La Dentice con i colori della società Polena (Coll. Guido Alfano via
Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)
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Piroscafo cisterna da
5281 tsl, 2784 tsn e 7830 tpl, lunga 126 metri, larga 16 metri, pescaggio 7,7
metri, velocità 10,5 nodi. Appartenente alla Società di Navigazione Polena (di
Genova), matricola 2178 al Compartimento Marittimo di Genova.
Breve e parziale cronologia.
17 gennaio 1918
Varata nei cantieri
Fairfield Shipbuilding & Engineering Company Ltd. di Govan come War Patriot.
Aprile 1918
Completata dai
cantieri Fairfield Shipbuilding & Engineering Company Ltd. di Govan (numero
di costruzione 536) come War Patriot
per lo Shipping Controller (registrata a Londra e data in gestione alla
Anglo-Saxon Petroleum Company). Si tratta di una nave cisterna di tipo standard
(navi costruite in serie per ridurre tempi e costi durante la prima guerra
mondiale – come del resto anche nella seconda –, per rimpiazzare le perdite di
guerra) “AO” (A-Oiler, da 5250 tsl e 8885 tpl). Stazza lorda 5197 tsl e stazza
netta 3155 tsn, poi divenute rispettivamente 5281 tsl e 2784 tsn a seguito di
lavori tra il 1937 ed il 1938.
1919
Ceduta alla compagnia
privata Anglo-Saxon Petroleum Company Ltd. di Londra.
1921
Ribattezzata Adna (altra fonte data il cambio di nome
al 1919).
1927
Venduta alla
Hansen-Tangens Rederi A/S di Kristiansand.
1937
Acquistata dalla
Polena Società di Navigazione, con sede a Genova, e ribattezzata Dentice.
La nave quando portava l’originario
nome di War Patriot (da W.H. Mitchell
e L.A. Sawyer, "British Standard Ships of World War 1", Sea Breezes,
1968, via Francesco De Domenico e www.naviearmatori.net)
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Perdita e ritorno
Anche la Dentice, come più di 200 altre navi
mercantili italiane, si trovava al di fuori del Mediterraneo quando l’Italia
fece il suo ingresso nel conflitto, il 10 giugno 1940.
Diverse navi cisterna
italiane si trovavano, in quel momento, nel Mar dei Caraibi, al largo del
neutrale Venezuela: la Jole Fassio,
la Trottiera, la Bacicin Padre, la Teresa
Odero, l’Alabama e la Dentice stessa. Mentre le prime quattro
petroliere riuscirono a riparare a Puerto Cabello, la Dentice e l’Alabama si
trovavano troppo lontane per poter raggiungere quel porto prima di essere a
loro volta raggiunte dagli incrociatori ausiliari francesi Quercy, Esterel e Barfleur, che si trovavano in quelle
acque.
Dall’Italia, il
Ministero delle Comunicazioni – che aveva giurisdizione sulla Marina Mercantile
– comunicò alle due petroliere di rifugiarsi a Maracaibo: disposizione
ineseguibile, perché quel porto, situato in una laguna dai bassi fondali (che
furono dragati per permettere il passaggio di navi più grandi solo dopo la
guerra), non era praticabile per Dentice
ed Alabama, che pescavano troppo,
essendo a pieno carico: la Dentice
era carica di 8000 tonnellate di greggio, l’Alabama
ne aveva bordo ben 10.000.
I marconisti delle
due navi lo fecero presente a Roma, rompendo così il silenzio radio: scelta
fatale, perché le navi da guerra francesi poterono rilevare la loro posizione
mediante radiogoniometro.
Per prima fu
raggiunta l’Alabama: l’11 giugno 1940
l’incrociatore ausiliario Barfleur,
armato con sette pezzi da 149, due da 75 e due da 37 mm, la intercettò al largo
di Maracaibo e le intimò di seguirla, ma stante la mancata risposta, ed anzi il
tentativo da parte della petroliera di portarsi all’incaglio in costa, la nave
francese aprì il fuoco: colpita, l’Alabama
andò egualmente ad incagliarsi, ma con gravi danni ed incendi a bordo.
