La nave fotografata quando
portava il nome di Capena (g.c. Mauro
Millefiorini, via www.naviearmatori.net)
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Motonave cisterna da 5232 tonnellate di stazza lorda, 2612 tonnellate di stazza netta, 7900 tonnellate di portata lorda e 11.200 tonnellate di dislocamento, lungo 119,9 metri e largo 15,7, pescaggio 8,7 metri, velocità 10,5 nodi. Appartenente alla Società Anonima di Navigazione Polena (avente sede a Genova), matricola 2122 al Compartimento Marittimo di Genova.
Breve e parziale cronologia.
1923
Costruita dai
Cantieri Officine Savoia di Cornigliano Ligure (numero di cantiere 58) come Capena, per la Società di Navigazione
Roma (con sede a Roma).
14 giugno 1923
La Capena viene varata, già completa, nei
Cantieri Officine Savoia di Cornigliano Ligure.
La nave, una delle
prime motonavi cisterna costruite in Italia con i suoi due gruppi di due motori
diesel Sulzer a quattro cilindri da 1250 HP ciascuno, si merita un articolo
sulla rivista “The Marine Engineer and Naval Architect” dell’agosto 1923. In
origine la stazza lorda e quella netta sono rispettivamente 5937 tsl e 3462
tsn, che verranno poi ridotte a 5232 tsl e 2612 tsn tra il 1936 ed il 1937.
La tragedia del Veniero
Ad appena due anni
dall’entrata in servizio, la Capena
balzò agli onori delle cronache come protagonista di un tragico incidente. Il 20
luglio 1925 la nave, al comando del capitano di lungo corso Baldassarre Longo,
lasciò Novorossijsk alla volta di Londra (con scali a Gibilterra ed a
Costantinopoli) con un carico di benzina.
Alle 6.50 (o 6.45)
del mattino del 26 agosto 1925 la Capena
stava passando ad est di Capo Passero, e precisamente si trovava a 6 miglia per
150° dal Capo, intenta a doppiare l’Isola delle Correnti, quando l’ufficiale di
guardia, Armando Santoro (l’ufficiale di rotta), sentì un forte scossone: anzi
tre rapidi colpi, uno dopo l’altro, che non potevano essere stati causati dal
mare, appena mosso. Era come se un oggetto sommerso fosse strisciato lungo la
carena da prua verso poppa. I tre colpi, e la stessa impressione di
strisciamento di qualcosa da proravia lungo lo scafo, vennero avvertiti anche
da chi era sottocoperta.
L’impressione non fu
però univoca per tutti i membri dell’equipaggio: in sala macchine, il primo
ufficiale di macchina Ciro Cattaneo sentì un unico colpo proveniente dal basso,
che gli fece pensare che la nave avesse toccato un bassofondale. Cattaneo salì
in coperta, e qui s’imbatté nel nostromo, sceso seminudo dal letto con tre o
quattro marinai. Sopraggiunse anche il secondo ufficiale, Ingrassia, e si
valutò la possibilità che la nave si fosse incagliata; nessuno parlò di
collisione.
Il secondo ufficiale
di macchina, Antonio Castellini, ritenne che l’urto provenisse dal centro della
nave.
Santoro informò
subito il comandante Longo (che al momento dell’incidente non era in plancia)
dell’accaduto, ma questi non diede a ciò grande importanza, ritenne che fosse
stato un colpo di mare particolarmente forte e questo fece segnare nel giornale
di bordo. Non comunicò quanto avvenuto via radio, non fece gettare delle boe
per segnare il luogo, né ordinò che la nave si fermasse per controllare.
La Capena proseguì nel suo viaggio e
raggiunse infine Londra; ma nel frattempo era divenuto di pubblico dominio,
notizia riportata sui giornali di tutto il mondo, che il sommergibile italiano Sebastiano Veniero, uscito in mare per
un’esercitazione aeronavale, non era rientrato alla base.
Il Veniero aveva raggiunto la sua area
d’agguato tra Capo Murro di Porco e Capo Passero all’alba del 26 agosto, poi
non se ne era saputo più nulla: non era tornato a Siracusa come previsto, il 28
agosto, ed ogni ricerca nei giorni successivi era stata vana.
