martedì 19 novembre 2013

Archimede

L’Archimede (g.c. Giuseppe Zidda)

Sommergibile di grande crociera della classe Brin. Archimede e Torricelli, impostati un anno più tardi delle altre tre unità della classe (BrinGuglielmotti e Galvani), presentarono diverse differenze rispetto ad esse: maggior dislocamento in superficie (1110,14 tonnellate in luogo di 1016,92) ed in immersione (1402,53 tonnellate anziché 1265,77), maggiore lunghezza (76,22 metri contro 72,50), e pescaggio (4,30 m anziché 4,20) ma minore larghezza (6,72 metri invece di 6,80); anche la velocità massima in superficie era marginalmente superiore (17,47 nodi contri i 17,37 nodi delle prime tre unità). L’autonomia in superficie era di 1520 miglia a 17 nodi e 6109 miglia a 8 nodi in carico normale (per i primi tre era invece, rispettivamente, 1580 e 5662 miglia nelle stesse condizioni) e 2845 miglia a 17 nodi e 11.503 miglia a 8 nodi in sovraccarico (per i primi tre, 2861 e 9753 miglia); l’autonomia in immersione era di 10 miglia a 8,6 nodi (anziché 9 miglia a 8,5 nodi) e di 120 miglia a 4 nodi (invece di 90 miglia a 4 nodi).
 
In origine, la classe Brin doveva comprendere soltanto tre sommergibili (BrinGuglielmotti e Galvani); Archimede e Torricelli vennero costruiti per sostituire due precedenti omonime unità, appartenenti alla classe Archimede (costruite nel 1934) e cedute nell’aprile 1937 alla Marina spagnola nazionalista. Per occultare tale cessione, che non si voleva divenisse di dominio pubblico (dato che l’Italia non si avrebbe dovuto intervenire nella guerra civile spagnola), i precedenti Archimede e Torricelli non vennero ufficialmente radiati dai quadri del naviglio militare, ed i due nuovi sommergibili che ne presero il posto risultarono costruiti con «pezzi di rispetto» delle unità della classe Brin; la loro costruzione fu coperta da particolare segretezza.
 
Durante la seconda guerra mondiale l’Archimede fu attivo prima in Mar Rosso e poi, dopo un lungo viaggio di trasferimento in Francia alla caduta dell’Africa Orientale Italiana, in Atlantico. Effettuò sette missioni di guerra, percorrendo complessivamente 43.847 miglia in superficie e 2058 in immersione, trascorrendo 277 giorni in mare ed affondando due navi per un totale di 25.629 tonnellate di stazza lorda.
 
Breve e parziale cronologia.
 
23 dicembre 1937
Impostazione presso i cantieri Franco Tosi di Taranto.
5 marzo 1939
Varo presso i cantieri Franco Tosi di Taranto.
18 aprile 1939
Entrata in servizio. Insieme ai quattro gemelli, va a formare la XLI Squadriglia Sommergibili.
Nei mesi che precedono l’inizio della seconda guerra mondiale l’Archimede e le altre unità della classe svolgono attività addestrativa particolarmente intensa e numerose esercitazioni, con l’obiettivo di comprendere quali siano le condizioni ottimali per l’impiego dei sommergibili della classe Brin.
18 aprile 1940
Assume il comando dell’Archimede il tenente di vascello Mario Signorini, 31 anni, da Roma.
Aprile 1940
L’Archimede (tenente di vascello Mario Signorini) viene trasferito in Mar Rosso, assegnato alla base di Massaua, in Eritrea (Africa Orientale Italiana), dove giunge il 29 aprile, insieme al Torricelli. Il due sommergibili sono mandanti in A.O.I. in sostituzione di due sommergibili di piccola crociera, Iride ed Onice, che sono stati fatti rientrare in Mediterraneo.
10 giugno 1940
Al momento dell’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale, l’Archimede (tenente di vascello Mario Signorini) fa parte, insieme al gemello Torricelli ed ai sommergibili di piccola crociera Perla e Macallè, della LXXXII Squadriglia Sommergibili, inquadrata nel VIII Gruppo Sommergibili di base a Massaua.
19 giugno 1940
Al comando del tenente di vascello Mario Signorini, l’Archimede parte da Massaua alle 14.30 per la sua prima missione di guerra, un pattugliamento al largo di Aden (per altra fonte, di Gibuti) in cooperazione con il Perla.
20 giugno 1940
Durante il giorno, mentre l’Archimede è al largo di Aden, diversi membri dell’equipaggio iniziano a sentirsi male. Inizialmente si pensa che la causa sia cibo avariato, ma ci si rende poi conto che la causa è molto più grave: una perdita di cloruro di metile dall’impianto di condizionamento.
Il cloruro di metile, gas incolore, è impiegato come gas refrigerante negli impianti di condizionamento (che nel torrido clima del Mar Rosso, dove le temperature superano abbondantemente i 30° C con tassi di umidità superiori al 90 %, devono essere tenuti continuamente in funzione, specie su unità con spazi angusti e scarso ricambio d’aria quali sono i sommergibili) ma è altamente tossico (oltre che cancerogeno) in caso di inalazione: gli effetti vanno dallo stordimento ed intontimento alla depressione, alla perdita parziale o totale di conoscenza, all’inappetenza, all’euforia ed alla smania distruttiva e persino omicida, alle allucinazioni, a danni al sistema nervoso, alla follia, fino anche alla morte. Problemi all’impianto di condizionamento sono già stati rilevati prima ancora dell’entrata in guerra, ma l’improvviso ordine di partenza ha impedito di completare i lavori di riparazione. Non è passato neanche un giorno dalla partenza da Massaua, quando alcuni uomini vengono colti da malore; dapprima non si riesce a capire la causa di quelli che appaiono sintomi di avvelenamento. La situazione va peggiorando, ed il quarto giorno il sistema di condizionamento dell’aria deve essere disattivato. Due ufficiali e parecchi sottufficiali e marinai vengono colti da colpi di calore, molti altri, sempre di più, iniziano a manifestare i sintomi dell’avvelenamento. La maggior parte dell’equipaggio viene colpita dagli effetti del cloruro di metile: dapprima depressione e svenimenti, poi inappetenza, poi atteggiamenti maniacali ed euforia, seguiti da allucinazioni e per ultima una frenesia distruttiva ed omicida che per alcuni è anticamera della morte. L’Archimede deve trascorrere le ore diurne posato sul fondale nei pressi dello stretto di Bab el Mandeb.
23 giugno 1940
Nel tardo pomeriggio del 23, il comandante Signorini valuta seriamente la possibilità di annullare la missione, ma il comando di Massaua assegna all’Archimede una nuova posizione 50 miglia più a sud della precedente.
24 giugno 1940
Nella notte tra il 23 ed il 24, quattro marinai muoiono per effetto del cloruro di metile, il che finalmente induce il comandante Signorini a decidere di abbandonare la missione e rientrare alla base. A causa del continuo aggravarsi dello stato di salute dell’equipaggio, l’Archimede deve dirigere per la base di Assab, più vicina di Massaua.
26 giugno 1940
Arriva ad Assab alle 8.40, dopo aver percorso 991,6 miglia. Verso le dieci del mattino, mentre è all’ancora nel porto di Assab in posizione 13°15’ N e 42°55’ E, l’Archimede viene attaccato da tre bombardieri britannici Bristol Blenheim, ma la bomba che cade più vicina esplode in mare ad una ventina di metri di distanza, senza causare danni.
Ventiquattro uomini gravemente intossicati, tra cui il comandante Signorini ed il direttore di macchina, vengono sbarcati: due di loro, il sottocapo Luigi Zecchini ed il marinaio Ermenegildo Rubini, spirano subito dopo essere stati sbarcati, portando così a sei il numero delle vittime, altri otto impazziscono (da altra versione sembrerebbe invece che i 6 morti complessivi, gli 8 impazziti ed i 24 rimasero gravemente intossicati siano da considerarsi come “separati”, per un totale di 38 tra morti, impazziti ed intossicati gravemente), gli altri rimarranno malati per lungo tempo.
Dagli elenchi dei caduti della Marina Militare risultano i nomi di cinque, e non sei, membri dell’equipaggio dell’Archimede morti tra il 25 ed il 26 giugno 1940:
 
Guido Conti, marinaio silurista, 21 anni, da Piacenza, deceduto il 25 giugno 1940
Nicola Donvito, marinaio silurista, 19 anni, da Gioia del Colle, deceduto il 25 giugno 1940
Giovanni Grosso, sottocapo furiere, 23 anni, da Portoferraio, deceduto il 25 giugno 1940
Ermenegildo Rubini, marinaio silurista, 21 anni, da Casaro, deceduto ad Assab il 26 giugno 1940
Luciano Zecchini, 19 anni, sottocapo silurista, da Udine, deceduto ad Assab il 26 giugno 1940
 
