L’Ascari a La Spezia nel dicembre 1941, con colorazione mimetica secondo uno schema ideato dal pittore di Marina Rudolf Claudus (Coll. Erminio Bagnasco, via Maurizio Brescia)
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Cacciatorpediniere
della prima serie della classe Soldati (dislocamento standard 1850 tonnellate,
in carico normale 2140 tonnellate, a pieno carico 2460 tonnellate).
Breve e parziale cronologia.
11 dicembre 1937
Impostazione nei
Cantieri Odero-Terni-Orlando di Livorno.
31 luglio 1938
Varo nei Cantieri del
Odero-Terni-Orlando di Livorno.
6 maggio 1939
Entrata in servizio.
1939
La XII Squadriglia
Cacciatorpediniere (Lanciere, Carabiniere, Ascari e Corazziere)
viene assegnata alla scorta della III Divisione Navale (incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano).
10 giugno 1940
10 giugno 1940
L’Italia entra nella
seconda guerra mondiale. L’Ascari,
insieme ai gemelli Lanciere, Corazziere e Carabiniere, forma la XII Squadriglia Cacciatorpediniere.
Lo stesso 10 giugno,
alle 19.10, l’Ascari ed il resto
della XII Squadriglia (Lanciere, Carabiniere, Corazziere) salpano da Napoli insieme alla VII Divisione Navale
(incrociatori leggeri Muzio
Attendolo ed Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta) per fornire copertura alla X Squadriglia Cacciatorpediniere
(Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), inviata ad effettuare una
ricognizione notturna tra Marettimo e Capo Bon.
11 giugno 1940
In mattinata, la VII
Divisione e la XII Squadriglia si uniscono ad un altro gruppo partito da
Messina e composto dagli incrociatori pesanti Pola (nave ammiraglia), Trento e Bolzano (III
Divisione Navale) e dai quattro cacciatorpediniere della XI Squadriglia (Aviere, Artigliere, Geniere, Camicia Nera).
Le navi procedono poi
fino a nord di Favignana, a protezione sia della X Squadriglia che di un gruppo
di unità (gruppo «Da Barbiano») che rientrano alla base dopo aver posato il
campo minato «L. K.».
Tutte le navi
rientrano alle basi entro la sera dell’11 giugno.
12 giugno 1940
Alle due di notte l’Ascari, insieme al resto della XII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Lanciere, Corazziere, Carabiniere), alla XI Squadriglia Cacciatorpediniere «Artigliere»,
all’incrociatore pesante Pola ed
alla III Divisione Navale (incrociatori pesanti Trento e Bolzano),
salpa da Messina per intercettare due incrociatori britannici (il Caledon ed il Calypso) avvistati da dei ricognitori a
sud di Creta, diretti verso ovest (gran parte della Mediterranean Fleet, al
pari di una squadra navale francese, è infatti uscita in mare a caccia, infruttuosa,
di naviglio italiano).
(Per altra fonte le
navi sarebbero uscite in mare per dare la caccia ad un convoglio britannico,
segnalato da un ricognitore al largo di Creta ed avente rotta ovest;
segnalazione che si rivela poi errata).
Al contempo salpano
da Taranto, per fornire loro appoggio, la I (incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia)
e VIII Divisione Navale (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) e la IX (Vittorio
Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci) e XVI Squadriglia
Cacciatorpediniere (Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare).
Alle 9, dato che
nuovi voli di ricognizione non sono più riusciti a trovare le navi nemiche,
tutte le unità italiane ricevono ordine di tornare in porto.
A mezzogiorno il
sommergibile britannico Orpheus (capitano
di corvetta James Anthony Surtees Wise), in agguato 70 miglia a nordest di
Malta, avvista il Pola, la III
Divisione e le Squadriglie Cacciatorpediniere XI e XII (meno il Geniere, che è dovuto rientrare in porto
da qualche ora), in navigazione con rotta nord/nordovest. Forse perché troppo
lontano, il sommergibile non attacca.
22-24 giugno 1940
La XII Squadriglia
Cacciatorpediniere prende il mare insieme alle Squadriglie Cacciatorpediniere
IX e X ed alle Divisioni incrociatori I (Zara, Fiume, Gorizia), II (Giovanni delle
Bande Nere e Bartolomeo
Colleoni) e III (Trento e Bolzano) nonché all’incrociatore
pesante Pola (nave
ammiraglia del comandante superiore in mare; è in mare tutta la 2a Squadra
Navale, più la I Divisione), per fornire copertura alla VII Divisione ed alla
XIII Squadriglia Cacciatorpediniere, inviate a compiere un’incursione contro il
traffico mercantile francese nel Mediterraneo occidentale.
Le forze della II
Squadra, partite da Messina (Pola e
III Divisione), Augusta (I Divisione, lì giunta da Taranto la notte tra il 21
ed il 22) e Palermo (II Divisione) il 22 giugno, si riuniscono al tramonto
dello stesso giorno a nord di Palermo.
L’operazione non
porta comunque ad incontrare alcuna nave nemica.
7 luglio 1940
7 luglio 1940
L’Ascari insieme al resto della XII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Lanciere
– caposquadriglia –, Carabiniere, Corazziere), prende il mare unitamente
all’incrociatore pesante Pola (nave
di bandiera dell’ammiraglio di squadra Riccardo Paladini, comandante la 2a Squadra),
alle Divisioni Incrociatori I (Zara, Fiume, Gorizia), III (Trento, Bolzano) e VII (Eugenio di Savoia, Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta, Muzio
Attendolo, Raimondo Montecucccoli)
ed alle Squadriglie Cacciatorpediniere IX (Vittorio
Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci), XI (Aviere,
Artigliere, Geniere, Camicia Nera) e
XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino), che
compongono la 2a Squadra Navale. Loro compito è scortare a distanza
un convoglio salpato da Napoli alle 19.45 del 6 e diretto a Bengasi con un
carico di 232 veicoli, 10.445 tonnellate di materiali vari e 5720 tonnellate di
carburante, oltre a 2190 uomini; lo formano le motonavi da carico Marco Foscarini, Francesco Barbaro (salpata da
Catania alle 12 del 7) e Vettor
Pisani e le motonavi passeggeri Esperia e Calitea, con la scorta diretta dei due
incrociatori leggeri della II Divisione (Giovanni
delle Bande Nere e Bartolomeo
Colleoni), dei quattro cacciatorpediniere della X Squadriglia (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), delle quattro torpediniere
della IV Squadriglia (Procione, Orsa, Orione, Pegaso) e delle
vecchie torpediniere Rosolino Pilo e Giuseppe Missori.
La 1a Squadra
Navale (V Divisione con le corazzate Giulio
Cesare e Conte di Cavour,
IV e VIII Divisione con sei incrociatori leggeri, VII, VIII, XV e XVI
Squadriglia Cacciatorpediniere con 13 unità) esce anch’essa in mare a sostegno
dell’operazione. Comandante superiore in mare è l’ammiraglio di squadra Inigo Campioni,
con bandiera sulla Cesare.
Le unità della 1a e
della 2a Squadra salpano tra le 12.30 e le 18 del 7 luglio da
Augusta (Pola, I e II Divisione),
Messina (III Divisione), Palermo (VII Divisione) e Taranto (IV, V e VIII
Divisione).
La II Squadra si pone
35 miglia ad est del convoglio, tranne la VII Divisione con la XIII
Squadriglia, che viene invece posizionata 45 miglia ad ovest.
8 luglio 1940
L’operazione va a
buon fine (il convoglio raggiunge Bengasi tra le 18 e le 22 dell’8), ed alle
14.30 le navi delle due squadra navali iniziano la navigazione di rientro.
Ma alle 15.20, a
seguito dell’avvistamento di una formazione britannica – anche la Mediterranean
Fleet, infatti, è in mare a protezione di convogli – la 1a e la
2a Squadra Navale dirigono per intercettare le navi nemiche
(che si teme dirette a bombardare Bengasi), con l’intento di impegnarle in
combattimento almeno un’ora prima del tramonto.
Alle 19.20, però, in
seguito ad ordini di Supermarina (il comando della Regia Marina, che, a
differenza dell’ammiraglio Campioni ha avuto modo di apprendere, tramite la
crittografia, la reale consistenza e finalità dei movimenti britannici) la
flotta italiana accosta per 330° per rientrare alle basi, con l’ordine di non
impegnare il nemico. Durante l’accostata le navi vengono attaccate da alcuni
velivoli con una dozzina di bombe, rispondendo con intenso tiro contraereo. Le
bombe cadono vicine agli incrociatori, ma non causano danni.
9 luglio 1940
9 luglio 1940
Per ordine
dell’ammiraglio Paladini, la III Divisione prosegue verso nord dalle 00.45 del
9 sulla dritta di Pola e I
Divisione (ammiraglio di divisione Pellegrino Matteucci, sullo Zara), sia per evitare d’incrociarsi con
la VII Divisione che è in arrivo da sinistra (perché è in rotta verso lo
stretto di Messina), sia per non passare in una zona nella quale Supermarina,
alle 22.10, ha indicato trovarsi due sommergibili nemici.
La navigazione
notturna di rientro si svolge senza grossi inconvenienti, salvo due
fallimentari attacchi siluranti contro la III Divisione; la 2a Squadra
(eccetto la VII Divisione, che è ancora separata da essa) accosta verso nord
all’1.23.
Già dalle 22 dell’8,
però, sono arrivati nuovi ordini: Supermarina teme che la Mediterranean Fleet
intenda lanciare un attacco aeronavale contro le coste italiane, perciò ordina
alle forze in mare di riunirsi nel punto 37°40’ N e 17°20’ E, 65 miglia a
sudest di Punta Stilo, entro le 14 del 9 luglio.
Verso le quattro del
mattino del 9 luglio la III Divisione passa ad est del gruppo «Cesare»;
l’ammiraglio Campioni, che Paladini – assumendo che questi avesse intercettato
l’ordine, inviato a mezzo radiosegnalatore – non ha informato dell’ordine alla
III Divisione di proseguire verso nord (il che differisce da quanto ordinato in
precedenza da Campioni), quando alle 4.30 la XV Squadriglia Cacciatorpediniere
segnala grosse ombre su tale lato (che è quello da cui si prevede che possa
provenire il nemico), ritiene che si tratti di unità nemiche. Vengono così
inviate ad attaccarle, in rapida successione, la XV e la VIII Squadriglia
Cacciatorpediniere. In realtà si tratta appunto del Bolzano e del Trento,
che si trovano dove – secondo le originarie disposizioni di Campioni – non
dovrebbero essere: per fortuna, i due siluri lanciati dalla XV Squadriglia
mancano il bersaglio, mentre l’VIII Squadriglia riconosce la sagoma delle navi
“nemiche” per quella di due incrociatori tipo “Trento”, permettendo di
interrompere l’attacco e chiarire l’equivoco.
Alle 6.40 la III
Divisione si ricongiunge con Pola e
I Divisione, ed alle 8 viene avvistato un idroricognitore Short Sunderland che
pedina la flotta italiana, tenendosi al di fuori della portata delle
artiglierie contraeree (la caccia italiana, chiamata ad intervenire, non verrà
però inviata ad attaccarlo).
Verso le 13, dopo una
mattinata di infruttuosi voli di ricognizione, un velivolo italiano avvista la
Mediterranean Fleet 80 miglia a nordest della V Divisione, ossia molto più a
nord di quanto previsto, ed in posizione adatta ad interporsi tra la flotta
italiana e la base di Taranto: l’ammiraglio Campioni inverte allora la rotta,
ed ordina a Paladini, che si trova più a sud e sta dirigendo per
ovest-sud-ovest, di fare altrettanto, accostando ad un tempo per riunire più
rapidamente le due Squadre.
Verso le 13 la 1a e 2a Squadra, ormai riunite, si dispongono su quattro colonne, distanziate di cinque miglia l’una dall’altra: la XII Squadriglia, insieme alla XI Squadriglia, al Pola ed alla I e III Divisione, va a formare la seconda colonna da ovest (la prima è costituita dalla VII Divisione, la terza dalla V Divisione – rispetto alla quale la colonna con la III Divisione si trova tre miglia ad ovest, cioè sulla dritta – e la quarta dalle Divisioni IV e VIII). A causa della manovra d’inversione di rotta, il Bolzano si viene a trovare in testa al gruppo degli incrociatori pesanti, mentre il Pola, nave ammiraglia di Paladini, finisce in coda.
Verso le 13 la 1a e 2a Squadra, ormai riunite, si dispongono su quattro colonne, distanziate di cinque miglia l’una dall’altra: la XII Squadriglia, insieme alla XI Squadriglia, al Pola ed alla I e III Divisione, va a formare la seconda colonna da ovest (la prima è costituita dalla VII Divisione, la terza dalla V Divisione – rispetto alla quale la colonna con la III Divisione si trova tre miglia ad ovest, cioè sulla dritta – e la quarta dalle Divisioni IV e VIII). A causa della manovra d’inversione di rotta, il Bolzano si viene a trovare in testa al gruppo degli incrociatori pesanti, mentre il Pola, nave ammiraglia di Paladini, finisce in coda.
Tra le 13.15 e le
13.26, 45 miglia ad est-sud-est di Capo Spartivento, il gruppo «Pola» (di
cui la XII Squadriglia fa parte), mentre si trova a poppa dritta della Cesare e con rotta 183° – è in
corso la manovra per assumere la propria posizione nella formazione ordinata da
Campioni –, viene attaccato da nove aerosiluranti Fairey Swordfish.
Gli aerei britannici,
decollati dalla Eagle alle 11.45 con l’obiettivo di attaccare le
corazzate italiane, che però non hanno trovato, provegono da ovest (cioè da
sinistra); si avvicinano con decisione da poppavia agli incrociatori
(approfittando del fatto che i cacciatorpediniere sono invece a proravia degli
stessi), scendono in picchiata fino a 20-30 metri e sganciano i loro
siluri da circa mille metri di distanza. Gli incrociatori si diradano, compiono
rapide manovre evasive ed aprono subito un violento fuoco contraereo, evitando
tutti i siluri (due diretti contro il Bolzano,
altrettanti contro il Trento ed
uno contro lo Zara). Gli aerei
si allontanano, tre di essi danneggiati dal tiro delle navi italiane.
Alle 14.05 ha inizio
l’avvicinamento alla flotta britannica: alle 15.15 gli incrociatori aprirono il
fuoco, seguiti alle 15.23 anche dalle corazzate, che al contempo, insieme al
gruppo «Pola», accostano a un tempo di 60° a dritta e così si spostano ad
est/nordest insieme agli incrociatori pesanti per supportare gli incrociatori
leggeri, i primi ad essere impegnati in combattimento. Entro le 15.40 i sei
incrociatori pesanti della 2a Squadra si sono portati 6860
metri a proravia della corazzata Cesare,
nave ammiraglia di Campioni.
Incrociatori e
corazzate cessano poi il fuoco rispettivamente alle 15.31 ed alle 15.35, per
poi riprenderlo dalle 15.48 alle 16.04 (corazzate) e dalle 15.56 alle 16.15
(incrociatori). Alle 15.53 l’ammiraglio Campioni ordina al gruppo «Pola» di
serrare le distanze e dispiegarsi sulla linea di rilevamento 040°, per
avvicinare gli incrociatori alle corazzate nemiche abbastanza da poter usare i
cannoni da 203: l’idea è di cercare di “bilanciare” la disparità di calibro tra
i cannoni delle corazzate italiane (320 mm) e quelle britanniche (381 mm)
facendo sparare anche gli incrociatori pesanti sulle corazzate nemiche.
Tuttavia queste ultime rimangono sempre al limite della gittata dei cannoni
degli incrociatori pesanti italiani, dei quali solo il Trento spara tre salve contro di
esse.
Nella seconda fase,
la 2a Squadra manovra per avvicinarsi alle unità avversarie, e
tra le 15.50 e le 16 i suoi incrociatori pesanti, su ordine dell’ammiraglio
Paladini, aprono il fuoco da 20.000-25.000 metri contro gli incrociatori
leggeri britannici del viceammiraglio John Tovey (Orion, Neptune, Sydney, Liverpool e Gloucester),
che rispondono al fuoco con granata perforante e tiro raccolto ma poco
efficace.
Alle 15.59, però,
la Cesare, la nave ammiraglia,
viene danneggiata da un proiettile da 381 mm, dovendo ridurre la velocità.
A seguito di questo evento l’ammiraglio Inigo Campioni, comandante superiore in
mare delle forze italiane, decide di rompere il contatto per rientrare alle
basi, ed alle 16.05 dirama l’ordine generale per le squadriglie di
cacciatorpediniere di attaccare con il siluro le navi della Mediterranean
Fleet, in modo da facilitare lo sganciamento delle navi maggiori.
La XII Squadriglia,
va all’attacco alle 16.07, partendo da una posizione un poco più arretrata
rispetto alla XI Squadriglia e passando a poppavia del Pola. I quattro cacciatorpediniere dirigono immediatamente in modo
da ridurre le distanze con la flotta britannica, ma si ritrovano immersi nelle
cortine nebbiogene emesse dalle unità della XI Squadriglia, che li precedono;
l’atmosfera nebbiosa e fumosa che li circonda complica notevolmente l’attacco
dei caccia della XII Squadriglia, che riescono a vedere i bersagli soltanto a
tratti, in modo saltuario. Alle 16.12 il caposquadriglia stima che il grosso
della flotta britannica stia accostando verso i cacciatorpediniere da una
distanza di circa 19.000 metri, pertanto manovra in modo da riaprire il beta;
un aereo solitario attacca le unità della XII Squadriglia, che sono al contempo
fatte oggetto del tiro degli incrociatori nemici.
Alle 16.22, giunto a
14.000 metri dalle corazzate nemiche e con un beta 30° da esse, il
caposquadriglia stima che le navi nemiche abbiano invertito la rotta, pertanto
decide di rinunciare momentaneamente al lancio; alcuni secondi prima, tuttavia,
Ascari e Corazziere hanno lanciato rispettivamente uno e tre siluri, tutti
senza risultato. Subito dopo, la XII Squadriglia inverte la rotta sulla
sinistra, assumendo rotta sudovest; su tale rotta i cacciatorpediniere si
trovano per circa mezz’ora ad essere violentemente cannoneggiati da pezzi di
medio calibro, rispondendo a loro volta vivacemente con il proprio armamento.
Alle 16.45 il Lanciere lancia anch’esso
tre siluri in ritirata, senza colpire.
Tra le 16.19 e le
16.30 tre squadriglie di cacciatorpediniere britannici (2th, 10th e
14th Flotilla) aprono il fuoco contro quelli italiani da 11.250-12.500
metri, appoggiati tra le 16.39 e le 16.41 dal tiro dei pezzi secondari da 152
mm delle corazzate Warspite e Malaya. Alle 16.49 la “mischia” tra
cacciatorpediniere, svoltasi a grande distanza, ha termine senza che nessuna
unità sia stata colpita.
Terminata la
battaglia, la flotta italiana si avvia alle proprie basi con direttrice di
marcia 230°, passando a sud della Calabria; ma durante il rientro, tra le 16.20
e le 19.30, diviene oggetto anche dell'attacco da parte degli stessi
bombardieri della Regia Aeronautica (una cinquantina, su circa 126 inviati in
totale ad attaccare le forze britanniche), che le attaccano e bombardano
pesantemente per errore di identificazione e malintesi (tra il comando delle
due Squadre Navali e quello della II Squadra Aerea, cui appartengono i
bombardieri) circa la posizione della flotta italiana e di quella britannica.
Le insensate disposizioni vigenti in materia di comunicazioni tra Marina ed
Aeronautica, che non contemplano la possibilità di comunicazioni dirette tra
navi e aerei, impediranno alle prime di segnalare ai secondi l'errore; le
stesse navi, non potendo distinguere la nazionalità degli aerei attaccanti,
apriranno un intenso fuoco con proprie armi contraeree, rafforzando nei piloti
l'impressione di stare attaccando navi nemiche. Alcune delle navi ed alcuni
degli aerei, rispettivamente, cesseranno il fuoco e rinunceranno all'attacco
riconoscendo all'ultimo momento la vera nazionalità del "nemico", ma
alla fine gli attacchi ai danni delle navi italiane eguaglieranno, in
intensità, quelli condotti contemporaneamente contro la vera Mediterranean
Fleet. Nessuna nave italiana sarà, fortunatamente, colpita, mentre un
bombardiere Savoia Marchetti S. 79 della 257a Squadriglia
(XXXVI Stormo da Bombardamento Terrestre) finirà abbattuto dal "fuoco
amico" delle navi. L’ammiraglio Campioni, per tentare di chiarire
equivoco, ordina di stendere bandiere italiane sul cielo delle torri e di
emettere fumo rosso dai fumaioli poppieri, pratica convenzionale, nelle esercitazioni
in tempo di pace, per segnalare il gruppo “amico”.
L'incidente sarà poi
fonte di aspre polemiche tra Marina e Aeronautica, ma per lo meno servirà a
dare l'impulso ad un migliore sviluppo della collaborazione aeronavale, che
però raggiungerà risultati soddisfacenti solo nel 1942.
Il grosso della
flotta italiana dirige su Augusta, eccetto la III Divisione e la
danneggiata Cesare che fanno
rotta per Messina, dove giungono alle 21 del 9 luglio.
30 luglio-1° agosto 1940
L’Ascari prende il mare, insieme al resto
della XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Lanciere
– caposquadriglia –, Corazziere, Carabiniere) ed alla I Divisione
(incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia), nonché alla IV Divisione (incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano ed Alberto Di Giussano con i
cacciatorpediniere Antonio Pigafetta, Lanzerotto Malocello e Nicolò Zeno della XV Squadriglia),
alla VII Divisione (incrociatori leggeri Eugenio
di Savoia, Luigi di Savoia Duca
degli Abruzzi, Muzio Attendolo
e Raimondo Montecuccoli con i
cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino
della XIII Squadriglia) ed agli incrociatori pesanti Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio Paladini, comandante
superiore in mare) e Trento, per
fornire protezione a distanza ai convogli diretti in Libia nell’ambito
dell’operazione «Trasporto Veloce Lento».
Tali convogli sono
tre: il n. 1 (lento, partito da Napoli alle 8.30 del 27 a 7,5 nodi di velocità)
è formato dalle navi da carico Maria
Eugenia, Gloria Stella, Mauly, Bainsizza, Barbaro e Col di Lana e dall’incrociatore
ausiliario Città di Bari (qui
usato come trasporto) scortati dalle torpediniere Procione, Orsa, Orione e Pegaso (poi rinforzate dai cacciatorpediniere Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco); il n. 2 (veloce, partito da
Napoli alle 00.30 del 29 alla velocità di 16 nodi) è composto dai trasporti
truppe Marco Polo, Città di Napoli e Città di Palermo, scortati dalle
torpediniere Alcione, Aretusa, Airone ed Ariel;
il n. 3 (partito da Trapani) è composto dai piroscafi Bosforo e Caffaro,
scortati dalle torpediniere Vega, Perseo, Generale Antonino Cascino e Generale Achille Papa.
Sempre a protezione
dei convogli, viene potenziato lo schieramento di sommergibili nel Mediterraneo
orientale ed occidentale, portandolo in tutto a 23 battelli, e vengono disposte
numerose ricognizioni aeree speciali con mezzi della ricognizione marittima e
dell’Armata Aerea (Armera).
A seguito della
notizia dell’uscita in mare sia del grosso della Mediterranean Fleet da
Alessandria, che da gran parte della Forza H da Gibilterra (incrociatore da
battaglia Hood, corazzate Valiant e Resolution, portaerei Argus ed Ark Royal), che si presume essere
dirette verso il Mediterraneo centrale, i convogli n. 1 e 2 vengono dirottati
l’uno a Catania e l’altro a Messina, dove giungono rispettivamente la sera del
28 ed alle 13.30 del 29.
Il 30 luglio i due
convogli, più il n. 3 che salpa solo ora, prendono nuovamente il mare per la
Libia, e salpa anche la forza navale di copertura che comprende l’Ascari. La I e VII Divisione, insieme
a Pola e Trento ed alla XII Squadriglia
Cacciatorpediniere che ad essi si è unita, si portano in posizione idonea a
proteggere il convoglio n. 2, diretto a Bengasi (gli altri sono diretti a
Tripoli) dalle provenienze da levante. La sera del 31 luglio, quando ormai non
vi sono più pericoli, la formazione degli incrociatori inverte la rotta e
rientra le basi.
Tutti i convogli
raggiungono senza danni le loro destinazioni tra il 31 luglio ed il 1° agosto.
4 agosto 1940
Ascari e Corazziere, insieme
alle torpediniere Curtatone e Castelfidardo (che lasciano la
scorta nel pomeriggio), salpano da La Spezia in mattinata per scortare a
Messina l’incrociatore pesante Bolzano,
al termine delle riparazioni dei danni subiti a Punta Stilo. Durante il giorno
le navi sono protette anche da aerei antisommergibili.
5 agosto 1940
Ascari, Corazziere e Bolzano giungono a Messina in tarda
mattinata.
31 agosto-1 settembre 1940
Il 31 agosto la XII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Ascari,
Lanciere, Corazziere, Carabiniere) salpa
da Messina, insieme alla XI Squadriglia ed alla III Divisione Navale, per
partecipare al contrasto all’operazione britannica «Hats» (consistente in varie
sotto-operazioni: trasferimento da Gibilterra ad Alessandria, per rinforzare la
Mediterranean Fleet, della corazzata Valiant,
della portaerei Illustrious e
degli incrociatori Calcutta e Coventry; invio di un convoglio da
Alessandria a Malta e di uno da Nauplia a Porto Said; bombardamenti su basi
italiane in Sardegna e nell’Egeo): Supermarina ha infatti saputo che sia la
Mediterranean Fleet (da Alessandria) che la Forza H (da Gibilterra) sono uscite
in mare, e si è accordata con la Regia Aeronautica per attaccare la prima con
le forze navali di superficie ed attacchi aerei e la seconda con aerei e
sommergibili.
Complessivamente,
all’alba del 31, prendono il mare da Taranto, Brindisi e Messina 4 corazzate
della V (Cesare, Duilio e Cavour) e IX (Littorio e Vittorio Veneto) Divisione, 13
incrociatori della I (Pola, Zara, Fiume, Gorizia), III
(Trento, Trieste, Bolzano), VII (Eugenio di Savoia, Duca d’Aosta, Montecuccoli ed Attendolo)
e VIII (Duca degli Abruzzi e Garibaldi) Divisione e 39
cacciatorpediniere (Freccia, Dardo, Saetta e Strale della
VII Squadriglia; Folgore, Fulmine, Lampo e Baleno dell’VIII
Squadriglia; Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco della
X Squadriglia; Aviere, Artigliere, Geniere e Camicia
Nera della XI Squadriglia; Lanciere, Carabiniere, Ascari e Corazziere della
XII Squadriglia; Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino della
XIII Squadriglia; Alvise Da Mosto, Giovanni Da Verrazzano, Antonio Pigafetta e Nicolò Zeno della XV
Squadriglia; Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno ed Antoniotto Usodimare della XVI
Squadriglia). La III Divisione si riunisce al grosso della squadra
italiana, partita da Brindisi e da Taranto, verso le 13 del 1° settembre.
I e III Divisione
formano la 2a Squadra, che precede il grosso delle forze
italiane.
