Il Guglielmo
Marconi era un grosso motoveliero da 304 tonnellate di stazza lorda, uno
dei più bei brigantini goletta viareggini. Costruito nel 1914, apparteneva
all’armatore viareggino Salvatore Cardella, ed era iscritto con matricola 375
al Compartimento Marittimo di Viareggio.
Il 17 novembre 1940 il Marconi venne requisito a Savona dalla
Regia Marina, e, con caratteristica DM 12,
fu iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato come dragamine
magnetico. Con questo ruolo il motoveliero prestò servizio per quasi tre anni
lungo le coste dell’Africa Settentrionale.
L’abbandono di Tripoli e la perdita
Nel gennaio 1943 le sorti della guerra in
Libia erano ormai decise: le armate italo-tedesche non potevano che ritirarsi
verso la Tunisia, e con il mese di dicembre 1942 erano finite le speranze di
poter far arrivare qualche altro convoglio a Tripoli. Ora tutti i rifornimenti
venivano inviati direttamente in Tunisia, dove si andava costituendo l’ultimo
caposaldo della resistenza dell’Asse in Africa; per quel che riguardava
Tripoli, l’unica cosa che si poteva fare era cercare di salvare le navi ancora
presenti nel porto libico, trasferendole in Tunisia od in Italia. Tra queste
navi vi era il Marconi.
I comandi britannici, però, concentrarono
i loro mezzi offensivi navali, aerei e subacquei sull’unica rotta rimasta per
l’evacuazione di Tripoli: andando a colpo tanto sicuro da non dover nemmeno
necessitare della decrittazione dei messaggi italiani.
Su ordine del Comando di Marina Libia,
tutte le unità minori ancora efficienti presenti a Tripoli si prepararono a
partire. Si trattava della 40a Flottiglia Dragamine e di altre
piccole unità requisite ed assegnate al Gruppo Navi Uso Locale. La partenza era
prevista per il 19 gennaio 1943: quel giorno avrebbero lasciato Tripoli,
insieme al Marconi, anche i dragamine
ausiliari R 26 Angelo Musco e R 224 Cinzia, i rimorchiatori-dragamine RD 31, RD 36, RD 37 e RD 39, il
piropeschereccio/nave scorta ausiliaria F
113 Scorfano, la piccola cisterna
Q 6 Irma, il motoveliero cisterna/vedetta
foranea V 66 Astrea e la barca pompa S. Barbara.
Sotto reiterati attacchi aerei, le minuscole
navi militari e militarizzate che formavano l’eterogenea flottiglia lasciarono
Tripoli a gruppi di due o tre tra le 14 e le 19 del 19 gennaio 1943, per avere
migliori probabilità di farla franca. Il Marconi,
al comando del tenente di vascello di complemento Corrado Pinotti, partì con il
primo gruppo, alle ore 14, insieme agli altri due più piccoli dragamine
ausiliari, il Cinzia e l’Angelo Musco, ed alla S. Barbara. Tutte le unità diressero nordovest:
avrebbero seguito la costa tunisina, per tenersi lontane da Malta, poi
avrebbero fatto rotta per l’Italia. Nessuna delle unità, però, poteva
sviluppare che pochi nodi di velocità.
Nel pomeriggio del 19 gennaio avevano
lasciato Malta anche i cacciatorpediniere britannici Kelvin e Javelin, della
Forza K, inviati al largo della Tripolitania per una delle scorribande ai danni
del naviglio italiano che, nella seconda metà di gennaio, avrebbero mietuto
numerose vittime tra le navi in fuga da Tripoli. I due cacciatorpediniere
britannici incrociarono per forse due ore al largo di Tripoli, poi – circa
mezzanotte ora italiana – il radar Type 271 dello Javelin (od il radiogoniometro) rilevò un delle unità della
flottiglia, 15-20 miglia ad est di Zuara, e le due unità britanniche le si
avvicinarono, e si accorsero che non c’era una sola nave, bensì quello che
sembrava essere un piccolo convoglio composto da parecchie unità, illuminate
dalla luce lunare.
Quanto seguì, più che un combattimento, si
potrebbe definire – ed in effetti a questo lo paragonarono i marinai britannici
che vi presero parte – una esercitazione di tiro da parte delle unità
britanniche: da una parte 12 cannoni da 120 mm e 20 tubi lanciasiluri da 533 mm
(oltre a 8 mitragliere pesanti da 40 mm e 16 leggere da 12,7 mm), dall’altra
pochi obsoleti cannoncini di piccolo calibro e qualche mitragliera.
L’RD
36, capo flottiglia, si lanciò contro i due cacciatorpediniere britannici
nel tentativo di salvare il convoglio od almeno di ritardarne l’annientamento,
ma fu rapidamente affondato con tutto l’equipaggio. Le altre unità tentarono,
come era stato loro ordinato dall’RD 36,
di dirigere sottocosta per porre in salvo almeno gli equipaggi: contro il Kelvin e lo Javelin, infatti, nessuna di quelle navicelle aveva né armamento
minimamente sufficiente per una reazione efficace, né velocità bastante a
fuggire. Una per una, furono braccate, illuminate con proiettili illuminanti ed
affondate a cannonate. Quando il convoglio si fu sparpagliato, i due
cacciatorpediniere si trovarono in mezzo alle navicelle in fuga, bene
illuminate dalla luna: non potevano mancarle, come disse un ufficiale
britannico, aggiungendo ironicamente che ad un certo punto sulle unità
britanniche ci si incominciò a chiedere se sarebbero finite prima le munizioni
od i bersagli.
La fine del Guglielmo Marconi s’indovina dai resoconti che alcuni giornali
britannici pubblicarono qualche mese dopo in merito all’azione: il Marconi fu probabilmente una delle
ultime unità ad andare a fondo. Dopo aver già affondato tutte le altre nove
navi, infatti, il Kelvin e lo Javelin attaccarono congiuntamente due
golette: con ogni probabilità, il Marconi
e l’Astrea, gli unici due motovelieri
della flottiglia. Una delle due golette, colpita dallo Javelin, compì tre giri completi prima
di prendere fuoco: è probabile che fosse proprio il Marconi, che risulta essere stato incendiato dal cannoneggiamento, prima di affondare. L’agonia del Marconi
si concluse infine ad una dozzina di miglia per 106° da Zuara, dove il
motoveliero-dragamine affondò.
Se non altro, il Marconi ebbe la “fortuna” di essere l’unica, tra le undici piccole
unità affondate quella notte, la cui perdita non dovette essere accompagnata da
morte e lutti. Il comandante Pinotti e tutto il suo equipaggio, infatti,
riuscirono a mettersi in salvo, raggiungendo la vicina costa o venendo soccorsi
dai mezzi inviati sul posto dopo qualche tempo (il Kelvin e lo Javelin non
si fermarono a recuperare dei naufraghi, perché avevano quasi esaurito le
munizioni e dovevano fare ritorno a Malta). Non ebbero la stessa fortuna 180
uomini delle altre unità, che furono inghiottiti dalle acque del Mediterraneo.
Articoli di giornale britannici del 1943 che
descrivono l’azione di Kelvin e Javelin ai danni della flottiglia
italiana (g.c. Harry Amey)
Ma qualcuno sa darmi notizie del brigantino goletta Guglielmo Marconi (sic)- portata 250t - varato a Chioggia nel settembre 1903 per l'armatore e comandante Napoleone Scarpa? Grazie.
RispondiEliminaIo posso dirti del dragamine Magnetico Guglielmo Marconi affondato davanti a zuara di 300 e più tonnellate di stazza
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