Un sesto membro dell’equipaggio, il marinaio nocchiere Alberto Scognamilla, 21 anni, da Montesarchio, sarebbe invece morto per le conseguenze dell’intossicazione a diversi mesi di distanza, il 2 marzo 1941.
Nicola Donvito, Giovanni Grosso e Luciano Zecchini riposano ancor oggi nel cimitero militare italiano di Massaua, insieme ad altri 1583 soldati, marinai ed avieri italiani morti in quel lembo d’Africa dal 1885 al 1946, mentre Ermenegildo Rubini risulta sepolto in una località imprecisata dell’Eritrea.
Quella dell’Archimede non è la prima tragedia causata dal cloruro di metile sui sommergibili del Mar Rosso, e non sarà l’ultima. L’equipaggio passerà cinque mesi in ospedale a Massaua, dopo di che gli uomini verranno mandati a riposo ad Asmara per due settimane. Per trasferire l’Archimede a Massaua si renderà necessario mandare ad Assab personale sano prelevato dal cacciatorpediniere Leone (compresi un nuovo comandante, il capitano di corvetta Livio Piomarta, ed un nuovo direttore di macchina) per rimpiazzare i morti e gli intossicati.
(Secondo quanto raccontato dal membro dell’equipaggio Giuseppe Lo Coco nel 1943 quando venne interrogato dalle autorità statunitensi dopo la cattura, l’Archimede partì il 10 giugno, rimase in missione per 15 giorni e poi venne attaccato da 6 cacciatorpediniere che lo bombardarono, ad intermittenza, con cariche di profondità, costringendolo a restare in immersione per ventiquattr’ore; fu questa circostanza a causare la rottura dei tubi dell’impianto di refrigerazione e la fuga di gas. Quasi tutti furono colpiti da temporanea follia, ad eccezioni degli ufficiali in camera di manovra, che avevano chiuso le porte stagne ed impiegato l’impianto di ventilazione per impedire la penetrazione del gas anche in quel locale. Terminato il rischio di altri attacchi, gli ufficiali avevano fatto riemergere il sommergibile ed avevano liberato i compartimenti dal gas; poi lo avevano riportato a Massaua. Questa versione contrasta in molti particolari con quella che risulta dalle fonti ufficiali italiane, ed è possibile che Lo Coco avesse mentito agli americani – allora ancora nemici, sebbene Lo Coco nell’interrogatorio si dichiarò più favorevole a questi ultimi che ai tedeschi – o che ricordasse male).
3 luglio 1940
Lascia Assab, al comando del capitano di corvetta Livio Piomarta, per rientrare a Massaua.
4 luglio 1940
Arriva a Massaua alle 15.10 dopo aver percorso 257 miglia.
L’Archimede viene poi sottoposto a lavori di riparazione dell’impianto di condizionamento, che vedranno la sostituzione del cloruro di metile nell’impianto di condizionamento con il più sicuro freon, in precedenza non impiegato per via della sua ridotta disponibilità e dei suoi elevati costi. I lavori verranno ultimati il 31 luglio.
5 agosto 1940
Uscita per esercitazione da Massaua dalle 6.45 alle 18, al comando del tenente di vascello Mario Signorini. Percorse 65,5 miglia.
13 agosto 1940
Altra uscita per esercitazione da Massaua dalle 6.45 alle 18, al comando del tenente di vascello Mario Signorini. Percorse 42,2 miglia.
17 agosto 1940
Ulteriore uscita per esercitazione da Massaua dalle 7 alle 16.08, al comando del tenente di vascello Mario Signorini. Percorse 39,5 miglia.
9 settembre 1940
Ancora un’uscita per esercitazione da Massaua dalle 8 alle 17.45, al comando del tenente di vascello Mario Signorini. Percorse 53,5 miglia.
18 settembre 1940
Ultima uscita per esercitazione da Massaua dalle 11.50 alle 18, al comando del tenente di vascello Mario Signorini. Percorse 38 miglia.
19 settembre 1940
Lascia Massaua alle 21.40, al comando del tenente di vascello Mario Signorini, per un pattugliamento tra Gabel Tair ed il parallelo 19° Nord.
23 settembre 1940
Rientra a Massaua alle 13.20, dopo aver percorso 585 miglia.
5 ottobre 1940
Salpa da Massaua alle 10.30, al comando del tenente di vascello Signorini, per un pattugliamento nel Mar Rosso meridionale.
11 ottobre 1940
Rientra a Massaua a mezzogiorno, dopo aver percorso 502,5 miglia.
16 ottobre 1940
Uscita per esercitazione da Massaua dalle 7.35 alle 11.10, al comando del tenente di vascello Mario Signorini. Percorse 25,5 miglia.
24 ottobre 1940
Parte da Massaua alle 13, al comando del tenente di vascello Signorini, per un altro pattugliamento nel Mar Rosso meridionale.
30 ottobre 1940
Rientra a Massaua alle 10.40, dopo aver percorso 534,5 miglia.
22 novembre 1940
Salpa da Massaua a mezzogiorno per un pattugliamento nel Mar Rosso meridionale, sempre al comando del tenente di vascello Signorini.
25-26 novembre 1940
Attacca infruttuosamente un convoglio britannico, forse l’S.W. 3, in Mar Rosso.
28 novembre 1940
Rientra a Massaua alle dieci, dopo aver percorso 586 miglia.
1° dicembre 1940-4 gennaio 1941
Lavori di raddobbo a Massaua. In questo periodo l’Archimede è comandato dal tenente di vascello Guido Guidi.
6 gennaio 1941
Uscita per esercitazione da Massaua dalle 7 alle 14.30, al comando del tenente di vascello Marino Salvatori. Percorse 18,5 miglia.
9 gennaio 1941
Uscita per esercitazione da Massaua dalle 6.50 alle 11.30, al comando del tenente di vascello Marino Salvatori. Percorse 23 miglia.
12 gennaio 1941
Lascia Massaua alle 10.20, al comando del tenente di vascello Marino Salvatori, per un pattugliamento nel Mar Rosso meridionale.
16 gennaio 1941
Rientra a Massaua alle 11.10, dopo aver percorso 483 miglia.
2 febbraio 1941
Parte da Massaua alle dieci, al comando del tenente di vascello Marino Salvatori, per un altro pattugliamento nel Mar Rosso meridionale.
6 febbraio 1941
Rientra a Massaua alle 9.25, dopo aver percorso 495 miglia.
3 marzo 1941
Lascia Massaua alle 5.10, al comando del capitano di corvetta Marino Salvatori, per trasferirsi in Francia circumnavigando l’Africa, nell’imminenza della caduta dell’Eritrea (l’Africa Orientale Italiana, accerchiata ed invasa su più fronti dalle truppe del Commonwealth e priva di ogni possibilità di rifornimento, ha ormai i giorni contati). Dei superstiti sommergibili di Massaua, parte insieme all’Archimede il Galileo Ferraris; il Perla è partito già il 1° marzo, il Guglielmotti seguirà il 4. Destinazione Bordeaux, sulla costa atlantica francese, dove dall’estate del 1940 è stata istituita una base atlantica di sommergibili italiani, Betasom.
4 marzo 1941
Alle 20.38 viene avvistato un mercantile con rotta ovest nello stretto di Perim, e sette minuti più tardi viene avvistata una luce; gli ordini per la missione di trasferimento vietano però di condurre attacchi, pertanto l’Archimede prosegue per la sua rotta.
Alle 21.15 viene avvistato un convoglio di quattro navi in navigazione verso nord, ma di nuovo il sommergibile deve astenersi dall’attaccare.
8 aprile 1941
Raggiunge a mezzogiorno il punto prestabilito per il rifornimento in mare, 25°00’ S e 20°00’ O, ed inizia ad incrociare a bassa velocità con i motori elettrici in arrivo dell’unità rifornitrice, la tedesca Nordmark. È il primo dei sommergibili di Massaua ad essere giunto nel luogo designato per il rifornimento.
I britannici sono al corrente dell’appuntamento, avendo intercettato e decifrato delle comunicazioni italiane contenenti anche la posizione concordata per il rifornimento, ed hanno pertanto organizzato l’operazione "Grab" per intercettare sia la Nordmark che i sommergibili, inviando allo scopo l’incrociatore ausiliario Alcantara, gli sloops Milford e Bridgewater ed il sommergibile Severn. Mentre l’idroricognitore dell’Alcantara localizza la Nordmark, ma si lascia ingannare dal suo camuffamento, il Severn avvista ed attacca l’Archimede alle 9.44 dello stesso 8 aprile, in posizione 25°09’ S e 20°00’ O, ma i due siluri mancano il bersaglio, che non si accorge neanche di essere stato attaccato. Perso il contatto con l’Archimede, il Severn lo avvista nuovamente alle 19.45, in posizione 24°30’ S e 20°25’ O, ma non riesce a portarsi in posizione idonea per attaccare.
12 aprile 1941
Avvista Ferraris e Guglielmotti; i tre sommergibili prendono ad incrociare insieme in attesa della Nordmark. (L’Archimede indica nel suo rapporto questo incontro come avvenuto il 12 aprile, senza indicare un orario; il Guglielmotti invece indica le 14 del 13 aprile).
14 aprile 1941
Avvista finalmente la Nordmark, camuffata da nave appoggio statunitense Prairie, alle 15.50. La nave tedesca comunica che l’appuntamento è stato modificato, in seguito al suo avvistamento da parte dell’idrovolante dell’Alcantara: il rifornimento dovrà ora svolgersi nel punto 25°00’ S e 26°00’ O. Le unità tornano quindi a separarsi, dirigendosi nel nuovo punto stabilito per l’incontro.
16 aprile 1941
Viene rifornito di carburante e viveri dalla Normark nel nuovo punto convenuto, dalle 14 alle 22.15.
18 aprile 1941
Durante il giorno vengono avvistati fumo ed alberature all’orizzonte, in posizione 15°45’ S e 27°23’ O, attribuiti dal comandante Salvatori ad una nave cisterna in navigazione a 12 nodi su rotta 040°.
22 aprile 1941
Avvistato un fumo all’orizzonte, in posizione 00°50’ S e 28°10’ O.
23 aprile 1941
Avvistato a mezzogiorno un piroscafo con rotta 130°, in posizione 04°10’ N e 28°32’ O. Non attacca, come da ordini.
30 aprile 1941
Avvista alle 16.25 un piroscafo con rotta 160° e velocità 15 nodi, in posizione 32°57’ N e 31°05’ O.
7 maggio 1941
Arriva a Bordeaux dopo un viaggio di 65 giorni e 12.730 miglia.