Le due Squadre Navali
italiane (la 1a Squadra è composta dalle Divisioni V, VII, VIII
e IX e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere VII, VIII, X, XIII, XV e XVI; la 2a Squadra
dal Pola, dalle Divisioni I e
III e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XI e XII), riunite sotto il
comando dell’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, dirigono per lo Ionio
orientale con rotta 150°. Le forze navali sono però uscite in mare troppo
tardi, hanno l’ordine di evitare uno scontro notturno ed hanno una velocità
troppo bassa (20 nodi), ed hanno l’ordine di cambiare rotta e raggiungere il
centro del Golfo di Taranto se non riusciranno ad entrare in contatto con il
grosso nemico entro il tramonto. Tutto ciò impedisce alle forze italiane di
intercettare quelle britanniche; alle 16 Supermarina ordina un cambiamento di
rotta, che impedisce alla 2a Squadra, che si trova in posizione
più avanzata della 1a, di proseguire verso le forze nemiche.
L’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante la 2a Squadra,
ha chiesto alle 16.20 libertà di manovra per dirigere contro le forze
britanniche, segnalate da ricognitori alle 15.35 a 120 miglia di
distanza dalla 2a Squadra. Campioni gli ha dato l’autorizzazione
alle 16.31, ma revoca l’autorizzazione alle 16.50 (comunque la 2a Squadra
non sarebbe egualmente riuscita a raggiungere le unità avversarie), ed alle
17.27 ordina alla 2a Squadra di invertire la rotta ed assumere
rotta 335° e velocità 20 nodi, come la 1a Squadra.
Alle 22.30 del 31 la
formazione italiana, che procede a 20 nodi, riceve l’ordine di portarsi per le
sei dell’indomani, con rotta 150° e velocità 20 nodi, in un punto 36 miglia ad
ovest di Santa Maria di Leuca, onde impegnare le forze nemiche lungo la rotta
155°, a nord della congiungente Malta-Zante; dunque deve cambiare la propria
rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere contatto con esse), dirigendo
più verso sudovest (verso Malta) e superando la congiungente Malta-Zante.
Il mattino del 1°
settembre, tuttavia, il vento, già in aumento dalla sera precedente, dà origine
ad una violenta burrasca da nordovest forza 9; le forze italiane si allontanano
nuovamente dal Golfo di Taranto per cercare di nuovo quelle avversarie lungo la
rotta 155° ma con l’ordine di non oltrepassare la congiungente Malta-Zante, il
che tuttavia le tiene lontane dalle rotte possibili da Alessandria a Malta.
Verso le 13 la burrasca costringe la flotta italiana a tornare alle basi,
perché i cacciatorpediniere non sono in grado di tenere il mare compatibilmente
con le necessità operative (non potendo restare in formazione né usare
l’armamento). A causa della burrasca, la III Divisione deve raggiungere
Taranto, anziché la propria base abituale di Messina. Poco dopo la mezzanotte
del 1° settembre le unità italiane entrano nelle rispettive basi; tutti i
cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle sovrastrutture) dal mare
mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare.
Le navi verranno
tenute pronte a muovere sino al pomeriggio del 3 settembre, ma non si
concretizzerà alcuna nuova occasione.
7 settembre 1940
La XII Squadriglia,
con Ascari, Corazziere e Carabiniere,
lascia Taranto alle 16 insieme al resto della 2a Squadra Navale
(incrociatore pesante Pola,
ammiraglia della squadra; incrociatori pesanti Zara e Gorizia della
I Divisione; incrociatori pesanti Trento,
Trieste e Bolzano della III Divisione; cacciatorpediniere Alfieri della IX Squadriglia
e Geniere della XI Squadriglia)
ed alla 1a Squadra (corazzate Littorio e Vittorio
Veneto della IX Divisione, Cesare e Cavour della V Divisione e Duiliodella VI Divisione;
cacciatorpediniere Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco della
X Squadriglia, Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino della
XIII Squadriglia, Freccia, Saetta e Dardo della VII Squadriglia, Folgore, Fulmine e Baleno dell’VIII Squadriglia). La
flotta italiana, che procede a 24 nodi, è diretta a sud della Sardegna (in modo
da trovarsi 50 miglia a sud di Cagliari entro le 16 del giorno seguente), per
intercettare la Forza H britannica che si presume diretta verso Malta; in
realtà tale formazione, salpata da Gibilterra alle 6, ha soltanto simulato
un’incursione in Mediterraneo, per coprire il vero obiettivo per della propria
uscita in mare: dirigersi in Atlantico e raggiungere Freetown, per poi
attaccare le forze francesi a Dakar. Qualora non sia possibile ottenere il
contatto con il nemico, gli ordini prevedono di dirigere per il Basso Tirreno a
levante della congiungente Capo Carbonara-Marettimo, poi raggiungere il
meridiano 8° Est per le ore 7 del 9 settembre.
8 settembre 1940
Le due squadre navali
attraversano lo stretto di Messina nella notte tra il 7 e l’8 e raggiungono il
punto prestabilito a sud della Sardegna alle 16 dell’8 settembre; però, dato
che la ricognizione non ha avvistato alcuna nave nemica (visto che la Forza H,
dopo la “finta”, si è diretta in Atlantico), la formazione italiana inverte la
rotta e, per ordine di Supermarina, raggiunge le basi del Tirreno meridionale
(Napoli per la 1a Squadra, Palermo e Messina per la I e III
Divisione rispettivamente).
9 settembre 1940
La III Divisione
giunge a Messina dopo essersi appoggiata a Napoli.
Le navi si
riforniscono di carburante e rimangono pronte a muovere, ma non ci sono
novità sul nemico.
29 settembre-2 ottobre 1940
Alle 18.05 del 29
settembre escono in mare da Taranto l’Ascari,
il Pola, la I Divisione
con Zara, Fiume e Gorizia e la IX Squadriglia Cacciatorpediniere (Gioberti, Alfieri, Oriani, Carducci), seguiti alle 19.30 dalle
Divisioni V (corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour), VI (corazzata Duilio), VII (incrociatori leggeri Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli, da Brindisi),
VIII (incrociatori leggeri Giuseppe
Garibaldi e Luigi di Savoia
Duca degli Abruzzi) e IX (corazzate Littorio e Vittorio
Veneto) e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Dardo, Saetta, Strale), X (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), XIII (Granatiere, Bersagliere, Alpino), XV (Da Mosto, Da Verrazzano) e XVI (Pessagno, Usodimare), per contrastare un’operazione britannica in corso, la
«MB. 5» (invio a Malta degli incrociatori Liverpool e Gloucester con
1200 uomini e rifornimenti, invio da Porto Said al Pireo del convoglio «AN. 4»,
il tutto con l’uscita in mare delle corazzate Valiant e Warspite,
della portaerei Illustrious, degli incrociatori York, Orion e Sydney e di undici
cacciatorpediniere a copertura dell’operazione). Al contempo da Messina prende
il mare la III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano) assieme ai quattro cacciatorpediniere della XI Squadriglia
(Aviere, Artigliere, Geniere e Camicia Nera). La formazione uscita da
Taranto assume rotta 160° e velocità 18 nodi, riunendosi con le navi
provenienti da Messina alle 7.30 del 30 settembre, mentre si accorge di essere
tallonata da ricognitori britannici. In mancanza di elementi sufficienti ad
apprezzare la composizione ed i movimenti della Mediterranean Fleet ed in
considerazione dello svilupparsi di una burrasca da Scirocco (che avrebbe reso impossibile una navigazione ad alta
velocità verso sud da parte dei cacciatorpediniere) Supermarina decide di
rinunciare a contrastare l’operazione ed ordina alle unità in mare di invertire
la rotta alle 6.25 del 30 ed incrociare dapprima tra i paralleli 37° e 38°, poi
(dalle 10.30) 38° e 39° ed alle 14 fare rotta verso sudovest sino a raggiungere
il 37° parallelo, poi, alle 17.20, di rientrare alle basi. Navigando nella
burrasca, la flotta italiana raggiunge le basi tra l’una e le quattro del
mattino del 1° ottobre, vi si rifornisce in fretta e rimane in attesa di
un’eventuale nuova uscita per riprendere il contrasto, ma in base alle nuove
informazioni ottenute ciò risulterà impossibile, pertanto, alle 14.00 del 2
ottobre, le navi riceveranno l’ordine di spegnere le caldaie.
5 ottobre 1940
L’Ascari ed il resto della XII Squadriglia
Cacciatorpediniere (Lanciere –
caposquadriglia –, Corazziere e Carabiniere) partono da Taranto in
serata scortando le due veloci e moderne motonavi Calitea e Sebastiano
Venier, dirette a Lero e cariche di rifornimenti destinati alle isole del
Dodecaneso. L’invio di questo convoglio è denominato Operazione «C.V.».
6 ottobre 1940
In mattinata prendono
il mare due gruppi di incrociatori pesanti incaricati di fornire protezione al
convoglio: da Messina parte la III Divisione (incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano)
con la XI Squadriglia Cacciatorpediniere (Aviere, Artigliere, Geniere e Camicia
Nera), mentre da Taranto salpano la I Divisione (incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia),
l’incrociatore pesante Pola (nave
ammiraglia della 2a Squadra Navale) e la IX Squadriglia
Cacciatorpediniere (Alfieri, Oriani, Gioberti e Carducci).
L’operazione viene
però interrotta il mattino stesso del 6 ottobre, dopo che la ricognizione aerea
dell’Egeo ha segnalato due corazzate, due incrociatori e sette
cacciatorpediniere britannici sulla rotta Alessandria-Caso, ossia dove
dovrebbero passare le navi dirette nel Dodecaneso. Tutte le unità italiane
vengono fatte rientrare alle basi; «C.V.» non si farà più.
11-12 novembre 1940
L’Ascari si trova ormeggiato in Mar
Piccolo a Taranto (in banchina, insieme agli incrociatori pesanti Pola e Trento, agli incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi ed ai cacciatorpediniere Freccia, Strale, Dardo, Saetta, Maestrale, Libeccio, Grecale, Scirocco, Camicia Nera, Geniere, Carabiniere, Corazziere, Lanciere, Da Recco, Pessagno ed Usodimare), quando la base viene attaccata da aerosiluranti britannici
che affondano la corazzata Conte di
Cavour e pongono fuori uso la Littorio e
la Duilio.
Mentre gli
aerosiluranti attaccano le corazzate, cinque bombardieri attaccano a più
riprese le unità presenti in Mar Piccolo, a scopo diversivo, sganciando
complessivamente una sessantina di bombe.
Alle 23.15 dell’11 le
navi in Mar Piccolo aprono il fuoco contro alcuni aerei che sganciano bombe da
una quota valutata in 500 metri; gli ordigni inquadrano i posti d’ormeggio dei
cacciatorpediniere, ma solo uno va a segno, senza esplodere (sul Libeccio, che riporta solo lievi danni).
Tra le 14.30 e le
16.45 del 12 novembre la XII Squadriglia Cacciatorpediniere, insieme alla III
Divisione, lascia Taranto, valutata ormai insicura, per trasferirsi a Messina.
16-18 novembre 1940
La XII Squadriglia
Cacciatorpediniere (Ascari, Lanciere, Carabiniere, Corazziere)
salpa da Messina alle 10.30 del 16, insieme alla III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano), per
partecipare all’intercettazione di un gruppo navale britannico diretto verso
est. Una formazione britannica (la Forza H dell’ammiraglio James Somerville,
con le portaerei Argus e Ark Royal, l’incrociatore da
battaglia Renown, gli
incrociatori leggeri Sheffield, Despatch e Newcastle ed otto cacciatorpediniere),
salpata da Gibilterra e con rotta verso levante, è stata infatti avvistata nel
Mediterraneo occidentale: è in corso l’operazione britannica «White»,
consistente nel lancio, da parte della portaerei Argus della Forza H, di 14 aerei destinati a rinforzare le
modeste forze aeree di base a Malta, nonché un’azione di bombardamento di
Alghero (velivoli dell’Ark Royal) ed
il trasporto a Malta di uomini e materiali della RAF sul Newcastle.
Contemporaneamente
alla partenza da Messina di III Divisione e XII Squadriglia, da Taranto
prendono il mare le corazzate Vittorio
Veneto (nave di bandiera del comandante della 1a Squadra,
ammiraglio Inigo Campioni, comandante superiore in mare) e Cesare, il Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio Angelo Iachino,
comandante la 2a Squadra) e la I Divisione con Fiume e Gorizia (da
Napoli) nonché le Squadriglie Cacciatorpediniere IX (Gioberti, Alfieri, Oriani, Carducci), XIII (Bersagliere,Granatiere, Fuciliere, Alpino);
da Palermo salpa la XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (Vivaldi, Da Noli, Tarigo, Malocello).
La III Divisione e la
XII e XIV Squadriglia Cacciatorpediniere si uniscono al grosso della squadra,
partito da Napoli, nel pomeriggio del 16.
La forza così riunita
sotto il comando dell’ammiraglio Campioni assume quindi rotta verso est verso
l’8° meridiano, a sudovest della Sardegna, procedendo a 18 nodi, ridotti a 14
nella notte del 17 per agevolare la navigazione dei cacciatorpediniere, resa
difficoltosa da un vento da sudovest.
Per tutta la giornata
del 16 non si ricevono informazioni sulle forze nemiche; solo alle 10.15 del 17
queste vengono avvistate da ricognitori, che però non precisano né la rotta né
la velocità. Campioni dirige verso sud, in direzione di Bona, sperando di
riuscire ad intercettare le unità britanniche nel pomeriggio, se esse
proseguono verso est.
Raggiunto alle 16.30
un punto prestabilito 45 miglia a nord-nord-est di Ustica, la formazione
italiana dirige poi verso ovest ed alle 17.30 arriva 35 miglia a sudovest di
Sant’Antioco. Dopo aver navigato per un po’ in direzione dell’Algeria, nella
totale mancanza su dove sia il nemico e dove esso sia diretto, la squadra
italiana riceve l’ordine rientrare. Campioni rileverà che le condizioni del
mare – onde molto lunghe da sudovest – hanno causato forte rollio e beccheggio
in tutte le sue navi, corazzate comprese, tanto da impedire l’uso dei cannoni
se dirette verso sud. Durante il ritorno le navi italiane eseguono
esercitazioni di tiro contro la scogliera La Botte, a sud di Ponza.
Sebbene non vi sia
stato contatto tra le opposte formazioni navali, l’uscita in mare delle forze
italiane ha indirettamente causato il fallimento dell’operazione «White»:
l’avvistamento della squadra italiana da parte dei ricognitori di Malta,
infatti, ha indotto Somerville a far decollare gli aerei dall’Argus in anticipo, tenendo la
portaerei quanto più ad ovest possibile, cioè più lontana da Malta di quanto
inizialmente pianificato, prolungando di molto la distanza sulla quale gli
aerei dovranno volare. Il risultato sarà che su quattordici aerei decollati
dall’Argus (dodici Hawker
Hurricane e due Blackburn Skua) solo cinque (quattro Hurricane ed uno Skua)
giungeranno a Malta: gli altri nove esauriranno il carburante e precipiteranno
in mare a seguito di errori di navigazione e stime sbagliate sugli effetti del
vento, tranne uno che dovrà effettuare un atterraggio d’emergenza presso
Siracusa, venendo catturato.
26-28 novembre 1940
L’Ascari lascia Messina insieme al resto
della XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Lanciere,
caposquadriglia, e Carabiniere)
ed alla III Divisione (Bolzano, Trento e Trieste, nave ammiraglia dell’ammiraglio Luigi Sansonetti,
comandante la III Divisione), mentre da Napoli escono le corazzate Vittorio Veneto e Giulio Cesare, l’incrociatore
pesante Pola, la I Divisione con
due unità e la IX e XIII Squadriglia Cacciatorpediniere con otto unità.
La formazione
italiana si riunisce nel punto 39°20’ N e 14°20’ E, 70 miglia a sud di Capri,
alle 18.00 del 26 novembre, assumendo poi rotta 260° e velocità 16 nodi, per
intercettare un convoglio britannico diretto a Malta.
Alle otto del mattino
del 27 la III Divisione e la XII Squadriglia si trovano a cinque miglia per
180° dal Pola, nave ammiraglia
della 2a Squadra (che è formata dalla I e dalla III Divisione;
il tutto sotto il comando dell’ammiraglio Iachino), con rotta 250° e velocità
16 nodi, mentre la I Divisone è insieme al Pola e la 1a Squadra (le due corazzate ed i
cacciatorpediniere della VII e della XIII Squadriglia; ammiraglio Campioni) è
più a poppavia.
La formazione
italiana ha rotta 260°, verso la Sardegna, ed il mattino del 27 incrocia nove
miglia a sud di Capo Spartivento Sardo, per intercettare uno dei due gruppi
britannici in mare (uno partito da Alessandria ed uno da Gibilterra) prima che
possano riunirsi: quello proveniente da Alessandria viene avvistato alle 9.45
dall un idroricognitore lanciato dal Bolzano
alle 7.55, che comunica che una corazzata, due incrociatori e quattro
cacciatorpediniere si trovano a 26 miglia per 20° da Cap de Fer, con rotta 90°
e velocità 16 nodi. Il messaggio del ricognitore viene ricevuto alle 10.05
dall’ammiraglio Iachino e dieci minuti dopo dall’ammiraglio Campioni. Poco dopo
il velivolo aggiunge che si mantiene in contatto visivo con le navi nemiche;
continuerà a tenere il contatto fino alle 10.40.
Sebbene la posizione
indicata sia piuttosto lontana dal vero (troppo ad ovest), questo avvistamento
è il primo concreto segnale, per il comandante superiore in mare, della
presenza delle forze nemiche.
A questo punto, la
formazione italiana dirige per sudest, in modo da intercettare il gruppo nemico
e tagliargli la rotta.
Alle 11.01 la III
Divisione riceve ordine da Iachino di portarsi a poppavia (a tre miglia per
270°) del resto della 2a Squadra, ed alle 11.28 l’intera
formazione assume rotta 135°, per intercettare la formazione britannica che
(dalle segnalazioni dei ricognitori) risulta avere posizione differente da
quella prevista.
Durante l’inversione
di rotta conseguente all’ordine delle 11.01, tuttavia, si verifica una certa
confusione causata dall’errata interpretazione di un segnale da parte del Trento (che per invertire la rotta
vira di contromarcia, mentre gli altri due incrociatori virano ad un tempo),
così che il Trieste, nave
ammiraglia, finisce al centro della formazione, invece che in testa, e la III
Divisione si ritrova arretrata rispetto al resto della 2a Squadra:
ultima della formazione, 8 km a poppavia della I Divisione.
Alle 11.35 la 2a Squadra
riceve dall’ammiraglio Campioni di portarsi su rilevamento 195° rispetto alla
sua nave ammiraglia (la Vittorio
Veneto), in modo che la formazione divenga perpendicolare alla probabile
direzione d’avvicinamento della squadra britannica.
A mezzogiorno il Lanciere viene colto da un’avaria di
macchina, restando fermo per un breve lasso di tempo; in conseguenza di ciò, la
XII Squadriglia rimane un po’ arretrata.
Alle 12.07, in
seguito alla constatazione che la formazione britannica appare superiore a
quella italiana (i cui ordini sono di impegnarsi solo se in condizioni di
sicura superiorità), essendosi i due gruppi riuniti, l’ammiraglio Campioni
ordina di assumere rotta 90° per rientrare alle basi senza ingaggiare il combattimento,
e tre minuti dopo ordina alla 2a Squadra di aumentare la
velocità per riunirsi alle corazzate, pertanto la 2a Squadra
accelera a 25 nodi, poi a 28.
Alle 12.15, tuttavia,
le unità della 2a Squadra avvistano improvvisamente quattro
cacciatorpediniere britannici, diretti verso gli incrociatori italiani: le
siluranti nemiche spariscono subito, avendo apparentemente invertito la rotta,
ma poco dopo vengono avvistati altri cacciatorpediniere, incrociatori,
corazzate: è la squadra britannica, che comprende le corazzate Renown e Ramillies, la portaerei Ark
Royal e gli incrociatori Berwick (pesante), Sheffield, Southampton, Newcastle e Manchester (leggeri), oltre a
numerosi cacciatorpediniere. In questo momento la III Divisione si trova in
linea di fila 8 km a poppa della I Divisione, con rotta 90° e velocità 25 nodi,
in aumento (le corazzate sono invece a proravia della I Divisione). A seguito
dell’avvistamento delle forze nemiche, l’ammiraglio Campioni ordina di
incrementare ancora la velocità. Inizia così la battaglia di Capo Teulada.
Alle 12.20, prima che l’ammiraglio Campioni possa ordinare di non impegnarsi, gli incrociatori della I Divisione aprono il fuoco, seguiti in successione dal Pola e da quelli della III Divisione: questi ultimi sono i più vicini alle navi britanniche, ad una distanza di 21.500 metri (Pola e I Divisione sono invece a 22.000 metri di distanza). Subito gli incrociatori britannici (uno, il Manchester, viene mancato dalla prima salva italiana, sparata dal Trieste o dal Trento, scartata lateralmente di circa 90 metri) rispondono al fuoco; Berwick, Manchester, Sheffield e Newcastle concentrano il loro tiro contro le unità della III Divisione. Gli incrociatori italiani della 2a Squadra, in linea di fila, sono in posizione favorevole (da “taglio del T”) per sparare con tutte le artiglierie su quelli britannici, che si trovano invece in linea di fronte e possono usare solo le torri prodiere, ma per via dell’ordine di Campioni di disimpegnarsi devono accostare verso nordest. Durante lo scontro, le navi italiane continuano a ritirarsi verso nordest, sparando quasi esclusivamente con le torri poppiere, mentre quelle britanniche le inseguono tirando quasi solamente con le torri prodiere (la distanza media del combattimento è 22.500 metri, che per la III Divisione – segnatamente il Trento – scende ad un minimo di 18.000 metri). All’inizio dello scontro l’ammiraglio Iachino ordina alla III Divisione (che è rimasta indietro ed aveva aumentato la propria velocità in ritardo rispetto al resto della Squadra, ed i cui apparati motori non hanno ancora raggiunto la massima andatura) di portare la velocità a 30 nodi e di allontanarsi dal nemico prima possibile, vedendo che essa sembra avere qualche difficoltà ad allontanarsi dalle unità britanniche, mentre salve da 152 degli incrociatori leggeri e qualche rara salva da 381 delle corazzate cade nella loro direzione. Il tiro degli incrociatori italiani è intenso dall’apertura del fuoco fino alle 12.42, poi diventa intermittente tra le 12.42 e le 12.49 a causa di ripetute accostate necessarie a disturbare l’attacco di aerosiluranti britannici frattanto apparsi, poi nuovamente intenso dalle 12.49 alle 12.53 e poi, a causa dell’aumento delle distanze e del fumo (causato soprattutto dalla combustione forzata delle caldaie, in particolare sulle navi della III Divisione), il ritmo di tiro deve di nuovo calare, fino a cessare alle 13.15, quando la distanza è diventata di 26.000 metri.
Alle 12.20, prima che l’ammiraglio Campioni possa ordinare di non impegnarsi, gli incrociatori della I Divisione aprono il fuoco, seguiti in successione dal Pola e da quelli della III Divisione: questi ultimi sono i più vicini alle navi britanniche, ad una distanza di 21.500 metri (Pola e I Divisione sono invece a 22.000 metri di distanza). Subito gli incrociatori britannici (uno, il Manchester, viene mancato dalla prima salva italiana, sparata dal Trieste o dal Trento, scartata lateralmente di circa 90 metri) rispondono al fuoco; Berwick, Manchester, Sheffield e Newcastle concentrano il loro tiro contro le unità della III Divisione. Gli incrociatori italiani della 2a Squadra, in linea di fila, sono in posizione favorevole (da “taglio del T”) per sparare con tutte le artiglierie su quelli britannici, che si trovano invece in linea di fronte e possono usare solo le torri prodiere, ma per via dell’ordine di Campioni di disimpegnarsi devono accostare verso nordest. Durante lo scontro, le navi italiane continuano a ritirarsi verso nordest, sparando quasi esclusivamente con le torri poppiere, mentre quelle britanniche le inseguono tirando quasi solamente con le torri prodiere (la distanza media del combattimento è 22.500 metri, che per la III Divisione – segnatamente il Trento – scende ad un minimo di 18.000 metri). All’inizio dello scontro l’ammiraglio Iachino ordina alla III Divisione (che è rimasta indietro ed aveva aumentato la propria velocità in ritardo rispetto al resto della Squadra, ed i cui apparati motori non hanno ancora raggiunto la massima andatura) di portare la velocità a 30 nodi e di allontanarsi dal nemico prima possibile, vedendo che essa sembra avere qualche difficoltà ad allontanarsi dalle unità britanniche, mentre salve da 152 degli incrociatori leggeri e qualche rara salva da 381 delle corazzate cade nella loro direzione. Il tiro degli incrociatori italiani è intenso dall’apertura del fuoco fino alle 12.42, poi diventa intermittente tra le 12.42 e le 12.49 a causa di ripetute accostate necessarie a disturbare l’attacco di aerosiluranti britannici frattanto apparsi, poi nuovamente intenso dalle 12.49 alle 12.53 e poi, a causa dell’aumento delle distanze e del fumo (causato soprattutto dalla combustione forzata delle caldaie, in particolare sulle navi della III Divisione), il ritmo di tiro deve di nuovo calare, fino a cessare alle 13.15, quando la distanza è diventata di 26.000 metri.
Due salve da 203 mm
degli incrociatori italiani colpiscono, alle 12.22 ed alle 12.35,
l’incrociatore pesante britannico Berwick:
la prima uccide sette uomini, ne ferisce nove e mette fuori uso la terza torre
da 203 dell’unità britannica, la seconda danneggia il quadrato ufficiali e
locali adiacenti, ma il Berwick continua
a fare fuoco.
Durante lo scontro
tra gli incrociatori, la XII Squadriglia si viene a trovare ad est della III
Divisione, e dunque in posizione più prossima al nemico rispetto a
quest’ultima; diverse salve britanniche da 152 mm cadono nei suoi pressi, ed
intorno alle 12.33 una granata da 152 colpisce il Lanciere, che subisce gravi danni e deve ridurre la velocità a 23
nodi, propulso da una sola macchina; Ascari
e Carabiniere ricevono l’ordine di
coprirlo con cortine fumogene. Alle 12.40, mentre si sta spostando verso ovest
passando a poppavia della III Divisione, il Lanciere
viene colpito altre due volte, con ulteriore aggravamento dei danni. Sebbene
gravemente danneggiato, il Lanciere
riesce a sottrarsi al tiro nemico grazie alle cortine nebbiogene; grazie ad
esse, infatti, l’incrociatore Southampton,
che l’aveva tenuto sotto il suo fuoco per undici minuti, lo perde di vista e
cambia bersaglio.
Fino alle 12.40 le
navi britanniche (soprattutto gli incrociatori) sparano intensamente contro la
III Divisione, poi spostano il tiro sulla I Divisione, che è divenuta più
vicina (ma il loro tiro è disturbato dal fumo prodotto dalle navi italiane); in
questa fase la III Divisione, mentre la velocità aumenta progressivamente fino
a 34 nodi, aumentando le distanze con le navi nemiche, di quando in quando
accosta in modo da sparare con tutte le artiglierie invece che con le sole
torri poppiere. Le corazzate britanniche intervengono solo sporadicamente,
trovandosi più indietro rispetto agli incrociatori, senza comunque colpire
nulla.
Nel frattempo anche
la 1a Squadra si è riavvicinata alla 2a Squadra, ed
alle 13.00 la Vittorio Veneto apre
il fuoco da poco meno di 29.000 metri, ma le unità britanniche subito accostano
a dritta e la distanza aumenta a 31.000 metri, costringendo la corazzata a cessare
il fuoco già alle 13.10.