La Dentice non era a conoscenza di quanto
accaduto all’Alabama, e proseguì
nella navigazione in attesa che dall’Italia arrivasse una qualche risposta al
messaggio cifrato inviato: ma nel frattempo, il Barfleur si era diretto a tutta forza (sedici nodi, la sua massima
velocità) verso la nave italiana, intenzionato ad intercettarla.
Quando da bordo della
Dentice venne avvistato
l’incrociatore ausiliario in arrivo, il comandante fece subito accostare verso
un’isoletta sabbiosa poco distante (nella baia di Maracaibo e vicino alla parte
venezuelana della penisola della Guajira), e mandò la sua nave ad incagliarvisi
alla massima velocità, poi fece appiccare il fuoco al carico, per impedirne che
venisse catturata: mentre la nave veniva avvolta dalle fiamme generate
dall’incendio di 8000 tonnellate di petrolio, il Barfleur, che non aveva potuto fare nulla, si avvicinò all’isola per
prendere a bordo l’equipaggio della pirocisterna. Gli uomini della Dentice, però, rifiutarono di essere
recuperati, non volendo finire in prigionia; e la nave francese, dato che
l’isola faceva già parte del territorio venezuelano (e dunque neutrale), non
poté obbligarli a salire a bordo, pertanto ripartì e diresse verso nord,
sparendo poco dopo all’orizzonte.
Era il 12 giugno
1940.
L’equipaggio della Dentice veniva però a trovarsi in una
situazione difficile: bloccato su un’isola deserta, nel torrido clima dei
Caraibi, con modeste riserve di cibo e soprattutto di acqua potabile. Dal
relitto della petroliera vennero recuperati vari rottami che furono impiegati
per allestire rapidamente tende e tramezze; vennero distribuite le provviste
che c’erano ed il comandante dispose norme rigorose per il razionamento
dell’acqua.
Non era però
possibile resistere a lungo sull’isola, quindi si decise di riparare la
scialuppa meno danneggiata per cercare di raggiungere la costa del Venezuela.
I lavori di
riparazione della lancia richiesero cinque giorni: già il 15 giugno, alcuni dei
marinai iniziarono a manifestare segni di malessere, capogiri, incubi,
allucinazioni causate dal caldo torrido e dalla sete.
Due giorni più tardi
la scialuppa era pronta, e tutto l’equipaggio della Dentice vi si stipò a bordo per il breve ma tormentato viaggio
verso la salvezza.
La lancia con gli
uomini della pirocisterna raggiunse sana e salva la costa venezuelana, dove i
naufraghi ricevettero aiuto dalla popolazione locale.
La storia della Dentice non doveva però concludersi
sull’assolata spiaggia di quell’isola caraibica. Nonostante l’incendio
appiccato dall’equipaggio, la nave non era stata danneggiata dalle fiamme in
modo irreparabile, ed il 3 settembre poté essere disincagliata, dopo di che, il
13 settembre, venne rimorchiata a Puerto Cabello (come pure l’Alabama) da un rimorchiatore della
Marina venezuelana, venendo quindi internata. Un giornalista statunitense a
Puerto Cabello, in un articolo dell’ottobre 1940, disse che la Dentice si trovava incagliata e sbandata
sulla sinistra, e che solo le sovrastrutture del ponte di comando erano state
danneggiate (in modo riparabile), definendo la pirocisterna “the most
interesting looking ship at Puerto Cabello”. In Europa, frattanto, la Francia,
invasa dalle forze tedesche e tardivamente attaccata anche dall’Italia, si era
arresa all’Asse: quasi un anno dopo, nel maggio 1941, l’Italia, tramite la
commissione armistiziale tripartita di Wiesbaden, avrebbe richiesto ed ottenuto
dalla Francia di Vichy la consegna due navi cisterna francesi, la Massis e la Beauce, a titolo di indennizzo per la perdita di Dentice ed Alabama, causata dal Barfleur.
