Il piroscafo da carico Ada (di 5248 tsl, costruito nel 1919-1920 ed appartenente alla Società Anonima Impresa Navigazione Commerciale di Roma) fu uno degli oltre duecento mercantili italiani che il 10 giugno 1940, all’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, si vennero a trovare al di fuori del Mediterraneo, impossibilitati a rientrare in patria (i due ingressi del Mediterraneo, Suez e Gibilterra, erano sotto controllo britannico) e costretti a cercare rifugio in porti neutrali per scampare all’inevitabile cattura o distruzione da parte delle forze alleate. Al momento della dichiarazione di guerra l’Ada, al comando del capitano Felice Mouston, era all’ormeggio a Kobe, in Giappone, e lì dovette restare, bloccato ed inattivo, per quasi due anni.
Il 1° giugno 1942,
tuttavia, l’Ada venne noleggiato
dalla compagnia giapponese Teikoku Senpaku Kaisha (“Compagnia Imperiale di
Navigazione a Vapore”), di proprietà del governo nipponico. Ribattezzata Ataka Maru, la nave riprese a navigare
per conto delle autorità giapponesi sotto la gestione della Yamashita Kisen, mantenendo
però come equipaggio quello originario, italiano, di 32 uomini.
L’ultimo viaggio
dell’Ataka Maru ebbe inizio alle
15.10 del 22 agosto 1943, quando la nave partì da Yokohama diretta a Keelung
insieme ai mercantili giapponesi Mitsu
Maru, Sawa Maru e Momogawa Maru, con la sola scorta del
posareti ausiliario Kashi Maru.
Intorno alle 12.12 del 23 agosto 1943 il sommergibile statunitense Paddle, al comando del capitano di
corvetta Robert H. Rice, lanciò quattro siluri contro l’Ataka Maru: colpito da due delle armi, il piroscafo iniziò ad
imbarcare acqua. Le vedette della nave italiana avvistarono un periscopio a
circa 1600 metri sulla sinistra, ed i suoi artiglieri aprirono il fuoco contro
di esso. Alle 12.42, tuttavia, dovette essere dato l’ordine di abbandonare la
nave, ed alle 12.55 l’Ataka Maru affondò
in posizione 34°36’ N e 138°50’ E (altre fonti collocano invece l’affondamento
nel punto 34°37’ N e 137°53’ E, oppure ad ovest della baia di Suruga),
divenendo l’unico mercantile italiano ad essere affondato durante la guerra del
Pacifico (per lo meno quando ancora l’Italia faceva parte dell’Asse). (“Navi
mercantili perdute” indica le ore 02.00 come orario dell’affondamento, forse
facendo riferimento all’ora italiana.) Uno dei membri dell’equipaggio rimase
ucciso, ed un secondo ferito. I superstiti (non è chiaro se 30 o 31) vennero
soccorsi da barche da pesca giapponesi e portati a Toba, all’imbocco
occidentale della baia di Ise.
Il 9 settembre 1943,
in seguito all’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, l’equipaggio dell’Ada venne imprigionato dalle forze
giapponesi. Gli italiani, ora prigionieri di guerra, vennero imprigionati
dapprima a Yokohama, poi ad Hakone Maki e da ultimo a Shinagawa, dove rimasero
sino alla fine della guerra. Un paio di marinai aderirono alla Repubblica
Sociale Italiana frattanto fondata da Benito Mussolini.
Non tutti gli ormai
ex membri dell’equipaggio dell’Ada
sopravvissero al duro trattamento riservato ai prigionieri dal Giappone: il marittimo palermitano Domenico Tarantino si ammalò in un campo di concentramento in Giappone e morì il 20 dicembre 1943; il fuochista Elia Alioto, anch'egli palermitano, morì in prigionia il 21 dicembre 1943; il direttore di macchina Oscar
Giardini, triestino, morì in prigionia il 16 febbraio 1944 e fu successivamente
sepolto presso il sacrario di Ryozen Kannon.
Un’altra immagine del Canadian Conqueror, poi Ada (dal sito www.combinedfleet.com, crediti sconosciuti). Dobrillo Dupuis, nel suo libro “Forzate il blocco!”, chiama la nave Ada Treves.
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Transport Ataka Maru: Tabular Record of MovementL’Ada su Lemairesoft
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