Alle 13.15, dopo la
rottura del contatto balistico tra le due flotte, il Lanciere comunica di essere rimasto immobilizzato per mancanza
d’acqua; alle 13.16, pertanto, l’ammiraglio Iachino ordina alla III Divisione
di dare assistenza al cacciatorpediniere colpito.
L’ammiraglio
Sansonetti, perplesso su cosa potrebbe fare tornando indietro con l’intera
divisione, alle 13.26 chiede conferma a Iachino sul fatto di dover tornare
indietro per assistere il Lanciere;
Iachino, ritenendo che per prenderlo a rimorchio e difenderlo da eventuali
ritorni delle navi britanniche sia necesssario l’intervento di tutta la III
Divisione, risponde subito in modo affermativo. Di conseguenza, la III
Divisione ritorna nel punto in cui si trova l’immobilizzato Lanciere, e l’Ascari lo prende a rimorchio, per ordine di Sansonetti.
Alle 15.35, mentre i
due cacciatorpediniere iniziano a mettersi in moto, la III Divisione viene
violentemente attaccata da sette bombardieri britannici Blackburn Skua (appartenenti
all’800th Squadron della Fleet Air Arm, e guidati dal tenente
di vascello R. M. Smeeton) decollati dalla portaerei Ark Royal. Gli Skua, senza attaccare i due cacciatorpediniere
intenti nella delicata manovra di rimorchio, bombardano in picchiata (con bombe
da 227 kg) gli incrociatori di Sansonetti, che reagiscono con pronte manovre e
con intenso tiro contraereo (pur senza colpire alcun velivolo). L’Ascari molla il rimorchio per avere
maggior libertà di manovra sotto l’attacco, ma per fortuna i bombardieri si
concentrano sugli incrociatori della III Divisione anziché sul Lanciere, bersaglio lentissimo e molto
più facile. Nessuna nave viene colpita, sebbene cinque delle bombe da 500
libbre cadano molto vicine al Bolzano ed
al Trento.
Concluso l’attacco,
l’Ascari torna a prendere a rimorchio
il Lanciere e dirige verso Cagliari a
lento moto, scortato a distanza dalla III Divisione sino al tramonto. Ascari e Lanciere raggiungono Cagliari senza ulteriori inconvenienti.
Inverno 1940-1941
L’Ascari partecipa, con altre unità, ad
azioni di bombardamento navale contro le posizioni greche sulla costa albanese,
in appoggio alle truppe di terra italiane impegnate in duri combattimenti
contro le forze elleniche (che, invaso l’Epiro con la propria controffensiva,
minacciano Valona) nell’Albania meridionale. Le azioni di bombardamento
avvengono in seguito a richiesta da parte del Comando Superiore delle Forze
Armate in Albania.
24 febbraio 1941
Alle 5.45 Ascari e Corazziere lasciano Palermo insieme agli incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere (nave di
bandiera del comandante della IV Divisione Navale, ammiraglio di divisione
Alberto Marenco di Moriondo) ed Armando
Diaz, per una missione di scorta a distanza ai convogli che trasportano in
Libia truppe e materiali dell’Afrika Korps. Sono infatti in mare tre convogli
diretti in Libia: uno (partito da Napoli alle 19 del 23 facendo tappa a Palermo
il 24, e diretto a Tripoli a 14 nodi) formato dalle motonavi tedesche Marburg, Reichenfels, Ankara e Kybfels scortate dai cacciatorpediniere Aviere, Geniere e Da Noli e
dalla torpediniera Castore, un
secondo (salpato da Napoli a mezzogiorno del 25) composto dai trasporti
tedeschi Leverkusen, Arcturus, Wachtfels ed Alikante e
dall’italiano Giulia scortati
dal cacciatorpediniere Ugolino
Vivaldi e dalle torpediniere Procione, Orsa e Calliope, ed un convoglio veloce (partito da Napoli alle 20 del 24
febbraio) formato dai trasporti truppe Conte
Rosso, Esperia, Marco Polo e Victoria scortati dai
cacciatorpediniere Baleno e Camicia Nera e dalle
torpediniere Orione ed Aldebaran. Sono inoltre in mare anche i
piroscafi Arta, Nirvo e Giovinezza di ritorno da Tripoli (che avevano lasciato alle
5.30 del 24) con la scorta della torpediniera Generale Achille Papa, ed i piroscafi Santa Paola e Honor partiti
da Palermo il 25.
La IV Divisione ha
avuto ordine di portarsi nel Canale di Sicilia e tenersi pronta a qualsiasi
evenienza.
Alle 11.30 la IV
Divisione prende contatto con il convoglio «Marburg», del quale, secondo gli
ordini, dovrebbe mantenersi a proravia per fornirgli, durante la notte, scorta
ravvicinata.
Sino al tramonto la
IV Divisione si tiene tra gli 8.000 ed i 12.000 metri a proravia del convoglio
«Marburg», procedendo a zig zag, con Ascari e Corazziere in posizione di scorta
ravvicinata. Tramontato il sole, i due incrociatori mantengono la velocità a
14,5 nodi sino alla boa n. 4 di Kerkennah.
25 febbraio 1941
La notte è senza
luna, l’oscurità profonda; ciò induce l’ammiraglio Marenco di Moriondo, intorno
alle due di notte, dopo aver scapolato la zona obbligata della boa n. 4 di
Kerkennah, ad interrompere lo zigzagamento ed a procedere con Bande Nere e Diaz in linea di fila, preceduti
dal Corazziere e seguiti
dall’Ascari, che dovrebbero fornire
scorta e protezione antisommergibile se la IV Divisione dovesse eseguire marcate
ed improvvise accostate. Alle 2.10 la formazione, un miglio ad ovest della boa
n. 4 di Kerkennah, assume rotta 180°, ed intorno alle tre, per non allontanarsi
dal convoglio, viene ridotta la velocità a 13,5 nodi. Via via che le navi
procedono verso sud, in direzione di Zuara, la già scarsa visibilità va andata
calando. Il mare è calmo, senza vento.
Alle 3.22 il
sommergibile britannico Upright
(tenente di vascello Edward Dudley Norman) avvista le navi da guerra italiane
su rilevamento 315°, a circa due miglia e mezzo. L’Upright, restando in emersione, accelera e descrive parzialmente un
semicerchio, manovrando per avvicinarsi ed attaccare.
Il Corazziere e l’Ascari procedono rispettamene a proravia ed a poppavia dei due
incrociatori, in linea di fila; il Diaz naviga
nella scia del Bande Nere, ed al
comandante dell’Upright sembra
la nave più grossa: perciò è contro di esso che, alle 3.40, l’Upright lancia quattro siluri,
immergendosi subito dopo.
Alle 3.43, quando
il Diaz si trova a poche
miglia dalla boa numero 4 delle secche di Kerkennah, due dei siluri lo
colpiscono sul lato dritto, nei pressi del deposito munizioni prodiero,
provocandone la devastante esplosione.
Alle detonazioni dei
due siluri segue una fiammata sulla dritta e poi un’esplosione molto più
rovinosa – tanto violenta da investire l’Ascari,
che subisce delle infiltrazioni di acqua marina nei propri depositi di acqua
per le macchine –, con una colossale fiammata generata dalla combustione delle
polveri
Nel giro di sei
minuti il Diaz affonda di
prua, fortemente sbandato sulla sinistra, in posizione 34°33’ N e 11°45’ E (a
20 miglia e mezzo per 190° dalla boa n. 4 di Kerkennah, a sudest delle isole
Kerkennah ed al largo di Sfax), scomparendo sotto la superficie alle 3.49 e
trascinando con sé i tre quarti dell’equipaggio.
L’Ascari (che è stato mancato da uno
dei due siluri non andati a segno) ed il Corazziere danno la caccia al sommergibile, gettando
infruttuosamente dieci o dodici bombe di profondità dalle 3.45 alle 4.25,
mentre il Bande Nere, dopo
l’attacco, prosegue a maggiore velocità e con rotta a zig zag, scortando il
convoglio a destinazione. La concussione degli scoppi delle bombe di profondità
gettate dall’Ascari investe
molti naufraghi del Diaz,
peggiorando la situazione.
Alle 4.30 l’Ascari inizia a soccorrere i
superstiti, dispersi in un’area abbastanza vasta, mentre il Corazziere, avendo proseguito nella
vigilanza antisommergibile, si unirà ai soccorsi solo alle 7.30. All’alba
sopraggiungono anche aerei inviati da Marina Libia e da Trapani. Molti uomini
scompaiono in mare prima di poter essere soccorsi, per ipotermia nella fredda
acqua di febbraio, o per soffocamento causato dalla nafta che galleggia copiosa
sulla superficie del mare.
L’Upright, che ha passato il contrattacco
a 6 o 7 metri dal fondale, non subisce danni e ritorna a quota periscopica alle
7.15, osservando l’orizzonte tutt’intorno e vedendo che l’incrociatore
attaccato non c’è più: solo due cacciatorpediniere intenti al recupero dei
naufraghi laddove si era trovata la nave attaccata, su rilevamento 270°. Il
sommergibile si avvia poi sulla rotta di rientro a Malta.
L’Ascari recupera 150 uomini ancora
vivi, tra cui 31 feriti, e nove cadaveri (per altra fonte i sopravvissuti
salvati dall’Ascari furono
invece 144), mentre il Corazziere raccoglie
solo tre superstiti, pur setacciando il mare per quattro ore. Due dei naufraghi
muoiono poco dopo.
Intorno alle 9.15 del
mattino i due cacciatorpediniere, avendo ultimato il recupero dei naufraghi,
rimettono in moto dirigendo verso nordovest, arrivando a Palermo il 26 insieme
al Bande Nere. Dell’equipaggio
del Diaz sono morti 464 uomini, su un
totale di 605.
27-29 marzo 1941
L’Ascari salpa da Messina alle 5.30 del 27
insieme a Corazziere e Carabiniere, che con esso formano la XII
Squadriglia, ed alla III Divisione (Trento,
Trieste e Bolzano, al comando dell’ammiraglio Luigi Sansonetti con bandiera
sul Trieste), per partecipare,
insieme alla corazzata Vittorio
Veneto, alla I Divisione (Zara, Pola, Fiume), alla VIII Divisione (incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) ed alle Squadriglie
Cacciatorpediniere IX (Vittorio Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci), XIII (Granatiere, Fuciliere, Bersagliere, Alpino) e XVI (Nicoloso Da Recco, Emanuele
Pessagno), all’operazione «Gaudo», un’incursione contro il naviglio
britannico nel Mediterraneo orientale, a nord di Creta. Verso le 6.15, nello
stretto di Messina, la III Divisione con la XIII Squadriglia si pone 7 miglia a
proravia della Vittorio Veneto,
scortata dalla XIII Squadriglia: queste unità formano il gruppo «Vittorio
Veneto» al comando dell’ammiraglio Iachino.
La navigazione
prosegue senza incidenti sino alle 12.25 del 27 marzo, quando il Trieste comunica a Iachino la presenza
di un ricognitore britannico Short Sunderland a sud della III Divisione (e che
continuerà a tenerla d’occhio per mezz’ora); in seguito a questo – alle 12.20
il Sunderland ha comunicato l’avvistamento di tre incrociatori ed un
cacciatorpediniere a cinque miglia per 270°, al largo di Capo Passero, per poi
precisare alle 12.35 che le navi avvistate hanno rotta 120° e velocità 15 nodi:
entrambi i messaggi vengono intercettati dalla Vittorio Veneto –, la squadra italiana, poco dopo le 14,
accosta per 150° (prima la rotta era 134°) per trarre in inganno il velivolo
(il cui messaggio rischia di rivelare la destinazione, e dunque le intenzioni,
della squadra italiana), e segue questa rotta sino alle 16, per poi riaccostare
per 130°, e poi – alle 19.30 – per 98° portando la velocità a 23 nodi, in modo
da arrivare nel punto prestabilito a sud di Gaudo all’alba del 28. Alle 22 del
27 Supermarina annulla l’attacco a nord di Creta, dato che dalla ricognizione
risulta che non vi sono convogli da attaccare.
Alle 6.35 del mattino
del 28 un idroricognitore catapultato dalla Vittorio Veneto avvista la Forza B britannica (composta dagli
incrociatori leggeri Orion, Ajax, Perth e Gloucester e
dai cacciatorpediniere Vendetta, Hasty, Hereward ed Ilex,
il tutto sotto il comando del viceammiraglio Henry Daniel Pridham-Wippell), in
navigazione con rotta stimata 135° e velocità 18 nodi una quarantina di miglia
ad est-sud-est dall’ammiraglia italiana. Alle 6.57, pertanto, mentre la Vittorio Veneto (nonché il
sopraggiungente gruppo «Zara», composto da I e VIII Divisione, che si riunisce
al resto della squadra nelle prime ore del 28, 55 miglia a sudest di Capo
Spartivento Calabro) aumenta la velocità a 28 nodi, la III Divisione riceve
l’ordine di assumere rotta 135° e velocità 30 nodi: Iachino intende far
raggiungere alla divisione di Sansonetti gli incrociatori britannici, poi farla
dirigere verso la Vittorio Veneto ed
attirarli così verso la corazzata, e di conseguenza alle 7.34 ordina alla III
Divisione di ripiegare verso la Vittorio
Veneto dopo aver avvistato le forze britanniche. Pochi minuti dopo,
alle 7.39, la III Divisione viene avvistata da un ricognitore decollato dalla
portaerei britannica Formidable.
Alle 7.55 la III
Divisione inizia a scorgere su rilevamento 205° i primi segni della
sopraggiungente Forza B, comunicandolo a Iachino, e nel giro di qualche minuto
tutta la formazione di Pridham-Wippell è in vista.
Anche la Forza B,
tuttavia, ha l’ordine di attirare le navi italiane verso il grosso della
Mediterranean Fleet, uscita in mare con le corazzate Barham, Valiant e Warspite e la portaerei Formidable, della cui presenza in mare i
comandi italiani sono totalmente all’oscuro: di conseguenza, le navi di
Pridham-Wippell ripiegano verso Alessandria, costringendo la III Divisione ad
inseguirle e facendo fallire la trappola pianificata dall’ammiraglio Iachino.
Ha così inizio lo scontro di Gaudo.
Alle 8.12 le navi di
Sansonetti aprono il fuoco sulla Forza B da 22.000 (fonti italiane)-23.000
(fonti britanniche) metri, mentre le unità britanniche, i cui cannoni da 152 mm
(essendo tutti incrociatori leggeri) hanno gittata minore dei 203 dei “Trento”,
non aprono il fuoco per un quarto d’ora, tranne il Gloucester, il quale, essendo la nave in coda e dunque più vicina a
quelle italiane, spara tre salve, che cadono corte, a partire dalle 8.27-8.29,
da 21.000 metri di distanza. È proprio il Gloucester, per via della sua posizione, a costituire il bersaglio
principale dei cannoni della III Divisione, dovendo iniziare a zigzagare per
evitare di essere colpito dall’accurato tiro delle navi di Sansonetti, che poco
dopo accostano in fuori di 25°, passando da rotta 160° a rotta 135° (così
portandosi fuori portata dei cannoni della Forza B), per poi riassumere, verso
le 8.36, rotta nuovamente parallela a quella della Forza B.
Alle 8.36 Iachino
ordina alla III Divisione di dirigere verso ovest ed interrompere il
combattimento qualora non riesca a raggiungere le navi nemiche, ritenendo, a
ragione, pericoloso spingersi troppo verso est, in zona dove il controllo dei
cieli è in mano britannica.
La III Divisione
continua il tiro fino alle 8.55, ma non riesce a colpire nessuna nave: tutte le
salve cadono corte tranne un proiettile del Bolzano che colpisce il Gloucester senza esplodere, mentre Orion e Perth subiscono
solo lievi danni da schegge. A quell’ora gli incrociatori di Sansonetti (al
pari della Vittorio Veneto)
accostano per 270° ed assumono rotta 300° e velocità di 28 nodi, venendo
seguiti a distanza dalla Forza B, che si mantiene fuori tiro e tiene informato
il resto della Mediterranean Fleet dei movimenti delle unità italiane.
Essendosene reso
conto, alle 10.17 l’ammiraglio Iachino ordina alla III Divisione di proseguire
sulla sua rotta fino a nuovo ordine e tenersi pronta al combattimento (spiegando
anche le sue intenzioni), mentre la Vittorio
Veneto e le altre navi invertono la rotta (assumendo rotta 90°) per
sorprendere alle spalle la Forza B (portandosi ad est delle navi britanniche e
poi accostando verso sud), porla tra due fuochi (la III Divisione ed il resto
della formazione italiana) ed impedirne la ritirata. Le unità della Forza B
sono però più a nord di quanto ritenuto (e segnalato) e pertanto l’incontro
avviene alle 10.50: sulle prime la Forza B, incerta se le navi avvistate siano
amiche o nemiche, effettua il segnale di riconoscimento, ma alle 10.56, mentre
la Vittorio Veneto apre il
fuoco da 23.000 metri, Iachino ordina alla III Divisione di invertire la rotta
e riprendere il combattimento. La Forza B subito accosta verso sud e si ritira
inseguita dalle navi italiane (la III Divisione cerca di serrare le distanze ma
non fa in tempo ad intervenire), coprendosi con cortine fumogene, ma le
distanze vanno aumentando ed il tiro della Vittorio Veneto risulta inefficace.
Alle 11.18, a causa
delle distanze in aumento e dell’arrivo di aerosiluranti britannici che
attaccano la Vittorio Veneto, la
III Divisione riceve l’ordine di riassumere rotta 300°.
Successivi messaggi e segnalazioni, che confermano l’assenza di traffico convogliato britannico da attaccare, fanno decidere all’ammiraglio Iachino di proseguire nella navigazione di ritorno verso le basi italiane, ed alle 11.30 la formazione di Iachino si avvia sulla rotta di rientro.
Successivi messaggi e segnalazioni, che confermano l’assenza di traffico convogliato britannico da attaccare, fanno decidere all’ammiraglio Iachino di proseguire nella navigazione di ritorno verso le basi italiane, ed alle 11.30 la formazione di Iachino si avvia sulla rotta di rientro.
Alle 12.07 anche la
III Divisione viene attaccata da tre aerosiluranti britannici, che lanciano
contro il Bolzano, ma riesce a
sventare l’attacco contromanovrando ed aprendo un intenso tiro contraereo.
Alle 13.23 la III
Divisione si trova a 57 miglia per 214° da Gaudo; alle 15.20 ed alle 16.58 tale
divisione viene attaccata da bombardieri in quota britannici: nessuna nave
viene colpita, ma alcune bombe cadono molto vicine a Trento e Bolzano.
Alle 15.19 tre
aerosiluranti attaccano la Vittorio
Veneto, mentre dei caccia attaccano le unità della XIII Squadriglia che la
scortano, in cooperazione con bombardieri in quota partecipano: l’aereo del
capitano di corvetta John Dalyell-Stead, prima di essere abbattuto, riesce a
ridurre le distanze con la Vittorio
Veneto a meno di 1000 metri ed a lanciare un siluro, che colpisce la
nave da battaglia a poppa, in posizione 35°00’ N e 22°01’ E. Alle 15.30
la Vittorio Veneto, che ha
imbarcato 4000 tonnellate d’acqua, si immobilizza, ma dopo sei minuti rimette
in moto, sebbene a fatica: solo alle 17.13 riesce a sviluppare una velocità di
19 nodi. La flotta italiana dirige su Taranto, ed alle 16.38 l’ammiraglio
Iachino, in previsione di altri attacchi aerei in arrivo al tramonto, lascia
libera l’VIII Divisione per il rientro a Brindisi ed ordina che le altre unità
si dispongano intorno alla danneggiata Vittorio
Veneto per proteggerla da altri attacchi. La formazione risulterà
assunta alle 18.40, con cinque colonne di unità disposte in linea di fila: da
sinistra a destra, la XII Squadriglia Cacciatorpediniere (nell’ordine, Corazziere, Carabiniere, Ascari),
la III Divisione (Trieste, Trento, Bolzano), la Vittorio
Veneto preceduta da Granatiere (in
testa) e Fuciliere (tra
il Granatiere e la
corazzata) e seguita da Bersagliere (tra
la nave da battaglia e l’Alpino)
ed Alpino (in coda), la I
Divisione (Zara, Pola, Fiume) e la IX Squadriglia (Vittorio
Alfieri, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci, Alfredo Oriani). Alle 18.23 (nel
frattempo la velocità della Vittorio
Veneto è scesa a 15 nodi) vengono avvistati nove aerosiluranti
britannici, che si tengono a distanza, alle 18.51 tramonta il sole, ed alle
19.15 la formazione italiana accosta per conversione ed assume rotta 270° (in
modo da essere meno illuminate possibile dal sole che tramonta) ed alle 19.24 i
cacciatorpediniere in coda iniziano a stendere cortine fumogene. Alle 19.28 gli
aerosiluranti si avvicinano – le navi più esterne accendono i proiettori –,
alle 19.30 vi è una nuova accostata per conversione (rotta assunta 300°) e sei
minuti dopo tutti i cacciatorpediniere emettono cortine fumogene ed aprono il
fuoco, mentre gli aerei passano all’attacco: intorno alle 19.50 il Pola viene colpito ed immobilizzato
da un siluro. Cessato l’attacco, e calato il buio, alle 19.50 si spengono i
proiettori ed alle 20.11 cessa l’emissione di cortine fumogene. Alle 20.05
l’ammiraglio Iachino ordina alla III Divisione di portarsi 5 km a proravia
della Vittorio Veneto, alla XIII
Squadriglia di assumere posizione di scorta ravvicinata ed alla I Divisione di
posizionarsi 5 km a poppavia della nave ammiraglia. Proprio in quei minuti si
scopre che il Pola è stato
immobilizzato (dapprima si era ritenuto che l’attacco fosse stato respinto
senza danni), ed alle 21.06 la I Divisione invertirà la rotta per andare al
soccorso dell’incrociatore colpito. Questa decisione, molto discussa in
seguito, porterà al disastro: la I Divisione verrà infatti sorpresa mentre
raggiunge il Pola dalle
corazzate britanniche Barham, Valiant e Warspite e sarà annientata, con la perdita di Zara, Pola, Fiume, Alfieri e Carducci oltre che dello stesso Pola (e di oltre 2300 uomini), in quella che rimarrà la
peggior sconfitta mai subita dall’Italia sul mare. Dopo la separazione dalla I
Divisione, il resto della squadra italiana prosegue con rotta 323° e velocità
19 nodi alla volta di Taranto: la navigazione prosegue senza incidenti (alle
21.35 Iachino fa trasmettere al Trieste una
richiesta d’intervento della caccia aerea per l’alba dell’indomani, a 60 miglia
per 140° da Capo Colonne, per non congestionare la stazione radiotelegrafica
della Vittorio Veneto) sino alle
22.30 quando, in lontananza, vengono avvistate le vampate di artiglierie: le
navi italiane assistono alla fine della I Divisione. Il tiro che si osserva a
distanza si svolge in più fasi, alle 22.30, 22.40 e 23.06, i bagliori delle
ultime esplosioni vengono visti alle 23.55.
Il resto della
formazione italiana, inutilmente cercato dalla Forza B (che invece trova
il Pola immobilizzato,
scambiandolo per la Vittorio Veneto)
e da una flottiglia di otto cacciatorpediniere britannici al comando del
capitano di vascello Philip Mack fin dopo mezzanotte, alle otto del 29 marzo, a
60 miglia per 139° da Capo Colonne, viene raggiunto dall’VIII Divisione
frattanto richiamata; la III Divisione si pone quindi a dritta della Vittorio Veneto, con la VIII Divisione a
sinistra della corazzata (e la X Squadriglia Cacciatorpediniere, anch’essa
inviata di rinforzo, a sinistra della VIII Divisione). A partire dalle 6.23
giungono sul cielo della formazione, per scortarla nella navigazione di
rientro, aerei tedeschi ed italiani: la scorta aerea, mancata – elemento
cruciale – durante tutta l’operazione, arriva solo ora, nel golfo di Taranto.
Alle 9.08 del 29
marzo la formazione italiana assume rotta 343°, mettendo la prua su Taranto, ed
arriva a Taranto poco dopo le 15.30. La III Divisione non viene fatta rientrare
subito a Messina, ma viene bensì trattenuta per qualche tempo a Taranto.
24-30 aprile 1941
L’Ascari, insieme ai cacciatorpediniere Carabiniere e Vincenzo Gioberti, agli incrociatori pesanti Trieste e Bolzano della III Divisione ed all’incrociatore leggero Eugenio di Savoia della VII
Divisione, scorta a distanza un convoglio (mercantili italiani Rialto e Birmania, mercantili tedeschi Marburg, Reichenfels e Kybfels, con la scorta diretta dei
cacciatorpediniere Fulmine ed Euro e delle torpediniere Procione, Orione e Castore) in
navigazione in convoglio da Napoli (da dove è partito alle 23 del 24) verso la
Libia.
A causa del mare
mosso e delle notizie sugli spostamenti delle forze navali britanniche, il
convoglio viene fatto sostare a Palermo e Messina (diviso in due gruppi)
finché, riunito al largo Augusta, può infine partire per la Libia solo tra il
29 ed il 30 aprile. Giungerà indenne a Tripoli ale 23 del 1° maggio.
24 maggio 1941
Alle 16 del 24 maggio
Ascari, Lanciere e Corazziere,
che formano la XII Squadriglia, salpano da Messina insieme alla III Divisione (Bolzano e Trieste), di cui ha da poco assunto il comando l’ammiraglio di
divisione Bruno Brivonesi (imbarcato sul Trieste), per fornire scorta a distanza ad un convoglio per la
Libia composto dai trasporti truppe Conte
Rosso (capoconvoglio, contrammiraglio Francesco Canzoneri), Esperia, Victoria e Marco
Polo scortati dal cacciatorpediniere Freccia (caposcorta, capitano di fregata Giorgio Ghè) e dalle
torpediniere Procione, Orsa, Orione e Pegaso,
salpato da Napoli alle 4.40 e che ha appena superato lo stretto di Messina. III
Divisione e XII Squadriglia prendono posizione circa 3 km a poppavia del
convoglio.
Subito dopo
l’attraversamento dello stretto, la scorta diretta viene temporaneamente
rinforzata dalle torpediniere Calliope,
Perseo e Calatafimi, che lasciano il convoglio alle 19.10; c’è anche una
scorta aerea con velivoli da caccia, bombardieri ed idrovolanti (83° Gruppo
della Regia Aeronautica) costituiscono invece la scorta aerea, presente dalle
13.56 fino al tramonto (gli ultimi aerei, due idrovolanti CANT Z. 501, se ne
vanno alle 20.15 per tornare alle basi di Augusta e Taranto).
Nel frattempo –
subito dopo aver attraversato lo stretto (il che avviene tra le 15.15 e le
17.30) – il convoglio assume la formazione in colonna doppia; Esperia e Conte Rosso sono i capi colonna, rispettivamente a dritta ed a
sinistra (l’Esperia è seguito
dalla Victoria, il Conte Rosso dal Marco Polo). L’Orsa precede il convoglio e lancia bombe di profondità a scopo
intimidatorio dopo aver superato Reggio Calabria; alle 16.34 e 16.53 anche
il Freccia lancia due
bombe. Poi Procione ed Orsa si dispongono in colonna sul
lato di dritta del convoglio (Orsa più avanti, all’altezza dell’Esperia;Procione più indietro, a poppavia della Victoria), Freccia e Pegaso sul
lato sinistro (il Freccia in
posizione più avanzata, all’altezza del Conte Rosso, e la Pegaso più
indietro, appena a poppavia del Marco
Polo). Trieste e Bolzano seguono incolonnati a tre chilometri,
preceduti da Ascari (a
dritta), Lanciere (a
sinistra) e Corazziere (al
centro) che procedono in linea di fronte. Il convoglio procede quindi a zig zag
su quattro colonne (due di trasporti e due di siluranti, con due navi in ogni
colonna), con rotta 171° e velocità 18 nodi.
