L’Ardente a fine allestimento, nel settembre ottobre 1942 (foto G.
Napoleone via it.wikipedia.org)
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Breve e parziale cronologia.
7 aprile 1941
Impostata nei
cantieri Ansaldo di Genova.
27 maggio 1942
Varata nei cantieri
Ansaldo di Genova.
Due foto del varo dell’Ardente (la prima per g.c. di Marcello Risolo via www.naviearmatori.net, la seconda per g.c. di Maurizio Brescia via www.associazione-venus.it)
30 settembre 1942
Entrata in servizio.
Segue un breve periodo di addestramento nel Tirreno settentrionale, sino a metà
novembre.
Metà novembre 1942
Inviata in zona
d’operazioni (canale di Sicilia) ed assegnata alla III Squadriglia Torpediniere
di Scorta, per scortare i convogli in navigazione tra Italia ed Africa
Settentrionale, effettuando servizio breve ma intenso tra Tunisi, Biserta,
Messina, Palermo, Napoli e (più di rado) Trapani e Pantelleria.
22 novembre 1942
Salpa da Messina per
la prima missione, con destinazione Biserta.
26 novembre 1942
L’Ardente (tenente di vascello Rinaldo Ancillotti) scorta a
Tunisi, insieme alla capoclasse Ciclone
ed ad un’altra torpediniera di scorta, la Procione
(caposcorta), un convoglio formato dai piroscafi Sant’Antioco ed Honestas,
cui si aggrega anche la motozattera tedesca F
477 proveniente da Trapani.
Nella notte tra il 26
ed il 27 il convoglio viene ripetutamente e pesantemente attaccato dal cielo, ma
nessun mercantile viene colpito, grazie al violento fuoco di sbarramento aperto
dalle torpediniere.
Il 27 novembre, alle
00.04, il convoglio viene avvistato anche dal sommergibile britannico Una, che dopo essersi immerso alle
00.06, lancia tre siluri da 1370 metri alle 00.47, in posizione 37°34’ N e
10°33’ E (nella zona settentrionale del Golfo di Tunisi). Nessuna nave viene
colpita; le unità del convoglio avvertono due esplosioni subacquee (forse i
siluri a fine corsa).
Tutte le navi
giungono indenni a destinazione.
1-4 dicembre 1942
L’Ardente (tenente di vascello Rinaldo Ancillotti) lascia
Palermo il mattino del 1° dicembre per una caccia antisommergibile preventiva
in vista dell’arrivo del convoglio «C», in navigazione da Napoli a Tripoli,
formato dai piroscafi Veloce (carico
di benzina in fusti) e Chisone
(carico di munizioni) e dalla cisterna militare Devoli e scortato dalle torpediniere Lupo (caposcorta), Aretusa
e Sagittario. Alle 17 anche l’Ardente stessa va ad unirsi alla scorta
del convoglio, che alle 19.35 ed alle 19.55 viene però privato dapprima della Devoli, che raggiunge Trapani, e poi
della Sagittario, costretta a
ripiegare a Trapani da un’avaria.
A partire dalle 21.30
del 1° dicembre, e fino alle 4.15 del 2, durante la navigazione tra la Sicilia
e Pantelleria, vengono più volte avvistati bengala che si accendono in
lontananza, una cinquantina in tutto, e per sei volte il convoglio viene
sorvolato da aerei. Alle 12.30 del 2 dicembre fa la sua comparsa un ricognitore
britannico, che segue il convoglio a distanza fino alle 13.50, poi, alle 19.17,
mentre le navi transitano nei pressi della boa centrale delle secche di
Kerkennah, l’accensione di un bengala segna l’inizio dell’attacco aereo. Le
torpediniere iniziano a stendere cortine fumogene, manovrando per uscire il
prima possibile dalla zona illuminata dai bengala; le navi continuano a
zigzagare e manovrare per lasciarsi alle spalle il tratto di mare illuminato,
ma vengono lanciati degli altri bengala. A causa delle manovre e delle cortine
fumogene, verso le 20 Ardente, Aretusa e Chisone si ritrovano più ad est di Lupo e Veloce, quando
scende dal cielo una pioggia di bengala, cui segue l’attacco degli
aerosiluranti (dei Fairey Albacore degli Squadron 821 e 828, decollati da
Malta) contro le due navi rimaste separate dalle altre. Il Veloce riesce ad abbattere con le mitragliere uno degli aerei
attaccanti, ma un altro lo colpisce a poppa con un siluro, ed il piroscafo
s’incendia: le fiamme vengono viste da bordo dell’Ardente e delle altre navi. Alle 21.05 la Lupo riferisce che rimarrà ad assistere il danneggiato Veloce, mentre Ardente, Aretusa e Chisone proseguono verso Tripoli,
lasciandosi alle spalle quelle acque pericolose.
Le navi del convoglio
«C», infatti, non sono le sole in mare: anche la Forza K britannica (cacciatorpediniere
Jervis, Nubian, Kelvin e Javelin), allertata dalle decrittazioni
di ULTRA (come del resto gli aerosiluranti che hanno compiuto l’attacco) ed
uscita da Malta alle 16, è in navigazione per intercettarle. Toccherà al Veloce che già sta affondando in fiamme
ed alla Lupo intenta a soccorrerne i
superstiti di subire tutto il volume di fuoco dei cacciatorpediniere
britannici: alle 23.46, da bordo dell’Ardente,
si vede sparare nella direzione dove erano state lasciate le due navi. Vampe di
cannoni e luci di proiettori che si accendono, poi di nuovo il buio della
notte.
Non è difficile
capire cosa sia successo, pertanto il comandante Ancillotti fa proseguire il Chisone con l’Aretusa (entrambe arriveranno indenni a Tripoli alle 19 del 3
dicembre) ed attende fino all’alba (per evitare che l’Ardente sia a sua volta sorpresa ed affondata dalla Forza K con il
favore delle tenebre), poi fa rotta per il luogo dell’attacco con l’intenzione
di soccorrere i superstiti. Dopo aver già soccorso l’equipaggio di un velivolo
della Luftwaffe, obbligato all’ammaraggio nei suoi pressi a causa di un motore
guasto, l’Ardente arriva sul luogo
stimato dell’attacco alle 8.45, ma nonostante le ricerche non riesce a trovare
nulla. Viene chiesto a Supermarina di inviare un aereo, per cooperare nelle
ricerche; solo dopo mezzogiorno l’Ardente
avvista due imbarcazioni cariche di naufraghi, con altri sopravvissuti in mare,
ed alle 16.35 vengono issati a bordo gli ultimi sopravvissuti. Si sono salvati
solo 72 uomini dei 135 che erano sul Veloce,
ed appena 29 dei 164 uomini della Lupo.
In base agli ordini ricevuti, l’Ardente
arriva a Palermo alle 7 del 4 dicembre, sbarcandovi i naufraghi.
24 dicembre 1942
Ardente (tenente di vascello Rinaldo Ancillotti) ed Ardito
lasciano Palermo alle 10.40 per scortare a Tunisi i piroscafi Carlo Zeno e XXI Aprile nonché quattro motozattere tedesche.
25 dicembre 1942
Alle 11.20 del giorno
di Natale, mentre il convoglio è in navigazione nel golfo di Tunisi, una
trentina di miglia a nord di Tunisi e 12 miglia a nordovest di Zembra, l’ecogoniometro
di una delle torpediniere localizza un contatto a 2600 metri di distanza: si
tratta del sommergibile britannico P 48
(per una fonte, verso mezzogiorno il P 48
attacca il convoglio con lancio di siluri, ma senza risultati). Ardente e Ardito si lanciano all’attacco: dapprima vengono eseguiti due
passaggi con il lancio di dodici bombe di profondità, poi il comandante Ancillotti (che
è il caposcorta) attende un quarto d’ora perché le acque si calmino, dopo di
che il contatto viene rilevato di nuovo, segnalando che il sommergibile è
ancora intatto. L’Ardente effettua
perciò un terzo passaggio, gettando altre dodici cariche di profondità: dopo
quest’attacco, dalla plancia viene avvistato un confuso ribollire della
superficie del mare, come se il battello nemico stesse cercando di emergere,
perciò tutti i cannoni vengono brandeggiati verso quel punto. Niente emerge,
tuttavia, e dopo un po’ il ribollire diminuisce lentamente sino a scomparire: quando viene rilevato nuovamente il contatto,
esso risulta giacere immobile a 200 metri di profondità. Colpito dal terzo
lancio di bombe di profondità, il P 48
è affondato con tutto l’equipaggio, 37°15’ N e 10°30’ E. Per maggior sicurezza
di aver distrutto il sommergibile, l’Ardente
compie un quarto ed ultimo passaggio lanciando altre 12 bombe di profondità,
poi, insieme all’Ardito, ritorna a
scortare il convoglio.