7 maggio 1941: dopo oltre due mesi di navigazione, l’Archimede, proveniente da Massaua, arriva a Bordeaux (Coll. Erminio Bagnasco via Maurizio Brescia).


L’ammiraglio Angelo Parona, comandante di Betasom, accoglie il comandante Salvatori e l’equipaggio dell’Archimede all’arrivo a Bordeaux (g.c. Giovanni Pinna)


26 agosto 1941
Lascia Bordeaux alle 9, al comando del capitano di corvetta Marino Salvatori, per trasferirsi a Le Verdon, dove arriva alle 18.20, dopo aver percorso 62 miglia.
27 agosto 1941
Lascia Le Verdon alle 7.45 per trasferirsi a La Pallice, insieme al Ferraris e con la scorta delle vedette tedesche V 404 e V 411. Arriva a La Pallice alle 19.10, dopo aver percorso 97 miglia.
28 agosto 1941
Uscita da La Pallice per esercitazione, al comando del capitano di corvetta Marino Salvatori, dalle 8.05 alle 14.05. Percorse 32 miglia.
31 agosto 1941
Uscita da La Pallice per esercitazione, al comando del capitano di corvetta Marino Salvatori, dalle 8.55 alle 16.15. Percorse 33 miglia.
2 settembre 1941
Lascia La Pallice alle 19.30, al comando del capitano di corvetta Marino Salvatori, per un pattugliamento antisommergibili nel Golfo di Biscaglia, tra i meridiani 06°00’ O e 07°50’ O ed i paralleli 45°00’ N e 45°30’ N (quadranti 9454 e 9430).

L’Archimede in Atlantico, probabilmente all’inizio dell’estate 1941 (g.c. STORIA militare)

7 settembre 1941
Conclude la missione raggiungendo Bordeaux alle 12.50, dopo aver percorso 853,5 miglia.
18 settembre 1941
Lascia Bordeaux alle 8.40, al comando del capitano di corvetta Marino Salvatori, per iniziare il viaggio di ritorno in Italia. Sosta a Le Verdon dalle 12.30 alle 19, poi esce in mare aperto.
20 settembre 1941
Il rientro in Mediterraneo viene annullato, e l’Archimede riceve invece ordine di pattugliare un settore compreso tra i meridiani 09°00’ O e 11°00’ O ed i paralleli 38°00’ N e 40°00’ N, al largo di Lisbona.
26 settembre 1941
Alle 23 avvista un piroscafo illuminato, e dunque neutrale, di 4000 tsl in navigazione verso Lisbona, in posizione 38°59’ N e 10°03’ O.
27 settembre 1941
Alle 22 riceve ordine di spostarsi in un nuovo settore d’operazioni, tra i meridiani 09°00’ O e 11°00’ O ed i paralleli 40°00’ N e 42°00’ N.
28 settembre 1941
Alle 17.50 avvista un piroscafo illuminato di 3000 tsl con rotta 160° in posizione 41°03’ N e 09°22’ O. Avvicinatosi, lo riconosce come neutrale.
29 settembre 1941
Avvista alle 11.45 una nave portoghese illuminata con rotta 070° in posizione 41°13’ N e 09°44’ O.
2 ottobre 1941
Rientra a Bordeaux alle 14.50, dopo aver percorso 2439 miglia.
16 ottobre 1941
Lascia Bordeaux alle 13.10, al comando del capitano di corvetta Marino Salvatori, per fare ritorno in Italia. Sosta a Le Verdon dalle 16.50 alle 18.50, poi prosegue verso il mare aperto.
20 ottobre 1941
A mezzanotte avvista una nave spagnola in posizione 37°40’ N e 12°14’ O.
23 ottobre 1941
Alle 23.10, quando l’Archimede si trova a 45 miglia per 265° da Capo Spartel, l’ordine di rientro in Mediterraneo viene nuovamente sospeso e sostituito con l’ordine di attaccare un convoglio partito da Gibilterra (l’HG. 75) e portarsi nel punto 35°55’ N e 11°25’ O e successivamente nel punto 35°35’ N e 12°05’ O.
24 ottobre 1941
Alle 6.40 avvista due cacciatorpediniere a 3000 metri di distanza, in posizione 36°18’ N e 10°00’ O; subito l’Archimede effettua immersione rapida, ma non viene attaccato, pur sentendo delle esplosioni di bombe di profondità in lontananza. Alle 10.10 riceve ordine di spostarsi venti miglia più a nord.
Alle 20.15 riemerge, ed alle 21 riceve ordine di portarsi nel punto 37°15’ N e 13°05’ O entro l’alba.
25 ottobre 1941
Alle 12.20 avvista un aereo in posizione 36°44’ N e 13°20’ O, e s’immerge per evitarlo.
26 ottobre 1941
Alle 4.15 vengono avvistati dei razzi di segnalazione in lontananza in posizione 37°26’ N e 15°45’ O, ed il comandante Salvatori ritiene che si tratti del convoglio HG. 75, lanciando pertanto il relativo segnale di scoperta; in realtà il convoglio si trova più a nordovest, e l’Archimede è molto più a sud.
27 ottobre 1941
Alle 9.15, in posizione 39°35’ N e 19°34’ O, il sommergibile avvista per davvero l’HG. 75; vengono riconosciuti cinque o sei mercantili scortati da quattro cacciatorpediniere, con rotta 300°. Alle 9.20 l’Archimede viene scoperto dalla scorta e costretto all’immersione rapida; viene poi sottoposto a caccia con il lancio di due “pacchetti” di 5-6 bombe di profondità ciascuno, per sfuggire alla quale scende a 120 metri di profondità. Altri lanci di bombe di profondità seguono alle 9.40, alle 10.12, alle 10.37 ed alle 10.45, causando alcuni danni al sommergibile; a lanciare è il cacciatorpediniere britannico Duncan. (Secondo il già citato interrogatorio di Giuseppe Lo Coco, che errando indicava la data di questo episodio come il 25 ottobre, l’Archimede sarebbe stato bombardato per due volte con 66 cariche di profondità da sei cacciatorpediniere per un totale di dodici ore sotto attacco, subendo gravi danni – il pagliolo del ponte sfracellato, rottura di tutte le luci, danni ai serbatoi di carburante con conseguenti perdite, inutilizzazione delle pompe, distruzione dei vetri delle strumentazioni e dei manometri, danni ed infiltrazioni in alcuni tubi lanciasiluri – ma rimanendo operativo ed in grado di proseguire la missione, anche se, dopo il rientro alla base, dovette passare due mesi in bacino per riparazioni).
Riemerso alle 20.30, l’Archimede si allontana dal convoglio per riparare le avarie causate dalla caccia. Successivamente cerca di riprendere contatto con il convoglio, ma senza successo.
29 ottobre 1941
Alle 15.15 l’Archimede avvista un aereo in posizione 44°30’ N e 21°30’ O, e s’immerge.
30 ottobre 1941
Avvista altri due aerei, il primo alle 11 ed il secondo alle 13 (entrambi in posizione 47°30’ N e 20°16’ O), ed entrambe le volte s’immerge per evitarli.
31 ottobre 1941
Alle 00.30 s’immerge in posizione 48°44’ N e 19°48’ O in seguito all’accensione, a ridottissima distanza, di tre proiettili illuminanti.
1° novembre 1941
Persa ormai ogni speranza di riuscire a raggiungere nuovamente il convoglio, l’Archimede abbandona la caccia e fa rotta per Bordeaux, dove ha ricevuto ordine di dirigere.
5 novembre 1941
Arriva a Le Verdon alle otto del mattino, dopo aver percorso 3892,5 miglia. Alle 14.30 riparte diretto a Bordeaux, dove arriva alle 17.30.
19 novembre 1941-19 aprile 1942
In lavori a Bordeaux, sotto il comando provvisorio del tenente di vascello Mario Violante.