Il mare è calmo,
forza 1-2 senza cresta d’onda, non un alito di vento; il tramonto,
particolarmente luminoso, rende le sagome delle navi molto visibili da ovest.
Alle 20.30 il
convoglio viene avvistato nel punto 36°48’ N e 15°42’ E (una decina di miglia
ad est di Siracusa e a 10 miglia per 83° da Capo Murro di Porco) dal
sommergibile britannico Upholder (tenente
di vascello Malcolm David Wanklyn). Wankyn stima che il convoglio abbia una
rotta di 215°, e si avvicina per attaccare. Proprio alle 20.40, le navi
smettono di zigzagare, per fare il punto.
Alle 20.43, prima di
scendere a 45 metri e ripiegare verso est, l’Upholder lancia due siluri contro il Conte Rosso, la nave più grande del convoglio. Dopo una breve
corsa, i siluri mancano il Freccia e
colpiscono il bersaglio prescelto.
Subito dopo il
siluramento, il Freccia lancia
un razzo Very verde, segnale convenzionale d’allarme; i tre trasporti illesi
eseguono la prescritta manovra di disimpegno, Esperia e Victoria accostando
di 90° a dritta, Marco Polo a
sinistra.
Il Conte Rosso s’inabissa in poco più
di dieci minuti, una decina di miglia ad est di Capo Murro di Porco, portando
con sé 1297 dei 2729 uomini a bordo.
Al momento
dell’attacco, la III Divisione si trova 3000 metri a poppa del convoglio (Trieste e Bolzano in linea di fila, con l’ammiraglia in testa), mentre
la XII Squadriglia Cacciatorpediniere, che sta assumendo in quel mentre la
posizione di scorta avanzata notturna, si trova in posizione avanzata a
proravia dei due incrociatori, in linea di fronte, a circa 1500 metri di
distanza. Avvenuto il siluramento, Lanciere
e Corazziere accostano subito a
sinistra e si dirigono verso il punto dal quale sono stati lanciati i siluri,
gettandovi bombe di profondità.
Alle 20.55 l’ammiraglio
Brivonesi ordina a Lanciere e Corazziere di dare la caccia al
sommergibile e poi di soccorrere i naufraghi, mentre l’Ascari rimane con Trieste
e Bolzano, che continuano a scortare
il resto del convoglio, che prosegue verso Tripoli con la scorta dell’Orsa cui, alle 21, si ricongiunge anche
il Freccia (Procione e Pegaso sono
state distaccate per il recupero dei superstiti del Conte Rosso).
25 maggio 1941
Il convoglio entra a
Tripoli alle 17.30; le navi di Brivonesi rientrano a Messina alle 20 (ma ciò
sembra poco compatibile con la scorta del 27-28 maggio, vedi sotto).
27 maggio 1941
Sbarcate le truppe, Esperia, Victoria e Marco Polo
ripartono da Tripoli per Napoli a mezzogiorno, scortati da Freccia, Orsa, Procione e Pegaso, seguendo ancora la rotta di levante che passa per lo
stretto di Messina.
Nella parte centrale
della navigazione, il convoglio fruisce nuovamente della scorta a distanza di
III Divisione e XII Squadriglia.
29 maggio 1941
Il convoglio giunge a
Napoli all’1.30.
8 giugno 1941
Ascari, Lanciere e Corazziere, insieme a Trieste e Bolzano (III Divisione), salpano da Messina alle 15 per fornire
scorta a distanza al convoglio «Esperia» (trasporti truppe Esperia, Marco Polo e Victoria,
con la scorta diretta dei cacciatorpediniere Freccia (caposcorta), Saetta,
Strale e Gioberti), salpato da Napoli alle 2.50 e
diretto a Tripoli.
9 giugno 1941
La III Divisone torna
a Messina alle sei del mattino. Il convoglio «Esperia» giunge a Tripoli alle
15.
25 giugno 1941
L’Ascari, insieme al resto della XII Squadriglia
(Lanciere, Corazziere e Carabiniere),
va a rinforzare la scorta di un convoglio veloce composto dai trasporti
truppe Esperia (capoconvoglio,
contrammiraglio Luigi Aiello), Marco
Polo, Neptunia ed Oceania, scortati dai
cacciatorpediniere Aviere (caposcorta,
capitano di vascello Luciano Bigi), Geniere,
Antonio Da Noli e Vincenzo Gioberti e dalla
torpediniera Calliope. Il
convoglio, partito da Napoli e diretto a Tripoli, segue la rotta di levante,
passando nello stretto di Messina e poi ad est di Malta; la XII Squadriglia lo
raggiunge appunto dopo l’attraversamento dello stretto di Messina. Al tramonto
sopraggiunge anche la III Divisione (incrociatori pesanti Trieste e Gorizia), partita da Messina alle 19, quale scorta indiretta.
Alle 18.25, mentre le
navi sono ancora a nord del parallelo di Murro di Porco (precisamente, a 32
miglia per 90° da Murro di Porco, non lontano da Siracusa), il convoglio viene
avvistato da un ricognitore; alle 20.20, poco dopo che la scorta aerea (due
bombardieri Savoia Marchetti S.M. 79 "Sparviero" e quattro caccia
Macchi MC. 200) se ne è andata, ad eccezione di un singolo caccia che è ancora
sul cielo del convoglio, vengono avvistati tre velivoli tipo Martin Maryland
che volano a 2500 metri di quota, proprio sopra il convoglio. Viene dato
l’allarme; sia i mercantili che i cacciatorpediniere aprono subito il fuoco con
le mitragliere. Gli aerei sganciano cinque bombe, ma nessuna va a
segno; si ritiene che uno degli attaccanti, colpito, sia caduto in mare in
fiamme.
Alle 20.30, terminato
il lancio, i bombardieri si allontanano, ma poco dopo un altro aereo avversario
si avvicina da sinistra, volando a 1500 metri; fatto oggetto del violento tiro
di tutte le navi del convoglio, rinuncia all’attacco e si allontana prima di
poter giungere sulla verticale del convoglio. Da poppa sopraggiunge un
altro bombardiere, ma è seguito dall’unico caccia rimasto della scorta
aerea, e lascia dietro di sé una scia di fumo; due membri del suo equipaggio si
lanciano col paracadute, poi il bombardiere precipita in mare. Alle
20.40 vengono avvistati altri due bombardieri, provenienti da dritta, anch’essi
accolti dal tiro delle navi della scorta: uno dei due spara raffiche di
mitragliera, poi accosta a sinistra e si allontana senza sganciare bombe; l’altro
giunge sul cielo del convoglio e sgancia una bomba, che cade in mare senza fare
danni. Alle 21, Supermarina “informa” il convoglio che alle 18.35 questo è
stato avvistato da un ricognitore avversario.
Alle 21.10 un bengala
si accende a proravia del convoglio, a circa 3000 metri di quota (resta acceso
8-9 minuti); dato che l’esperienza precedente insegna che questo è il preludio
ad un attacco di aerosiluranti, le navi della scorta iniziano ad emettere
cortine fumogene, per occultare le navi del convoglio. Le cortine stese dalle
varie siluranti si distendono e prendono consistenza, occultando sui due lati i
bastimenti del convoglio; unica eccezione sono proprio le cortine stese da Ascari e Lanciere, che si trovano circa 1500 metri a proravia del convoglio,
le quali risultano troppo deboli. Di conseguenza, il caposcorta ordina ai due
cacciatorpediniere di lasciarsi scadere, in modo da avvicinarsi al convoglio.
Alle 21.29 gli
aerosiluranti – velivoli dell’830th Squadron della Fleet Air
Arm – attaccano: provenienti da dritta e restando in formazione, si portano a
proravia del convoglio, poi sul suo lato sinistro, indi si separano ed
attaccano dai quartieri prodieri. Le navi aprono il fuoco con le mitragliere;
vengono lanciati almeno quattro siluri, nessuno dei quali va a segno. Uno degli
aerei entra nella formazione passando tra l’Ascari
ed il Lanciere, attraversando la
cortina nel punto in cui è meno densa per le circostanze sopra citate; ma
nemmeno questo riesce a colpire qualcosa.
Mentre ancora non si
è concluso l’attacco degli aerosiluranti, alle 21.37, vengono lanciati in mezzo
al convoglio tre bengala che galleggiano sul mare (si tratta di fuochi al
cloruro di calcio, una nuova invenzione al suo primo impiego nella battaglia
dei convogli): due si spengono quasi subito, ma il terzo resta acceso per un
paio di minuti, illuminando a giorno il convoglio con la sua fortissima luce
gialla; le navi si diradano ed intanto avvistano sul loro cielo i fanalini di
navigazione di altri aerei, contro i quali sparano con tutte le mitragliere.
Gli aerei sganciano delle bombe di grosso calibro; nessuna va a segno, ma una
esplode a pochi metri dall’Esperia,
che subisce lievi danni ed alcune perdite tra il personale imbarcato.
Alle 21.45 gli aerei
se ne vanno, inseguiti dal fuoco delle mitragliere; uno di essi, un Fairey
Swordfish dell’830th Squadron F. A. A. (sottotenente D. A. R.
Holmes, aviere J. R. Smith), viene abbattuto.
Tanto accanimento non
è casuale. Il convoglio «Esperia» detiene infatti il dubbio onore di essere
stato il primo convoglio ad essere attaccato sulla base delle informazioni
fornite da “ULTRA”, l’organizzazione segreta britannica dedita alla
decrittazione dei messaggi in codice dell’Asse. Già il 23 giugno, due giorni
prima della partenza, i britannici sanno così che un convoglio formato da Neptunia, Oceania, Marco Polo ed Esperia (in realtà, inizialmente, i
britannici commettono un errore ed identificano la quarta nave come Victoria, ma questo viene prontamente
corretto il 24 giugno), scortato da cinque cacciatorpediniere, deve partire da
Napoli alle 3.30 diretto a Tripoli, con arrivo previsto per le 16.30 del 27,
navigando ad una velocità di 17,5 nodi. Ulteriori intercettazioni, sempre
compiute il 23 giugno, permettono ai britannici di apprendere anche che il
convoglio deve attraversare il parallelo 34°30’ N alle sette del mattino del
26, che sarà scortato anche da aerei, e che dopo aver scaricato i materiali
dovrà tornare a Napoli seguendo la rotta ad ovest della Sicilia.
26 giugno 1941
Vista la violenza
degli attacchi aerei, nel fondato timore che essi debbano proseguire per il
resto della notte ed anche la mattina successiva – mentre il convoglio è al di
fuori del raggio operativo della caccia italiana –, oltre che in seguito alla
notizia dell’avvistamento di un sommergibile in agguato lungo la rotta del
convoglio (avvistato ed attaccato da un velivolo della ricognizione marittima),
Supermarina ordina sia al convoglio che alla III Divisione di dirottare su
Taranto. Qui le navi giungono alle 17.
27 giugno 1941
Il convoglio riparte
da Taranto per Tripoli alle 17, con scorta diretta ed indiretta invariate,
seguendo una rotta che lo tenga quanto più possibile lontano da Malta. Anche
questa volta “ULTRA” intercetta e decifra i relativi messaggi, ma stavolta la
reazione britannica sarà assai meno violenta e tempestiva.
28 giugno 1941
In mattinata il
convoglio viene avvistato da un ricognitore britannico; il segnale di scoperta
da esso lanciato viene però intercettato e decifrato da Supermarina, che ne
informa il convoglio. Questi modifica allora notevolmente la rotta, ma nel
pomeriggio viene avvistato di nuovo; non si verificano però attacchi aerei
durante il giorno, né nella notte successiva.
29 giugno 1941
Intorno alle 9 il
convoglio, giunto in prossimità di Tripoli ed ormai lasciato dalla III
Divisione (che rientra a Messina, dove giunge alle 11) ma raggiunto dalla
scorta aerea (due caccia Macchi MC. 200, due S.M. 79 e due idrovolanti CANT Z.
501) viene attaccato da bombardieri britannici, i quali sganciano poche bombe
che non causano nessun danno.
Alle 8.56 Trieste e Gorizia, insieme a Carabiniere, Ascari e Corazziere, vengono avvistati nel punto 37°55' N e 15°35' E (ad est
della Sicilia) dal sommergibile britannico Urge (tenente di vascello E. P. Tomkinson) a sei miglia per
195°, mentre procedono su rotta 360° a 24 nodi di velocità. Alle 9.14 l’Urge lancia quattro siluri da 4600
metri contro l’incrociatore di testa, ma nessuna nave viene colpita ed il
battello britannico viene poi sottoposto, dalle 9.21 alle 11.30, al lancio di
64 cariche di profondità, nessuna delle quali esplode tanto vicino da causare
danni.
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 10.30 (o 11.15).
16-18 luglio 1941
Ascari, Carabiniere, Corazziere, Trieste e Bolzano forniscono
scorta a distanza ad un convoglio veloce partito il 16 da Taranto diretto a
Tripoli, formato dai trasporti truppe Marco
Polo, Neptunia ed Oceania con la scorta diretta dei
cacciatorpediniere Lanciere, Geniere, Oriani e Gioberti e
della torpediniera Centauro. Il
convoglio raggiunge Tripoli il 18, dopo aver eluso un attacco da parte del
sommergibile britannico Unbeaten contro
l’Oceania.
19 luglio 1941
19 luglio 1941
Il convoglio e la
scorta lasciano Tripoli per tornare in Italia.
21 luglio 1941
Il convoglio giunge a
Taranto alle 16.30.
23 agosto 1941
Alle 9.50 Ascari, Lanciere, Corazziere e Carabiniere, che formano la XII
Squadriglia, partono da Messina insieme alla III Divisione (incrociatori
pesanti Trento, Trieste, Bolzano e Gorizia), per partecipare al contrasto
all’operazione britannica «Mincemeat», consistente nell’uscita da Gibilterra di
parte della Forza H (la portaerei Ark
Royal, la corazzata Nelson,
l’incrociatore leggero Hermione e
cinque cacciatorpediniere) con lo scopo di bombardare gli stabilimenti
industriali ed i boschi di sughero nella Sardegna settentrionale (con gli aerei
dell’Ark Royal), posare mine al largo
di Livorno (con il posamine veloce Manxman)
e dissuadere, con tale dimostrazione di forza, la Spagna dall’entrare in guerra
a fianco dell’Asse. I veri obiettivi dell’azione britannica non sono comunque
noti a Supermarina, che pensa soprattutto ad un nuovo tentativo britannico di
inviare a Malta un convoglio di rifornimenti.
Alle 18 si uniscono
alla formazione anche i cacciatorpediniere Maestrale
e Scirocco, inviati da Palermo.
24 agosto 1941
Alle cinque del
mattino la III Divisione si unisce al largo di Capo Carbonara al gruppo «Littorio»
(corazzate Littorio e Vittorio Veneto della IX Divisione
e cacciatorpediniere Aviere e Camicia Nera della XI Squadriglia
e Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino della
XIII Squadriglia), salpata da Taranto alle 16; poco dopo la formazione viene
rinforzata dai cacciatorpediniere Ugolino
Vivaldi, Nicoloso Da Recco e Lanzerotto Malocello, provenienti da
Napoli, ed Antonio Pigafetta e Giovanni Da Verrazzano, inviati da
Trapani.
Le navi italiane
assumono una rotta che le conduca al centro del Tirreno. Tra le 6.30 e le
6.40 Littorio, Vittorio Veneto e Trieste catapultano i loro
idrovolanti da ricognizione, che tuttavia non riescono a trovare nulla; alle
11.15 è il Bolzano a
catapultare il suo ricognitore, ma con risultati non migliori.
La formazione
italiana, al comando dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, ha l’ordine di
trovarsi per le otto del 24 trenta miglia a sud di Capo Carbonara, dato che la
Forza H è stata avvistata da un ricognitore alle 9.10 del 23, circa 90 miglia a
sud di Maiorca (il ricognitore ne ha stimato la composizione in una corazzata,
una portaerei, un incrociatore e quattro cacciatorpediniere, con rotta 270° e
velocità 14 nodi), ed alle 19.18 di quel giorno dei rilevamenti
radiogoniometrici hanno collocato la Forza H 145 miglia ad ovest di Capo
Teulada.
Intorno alle cinque
del mattino del 24, gli aerei dell’Ark
Royal attaccano la zona di Coghinas e Tempio Pausania con bombe e
spezzoni incendiari, causando però pochissimi danni (una casa distrutta ed un
soldato ucciso) nonostante la zona sia ricca di boschi di sughero, mentre alle
7.45 la squadra italiana viene avvistata a sud della Sardegna da un ricognitore
britannico, proprio mentre anche la Forza H viena a sua volta localizzata 30
miglia ad est di Minorca, con rotta 105° e velocità 20 nodi.
Sulla base di tale
avvistamento, Supermarina (che ha intercettato il segnale di scoperta del
ricognitore nemico, informando subito l’ammiraglio Iachino), ritenendo
improbabile che le forze italiane possano incontrare quelle britanniche entro
il 24, a meno di non uscire dal raggio di copertura della caccia aerea, ordina
a Iachino di tenersi ad est del meridiano 8° (salvo, per l’appunto, riuscire ad
incontrare la Forza H di giorno ed entro la zona protetta dalla caccia
italiana) e di rientrare nel Tirreno dopo aver appoggiato la ricognizione che
l’VIII Divisione è stata mandata a svolgere nelle acque di Capo Serrat e
dell’isola di La Galite; ordina poi alla III ed alla IX Divisione di trovarsi
alle dieci del mattino del 25 agosto a 28 miglia per 150° da Capo Carbonara,
per ripetere la manovra del 24. Alle 17.20 le forze britanniche vengono
avvistate da un altro ricognitore trenta miglia a sudest di Maiorca, il che
conferma che un incontro per il 24 non sarebbe possibile, mentre sarebbe probabile
il giorno seguente.
25 agosto 1941
In mattinata, dato
che la ricognizione aerea (che si spinge fino al 3° meridiano) non trova
traccia della Forza H, ed il traffico radio britannico sta tornando ai ritmi
usuali, Supermarina decide di far rientrare alle basi le proprie forze navali;
alle 13.35, di conseguenza, l’ammiraglio Iachino riceve ordine di rientrare a
Napoli. La sera del 25 si viene a sapere che all’alba la Forza H è stata
avvistata ormai già in acque spagnole, tra Sagunto e Valencia, prima con rotta
nord e poi diretta verso sud, accompagnata da numerosi velivoli. Più tardi è
stata vista a sud di Capo Sant’Antonio e si sono sentite molte cannonate,
probabilmente dovute ad esercitazioni di tiro.
Nel corso
dell’operazione, per due volte la III Divisione ha avvistato sommergibili
nemici.
26 agosto 1941
Alle 5.54 il
sommergibile britannico Triumph (capitano
di fregata Wilfrid John Wentworth Woods), in agguato a nord di Messina, avverte
rumori piuttosto forti di scoppi di bombe di profondità, che sembrano
avvicinarsi; sei minuti dopo, in posizione 38°22’ N e 15°38’ E, il Triumph avvista verso nordovest un
folto gruppo di navi italiane: essendo la luce ancora insufficiente, ed il
periscopio d’osservazione fuori uso, Woods ci mette qualche minuto prima di
riuscire a discernere la tipologia di navi nel periscopio, “tre corazzate od
incrociatori, scortati da circa dieci cacciatorpediniere”. Si tratta della III
Divisione e dei relativi cacciatorpediniere, che si apprestano ad imboccare lo
stretto di Messina, di rientro dalla missione.
Il Triumph inizia la manovra di
attacco alle 6.11, ed alle 6.38, poco a nord dello stretto, lancia due siluri
da 4850 metri di distanza, contro il Bolzano,
per poi scendere a 24 metri di profondità ed assumere rotta nord, per
allontanarsi dalla posizione del lancio.
Uno dei siluri, circa
tre minuti dopo il lancio, raggiunge il bersaglio, colpendo il Bolzano a poppa dritta; 8 uomini
rimangono uccisi e 22 sono feriti, e l’incrociatore imbarca 2000 tonnellate
d’acqua, restando fortemente appoppato.
Assistito da due
rimorchiatori, il Bolzano riuscirà
faticosamente a raggiungere Messina alle 10.55, mentre il
cacciasommergibili Albatros e
la vecchia torpediniera Giuseppe
Missori vengono inviati a dare la caccia al sommergibile, senza
risultato.
Il resto della III
Divisione giunge anch’esso a Messina il 26 mattina.
3 settembre 1941
Nelle prime ore del
mattino Ascari e Lanciere vengono inviati ad assumere la scorta del
cacciatorpediniere Dardo (capitano di
corvetta Ferdinando Corsi) e della motonave Francesco
Barbaro (comandante militare capitano di fregata Martini, comandante civile
capitano Zagabia), che quest’ultimo sta rimorchiando verso Messina. Alcune ore
prima, un attacco di aerosiluranti britannici contro un convoglio diretto in
Libia ha affondato la motonave Andrea
Gritti (con 347 vittime tra i 349 uomini presenti a bordo) e danneggiato
gravemente la Barbaro, colpita a
poppa da un siluro.
Ascari e Lanciere raggiungono
Dardo e Barbaro verso le 9 del mattino, iniziando subito un’alacre opera di
protezione, zigzagando attorno alle due navi che, date le condizioni della Barbaro, il vento ed il mare avversi che
intralciano il rimorchio, procedono a bassissima velocità. Nel cielo della
formazione, quale scorta aerea, volano due caccia ed un idrovolante.
Poco più tardi la
scorta viene rafforzata dal cacciasommergibili Albatros e poi anche dal
cacciatorpediniere Carabiniere,
mentre nel pomeriggio sopraggiungono anche i rimorchiatori Titano e Porto Recanati,
inviati a dare assistenza al Dardo
nel rimorchio (verso le 16.30 quest’ultimo, senza fermarsi, passa un cavo
d’acciaio anche al Titano,
permettendo di aumentare un po’ la velocità del rimorchio).
Alle 18.30 (o 19) la Barbaro e la sua nutrita scorta riescono
infine a raggiungere la rada di Messina.
22 settembre 1941
Alle 18 l’Ascari (capitano di fregata Marco
Calamai) lascia Augusta insieme ai gemelli Aviere (capitano di vascello Bigi), Lanciere (capitano di fregata Di Gropello), Carabiniere (capitano di fregata Sicco), Corazziere (capitano di vascello Paolo Melodia, caposquadriglia
della XII Squadriglia) e Camicia Nera
(capitano di fregata Garino).
Le quattro unità
della XII Squadriglia (Ascari, Lanciere, Corazziere, Carabiniere)
devono posare le mine dei campi minati offensivi «M 6» e «M 6 bis» (per i quali
è previsto in tutto l’impiego di 100 mine P 200 con dispositivo acustico ed
altrettante P 200 ad antenna) a sudest di Malta, mentre Aviere e Camicia Nera devono scortarli nell’operazione di posa.
Ciascuno dei cacciatorpediniere della XII Squadriglia ha imbarcato, prima di
partire, 25 mine tipo P 200 con dispositivo acustico (da regolare per una
profondità di 20 metri) e 25 mine tipo P 200 con antenna (da regolare per una
profondità di tre metri).
23 settembre 1941
Tra l’una di notte e
l’1.30 i sei cacciatorpediniere giungono nel punto convenzionale «M» designato
per l’inizio della posa, dopo aver ridotto la velocità a 10 nodi; a questo punto
la formazione si divide, con Corazziere
e Carabiniere che si dirigono verso
la zona dello sbarramento M 6, mentre Ascari
e Lanciere fanno rotta verso la zona
dello sbarramento M 6 bis.
All’1.24 il Lanciere è il primo ad iniziare la posa
delle sue 50 mine, che termina all’1.52. L’Ascari,
che lo segue, inizia all’1.55 e conclude alle 2.23; contestualmente, nell’altra
zona, il Carabiniere inizia all’1.35
e finisce alle 2.02, dopo di che il Corazziere
comincia alle 2.07 e termina alle 2.34. La posa avviene con rotte serpeggianti,
a grappoli, a cominciare dal cacciatorpediniere poppiero; le mine vengono
lanciate con intervalli di 18 secondi tra l’una e l’altra (corrispondenti ad
uno spazio di 90 metri), tra un grappolo e l’altro viene lasciato un intervallo
di 5 minuti e 15 secondi (corrispondenti a 1600 metri). Il primo ed il terzo
grappolo posato da ogni nave sono composti da 12 mine, il secondo ed il quarto
da 13.
Durante la posa si
verificano in tutto sette esplosioni accidentali di mine: tre all’1.55, due alle
2.17, due alle 2.27.
Terminata la posa, i
due gruppi si disimpegnano dal lato esterno rispetto a Malta, e fanno rotta
verso il punto di riunione, situato 20 miglia a sud-sud-est di Capo Passero,
avvistandosi vicendevolmente alle 6.59 al largo di Capo Murro di Porco.
Una volta riuniti in
un’unica formazione, i cacciatorpediniere proseguono verso nord; durante la
navigazione di rientro ricevono ordine di dirigere verso Taranto, dove arrivano
alle 17.25.
26-29 settembre 1941
Ascari, Lanciere, Carabiniere e Corazziere (la XII Squadriglia), insieme a Trento (nave ammiraglia dell’ammiraglio Bruno
Brivonesi), Trieste e Gorizia, partono alle 22 del 26 da
Messina per raggiungere ed attaccare un convoglio britannico diretto a Malta
(cisterna militare Breconshire e
mercantili Ajax, City of Calcutta, City of Lincoln, Clan Ferguson, Clan MacDonald, Imperial Star, Dunedin Star e Rowallan
Castle, con 81.000 tonnellate di rifornimenti) e scortato dalla Forza H
britannica con tre corazzate (Nelson, Rodney e Prince of Wales) ed una portaerei (Ark Royal), oltre a cinque incrociatori (Kenya, Edinburgh, Sheffield, Hermione ed Euryalus)
e 18 cacciatorpediniere (i britannici Cossack, Duncan, Farndale, Fury, Forester, Foresight, Gurkha, Heythrop, Laforey, Lance, Legion, Lively, Lightning, Oribi e Zulu, i polacchi Garland e Piorun e l’olandese Isaac Sweers) nell’ambito
dell’operazione britannica «Halberd». Da parte italiana, però, si ignora del
vero obiettivo dei britannici: i comandi italiani, dato che la ricognizione ha
avvistato solo parte delle navi nemiche, pensano che i britannici intendano
lanciare un bombardamento aeronavale contro le coste italiane, e al contempo
rifornire Malta di aerei.
III Divisione e XII
Squadriglia fanno rotta dapprima verso nord e poi verso ovest. L’ordine per le
forze italiane è di riunirsi a nord della Sardegna in una posizione difensiva,
e di non ingaggiare il nemico a meno di non essere in condizioni di netta
superiorità (precisamente: radunarsi alle 12 del 27 cinquanta miglia a sud di
Capo Carbonara per intercettare il convoglio intorno alle 15, ad est di La
Galite, e di attaccare solo se l’Aeronautica riuscirà a danneggiare almeno una
delle corazzate che saranno presumibilmente presenti).
Partono anche la VIII
(Attendolo, Duca degli Abruzzi) e la IX Divisione (Littorio, Vittorio
Veneto) rispettivamente da La Maddalena e Napoli, accompagnate
rispettivamente dalla X (Maestrale, Grecale, Scirocco) e dalla XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere e Gioberti)
e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere (Folgore, Da Recco, Pessagno).