Le navi raggiungono
Tunisi (o Biserta) alle 15.50.
10 gennaio 1943
Ardente e Ardito lasciano
Napoli alle 17 con il cacciatorpediniere Camicia
Nera e la torpediniera Clio, di
scorta alle moderne motonavi Mario
Roselli, Alfredo Oriani e Manzoni dirette a Biserta.
11 gennaio 1943
Alle 11.10 il
sommergibile britannico Umbra lancia
un siluro contro il convoglio, circa 70 miglia a nord di Biserta, ma l’arma non
va a segno. Le navi giungono a destinazione alle 18.
Due foto dell’Ardente (g.c. rispettivamente STORIA militare e Giorgio Parodi) in fase d’ormeggio a Napoli (dov’è giunta scortando con l’Ardito tre motonavi scariche di ritorno da Biserta), intorno alle dieci del mattino del 6 gennaio 1943. La nave ha a bordo anche soldati francesi smobilitati, che rimpatriano dalla Tunisia, visibili davanti al pezzo da 100/47 mm, mentre all’estrema destra vi sono membri dell’equipaggio al posto di manovra. Sono forse le ultime foto dell’Ardente, che sarebbe affondata meno di sei giorni dopo.
Il più grave incidente della battaglia dei
convogli
Nella notte tra l’11
ed il 12 gennaio 1943, l’Ardente (al
comando del tenente di vascello Rinaldo Ancillotti) e la gemella Ardito (capitano di corvetta Silvio Cavo) stavano rientrando
in Italia dopo aver scortato a Biserta il convoglio veloce composto da Roselli, Manzoni ed Oriani. Giunta
a Biserta alle 18.03 dell’11 gennaio, l’Ardente
ne era ripartita già alle 18.15 per rientrare; non però a Napoli, bensì, in
base a nuovi ordini, a Palermo, come da ordini di Supermarina (così il
comandante Ancillotti riferì al direttore di macchina Salvatore Ferraro, che
aveva notato che Ardente ed Ardito avevano lasciato la formazione
per seguire una rotta diversa). Alle 00.48 l’Ardito (capo sezione) comunicò con la radio ad onde ultracorte all’Ardente che Supermarina, alle 00.24,
aveva avvisato che alle due od alle tre di notte avrebbero dovuto incontrare
due convogli diretti in senso opposto (il primo, di quattro cacciatorpediniere,
sarebbe stato incontrato alle due, il secondo, di tre – Pigafetta, Grecale e Zeno –, alle tre). Otto minuti più tardi
le due torpediniere giunsero in vista di Marettimo, e diressero su Palermo.
All’1.05 (al traverso di Punta Libeccio a Marettimo) la formazione ridusse la
velocità a 15 nodi, per giungere a Palermo in orario, all’1.25 a dieci nodi,
perché l’ufficiale di rotta dell’Ardito
era un giovane ed inesperto guardiamarina che sostituiva l’ufficiale titolare
ammalato. L’Ardito lo comunicò per
ultracorte all’Ardente, ed il
comandante Ancillotti propose al comandante Cavo che fosse l’Ardente a pilotare la sezione sulle
rotte di sicurezza, avendo l’Ardente
l’ufficiale di rotta titolare, e per giunta molto esperto della zona. Cavo fu
d’accordo.
All’1.26, al traverso
di Punta Troia (nel punto denominato “T 3” al largo di Trapani), l’Ardito ordinò pertanto all’Ardente di passare in testa per condurre
la navigazione a 15 nodi sulle rotte di sicurezza per Palermo; nove minuti dopo
l’ordine era eseguito, con l’Ardente
in testa su rilevamento 135°, a 15 nodi di velocità. All’1.55 l’Ardito ordinò all’Ardente di accendere il fanale di coronamento, ed inoltre di
accendere anche i fanali di via quando avessero incrociato i convogli di cui
erano stati avvisati. Cavo ordinò anche alla sezionaria di comunicare gli
istanti e le rotte delle accostate, il che fu fatto.
Sulla stessa rotta ma
in direzione opposta, da Palermo verso Biserta, stava navigando una sezione di
due cacciatorpediniere in missione di trasporto truppe tedesche: il Nicolò Zeno, al comando del capitano di fregata Angelo Lo
Schiavo, ed il Grecale, al comando
del capitano di fregata Luigi Gasparrini (quest’ultimo aveva a bordo 334
soldati), salpati dal porto siciliano all’1.05 insieme ad una terza unità, l’Antonio Pigafetta, poi rientrata per
avarie. Per recuperare almeno in parte le due ore di ritardo con cui erano
partiti, i cacciatorpediniere procedevano a 22 nodi, anziché a 20, su rotta
242°.
Alle 2.20 le
torpediniere accostarono per rilevamento 81°, alle 2.35 (poco dopo aver
superato Punta Sottile) per 90°, alle 3.04 per 16°. Alle tre l’Ardente avvistò al traverso a sinistra
quattro cacciatorpediniere in navigazione opposta (uno dei convogli di cui
erano state informate), comunicandolo all’Ardito
che li avvistò a sua volta alle 3.20, a circa 800 metri di distanza, ed alle
3.28 le due unità accostarono per rilevamento 62°.
L’Ardente navigava a 18-20 nodi,
sostanzialmente con mare in poppa, il che con ogni probabilità ne complicava le
manovre; probabilmente deviò inavvertitamente dalla rotta di una decina di
gradi, verso sinistra. Ufficiale di guardia in plancia era il guardiamarina
Flavio Caprile, l’ufficiale di rotta, in piedi dietro al timoniere Mario Rossi,
ed in attesa di essere rilevato dal comandante in seconda. Il comandante
Ancillotti era in casotto di rotta (forse a carteggiare per determinare
l’orario della successiva accostata); in plancia era presente anche il
guardiamarina Filippo Barbagallo.
Il personale era ai
posti secondo le regole della navigazione di guerra, e la vigilanza era stata
intensificata in previsione di possibili attacchi notturni da parte di unità
leggere nemiche, che insidiavano quelle acque. Ciononostante, la notte
trascorse tranquilla, ci furono solo alcuni allarmi aerei senza seguito.
Sul Grecale, il comandante Gasparrini valutò
la visibilità in appena un chilometro, a causa della notte estrmamente scura.
C’era vento di prora, e la plancia era continuamente investita dalle forti
incappellate: il mare era stato forza 3 fino a Capo San Vito, poi era aumentato
a forza 5 da libeccio (prora dritta, così che il Grecale aveva il mare al mascone di dritta, e gli spruzzi d’acqua
arrivavano fino in plancia, riducendo la visuale). I proiettori della difesa
costiera installati a Levanzo e sulla costa siciliana non aiutavano, anzi
disturbavano ulteriormente la vista, soprattutto uno situato a Levanzo.
Gasparrini sapeva che di lì a poco (intorno a mezzanotte, stando all’ordine
d’operazioni) si sarebbe dovuto incontrare con una sezione di torpediniere con
rotta opposta alla sua; il servizio vedette (tre in coperta a prua, quattro in
controplancia) era a posto, la vigilanza massima, ed il comandante stesso era
intento a scandagliare l’orizzonte con lo sguardo, aiutato dal binocolo
migliore.