Le due navi, ribattezzate Saturno e Proserpina, sarebbero state impiegate nel
rifornimento delle truppe italo-tedesche stanziate in Nordafrica, andando
entrambe perdute per attacchi aerei alleati. Non diversa, probabilmente,
sarebbe stata la sorte della Dentice
se si fosse trovata in Mediterraneo.
Il 31 marzo 1941, in
seguito all’arbitraria confisca, da parte delle autorità statunitensi (sebbene
tale nazione fosse ancora neutrale), di tutte le navi italiani presenti nei
porti degli Stati Uniti, le navi italiane presenti nei porti del Venezuela
(erano sei, tutte navi cisterna) ricevettero l’ordine di autoaffondarsi per
evitare la cattura, dato che anche il Venezuela aveva dato motivo di credere
che presto avrebbe preso simili misure. Mentre tre delle navi (la Jole Fassio, la Trottiera e la Teresa Odero)
vennero incendiate dai loro equipaggio, la Dentice
(che si trovava nella baia dell’Isla Larga, a Puerto Cabello), l’Alabama ed una terza pirocisterna, la Bacicin Padre, furono “salvate” dal
rapido intervento delle autorità portuali di Puerto Cabello, che catturarono le
tre navi prima che potessero essere incendiate.
L'equipaggio della Dentice fu catturato; uno dei marittimi, il nostromo trapanese Giuseppe Malato, sarebbe deceduto in prigionia il 9 marzo 1942.
L'equipaggio della Dentice fu catturato; uno dei marittimi, il nostromo trapanese Giuseppe Malato, sarebbe deceduto in prigionia il 9 marzo 1942.
Con decreto ufficiale
della presidenza della Repubblica del Venezuela (datato 20 marzo 1942), la Dentice venne sequestrata dalle autorità
venezuelane, venendo ribattezzata Faireno.
(Altra fonte data la confisca da parte del Venezuela ed il cambio di nome in Faireno già al 1940).
Sin dal dicembre
1941, quando il Venezuela aveva rotto le relazioni diplomatiche con Italia e
Germania, il governo venezuelano aveva mostrato la propria disponibilità di
concedere parte delle navi dell’Asse catturate agli Stati Uniti.
Il 16 luglio 1942,
pertanto, la Faireno fu venduta a
Puerto Cabello, insieme ad Alabama, Bacicin Padre, Trottiera e Jole Fassio
(che erano state riportate a galla), agli Stati Uniti, che complessivamente
pagarono due milioni di dollari per l’acquisto delle sei petroliere. La ex Dentice, consegnata alla War Shipping
Administration e riparata, fu data in gestione alla Cities Service Oil Company,
ricevendo bandiera di Panama. (Per una fonte, la Faireno fu consegnata dal governo venezuelano a quello statunitense
a fine 1941 o nel 1942, poi restituita al governo venezuelano nel 1942, ed
infine venduta agli Stati Uniti nel 1943).
Come Faireno la nave fece parte di vari
convogli, come l’«HK 117» (Galveston Bar-Key West, 8-12 agosto 1943), il «GZ 53»
(Guantanamo-Cristobal, 15-19 dicembre 1943), l’«HK 175» (Galveston Bar-Key
West, 31 dicembre 1943-4 gennaio 1944), il «KG 680» (Key West-Guantanamo, 5-8 gennaio
1944) ed il «GZ 56» (Guantanamo-Cristobal, 15-19 gennaio 1944).
Due foto della Faireno nei cantieri di Tampa il 13
luglio 1943, prima del passaggio, come Arayat,
alla Marina statunitense (g.c. Gary Priolo/Navsource).