A mezzogiorno del 27
la III, la VIII e la IX Divisione, con le rispettive squadriglie di
cacciatorpediniere, si riuniscono una cinquantina di miglia ad est di Capo
Carbonara, per intercettare il convoglio, poi dirigono verso sud (o sudest) a
24 nodi (altra fonte: rotta 244°, velocità 22 nodi; poi 210° per dirigere
incontro al nemico, alle 12.30 e 180° alle 13, per tagliare la rotta alle forze
britanniche, aumentando la velocità a 24 nodi) per l’intercettazione, con gli
incrociatori che precedono di 10.000 metri le corazzate. La III Divisione viene
posizionata a 10.000 metri per 210° dalla IX Divisione (dalla quale, a causa
della scarsa visibilità verso sudovest, risulta appena visibile, mentre la III
Divisione vede bene le corazzate di Iachino, riferendo però che la visibilità
verso sud è cattiva, dunque in caso d’incontro la Forza H vedrà la squadra
italiana prima che quest’ultima la possa vedere a sua volta), mentre l’VIII
prende posto a 10.000 metri per 240 da quest’ultima.
A mezzogiorno, dato
che la ricognizione ha avvistato una sola corazzata britannica ed una
portaerei, e che la Regia Aeronautica sta per attaccare in massa (gli
aerosiluranti italiani, al prezzo di sette velivoli abbattuti, riusciranno a
silurare e danneggiare la Nelson),
la flotta italiana viene autorizzata ad ingaggiare battaglia (Iachino riceve
libertà d’azione); alle 14 viene ordinato il posto di combattimento, e le
corazzate sono schierate nella direzione di probabile avvicinamento del nemico.
Quando però il contatto appare imminente, in seguito a nuove segnalazioni dei
ricognitori viene appreso che le forze britanniche ammontano in realtà a due
corazzate (in realtà tre), una portaerei e sei incrociatori, il che pone la
squadra italiana in condizioni di inferiorità rispetto alla forza britannica, e
per giunta la prima è sprovvista di copertura aerea (soltanto sei caccia, con
autonomia dalle basi non superiore a 100 km), mentre le navi italiane sono
tallonate da ricognitori maltesi dalle 13.07 (e più tardi, dalle 15.15 alle
17.50, da aerei dell’Ark Royal) ed
esposte ad attacchi di aerosiluranti lanciati dalla portaerei. Alle 14.30,
considerata la propria inferiorità numerica, la scarsa visibilità e la mancanza
di copertura, la squadra italiana inverte la rotta per portarsi fuori dal
raggio degli aerosiluranti nemici. Alle 15.30 sopraggiungono tre caccia
italiani FIAT CR. 42 assegnati alla scorta aerea, ma, per via della loro
somiglianza agli aerosiluranti britannici (sono anch’essi biplani), vengono
inizialmente scambiati per aerei inglesi ed il Fuciliere ne abbatte il capo pattuglia (il pilota sarà tratto
in salvo dal Granatiere), mentre
gli altri due si allontanano. Alle 17.18, avendo ricevuto comunicazioni secondo
cui la squadra britannica avrebbe subito pesanti danni (una corazzata e due
incrociatori silurati e daneggiati, un incrociatore affondato) a causa degli
attacchi aerei, la formazione italiana dirige nuovamente verso sud (prima stava
procedendo verso nord), salvo invertire nuovamente la rotta (dirigendo per
est-nord-est) alle 18.14, portandosi al centro del Mar Tirreno, come ordinato
da Supermarina perché ormai non è più possibile intercettare il convoglio prima
del tramonto. Alle otto del mattino del 28 le navi italiane attraversano il
canale di Sardegna e, come ordinato, raggiungono un punto 80 miglia ad est di
Capo Carbonara, poi fanno rotta per ovest-sud-ovest ma infine, alle 14.00, dato
che i ricognitori non trovano più alcuna nave nemica a sud ed ad ovest della
Sardegna (il convoglio è infatti passato) viene ordinato il rientro alle basi.
La III Divisione viene fatta dirigere su La Maddalena, dove giunge il
mattino del 29, per poi successivamente tornare a Messina.
16-19 dicembre 1941
Ascari, Aviere e Camicia Nera, insieme agli incrociatori
leggeri Muzio Attendolo, Raimondo Montecuccoli ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta (nave
di bandiera dell’ammiraglio De Courten), alla corazzata Duilio (nave di bandiera
dell’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante del gruppo), salpano da Taranto
alle 15 del 16 per costituire il gruppo di sostegno a due convogli diretti in
Libia (convoglio “N”: motonave Ankara,
cacciatorpediniere Saetta e
torpediniera Pegaso, dirette a
Bengasi; convoglio “L”: motonavi Vettor
Pisani, Monginevro e Napoli, cacciatorpediniere Vivaldi, Malocello, Da Recco, Da Noli, Pessagno e Zeno,
diretti a Tripoli) con 14.770 tonnellate di materiali e 212 uomini.
L’operazione, denominata «M 42», prevede anche un gruppo di appoggio composto
dalle corazzate Giulio Cesare, Andrea Doria e Littorio (nave di bandiera
dell’ammiraglio Angelo Iachino, comandante superiore in mare), dagli
incrociatori pesanti Trento e Gorizia (nave di bandiera
dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona, comandante della III Divisione) e
dai cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere, Corazziere, Fuciliere, Carabiniere, Alpino, Oriani, Gioberti ed Usodimare, nonché ricognizione e scorta
aerea assicurata dalla Regia Aeronautica e dalla Luftwaffe, l’invio dei
sommergibili Topazio, Santarosa, Squalo, Ascianghi, Dagabur e Galatea in agguato nel Mediterraneo centro-orientale, e la
posa di ulteriori campi minati al largo della Tripolitania.
Gli ordini per il
gruppo di sostegno, del quale l’Ascari fa
parte, sono di tenersi ad immediato contatto col convoglio fino alle otto del
mattino del 18, poi spostarsi verso est in modo da poter intervenire in caso di
minaccia navale proveniente da Malta.
Già prima della
partenza, i comandi italiani e l’ammiraglio Iachino sono stati informati
dell’avvistamento alle 14.50, da parte di un ricognitore tedesco, di una
formazione britannica che comprende una corazzata. In realtà, di corazzate
britanniche in mare non ce ne sono: il ricognitore ha scambiato per corazzata
la nave cisterna militare Breconshire,
partita da Alessandria per Malta con 5000 tonnellate di carburante destinato
all’isola, con la scorta degli incrociatori leggeri Naiad, Euryalus e Carlisle e dei
cacciatorpediniere Jervis, Havock, Hasty, Nizam, Kimberley, Kingston, Kipling e Decoy, il tutto sotto il comando
dell’ammiraglio Philip L. Vian. Comunque, Supermarina decide di procedere
egualmente con l’operazione, sia per via della disperata necessità di far
arrivare rifornimenti in Libia al più presto, sia perché la formazione italiana
è comunque molto più potente di quella avversaria. Convoglio e gruppo di
sostegno procedono dunque lungo la rotta prestabilita.
Poco prima di
mezzanotte, il sommergibile britannico Unbeaten avvista
parte delle unità italiane e ne informa il comando britannico; quest’ultimo ne
è in realtà già al corrente grazie alle decrittazioni di “ULTRA”, che tra il 16
ed il 17 dicembre forniscono a più riprese molte informazioni su mercantili,
scorte dirette ed indirette (compresa la presenza in mare della VII Divisione,
con “probabilmente” Attendolo e Duca d’Aosta, a protezione del
convoglio), porti ed orari di partenza e di arrivo. I comandi britannici,
tuttavia, non si trovano in condizione di poter organizzare un attacco contro
il convoglio italiano.
Nel tardo pomeriggio
del 17 dicembre il gruppo «Littorio» si scontra con la scorta della Breconshire, in un breve ed inconclusivo
scambio di colpi chiamato prima battaglia della Sirte. Iniziato alle 17.23, lo
scontro si conclude già alle 18.10, senza danni da ambo le parti; Iachino,
ancora all’oscuro dell’invio a Malta della Breconshire e convinto che navi da battaglia britanniche siano
in mare, attacca gli incrociatori di Vian per tenerli lontani dal suo convoglio
(ritiene infatti che gli incrociatori britannici siano lì per attaccare i
mercantili italiani, mentre in realtà non vi è alcun tentativo del genere da
parte britannica) e rompe il contatto al crepuscolo, per evitare un
combattimento notturno, per il quale la flotta italiana non è preparata.
Alle 17.56, per
evitare un pericoloso incontro del convoglio con unità di superficie britanniche
(si crede ancora che in mare ci siano una o più corazzate britanniche), il
convoglio ed il gruppo di sostegno accostano ad un tempo ed assumono rotta
nord, sulla quale rimangono fino alle 20 circa; poi, in base a nuovi ordini
impartiti da Iachino (e per non allontanarsi troppo dalla zona di
destinazione), manovrano per conversione di 20° per volta (in modo da mantenere
per quanto possibile la formazione, in una zona ad elevato rischio di attacchi
aerei) ed effettuano un’ampia accostata sino a rimettere la prua su Misurata.
Convoglio e gruppo di sostegno sono “incorporate” in un’unica complessa
formazione (i mercantili su due colonne, con Pisani in posizione avanzata a sinistra, Monginevro in posizione avanzata a
dritta, seguite rispettivamente da Ankara e Napoli, il Vivaldi in testa, Da
Noli e Malocello rispettivamente
30° di prora a dritta e sinistra di Pisani e Monginevro, Zeno e Da Recco 70°
di prora a dritta e sinistra di Pisani e Monginevro, Saetta a sinistra della Pisani e Pessagno a
dritta della Napoli; seguite dal
gruppo di sostegno su due colonne, con Duca
d’Aosta seguito da Attendolo e Camicia Nera a sinistra, Duilio seguita da Montecuccoli ed Aviere a dritta, più Pigafetta a sinistra di Aosta
ed Attendolo e Carabiniere a dritta di Duilio e Montecuccoli), il che fa sì che occorra più del previsto perché la
formazione venga riordinata sulla rotta 210°: ciò accade alle 22 del 17.
Durante la notte il
convoglio, che avanza a 13 nodi, viene avvistato da ricognitori nemici, ma non
subisce attacchi.
Poco prima dell’alba
del 18, i cacciatorpediniere Granatiere e Corazziere entrano in collisione,
distruggendosi a vicenda la prua; gli incrociatori della VII Divisione prestano
loro soccorso. Alle 13 la Duilio si
riunisce al gruppo «Littorio», lasciando la VII Divisione a protezione
immediata dei mercantili. Il convoglio «N» dirige per Bengasi, mentre il
convoglio «L» prosegue per Tripoli con la scorta e diretta e, fino al tramonto,
anche quella della VII Divisione. Calato il buio, anche la VII Divisione lascia
il convoglio per rientrare a Taranto.
Alle 16.15 del 19
dicembre il sommergibile britannico P
31 (tenente di vascello John Bertram de Betham Kershaw) avvista un
aereo, e poi, alle 16.32, un cacciatorpediniere che emette una cortina fumogena
a 8230 iarde per 135°; iniziata la manovra d’avvicinamento, alle 16.40 avvista
due grandi navi ad il fumo di una terza a 8230 iarde per 151°. Dopo sei minuti
di avvicinamento ad alta velocità, il P 31 avvista quattro
cacciatorpediniere; alle 16.48 nota che le navi avvistate cambiano rotta,
venendosi così a trovare a 25° di loro prora sinistra. I cacciatorpediniere
procedono a zig zag ad alta velocità; le grandi navi (gli incrociatori della
VII Divisione) vengono scambiate per corazzate. Alle 16.52 il sommergibile scende
temporaneamente a 15 metri per evitare un cacciatorpediniere, che passa sulla
sua verticale senza notarlo, ed alle 16.54 torna a quota periscopica e, vedendo
che le navi italiane hanno nuovamente mutato rotta, cambia rotta a sua volta.
Alle 16.58, in posizione 39°05’ N e 17°31’ E, il P 31 lancia quattro
siluri da 915 metri, contro uno degli incrociatori; subito dopo scende in
profondità ed inizia la manovra per allontanarsi. Il Montecuccoli avvista le scie dei siluri (crede addirittura di
vederne cinque, una in più del numero di siluri effettivamente lanciati), che
lo mancano; l’Attendolo getta
subito in mare alcune bombe di profondità a scopo intimidatorio, e lo stesso
fanno i cacciatorpediniere, lanciandone in tutto 27 (nonostante non ci sia un
tentativo di localizzare ed attaccare il sommergibile, Kershaw noterà che la
seconda scarica di bombe è esplosa piuttosto vicina, anche se non tanto da
arrecare danni).
La VII Divisione
giunge a Taranto la sera del 19; il convoglio raggiungerà indenne Tripoli lo
stesso giorno, nonostante alcuni attacchi aerei britannici.
22-24 gennaio 1942
L’Ascari parte da Taranto alle 17 del
22 gennaio insieme ai cacciatorpediniere Oriani, Scirocco e Pigafetta (che con esso formano la
XV Squadriglia Cacciatorpediniere, al comando del capitano di vascello Enrico
Mirti della Valle imbarcato sul Pigafetta)
ed alla corazzata Duilio (gruppo
«Duilio», al comando dell’ammiraglio di divisione Carlo Bergamini imbarcato
sulla corazzata omonima, comandante superiore in mare) per fornire protezione
ravvicinata all’operazione «T. 18», che prevede l’invio a Tripoli di un
convoglio formato dalla motonave passeggeri Victoria, salpata da Taranto con 1125 soldati a bordo, e dalle
moderne motonavi da carico Ravello, Monviso, Monginevro e Vettor Pisani, partite da Messina con circa
15.000 tonnellate di rifornimenti, il tutto con la scorta diretta di Vivaldi, Malocello, Da Noli, Aviere, Geniere e Camicia
Nera nonché delle torpediniere Castore ed Orsa.
La Victoria salpa insieme al gruppo «Duilio»,
che con essa forma il convoglio numero 2 (del quale è capo scorta il Pigafetta: la XV Squadriglia ne è la
scorta diretta), mentre il convoglio 1 si forma in mare con l’unione delle
quattro motonavi da carico, salpate in precedenza da Napoli e Messina, scortate
dal gruppo «Vivaldi» (contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone) che conta sui
cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (nave
ammiraglia di Nomis di Pollone), Antonio
Da Noli e Lanzerotto
Malocello della XIV Squadriglia, Aviere (caposquadriglia), Geniere e Camicia
Nera della XI Squadriglia (capitano di vascello Luciano Bigi sull’Aviere), sulla torpediniera Castore (capitano di corvetta
Congedo) e sulla torpediniera di scorta Orsa (capitano di corvetta Eugenio Henke). Prima del gruppo «Duilio»
è già salpato da Taranto, alle 11 del 22, il gruppo «Aosta» (ammiraglio di
divisione Raffaele De Courten sul Duca
d’Aosta), con gli incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, Muzio Attendolo e Raimondo
Montecuccoli della VII Divisione ed i cacciatorpediniere Bersagliere, Carabiniere, Fuciliere ed Alpino della XIII Squadriglia
(capitano di vascello Ferrante Capponi sull’Alpino).
Inoltre nove sommergibili sono stati inviati in agguato ad est di Malta e tra
Creta e l’Egitto occidentale, mentre la Regia Aeronautica e la Luftwaffe
forniscono copertura aerea con ricognitori, aerei antisommergibili e
soprattutto caccia, i quali di giorno saranno sempre presenti sopra le navi
italiane.
I convogli numero 1
(privato della Ravello,
rientrata a Messina per problemi al timone, ed unitosi al gruppo «Aosta» nel
pomeriggio del 22) e 2 (che procede a 19 nodi) seguono rotte che, prima e dopo
la riunione, li fanno passare a 190 miglia da Malta, dieci miglia in più di
quello che si ritiene essere il massimo raggio operativo degli aerosiluranti
basati in quell’isola e nella Cirenaica (stime che però si riveleranno
inesatte, causa l’avanzata britannica in quei territori); si prevede che la
sera del 23 le navi, riunite in un unico convoglio, accosteranno per Tripoli,
sempre mantenendosi ai margini del cerchio di 190 miglia di raggio con centro
su Malta.
La Royal Navy,
informata dai decrittatori di “ULTRA” che «un importante convoglio diretto a
Tripoli dall’Italia e coperto dalla flotta sarà in mare oggi [22 gennaio], così
come il 23 e il 24 gennaio» (il giorno seguente “ULTRA” riesce a fornire ai
comandi britannici informazioni più dettagliate, sebbene meno del solito,
indicando che un «importante convoglio» è partito dall’Italia per Tripoli con
probabile arrivo il giorno 24, e che, sebbene la sua esatta composizione non
sia nota, probabilmente esso comprende la Victoria con mille soldati e la motonave Vettor Pisani partita da Messina il 22 mattina, il tutto coperto «da
un certo numero delle principali unità della Marina italiana»), ha disposto
numerosi sommergibili in agguato nel Golfo di Taranto; nel primo pomeriggio del
22 la VII Divisione viene avvistata da due o tre sommergibili britannici, che
segnalano l’avvistamento ai rispettivi comandi. Le basi britanniche a Malta ed
in Egitto e Cirenaica sono poste in allarme, e vengono inviati dei ricognitori
per appurare rotta, velocità e composizione delle forze italiane.
Il gruppo «Duilio»
viene avvistato il 22 sera dal ricognitore «B6KT»: i suoi messaggi vengono però
subito intercettati e decifrati dai decrittatori imbarcati sulla Duilio, permettendo all’ammiraglio
Bergamini di apprendere che il suo gruppo era stato avvistato. Il ricognitore
britannico rimane in contatto con il gruppo di Bergamini in modo da poter
raccogliere informazioni più precise e dettagliate, e poco dopo mezzanotte
invia un secondo segnale più particolareggiato, anch’esso intercettato e
decifrato dalla Duilio; alle
00.47 lancia una cortina di bengala su uno dei lati del gruppo «Duilio», poi si
porta sul lato opposto in modo da poter contare una per una le navi che lo
compongono, le cui sagome sono ora chiaramente visibili nel controluce generato
dai bengala; solo a questo punto, inviato a Malta un ulteriore messaggio ancora
più ricco di dettagli, il ricognitore si allontana.
Il 23 mattina, mentre
sul cielo della formazione giungono i primi bombardieri tedeschi Junkers Ju 88
della scorta aerea, compaiono nuovamente i ricognitori britannici: restando
molto lontani sia dalle navi italiane che dagli aerei tedeschi, non vengono attaccati
ed inviano alle loro basi ulteriori informazioni, con crescente precisione,
sulle navi del convoglio, senza che né le ripetute variazioni di rotta da parte
di Victoria e Duilio, né la doppia inversione di
marcia del gruppo «Aosta» possano trarli in inganno.
Alle 15 del 23 i
convogli 1 e 2, in ritardo piuttosto considerevole rispetto al previsto, si
riuniscono in una posizione prossima a quella prestabilita; le motonavi si
dispongono su due colonne di due navi ciascuna (con la Victoria, capoconvoglio, in testa alla
colonna sinistra). La XI e XIV Squadriglia Cacciatorpediniere si posizionano a
scorta diretta intorno ai mercantili, mentre la Duilio e la VII Divisione si portarono ai lati del convoglio;
il complesso navale assume una velocità di 14 nodi, sempre pedinato dai
ricognitori nemici (uno dei quali appare alle 15.55 volando a bassissima quota,
procedendo ad est delle navi italiane e mantenendo il contatto da circa 20 km
di distanza). Sia l’ammiraglio Bergamini che l’ammiraglio De Courten hanno l’impressione
che gli aerei provengano dalla Cirenaica.
Alle 16.16 ebbero
cominciano gli attacchi aerei: dapprima alcune bombe di piccolo calibro mancano
di poco la Victoria, che non
subisce danni, poi la VII Divisione viene bombardata con ordigni di maggiore calibro,
ma la sua reazione contraerea respinge l’attacco senza danni. Ritenendo
insufficiente la scorta aerea di nove bombardieri tedeschi Ju 88 presente sopra
il convoglio, l’ammiraglio Bergamini chiede via radio al comando della
Luftwaffe della Sicilia – primo caso di comunicazione radio diretta effettuata
con successo tra i comandi navali ed aerei italo-tedeschi – l’invio di altri
aerei in rinforzo alla scorta; giungono perciò altri tre Ju 88, che
rafforzarono la scorta aerea.
Alle 17.25 vengono
avvistati altri tre velivoli britannici: provenienti dalla direzione del sole
ormai prossimo a tramontare, si avvicinano con decisione al convoglio volando
bassi, divenendo presto oggetto di violento fuoco contraereo da parte delle
torpediniere che si trovano su quel lato del convoglio; poi, giunti a più di un
chilometro dalle siluranti ed ad oltre tre dalla Victoria, cabrano ed invertirono la rotta, gettando in mare il
carico offensivo, senza che gli Ju 88 riescano ad evitarlo.
Agli uomini a bordo
delle siluranti della scorta, che hanno negli occhi la luce del sole basso che
impedisce di vedere bene, i tre aerei attaccanti sono sembrati dapprincipio dei
bombardieri, e si pensa che abbiano rinunciato ad attaccare, gettando in mare
per alleggerirsi quelle che sembrano bombe; ma in realtà sono aerosiluranti
Bristol Beaufort del 39th Squadron della Royal Air Force, decollati da Berka
(Bengasi), e dopo 60-90 secondi, il Vivaldi avvista
le scie di due siluri, che evita passandoci in mezzo, ordinado al contempo ai
mercantili di accostare d’urgenza di 90° a dritta, ma non tutti comprendono
bene l’ordine. Quelli che erano stati scambiati per bombardieri, erano in
realtà aerosiluranti.
Alle 17.30 un siluro
colpisce a poppa la Victoria,
sul lato dritto, lasciandola immobilizzata e leggermente appoppata, mentre a
dritta del convoglio, gli Ju 88 attaccano ed abbattono uno degli aerei
britannici.
Subito dopo il
siluramento, parte degli uomini imbarcati sulla Victoria iniziano a gettarsi in mare, e vengono rapidamente
calate una decina di scialuppe.
Attorno alla motonave
danneggiata, per ordine diramato dal Vivaldi alle
17.35, si fermano dapprima l’Aviere ed
il Camicia Nera (capitano
di fregata Adriano Foscari) e poi, dopo aver salvato l’equipaggio del velivolo
britannico abbattuto, anche l’Ascari (capitano
di fregata Guerra). Aviere e Camicia Nera iniziano a recuperare
naufraghi dal mare e dalle lance.
Il resto del
convoglio (Duilio, VII
Divisione, Monviso, Monginevro e Vettor Pisani), per non esporsi inutilmente ad ulteriori attacchi,
prosegue nella navigazione: ad assistere la Victoria rimangono Ascari,
Aviere e Camicia Nera, sotto il comando del
capitano di vascello Bigi dell’Aviere.
I naufraghi sono
sparpagliati in un’area molto vasta, che continua ad ingrandirsi a causa del
continuo scarrocciamento della nave danneggiata; il mare è molto mosso, l’acqua
estremamente fredda e sta per calare il buio, che renderebbe molto più
difficile avvistare i naufraghi, pertanto viene data la priorità al salvataggio
di quanti si trovano in acqua. Per quelli che sono ancora a bordo della Victoria, non potendoli trasferire sui
cacciatorpediniere con le imbarcazioni – già tutte impegnate nel salvataggio
degli uomini in mare –, il comandante dell’Aviere
si affianca alla motonave con la sua unità ed ordina all’Ascari di fare altrettanto, mentre al Camicia Nera impartisce l’ordine di
continuare a raccogliere gli uomini in mare e sulle lance.
L’Ascari completa la manovra per
primo; subito gli uomini sulla Victoria iniziano
a calarsi lungo i penzoli delle imbarcazioni fin sulla sua coperta. L’Aviere sta a sua volta per
terminare l’attraccaggio quando, alle 18.40, vengono avvistati due
aerosiluranti, provenienti dal settore più scuro dell’orizzonte, che si avvicinano
decisi per attaccare, volando bassissimi sul mare. Aviere e Camicia
Nera aprono il fuoco sia con le mitragliere che con i cannoni da 120
mm ed accelerano fino alla massima velocità per portarsi tra gli aerei e la
nave danneggiata; giunti a 1500 metri dalla Victoria, i due velivoli sganciano altrettanti siluri, poi
cabrarono per allontanarsi: l’Ascari,
che ha a sua volta aperto il fuoco, riesce a centrarne uno, che precipita in
fiamme. Entrambi i siluri mancano il bersaglio, ma alle 18.45 altri due
aerosiluranti – dei Fairey Albacore dell’826th Squadron della
Fleet Air Arm, provenienti dall’aeroporto di Berka, situato vicino a Bengasi –
appaiono dalla stessa direzione. Uno viene abbattuto dall’Aviere, ma l’altro riesce a lanciare: stavolta il siluro esplode a
centro nave, sotto la chiglia. La Victoria
inizia ad affondare.
Ascari, Aviere e Camicia Nera si avvicinano subito
al trasporto truppe, che ormai ha il ponte di coperta appena pochi metri sopra
la superficie del mare e sta lentamente appoppandosi, sbandando a sinistra. Un
quarto d’ora dopo essere stata colpita la seconda volta, alle 19 del 23
gennaio, la Victoria solleva la prua
verso il cielo e s’inabissa nel punto 33°30’ N e 17°41’ (o 17°40’) E.
Ascari, Aviere e Camicia Nera setacceranno il mare fino
alle 00.30 del 24 gennaio, cercando di salvare quanti più uomini possibile.
Quando non si vede più nessuno in mare, né si sentono voci di naufraghi
provenire dal buio della notte, i tre cacciatorpediniere fanno rotta su Tripoli,
dopo aver salvato 1046 uomini tra ufficiali, marinai e soldati; le vittime sono
invece tra le 350 e le 409.
Sbarcati i naufraghi
a Tripoli, Ascari, Aviere e Camicia Nera ripartono alle 18 di quello stesso giorno per tornare
in Italia.
21 febbraio 1942
L’Ascari esce in mare insieme ad Aviere, Geniere e Camicia Nera
ed alla corazzata Duilio, per fornire
scorta indiretta ai convogli in mare nell’ambito dell'operazione «K. 7»,
consistente nell’invio in Libia di due convogli per totali sei mercantili
(carichi complessivamente di 11.559 tonnellate di materiali vari, 15.447 tonnellate
di carburanti e lubrificanti, 2511 tonnellate di munizioni ed artiglierie, 113
carri armati, 575 veicoli e 405 uomini), scortati da dieci
cacciatorpediniere e due torpediniere. L’Ascari,
gli altri cacciatorpediniere e la Duilio
formano il gruppo «Duilio» (ammiraglio di squadra Carlo Bergamini), uno dei due
gruppi di scorta indiretta; l’altro gruppo è il «Gorizia» (ammiraglio di
divisione Angelo Parona), formato dagli incrociatori pesanti Trento e Gorizia, dall’incrociatore leggero Bande Nere e cacciatorpediniere Alpino, Oriani e Da Noli.
22 febbraio 1942
All’alba il gruppo «Duilio»
raggiunge convoglio n. 1 (motonavi Monginevro,
Unione e Ravello, provenienti da Messina scortate
dai cacciatorpediniere Ugolino
Vivaldi, Lanzerotto Malocello, Nicolò Zeno, Premuda e Strale e
dalla torpediniera Pallade), già
sotto la protezione del gruppo «Gorizia» che l’ha raggiunto il giorno
precedente. Il gruppo «Duilio» segue il resto delle navi italiane a breve
distanza.