Ben presto Armando
Santoro ed il secondo ufficiale Ingrassia iniziarono ad affermare in pubblico
che la loro nave doveva aver speronato un sommergibile al largo della costa
meridionale della Sicilia: la notizia giunse alle orecchie del Ministro delle
Comunicazioni (e di conseguenza della Marina Mercantile), Costanzo Ciano, che,
istituita una commissione d’inchiesta, fece mettere la Capena in bacino nel Tillbury Dock di Londra (la nave non aveva
ancora lasciato la capitale britannica) per un’ispezione. Il comandante Longo
venne sbarcato su disposizione del ministro Ciano, per non aver dato notizia di
quanto avvenuto.
Tecnici della Regia
Marina e funzionari di tutti gli altri enti coinvolti controllarono la carena
della motocisterna, e constatarono la presenza di evidenti tracce di
strisciamento longitudinale lunghe una ventina di metri, con asportazione di
pittura e segni metallici lucenti: questi ultimi furono poco dopo riconosciuti
come tracce del tipo di bronzo impiegato in alcuni elementi del Veniero.
Era ormai ufficiale:
la Capena aveva speronato il Veniero, affondandolo con tutti i 48
uomini dell’equipaggio. Si concluse che il sommergibile, per iniziativa del
comandante (non essendovi ordini in tal senso), fosse venuto in affioramento,
forse per permettere agli allievi presenti a bordo di familiarizzare
maggiormente con il battello, e fosse stato speronato dalla Capena mentre si trovava appena sotto la
superficie.
Il ministro Ciano
avviò due procedimenti penali: uno nei confronti del capitano Longo, con
l’accusa di aver continuato nella navigazione senza fermarsi per verificare
l’accaduto e, se possibile, prestare soccorso, oltre a non aver informato via
radio della collisione le autorità competenti; l’altro contro la compagnia
proprietaria della Capena, la Società
di Navigazione Roma, per non aver riferito dell’incidente verificatosi al
Ministero della Marina ed al Ministero delle Comunicazioni. L’ingegner Camillo
Barbe, direttore della Società di Navigazione Roma, dichiarò al processo che
quando aveva incontrato Ingrassia e Cattaneo di ritorno da Londra, il 18
settembre, nessuno dei due gli aveva parlato dell’accaduto, ma che poco dopo
aveva saputo da un altro comandante della compagnia, il capitano Vidari, che
Ingrassia aveva parlato dell’incidente, azzardando l’ipotesi che la Capena fosse entrata in collisione con
il Veniero. Barbe lo aveva riferito
all’amministratore della compagnia, l’ammiraglio Arturo Cerbino, che aveva
disposto che il comandante Longo venisse interrogato in merito (tramite lettera
confidenziale e non telegramma, però), ma nel frattempo era già stata aperta
l’inchiesta e la Società Roma era stata interpellata dalla Capitaneria di Porto
di Genova, per conto del Ministero. Il pubblico ministero accusò la compagnia
di leggerezza, negligenza e ritardo nel denunciare la situazione, di aver
cambiato le proprie deposizioni e di aver sottaciuto l’accaduto finché ormai la
cosa non era divenuta nota anche a Roma.
La vertenza andava degenerando
in una sorta di scontro tra la Marina mercantile e quella militare, ma il 23
ottobre 1925 il tribunale di Genova assolse il capitano Longo perché “il fatto
non costituiva reato”: Longo aveva infatti dimostrato che al momento della
collisione la Capena era in acque
libere, all’esterno di tratti di mare interdetti a causa di esercitazioni
militari, e che nessun membro dell’equipaggio aveva avvistato alcunché in mare,
nonostante le eccellenti condizioni di visibilità (una chiara mattina d’estate).
Il macchinista Castellini depose di ritenere che il comandante non avesse avuto
elementi per pensare di aver speronato un sommergibile.
