lunedì 21 aprile 2014

Dentice


 

La Dentice con i colori della società Polena (Coll. Guido Alfano via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)

Piroscafo cisterna da 5281 tsl, 2784 tsn e 7830 tpl, lunga 126 metri, larga 16 metri, pescaggio 7,7 metri, velocità 10,5 nodi. Appartenente alla Società di Navigazione Polena (di Genova), matricola 2178 al Compartimento Marittimo di Genova.

Breve e parziale cronologia.

17 gennaio 1918
Varata nei cantieri Fairfield Shipbuilding & Engineering Company Ltd. di Govan come War Patriot.
Aprile 1918
Completata dai cantieri Fairfield Shipbuilding & Engineering Company Ltd. di Govan (numero di costruzione 536) come War Patriot per lo Shipping Controller (registrata a Londra e data in gestione alla Anglo-Saxon Petroleum Company). Si tratta di una nave cisterna di tipo standard (navi costruite in serie per ridurre tempi e costi durante la prima guerra mondiale – come del resto anche nella seconda –, per rimpiazzare le perdite di guerra) “AO” (A-Oiler, da 5250 tsl e 8885 tpl). Stazza lorda 5197 tsl e stazza netta 3155 tsn, poi divenute rispettivamente 5281 tsl e 2784 tsn a seguito di lavori tra il 1937 ed il 1938.
1919
Ceduta alla compagnia privata Anglo-Saxon Petroleum Company Ltd. di Londra.
1921
Ribattezzata Adna (altra fonte data il cambio di nome al 1919).
1927
Venduta alla Hansen-Tangens Rederi A/S di Kristiansand.
1937
Acquistata dalla Polena Società di Navigazione, con sede a Genova, e ribattezzata Dentice.
 
La nave quando portava l’originario nome di War Patriot (da W.H. Mitchell e L.A. Sawyer, "British Standard Ships of World War 1", Sea Breezes, 1968, via Francesco De Domenico e www.naviearmatori.net)
Perdita e ritorno

Anche la Dentice, come più di 200 altre navi mercantili italiane, si trovava al di fuori del Mediterraneo quando l’Italia fece il suo ingresso nel conflitto, il 10 giugno 1940.
Diverse navi cisterna italiane si trovavano, in quel momento, nel Mar dei Caraibi, al largo del neutrale Venezuela: la Jole Fassio, la Trottiera, la Bacicin Padre, la Teresa Odero, l’Alabama e la Dentice stessa. Mentre le prime quattro petroliere riuscirono a riparare a Puerto Cabello, la Dentice e l’Alabama si trovavano troppo lontane per poter raggiungere quel porto prima di essere a loro volta raggiunte dagli incrociatori ausiliari francesi Quercy, Esterel e Barfleur, che si trovavano in quelle acque.
Dall’Italia, il Ministero delle Comunicazioni – che aveva giurisdizione sulla Marina Mercantile – comunicò alle due petroliere di rifugiarsi a Maracaibo: disposizione ineseguibile, perché quel porto, situato in una laguna dai bassi fondali (che furono dragati per permettere il passaggio di navi più grandi solo dopo la guerra), non era praticabile per Dentice ed Alabama, che pescavano troppo, essendo a pieno carico: la Dentice era carica di 8000 tonnellate di greggio, l’Alabama ne aveva bordo ben 10.000.
I marconisti delle due navi lo fecero presente a Roma, rompendo così il silenzio radio: scelta fatale, perché le navi da guerra francesi poterono rilevare la loro posizione mediante radiogoniometro.
Per prima fu raggiunta l’Alabama: l’11 giugno 1940 l’incrociatore ausiliario Barfleur, armato con sette pezzi da 149, due da 75 e due da 37 mm, la intercettò al largo di Maracaibo e le intimò di seguirla, ma stante la mancata risposta, ed anzi il tentativo da parte della petroliera di portarsi all’incaglio in costa, la nave francese aprì il fuoco: colpita, l’Alabama andò egualmente ad incagliarsi, ma con gravi danni ed incendi a bordo.
La Dentice non era a conoscenza di quanto accaduto all’Alabama, e proseguì nella navigazione in attesa che dall’Italia arrivasse una qualche risposta al messaggio cifrato inviato: ma nel frattempo, il Barfleur si era diretto a tutta forza (sedici nodi, la sua massima velocità) verso la nave italiana, intenzionato ad intercettarla.
Quando da bordo della Dentice venne avvistato l’incrociatore ausiliario in arrivo, il comandante fece subito accostare verso un’isoletta sabbiosa poco distante (nella baia di Maracaibo e vicino alla parte venezuelana della penisola della Guajira), e mandò la sua nave ad incagliarvisi alla massima velocità, poi fece appiccare il fuoco al carico, per impedirne che venisse catturata: mentre la nave veniva avvolta dalle fiamme generate dall’incendio di 8000 tonnellate di petrolio, il Barfleur, che non aveva potuto fare nulla, si avvicinò all’isola per prendere a bordo l’equipaggio della pirocisterna. Gli uomini della Dentice, però, rifiutarono di essere recuperati, non volendo finire in prigionia; e la nave francese, dato che l’isola faceva già parte del territorio venezuelano (e dunque neutrale), non poté obbligarli a salire a bordo, pertanto ripartì e diresse verso nord, sparendo poco dopo all’orizzonte.
Era il 12 giugno 1940.
L’equipaggio della Dentice veniva però a trovarsi in una situazione difficile: bloccato su un’isola deserta, nel torrido clima dei Caraibi, con modeste riserve di cibo e soprattutto di acqua potabile. Dal relitto della petroliera vennero recuperati vari rottami che furono impiegati per allestire rapidamente tende e tramezze; vennero distribuite le provviste che c’erano ed il comandante dispose norme rigorose per il razionamento dell’acqua.
Non era però possibile resistere a lungo sull’isola, quindi si decise di riparare la scialuppa meno danneggiata per cercare di raggiungere la costa del Venezuela.
I lavori di riparazione della lancia richiesero cinque giorni: già il 15 giugno, alcuni dei marinai iniziarono a manifestare segni di malessere, capogiri, incubi, allucinazioni causate dal caldo torrido e dalla sete.
Due giorni più tardi la scialuppa era pronta, e tutto l’equipaggio della Dentice vi si stipò a bordo per il breve ma tormentato viaggio verso la salvezza.
La lancia con gli uomini della pirocisterna raggiunse sana e salva la costa venezuelana, dove i naufraghi ricevettero aiuto dalla popolazione locale.