Più tardi, intorno
alle 12.45, 180 miglia ad est di Malta, al convoglio n. 1 si accoda – con una
manovra piuttosto lenta – il convoglio n. 2 (motonavi Monviso e Lerici,
nave cisterna Giulio Giordani,
cacciatorpediniere Maestrale, Scirocco, Antonio Pigafetta, Emanuele
Pessagno ed Antoniotto
Usodimare, torpediniera Circe),
salpato da Corfù. La formazione assume rotta 184° e velocità 14 nodi; sin dalla
prima mattina (e fino alle 19.45) volano sul suo cielo aerei tedeschi Junkers
Ju 88 e Messerschmitt Bf 110 decollati dalla Sicilia per la sua scorta.
Dalle prime ore del
mattino compaiono anche ricognitori britannici, che segnalano il convoglio agli
aerei di base a Malta; tra le 14 e le 16 si verifica un attacco aereo, che i
velivoli della Luftwaffe respingono, abbattendo tre degli aerei attaccanti ed
impedendo agli altri di portare a fondo l’attacco (tranne un Boeing B 17 che
lancia delle bombe di piccolo calibro contro la Duilio, senza colpirla). Quando l’ammiraglio Bergamini chiede altri
aerei mediante il collegamento radio diretto, la richiesta viene prontamente
soddisfatta.
La sera del 22, in
base agli ordini ricevuti, il gruppo «Duilio» lascia i convogli, che proseguono
con la scorta diretta ed il gruppo «Gorizia». Arriveranno tutti a Tripoli l’indomani,
senza subire perdite ed affondando anzi il sommergibile britannico P 38.
7 marzo 1942
L’Ascari salpa da Taranto alle 18.30
assieme agli incrociatori leggeri Giuseppe
Garibaldi (nave ammiraglia dell’ammiraglio di divisione Raffaele De
Courten), Eugenio di Savoia e Raimondo Montecuccoli ed i
cacciatorpediniere Aviere, Geniere, Oriani e Scirocco,
formando il gruppo scorta dei tre convogli in mare (numero 1, da Brindisi: motonavi Nino Bixio e Reginaldo Giuliani, cacciatorpediniere Antonio Pigafetta, torpediniera Aretusa;
numero 2, da Messina: motonave Gino
Allegri, cacciatorpediniere Bersagliere ed Antonio Da Noli; numero 3, da Napoli:
motonave Monreale,
cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi e Fuciliere, torpediniere Circe e Castore) nell'ambito dell'operazione di traffico «V 5».
8 marzo 1942
Alle 9.45 il gruppo
di scorta dell’ammiraglio De Courten raggiunge i tre convogli, che nel
frattempo sono confluiti in un unico grande convoglio che procede verso sud a
15 nodi, seguendo una rotta che lo porti a passare a circa 190 miglia da Malta;
sin dalla prima mattina è presente una scorta aerea con due bombardieri
italiani CANT Z. 1007 e sei tra Junkers Ju 88 e Messerschmitt Bf 110 tedeschi.
Durante la navigazione diurna il gruppo di scorta naviga di poppa al convoglio,
mentre con il crepuscolo si “incorpora” ad esso.
9 marzo 1942
Giunte le navi al
largo di Ras Cara, a giorno fatto, il gruppo di scorta lascia il convoglio e si
posiziona in modo da coprirlo da eventuali, improbabili, attacchi di navi di
superficie.
Alle 7.30 il
convoglio ne incrocia un altro partito da Tripoli alle 21 della sera precedente
(lo compongono le motonavi Unione, Lerici e Ravello e la petroliera Giulio Giordani, con la scorta del cacciatorpediniere Strale e delle torpediniere Cigno e Procione) per tornare in Italia: come pianificato in
precedenza, Scirocco e Pigafetta lasciano la scorta del
convoglio diretto a Tripoli (che vi giungerà indenne in serata) per unirsi a
quella del convoglio di ritorno. Anche il gruppo «Garibaldi» di De Courten
assume la scorta di tale convoglio.
Durante la mattinata
i decrittatori imbarcati sul Garibaldi avvisano
che la formazione italiana è stata avvistata da aerei britannici, che inviano
vari messaggi sulla sua posizione; l’ammiraglio De Courten, ritenendo prossimi
degli attacchi da parte di aerei decollati da Malta, ordina al convoglio ed al
gruppo di scorta di dirottare verso est per allontanarli dall’isola.
Ma gli aerei
attaccanti, degli aerosiluranti Bristol Beaufort decollati proprio da Malta,
riescono egualmente a raggiungere il convoglio, e lo attaccano tra le 16.40 e
le 17.20, in un momento in cui la scorta aerea (presente sulle navi in maniera
pressoché continua) è molto ridotta. L’attacco fallisce però completamente:
nessuna nave è danneggiata.
Da Alessandria, in
seguito all’errata notizia che uno degli incrociatori leggeri italiani sarebbe
stato silurato e danneggiato dai Beaufort, esce per intercettarlo una
formazione al comando del viceammiraglio Philip Vian. Le navi britanniche non
solo non troveranno nulla, ma subiranno anche, durante la navigazione di rientro,
la perdita dell’incrociatore leggero Naiad,
ammiraglia di Vian, affondato dal sommergibile tedesco U 565.
Nella notte seguente
il convoglio (al quale si è di nuovo “incorporato” il gruppo scorta) viene più
volte sorvolato da bengalieri che la illuminano a più riprese tra l’una e le
tre richiamando gli aerei di base nella Marmarica, ma di nuovo non si subiscono
danni: il primo gruppo di aerei inviati all’attacco non riesce a trovare, nel
buio, le navi italiane; del secondo, composto da 20 bombardieri Vickers
Wellington, solo in tre rintracciano il convoglio, ma nemmeno le loro bombe
vanno a segno.
10 marzo 1942
I ricognitori nemici
sono sempre presenti, ma non si verificano altri attacchi aerei.
11 marzo 1942
Alle tre di
notte Giordani, Lerici, Scirocco, Pigafetta, Cigno ed Aretusa (Unione, Strale e Procione si sono invece separate per raggiungere Brindisi)
entrano a Taranto senza danni, precedute di poco dal gruppo scorta di De
Courten.
21 marzo 1942
A mezzanotte l’Ascari lascia Taranto insieme ad Aviere, Oriani e Grecale ed
alla corazzata Littorio (nave
ammiraglia dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante superiore in
mare), per partecipare all’intercettazione del convoglio britannico «M.W. 10»
diretto a Malta (formato dalla cisterna militare Breconshire e dai piroscafi Clan Campbell, Pampas e Talbot, scortati dagli incrociatori
leggeri Dido, Euryalus, Cleopatra e Carlisle e
dai cacciatorpediniere Hasty, Havock, Hero, Sikh, Zulu, Lively, Jervis, Kelvin, Kingston, Kipling, Avon Vale, Dulverton, Beaufort, Eridge, Southwold e Hurworth).
L’Ascari e le altre unità partite da
Taranto formano uno dei due gruppi usciti in mare per tale missione; l’altro
gruppo, denominato «Gorizia», parte invece da Taranto ed è composto dalla III
Divisione Navale (incrociatori pesanti Trento
e Gorizia, incrociatore leggero Bande Nere; comandante l’ammiraglio di
divisione Angelo Parona, con bandiera sul Gorizia)
e dalla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (Fuciliere, Bersagliere, Lanciere, Alpino).
22 marzo 1942
Alle 14.23 il gruppo
«Gorizia» avvista le navi nemiche, su rilevamento 185° (a 23.000 m)-170°-160°,
ed inizia l’avvicinamento, con un’accostata per 250°.
Gli incrociatori
britannici dirigono contro quelli italiani per difendere il convoglio, e la III
Divisione, come precedentemente stabilito, fa rotta verso nord per attirarli
verso il gruppo «Littorio». Inizia lo scambio di colpi tra gli incrociatori
(quelli italiani aprono il fuoco alle 14.35, quelli britannici alle 14.56), e
le navi britanniche accostano prima ad est, poi a sud e poi di nuovo ad ovest,
per non allontanarsi dal convoglio; il gruppo «Gorizia» le asseconda,
continuando a sparare ed a tenere il contatto, e quando le unità nemiche
accostano di nuovo verso nord cerca di nuovo di portarle verso il gruppo «Littorio»,
cui si unisce alle 15.23. Alle 15.20, frattanto, gli incrociatori britannici
accostano di nuovo verso sud per riunirsi al convoglio.
Alle 16.31 la squadra
italiana, ora riunita, avvista di nuovo quella britannica per rilevamento 210°,
quindi accosta in successione per 90°, per 290° e per 270°, ed alle 16.43 si
apre il fuoco da entrambe le parti. Le navi italiane danneggiano l’incrociatore
britannico Cleopatra, che
ripiega coperto da cortine nebbiogene, poi sospendono il fuoco alle 16.52 e lo
riprendono alle 17.03, per poi cessarlo alle 17.11. Alle 17.18 la formazione
italiana accosta per 240° ed alle 17.25 per 250°, riducendo la velocità a 20
nodi, per accerchiare la forza nemica da ovest, poi, alle 17.31, vira verso sud
assumendo rotta 200° per ridurre le distanze. Si riprende il fuoco, ed il
cacciatorpediniere britannico Havock è
colpito; il tiro viene più volte sospeso e ripreso, anche in conseguenza della
pessima visibilità causata dal maltempo. Alle 17.56 le navi italiane, per
ridurre il violento rollio causato dalla tempesta ed al contempo evitare di
modificare l’orientamento rispetto al nemico, accostano ad un tempo per 250°,
ed alle 18.10 assumono rotta 280°, allontanandosi dalle navi britanniche. Viene
cessato il fuoco, ma le navi britanniche si avvicinano ed attaccano,
infruttuosamente, con i siluri, per poi ripiegare verso est. Alle 18.20 la
squadra italiana assume rotta 220° ed alle 18.27 rotta 180°, per avvicinarsi al
convoglio britannico ed obbligarlo ad allontanarsi da Malta; alle 18.31 le navi
italiane aprono il fuoco da 15.000 metri, cui la squadra britannica risponde
con un altro attacco silurante (ordinato alle 17.59, iniziato alle 18.27 e
terminato alle 18.41), durante il quale viene gravemente danneggiato il
cacciatorpediniere Kingston. La
flotta italiana prosegue su rotta 180° a 22 nodi, accostando ad un tempo per
295° alle 18.45 (per evitare i siluri) e riducendo la velocità a 20 nodi; alle
18.51 le navi di Iachino accostano per 330° ed accelerano a 26 nodi, per
evitare altri attacchi siluranti, anche perché la visibilità è sempre più
ridotta causa la nebbia in aumento ed il mare sempre più mosso. Il fuoco viene
cessato da entrambe le parti tra le 18.56 e le 18.58, e poco dopo si perde il
contatto: ha così termine l’inconclusiva seconda battaglia della Sirte.
Alle 19.06 la
formazione italiana accosta verso nord e poco dopo si dispone in un’unica linea
di fila (navi maggiori), con i cacciatorpediniere in posizione di scorta
laterale ravvicinata; alle 19.20 la velocità viene ridotta a 24 nodi ed alle
19.48 la XI e la XIII Squadriglia si posizionano a poppavia delle navi maggiori
in doppia colonna, XIII Squadriglia a dritta e XI a sinistra. Il maltempo,
degenerato ormai in una vera e propria tempesta, costringe però la squadra
italiana ad accostare per 25° e ridurre la velocità a 20 nodi alle 20.00, ed
alle 20.26 ad assumere rotta 10° (l’ordine di rientro in porto arriva alle
20.34). Alle 21.17 la velocità viene ridotta a 18 nodi ed alle 23.57 a 16,
sempre per lenire il travaglio dei cacciatorpediniere. Molte delle navi rollano
pericolosamente, e numerosi cacciatorpediniere iniziano a manifestare avarie: l’Aviere, l’Oriani, lo Scirocco, il Lanciere, il Fuciliere e l’Alpino
comunicano tutti problemi ed avarie più o meno gravi, restando arretrati o
perdendo il contatto con le altre unità.
Nella mattina del 23
marzo, Lanciere e Scirocco soccomberanno alla violenza del
mare, inabissandosi nel Mediterraneo centrale; dei 478 componenti dei loro
equipaggi (242 sul Lanciere e 236
sullo Scirocco), soltanto in 17 (15
del Lanciere e due dello Scirocco) verranno recuperati in vita
nei giorni seguente.
Il resto della flotta
italiana, disperso dalla tempesta, rientrerà nelle basi alla spicciolata tra il
23 ed il 24 marzo.
13 giugno 1942
Alle 16.30 l’Ascari parte da Cagliari aggregato alla
X Squadriglia Cacciatorpediniere (Oriani, Gioberti, Premuda),
insieme alla XIV Squadriglia cacciatorpediniere (Vivaldi, Zeno, Malocello) ed alla VII Divisione Navale
(Raimondo Montecuccoli ed Eugenio di Savoia, nave di bandiera
dell’ammiraglio di divisione Alberto Da Zara,
comandante superiore in mare), per attaccare il convoglio britannico «Harpoon»
nell'ambito della battaglia aeronavale di Mezzo Giugno.
All'inizio del combattimento Ascari, Oriani e Premuda (Gioberti e Zeno sono tornati indietro per avarie di macchina) si trovano in
testa alla formazione italiana, ed alle 5.40 del 14 l’Ascari e l’Oriani aprono
il fuoco da 19.000 metri contro i cacciatorpediniere britannici Bedouin e Partridge,
appartenenti alla scorta diretta del convoglio. Alle 5.50 l'Ascari o l'Oriani (non è
certo quale tra i due) colpisce il Bedouin,
poi, tra le 6.07 e le 6.09, le due navi sparano contro i
cacciatorpediniere Marne e Matchless, senza colpirli; nel corso dei
combattimenti svoltisi il mattino, l’Ascari spara
in tutto una novantina di colpi.
Alle 6.17 Ascari, Oriani e Premuda vengono
mandati ad assistere il Vivaldi,
immobilizzato ed in fiamme dopo essere stato colpito in sala macchine. Alle
9.49 Ascari ed Oriani vengono attaccati senza
risultato da aerosiluranti Bristol
Beaufort, e più tardi si riuniscono alla VII Divisione.
Verso le 12.35 Ascari ed Oriani aprono nuovamente il fuoco contro il Bedouin ed il Partridge, dopo di che si separano dalla
VII Divisione ed alle 12.57 aprono il fuoco da 12.000 metri contro la nave
cisterna Kentucky, già danneggiata
da aerei,
immobilizzata ed abbandonata dall’equipaggio. Dopo essersi ricongiunti con gli
incrociatori, alle 13.20 Ascari ed Oriani vengono mandati verso il Bedouin, agonizzante dopo aver incassato
numerosi colpi, che però viene poco dopo finito da un aerosilurante S.M. 79 “Sparviero”. Ascari ed Oriani finiscono poi a cannonate, in cooperazione con aerei
della Regia Aeronautica e della Luftwaffe, la Kentucky ed il piroscafo Burdwan, ambedue seriamente danneggiati da aerei ed abbandonati
dagli equipaggi e dalla scorta britannica, impossibilitata a tentarne il
rimorchio per via dell’arrivo delle navi italiane.
Conclusa la battaglia
(del convoglio di «Harpoon», solo due mercantili su sei riescono a scampare ed
a raggiungere Malta, uno dei quali gravemente danneggiato per urto contro
mina), l’Ascari ed il resto delle
navi di Da Zara rientrano alle basi.
Durante tutta la battaglia, l’Ascari ha
sparato in tutto 188 proiettili da 120 mm.
11-12 agosto 1942
Alle 9.40 del 12
agosto l’Ascari, insieme ai
cacciatorpediniere Grecale, Corsaro, Legionario, Aviere, Geniere e Camicia Nera ed agli incrociatori pesanti Trieste, Gorizia (nave
di bandiera dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona, comandante della III
Divisione) e Bolzano, esce da Messina
per attaccare il convoglio britannico diretto a Malta nell’ambito
dell’operazione «Pedestal» e già pesantemente danneggiato da attacchi da parte
di aerei, sommergibili e motosiluranti durante la grande battaglia aeronavale
di Mezzo Agosto. Alle 19 dello stesso giorno la III Divisione si congiunge, nel
Basso Tirreno, con la VII Divisione (incrociatori leggeri Eugenio di Savoia, Muzio
Attendolo e Raimondo
Montecuccoli, più i cacciatorpediniere Maestrale, Gioberti, Oriani e Fuciliere), partita da Cagliari alle 20 dell’11 (a parte l’Attendolo, salpato da Napoli alle 9.30
del 12). Le due Divisioni dovrebbero intercettare i resti del convoglio,
dispersi e danneggiati, per ultimarne la distruzione, verosimilmente nella
mattina del 13, a sud di Pantelleria, nel punto più stretto del Canale di
Sicilia.
Alle 22.37, tuttavia,
la formazione viene avvistata e segnalata, 80 miglia a nord dell’estremità
occidentale della Sicilia e con rotta sud, da un ricognitore Vickers Wellington
(che viene a sua volta localizzato dal radar del Legionario). I comandi britannici, resisi conto del rischio che gli
incrociatori italiani rappresentano nei confronti di ciò che resta del
convoglio, ordinano dapprima al Wellington autore dell’avvistamento, e poi
anche agli altri ricognitori avvicendatisi nel pedinare la formazione italiana,
di sganciare bombe e bengala, in modo da far credere alle unità italiane di
essere sotto ripetuti attacchi aerei e dissuaderle così dal proseguire nella
navigazione verso il convoglio, giungendo anche ad ordinare loro – in chiaro,
in modo da essere intercettati – di comunicare la posizione della forza italiana
per permetterne l’attacco da parte di inesistenti bombardieri B-24 “Liberator”.
Supermarina cade
nell’inganno, e già alle 00.30 del 13 ordina il rientro alla formazione (che si
trova in quel momento a circa venti miglia da Capo San Vito) di virare verso est,
temendo attacchi aerei nemici a seguito dell’intercettazione dei numerosi
messaggi radio avversari tra i ricognitori ed i comandi delle forze aeree di
Malta, in realtà provocata appositamente per ingannare i comandi italiani ed
indurli ad ordinare il rientro degli incrociatori.
Lo stratagemma
britannico è solo una delle molteplici ragioni che inducono a dare il discusso
ordine: Supermarina, infatti, in ogni caso non intende inviare le proprie navi
a sud di Pantelleria senza un’adeguata copertura aerea, che viene però negata
dai comandi tedeschi, che preferiscono impiegare tutti i velivoli disponibili
nell’attacco al convoglio; inoltre, a seguito dell’avvistamento (da parte di un
U-Boot tedesco) di quattro incrociatori e dieci cacciatorpediniere britannici
nel Mediterraneo orientale, apparentemente diretti verso Malta, Supermarina ha
deciso di inviare la III Divisione nello Ionio, anziché nel Tirreno, per unirsi
all’VIII Divisione (uscita da Navarino) onde attaccare tali navi, facendo al
contempo rientrare la VII Divisione. In realtà, anche le unità avvistate nel
Mediterraneo orientale (che sono in realtà due incrociatori, cinque
cacciatorpediniere ed alcuni mercantili) sono una “finta” organizzata dai
comandi britannici, un convoglio fasullo che finge di essere diretto verso
Malta per ingannare i comandi italiani.
I finti attacchi e
messaggi proseguono comunque anche nelle ore successive, per evitare che i
comandi italiani possano cambiare idea ed ordinare agli incrociatori di
riprendere la navigazione verso ovest per attaccare il convoglio.
Alle 00.30, a seguito
dell’ordine di Supermarina, la III Divisione, cui si è aggregato l’Attendolo, fa rotta su Messina, la VII
Divisione su Napoli.
Ma l’unico attacco,
non aereo ma subacqueo, avviene invece proprio sulla rotta di ritorno, quando,
alle 8.06 dello stesso giorno (dopo che il sommergibile Safari ha già avvistato nel navi
italiane a nord di Palermo senza poterle attaccare), il sommergibile
britannico Unbroken (tenente
di vascello Alastair C. G. Mars) lancia quattro siluri contro la III Divisione
(che dopo aver superato Alicudi è passata dalla linea di fila alla doppia
linea, con Trieste e Gorizia davanti ed Attendolo e Bolzano dietro) a nordovest dell’imbocco
dello Stretto di Messina (nel punto 38°43’ N e 14°57’ E): le armi colpiscono l’Attendolo, asportandogli la prua, ed
il Bolzano, incendiandolo ed
immobilizzandolo.
L’Attendolo è ancora in grado di muovere
con i propri mezzi, ma le lamiere contorte della prua (le strutture
dell’estrema prua sono collassate, ma parte di esse è rimasta “appesa” allo
scafo), piegate verso l’esterno specialmente sulla dritta, fanno da “timone”, e
rendono così la nave ingovernabile. Si decide di tentare il rimorchio; viene
teso un cavo tra l’Ascari e l’Attendolo , ma pochi minuti dopo le
10 il cavo si spezza, lasciando l’incrociatore nuovamente fermo in mezzo al
mare, con un lieve abbrivio. I cacciatorpediniere della Squadriglia «Aviere»,
incaricati di dare assistenza e protezione alle navi colpite, iniziano a
stendere cortine fumogene e bombardare l’attaccante con bombe di profondità:
dalle 8.09 alle 16.40 vengono lanciate ben 105 bombe di profondità, anche se l’Unbroken, allontanandosi lentamente alla
profondità di 39 metri, riesce a far perdere le proprie tracce già alle nove (la
caccia vera e propria dura tre quarti d’ora, dopo di che i cacciatorpediniere
si limitano a gettare bombe di profondità di tanto in tanto, a scopo
precauzionale). Il sommergibile se la cava con danni superficiali, subiti
durante i primi 40 minuti di caccia, che Mars ritiene piuttosto accurata.
Alla fine, il
problema delle lamiere sporgenti sull’Attendolo
viene risolto facendo brillare delle piccole cariche esplosive, così da
provocare il distacco delle lamiere.
Poco dopo, alle 10.24,
un bombardiere Bristol Blenheim lancia alcune bombe che cadono intorno
all’incrociatore, poi si allontana, bersagliato dal tiro contraereo della nave.
Intanto il Bolzano, in condizioni ancora peggiori, viene
preso a rimorchio portato all’incaglio sull’isola di Panarea, per evitarne
l’affondamento. Ascari e Geniere assumono la scorta dell’Attendolo, il quale, procedendo a cinque
nodi, passa tra Panarea e gli scogli delle Formiche, con rotta su Capo Milazzo.
Tra le 14.30 e le 17.15 la scorta viene rinforzata dai cacciatorpediniere Freccia, Corsaro e Legionario.
Alle 18.45, arrivato nei pressi di Messina, l’Attendolo viene raggiunto dai rimorchiatori, che lo condussero
in porto, dove si ormeggiò al Molo del Carbone.
18 ottobre 1942
In mattinata l’Ascari (capitano di fregata Teodorico
Capone) ed il cacciatorpediniere Antonio
Da Noli (capitano di fregata Pio Valdambrini), usciti da Palermo, vanno
rinforzare la scorta della nave cisterna Saturno,
partita da Cagliari alle 16 del giorno precedente con la scorta della sola
torpediniera Nicola Fabrizi (tenente
di vascello di complemento Augusto Bini).
Alle 12.30, a nord
delle Egadi, Saturno e scorta si
uniscono al convoglio «D», proveniente da Napoli e formato dai
piroscafi Capo Orso, Beppe e Titania con la scorta dei cacciatorpediniere Giovanni Da Verrazzano (capitano di fregata Carlo Rossi), Alfredo Oriani (capitano di fregata
Paolo Pesci) e Vincenzo Gioberti (capitano
di fregata Pietro Tona). Viene così formato un unico convoglio, che alle 12.35
viene raggiunto dal cacciatorpediniere Antonio
Pigafetta (capitano di vascello Enrico Mirti della Valle), il quale ne
assume il comando della scorta.
Alle 20 la Fabrizi lascia il convoglio, sostituita
dalla più moderna torpediniera Centauro
(capitano di corvetta Luigi Zerbi).
Nelle giornate del 18
e 19 ottobre, fino anche alle prime ore notturne, il convoglio gode anche di
una forte scorta aerea. La sera del 18, e nella prima metà della notte
seguente, vengono avvertiti rumori di aerei (nemici) in volo e vengono
avvistate delle cortine di bengala che si accendono a poppavia delle navi, il
che indica che il convoglio è stato localizzato e seguito dalle forze
avversarie.
In realtà la
"scoperta" è ancora antecedente: il 18 ottobre, infatti, le
decrittazioni di “ULTRA” hanno permesso ai comandi britannici di sapere che
la Saturno è partita da
Cagliari alle 16 del 17 e che alle 12.30 del 18 si deve unire a Capo Orso, Beppe e Titania partiti
da Napoli alle 16 del 17, dopo di che il convoglio deve proseguire sulla rotta
a ponente di Malta a 8 nodi, per giungere a Tripoli alle 13 del 20 ottobre.
Ricognitori vengono
inviati per trovare e seguire il convoglio, e ben cinque sommergibili ricevono
l’ordine di attaccarlo: il P 37 (poi Unbending), il P 42 (poi Unbroken),
il P 44 (poi United), il P 211 (poi Safari)
e l’Utmost. Il comandante della
flottiglia sommergibili di Malta, Simpson, li dispone in modo da formare una
linea di sbarramento orientata da nord verso sud: nell’ordine, Utmost, P 211, P 37, P 42 e P 44.
19 ottobre 1942
Alle 9.25, dato che
Supermarina ha segnalato la presenza di un sommergibile, la Centauro viene distaccata per
dargli la caccia, mentre il suo posto nella scorta viene preso dalla
torpediniera Sagittario (capitano
di corvetta Lanfranco Lanfranchi) appositamente inviata.
Il primo sommergibile
ad attaccare è l’Utmost (tenente
di vascello John Walter David Coombe): avvista il convoglio alle 8.40, in
posizione 36°03’ N e 11°56’ E (tra Pantelleria e Lampedusa) su rilevamento
350°, identifica le navi alle 8.50 come tre navi mercantili di medie dimensioni
scortate da sette cacciatorpediniere disposti su ogni estremità, lato e quarto
del convoglio nonché a poppavia dello stesso, ed alle 9.32 avvista anche
la Saturno, che diviene il suo
bersaglio. Alle 10.03 l’Utmost lancia
due siluri, da 5500 metri, contro la petroliera, ma nessuna arma va a
segno, e l’attacco passa inosservato. Più tardi riemerge per segnalare la
presenza del convoglio.
Viene poi il turno
del P 37 (poi Unbending, tenente di vascello Edward
Talbot Stanley), che ha assunto la sua posizione nello sbarramento alle sei del
mattino del 18. Nove aerei, uno dei quali antisommergibili, sono in volo sul
cielo del convoglio, ma nessuno vede l’unità britannica immersa a quota
periscopica. Il convoglio si trova 70 miglia a sud di Pantelleria.
Alle 11.48 il P 37 ha avvistato degli aerei che
volano con ampi zig zag sia a sud che a nord della sua posizione, e cinque
minuti dopo ha avvistato, su rilevamento 360°, anche il convoglio. Le navi
mercantili, disposte su due colonne di due unità ciascuna, procedono su rotta
180°; degli aerei procedono a zig zag davanti ad esse, mentre lo schermo dei
cacciatorpediniere procede un miglio a poppavia dei velivoli, nonché a proravia
dei trasporti.