24 giugno 1928
Nel mattino del 24
giugno la Capena, mentre è
all’ormeggio alle banchine della compagnia Magnolia Petroleum di Beaumont
(Texas), viene danneggiata da un’esplosione. I vapori di gasolio accumulatisi
in due delle cisterne s’incendiano improvvisamente, mentre i 35 uomini
dell’equipaggio stanno dormendo nei propri alloggi, situati immediatamente a
proravia delle cisterne stesse: la conseguente fiammata viene portata dal vento
proprio negli alloggi dell’equipaggio, ustionando 16 uomini prima che abbiano
il tempo di alzarsi. Parecchi membri dell’equipaggio corrono in coperta e si
gettano in mare, raggiungendo la riva a nuoto; squadre antincendio della
Magnolia Petroleum intervengono rapidamente e riescono a domare le fiamme prima
che queste possano raggiungere il grosso del carico di gasolio ancora presente
a bordo. I 16 uomini ustionati vengono portati in ambulanza in ospedale, ma
otto vengono dimessi poco dopo, mentre altri otto rimangono ricoverati, due dei
quali, il cuoco Vincenzo D’Albia (di turno al momento dell’esplosione) ed un
marinaio, in condizioni critiche, mentre le ferite degli altri sei sono
giudicate guaribili. Il danno riportato dalla nave, sorprendentemente, non è
grave, e viene valutato riparabile in tre-quattro giorni.
1928
Acquistata dal Lloyd
Mediterraneo – La Meridionale di Navigazione, con sede a Genova, e ribattezzata
Carpena.
1935
Acquistata dalla
Polena Società di Navigazione, di Genova, e ribattezzata dapprima Laxerto e poi, nel corso dello stesso
anno, Strombo.
8 giugno 1940
Requisita a Pola
dalla Regia Marina, senza essere iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario
dello Stato.
20 dicembre 1940
Parte da Valona alle
8 insieme al piroscafo Absirtea. Le
due navi, scariche e scortate dall’incrociatore ausiliario Capitano A. Cecchi, arrivano a Bari alle 6 del 21 dicembre.
20-22 maggio 1941
Alle 6 del mattino del
20 maggio la Strombo parte da Brindisi
insieme alle navi cisterna Annarella
e Dora C. (convoglio «Annarella»),
con la scorta dell’incrociatore ausiliario Brindisi
e del cacciatorpediniere Carlo Mirabello
(caposcorta). Il convoglio, diretto a Corinto (o Patrasso) via Santa Maria di
Leuca con personale e materiali vari, procede a 7 nodi.
Verso delle 14.30 in
convoglio viene raggiunto da un altro proveniente da Taranto (incrociatore
ausiliario Arborea, piroscafo
italiano Laura C., piroscafi tedeschi
Spezia, Trapani e Livorno), dal
quale, come preordinato, si stacca il piroscafo Laura C., che va ad accodarsi al convoglio «Annarella», il quale
poi prosegue nella navigazione.
La navigazione
procede tranquilla fino alle 5.40 del 21 maggio, quando viene avvistata
un’esplosione al largo di Capo Dukato: le navi assistono così alla fine della
cannoniera Pellegrino Matteucci,
saltata su mine posate dal posamine britannico Abdiel. Il Mirabello,
avvicinatosi per accertare l’accaduto e prestare soccorso, alle 6.30 urta a sua
volta una mina, perdendo la prua. Mentre il Brindisi
cerca di assistere il Mirabello, le
navi del convoglio rimangono in zona, zigzagando (come è stato loro ordinato
dal Brindisi subito dopo il
danneggiamento del Mirabello). Il Mirabello affonda infine verso
mezzogiorno, due miglia a sud di Capo Dukato, ed alle 14.18 le navi del
convoglio devono assistere ad un altro disastro: i piroscafi tedeschi Marburg e Kybfels, sopraggiunti da Patrasso, saltano a loro volta sulle mine
nonostante il tentativo di avvertirli del pericolo. A questo punto il
comandante del Brindisi, ritenendo
pericolosa la posizione del convoglio a causa del rischio costituito dalle
mine, decide di non attendere oltre in zona (dove stava aspettando il ritorno
di un proprio motoscafo) e di proseguire subito con il convoglio per Corfù
(invece che per Patrasso: la destinazione è stata cambiata a seguito della
scoperta delle mine), come ordinato da Supermarina fin dalle 10.36.
Alle 18.45 il Dora C. segnala la presenza di un
sommergibile sulla sinistra; il Brindisi
lo attacca con due bombe di profondità, poi le navi proseguono, assumendo dalle
20.30 la formazione notturna.
