L’Uebi Scebeli nel 1938 (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)
|
Sommergibile di
piccola crociera della classe Adua (dislocamento di 698 tonnellate in
superficie ed 866 in immersione). Durante la guerra effettuò tre missioni
offensive od esplorative, percorrendo complessivamente 1437 miglia in
superficie e 149 in immersione.
Breve e parziale cronologia.
11 gennaio 1937
Impostazione nei
cantieri Franco Tosi di Taranto.
3 ottobre 1937
Varo nei cantieri
Franco Tosi di Taranto.
Il varo del battello (da http://fotoalbum.virgilio.it/alice/senettal/aduaclas/uebicebeli-1.html)
|
21 dicembre 1937
Entrata in servizio.
Viene assegnato alla XLIII Squadriglia Sommergibili, di base a Taranto.
1938
Dislocato a Tobruk.
Fine 1939
Dislocato a Taranto.
10 giugno 1940
All’entrata in guerra
dell’Italia l’Uebi Scebeli forma la
XLVI Squadriglia Sommergibili (IV Gruppo Sommergibili, di base a Taranto) insieme
ai gemelli Uarsciek, Dagabur e Dessiè. Lo stesso 10 giugno il battello parte per la prima missione
offensiva al largo di Cerigotto.
15 giugno 1940
Torna alla base senza
aver incontrato navi nemiche.
Giugno 1940
Seconda missione, di
agguato difensivo, nel golfo di Taranto.
Un’altra immagine dell’Uebi Scebeli (da www.grupsom.com)
|
L’affondamento
Il 27 giugno 1940 l’Uebi Scebeli, al comando del tenente di
vascello Bruno Zani, lasciò Taranto per la sua terza missione di guerra, un
agguato 35 a nordest di Derna.
Alle 6.30 (o 6.20)
del mattino del 29 giugno, in navigazione in superficie al largo di Creta
durante l’avvicinamento all’area d’agguato, l’Uebi Scebeli avvistò una formazione di cacciatorpediniere
britannici: erano il Dainty, il Defender, il Decoy, il Voyager e l’Ilex (la Forza «C»), impegnati in un
rastrello antisommergibile nel Mediterraneo centrale tra Alessandria e Tobruk a
protezione dell’operazione di rifornimento britannica «MA 3» tra Malta, Egitto
e Grecia. Le cinque unità avevano già affondato, due giorni prima, il
sommergibile italiano Liuzzi, ed
avevano appena terminato una caccia contro un altro sommergibile, dall’esito
incerto (è possibile che avessero appena affondato un secondo battello
italiano, l’Argonauta). Alle 6.42 l’Ilex avvistò a sua volta l’Uebi Scebeli, in superficie, ad una
distanza di otto miglia, su rilevamento 330°: mentre il Decoy ed il Voyager
rimasero sul luogo del primo attacco (per altra versione anche il Voyager partecipò all’attacco, prima
aprendo il fuoco con il proprio armamento e poi, dopo l’immersione, con bombe
di profondità), il Dainty, il Defender e l’Ilex diressero a tutta velocità incontro all’Uebi Scebeli, che dovette precipitosamente immergersi, e Dainty ed Ilex lo bombardarono pesantemente con cariche di profondità.
Per altra versione,
non trovandosi in posizione favorevole per un attacco (angolo beta sfavorevole),
l’Uebi Scebeli s’immerse con la
rapida e si portò poi a quota periscopica per soppesare la possibilità di
attaccare in immersione, ma venne localizzato ed intensamente bombardato con
bombe di profondità dal Dainty, dal Defender e dall’Ilex. (Non sembra esservi chiarezza sulla durata della caccia, da
“oltre un’ora”, tempo comunque impossibile dati gli orari di avvistamento ed
affondamento, a soli tre minuti).
Il sommergibile cercò
di manovrare per allontanarsi ed evitare le cariche di profondità, ma fu
gravemente danneggiato (si aprirono delle consistenti vie d’acqua e diverse
strumentazioni furono poste fuori uso), tanto da dover emergere a causa dei
danni: appena emerso, circondato dai cacciatorpediniere, divenne oggetto del preciso
tiro di cannoni e mitragliere di tutte e tre le navi nemiche, che colpirono più
volte la torretta. Una volta in superficie il comandante Zani constatò che il
battello stava lentamente affondando per i danni subiti, mentre le navi
britanniche, cessato il fuoco non appena avevano visto l’equipaggio salire in
coperta per abbandonare l’unità, stavano per calare le proprie imbarcazioni:
Zani ordinò perciò di accelerare l’affondamento, gettare gli archivi in mare ed
abbandonare la nave.