L’Archimede in bacino di carenaggio a Bordeaux (g.c. Maurizio Brescia).

26 aprile 1942
Completati i lavori, salpa da Bordeaux alle 15.30 e si trasferisce a Le Verdon, dove arriva alle 20.20, al comando del tenente di vascello Gianfranco Gazzana Priaroggia.
29 aprile 1942
Al comando del tenente di vascello Gianfranco Gazzana Priaroggia, lascia Le Verdon alle 9.10 per trasferirsi a La Pallice, dove giunge alle 18.20, dopo aver effettuato prove in mare a Le Pertuis d’Antioche e percorso complessivamente 83 miglia.
30 aprile 1942
Uscita per esercitazione da La Pallice, al comando del tenente di vascello Gianfranco Gazzana Priaroggia.
1° maggio 1942
Salpa da La Pallice alle 16.10 al comando del tenente di vascello Gianfranco Gazzana Priaroggia per un pattugliamento al largo della costa brasiliana, in una zona delimitata dai meridiani 36°00’ O e 40°00’ O, dal parallelo 02°30’ S e dalla costa sudamericana.
4 maggio 1942
Alle 19.20 viene avvistata la torretta di un sommergibile su rilevamento 045°, in posizione 44°24’ N e 11°50’ O; l’Archimede accosta di 30° a sinistra per evitarlo.
13 maggio 1942
Alle 00.20 viene ricevuto un segnale di scoperta lanciato dal sommergibile Alpino Bagnolini, relativamente ad un piroscafo avvistato in posizione 14°45’ N e 28°05’ O, con rotta 005° e velocità 16 nodi. L’Archimede assume rotta 218°, raggiunge la posizione calcolata per l’intercettazione e poi assume rotta 185°, ma non avvista niente.

L’Archimede a Bordeaux (da www.bordeaux3945.forumactif.com)

23 maggio 1942
Alle 8.50 le vedette dell’Archimede notano una luce all’orizzonte; avvicinatosi, il sommergibile scopre una nave in fiamme, preceduta di 500 metri da un cacciatorpediniere statunitense “classe Maury”. L’Archimede manovra per sopravanzarli, ma durante la manovra viene avvistata una grossa nave da guerra al traverso a dritta a duemila metri di distanza, ed il comandante Gazzana Priaroggia decide di attaccarla.
Alle 9.38, in posizione 02°10’ S e 35°55’ O, l’Archimede lancia due siluri dai tubi prodieri da una distanza di 1200 metri, per poi immergersi subito. Dopo 58 secondi vengono sentite due esplosioni; quando il battello raggiunge i 60 metri di profondità, una bomba di profondità esplode molto vicina. Gazzana decide di scendere ancora, a 110 e poi a 120 metri di profondità; vengono sentite le esplosioni di un’altra trentina di bombe di profondità, divise in cinque “pacchetti”, prima che alle 11.30 il rumore delle eliche si perda in lontananza. Alle 13.30, l’Archimede riemerge. (Secondo Giuseppe Lo Coco, l’Archimede fu bombardato con 29 cariche di profondità e subì seri danni agli impianti elettrici ed anche vari danni interni, che richiesero un mese di riparazioni).
La nave in fiamme era la nave cisterna brasiliana Comandante Lyra, silurata in precedenza dal sommergibile italiano Barbarigo e presa a rimorchio dalla nave appoggio idrovolanti statunitense Thrush; erano inoltre presenti sul posto il rimorchiatore brasiliano Heitor Perdigao, l’incrociatore leggero statunitense Milwaukee ed il cacciatorpediniere Moffett, pure statunitense. Era probabilmente il Milwaukee la grossa unità da guerra avvistata ed attaccata dall’Archimede; i siluri non sono andati a segno, e le navi avversarie non ne hanno neanche notato le scie. Il Moffett ha rilevato l’Archimede per proprio conto, sottoponendolo a caccia.
Alle 14.50 l’Archimede avvista un idrovolante, simile agli IMAM Ro. 43 in uso in Italia, che viene respinto dal tiro del cannone di coperta e delle mitragliere: si tratta di un idroricognitore Curtiss Seagull lanciato dal Milwaukee. Alle 14.58 viene avvistato un altro idrovolante, stavolta correttamente identificato come un PBY Catalina: è l’aereo P-2 (matricola 7623) della squadriglia VP-83 della Marina statunitense di base a Natal, in Brasile, e pilotato dal tenente A. R. Waggoner. Anche stavolta l’Archimede reagisce con il tiro delle armi di bordo, ma mentre è in corso l’attacco appaiono all’orizzonte due cacciatorpediniere ed il sommergibile s’immerge. Da parte americana risulterebbe esservi stato un solo cacciatorpediniere, ancora il Moffett, che alle 15.16 inizia a lanciare bombe di profondità, lanciandone una dozzina (secondo quanto apprezzato sull’Archimede) fino alle 22.45.
24 maggio 1942
Alle 15.16 l’Archimede torna in superficie, avvista i due (?) cacciatorpediniere a circa 3 km di distanza ed accosta in fuori per allontanarsene.
25 maggio 1942
Alle 00.30 l’Archimede viene informato dell’avvistamento di una forza navale statunitense in posizione 03°55’ S e 35°00’ O, con rotta 330° e velocità 15 nodi, ed assume rotta 310° per intercettarla. Alle 3.30 viene avvistata la sagoma di un cacciatorpediniere in posizione 01°20’ N e 35°25’ O, ma poco dopo viene persa di vista.
Alle 20.30 viene avvistata una nave cisterna scortata da un cacciatorpediniere in posizione 01°20’ N e 35°20’ O, con rotta 170° e velocità 12 nodi. L’Archimede non è in posizione favorevole per un attacco, ed alle 22.15 viene avvistato dal cacciatorpediniere e costretto ad immergersi.
2 giugno 1942
Alle 23.50 viene avvistata una nave svedese illuminata in posizione 01°10’ N e 38°45’ O, con rotta 320° e velocità dieci nodi.
4 giugno 1942
A mezzogiorno viene avvistato un piroscafo che procede a zig zag con rotta 300° e velocità 13 nodi; l’Archimede lo insegue fino alle 23.30, quando lo perde di vista in un piovasco.
8 giugno 1942
Alle 4.30 viene avvistato un piroscafo argentino con rotta 300° e velocità nove nodi in 02°25’ N e 40°00’ O.
12 giugno 1942
Alle 7.40 viene avvistato in posizione 01°55’ N e 45°45’ O il piroscafo spagnolo Cabo de Monroe, avente rotta 300° e velocità otto nodi.
Alle 18.40 viene avvistato un altro piroscafo argentino, avente rotta 300° e velocità 9 nodi, in posizione 2°00’ N e 45°25’ O.