Sull’Ardente, non essendo il comandante in
plancia e dovendosi di lì a poco svolgere il cambio di guardia, la vigilanza
era forse meno stretta che sul Grecale,
ma comunque adeguata alla situazione. Il guardiamarina Caprile, giovane
ufficiale con ancora poca esperienza, doveva essere stanco, dopo le quattro ore
del turno di guardia notturno. L’avvistamento di Grecale e Zeno da parte
della torpediniera sarebbe poi risultato più difficile, rispetto a quello delle
torpediniere da parte dei caccia, dal fatto che questi ultimi provenivano dalla
Sicilia, e le loro sagome si sarebbero confuse con quella nera dell’alta costa
dell’isola, specialmente del vicino promontorio di San Vito, che si trovava
davanti all’Ardente.
La guardia montante
era già sul posto, pronta per il cambio di turno. Il direttore di macchina
Salvatore Ferraro ed il suo sottordine, tenente del Genio Navale Rodolfo
Taccani, erano nel centralino macchina.
Nel giro di qualche
minuto, le due torpediniere avrebbero accostare per 8°, sulla nuova rotta di
sicurezza.
Erano da poco passate
le quattro del mattino del 12 gennaio quando, da bordo dell’Ardente, venne avvistato il Grecale in avvicinamento: ma il buio e
la scarsa visibilità (era una notte piuttosto scura, con nuvole basse, mare
agitato da ponente-libeccio e piovaschi) avevano ritardato l’avvistamento a tal
punto da rendere ormai impossibile ogni manovra per evitare la collisione. Sulla
plancia dell’Ardente, il
guardiamarina Caprile probabilmente scorse all’improvviso il Grecale sulla dritta, ed ebbe solo il
tempo di gridare al timoniere Rossi, forse dieci secondi prima della
collisione, “Attenti, attenti una motosilurante! Vira tutto a sinistra”.
L’ordine venne subito eseguito, ma era ormai troppo tardi.
Su Grecale, che alle 4 aveva accostato
passando da rotta sud a sudovest (tenendosi sulla rotta di sicurezza), non
appena si furono spenti i proiettori della difesa costiera (alle 4.04) il
comandante Gasparrini vide apparire la sagoma dell’Ardente, a soli 600 metri di distanza, che veniva verso la sua nave
con beta zero, diritta di prua. Nessun altro si era accorto, sul
cacciatorpediniere, della torpediniera, nemmeno le vedette (Gasparrini lo
attribuì poi al fatto che avesse il binocolo migliore, oltre al suo stato di
allerta). Gasparrini ordinò subito “tutta la barra a dritta” e (sembrandogli
che la nave tardasse a virare) “dritta indietro massima”, dato che la nave
sembrava ritardare ad accostare, e pensò che nonostante il poco spazio la
collisione potesse essere evitata. Proprio allora, però, l’Ardente accostò sul lato opposto (sullo stesso lato del Grecale), a sinistra, e Gasparini,
conscio che il disastro non era più evitabile, non poté che ordinare “indietro
alla massima forza” nel tentativo di contenere i danni.
Pochi secondi più
tardi il Grecale speronò la
torpediniera sul lato di dritta, a centro nave, tra plancia e fumaiolo.
Erano le 4.04, le due
navi si trovavano a 3 miglia per 8° da Punta Barone ed a 4,2 miglia per 63° da
Capo San Vito. Non era passato più di mezzo minuto dall’avvistamento, tanto che
non c’era stato nemmeno il tempo per completare le manovre ordinate (il Grecale aveva accostato solo di una
trentina di gradi a dritta, l’Ardente
di altrettanto a sinistra, così da avere, alla collisione, un angolo di 120°
tra le due navi).
La collisione ad
elevata velocità causò non solo gravissimi danni allo scafo della torpediniera
(la nave fu sventrata per due terzi della sua larghezza), ma anche lo scoppio
della caldaia numero 2, cui seguì un furioso incendio causato dalla nafta. L’esplosione
fu sentita anche sul Grecale, tanto che
il comandante Gasparrini pensò fossero state le munizioni tedesche sulla
propria nave, prima di vedere che era l’Ardente
a bruciare. La maggior parte dell’equipaggio dell’Ardente rimase ucciso nella terribile collisione, e la nave,
ridotta ad un relitto galleggiante senza speranza di salvataggio, rimase alla
deriva per un’ora e tre quarti prima di soccombere.
Il sottocapo
cannoniere Alvaro Lanucara, che era montato di guardia al telegrafo di macchina
di sinistra, era in plancia al momento della collisione: pochi secondi dopo
l’ordine di virare a sinistra, la nave sbandò per via dell’impatto, che sollevò
la plancia da un lato, e subito dopo divamparono alte le fiamme. Grazie alla
spaccatura che si era formata sotto la plancia, Lanucara riuscì a buttarsi sul
sottostante ponte di coperta, dove trovò anche il guardiamarina Barbagallo, che
era stato vicino a lui in plancia. Barbagallo ordinò a Lanucara ed al silurista
Orfeo Pozzato di aprire le manichette e gettare in mare i proiettili che erano
in coperta, ma Lanucara e Pozzato poterono solo buttare in acqua i proiettili,
perché le manichette non risultarono funzionanti.
In sala macchine, il
direttore di macchina Ferraro avvertì il violentissimo urto della collisione, e
corse in coperta per vedere cosa stesse succedendo, preoccupato anche per la
totale assenza di allarmi. Ferraro riuscì solo a vedere la sagoma del Grecale che si allontanava
nell’oscurità, poi le luci si spensero, e fughe di vapore ed alte fiamme
scaturirono dalla caldaia numero 2 ed avvolsero tutta la zona centrale della
nave, fino alla plancia. Subito Ferraro, che pure non aveva ancora compreso
cosa fosse successo, ordinò al tenente Taccani di cercare in ogni modo di
azionare il motore diesel necessario al funzionamento della pompa elettrica, senza
la quale non si sarebbe potuto domare l’incendio; egli stesso s’incaricò di
verificare la gravità dei danni e cercare di capire se fosse possibile
l’intercettazione della caldaia numero 2, nel tentativo di salvare la nave.
Le macchine e la
turbodinamo si erano fermate (a causa della rottura delle tubature del vapore),
e l’Ardente aveva iniziato a sbandare
ed appruarsi vistosamente. Ferraro raggiunse il locale macchina prodiero,
parzialmente allagato ed invaso dal vapore, ed aiutò a portare in salvo un sottocapo
fuochista artefice, interamente coperto di ustioni. Avanzando verso prua, il
direttore di macchina iniziò a realizzare quel che era successo: la
torpediniera era stata speronata all’altezza della caldaia numero 2, aprendo
uno squarcio che penetrava per due terzi della larghezza dello scafo. Pensando
che la nave speronatrice fosse nemica, Ferraro si chiese perché non fosse stato
aperto il fuoco, né fossero stati dati segnali d’allarme, né sull’Ardente né sulle altre siluranti. Cercò
di raggiungere la plancia, per riferire al comandante della gravità della
situazione, ma ciò non fu possibile, essendo la nave quasi spezzata in due, e,
soprattutto, a causa di una muraglia di fiamme che impedì a Ferraro di
proseguire. L’incendio era alimentato dalla nafta rapidamente fuoriuscita dai
tubi rotti. Nessuno vide più il comandante Ancillotti dopo la collisione.
Nel frattempo (alle
4.03) l’Ardito (che seguiva in linea
di fila l’Ardente), che, avendo visto
l’Ardente incendiarsi all’improvviso
(dapprima un bagliore, poi un grosso incendio che avvolse fumaiolo e plancia),
aveva pensato trattarsi di mina o siluro, aveva accostato a sinistra e messo le
macchine indietro tutta, per poi fermarsi più o meno all’altezza della gemella,
ad 800 metri di distanza. Alle 4.04 l’Ardito
chiamò più volte per ultracorte l’Ardente,
senza risposta, ma continuando a chiamarla ad intervalli, sempre vanamente. La
nave rimase nei pressi dell’unità danneggiata, ma senza avvicinarsi troppo,
temendo di finire su un campo minato.