Bruno Zani e Gian Giacomo Manfredi, poi diventati comandante e “tenente” dell’Uebi Scebeli, fotografati a Soller nel 1937, durante la guerra civile spagnola (g.c. Giovanni Pinna) |
I documenti segreti
presenti a bordo (codici, cifrari, ordini d’operazione ed altro), tra cui il
nuovo codice della Regia Marina, che era stato approvato da pochi giorni,
furono portati in plancia e buttati in acqua uno dopo l’altro mentre il
comandante Zani controllava l’operazione, ma questi vide che alcune delle
pubblicazioni segrete, nonostante (solitamente) fossero state dotate di
appositi pesi di piombo per assicurarne un rapido affondamento ed impedirne la
cattura, stentavano ad affondare. Le imbarcazioni dei cacciatorpediniere britannici
si avvicinavano rapidamente, con l’evidente intento di salire a bordo del
sommergibile per tentare di impedirne l’autoaffondamento o di catturare i
documenti segreti, perciò Zani, dato che, se i documenti gettati in mare
fossero rimasti a galla, sarebbero potuti essere recuperati dalle lance delle
navi nemiche, ordinò che le pubblicazioni segrete che ancora non erano state
buttate in acqua venissero gettate nella cucina di superficie, poi ne fece
bloccare il portello, per evitare che qualche documento potesse venire a galla
quando l’Uebi Scebeli sarebbe
affondato.
Il comandante Zani
ordinò di nuovo di accelerare l’autoaffondamento, ma nel frattempo una lancia
del Defender aveva abbordato il
sommergibile e due ufficiali britannici erano saliti a bordo; i due scesero
all’interno del sommergibile ed arrivarono fino in camera di manovra, ma Zani
subito li seguì e disse loro che il battello stava affondando. Vedendo l’acqua
sul pagliolo della camera di manovra, i due ufficiali britannici si persuasero
e tornarono immediatamente in coperta, seguiti dal comandante Zani.
Nel mentre,
l’equipaggio dell’Uebi Scebeli
abbandonava il battello: alcuni uomini si gettarono in acqua, ma la maggior
parte salì direttamente sulle imbarcazioni dei cacciatorpediniere. Infine anche
il comandante Zani, il comandante in seconda (tenente di vascello Gian Giacomo
Manfredi), il direttore di macchina (tenente del Genio Navale Direzione
Macchine Uttieri) e l’ufficiale di rotta (sottotenente di vascello Rupil)
salirono su una delle lance, insieme ai due ufficiali britannici.
Tre immagini dell’Uebi Scebeli in procinto di affondare, circondato dai cacciatorpediniere britannici: la prima e la terza dal sito dell’Australian War Memorial, la seconda da Betasom.
Fu il Dainty, il cacciatorpediniere più
vicino, ad accelerare l’affondamento del sommergibile ormai agonizzante e
deserto, sparando un colpo di cannone sulla prua: l’unità italiana scivolò
sotto la superficie intorno alle sette del mattino (le 8.20 secondo fonte
britannica), in posizione 35°29’ N e 20°06’ E (160 miglia a sudovest di Creta).
Non vi furono
vittime; tutto l’equipaggio dell’Uebi
Scebeli, che aveva avuto solo un ferito, venne recuperato e fatto prigioniero
dal Dainty (si trattò di uno dei
pochissimi sommergibili italiani affondati senza perdite umane durante la
guerra).
L’affondamento dell’Uebi Scebeli ebbe però un risvolto
fortemente negativo, che andava al di là della mera perdita di un sommergibile:
in circostanze controverse, infatti, il Voyager
riuscì a recuperare numerosi documenti segreti ed i cifrari, compreso il nuovo
codice della Marina. Dalla relazione del comandante Zani e del comandante in
seconda Manfredi alla Commissione d’Inchiesta istituita nel 1945 sulla perdita
dell’Uebi Scebeli, non risulta che
gli inglesi saliti a bordo del battello fossero riusciti a prelevare dei
documenti, pertanto è probabile che qualcuna delle imbarcazioni dei
cacciatorpediniere li recuperò in mare, tra le pubblicazioni che erano state
gettate in acqua ma che non erano affondate subito come avrebbero dovuto.