Il tenente di vascello Gianfranco Gazzana Priaroggia a bordo dell’Archimede (foto Mario Sopracasa, da pagina Facebook “Il portasigarette d’argento”)

15 giugno 1942
Alle 13.15, in posizione 03°55’ N e 42°40’ O, viene avvistato un piroscafo che procede a nove nodi su rotta 315°: si tratta del panamense Cardina di 5586 tsl, in navigazione da Buenos Aires a New York, via Trinidad, con un carico di 7000 tonnellate di semi di lino ed al comando del capitano Einar Falnes.
Secondo quanto scritto da Gazzana Priaroggia nel rapporto, il Cardina avrebbe sparato un colpo di cannone contro il periscopio dell’Archimede, ma doveva trattarsi di un’impressione erronea, in quanto il piroscafo non era provvisto di armamento difensivo. Alle 16.30 (ora italiana; 12.45 ora locale) l’Archimede lancia due siluri da 450 mm dai tubi poppieri, da 1500 metri di distanza; uno va a segno dopo 78 secondi, colpendo il Cardina sul lato sinistro, nella stiva numero 5. La nave sbanda subito e l’equipaggio l’abbandona precipitosamente in pochi minuti, senza attendere ordini; accortisi però che non sta affondando, gli uomini del Cardina tornano a bordo nel giro di un’ora, lanciano un SOS (che però non sembra essere stato ricevuto) ed effettuano anche alcune riparazioni, riuscendo a rimettere in funzione le macchine. Alle 17.30 le macchine vengono fermate di nuovo, e l’equipaggio abbandona nuovamente la nave.
Nel frattempo, l’Archimede si è allontanato dal Cardina di 5 km, in attesa che la nave affondi; siccome sembra invece rimanere a galla, torna ad avvicinarsi ed a mezzanotte lancia un siluro tipo SI 270 da 533 mm da soli trecento metri di distanza, aprendo un grosso squarcio nella murata del piroscafo, sempre sul lato sinistro. Viene poi aperto il fuoco con il cannone; l’Archimede spara undici colpi da 100 mm, almeno tre dei quali vanno a segno, e finalmente alle 00.45 del 16 giugno il Cardina affonda in posizione 04°45’ N e 40°55’ O, circa 500 miglia a nordest di São Luís in Brasile.
Non vi sono vittime tra i 34 membri dell’equipaggio, per metà statunitensi; messisi in salvo su quattro lance, raggiungeranno tutti felicemente Salinas (o São Luís) in Brasile sei giorni più tardi.
16 giugno 1942
Alle 21.30 l’Archimede avvista un piroscafo che procede a zig zag su una corsa molto irregolare, compresa tra 170° e 350°, a dodici nodi di velocità; Gazzana Priaroggia chiede a Betasom l’autorizzazione ad attaccare, che viene subito concessa.
17 giugno 1942
Alle 4.55, apprezzata la rotta della nave sconosciuta come 350°, l’Archimede si avvicina con rotta parallela e lancia un siluro da 533 mm da un tubo prodiero, da soli duecento metri di distanza, in posizione 06°30’ N e 41°00’ O. Il siluro manca il bersaglio passandogli pochi metri a poppavia.
La nave attaccata è il piroscafo statunitense Columbian di 4964 tsl, in navigazione da Trinidad a Capetown, che reagisce aprendo il fuoco con il suo armamento difensivo, sparando due colpi di cannone (uno dei quali viene ritenuto erroneamente andato a segno) e raffiche di mitragliera; l’Archimede risponde al fuoco con le sue mitragliere Breda ed allunga le distanze. Alle 9.35 il sommergibile lancia un altro siluro, tipo SI 270 da 533 mm, da un tubo prodiero da tremila metri di distanza; ormai a corto di carburante, l'Archimede deve rinunciare all’inseguimento.
27 giugno 1942
Alle 13.45, in posizione 31°35’ N e 22°35’ O, l’Archimede avvista un convoglio di una ventina di navi, tra cui un incrociatore e dei bastimenti con due o tre fumaioli, da 18 km di distanza, con rotta 170° e velocità 14 nodi. L’Archimede s’immerge alle 14.21 e tenta di portarsi all’attacco, ma non riesce ad avvicinarsi a meno di 15 km; quando riemerge alle 16, il comandante Gazzana Priaroggia si rende conto che il convoglio ha cambiato rotta, ed è ormai troppo lontano per tentarne l’intercettazione.
Alle 18.15 l’Archimede avvista un cacciatorpediniere con rotta 135° in posizione 31°35’ N e 22°35’ O, e s’immerge per evitarlo; alle 21.30 ne avvista un altro con rotta nord, e di nuovo s’immerge.
4 luglio 1942
Arriva a Bordeaux dopo aver percorso 10.178 miglia.
31 agosto 1942
Si trasferisce da Bordeaux (partenza alle 10.30) a Le Verdon (arrivo alle 15.30) al comando del tenente di vascello Gianfranco Gazzana Priaroggia. Percorse 50 miglia.
1° settembre 1942
Lascia Le Verdon alle 8.50, al comando del tenente di vascello Gianfranco Gazzana Priaroggia, per trasferirsi a La Pallice, dove giunge alle 15.15 dopo aver percorso 65 miglia.
3 settembre 1942
Uscita per esercitazione da La Pallice dalle 8.30 alle 13.15, al comando del tenente di vascello Gianfranco Gazzana Priaroggia. Percorse trenta miglia.
6 settembre 1942
Uscita per esercitazione da La Pallice dalle 10.35 alle 15.22, al comando del tenente di vascello Gianfranco Gazzana Priaroggia. Percorse 29 miglia.



La torretta dell’Archimede in una foto scattata probabilmente nel 1942. L’ufficiale in plancia è probabilmente il tenente di vascello Gianfranco Gazzano Priaroggia; sulla destra, in abiti civili, si nota il pilota francese, imbarcato per la sola navigazione sulla Gironda. L’immagine è erroneamente attribuita in alcune pubblicazioni al sommergibile Michele Bianchi, in partenza per la sua ultima missione il 4 luglio 1941 (si ringrazia Giuseppe Zidda per la corretta pubblicazione). Sotto, dettaglio dell’emblema dipinto sulla torretta (da “Les sous-marins italiens en France 1940-1942” di Jean-Pierre Gillet)


Un’altra foto dell’Archimede scattata nella medesima occasione (g.c. STORIA militare)

15 settembre 1942
Al comando del tenente di vascello Guido Saccardo, l’Archimede lascia La Pallice insieme al Bagnolini alle 17.15 per un pattugliamento al largo di Freetown, tra i meridiani 09°00’ O e 16°00’ O ed i paralleli 02°00’ N e 04°00’ N. Un U-Boot tedesco attrezzato con apparato per la rilevazione delle emissioni radar "Metox" dovrebbe accompagnare Archimede e Bagnolini nel Golfo di Biscaglia, ma deve rientrare poco dopo la partenza per avaria.
18 settembre 1942
Alle 15 l’Archimede s’immerge dopo aver avvistato un sommergibile in posizione 44°15’ N e 08°10’ O.
1° ottobre 1942
Alle 11.20 vengono avvistati dei fumi all’orizzonte in posizione 16°15’ N e 21°30’ O: inizialmente il comandante Saccardo ritiene che si tratti di un convoglio e lancia il segnale di scoperta, che non viene ricevuto da Betasom. Successivamente Saccardo si rende conto che c’è una sola nave; avvicinatosi in immersione, alle 15.53 la identifica come la spagnola Mar Caribe di 5152 tsl, e deve quindi rinunciare ad attaccare.

Il tenente di vascello Guido Saccardo, ultimo comandante dell’Archimede (da www.lospeakerscorner.eu)