Lo Zeno, per parte sua, quando vide una
fiammata seguita da un incendio su una silurante, alle 4.04, a 4,7 miglia per
243° da Capo San Vito, pensò che fosse il Grecale,
colpito da siluro o mina oppure afflitto da un incendio alle caldaie. Dopo aver
proseguito brevemente per la sua rotta, il cacciatorpediniere accostò a dritta
ed iniziò a chiamare per ultracorte il Grecale,
senza risposta, poi, alle 4.06, passò a nord dell’Ardente in fiamme (senza conoscerne l’identità) ed iniziò a
chiamare per ultracorte sia Grecale che
Ardente ed Ardito, che sapeva di dover incontrare lungo la rotta, senza avere
risposta da nessuna delle tre unità.
Alle 4.15 lo Zeno chiamò l’Ardito con il proiettore Donath, richiedendole di collegarsi con la
radio ad ultracorte (in quanto non riusciva a sapere di quale nave si
trattasse), poi, alle 4.30 (o 4.35), domandò il nome della nave speronata e
quale quello della nave con cui stava comunicando, cui l’Ardito rispose un minuto dopo, aggiungendo alle 4.40 che erano
dirette a Palermo prima che l’Ardente
si incendiasse, e che pensava trattarsi di mine. Alle 4.41 lo Zeno spiegò all’Ardito che l’Ardente era
stata speronata dal Grecale (avendo
intercettato una richiesta d’aiuto di quest’ultimo, che diceva di aver
speronato una torpediniera). L’Ardente,
intanto, continuava a bruciare furiosamente, con continue esplosioni in
coperta.
Alla domanda dell’Ardito, delle 4.50, se avesse comunicato
alle autorità competenti l’accaduto, lo Zeno
rispose dopo quattro minuti dicendo che l’aveva già fatto il Grecale, e raccomandando alla
torpediniera di restare a distanza di sicurezza dall’Ardente, che stava bruciando (secondo il rapporto dell’Ardito), ma di avvicinarsi più possibile
per cercare e recuperare i superstiti (secondo il rapporto dello Zeno). Sentendo delle grida in acqua, il
comandante Cavo dell’Ardito fece
sporadicamente accendere il proiettore e perlustrare l’area, ma non si riuscì
ad avvistare alcun naufrago, a causa del mare molto agitato, che impediva di
manovrare e tenere puntato il proiettore. Alle 4.59 riferì allo Zeno di non avere una motobarca, e che
la propria iole faceva acqua e non poteva quindi essere messa a mare, senza
contare il fatto che il mare mosso ne avrebbe impedito l’impiego in ogni caso.
Alle 5.11 lo Zeno raccomandò di nuovo
all’Ardito di stare a distanza di
sicurezza dal relitto galleggiante della gemella, mentre esso stesso si sarebbe
avvicinato al Grecale. Il comandante
Cavo decise di restare in zona, in attesa che le luci dell’alba permettessero
di avvistare i superstiti e tentarne il recupero con mezzi di fortuna.
Sull’Ardente, il tenente GN Taccani tornò dal
locale turbodinamo e riferì a Ferraro che tutti i suoi tentativi di rimettere
in funzione il diesel non avevano portato a nulla: la tubazione della nafta di
collegamento con il serbatoio era infatti rotta. Le fiamme divampavano sempre
più incontrollate, e l’Ardente
affondava sempre di più. Ferraro comprese che la nave era perduta. Cercò allora
qualche ufficiale di vascello, per organizzare l’abbandono della nave, ma non
riuscì a trovarne neanche uno: probabilmente – pensò –, dato che la collisione
era avvenuta al momento del cambio della guardia, si trovavano tutti in plancia
e lì erano rimasti uccisi.
Fu allora Ferraro,
assistito da Taccani, dal capo cannoniere e dal sergente meccanico Mario
Fiorini, a far gettare in mare le zattere Carley rimaste integre ed ogni altro
oggetto che potesse servire da galleggiante. Poi Ferraro e Fiorini misero in
sicurezza le bombe di profondità che si trovavano in coperta, per evitare che
esplodessero sott’acqua, dopo l’affondamento, causando vittime tra i naufraghi,
ed infine, constatato che non c’era più nulla da fare per tenere la nave a
galla, ordinò agli uomini presenti a poppa di abbandonare la nave.
Il sottocapo
fuochista ustionato, che Ferraro aveva aiutato a recuperare, venne calato su
una zattera Carley, sulla quale s’imbarcarono anche il tenente Taccani ed altri
uomini; Ferraro, invece, fece un ultimo giro sulla nave sperando di trovarvi
qualche ufficiale, invano, poi saltò in mare a sua volta, e nuotando
vigorosamente si allontanò dalla torpediniera agonizzante, che vide subito dopo
affondare.
Mentre il Grecale arrancava verso Palermo senza
più la prua e con 75 morti a bordo, dopo aver gettato in mare zattere e
zatterini Carley per i propri uomini finiti in mare, l’Ardente affondò di prua, lasciando sul mare una vasta chiazza di
nafta che continuò a bruciare, e decine di naufraghi. Secondo lo Zeno l’Ardente affondò alle 5 del mattino a 4,4 miglia per 240° da Capo
San Vito, secondo l’Ardito la
torpediniera s’inabissò alle 5.45 a tre miglia per 8° (a nord) da Punta Barone (al
largo di Favignana).
L’acqua di gennaio
era molto fredda, ed il mare molto mosso, quasi in tempesta. Il direttore di
macchina Ferraro nuotò forse più di un’ora e mezza prima di raggiungere la
zattera Carley sulla quale era stato adagiato il sottocapo fuochista ustionato.
Erano rimasti in pochi: gli altri, la maggior parte degli occupanti, avevano
lasciato la zattera nel timore che il vento l’avrebbe spinta nuovamente sotto
il relitto galleggiante dell’Ardente,
dove l’incendio infuriava con particolare violenza. Ferraro e gli altri
rimasero sulla zattera per più di quattro ore, osservando l’Ardito e lo Zeno fermi, intenti ad ispezionare il mare con i riflettori. Dei
marinai che erano con lui sulla zattera spiegarono a Ferraro che d’improvviso,
mentre la torpediniera procedeva a luci spente nel buio della notte, erano
state avvistate le sagome di due navi, che si era pensato essere nemiche, e l’Ardente aveva tentato di accostare, ma
dopo pochi attimi era stata speronata sul lato sinistro (in realtà su quello
dritto). Quando, durante l’attesa, gli occupanti della zattera trassero in
salvo un militare tedesco – era uno di quelli caduti in mare dalla prua
distrutta del Grecale – Ferraro
comprese che la nave che li aveva speronati era in realtà anch’essa italiana,
diretta a Tunisi o Biserta.
Il recupero dei
naufraghi, da parte dell’Ardito,
dello Zeno e di unità minori (tra cui
una motovedetta dirottata sul posto dopo aver incontrato il Grecale), fu ostacolato dalle avverse
condizioni meteorologiche. Molti uomini, forse ancora più di quelli rimasti
uccisi nella collisione e nell’incendio, morirono nel mare freddo e burrascoso
in attesa di essere salvati.