Alle 12.15 il
convoglio accosta su rotta 156°, ed il sommergibile passa tra i due
cacciatorpediniere che coprono il suo fianco sinistro; poi, alle 12.49,
il P 37 lancia quattro
siluri da 915 metri, contro il mercantile in testa alla colonna di
sinistra (posizionando la mira a proravia del mercantile di circa mezza
lunghezza, e poi lanciando i siluri a intervalli di 13 secondi nella speranza
che quelli che fossero passati a prua od a poppa del bersaglio colpiscano il
mercantile in testa all’altra colonna, più lontana). Subito dopo scende in
profondità.
Alle 12.53 (in
posizione 35°52’ N e 12°05’ E, 28-30 miglia a sudovest dell’isolotto di
Lampione), senza alcun preavviso, il Beppe venne
colpito da un siluro a poppa sinistra; un minuto più tardi anche il Da Verrazzano, dopo aver evitato un
primo siluro, viene colpito da una seconda arma, che gli asporta la poppa.
Il resto del
convoglio accosta subito di 90° a dritta, ma ormai il danno è fatto: il Pigafetta ordina all’Oriani di dare assistenza al Beppe ed alla Sagittario di dare assistenza
al Da Verrazzano, nonché
al Gioberti di dare la
caccia al sommergibile; quest’ultima venne cessata dopo che il
cacciatorpediniere vede apparire in superficie un’ampia chiazza di nafta,
riferendolo al caposcorta (secondo fonti italiane, l’Unbending venne seriamente danneggiato dalle bombe di profondità;
dal suo giornale di bordo risulta però che tra le 12 e le 15 furono lanciate 24
bombe di profondità, di cui solo due esplosero vicine).
Per le due navi
colpite non c’è niente da fare: il Beppe cola
a picco già alle 13.43, dopo che l’Oriani ne
ha recuperato i sopravvissuti; la Sagittario tenta
di prendere a rimorchio il Da
Verrazzano mentre il Gioberti (finita
la caccia) dà loro scorta, ma il cacciatorpediniere affonda alle 15.30 nel
punto 35°12’ N e 12°05’ E, a sud di Pantelleria ed a 25 miglia da Lampedusa.
255 dei 275 membri dell’equipaggio del Da
Verrazzano vengono salvati da Gioberti e Sagittario.
Oriani e Gioberti sbarcano i
rispettivi naufraghi a Lampedusa e poi si riuniscono al convoglio, mentre
la Sagittario viene fatta
rientrare a Trapani.
Alle 14.05, intanto,
il P 42 (tenente di vascello Alastair
Campbell Gillespie Mars) avvista a sua volta fumo su rilevamento 290°, manovra
per avvicinarsi ed alle 14.30 inizia la manovra di attacco, stimando la rotta
del convoglio come 135°. Alle 15.30 il sommergibile lancia una salva di quattro
siluri, in posizione 34°45’ N e 12°31’ E (a nordovest di Tripoli), da 7300
metri; nessuno va a segno, due passano sotto la Saturno senza esplodere ed altri due vengono evitati dalla
petroliera con la manovra. (Da fonti italiane risulterebbe che un sommergibile
avrebbe lanciato due siluri contro la Saturno,
mancandola, alle 16.19).
Dopo il lancio il P 42 scende a 21 metri di profondità e
si allontana a tutta forza, ma il contrattacco della scorta inizia già alle
15.21; vengono rapidamente lanciate 20 bombe di profondità, dalle 15.21 alle
15.37, con notevole precisione. Tutte esplodono vicine, arrecando seri danni al
sommergibile, che la sera stessa dovrà abbandonare la missione e rientrare a
Malta a causa della gravità dei danni subiti. La caccia da parte dei
cacciatorpediniere prosegue per quasi un’ora, anche se non vengono lanciate
altre bombe.
Intorno alle 19 viene
ricevuto un messaggio da Supermarina, che annuncia che un attacco aerosilurante
è probabilmente in arrivo; poco dopo le 20, difatti, Gioberti (che si trova insieme all’Oriani e sta per raggiungere il convoglio) ed Ascari riferiscono al Pigafetta di avvertire rumori di
aerei sul loro cielo. L’unico velivolo della scorta aerea, un aereo tedesco, ha
da poco lasciato il convoglio.
Le siluranti della
scorta circondano i mercantili con cortine nebbiogene, ma alle 23.06, durante
l’attacco degli aerosiluranti, il Titania viene
colpito da un siluro, restando immobilizzato. L’Ascari riesce a prenderlo a rimorchio, portandolo verso Tripoli; l’Oriani rimane per dargli
assistenza, mentre il resto del convoglio prosegue verso Tripoli.
20 ottobre 1942
Gli attacchi aerei
continuano: tra le 00.10 e le 00.22 Oriani ed Ascari vengono attaccati da
bombardieri in picchiata ed aerosiluranti, ed alle 00.36 anche il Da Noli viene mancato di stretta
misura da quattro bombe.
All’1.28 il P 44 (tenente di vascello Thomas Erasmus
Barlow) avvista a 2,5 miglia di distanza il gruppo composto da Saturno, Da Noli e Pigafetta, e
tre minuti dopo, restando in superficie, lancia tre siluri contro la Saturno nel punto 34°03’ N e 12°35’ E
(un’ottantina di miglia a nord-nord-ovest di Tripoli). Nessuno dei siluri va a
segno; il Da Noli avvista le scie e
poi anche il P 44, che intanto si sta
immergendo, si dirige sul posto e contrattacca col lancio di alcune cariche di
profondità. Incrocia poi nell’area per quattro ore, ritenendo – a torto – di
aver danneggiato l’attaccante.
Il caposcorta decide
dunque di dividere il convoglio in due gruppi, in base alla velocità: Capo Orso (capace di navigare a 10
nodi), Da Noli e Gioberti formano il primo; la Saturno (8,4 nodi) ed il Pigafetta costituiscono il secondo.
Alle 3.05 il Da Noli avvista
un sommergibile emerso e tenta di speronarlo, ma questi s’immerge prima della
collisione; tra le 4.25 e le 4.45 entrambi i gruppi vengono attaccati da
bombardieri ed aerosiluranti, ma non subiscono danni. Alle 7.15 il convoglio
viene raggiunto dalla torpediniera Circe (capitano
di corvetta Stefano Palmas), mandata da Tripoli per rinforzare la scorta e
pilotare il convoglio in porto; sopraggiunge anche un gruppo di aerei, che
assume la scorta aerea delle navi.
Alle 7.20 il Titania, colpito da un altro siluro
(lanciato dal sommergibile britannico P
211), affonda in posizione 33°53’ N e 12°30’ E. Le altre navi arrivano a
Tripoli alla spicciolata: per primo l’Oriani,
con feriti del Titania, alle 10,
quindi Gioberti e Capo Orso, alle 11, poi Saturno, Pigafetta, Circe
e Da Noli, alle 13.40. L’Ascari (avendo poca nafta, e non
essendovene a sufficienza a Tripoli) rientra invece a Trapani, dove giungerà il
mattino del 21.
7 novembre 1942
Ascari, Mitragliere, Da Noli, Pigafetta e Zeno,
imbarcano a Trapani le mine destinate alla posa dello sbarramento «S 8», da
posare a sud dello «S 11» (nel Canale di Sicilia) per ridurre il varco
esistente tra quest’ultimo e la costa tunisina, e rendere così ancor più
pericoloso, per le forze nemiche, il transito lungo le coste della Tunisia. Ascari e Mitragliere caricano ciascuno
56 mine tipo «E», Da Noli e Pigafetta imbarcano ciascuno 126 boe
strappanti di produzione tedesca, lo Zeno
104 boe strappanti ed altrettante esplosive (anch’esse d produzione tedesca).
All’operazione parteciperà anche il nuovissimo incrociatore leggero Attilio Regolo, che però – onde evitare
il sovraffollamento del porto di Trapani – caricherà le sue mine (129 tipo «E»)
a Palermo.
MAS e motosiluranti
inviate dal Comando di Messina si occupano della scorta e dell’esecuzione di
agguati protettivi ad ovest di Capo Bon ed a sud di Kelibia.
Ascari, Da Noli, Pigafetta (con a bordo il
contrammiraglio Lorenzo Gasparri, comandante del Gruppo Cacciatorpediniere di
Squadra, incaricato di dirigere l’operazione), Zeno e Mitragliere
salpano da Trapani alle 7, assumendo una velocità di 20 nodi. Alle 22 si unisce
alla formazione anche il Regolo.
Giunte sul posto, le
navi trovano ad attenderle la torpediniera Nicola
Fabrizi, inviata da Trapani per
segnalare loro il punto in cui cominciare a posare le mine. Regolandosi in base
ai fari che appaiono visibili ed ai segnali della Fabrizi, i cacciatorpediniere si portano in linea di fronte ed
assumono la rotta di posa (rotta 68°); il Corazziere,
come previsto, lascia la formazione per andare a posare poco lontano uno
sbarramento temporaneo di 50 mine, l’«S.T. 2», avente lo scopo di ostacolare il
passaggio nel Canale di Sicilia ad una formazione navale nemica che si pensa
possa transitare nei prossimi giorni (sono state avvistate, infatti, decine di
navi Alleate in movimento da Gibilterra verso est: sono le unità destinate
all’Operazione «Torch», gli sbarchi angloamericani nel Nordafrica francese, ma
questo Supermarina non può saperlo con certezza, dunque ordina la posa
nell’eventualità che quelle navi siano dirette a Malta).
All’1.37 viene dato
lo stop di inizio della posa; il Da Noli,
avendo la Fabrizi esattamente di
poppa, funge da nave regolatrice. Le cinque unità posano su file parallele,
distanziate tra loro di 200 metri: da sinistra verso dritta, posano Pigafetta, Da Noli, Ascari, Mitragliere, Regolo e Zeno. Le file
posate dalle diverse unità, date le differenze in numero e tipologia degli
ordigni, hanno lunghezze differenti; lo sbarramento si estende in lunghezza per
4,68 miglia (file più lunghe). Le boe esplosive e strappanti sono regolate per
6 metri di profondità, le mine per 3 metri. L’Ascari è il primo ad ultimare la posa delle sue mine, alle 4.02,
seguito Mitragliere (4.03), Regolo (4.04), Pigafetta e Da Noli
(4.06), e per ultimo dallo Zeno, che
impiega più del previsto a causa di ritardo dei graduatori, causato
dall’incatastamento di una boa antidragante che costringe a lanciare le boe
successive senza più attenersi al ritmo prestabilito. Alle 4.20, anzi, un uomo
dello Zeno cade in mare (viene poi
ripescato) ed il cacciatorpediniere deve interrompere la posa, rinunciando a
posare le ultime otto boe.
Alle 5.30 il Corazziere, ultimata la posa dell’«S.T.
2», si riunisce alle altre unità, che dirigono per rientrare a Palermo alla
velocità di 20 nodi.
Alle 6.37 lo Zeno avvista un aereo sospetto, che
sorvola il gruppo a bassa quota, ed alle 9.58 il Comando Marina di Trapani
segnala che un velivolo nemico sta tallonando la formazione.
Alle 10.22
l’ammiraglio Gasparri ordina di assumere una formazione su due colonne (fino a
quel momento si è mantenuta la linea di fila), con il Corazziere in posizione di scorta laterale a dritta del Regolo; ma la manovra è appena
cominciata, quando – tre miglia a nordovest di Capo San Vito – il Regolo viene colpito a prua da un siluro
lanciato dal sommergibile britannico P 46
(poi Unruffled, tenente di vascello
John Samuel Stevens), guidato sul posto dai segnali dell’aereo.
Il P 46, avvistate alberature ed aerei
verso sudovest alle 9.55 e ritenendo, correttamente, trattarsi
dell’incrociatore e dei cacciatorpediniere del cui arrivo era stato avvisato,
ha avuto conferma dei suoi sospetti alle 10, quando ha avvistato la centrale di
direzione del tiro del Regolo, ed
alle 10.05 ha iniziato ad avvicinarsi a tutta forza per attaccare. Alle 10.23,
in posizione 38°14’ N e 12°43’ E, il sommergibile ha lanciato una salva di
quattro siluri (gli ultimi rimasti a bordo) da 1920 metri di distanza, per poi
scendere subito in profondità onde eludere la reazione della scorta.
L’esplosione asporta
buona parte della prua del Regolo.
L’ammiraglio Gasparri
ordina a Da Noli e Zeno di dare la caccia al sommergibile
attaccante, ed agli altri cacciatorpediniere di girare intorno al Regolo coprendolo con cortine fumogene;
contatta Trapani richiedendo l’invio di mezzi di soccorso. La caccia con bombe
di profondità da parte di Da Noli e Zeno ha inizio alle 10.35 e si protrae
per un’ora; vengono gettate 14 bombe di profondità, singolarmente, ma nessuna
esplode vicina al P 46, che non
subisce danni.
Poco dopo
sopraggiungono due rimorchiatori, che tentano infruttuosamente di prendere a
rimorchio l’incrociatore e di metterlo sulla rotta desiderata; le lamiere di
ciò che resta della prua, piegate verso l’esterno, fanno da timone ed
impediscono di governare. Alle 11.30 arrivano i MAS 544 e 549; il Pigafetta tenta a sua volta il
rimorchio, ma senza successo. Alle 13.30, con l’arrivo da Trapani di altri due
rimorchiatori (i quattro rimorchiatori sono il Monfalcone, il Maurizio,
il Liguria ed il Trieste), si riesce finalmente a prendere il Regolo a rimorchio, e inizia così la navigazione verso Palermo,
all’esasperante velocità di due nodi e mezzo. Poco più tardi arrivano anche le
torpediniere Cigno e Giuseppe Cesare Abba, che
effettuano ricerca con l’ecogoniometro nell’area dell’attacco, mentre alle
14.48 Ascari, Mitragliere e Corazziere
vengono distaccati per raggiungere Messina, su ordine di quel Comando Marina.
Il Regolo riuscirà a raggiungere Palermo
all’alba del 9 novembre.
26 novembre 1942
Ascari, Camicia Nera, Maestrale (caposcorta) e Grecale partono da Napoli per Biserta
alle 15.10, scortando le motonavi Monginevro e Sestriere.
27 novembre 1942
Alle 11.28 il
sommergibile britannico Una (tenente
di vascello John Dennis Martin) avvista tre cacciatorpediniere della scorta
circa tre miglia verso nord, ed alle 11.32 avvista anche uno dei mercantili,
avente rotta 240°. Il sommergibile, che si trova 7315 metri a proravia del
mercantile, inizia una manovra d’attacco, che conclude alle 12.26 con il lancio
di quattro siluri da 1100 metri (in posizione 37°34’ N e 10°47’ E), per poi
scendere in profondità subito dopo. Nessuna delle armi va a segno.
Il convoglio giunge a
Biserta alle 13.45.
30 novembre 1942
Insieme ai
cacciatorpediniere Maestrale e Grecale, l’Ascari effettua una missione di posa di mine nel Canale di
Sicilia. Mentre tornava da questa missione viene mandato, insieme al
resto della X Squadriglia (cui è stato aggregato), a rafforzare la scorta del
convoglio «B» (da Napoli alla Tunisia con
i piroscafi Arlesiana, Achille Lauro, Campania, Menes e Lisboa e la scorta originaria delle torpediniere Sirio, Orione, Groppo e Pallade,
alle quali poi si unisce anche la torpediniera Uragano), che viene comunque fatto
tornare in porto alla notizia dell'uscita in mare della Forza Q britannica
(incrociatori leggeri Aurora, Sirius ed Argonaut,
cacciatorpediniere canadesi Quiberon e Quentin), che poi, nella notte del 2
dicembre, intercetterà e distruggerà il convoglio «H»,
che era stato invece fatto proseguire.
8 dicembre 1942
Ascari, Mitragliere, Corazziere, Grecale, Pigafetta, Da Noli e Zeno iniziano a caricare le mine per la posa della spezzata «S 94».
9 dicembre 1942
Alle 9.40 Supermarina
ordina di sospendere l’imbarco delle mine, rimettere sulle bettoline quelle già
imbarcate e prepararsi subito ad un’urgente missione di trasporto truppe a
Tunisi e Biserta.
10 dicembre 1942
L’Ascari trasporta truppe a Biserta e poi
riparte alle 17 insieme ai cacciatorpediniere Da Noli, Pigafetta
(caposquadriglia), Grecale e Mitragliere. Le cinque unità trasportano
ora 900 smobilitati della Marina francese.
11 dicembre 1942
I cacciatorpediniere
arrivano a Trapani alle due di notte; poco dopo, ricominciano ad imbarcare le
mine. Ascari, Corazziere, Mitragliere e
Grecale caricano ciascuno 52 mine
tipo P 200 od Elia, mentre Da Noli, Pigafetta e Zeno ne caricano ciascuno 85 tipo EMF.
Pochi minuti prima
della partenza, in tarda serata, il Pigafetta
subisce un’avaria di macchina che gli impedisce di partire; viene così deciso
di rinunciare ad una fila di mine (il piano originario ne prevedeva cinque, tre
composte da 86 EMF e due di 104 Elia o P 200). Il capitano di vascello Del
Minio, che comanda la XV Squadriglia Cacciatorpediniere e deve dirigere la
posa, trasborda dal Pigafetta sul Da Noli.
12 dicembre 1942
Ascari, Corazziere, Mitragliere, Da Noli, Zeno e Grecale partono da Trapani all’una di
notte. Procedono a 20 nodi di velocità finché alle 7.10 avvistano l’Isola dei
Cani; a questo punto riducono la velocità a 18 nodi e dirigono per la rotta
normale a quella di posa, passando nel varco rimasto tra le spezzate «S 93» e
«S 96». Alle 7.55 sopraggiunge un ricognitore che fornisce alle unità scorta
antisommergibili (insieme, per poco tempo, a tre aerei da caccia) fino alle
10.45. Viene assunta formazione con Zeno,
Da Noli e Corazziere in linea di fronte, seguiti da Mitragliere e Grecale
anch’essi in linea di fronte, seguiti a loro volta dall’Ascari; viene ridotta ancora la velocità, fino a 14 nodi, ed alle
9.29 inizia la posa, su rotta 57°. Prima nave a posare le mine è lo Zeno, poi Da Noli, Mitragliere ed Ascari, mantenendo gli intervalli
necessari per lo sfalsamento delle mine tra le file, poi Corazziere e Grecale. In
tutto, otto mine esplodono prematuramente.
Zeno
e Da Noli posano rispettivamente la
prima e seconda fila di mine (da sinistra), entrambe lunghe 16 miglia e
composte da 86 ordigni tipo EMF, regolati per una profondità di 15 metri e
distanziati tra loro di 350 metri. Corazziere
e Mitragliere posano la terza fila, Grecale ed Ascari la quarta, formate ambedue da 104 mine tipo Elia o P 200 e
lunghe 13 miglia.
La posa viene
ultimata alle 10.39. Durante l’operazione, una schiarita ha agevolato il
riconoscimento dei punti cospicui della costa; terminata la posa, tuttavia, il
tempo diventa fosco, la visibilità cala drasticamente e si verificano frequenti
piovaschi.
Le navi rientrano a
Trapani alle 16.40.
18 gennaio 1943
Calmatosi il tempo, e
giunti in Sicilia altri cacciatorpediniere per concorrere alle missioni di
trasporto truppe, alleggerendo la pressione su quelli presenti, si decide di
procedere con la posa della spezzata «S 98».
20 gennaio 1943
Alle 3.30 Ascari, Corazziere, Da Noli, Pigafetta (avente a bordo l’ammiraglio
Lorenzo Gasparri, comandante del Gruppo Cacciatorpediniere di Squadra) e Zeno, salpano da Trapani per effettuare
la posa.
I cinque cacciatorpediniere
si dirigono verso ovest, fino a superare il meridiano dello scoglio Keith, di
modo da tenersi sempre (per quanto possibile) in acque profonde almeno 200
metri, e di avvicinarsi all’area di posa provenendo da ovest.
La torpediniera Cigno avrebbe l’incarico di posizionare
un segnale sullo scoglio Keith e di portarsi tre miglia a sudest dello stesso
per agevolare l’individuazione della zona di posa ai cacciatorpediniere, ma
problemi alle caldaie la costringono a rientrare; il suo comandante ferma la corvetta
Gabbiano, in zona per altra missione,
e le ordina di rimpiazzarla. Ciò determina tuttavia alcuni disguidi, così che
l’ammiraglio Gasparri decide di distaccare un cacciatorpediniere per sincerarsi
che la Gabbiano sappia bene cosa
dovrà fare. Alle 10.20 sopraggiungono tre MAS che assumono la scorta dei
cacciatorpediniere; due si posizionano a dritta, uno a sinistra.
Infine, con un paio
d’ore di ritardo, i cacciatorpediniere accostano ad un tempo sulla sinistra ed
assumono la linea di fronte, su rotta di posa 224°, iniziando la posa alle
10.58. Da dritta a sinistra, le file parallele sono posate nell’ordine da Pigafetta, Da Noli, Zeno, Corazziere ed Ascari; la distanza tra le file è di 400 metri, eccetto che per
quelle posate da Ascari e Corazziere, che distano solo 200 metri
tra di loro. La lunghezza dello sbarramento è di 21.300 metri, il suo
orientamento da nordest a sudovest.
Ascari e Corazziere ultimano
la posa alle 11.27, precedendo di 20 minuti i tre “Navigatori”, dopo di che
rimangono sulla loro sinistra eseguendo scorta e ricerca antisom.
Durante la posa viene
avvertita una concussione subacquea, senza colonna d’acqua, e mezz’ora dopo la
fine della posa si verifica l’esplosione prematura di quattro mine.
Inizia poi la
navigazione di rientro, a 20 nodi di velocità. Alle 13.30 giungono quale scorta
aerea tre caccia ed un ricognitore della Regia Aeronautica, che rimangono sul
cielo delle navi per un’ora; durante questo periodo viene avvistata la torretta
di un sommergibile, il quale tuttavia è lesto ad immergersi. Segnalato dagli
aerei il Pigafetta, subisce la caccia
da parte di Ascari e Corazziere, appositamente distaccati.
Alle 16.45 i
cacciatorpediniere raggiungono Trapani.
Dopo il rientro, le
navi iniziano ad imbarcare le mine per posare la spezzata successiva dello
sbarramento «S 9», la «S 99». Ascari
e Corazziere imbarcano 50 mine tipo
Elia, mentre Da Noli, Pigafetta e Zeno caricano ciascuno 86 mine tedesche.
24 gennaio 1943
Ascari, Corazziere, Da Noli, Pigafetta (capitano di vascello Del Minio) e Zeno salpano da Trapani alle 3.30.
Alle 3.55, fuori
dalle ostruzioni, le navi si dispongono in linea di fila, con Pigafetta in testa, seguito dal Da Noli, lo Zeno in terza posizione, il Corazziere
dietro di lui e l’Ascari per ultimo.
La velocità viene gradatamente incrementata fino a 20 nodi.
Alle 5.35, in
franchia delle rotte di sicurezza, i cacciatorpediniere passano in una
formazione su due colonne, con Pigafetta,
Da Noli e Zeno a dritta, Corazziere
ed Ascari a sinistra, coi capofila in
linea di rilevamento.
Alle 7.39 viene
avvistata la corvetta Artemide, in
attesa presso lo scoglio Keith, svolgendo le stesse funzioni della Gabbiano durante la missione precedente;
alle 7.50 un ricognitore italiano ed un aereo da combattimento tedesco assumono
la scorta aerea delle navi.
Alle 7.52 i
cacciatorpediniere accostano ad un tempo a sinistra e passano in linea di
fronte su rotta opposta a quella di posa (verso sudovest), come ordinato. Alle
8.38 la velocità viene ridotta a 14 nodi, ed alle 8.52, superato di tre miglia
il punto di inizio della posa, viene invertita la rotta ad un tempo sulla
sinistra.
Alle 9.05 inizia la
posa; comincia per primo il Da Noli,
seguito dagli altri, con gli intervalli prestabiliti per lo sfalsamento. Da
dritta verso sinistra, le file parallele sono posate da Zeno, Da Noli, Pigafetta, Corazziere ed Ascari; la
distanza tra ogni fila è di 400 metri. La rotta di posa è di 50°, lo
sbarramento è orientato da sudovest a nordest, le mine EMF (magnetiche) sono
regolate per 15 metri di profondità (e distanziate tra loro di 150 metri), le
EMC (ad urto) per tre metri.
Alle 9.25, dopo la
posa delle prime 72 mine magnetiche (24 per ciascuno dei tre “Navigatori”), l’Ascari e gli altri cacciatorpediniere
tranne il Pigafetta (che posa la
linea centrale) accostano in dentro, riducendo l’intervallo tra le file a 200
metri.
Ascari e Corazziere ultimano
la posa alle 9.32, passando poi a compiti di protezione e ricerca antisom sulla
sinistra del gruppo; Da Noli, Pigafetta e Zeno ultimano la posa alle 9.50. In tutto si verificano tre
esplosioni premature di mine. L’Ascari,
avendo il fonoscandaglio in avaria, viene lasciato libero di tornare a Trapani.
29 gennaio 1943
In mattinata Ascari, Corazziere Da Noli, Pigafetta (caposquadriglia, capitano di
vascello Del Minio) e Zeno iniziano a
caricare a Trapani le mine per la posa della spezzata «S 910», ultima spezzata
dello sbarramento «S 9» nonché ultimo campo minato posato da unità italiane a
protezione della rotta per la Tunisia. Ascari
e Corazziere imbarcano ciascuno 50
mine tipo P 200 ciascuno, i tre “Navigatori” 86 mine tedesche.
30 gennaio 1943
Alle 4.30 i
cacciatorpediniere salpano da Trapani per eseguire la posa. Alle 5.17 hanno
raggiunto i 20 nodi di velocità, ed alle 6.40, in franchia delle rotte di
sicurezza, cominciano a zigzagare a 22 nodi. Alle 6.58 due aerei da caccia
della Regia Aeronautica sorvolano la formazione, per poi andarsene dopo qualche
minuto; alle 7.15 sopraggiungono due bombardieri tedeschi Junkers Ju 88 ed un
idrovolante italiano CANT Z. 506, che assumono la scorta aerea dei
cacciatorpediniere. Alle 7.30, quando quattro MAS assumono la scorta
antisommergibili dei cacciatorpediniere, soltanto il CANT Z. 506 è sul cielo
delle navi.
Alle 8.25 le unità
smettono di zigzagare e riducono la velocità a 20 nodi, ed alle 8.42 accostano
per contromarcia e riducono la velocità a 18 nodi, preparandosi alla posa. Alle
8.50 viene eseguita un’accostata ad un tempo di 90° sulla dritta, viene assunta
la rotta di posa (58°) e la velocità diventa di 14 nodi.
La posa ha inizio
alle 9.07; le file parallele sono posate nell’ordine, da sinistra a dritta, da Da Noli, Zeno, Pigafetta, Ascari e Corazziere. I “Navigatori” posano le prime 49 mine (prima tratta,
sole EMC senza antenna, lunghezza 4 miglia) lasciando un intervallo di 150
metri tra l’una e l’altra, poi altre 14 mine (seconda tratta, EMC con antenna,
lunghezza due miglia) con intervalli di 250 metri, e le restanti (terza tratta,
mine magnetiche EMF, lunghezza 4,5 miglia) con intervalli di 350 metri. La
profondità è di 15 metri per le EMF, tre metri per le altre. Dopo la posa della
cinquantottesima mina (per i Navigatori), Da
Noli e Zeno accostano in fuori
verso sinistra e, con manovra opposta rispetto a quella eseguita nella posa
della «S 99», si distanziano tra di loro e dal Pigafetta in modo da raddoppiare l’intervallo tra le file di mine.