Alle 5.45 del 22
maggio la Dora C. deve uscire dalla
formazione per una ventina di minuti, causa avarie; alle 6.30, per il timore di
mine al largo di Porto Edda, il convoglio dirige su Valona invece che su Corfù,
ordine che viene confermato da Supermarina alle 10.30. Le navi concludono il
loro travagliato viaggio a Valona, alle 17.30.
Il lungo viaggio della Strombo
Alle otto del mattino
del 1° giugno 1941 la Strombo,
insieme ad altre due navi cisterna, la Dora
C. e l’Annarella, ed alla
motonave Calino, il tutto con la
scorta delle torpediniere Castelfidardo
e Calatafimi, giunse al Pireo dopo
aver attraversato il Canale di Corinto.
Alle nove del mattino
del 2 giugno 1941 la Strombo lasciò il
Pireo diretta allo stretto dei Dardanelli (da dove poi entrare in Mar Nero per
caricare nafta rumena a Varna o Costanza) in convoglio con Dora C. e Annarella, sempre
con la scorta di Castelfidardo e Calatafimi. Le navi avrebbero dovuto
raggiungere l’imboccatura dei Dardanelli alle nove del 3 giugno. Al convoglio
si aggregò, di nuovo, anche la Calino,
in navigazione dal Pireo a Salonicco, che successivamente si separò nuovamente
dalle altre navi per raggiungere la sua destinazione. Il 3 giugno, a 12 miglia
da Capo Helles, la scorta lasciò le tre petroliere che proseguirono da sole
(tranne che per la scorta di un singolo aereo), ma le tre navi – bersagli
particolarmente appetibili – erano già state avvistate al largo di Lemno (ed al
largo dell’imboccatura meridionale dei Dardanelli), mentre navigavano verso
est, dal sommergibile britannico Parthian,
che all’una di notte del 2 giugno aveva ricevuto ordine, dai comandi britannici
ad Alessandria, di attendere l’arrivo della nave cisterna bulgara Burgas, in arrivo dal Mar Nero carica di
carburante. Già alle 12.50, in posizione 39°52’ N e 25°56’ E, il comandante in
seconda del Parthian, tenente di
vascello P. M. May, aveva avvistato verso sud il convoglio italiano, ed il
sommergibile britannico aveva immediatamente assunto rotta 200° per
avvicinarsi: alle 13.01 il Parthian
era in posizione 39°58’ N e 25°58’ E ed il suo comandante, il capitano di
fregata Michael Gordon Rimington, identificò la composizione del convoglio come
tre navi cisterna scariche (in zavorra), che procedevano approssimativamente in
linea di fila, e due cacciatorpediniere (erano Castelfidardo e Calatafimi),
uno a proravia delle cisterne ed uno al traverso sinistro del convoglio. Le
navi procedevano a dieci nodi, dirette allo stretto dei Dardanelli per entrare
in Mar Nero. Mentre il convoglio si apprestava a superare le isole Tavsan,
Rimington vide con sorpresa le due unità di scorta allontanarsi, lasciando
proseguire le cisterne per le ultime 12 miglia fino a Capo Helles con la sola
protezione di un idrovolante antisommergibile CANT Z. 506 B, che volava sul
lato opposto del convoglio rispetto al Parthian.
Mentre le
torpediniere si dirigevano verso Mudros ad alta velocità, la nave in testa al
convoglio iniziò una virata a sinistra per passare ad ovest delle isole Tavsan,
seguita dalle altre.
La Strombo era rimasta arretrata di circa
un miglio e mezzo rispetto alle altre due cisterne: quando quella di testa (la
seconda la seguiva a poca distanza) iniziò a zigzagare, anche la Strombo fece così, per “tagliare
l’angolo”, ma così facendo si portò in posizione ideale perché un lancio di
siluri. Rimington valutò la velocità del bersaglio in 10 nodi, e fece preparare
i tubi 1, 2 e 3 per lanciare ad un intervallo di 23 secondi l’uno dall’altro,
con un angolo di 115°.
Alle 13.29 il
sommergibile britannico lanciò tre siluri da 5500-6400 metri contro la Strombo, che dopo quattro minuti fu
colpita da una delle armi 7 miglia a sud di Capo Helles (ad est di Lemno), in
posizione 39°57’ N e 25°38’ E, e riportò gravi danni, ma rimase a galla. Rimington,
osservando la scena al periscopio, vide che la cisterna era sbandata di 15-20
gradi sulla sinistra, si era appoppata sin quasi ad immergere la poppa ed aveva
un grosso incendio a centro nave.