Alle 5.53 lo Zeno, tornato sul posto su ordine del Grecale (5.30) per cercare i naufraghi,
dopo che quest’ultimo lo aveva rassicurato sulle proprie condizioni, ordinò
all’Ardito di accendere il proiettore
e le chiese se avesse avvistato dei superstiti, e questa rispose un minuto dopo
di averli sentiti chiamare e cercati con il proiettore, ma che non li vedeva,
ed il mare mosso impediva una ricerca sistematica con tale strumento. Alle 6 lo
Zeno (che aveva acceso a sua volta il
proprio proiettore, ma senza risultato a causa del mare molto agitato) chiese
all’Ardito se avesse calato delle
imbarcazioni, ma alle 6.05 quest’ultima dovette ribadire che non aveva
motobarca, e che le altre imbarcazioni non erano impiegabili. Lo Zeno tentò di ammainare la propria
motobarca, già approntata e con l’armo pronto ad imbarcarvisi insieme al
materiale di pronto soccorso, ma il vento da prua ed il beccheggio della nave
fecero spezzare il bigo di carico. Alle 6.15 l’Ardito chiese a Marina Trapani e Marina Palermo di mandare mezzi
adeguati alle operazioni di soccorso, non potendo usare i propri, e due minuti
dopo lo Zeno le chiese se ci fossero
naufraghi nelle sue vicinanze. Alle 6.18 l’Ardito
rispose di sì, aggiungendo che avrebbe tentato di avvicinarsi per trarli in
salvo. Alle 6.23 lo Zeno comunicò che
avrebbe messo a mare la propria motobarca, mentre l’Ardito trovò un sistema per potere salvare alcuni naufraghi: due
marinai si sarebbero calati in mare ed avrebbero legato un naufrago con una
cima permettendone così il recupero. Alle 6.30, mentre lo Zeno riusciva infine ad ammainare la motobarca ed ad imbarcarvi
otto uomini muniti di un piccolo proiettore ed al comando di un tenente di
vascello (cui il comandante Lo Schiavo dello Zeno diede precise istruzioni sulla ricerca dei naufraghi, che la
poca visibilità ed il mare mosso ancora impedivano di vedere), la torpediniera
poté salvare un primo uomo con questo metodo, e più tardi ne salvò altri due
con lo stesso espediente. Era alba inoltrata, e gli uomini in mare erano ormai
visibili; alle 6.50 la motobarca dello Zeno
recuperò i naufraghi che l’Ardito
indicava con il proiettore. Da bordo della torpediniera venivano lanciati anche
cime e molti sacchetti e salvagenti, che però i naufraghi non riuscivano ad
afferrare.
Alle 7.29 Marina
Trapani ordinò all’Ardito di restare
in zona per il salvataggio e poi tornare a Palermo, ed alle 8 la torpediniera
comunicò allo Zeno di aver salvato
tre naufraghi, ma che era molto difficile recuperare gli altri, sia per le
condizioni del mare che per l’indebolimento dei naufraghi stessi, che non
riuscivano più ad aggrappare le cime che gli uomini dell’Ardito lanciavano in acqua. Alle 8.21 lo comunicò anche a Marina
Trapani, sollecitando di nuovo l’invio di motopescherecci od altri mezzi
appropriati.
Lo Zeno, frattanto (7.33), aveva ricevuto
ordine di lasciare sul posto l’Ardito
e rientrare a Trapani scortando il Grecale,
ma Lo Schiavo (che grazie ai suoi sforzi nelle operazioni di salvataggio si
sarebbe guadagnato la Medaglia d’Argento al Valor di Marina, al pari di altri
membri del suo equipaggio) decise di proseguire sino alle 9.30 le operazioni di
soccorso. Solo da poco, grazie alla luce del giorno, si era potuto iniziare a
recuperare i naufraghi, che apparivano dispersi in un’area molto ampia e
disseminata di grosse chiazze di nafta; alcuni erano già riversi a testa in
giù, morti. Dallo Zeno venivano
segnalati alla motobarca quelli che davano segni di vita, perché fossero subito
salvati, dal momento che la piccola imbarcazione non li avrebbe altrimenti
potuti avvistare, in mezzo alle onde che continuavano a nascondere anche essa
stessa alla vista del cacciatorpediniere.
Da bordo dello Zeno si riuscì a recuperare cinque
sopravvissuti, ma il mare mosso rese quest’opera estremamente difficile; si usò
ogni mezzo possibile, e, come già sull’Ardito,
anche qui molti membri dell’equipaggio si offrirono per calarsi più volte in
acqua con delle biscagline, raggiungere e portare a bordo i naufraghi, ormai
tanto sfiniti da non aver più nemmeno la forza di tenersi aggrappati ad una
cima. Lo Zeno avvistò anche verso
Punta Barone, dove le aveva spinte il vento ed il mare, quattro zattere cariche
di superstiti, che vennero successivamente soccorse dall’Ardito e da un dragamine.
Tra le 8.21 e le 8.50
l’Ardito riuscì ad avvicinarsi ai
naufraghi a sufficienza da recuperare gli occupanti di due zattere, ed altri
due naufraghi isolati. Frattanto, alle 8.40, era sopraggiunto un dragamine da
Trapani, cui lo Zeno ordinò di
perlustrare il mare soprattutto in direzione della costa, per trovare altri
eventuali sopravvissuti.
La zattera del
capitano GN Ferraro venne raggiunta dalla motolancia dello Zeno intorno alle otto del mattino. I suoi occupanti erano
stremati, intirizziti dal freddo; fu per loro difficile persino salire a bordo.
Alle 8.45 la
motobarca dello Zeno tornò ad
accostarsi al cacciatorpediniere (a centro nave), trasbordandovi 21 naufraghi
che aveva recuperato e che andarono ad aggiungersi ai cinque già tratti in
salvo dalla nave stessa. Il sottocapo fuochista ustionato, dopo aver superato
più di quattro ore sulla zattera in balia del mare, spirò a bordo dell’unità
soccorritrice.
Alle 9.05 l’Ardito comunicò allo Zeno di aver recuperato anch’essa 21
sopravvissuti, poi ne cercò altri nell’area, ma non ne trovò nessuno ad
eccezione di una zattera con altri superstiti, che però era vicina alla costa,
in acque troppo basse perché l’Ardito
vi si potesse avventurare. Il comandante Cavo ordinò perciò al dragamine di
occuparsi del loro salvataggio.
Alle 9.30 lo Zeno, affidata la propria motobarca ad
uno dei dragamine, ordinò ai dragamine ed all’Ardito di restare sul posto per ricerca e soccorso di eventuali
altri superstiti, poi diresse per Palermo.
Anche l’Ardito rimase in zona fino alle 9.30,
avvistando una decina di cadaveri (non recuperati, date le condizioni del mare
e la presenza del dragamine e di altri due dragamine in arrivo da Trapani,
avvistati anche dallo Zeno già alle
8.45) ma nessun altro superstite, ed alle 9.45 la torpediniera fece rotta su
Palermo, dove giunse alle 14.30.
Dopo un altro paio d’ore,
lo Zeno raggiunse Palermo, dove i
superstiti vennero sbarcati. Quelli in buone condizioni furono sistemati in una
caserma, gli altri, tra cui Ferraro, in ospedale.
Solo 44 uomini dell’Ardente sopravvissero: un ufficiale,
ferito (il capitano Ferraro), due sottufficiali (il sergente silurista Alberto
Ripamonti ed il sottonocchiere Danilo Rossi), uno dei quali ferito, e 41 tra
sottocapi e marinai, 12 dei quali feriti.
Il mare agitato, il
freddo, il buio della notte, l’incendio e la nafta che galleggiava sull’acqua
avevano purtroppo causato la scomparsa della grande maggioranza dell’equipaggio
dell’Ardente, nonostante la pronta
operazione di soccorso montata da Ardito
e Zeno.
Perirono con l’Ardente 6 ufficiali, 12 sottufficiali e
100 tra sottocapi e marinai: vennero recuperate le salme di 3 ufficiali, 6
sottufficiali e 47 sottocapi e marinai, mentre altri 3 ufficiali, 6
sottufficiali e 53 sottufficiali e marinai, i cui corpi non furono mai
ritrovati, vennero dichiarati dispersi. Successivamente il bilancio delle
vittime salì ancora, sino a giungere a 126 tra morti e dispersi.
Dal mare vennero
recuperate le salme di 92 uomini dell’Ardente,
che furono sepolte nel cimitero di Trapani.