La storia della Dentice non doveva però concludersi sull’assolata spiaggia di quell’isola caraibica. Nonostante l’incendio appiccato dall’equipaggio, la nave non era stata danneggiata dalle fiamme in modo irreparabile, ed il 3 settembre poté essere disincagliata, dopo di che, il 13 settembre, venne rimorchiata a Puerto Cabello (come pure l’Alabama) da un rimorchiatore della Marina venezuelana, venendo quindi internata. Un giornalista statunitense a Puerto Cabello, in un articolo dell’ottobre 1940, disse che la Dentice si trovava incagliata e sbandata sulla sinistra, e che solo le sovrastrutture del ponte di comando erano state danneggiate (in modo riparabile), definendo la pirocisterna “the most interesting looking ship at Puerto Cabello”. In Europa, frattanto, la Francia, invasa dalle forze tedesche e tardivamente attaccata anche dall’Italia, si era arresa all’Asse: quasi un anno dopo, nel maggio 1941, l’Italia, tramite la commissione armistiziale tripartita di Wiesbaden, avrebbe richiesto ed ottenuto dalla Francia di Vichy la consegna due navi cisterna francesi, la Massis e la Beauce, a titolo di indennizzo per la perdita di Dentice ed Alabama, causata dal Barfleur. Le due navi, ribattezzate Saturno e Proserpina, sarebbero state impiegate nel rifornimento delle truppe italo-tedesche stanziate in Nordafrica, andando entrambe perdute per attacchi aerei alleati. Non diversa, probabilmente, sarebbe stata la sorte della Dentice se si fosse trovata in Mediterraneo.

Il 31 marzo 1941, in seguito all’arbitraria confisca, da parte delle autorità statunitensi (sebbene tale nazione fosse ancora neutrale), di tutte le navi italiani presenti nei porti degli Stati Uniti, le navi italiane presenti nei porti del Venezuela (erano sei, tutte navi cisterna) ricevettero l’ordine di autoaffondarsi per evitare la cattura, dato che anche il Venezuela aveva dato motivo di credere che presto avrebbe preso simili misure. Mentre tre delle navi (la Jole Fassio, la Trottiera e la Teresa Odero) vennero incendiate dai loro equipaggio, la Dentice (che si trovava nella baia dell’Isla Larga, a Puerto Cabello), l’Alabama ed una terza pirocisterna, la Bacicin Padre, furono “salvate” dal rapido intervento delle autorità portuali di Puerto Cabello, che catturarono le tre navi prima che potessero essere incendiate.
L'equipaggio della Dentice fu catturato; uno dei marittimi, il nostromo trapanese Giuseppe Malato, sarebbe deceduto in prigionia il 9 marzo 1942.
 
Con decreto ufficiale della presidenza della Repubblica del Venezuela (datato 20 marzo 1942), la Dentice venne sequestrata dalle autorità venezuelane, venendo ribattezzata Faireno. (Altra fonte data la confisca da parte del Venezuela ed il cambio di nome in Faireno già al 1940).
Sin dal dicembre 1941, quando il Venezuela aveva rotto le relazioni diplomatiche con Italia e Germania, il governo venezuelano aveva mostrato la propria disponibilità di concedere parte delle navi dell’Asse catturate agli Stati Uniti.
Il 16 luglio 1942, pertanto, la Faireno fu venduta a Puerto Cabello, insieme ad Alabama, Bacicin Padre, Trottiera e Jole Fassio (che erano state riportate a galla), agli Stati Uniti, che complessivamente pagarono due milioni di dollari per l’acquisto delle sei petroliere. La ex Dentice, consegnata alla War Shipping Administration e riparata, fu data in gestione alla Cities Service Oil Company, ricevendo bandiera di Panama. (Per una fonte, la Faireno fu consegnata dal governo venezuelano a quello statunitense a fine 1941 o nel 1942, poi restituita al governo venezuelano nel 1942, ed infine venduta agli Stati Uniti nel 1943).
Come Faireno la nave fece parte di vari convogli, come l’«HK 117» (Galveston Bar-Key West, 8-12 agosto 1943), il «GZ 53» (Guantanamo-Cristobal, 15-19 dicembre 1943), l’«HK 175» (Galveston Bar-Key West, 31 dicembre 1943-4 gennaio 1944), il «KG 680» (Key West-Guantanamo, 5-8 gennaio 1944) ed il «GZ 56» (Guantanamo-Cristobal, 15-19 gennaio 1944).