Le due torpediniere,
che avevano lasciato il convoglio per raggiungere Mudros, tornarono e diedero
la caccia al Parthian, che tuttavia
riuscì ad allontanarsi indenne, mentre la danneggiata Strombo riuscì a raggiungere Istanbul (per altra fonte, probabilmente
erronea, fu dapprima portata all’incaglio presso i Dardanelli per evitare che
affondasse, e poi rimorchiata a Istanbul).
Dopo riparazioni
provvisorie in bacino di carenaggio, la nave poté lasciare Istanbul alle 16 del
9 luglio; una volta in mare le venne incontro la Calatafimi per scortarla al Pireo (la nave avrebbe poi dovuto
ricevere riparazioni più estese, forse in Italia), dove l’arrivo era previsto
per le 21 del 10 luglio, ma la partenza della cisterna non era passata
inosservata: agenti britannici ad Istanbul (forse l’addetto navale britannico
in quella città, o qualcuno dei suoi uomini), alle 17.04 del 9 luglio,
informarono con un messaggio il comandante della Mediterranean Fleet,
ammiraglio Andrew Browne Cunningham, che la Strombo
era partita da Istanbul alle 18.45 dell’8 luglio ad una velocità stimata di 7
nodi. L’informazione venne inoltrata al comandante della flottiglia
sommergibili di Malta, che alle 20.11 dello stesso 9 luglio la trasmise al
sommergibile più vicino alla zona dove la nave sarebbe dovuta passare, il Torbay, con l’ordine di intercettarla
nel canale di Zea. Il Torbay, che
stava procedendo verso sudovest e si trovava al largo di Capo Malea, ricevette
il messaggio alle 22.45 e subito invertì la rotta, dirigendo verso Stenon Keas
per intercettare la petroliera.
Alle 13.55 del 10
luglio il Torbay, in agguato 6,4
miglia per 325° da Capo Tamelos sull’isola di Zea, avvistò un idroricognitore
tedesco Arado Ar 95, che forniva scorta aerea al piccolo convoglio, e 35 minuti
più tardi il battello britannico iniziò a scorgere in lontananza, nella
direzione di provenienza dell’aereo, il fumo prodotto dalle due navi in
avvicinamento, come previsto.
Alle 14.46 il Torbay avvistò la Strombo, che era preceduta dalla Calatafimi che zigzagava circa mezzo miglio a proravia, e diede
inizio all’attacco. Alle 15.52, a 6,6 miglia per 269° da Punta San Nicolò, nel
canale di Zea (la posizione della Strombo
è riportata come 37°40.5’ N e 24°11.5’ E o 37°30’ N e 24°16’ E, al largo di
Capo Sounion), il Torbay lanciò
quattro siluri da poco meno di 1100 metri: due andarono a segno.
Di nuovo la Strombo, sebbene colpita da due siluri,
resse il danno, e la torpediniera Monzambano,
inviata da «Marisudest», la prese a rimorchio e la condusse a Salamina, dove fu
portata all’incaglio a Skaramanga.
Due membri
dell’equipaggio della cisterna rimasero uccisi nel siluramento, ed i loro corpi
non vennero mai ritrovati.
Il Torbay, intanto, venne bombardato con 13
bombe di profondità dalla Calatafimi
dalle 15.55 alle 16.20, e poi di nuovo, dalle 18 alle 19.20, con altre 25 bombe
di profondità, dalla Calatafimi e da
un’altra torpediniera, la Climene,
subendo alcuni danni.
L’11 luglio la
motocisterna venne ancorata davanti al cantiere navale di Salamina, dove
avrebbe dovuto essere riparata.
Qui il carburante
contenuto nelle cisterne fu pompato a terra, poi, una volta scaricata la nave,
si diede inizio ai lavori di riparazione.