Tra le vittime vi furono
anche il comandante Ancillotti (la cui salma venne recuperata dal mare e
sepolta a Trapani) ed il guardiamarina Caprile (il cui corpo non venne invece
mai ritrovato); su sette ufficiali, l’unico sopravvissuto fu il direttore di
macchina, il capitano del Genio Navale Direzione Macchine Salvatore Ferraro.
Di tutto il personale
presente in plancia al momento della collisione, l’unico a salvarsi fu il
sottocapo Lanucara, che, gettatosi in mare, venne recuperato, svenuto, dall’Ardito.
I caduti dell’Ardente (da documentazione USMM):
Santo Abbandoni, sottocapo cannoniere
puntatore mitragliere volontario, 23 anni, da Mineo (deceduto)
Pietro Acciarini, marinaio di leva, 19 anni,
da Roma (disperso)
Michele Addanti, cannoniere armaiolo di leva,
20 anni, da Bari (deceduto)
Loreto Adinolfi, sottocapo meccanico volontario,
21 anni, da Ceccano (disperso)
Tommaso Affinità, capo elettricista di terza
classe in servizio permanente effettivo, 30 anni, da Santa Maria a Vico
(deceduto)
Rinaldo Ancillotti, tenente di vascello
(comandante), da Piacenza (deceduto)
Osvaldo Antonino, cannoniere puntatore scelto
volontario, 19 anni, da Pago Neiano (disperso)
Luigi Ariu, marinaio servizi vari di leva, 23
anni, da Monsarrato (disperso)
Pietro Bacchini, cannoniere puntatore
mitragliere di leva, 21 anni, da Cossila (deceduto)
Filippo Barbagallo, guardiamarina (sottordine
al comandante in seconda, addetto ai servizi armi e dettaglio), da Napoli
(deceduto)
Luigi Bassetti, marinaio ARF di leva, 20 anni,
da Crema di Gallarate (disperso)
Ernestro Beltramo, sottocapo radiotelegrafista
volontario, 23 anni, da Rivoli (disperso)
Amleto Berutti, capo meccanico di terza classe
in servizio permanente effettivo, 30 anni, da Torino (deceduto)
Giuseppe Boldorini, cannoniere artificiere di
leva, 20 anni, da Ronciglione (disperso)
Artenisio Brunoni, cannoniere ordinario di
leva, 20 anni, da Casalmaggiore (disperso)
Nicola Calò, fuochista artefice di leva, 20
anni, da Mattola (disperso)
Domenico Cappai, fuochista ordinario
richiamato, 25 anni, da San Benedetto (deceduto)
Fabio (o Flavio) Caprile, guardiamarina
(ufficiale di rotta), da La Spezia (disperso)
Giovanni Carbone, sottocapo furiere di leva,
23 anni, da Palermo (disperso)
Mario Castelli, radiotelegrafista di leva, 20
anni, da Vaiano Cremasco (deceduto)
Mario Ceriotti, fuochista ordinario di leva,
19 anni, da Busto Garolfo (disperso)
Francesco Antonio Chiaramida, marinaio di
leva, 21 anni, da Portopalo (deceduto)
Carlo Chinellato, fuochista c. m. di leva, 20
anni, da Mestre (disperso)
Giuseppe Cirillo, secondo capo meccanico
richiamato, 27 anni, da Napoli (disperso)
Giuseppe Cisternino, sottocapo cannoniere
puntatore scelto volontario, 18 anni, da Valenzano (deceduto)
Silvano Colombaioni, motorista navale di leva,
21 anni, da Castiglioncello (disperso)
Vittorio Contino, sergente radiotelegrafista
volontario, 26 anni, da Agrigento (disperso)
Vito Cosma, elettricista di leva, 22 anni, da
Reggio Calabria (disperso)
Francesco Costa, cannoniere puntatore scelto
volontario, 19 anni, da Palermo (disperso)
Giuseppe Costarelli, sottocapo cannoniere
puntatore scelto volontario, 21 anni, da Catania (disperso)
Giuseppe Cuzzocrea, cannoniere puntatore
mitragliere di leva, 20 anni, da Reggio Calabria (deceduto)
Egisto Daniele, elettricista volontario, 17
anni, da Napoli (deceduto)
Sergio De Cherchi, marinaio i.e. di leva, 20
anni, da San Luri (disperso)
Bruno Delbene, marinaio di leva, 20 anni, da
Asti (disperso)
Giuseppe Della Rocca, fuochista ordinario
richiamato, 23 anni, da Baronissi (disperso)
Giuseppe Della Torre, capo silurista di
seconda classe in servizio permanente effettivo, 38 anni, da Perugia (disperso)
Marino Dell’Olio, marinaio s.m. richiamato, 23
anni, da Bisceglie (disperso)
Giuliano De Martino, marinaio richiamato, 22
anni, da Salerno (disperso)
Francesco De Paolis, infermiere volontario, 18
anni, da Sulmona (disperso)
Gino De Placidi, marinaio di leva, 19 anni, da
Roma (disperso)
Vincenzo De Stefano, cannoniere t.s.
volontario, 19 anni, da Monteforte Irpino (deceduto)
Alessandro De Tomasi, fuochista c.m. di leva,
21 anni, da Trani (disperso)
Onofrio De Vito, cannoniere telemetrista
richiamato, 22 anni, da Resina (disperso)
Donato Donati, nocchiere di leva, 22 anni, da
Carrara (deceduto)
Guido Doveri, sottocapo radiotelegrafista, 22
anni, da Buti (disperso)
Guido Esposito, sergente silurista richiamato,
27 anni, da Gaeta (disperso)
Vincenzo Esposito, cannoniere
stereotelemetrista volontario, 17 anni, da Boscotrecase (disperso)
Gaspare Fontana, capo segnalatore di terza
classe in servizio permanente effettivo, 32 anni, da Sestri Levante (disperso)
Vincenzo Fontana, elettricista di leva, 21
anni, da Napoli (disperso)
Luigi Friscione, specialista di direzione del
tiro di leva, 21 anni, da Imperia (deceduto)
Eugenio Fumagalli, fuochista artefice di leva,
21 anni, da San Giorgio a Cremano (deceduto)
Rocco Garziano, capo meccanico volontario, 22
anni, da Trapani (disperso)
Giovanni Garzoli, elettricista di leva, 20
anni, da Trecate (disperso)
Angelo Gatelli, marinaio richiamato, 22 anni
da Botticino (deceduto)
Domenico Giordano, sottocapo cannoniere
telemetrista volontario, 19 anni, da Frattamaggiore (disperso)
Giuseppe Giovi, cannoniere ordinario di leva,
21 anni, da Valdarsa (disperso)
Guido Gobbi, fuochista artefice richiamato, 24
anni, da Melegnano (deceduto)
Vincenzo Grossi, fuochista ordinario di leva,
19 anni, da Civitavecchia (disperso)
Gaetano Immesi, marinaio di leva, 20 anni, da
Palermo (disperso)
Giovanni Lasina, cannoniere puntatore
mitragliere di leva, 20 anni, da Genova (deceduto)
Vito Licata, sottocapo cannoniere armaiolo
richiamato, 23 anni, da Palizzolo (deceduto)
Giulio Loi, radiotelegrafista volontario, 18
anni, da Quartu Sant’Elena (disperso)
Salvatore Macaione, marinaio sm richiamato, 23
anni, da Cefalù (deceduto)
Pasquale Malagisi, marinaio sm di leva, 18
anni, da Minturno (disperso)
Walter Manfredini, marinaio di leva, 20 anni,
da Cremona (deceduto)
Paride Maniforti, sottocapo segnalatore
volontario, 22 anni, da Medesano (disperso)
Elio Marcedini, sergente meccanico volontario,
22 anni, da Sassari (disperso)
Angelo Marchese, meccanico volontario, 19
anni, da Potenza (deceduto)
Angelo Marinelli, fuochista ordinario
richiamato, 24 anni, da Porto Civitanova (deceduto)
Giovanni Battista Martiello, cannoniere