Due foto della Faireno nei cantieri di Tampa il 13 luglio 1943, prima del passaggio, come Arayat, alla Marina statunitense (g.c. Gary Priolo/Navsource).



Sul finire del 1943 la Marina statunitense chiese alla War Shipping Administration 15 vecchie e lente navi cisterna, da utilizzarsi come depositi galleggianti di carburante nel Pacifico (floating oil storage vessels), per il rifornimento delle navi da guerra americane dislocate in basi remote come le Isole dell’Ammiragliato, la Nuova Guinea e le Filippine. Le navi in questione, dovendo restare perlopiù stazionarie nei porti, senza muoversi molto né trasportare carichi, non avrebbero necessitato che delle riparazioni strettamente necessarie a tale servizio.
Il 13 aprile 1944 (per altra fonte in marzo) la Faireno fu consegnata a Brisbane alla US Navy, per la quale entrò in servizio il 18 aprile come “floating storage (o mobile station) tanker” USS Arayat (IX-134). (La sigla “IX” designava navi di tipologie varie, non assegnate ad alcuna precisa classificazione o categoria). Il dislocamento della nave, in servizio come unità militare, era di 12.275 tonnellate a pieno carico, l’equipaggio di 117 uomini; la velocità risultava calata a 9,7 nodi. L’Arayat venne anche dotata di un armamento difensivo, costituito da un cannone da 127/38 mm e tre mitragliere contraeree pesanti da 40 mm.
Il 28 aprile l’Arayat, al comando del tenente di vascello M. Himelfarb, lasciò Brisbane direta in Nuova Guinea, dove giunse a Milne Bay il 5 maggio, iniziando a servire come deposito galleggiante di nafta per le navi della Settima Flotta statunitense. La nave rimase a Milne Bay sino all’inizio del marzo 1945, poi, il 5 marzo, ripartì diretta ad Hollandia (Nuova Guinea), arrivando nella baia di Humboldt il 13 marzo e cominciando quindi a servire come deposito di carburante presso tale base, dove rimase sino all’autunno del 1945. Nel periodo ad Hollandia, l’Arayat, oltre a rifornire di carburante le navi da guerra statunitensi (operazione che occupava la maggior parte del suo tempo), si trasferiva periodicamente nella baia di Tanahmerah per rifornirsi a sua volta del combustibile che doveva poi elargire alle altre unità.
 
L’Arayat in un porto del Pacifico sudoccidentale, intorno al 1944 (g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net)
Verso la fine dell’ottobre 1945, a guerra ormai conclusa, l’Arayat si trasferì a Seeadler Harbor, nell’isola di Manu’a (Isole dell’Ammiragliato) per riparazioni, ripartendo il 6 novembre per Pearl Harbor, dove rimase dal 27 novembre al 4 dicembre per poi ripartire diretta negli Stati Uniti. Dopo essere passata nel Canale di Panama il 3 gennaio 1946, la cisterna giunse a Mobile il 14 del mese.
Il 15 febbraio 1946 la nave fu disarmata e trasferita dalla Marina statunitense alla US Maritime Commission e tornò a battere bandiera panamense e ad assumere il nome di Faireno, per poi essere radiata il 12 marzo 1946.
Il 16 marzo 1948, a seguito di un decreto di Harry Truman, la nave fu restituita all’Italia insieme ad altre 13 navi che erano state catturate ed avevano prestato servizio negli Stati Uniti. Il 6 ottobre 1949 la vecchia pirocisterna riassunse il nome di Dentice e tornò a navigare per la società La Polena; solcò i mari sotto bandiera italiana per altri cinque anni, poi, il 16 febbraio 1954, ebbe inizio la demolizione a Savona-Vado Ligure.

Le navi italiane catturate o sabotate in America nel 1941 su Trentoincina
USS Arayat (IX-134)
Ex-Italian Tankers Photographs

4 commenti:

  1. Ido Gibellini Rezzano11 aprile 2017 alle ore 15:02

    Buon articolo. Mi rocorda la storia que ci ha detto nostro nonno, Dionisio Rezzano Becalli, e´stato un marinario del Dentice; cosi e arrivato a Venezuela; prima come prigionero e dopo la guerra a rimasto a vivere quí in Venezuela.

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