9 ottobre 1942
Alle 7.05 l’Archimede avvista tra la pioggia leggera una grossa nave con rotta 060° a circa quattromila metri di distanza, in posizione 04°08’ N e 20°57’ O. Si tratta del transatlantico britannico Oronsay di 20.043 tsl, di proprietà della Orient Steam Navigation Company di Londra e requisito dal governo britannico come trasporto truppe. Dopo aver trasportato truppe in Sudafrica con il convoglio WS. 21P, sta tornando da Capetown al Regno Unito via Freetown in navigazione isolata, al comando del capitano Norman Savage e con a bordo 466 persone (l’equipaggio più 50 militari della Royal Air Force, venti marittimi britannici reduci da precedenti affondamenti ed otto cannonieri della Royal Navy) oltre a 1200 tonnellate di rame e tremila tonnellate di arance.
Subito dopo l’avvistamento, l’Archimede tenta di attaccare subito con i tubi poppieri, ma non riesce a portarsi in una posizione favorevole. Manovra allora per avvicinarsi ed usare i tubi prodieri; alle 17.20 lancia due siluri SI 270 da 533 mm da una distanza di 1800-2000 metri. Dopo 140 secondi, una delle armi colpisce l’Oronsay sul lato di dritta, devastando le sale macchine e caldaie ed immobilizzando immediatamente la nave.
Alle 7.37 l’Archimede lancia altri due siluri SI 270 da 533 mm dai tubi prodieri, da distanza di 800-1000 metri, ma il primo si rivela difettoso e vira a sinistra, l’altro passa a proravia del bersaglio. Alle 8.03 viene lanciato allora un siluro W 200 da 450 mm da un tubo di poppa, da 1000-1200 metri di distanza; colpisce l’Oronsay sul lato sinistro, ma la nave rimane a galla. Alle 10.08 vengono lanciati altri due siluri W 200 da 450 mm da 1000-1200 metri, dai tubi poppieri, ed entrambi colpiscono sul lato sinistro. Osservate una quindicina di scialuppe in mare (un’altra scialuppa è stata distrutta mentre stava venendo calata dall’esplosione di uno dei siluri), il comandante Saccardo conclude che la nave sia spacciata e decide di andarsene. L’Oronsay affonderà infatti in serata, circa ottocento miglia ad ovest-sud-ovest di Monrovia e cinquecento miglia a sudovest di Freetown.
Delle 466 persone imbarcate sull’Oronsay, sei perdono la vita (cinque delle quali sulla scialuppa distrutta dall’esplosione del siluro); il cacciatorpediniere britannico Brilliant, inviato in soccorso del transatlantico insieme al gemello Boreas, recupererà 321 naufraghi il 20 ottobre, l’avviso francese Dumont d’Urville ne trarrà in salvo 47 (tra cui il medico di bordo James McIlroy, reduce della famosa spedizione di Shackleton al Polo Sud) il 14 ottobre, ed il piroscafo francese Lipari ne salverà 19. I naufraghi recuperati dalle due unità francesi verranno sbarcati a Dakar ed internati in Senegal dalle autorità della Francia di Vichy.
Con le sue 20.043 tonnellate di stazza lorda, l’Oronsay è la seconda più grande nave mai affondata da un sommergibile italiano.

Il transatlantico Oronsay, affondato dall’Archimede (Coll. Greene, State Library Victoria, via www.clydeships.co.uk)

Poco ci manca che l’Archimede faccia un clamoroso “bis” a poche ore di distanza: alle 22.33, infatti, avvista nella pioggia un’altra grossa nave, anch’essa distante 4000 metri, in navigazione verso nordovest a 16 nodi in posizione 04°05’ N e 20°15’ O. Si tratta di un altro transatlantico britannico impiegato come trasporto truppe, il Nea Hellas di 16.691 tsl, in navigazione da Capetown a Glasgow dopo aver trasportato truppe in Sudafrica con il convoglio WS. 22.
Alle 23.27 l’Archimede lancia due siluri tipo SI 270 da 533 mm da 1200 metri di distanza; il comandante Saccardo ritiene di averne messo a segno almeno uno, e la nave sembra infatti allontanarsi a velocità ridotta. Alle 00.14 del 10 ottobre viene lanciato un terzo siluro dello stesso tipo da soli 500 metri di distanza, da un tubo prodiero, ma l’arma manca il bersaglio passandogli a poppavia e prima che l’Archimede possa ricaricare i tubi lanciasiluri di prua (tutti vuoti) la nave britannica riesce a seminarlo.
L’equipaggio del Nea Hellas crede in un primo momento che la nave sia stata colpita nelle stive 3 e 4, si prepara ad abbandonare la nave e lancia un SOS in cui afferma che la nave è stata colpita da due siluri; poco dopo, però, ci si rende conto che i siluri hanno mancato la nave passandole a poppa (l’esplosione è stata determinata probabilmente dall’attivazione prematura degli acciarini magnetici), e l’SOS viene quindi annullato. Il cacciatorpediniere Brilliant viene inviato sul posto per dare la caccia al sommergibile e scortare il Nea Hellas a Freetown.

Il Nea Hellas nel 1943 (da www.clydeships.co.uk)

11 ottobre 1942
Alle 18.02 viene avvistato in posizione 06°20’ N e 23°35’ O un U-Boot tedesco, con cui vengono scambiati i segnali di riconoscimento.
19 ottobre 1942
Alle 14 l’Archimede s’immerge in seguito all’avvistamento di un aereo in posizione 07°30’ N e 19°12’ O.
17 novembre 1942
Conclude la missione rientrando a Bordeaux alle undici, dopo aver percorso 9813 miglia.
Per l’affondamento dell’Oronsay (ed il creduto siluramento del Nea Hellas) il comandante Saccardo riceverà la Medaglia d’Argento al Valor Militare, con motivazione: "Comandante di sommergibile oceanico nella sua prima missione in comando in Atlantico, si portava all’attacco con coraggio e tenace spirito aggressivo ed affondava un transatlantico nemico di oltre 20.000 tonnellate di stazza, silurandone un altro di 17.000 tonnellate. In ambedue le azioni e durante il corso della missione dava prova di perizia, sereno ardimento ed elevate qualità militari e marinaresche".
 
Un’altra immagine dell’Archimede a Bordeaux nel maggio 1941 (g.c. STORIA militare)

L’ultima missione
 
Il 26 febbraio 1943 l’Archimede, al comando del tenente di vascello Guido Saccardo, partì da Bordeaux per quella che sarebbe stata la sua ultima missione. A bordo vi erano quattro giovani ufficiali appena imbarcati – il tenente del Genio Navale Direzione Macchine Bruno Miani e il sottotenente della medesima specialità Camillo Boteschi, rispettivamente primo e secondo ufficiale di macchina, entrambi triestini, il guardiamarina genovese Carlo Greppi e l’aspirante padovano Italo Sandrin – e venti nuovi ed inesperti sottocapi e marinai, reclute appena arrivate dalla Scuola Sommergibili di Pola, che non sembravano adeguatamente addestrate (il sottocapo Giuseppe Lo Coco, che era stato tra i membri dell’equipaggio incaricati di addestrare i nuovi arrivati prima di partire per la missione, era infatti infastidito dal fatto che ci fossero sempre nuove reclute da addestrare a terra ed a bordo). Anche un altro degli ufficiali era al suo primo imbarco sull’Archimede, il guardiamarina palermitano Diego La Licata, appena trasferito dal sommergibile Ammiraglio Cagni. Altri 25 sottufficiali e marinai erano invece dei sommergibilisti veterani, ma di questi solo cinque o sei, tra cui Giuseppe Lo Coco, erano i membri dell’originario equipaggio dell’Archimede, che aveva portato il battello dall’Eritrea alla Francia. Prima della partenza, l’equipaggio venne benedetto e ricevette la comunione dallo stesso prete che per ultimo era stato visto dall’equipaggio del sommergibile Ferraris prima che quell’unità partisse per la missione in cui sarebbe stata affondata, oltre un anno prima. Lo Coco disse poi che gli uomini dell’Archimede ebbero una “premonizione” della loro sorte, e salutarono il prete esclamando “Non ci vedremo più, andiamo a morire”.

L’Archimede (a sinistra) ed il Leonardo Da Vinci fotografati a Bordeaux nel febbraio 1943, prima di partire per quella che per entrambi sarà l’ultima missione (foto da www.silenthunter.forumfree.it). Sotto, una serie di fotogrammi tratti da un filmato dell'Istituto Luce girato nella medesima occasione