puntatore scelto volontario, 18 anni, da Sparanise (deceduto)
Silvestro Mazzella, fuochista ordinario di
leva, 19 anni, da Monte Argentario (deceduto)
Vito Medea, torpediniere volontario, 20 anni,
da Palagiano (deceduto)
Silvio Merlo, sottocapo silurista volontario,
20 anni, da Montebelluna (deceduto)
Michele Mezzina, sottocapo radiotelegrafista volontario,
13 anni, da Molfetta (disperso)
Francesco Minafra, fuochista ordinario
richiamato, 25 anni, da Ruvo di Puglia (disperso)
Bruno Mococci, cannoniere armaiolo di leva, 21
anni, da Terni (disperso)
Andrea Molinari, sottocapo torpediniere
richiamato, 27 anni, da Genova (deceduto)
Angelo Mocci, sottocapo meccanico volontario,
21 anni, da Villacidro (disperso)
Pasquale Musci, fuochista artefice richiamato,
24 anni, da Bari (disperso)
Giovanni Musumeci, cannoniere ordinario di
leva, 21 anni, da Catania (deceduto)
Gregorio Napoleone, tenente di vascello
(comandante in seconda), da Carloforte (disperso)
Paolino Napolitano, secondo capo
radiotelegrafista I. volontario, 29 anni, da Nola (deceduto)
Domenico Nucifora, cannoniere puntatore scelto
volontario, 17 anni, da Giardini (disperso)
Dino Odoardi, sottocapo segnalatore
volontario, 21 anni, da Ascoli Piceno (disperso)
Angelo Pagni, marinaio cuoco di leva, 20 anni,
da Viareggio (deceduto)
Ugo Palazzo, sottocapo fuochista ordinario
richiamato, 23 anni, da Brindisi (disperso)
Armando Palermo, fuochista artefice, 20 anni,
da Santa Lucia (disperso)
Michele Pantaleo, sottocapo motorista navale
richiamato, 23 anni, da Trapani (deceduto)
Giuseppe Paracampio, capo meccanico di terza
classe richiamato, 37 anni, da Castelluccio Inferiore (deceduto)
Antonio Parascandolo, sottocapo fuochista
ordinario richiamato, 23 anni, da Napoli (disperso)
Orazio Patti, secondo capo furiere volontario,
26 anni, da Mazara (disperso)
Orazio Pellegrino, fuochista ordinario
richiamato, 24 anni, da Messina (disperso)
Giuseppe Pendola, marinaio richiamato, 25
anni, da Porto Empedocle (disperso)
Aniello Perna, fuochista artefice di leva, 21
anni, da Resina (deceduto)
Leonardo Petruznella, fuochista ordinario
richiamato, 23 anni, da Molfetta (disperso)
Antonio Pennino, secondo capo meccanico in
servizio permanente effettivo, 29 anni, da Mondragone (deceduto)
Raoul Pierfederici, fuochista artefice di
leva, 21 anni, da Senigallia (disperso)
Vincenzo Piscitelli, sottocapo specialista in
direzione del tiro volontario, 18 anni, da Sant’Agata dei Goti (deceduto)
Renato Prina,capo meccanico di seconda classe
in servizio permanente effettivo, 33 anni, da La Spezia (deceduto)
Mansueto Pugina, cannoniere ordinario di leva,
21 anni, da Boara Polesine (deceduto)
Francesco Puma, segnalatore volontario, 18
anni, da Modica (disperso)
Giulio Randi, segnalatore I. di leva, 21 anni,
da Russi (deceduto)
Incles Rapalli, sottocapo specialista in
direzione del tiro volontario, 21 anni, da Bagnone (disperso)
Mario Rossi, cannoniere ordinario di leva, 21
anni, da Poggio Rusco (deceduto)
Gerardo Russo, sottocapo torpediniere
volontario, 21 anni, da Teano (deceduto)
Gregorio Russo, marinaio s.m. di leva, 22
anni, da Cariati (deceduto)
Francesco Saba, sottocapo cannoniere artificiere
volontario, 18 anni, da Mondas (deceduto)
Fulvio Sacchi, cannoniere ordinario di leva,
21 anni, da Roma (disperso)
Agostino Salerno, fuochista ordinario di leva,
21 anni, da Castellammare di Stabia (disperso)
Arnaldo Salvadeo, capo cannoniere telemetrista
di prima classe in servizio permanente effettivo, 36 anni, da Messina
(disperso)
Angelo Sambo, fuochista ordinario di leva, 20
anni, da Pellestrina (disperso)
Edgardo Sanchioni, sergente meccanico
volontario, 25 anni, da Pesaro (disperso)
Catello Santariello, fuochista artefice
richiamato, 24 anni, da Scanzano (disperso)
Armando Scapini, motorista navale di leva, 20
anni, da Torino (deceduto)
Angelo Segreto, marinaio servizi vari di leva,
21 anni, da Palermo (deceduto)
Osvaldo Selmi, fuochista m.a. di leva, 20
anni, da Legnano (deceduto)
Ignazio Sirone, marinaio cuoco richiamato, 22
anni, da Messina (disperso)
Ferdinando Stefano, cannoniere puntatore
mitragliere di leva, 20 anni, da Otranto (disperso)
Bruno Stival, sottocapo cannoniere puntatore
scelto volontario, 20 anni, da Pola (disperso)
Rodolfo Taccani, tenente del Genio Navale
Direzione Macchine (sottordine al direttore di macchina), da Trieste (deceduto)
Elvo Tassi, meccanico volontario, 18 anni, da
Ospitale (disperso)
Antonio Tomasin, marinaio servizi vari di
leva, 20 anni, da Lagosta (deceduto)
Daniele Valtolina, marinaio b.s.m., 20 anni,
da Corinate D’Adda (deceduto)
Gino Zagato, sottocapo cannoniere ordinario
richiamato, 24 anni, da Adria (deceduto)
Angelo Zambelli, silurista di leva, 21 anni,
da Darfo (deceduto)
Aldo Zannini, motorista navale richiamato, 23
anni, da Copparo (disperso)
Sergio Zanutta, aspirante guardiamarina, da
Savona (disperso)
Il tenente di vascello Rinaldo Ancillotti, ultimo comandante dell’Ardente, morto nell’affondamento (USMM) |
Sul disastro, che per
danni e perdite fu il peggior incidente verificatosi nei tre lunghi anni della
battaglia dei convogli tra l’Italia e l’Africa Settentrionale, venne condotta
un’inchiesta da parte dell’ammiraglio di divisione Lorenzo Gasparri, comandante
del Gruppo Cacciatorpediniere di Squadra. Gli esiti dell’inchiesta (conclusa il
13 febbraio 1943) ricostruirono la dinamica della collisione, appurando
l’incolpevolezza sia del comandante Gasparrini del Grecale (cui anzi fu conferita una Medaglia al Valor di Marina per
la sua condotta successiva alla collisione) che dell’ufficiale di guardia dell’Ardente; nessuna delle due unità aveva
commesso errori di manovra, la causa principale del disastro risiedeva nelle
avverse condizioni meteorologiche, oltre che nel fatto che entrambe le navi
stessero procedendo a luci oscurate su rotte esattamente opposte, come da
ordini. Né la manovra intrapresa dall’Ardente,
né quella del Grecale, per evitare la
collisione, erano state sbagliate.
Sulla rotta di
sicurezza costiera, larga solo un miglio e percorsa da navi che procedevano in
senso opposto a luci oscurate, erano già avvenuti altri incidenti di minore
gravità.
In seguito al
disastro furono tracciate rotte differenti per la navigazione da e per la
Tunisia nella zona delle Egadi, nonostante il maggior impegno che richiedeva il
dragare più rotte e l’allungamento dei percorsi, in modo da evitare altri
disastri simili.