Al contempo, sul lato opposto, Ascari
e Corazziere fanno lo stesso.
Lo sbarramento ha
orientamento quasi identico alla spezzata «S 99», ma forma rovesciata
(ristretto all’inizio, più largo alla fine).
Le ultime unità
terminano la posa alle 9.52, e cinque minuti dopo accostano ad un tempo di 90°
a dritta ed iniziano la navigazione di rientro, alla velocità di 20 nodi.
Alle 10.15 Ascari e Corazziere si posizionano 5 km a poppavia dei “Navigatori”, e tutte
le navi iniziano a zigzagare a 22 nodi.
A mezzogiorno viene
data libertà di manovra ai MAS, e dopo qualche minuto anche all’Ascari, che deve raggiungere Messina.
Gennaio-Marzo 1943
L’Ascari effettua diverse missioni di
trasporto truppe e munizioni verso la Tunisia.
L’Ascari ed il gemello Lanciere a Reggio Calabria (g.c. STORIA Militare)
|
L'affondamento
All’alba
del 24 marzo 1943 l’Ascari, partito da Palermo nella notte con 286
militari tedeschi a bordo ed al comando del capitano di fregata Mario Gerini
(che era alla sua prima missione di questo tipo), si aggregò ad un gruppo di
altri tre cacciatorpediniere, Camicia Nera, Leone Pancaldo e Lanzerotto
Malocello, partiti la sera precedente da Pozzuoli e Gaeta ed anch’essi
carichi di truppe tedesche. Le quattro unità erano in missione di trasporto
veloce di truppe in Tunisia, dove la guerra stava ormai volgendo al peggio per
le truppe dell’Asse. La formazione, della quale assunse il comando il
comandante Gerini, sarebbe dovuta transitare tra i campi minati difensivi
italiani X 2 e S 73 con rotta 101°, puntando su Zembretta, un’isola del golfo
di Tunisi, per poi raggiungere Tunisi, la sua meta. Le navi procedevano a zig
zag, che interruppero momentaneamente alle 6.44 del 24 marzo per accostare con
rotta 201°. Alle 7.05 fu avvistato un gruppo di navi a sinistra, sul
rilevamento 160°, a 12 km, e venti minuti più tardi un altro gruppo, sempre a
sinistra e su rilevamento 160° ma a 15 km; in breve, tuttavia, apparve evidente
che entrambe le formazioni erano convogli di ritorno dalla Tunisia. I quattro
cacciatorpediniere procedevano a zig zag a 27 nodi.
Il capitano di fregata Mario Gerini, ultimo comandante dell'Ascari (USMM) |
Alle 7.28 il Malocello urtò
una mina dritta – ma in quel momento si pensò che la nave fosse stata colpita
da un siluro – e rimase immobilizzato e sbandato, circa 28 miglia a nord di
Capo Bon, segnalando “siluro a dritta”: gli altri cacciatorpediniere
accostarono quindi a sinistra. Seguì un momento di indecisione: i comandanti
delle varie unità, essendo partiti da porti diversi (Ascari da
Palermo, Malocello e Pancaldo da
Pozzuoli, Camicia Nera da Gaeta), non avevano avuto modo di
discutere in precedenza sul da farsi, ed alcuni comandanti non sapevano chi fosse
al comando del Malocello e del Pancaldo. Poco
dopo, tuttavia, il comandante Gerini ordinò a Pancaldo e Camicia
Nera di proseguire per Tunisi (dove entrambe le unità arrivarono
indenni), mentre lui con l’Ascari sarebbe rimasto ad assistere
il Malocello. Nonostante il mare non fosse calmo (forza 3-4 con
forte vento di Scirocco da sudest), l’Ascari riuscì ad affiancare
il Malocello sulla sinistra, per trasbordarne il personale non
necessario, ma poco dopo l’apparato TAG dell’Ascari, uno strumento di
fabbricazione tedesca (da poco imbarcato) per la rilevazione dei siluri,
segnalò “siluro a sinistra” (probabilmente un falso allarme causato dal mare
mosso), quindi l’Ascari, su ordine del comandante Gerini, dovette
tagliare i cavi, mettere le macchine avanti tutta ed effettuare un ampio giro
sulla sinistra, con il lancio di otto cariche di profondità.
La
nave stava accostando per affiancarsi di nuovo al Malocello,
quando una violenta esplosione asportò l’intera prua dell’Ascari fino
all’altezza del paraonde: l’unità aveva urtato a sua volta una mina. Alcuni
uomini dell’Ascari,
tra i serventi del complesso binato prodiero da 120 mm (andato distrutto
nell’esplosione, che aveva asportato la prua più o meno sino all’altezza del
complesso), finirono in acqua, altri rimasero uccisi. Una nave di moderna e
robusta costruzione come tutti i caccia della classe Soldati, l’Ascari resse
bene al danno e registrò solo un leggero appruamento, tanto che non solo rimase
in grado di muovere, ma, quando alle 8.30 il Malocello si
spezzò in due ed affondò, mise a mare la sua unica imbarcazione (che rimase
danneggiata durante la sua messa a mare) per soccorrerne i superstiti e
provvide al salvataggio di quanti più uomini possibile: per cinque ore sia l’Ascari che
la sua motolancia furono impegnati nel salvataggio dei naufraghi del Malocello,
dispersi dalle onde per un chilometro. Durante questo lasso di tempo l’Ascari,
grazie ad abili manovre ed all’impegno dell’equipaggio della motolancia, riuscì
a trarre in salvo la maggior parte dell’equipaggio e delle truppe imbarcate sul Malocello.
A bordo, nel frattempo, l’equipaggio lavorava per puntellare le paratie, che
avevano retto all’esplosione, e per liberare i militari tedeschi intrappolati
nelle lamiere della prua. Furono fatte delle prove per verificare il
funzionamento delle macchine, mentre gli uomini sottocoperta intonavano canti
patriottici per tenere alto il morale; le provviste rimaste – una parte erano
andate perdute – vennero date ai feriti. Venne determinata la posizione della nave
per capire dove si trovava rispetto ai campi minati (un’operazione inutile,
trattandosi di un campo minato da poco posato e mai rilevato prima, ma di
questo gli ufficiali dell’Ascari non
erano a conoscenza). La motolancia tornò all’Ascari a
mezzogiorno, per poi ripartire; frattanto si cercò di raddrizzare una lamiera
che era divenuta un ostacolo per la navigazione, senza successo. Vennero
avvistati anche un MAS, a cui fu chiesto di salvare altri superstiti, e due
idrovolanti, che non poterono ammarare a causa del mare mosso ed in
peggioramento. Un aereo, forse scambiando un’increspatura per la scia lasciata
da un periscopio o da un siluro, effettuò dei segnali luminosi (stella bianca e
poi stella verde) che da bordo della nave vennero ritenuti indicare la presenza
di un sommergibile (in realtà non ve ne erano in zona) e la scia di un siluro.
L’Ascari, privo della prua, fotografato alle 12.50 del 24 marzo 1943 mentre manovra a marcia indietro per raggiungere una zattera con superstiti del Malocello. Dieci minuti più tardi la nave urterà una seconda mina (da www.kreiser.unoforum.pro)
Alle
13.20, infine, l’Ascari urtò
una terza mina in corrispondenza della plancia: fu dato l’ordine di buttarsi in
mare con ordine, la nave affondò immediatamente, spezzandosi in due, 25 miglia
a nord di Zambretta (altra fonte indica le 13.12 come ora dell’affondamento). I
sopravvissuti dei due cacciatorpediniere rimasero in acqua per ore, in un mare
forza 4-5 e cosparso dalla nafta fuoriuscita dai depositi delle navi affondate,
che ostacolava il movimento, la vista e la respirazione. Una cinquantina di
sopravvissuti si accalcò su uno zatterino, altri tutt’intorno aggrappati, molti
naufraghi si aggrapparono ad altri trascinandosi sott’acqua a vicenda;
ufficiali e marinai delle due navi, esausti dopo ore di sforzi per salvare i
naufraghi e la nave, non avevano più molte energie per resistere, ed i soldati
tedeschi, molti in preda al panico, annegarono a centinaia, non sapendo
nuotare. L’invio di mezzi di soccorso da Tunisi, da Biserta e dalla Sicilia
venne ostacolato dalle condizioni meteomarine, in continuo peggioramento.
Soltanto dopo quattro ore i pochi sopravvissuti vennero infine tratti in salvo
da due MAS provenienti da Biserta e da altri due venuti da Pantelleria: solo
unità con così scarso pescaggio potevano attraversare impunemente i campi
minati per soccorrere i naufraghi delle navi affondate sulle mine.
Dell’Ascari vennero tratti in salvo solo 59 uomini: 53
dei 247 membri dell'equipaggio, e solo 6 dei 286 militari tedeschi. Il
comandante Gerini non era tra loro; fu invece tra i pochi superstiti il comandante in seconda, capitano di corvetta Mario Avallone.
194 ufficiali, sottufficiali e marinai dell’Ascari erano
scomparsi in mare, insieme a 280 dei militari tedeschi che il
cacciatorpediniere aveva a bordo: in tutto 474 tra morti e dispersi, su 533
uomini presenti a bordo del cacciatorpediniere.
In totale gli scomparsi in mare, in quello che fu probabilmente il
peggior disastro della guerra di mine, furono 994 tra membri degli equipaggi
di Ascari e Malocello e soldati tedeschi
imbarcati sulle due unità, con solo 135 o 139 sopravvissuti. Alcune vittime
dell’Ascari vennero sepolte in cimiteri della Sicilia.
I caduti tra l’equipaggio dell’Ascari:
Oscar Acquarone, guardiamarina, deceduto
Giuseppe Aiello, sottocapo cannoniere, disperso
Gabriele Allais, sergente S. D. T., disperso
Bartolomeo Alvino, sergente silurista, disperso
Amilcare Ambrosini, marinaio cannoniere,
deceduto
Angelo Arrigoni, marinaio cannoniere, disperso
Mario Augliera, marinaio cannoniere, disperso
Rocco Aversa, secondo capo meccanico, deceduto
Giuseppe Baldi, marinaio cannoniere, disperso
Pietro Baldi, marinaio cannoniere, disperso
Carlo Balzarini, marinaio fuochista, disperso
Marino Balzarini, marinaio fuochista, deceduto
Bruno Barbuti, secondo capo meccanico, disperso
Pasquale Barone, capo silurista di seconda
classe, disperso
Emo Bartoli, marinaio radiotelegrafista,
disperso
Ilio Bertellotti, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Moreno José Bertolotti, marinaio fuochista,
disperso
Clemente Bignamini, marinaio cannoniere,
disperso
Alessio Biondi, sottocapo cannoniere, disperso
Giuseppe Biosa, marinaio carpentiere, disperso
Pietro Bordoni, sottocapo cannoniere, disperso
Silvio Bottero, guardiamarina, disperso
Luigi Braccini, marinaio fuochista, disperso
Francesco Brachi, tenente di vascello, disperso
Carlo Brambilla, marinaio cannoniere, disperso
Enrico Busacco, marinaio cannoniere, disperso
Michele Cadetto, marinaio cannoniere, disperso
Aldo Calozzi, marinaio cannoniere, deceduto
Renato Camillucci, secondo capo S. D. T.,
deceduto
Giuseppe Campo, marinaio, disperso
Mario Capuzzo, marinaio cannoniere, disperso
Raffaele Cara, marinaio cannoniere, deceduto
Nazario Sauro Cardarelli, sergente cannoniere,
deceduto
Dino Caregaro, marinaio meccanico, disperso
Enzo Casacci, marinaio fuochista, deceduto
Antonio Casella, marinaio, deceduto
Giuseppe Cavallaro, marinaio nocchiere,
disperso
Alessandro Cavasin, marinaio elettricista,
disperso
Corrado Ceppi, marinaio, deceduto
Felice Chiapetto, capo furiere di terza classe,
deceduto
Domenico Chilelli, marinaio, disperso
Giorgio Chimenti, tenente di vascello, deceduto
Severino Coassin, sergente cannoniere, deceduto
Mario Colaneri, sottocapo furiere, disperso
Francesco Colmani, marinaio fuochista, disperso
Nicola Colonna, marinaio segnalatore, disperso
Angelo Concina, sottocapo cannoniere, deceduto
Michele Coppola, marinaio, disperso
Ugo Cordara, sottocapo furiere, deceduto
Giovanni Correnti, marinaio, disperso
Ermanno Corsini, sottocapo meccanico, disperso
Ciro Cubelli, marinaio motorista, disperso
Carmelo Cutri, marinaio, disperso
Giuseppe D’Urso, marinaio cannoniere, disperso
Francesco Dasconi, marinaio fuochista, disperso
Pietro De Francesco, marinaio elettricista,
deceduto
Onelio De Paoli, marinaio fuochista, disperso
Saturnino De Salvi, marinaio fuochista,
deceduto
Pasquale De Vita, marinaio elettricista, disperso
Marsale Degl’Innocenti, secondo capo S. D. T.,
disperso
Livio Del Zotto, marinaio torpediniere,
disperso
Damiano Deledda, capo meccanico di prima
classe, deceduto
Valerio Dell’Orco, sottocapo segnalatore,
disperso
Pantaleo Di Gioia, marinaio, deceduto
Nunzio Di Lauro, marinaio cannoniere, disperso
Domenico Di Maio, marinaio, disperso
Vincenzo Di Mauro, secondo capo cannoniere,
deceduto
Giannino Diotalevi, marinaio fuochista,
disperso
Roberto Dogliotti, sergente S. D. T., disperso
Niceta Durante, marinaio fuochista, disperso
Raimondo Emmaus, marinaio nocchiere, disperso
Rino Fabiani, marinaio cannoniere, deceduto
Antonio Fabrizio, sottocapo cannoniere,
disperso
Bruno Faggiani, marinaio cannoniere, disperso
Danilo Fanti, marinaio torpediniere, deceduto
Nicola Fasano, marinaio fuochista, disperso
Fedro Fedi, sottocapo meccanico, disperso
Alessandro Fernaroli, marinaio cannoniere,
deceduto
Adriano Ferrari, sottotenente del Genio Navale,
disperso
Pietro Ferrero, secondo capo meccanico,
disperso
Alessandro Foglieni, marinaio fuochista,
disperso
Vincenzo Fois, sergente cannoniere, disperso
Leo Foletti, marinaio fuochista, deceduto
Antonio Foti, marinaio, disperso
Benito Franchino, marinaio motorista, deceduto
Giuseppe Frasca, marinaio cannoniere, disperso
Sole Freddi, marinaio fuochista, disperso
Amelio Freddo, secondo capo radiotelegrafista,
disperso
Ignazio Frigau, sergente cannoniere, disperso
Gino Frollo, secondo capo mecanico, disperso
Dino Fusai, marinaio, disperso
Federico Galli, sottotenente medico, deceduto
Matteo Gaudio, marinaio, disperso
Mario Gerini, capitano di fregata (comandante),
deceduto
Ultimo Granata, marinaio cannoniere, disperso
Arturo Guidi, marinaio nocchiere, disperso
Vito Guidobaldi, sottocapo silurista, deceduto
Pietro Hasele, marinaio segnalatore, disperso
Giuseppe Iacobbe, marinaio radiotelegrafista,
disperso
Pasquale Iunko, marinaio fuochista, deceduto
Antonio La Candia, marinaio, disperso
Vincenzo La Notte, maggiore del Genio Navale,
deceduto
Carmelo La Spina, marinaio fuochista, deceduto
Sebastiano Leonardi, marinaio fuochista,
disperso
Angelo Leone, marinaio silurista, disperso
Vitale Lillo, sottocapo furiere, disperso
Giuseppe Longo, sottocapo cannoniere, deceduto
Michele Longobardi, marinaio cannoniere,
disperso
Michele Lovera, marinaio, deceduto
Domenico Maiola, marinaio fuochista, disperso
Osvaldo Manetti, sottocapo cannoniere, disperso
Angelo Mangione, secondo capo nocchiere,
disperso
Davide Manzari, sottocapo meccanico, disperso
Rolando Manzotti, marinaio, disperso
Alipio Marcantognini, marinaio S. D. T.,
disperso
Felice Marchionni, sottotenente del Genio
Navale, deceduto
Nello Marchisio, marinaio cannoniere, disperso
Gennaro Marigliano, marinaio, deceduto
Antonio Melandri, capo meccanico di seconda
classe, deceduto
Aldo Minetto, sottocapo meccanico, disperso
Lorenzo Mocci, marinaio radiotelegrafista,
disperso
Francesco Moccia, marinaio furiere, deceduto
Pasquale Molle, marinaio fuochista, disperso
Enrico Morello, marinaio cannoniere, disperso
Pietro Moscato, sottocapo meccanico, deceduto
Carlo Navetta, sottocapo fuochista, disperso
Annunziato Papa, marinaio, deceduto
Antonio Parisi, marinaio cannoniere, disperso
Vito Pellegrini, sottocapo infermiere, deceduto
Antonio Pellerano, marinaio, disperso
Giacinto Pelletti, marinaio nocchiere, disperso
Silverio Pennoni, marinaio fuochista, deceduto
Gaetano Pertusio, sottocapo cannoniere,
deceduto
Giovanni Piazza, sergente radiotelegrafista,
disperso
Salvatore Pitino, marinaio, disperso
Renato Pizzigo, marinaio fuochista, disperso
Otello Porcile, marinaio fuochista, deceduto
Adriano Porcu, sottocapo cannoniere, disperso
Francesco Previti, capo meccanico di seconda
classe, deceduto
Antenore Prevogna, marinaio cannoniere,
deceduto
Angelo Quaini, marinaio fuochista, disperso
Mario Ricceri, marinaio cannoniere, disperso
Vittorio Ricchiardi, secondo capo cannoniere,
disperso
Delo Ridolfi, marinaio, disperso
Salvatore Rizzo, sergente segnalatore, disperso
Mario Rocco, marinaio cannoniere, disperso
Pasquale Salvi, capo meccanico di seconda
classe, deceduto
Antonio Santomauro, marinaio cannoniere,
disperso
Raffaele Santoro, sottocapo cannoniere, deceduto
Raffaele Santoro, sottocapo cannoniere, deceduto
Fedele Schifano, sottocapo nocchiere, disperso
Giovanni Schifano, marinaio fuochista, disperso
Salvatore Sciotti, sottocapo cannoniere,
disperso
Virgilio Semplici, secondo capo furiere,
disperso
Carlo Serdoz, sottocapo torpediniere, disperso
Giuseppe Seveso, marinaio cannoniere, deceduto
Vincenzo Silvestro, marinaio, disperso
Plinio Sollai, capo radiotelegrafista di prima
classe, deceduto
Virgilio Sparisi, capo segnalatore di terza
classe, disperso
Giacomo Spasaro, sergente cannoniere, deceduto
Dante Stocchi, sottocapo cannoniere, disperso
Giovanni Stoppini, marinaio cannoniere,
deceduto
Gildo Stridacchio, marinaio S. D. T., disperso
Cherubino Tiozzo, marinaio nocchiere, disperso
Carlo Toffoli, marinaio fuochista, disperso
Salvatore Tomagra, marinaio, disperso
Giorgio Tricarico, marinaio cannoniere,
disperso
Pietro Paolo Trinchero, secondo capo
cannoniere, disperso
Antonio Tronchin, marinaio fuochista, disperso
Vittorio Valdo, marinaio cannoniere, deceduto
Vladimiro Valencich, marinaio cannoniere,
deceduto
Giuseppe Valore, marinaio motorista, disperso
Felice Varini, guardiamarina, deceduto
Velino Vecchi, marinaio cannoniere, deceduto
Marcello Velicogna, sottocapo meccanico,
disperso
Franco Vellani, marinaio cannoniere, disperso
Luciano Viducci, sottocapo cannoniere, disperso
Carlo Vignali, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Carmine Villani, marinaio, disperso
Ferruccio Zaccaria, marinaio nocchiere, disperso
Guido Zanardi, marinaio cannoniere, disperso
Giovanni Zancanaro, marinaio fuochista,
disperso
Nicolò Zuliani, marinaio motorista, disperso
La commissione d’inchiesta istituita sul disastro, presieduta
dall’ammiraglio di divisione Accorretti, terminò il suo lavoro il 21 maggio
1943 ipotizzando che in conseguenza delle circa 30 tonnellate in più
rappresentate dalle truppe imbarcate, del vento e del mare mosso da
est-scirocco i cacciatorpediniere, avendo navigato a zig zag per tutta la
notte, fossero scarrocciati di alcune miglia verso ovest (verso destra rispetto
alla rotta) e fossero finiti sullo stesso campo minato su cui già erano
affondati il 7 marzo la torpediniera Ciclone
ed il piroscafo francese Henry Estier,
uno sbarramento di 160 mine ad urto posato dal posamine britannico Abdiel il 5 marzo 1943 (indicato come n.
11) e che non si era potuto dragare per carenza di dragamine d’altura. In epoca
successiva, in base alle nuove informazioni pervenute, si ritenne invece
altrettanto probabile (se non di più) che Ascari
e Malocello fossero affondati su un
altro campo minato (indicato come n. 12), anch’esso di 160 mine ad urto, che l’Abdiel aveva posato nella notte tra il 7
e l’8 marzo 1943 (all’indomani dell’affondamento della Ciclone e dell’Estier), otto
miglia più a nord di quello su cui erano affondate Ciclone ed Estier.
La perdita dell’Ascari e del Malocello fu l’ultima, e la più grave, di una lunga serie di navi
affondate su mine sulle rotte per la Tunisia a partire dal gennaio del 1943.Nelle
settimane successive alla tragedia, il mare depositò sulle coste
siciliane decine di corpi di marinai italiani e soldati tedeschi morti
nell'affondamento dei due cacciatorpediniere. Tre poterono essere
identificati come membri dell'equipaggio dell'Ascari: il fuochista Marino Balzarini, trovato sulla spiaggia di Santa Lucia-Finale il 9 aprile 1943 e
sepolto a Cefalù il giorno seguente; il capo radiotelegrafista Plinio Sollai ed il sergente cannoniere Nazario Sauro Cardarelli, entrambi rinvenuti sulla spiaggia di Gangiotto (Cefalù) l'11 aprile e sepolti a Cefalù l'indomani. Un sergente di Marina,
rimasto senza nome, venne rinvenuto sulla spiaggia di Cefalù e sepolto
nel locale cimitero il 10 maggio; un altro marinaio italiano non
identificato, di circa 25-30 anni di età, fu trovato sulla spiaggia di
Gangiotto l'11 aprile (stessa data e luogo del ritrovamento dei corpi di Sollai e Cardarelli), mentre il 9 aprile un altro italiano non
identificato era stato gettato dalle onde sulla spiaggia di Santa
Lucia-Finale, venendo sepolto l'indomani nel cimitero di
Cefalù.
Oltre
ad essi, tra il 10 aprile ed il 10 giugno 1943 vennero raccolti sulla
spiaggia di Cefalù undici corpi attribuiti a militari italiani, non
identificabili per mancanza d'indumenti, e ben 65 salme di soldati
tedeschi. Tutti furono sepolti nel cimitero di Cefalù, dove riposano
tutt'ora nell'ossario comune, come evidenziato da ricerche condotte
dalla cefaludese Maria Serio.
La famiglia di Plinio Sollai non poté riavere il corpo per un errore assurdo: negli anni Sessanta la figlia di Sollai, informata della sepoltura del padre a Cefalù, attraversò l'Italia in 500 per riportare la salma nel suo paese natale, ma il frate cappuccino che fungeva da custode del cimitero di Cefalù non trovò il suo nome nel registro delle sepolture. Solo a decenni di distanza i nipoti avrebbero scoperto che il nome nel registro c'era, ma scritto a mano e poco leggibile, ragion per cui il frate a suo tempo non l'aveva trovato. Troppo tardi: nel frattempo le tombe erano state rimosse in seguito a lavori effettuati nel cimitero, e le ossa erano finite nell'ossario comune.
mio zio Cadetto Michele cannoniere comune di prima classe di soli 17 anni risulta disperso nell'affondamento dell'ascari.vorrei chiedere il significato dei segnali luminosi sella bianca seguita da una stella verde lanciato da un aereo di soccorso all'Ascari interpretato come sottomarino e scia di siluro.
RispondiEliminaPurtroppo non sono esperto nel significato dei segnali. Dato che molto spesso, nel caso di unità perse o danneggiate su mine, al momento si pensava ad attacco di sommergibili, posso solo supporre che l'equipaggio dell'aereo, magari influenzato da quanto accaduto all'Ascari, avesse scambiato una particolare increspatura del mare mosso per la scia lasciata da un periscopio/siluro di un sommergibile, ed avesse pertanto segnalato all'Ascari il pericolo.
EliminaBsera Lorenzo. Il comandante in 2^ dell'Ascari il 24 marzo 1943 era il CC Mario Avallone (nato il 21 marzo 1908), che si salvò al naufragio.
RispondiEliminaBsera Lorenzo. Il com.te in seconda dell'Ascari era ancora il CC Giuseppe Luzzatto da Padova, all'atto dell'affonfamento?
RispondiEliminaNon ha scritto pochi giorni fa che era Mario Avallone? Il che sembrerebbe suffragato da questo: http://decoratialvalormilitare.istitutonastroazzurro.org/view_doc.php?img=m-bronzo%20tomo_2/BRONZO_TOMO2_00000074.jpg
EliminaBuongiorno, sono il nipote di pelletti giacinto, volevo sapere se il relitto della nave ascari é mai stato recuperato. Grazie
RispondiEliminaBuongiorno,
Eliminasicuramente no, non mi risulta che sia mai stato individuato.
Salve Signor Lorenzo,
RispondiEliminami chiamo Maria Serio ed abito a Cefalù.
In base ad alcune ricerche su:
San beniculturali, l'archivio del cimitero di Cefalù, il vostro blog, la voce del marinaio, nonché dimenticati di Stato;
ritengo che alcuni marinai dei C. T. Ascari e Maloncello che nel disastro del 24 marzo 1943, sono stati dichiarati dispersi, si trovano sepolti nell'ossario del cimitero di Cefalù.
Mi sono avvalsa anche delle testimonianze dei due custodi del cimitero di Cefalù che confermano il seppellimento in base al registro del cimitero ed ai ricordi del vecchio custode, un frate cappuccino che lo compilo' personalmente al momento dell'identificazione e del seppellimento dei corpi, assieme ad altri corpi di militari tedeschi.
Mi sono rivolta al Ministero della difesa senza alcun risultato, quindi il Signor Roberto Zamboni, con grande sensibilità e gentilezza, ha pubblicato la mia email con i dettagli dei marinai caduti, su dimenticati di Stato.
Mi farebbe piacere sottoporre l'email alla sua attenzione e se ritiene opportuno pubblicare l'email oppure solamente l'elenco dei marinai ritenuti ancora oggi dispersi.
Purtroppo dovrebbe essere l'amministrazione comunale del luogo a preoccuparsi di contattare il Ministero della Difesa e comunicare tutto ciò, ma ho trovato solamente disinteresse e apatia, nonostante oggi è la ricorrenza della liberazione d'Italia e i sacrifici dei poveri militari sono stati dimenticati dalle nostre autorità.
https://dimenticatidistato.com/2023/04/10/affondamento-dei-cacciatorpediniere-ascari-e-malocello-tornano-alla-luce-i-nomi-e-le-sepolture-di-alcuni-marinai-italiani/
https://dimenticatidistato.com/2023/04/22/lettera-della-nipote-di-plinio-sollai-morto-nellaffondamento-del-cacciatorpediniere-ascari/
Grazie per l'attenzione,
Maria Serio