Sul finire del 1943
la Marina statunitense chiese alla War Shipping Administration 15 vecchie e
lente navi cisterna, da utilizzarsi come depositi galleggianti di carburante
nel Pacifico (floating oil storage vessels), per il rifornimento delle navi da
guerra americane dislocate in basi remote come le Isole dell’Ammiragliato, la
Nuova Guinea e le Filippine. Le navi in questione, dovendo restare perlopiù
stazionarie nei porti, senza muoversi molto né trasportare carichi, non
avrebbero necessitato che delle riparazioni strettamente necessarie a tale
servizio.
Il 13 aprile 1944 (per
altra fonte in marzo) la Faireno fu
consegnata a Brisbane alla US Navy, per la quale entrò in servizio il 18 aprile
come “floating storage (o mobile station) tanker” USS Arayat (IX-134). (La sigla “IX” designava navi di tipologie varie,
non assegnate ad alcuna precisa classificazione o categoria). Il dislocamento
della nave, in servizio come unità militare, era di 12.275 tonnellate a pieno
carico, l’equipaggio di 117 uomini; la velocità risultava calata a 9,7 nodi. L’Arayat venne anche dotata di un
armamento difensivo, costituito da un cannone da 127/38 mm e tre mitragliere
contraeree pesanti da 40 mm.
Il 28 aprile l’Arayat, al comando del tenente di
vascello M. Himelfarb, lasciò Brisbane direta in Nuova Guinea, dove giunse a
Milne Bay il 5 maggio, iniziando a servire come deposito galleggiante di nafta
per le navi della Settima Flotta statunitense. La nave rimase a Milne Bay sino
all’inizio del marzo 1945, poi, il 5 marzo, ripartì diretta ad Hollandia (Nuova
Guinea), arrivando nella baia di Humboldt il 13 marzo e cominciando quindi a
servire come deposito di carburante presso tale base, dove rimase sino
all’autunno del 1945. Nel periodo ad Hollandia, l’Arayat, oltre a rifornire di carburante le navi da guerra
statunitensi (operazione che occupava la maggior parte del suo tempo), si
trasferiva periodicamente nella baia di Tanahmerah per rifornirsi a sua volta
del combustibile che doveva poi elargire alle altre unità.
L’Arayat in un porto del Pacifico sudoccidentale, intorno al 1944
(g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net)
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Verso la fine
dell’ottobre 1945, a guerra ormai conclusa, l’Arayat si trasferì a Seeadler Harbor, nell’isola di Manu’a (Isole
dell’Ammiragliato) per riparazioni, ripartendo il 6 novembre per Pearl Harbor,
dove rimase dal 27 novembre al 4 dicembre per poi ripartire diretta negli Stati
Uniti. Dopo essere passata nel Canale di Panama il 3 gennaio 1946, la cisterna
giunse a Mobile il 14 del mese.
Il 15 febbraio 1946
la nave fu disarmata e trasferita dalla Marina statunitense alla US Maritime
Commission e tornò a battere bandiera panamense e ad assumere il nome di Faireno, per poi essere radiata il 12 marzo
1946.
Il 16 marzo 1948, a
seguito di un decreto di Harry Truman, la nave fu restituita all’Italia insieme
ad altre 13 navi che erano state catturate ed avevano prestato servizio negli
Stati Uniti. Il 6 ottobre 1949 la vecchia pirocisterna riassunse il nome di Dentice e tornò a navigare per la
società La Polena; solcò i mari sotto bandiera italiana per altri cinque anni,
poi, il 16 febbraio 1954, ebbe inizio la demolizione a Savona-Vado Ligure.
USS Arayat (IX-134)
Ex-Italian Tankers Photographs
Molto buono suo saggio!!!
RispondiEliminaLa ringrazio.
EliminaBuon articolo. Mi rocorda la storia que ci ha detto nostro nonno, Dionisio Rezzano Becalli, e´stato un marinario del Dentice; cosi e arrivato a Venezuela; prima come prigionero e dopo la guerra a rimasto a vivere quí in Venezuela.
RispondiEliminaLa ringrazio.
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