Ad analoghe
conclusioni giunse anche la Commissione d’Inchiesta Speciale (CIS) istituita
nel 1949 sulle cause dell’incidente (l’ammiraglio Gasparri aveva frattanto
perso la vita, nell’aprile 1943, nell’esplosione della motonave Caterina Costa nel porto di Napoli). La
concomitanza di tante circostanze sfavorevoli (mare agitato e maltempo, notte
molto scura, navi coinvolte di dimensioni ridotte e con beta zero – quindi
ancor più difficilmente avvistabili –, per giunta oscurate e mimetizzate,
lambardate causate dal mare, plancia del Grecale
investita dagli spruzzi e sagoma di quest’ultimo che si confondeva con la
costa, abbagliamento causato dai proiettori di Levanzo, rotte perfettamente
opposte) aveva ritardato il reciproco avvistamento (avvenuto prima sul Grecale e poi sull’Ardente, avendo quest’ultima ancor più difficoltà ad avvistare il
cacciatorpediniere a causa della confusione della sua sagoma con la costa
vicina) sino a rendere inutile qualsiasi manovra intrapresa per evitare la
collisione. Forse, se l’Ardente
avesse invertito subito il moto delle macchine avrebbe speronato il Grecale, invece di venire da questi
speronata, ma, come precisava la stessa Commissione, ciò non restava che
un’ipotesi.
L’unico appunto mosso
al comandante Gasparrini del Grecale
fu quello di non aver acceso i fanali di via all’atto dell’avvistamento dell’Ardente, più che altro un vizio di forma
– il regolamento obbligava ad accenderli – dal momento che ciò non sarebbe
servito ad impedire la collisione. Al comandante Cavo dell’Ardito fu rimproverato di aver delegato all’Ardente la conduzione della navigazione, incarico assegnato alla
sua nave.
Purtroppo sulle
responsabilità della collisione sarebbe a lungo insistita una notevole
confusione, causata dalla mancata lettura dei documenti della CIS del 1949.
La vicenda iniziò nel
1977, con la pubblicazione del libro “Navi e marina italiani della seconda
guerra mondiale”, nel quale, menzionando la collisione tra Ardente e Grecale, si
parlava di errore di manovra da parte di quest’ultimo. Ciò causò – nel dicembre
1977 – la reazione dell’ex comandante del Grecale,
il capitano di fregata Gasparrini, il quale, sentendosi accusato di un errore
che non aveva commesso, lo segnalò per lettera all’autore del libro, Erminio
Bagnasco. Purtroppo, tuttavia, Gasparrini non si limitò a chiarire – come era
stato giustamente appurato dalla CIS del 1949, che aveva valutato il suo
comportamento come corretto e coraggioso ed approvato le sue decisioni
successive alla collisione – di non essere responsabile della collisione, ma
inspiegabilmente ne attribuì la responsabilità al defunto guardiamarina Caprile
dell’Ardente, asserendo che questi
avesse scambiato il Grecale per una
silurante nemica ed avesse manovrato per speronarla, finendo però investito al
centro dalla prua del cacciatorpediniere; a supporto della sua spiegazione,
Gasparrini citò la testimonianza del “sottocapo Bregliaccio”, unico superstite
tra i presenti in plancia. Ma in realtà, il sottocapo sopravvissuto, che si
chiamava Lanucara, in merito agli ordini dati dal guardiamarina Caprile aveva
riferito solo dell’ordine di virare tutto a sinistra pochissimo prima della
collisione, senza parlare di tentativi di speronamento di siluranti avversarie,
e la CIS aveva comunque ritenuto la sua testimonianza incompleta e dunque non
particolarmente rilevante.
Bagnasco perpetuò
l’errore nella correzione alla seconda edizione (1981) della sua opera,
parlando di errore da parte dell’Ardente,
che avrebbe scambiato il Grecale per
una silurante nemica a causa della pessima visibilità, e poi ancora, nella terza
edizione (2005), affermando che, causa la pessima visibilità, l’ufficiale di
guardia dell’Ardente avesse scambiato
‘baffo’ di schiuma sulla prua del Grecale
per la scia di una silurante nemica, ordinandone d’iniziativa lo speronamento.
Nulla, in realtà,
risulta supportare queste affermazioni, non essendo possibile sapere quali
fossero le intenzioni del guardiamarina Caprile quando aveva ordinato di virare
tutto a sinistra (probabilmente, secondo l’ammiraglio Gasparri e la CIS,
Caprile aveva avvistato il Grecale
poco a dritta della prua ed aveva pensato di poterlo meglio evitare virando a
sinistra).
Il relitto dell’Ardente è stato localizzato nel luglio
2007 dal subacqueo Fabio Manganelli: la nave (identificata dalla Soprintendenza
del Mare della Sicilia e dalla RPM Nautial Fundation) giace al largo del Monte
Cofano, un paio di miglia a sudovest della posizione indicata sui documenti
dell’epoca, spezzata in due in corrispondenza del locale caldaia prodiero, con
il troncone di prua capovolto e quello di poppa (il più grande) adagiato sul
fianco sinistro, a profondità abbastanza elevata. Uno spesso strato di fango
ricopre il relitto, nel quale sono impigliate parecchie reti e paranze.
La deposizione
del sottocapo Alvaro Lanucara (USMM, via Giancarlo Napoleone)
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Si ringraziano Alessandra Nobili
e Stefano Ruia per la documentazione fatta pervenire, e Giancarlo Napoleone per
le importanti correzioni segnalate circa le cause della collisione e per aver
fornito copia della Commissione d’Inchiesta Speciale.
Buongiorno. Ho scoperto questo splendido blog facendo ricerche sulla storia della mia famiglia. Finalmente ho potuto avere notizie certe e complete sulle modalita' della morte di mio zio materno, Sottocapo Radiotelegrafista Guido Doveri, disperso nel tragico naufragio della Torpediniera Ardente a seguito della collisione con Caccia Grecale di fronte a Monte Cofano. Saro' grato per ulteriori indicazioni, informazioni o notizie su questo tragico incidente.
RispondiEliminaBuonasera,
Eliminase potesse fornirmi un indirizzo e-mail, potrei inviarle il ruolo equipaggio dell'Ardente e la relazione della Commissione d'Inchiesta Speciale sulla perdita della nave. Oltre a questi due documenti, tutto ciò che conosco l'ho inserito in questa pagina.
Una semplice rettifica relativa al nome del sottocapo SDT Rapalli (fratello di mio padre e da lui ricordato ne "Il mio piccolo povero mondo", che citate fra le fonti - sarebbe stato lieto di aver dato un contributo), che si scrive Incles e non Ingles. Complimenti per l'accurata ricostruzione.
RispondiEliminaLa ringrazio. Provvedo subito a correggere.
Eliminasalve , sono il signor roberto cimmarusti, io questa tragedia ,indirettamente l'ho vissuta , grazie ai racconti a dir poco dettagliati di mio nonno agnello biancofiore , marinaio e superstite dell'ardente,mi complimento con voi x la storia dettagliata fornita.
RispondiEliminasalve sono il signor roberto cimmarusti ,io conosco in modo dettagliato questa triste storia ,grazie ai racconti dettagliati di mio nonno agnello biancofiore marinaio e superstite dell'ardente ,mi complimento x la storia raccontata e dettagliata bene ma il dramma raccontato da chi lo ha vissuto è veramente toccante
RispondiEliminaSalve, sono Claudio Dell'Amico, nipote di un superstite del naufragio dell'Ardente.
RispondiEliminaVorrei sapere se sono disponibili altre documentazioni o informazioni inerenti i tragici fatti narrati o sulle attività dell'Unità e del suo equipaggio.
Grazie mille.
Claudio Dell'Amico
Buonasera,
Eliminase può fornirmi un indirizzo e-mail le posso inviare l'elenco dell'equipaggio e la relazione della Commissione d'Inchiesta Speciale.
Buongiorno, non so se è ancora attivo il blog ma anche io sarei interessato a ricevere i documenti sopra citati. Mio nonno era una dei superstiti dell'Ardente, il mio indirizzo di posta é guido.cancarini@gmail.com grazie mille
EliminaIl cognome esatto del secondo capo meccanico di Mondragone è PENNINO ANTONIO.
RispondiEliminaMi scuso per l'errore, provvedo a correggere.
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