre continuò la sua carriera nella Marina Militare dopo la guerra e fini' la sua carriera con il grado di maresciallo.
RispondiElimina
RispondiEliminaMio nonno era imbarcato sul Pancaldo e la notte dell'affondamento era a bordo. Si tuffò in mare e raggiunse la salvezza portandosi sulle spalle un compagno ferito che purtroppo morì. Onore ai caduti.
Mio nonno era sul Pancaldo la sera che fu silurata, si tuffò in acqua portandosi sulle spalle un compagno ferito, purtroppo, il compagno morì sulle sue spalle, lui riusci a raggiungere la terra ferma
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