L’Archimede, insieme ai sommergibili Leonardo Da Vinci ed Alpino Bagnolini, avrebbe dovuto compiere un pattugliamento della durata di un mese; secondo Lo Coco, l’unità partì da Bordeaux il 14 febbraio, ma prima ancora di raggiungere Le Verdon (un porto alla foce della Gironda, sul mare aperto) ebbe problemi ai motori, e dovette tornare indietro. Alle cinque del mattino del 15 febbraio il sommergibile poté ripartire, preceduta da un’unità addetta al pilotaggio, e raggiunse Le Verdon; da qui proseguì preceduto da un dragamine un centinaio di metri a proravia, e fiancheggiato da due cacciatorpediniere tedeschi, mentre aerei sorvolavano la formazione fornendo copertura. Il dragamine fece scoppiare due mine vicino all’imbocco della Gironda. (Si può notare la discrepanza tra la data di partenza indicata dalle fonti ufficiali, il 26 febbraio, e quella indicata da Lo Coco, il 14 o 15: di nuovo vale la possibilità che Lo Coco non ricordasse od avesse volutamente mentito agli americani.) Dopo un giorno, la scorta lasciò l’Archimede; nei sei giorni successivi il sommergibile fu impegnato nell’attraversamento del golfo di Biscaglia, considerato uno dei tratti più pericolosi del viaggio a causa della minaccia degli aerei Alleati, che vi avevano affondato innumerevoli sommergibili dell’Asse. In questo periodo il battello navigò in immersione dalle otto del mattino alle otto di sera, ed in superficie dalle otto di sera alle otto del mattino. Venticinque giorni dopo la partenza da Bordeaux, l’Archimede arrivò nella zona assegnata, un triangolo avente un “lato” di 500 miglia tra Pernambuco e l’isolotto di San Paolo, un secondo “lato” di 300 miglia in una linea a nordovest dall’isolotto di San Paolo, e la “base” costituita dalla linea che univa i due lati. Cinque o sei giorni prima di arrivare nella zona d’operazioni, il sommergibile avvistò una nave argentina e due spagnole; il 12 marzo 1943 il battello entò nella zona assegnata per il pattugliamento, e la pattugliò senza avvistare nessuna nave nemca. Il 14 aprile, alle 24.00, Giuseppe Lo Coco vide chiaramente il faro di San Fernando de Noronha. L’Archimede proseguì lungo la sua rotta verso l’isolotto di San Paolo. Durante il pattugliamento si scoprì che il tubo lanciasiluri n. 7 di poppa aveva una grave perdita, quindi il siluro contenuto venne rimosso ed il tubo venne allagato. Gli ordini erano di pattugliare la zona assegnata, al largo di Pernambuco, sino a quando la riserva di carburante non si fosse ridotta a 70 tonnellate, dopo di che l’Archimede sarebbe stato rifornito da un altro sommergibile dell’Asse. Con il carburante ricevuto, l’unità sarebbe potuta arrivare sino anche a Rio de Janeiro, ma tutto venne annullato. Invece di scendere sino al 23° parallelo, il battello rimase a nord del 20°, ed il 10 aprile comunicò a Betasom – fu il suo ultimo messaggio radio – che si trovava in posizione 16°45’ S e 37°30’ O e che non restavano che 61 tonnellate di nafta in riserva, pertanto fu disposto un incontro con un sommergibile tedesco, che lo avrebbe rifornito di carburante in quantità sufficiente a rientrare alla base.
 
Il 15 aprile 1943, alle 15.10 ora americana (altra fonte indica le “due del mattino” ma non è chiaro secondo quale fuso orario; in ogni caso l’attacco avvenne nel pomeriggio), l’idrovolante 83-P-5 tipo PBY-5A “Catalina” dello Squadron VP-83 dell’US Navy, di base a Natal (in Brasile), mentre volava a 2200 metri durante una normale missione di ricognizione, con rotta 240° ed alla velocità di 95 nodi, avvistò l’Archimede proprio davanti a sé, ad otto miglia di distanza, con rotta opposta. L’aereo era decollato alle 5.20 da Natal per una missione di sorveglianza contro eventuali violatori di blocco tedeschi, e si trovava in volo già da dieci ore (per una versione stava rientrando alla base dalla missione, svolta nell’area BuNo 2472/5; due membri del suo equipaggio, Earl Kloss ed Arnold Burggraff, dissero che l’avvistamento avvenne appena un quarto d’ora prima dell’orario pianificato come conclusione del loro volo di pattuglia) quando avvistò l’unità italiana, circa 390 miglia ad est-sud-est di Natal. Fu il marinaio di seconda classe Earl Joseph Kloss, la vedetta di prua, guardando fuori da un finestrino (un anno dopo Kloss avrebbe ricevuto da Eleanor Roosevelt, la moglie del presidente degli Stati Uniti, la Gold Star e la Air Medal), a vedere per primo il sommergibile. Kloss pensò di aver avvistato una nave, ma il navigatore, il guardiamarina Eugene Colley Morrison, che al momento dell’avvistamento stava andando verso prua per dare un’occhiata al mirino, identificò l’unità come un sommergibile emerso e tornò indietro ad informare il pilota.
 
(Per altra versione l’Archimede venne dapprima avvistato da un ricognitore, che richiamò poi sul posto due idrovolanti antisommergibile Catalina dello Squadron VP-83, ma tale versione appare errata). Il battello italiano era in navigazione in superficie ad una velocità di 5-7 nodi (per altra versione 10-12 nodi), con rotta 040°. Il sommergibile, diretto verso il punto fissato per l’incontro con il sommergibile rifornitore tedesco, era appena arrivato all’altezza dell’isola di Fernando de Noronha, e si trovava a 150 miglia dalla costa del Brasile. C’erano alcune nuvole nel cielo ed il sole era basso sull’orizzonte quando l’aereo venne avvistato dall’Archimede, alle otto di sera ora italiana (interrogatorio di Lo Coco del 1943; nella deposizione che rese in Italia nel 1946, invece, Lo Coco indicò l’orario dell’attacco come le 21.40): il venticinquenne sottocapo nostromo Giuseppe Lo Coco si trovava nella camera lancio siluri poppiera quando sentì il comandante in seconda, il tenente di vascello Ennio Suriano, annunciare all’altoparlante “Aereo avvistato diritto di prora”. Subito il comandante Saccardo ordinò di armare cannoni e mitragliere e di chiudere tutte le porte stagne; Lo Coco corse al suo posto di combattimento, al cannone di prua. L’ufficiale addetto agli armamenti, il sottotenente di vascello Adolfo Magnano, rimase in attesa, in piedi accanto al cannone di prua, con le braccia incrociate, senza dare ordini, dicendo semplicemente “Spero che ci immergeremo presto ed usciremo da questo casino”. In effetti l’immersione sarebbe stata la manovra più sicura per eludere l’attacco senza danni, ma l’Archimede non ebbe modo di immergersi, probabilmente per un’avaria, la cui natura non poté in seguito essere accertata.
Magnano, un ufficiale della Marina mercantile, era stato assegnato ai sommergibili nella tarda estate del 1942, ma non aveva nessuna esperienza di artiglierie, come lui stesso ammetteva, nonostante l’incarico che gli era stato assegnato.
Prima che Morrison potesse avvertire il pilota, il velivolo aveva già sorvolato, ed oltrepassato, l’Archimede: tutti, a bordo del sommergibile, furono sorpresi dal fatto che l’aereo li avesse sorvolati senza sganciare bombe. Il pilota del Catalina, il guardiamarina Thurmond Edgar Robertson – che a seguito dell’azione avrebe ricevuto la Distinguished Flying Cross –, coadiuvato dal copilota parigrado B. S. McCoy, mantenne la propria rotta ed altitudine sino a portarsi a poppavia del sommergibile. Questi iniziò a compiere manovre evasive, ma senza cercare d’immergersi. Quando l’aereo si fu portato circa un miglio a poppavia dell’Archimede ed iniziò a virare, l’Archimede aprì il fuoco con cannoni e mitragliere, e Morrison lo riferì a Robertson, che fino a quel momento non aveva ancora avuto modo di vedere di persona il sommergibile. L’aereo americano virò gradualmente sulla dritta (per altra fonte a sinistra), abbassandosi di circa 300 metri, poi, provenendo da poppa e da sinistra, Robertson, in considerazione del rischio costituito dal fuoco contraereo del sommergibile, decise di non attaccare subito a bassa quota, ma di sorvolare l’Archimede tenendosi a 1800 metri e sganciare dall’ala di dritta due bombe tipo Mark-44 con spolette tipo Mark-19, ad impatto. L’Archimede, infatti, non aveva cessato il fuoco – anzi, quando l’aereo aveva terminato la virata per iniziare l’attacco con le bombe, aveva a sua volta virato verso di esso, continuando a sparare –, e Robertson pensava di tenersi in quota, fuori tiro, e di sganciare le prime due bombe, le cui esplosioni avrebbero dovuto spazzare via i membri dell’equipaggio dal ponte, in modo da far cessare il tiro. Tuttavia dall’idrovolante, quando la distanza si fu ridotta a mezzo miglio – l’aereo era sempre a 1800 metri di quota (per altra versione a 2200) –, sembrò che il battello stesse per immergersi (Morrison disse a Robertson, attraverso l’interfono, che il sommergibile si stava immergendo), quindi Robertson, per non perdere l’occasione per affondarlo, decise di gettarsi in picchiata con un angolo di 60°, nonostante i Catalina non fossero progettati per manovre del genere (e per giunta i cavi di controllo dell’aereo 83-VP-5 erano gravemente sfilacciati), in modo da poterlo colpire prima che s’immergesse. L’idrovolante, mentre proiettili traccianti provenienti dalle mitragliere della torretta dell’Archimede sfrecciavano tutt’intorno alla sua prua, scese in picchiata con un angolo di circa 60° a 245 nodi di velocità e, da un’altezza di 600 (o 650) metri, sganciò tutte le quattro bombe di cui era dotato, tra cui, dall’ala sinistra, due bombe di profondità tipo Mark-44 dotate di spolette idrostatiche regolate per una profondità di 7,62 metri (le altre due erano quelle dotate di spolette Mark-19). Le bombe, del peso di 160 kg, contenevano esplosivo di tipo Torpex.
 