La sfortuna continuò
però ad accanirsi sulla petroliera: il 21 agosto 1941 la Strombo si trovava ancora all’ancora a Skaramanga, quando
improvvisamente, alle nove di sera, venne scossa da un’esplosione ed affondò in
quindici metri d’acqua (un messaggio del comando tedesco dell’Egeo indicava
invece la profondità nel punto in cui la nave era affondata in 7,5 metri). Non
vi furono vittime, ma undici uomini rimasero feriti, quattro in modo grave e
sette in modo lieve.
Le cause
dell’esplosione rimasero ignote. Delle possibilità avanzate in merito sono
sabotaggio (da parte di partigiani greci) od esplosione accidentale durante i
lavori di riparazione (per esempio causata da lavori di saldatura effettuati in
locali ancora saturi di vapori di benzina), ma dopo l’affondamento un palombaro
venne inviato ad esaminare il relitto e riferì che vi era nello scafo una falla
di 9,5 per 5,5 metri, causata da un’esplosione esterna. A meno che il palombaro
non si fosse confuso con uno degli squarci aperti dai siluri che avevano
colpito lo scafo della Strombo nei
due mesi precedenti (ma sembra ben strano), ciò significa che l’esplosione fu
causata da una mina, dato che nessun sommergibile alleato riferì di aver
attaccato una qualsiasi nave il 21 agosto ed in quella zona, e che le cariche
esplosive fornite dai servizi britannici ai partigiani greci erano troppo
piccole per aprire uno squarcio di tali dimensioni. In effetti, risulta che
nella notte tra l’8 ed il 9 agosto dei bombardieri britannici Vickers
Wellington del 257th Wing avessero effettivamente lanciato delle
mine magnetiche nell’area. Dal momento che la nave era all’ancora e perciò
ferma (e dunque non poteva aver urtato una mina durante la navigazione), è
probabile che la Strombo avesse
urtato la mina perché l’ancora avesse perso presa sul fondale e la nave avesse
iniziato a muoversi a causa della corrente, trascinando l’ancora.
Il compilatore del
diario di guerra del comando navale tedesco dell’Egeo annotò semplicemente che
l’affondamento della Strombo non era
una gran perdita, dato che difficilmente la nave sarebbe stata utilizzabile
entro tempi brevi, dopo i due siluramenti che aveva subito.
Dopo tante traversie,
la Strombo era finita per sempre in
fondo al mare: l’ultima vendetta, forse, dell’equipaggio scomparso di un
sommergibile speronato e lasciato al suo destino tanti anni prima.
Il secondo
siluramento della Strombo nel giornale
di bordo del Torbay (da Uboat.net):
“At 1355 hours (zone
-3), while Torbay was in position
325° Cape Tamelos (Zea Island) 6.4 nautical miles, an Arado 95 aircraft was
sighted. This aircraft appeared to be an escort for the Italian tanker Strombo that was expected to arrive in
this position shortly. At 1430 hours smoke was sighted in the direction of the
aircraft.
At 1446 hours the Strombo was sighted and an attack was
commenced. The Strombo was escorted
by the above aircraft and an Italian torpedo boat of the Curtatone class that
was zig-zagging about half a mile ahead of the target [la Calatafimi].
At 1552 hours, while Torbay was in position 269° Pt.
St.Nikolo 6.6 nautical miles, four torpedoes were fired from 1200 yards. Two
hits were obtained.
From 1555 to 1620
hours Torbay was counter attacked by
the escort with 13 single depth charges some of which were extremely close. At
1630 hours Torbay came to periscope
depth and saw that the tanker had sunk and that the aircraft and escorting
torpedo boat were searching to the northward. Torbay went deep again.
At 1700 hours a
fairly loud explosion was heard, which might have been a bomb, Torbay went still deeper.
At 1750 hours Torbay returned to periscope depth and
saw two 'destroyers' coming towards her [alla Calatafimi si era unita la Climene].
From 1800 to 1920 hours Torbay was hunted. 25 Depth charges were
dropped but none were very close.
As Torbay was now out of torpedoes and had
only 19 rounds for her deck gun left, Lt.Cdr. Miers decided to proceed to
Alexandria.”
Il rapporto del Parthian (si ringrazia Byron Tesapsides,
autore del libro “Allied submarine operations in Greece during World War Two,
1941-1944”):
Documentazione tedesca sui
due siluramenti e sulla perdita della Strombo
(si ringraziano Byron Tesapsides per i primi tre e Dimitris Galon per gli altri
cinque):
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