Da parte britannica,
però, non è chiaro se la cattura di documenti e pubblicazioni confidenziali sia
avvenuta in mare oppure a bordo del
sommergibile, prima che questi affondasse, da parte delle squadre d’abbordaggio
dei cacciatorpediniere.
I codici catturati a
seguito dell’affondamento dell’Uebi
Scebeli (in particolare il cifrario “SM 19/S”; per altra fonte vennero
rinvenuti due codici, uno dei quali, appena approvato, sarebbe entrato in
vigore il 1° luglio 1940), insieme a quelli recuperati pochi giorni prima sul
sommergibile Galilei catturato in Mar Rosso, furono di notevole aiuto ai
decrittatori britannici operanti nella centrale di Bletchley Park (“ULTRA”) per
studiare e “sfondare” i sistemi di codificazione della Regia Marina, anche se
dovette passare parecchio tempo prima che gli studi su tali codici potessero
portare a risultati concreti, anche perché già nel luglio 1940 i comandi
italiani, forse intuendo che dei cifrari potessero essere stati catturati su
qualcuno dei diversi sommergibili persi nel giugno 1940, cambiarono tutti i
codici vanificando il lavoro sino ad allora svolto, nonché il possesso dei
cifrari ormai superati. Secondo una fonte, i documenti catturati sull’Uebi Scebeli rivelarono la posizione di
altri due sommergibili italiani, cui le forze britanniche diedero la caccia,
fortunatamente senza successo.
Cinque minuti dopo
l’affondamento del sommergibile, i cacciatorpediniere britannici diressero per
rientrare alla loro base, Alessandria d’Egitto. L’equipaggio dell’Uebi Scebeli, sbarcato ad Alessandria il
30 giugno (il Dainty arrivò ad
Alessandria alle 19.34 di quel giorno), venne portato nel campo di prigionia di
Geneifa, in Egitto, da dove successivamente venne trasferito in India.
I marinai dell’Uebi Scebeli prigionieri a bordo del Dainty (Australian War Memorial).
|
Ho riconosciuto mio padre Marcello Mori. È il primo seduto di fianco al marinaio armato di guardia
RispondiEliminaGENTILE SIG. MORI
RispondiEliminaMIO SUOCERO ERA ANCHE UNO DI QUEI MARINAI PRESI PRIGIONIERI. DA QUELLO CHE MI DISSE PERO' E' CHE LUI FU MANDATO IN SUD AFRICA DOVE STETTE PRIGIONIERO QUASI SEI ANNI.COSE DEL DESTINO; MIO PADRE ANCHE LUI FU
SUL SOMMERGIBILE MA FU TRASFERITO PRIMA DELL'AFFONDAMENTO.
GRAZIE
PAGANO FRANCESCO
+18159227929
sausage82@aol.com
Anche mio padre era imbarcato, era giovanissimo credo sia stato il più giovane dell'equipaggio aveva 20 anni
RispondiEliminaFabiana Querin
Sarebbe bello poter raccogliere foto di quell'evento , se esistono. Se qualche figlio o nipote dei marinai del sommergibile mi legge avrei piacere essere contattato. Grazie e saluti
RispondiEliminaMio nonno era sul sommergibile, E ci ha sempre raccontato che quando è stato bombardato loro si trovavano sotto e sono stati ripescati dagli inglesi, con le orecchie piene di sangue
RispondiElimina… qui invece si racconta di un passaggio, abbastanza tranquillo sulle navi inglesi, di tutto l’equipaggio. se qualcuno ha maggior chiarezza, potrebbe raccontarmelo? Mio nonno non c’è più più…
Si anche mio padre mi raccontava come il recupero fu drammatico e molto pericoloso. Mi diceva che ad uno ad uno furono estratti dallo scafo.
RispondiEliminaAnche mio padre mi raccontava di un recupero drammatico.
RispondiElimina