Lo Coco ed i suoi compagni videro il Catalina avvicinarsi da poppa e sganciare due bombe: entrambe mancarono il bersaglio, ma una cadde vicina alla prua, sulla dritta, e la concussione che causò fu estremamente violenta, tanto da spalancare, sCardinare e strappare i portelli interni ed esterni del boccaporto prodiero, e da sollevare un muro d’acqua che ricoprì l’intero sommergibile (Lo Coco spiegò poi che molti dei superstiti, in seguito, si sentirono male a causa della molta acqua di mare che avevano ingoiato quando erano stati travolti da questa vera e propria cascata). La concussione era stata tanto violenta da far pensare a due o tre dei membri dell’equipaggio del Catalina che l’aereo fosse stato colpito. Le bombe dell’ala di dritta erano scoppiate vicino, a bordo e sulla sinistra dell’Archimede, circa sei metri a poppavia della torretta, e quelle dell’ala di sinistra erano cadute sulla dritta del sommergibile, una ventina di metri a proravia della torretta, mentre il battello continuava a rispondere al fuoco per tutta la durata dell’attacco; l’enorme massa d’acqua sollevata dalle detonazioni nascose completamente alla vista il sommergibile, poi, quando l’acqua fu ricaduta in mare, l’equipaggio statunitense vide l’Archimede, in superficie, girare in tondo verso sinistra, apparentemente incapace di virare a dritta. Il sommergibile lasciava dietro di sé una lunga striscia di carburante marrone, e molto fumo grigo scuro usciva dalla torretta e da poppavia della stessa: all’equipaggio del Catalina il battello appariva ingovernabile, e navigava a circa 4-5 nodi. Dopo circa 15-20 minuti il fumo si dissolse e l’Archimede riprese a navigare con rotta diritta, rilevamento 065°-080°. A causa dei danni ai portelli prodieri, l’Archimede si trovava ora impossibilitato ad immergersi; le luci erano state distrutte, ed uno dei motori diesel era stato posto fuori uso. Non restava che proseguire in superficie con una rotta evasiva, mentre il Catalina continuava a volteggiare in cerchio, in lontananza. Anche una delle due mitragliere situate nella parte poppiera della torretta, quella di sinistra, era stata resa inutilizzabile dall’attacco.
 
(Per una versione americana, quando l’aereo si venne a trovare a circa 600 metri di quota il sommergibile s’immerse, perciò Robertson fu costretto a sganciare subito tutte e quattro le sue bombe; subito dopo le esplosioni l’Archimede riemerse ed iniziò a compiere giri irregolari verso sinistra. Questa versione sembra però errata perché Lo Coco non parlò mai di un tentativo d’immersione dell’Archimede durante l’attacco, ed i rapporti statunitensi parlarono della percezione, da parte degli uomini del Catalina, di un tentativo d’immersione, ma senza che il battello fosse riuscito effettivamente ad immergersi prima che le bombe scoppiassero).
 
Terminata la virata a sinistra seguita all’attacco, il pilota del Catalina, tenendosi in vista del sommergibile, risalì ad una quota di circa 1800 metri e chiamò via radio altri aerei statunitensi che si trovavano nelle vicinanze (ce n’erano quattro), chiedendo assistenza; mentre il Catalina volteggiava in cerchio ad una distanza di sei miglia, notò degli sbuffi di fumo dal cannone di prua dell’Archimede, che ad intervalli irregolari sparò dieci colpi durante i quaranta minuti che trascorsero prima dell’arrivo di un secondo aereo. Non vennero però notati gli scoppi dei proiettili.
 
Secondo quanto Lo Coco affermò durante il suo interrogatorio dopo la cattura, a differenza di quanto riportato da Robertson e dal suo equipaggio, nessun cannone o mitragliera dell’Archimede aveva aperto il fuoco per tutta la durata dell’attacco, e neanche dopo fino alla comparsa di un secondo aereo; riguardo l’inefficacia del cannone di prua, Lo Coco la imputò alla totale inesperienza del sottotenente di vascello Magnano.
 
Tre quarti d’ora dopo il primo attacco – secondo il rapporto statunitense; Lo Coco ritenne invece che fosse passato appena un quarto d’ora –, un altro Catalina dello Squadron VP 83, l’83-P-12 pilotato dal tenente di vascello (guardiamarina per altra fonte) Gerald Bradford Jr., in base alle indicazioni fornite via radio dal primo aereo, giunse sul posto; volando a circa 460 metri avvistò da una distanza di otto miglia il battello italiano, che era in superficie ma appariva appoppato, con il ponte di poppa sommerso. Erano le 16.20 ora statunitense (o meglio, ora “Zone plus P”, il cui preciso significato non appare chiaro; per altra fonte le 19.10, senza specificare il fuso orario). L’equipaggio del sommergibile vide l’aereo emergere improvvisamente da una nuvola, da una distanza di circa mille metri. Invece di attaccare subito, il Catalina sorvolò l’Archimede girando intorno alla poppa per attaccare da poppa con un angolo di 180°. Durante questa manovra da parte dell’aereo, l’Archimede modificò la rotta accostando a sinistra, così che, al momento dello sgancio delle bombe, l’angolo risultò essere di 210° invece che 180°. Quando aereo e sommergibile furono ad una distanza di circa 1370 metri, entrambi aprirono il fuoco; la mitragliera all’estremità poppiera della torretta sparava circa due colpi al secondo. Nel suo primo attacco, l’idrovolante sorvolò l’Archimede a bassa quota, ad una velocità di 125 nodi, e sganciò da circa 15-30 metri di altezza quattro bombe, cariche di profondità tipo Mark-44 con spolette Mark-24-1 regolate per una profondità di 7,62 metri ed una distanza l’una dall’altra di 20 metri. L’equipaggio del Catalina osservò le esplosioni lungo il lato sinistro, tra centro nave e poppa, e ritenne che avessero colpito (o mancato di pochissimo) lo scafo immediatamente a poppavia della torretta; la quarta esplosione avvenne sul ponte, a dritta, subito a poppavia della torretta. Le bombe, infatti (Lo Coco ritenne però che l’aereo ne avesse sganciate solo due), colpirono lo scafo resistente a poppavia della torretta: una s’infilò dritta nel boccaporto di poppa, ed una fiammata eruppe dal deposito di carburante situato in fondo al boccaporto. I quattro siluri che erano nei tubi di poppa, pronti al lancio, esplosero, e le esplosioni aprirono un enorme squarcio nello scafo resistente: la camera di lancio siluri poppiera si ritrovò a “penzolare” attaccata allo scafo del sommergibile, “come un braccio rotto”. (Altre fonti affermano che l’Archimede si spezzò in due, ma questa sembra essere un’esagerazione: dalle foto scattate durante l’attacco appare che il sommergibile rimase relativamente integro). Giuseppe Lo Coco fu colpito da numerosi frammenti metallici proiettati dallo scoppio delle bombe. Il pilota dell’aereo americano ritenne che l’esplosione delle bombe potesse aver strappato il cannone di poppa dalla sua sede.
 
L’aereo effettuò poi altri quattro passaggi in cui sorvolò in cerchio, virando verso destra, il sommergibile, mitragliandolo e colpendolo, con la mitragliera di prua, nella torretta e nei pressi della stessa; sia durante l’attacco con le bombe che durante i mitragliamenti, l’Archimede rispose al fuoco. All’83-P-12 si unì, in due dei quattro passaggi con mitragliamento, l’83-P-5, l’autore del precedente attacco. (I mitraglieri Earl Kloss ed Arnold Burggraff del Catalina affermarono di aver spazzato il ponte del sommergibile con le loro mitragliere anche durante l’attacco con le bombe, ma questo non trova conferma nel rapporto americano né nella testimonianza di Lo Coco.) Dopo gli scoppi delle bombe, l’Archimede, colpito a morte, andò gradualmente appoppandosi e la prua andò via via sollevandosi ed uscendo dall’acqua, sino a protendersi con un’angolazione di 50°; mentre il battello affondava di poppa, impennando la prua nell’aria con un angolo di 50°, il Catalina 83-P-5, da solo, lo mitragliò di nuovo. All’interno del battello condannato, quando fu dato l’ordine di abbandonare la nave, il direttore di macchina, capitano del Genio Navale Franco Firrao, un ufficiale capace ed apprezzato, inspiegabilmente estrasse una pistola e trattenne sottocoperta molti uomini dell’equipaggio, dichiarando “Se il nostro sommergibile affonda, noi moriamo con lui”. La maggior parte degli uomini che non riuscirono ad abbandonare il sommergibile non poterono perché trattenuti sottocoperta da Firrao. L’Archimede scivolò lentamente sotto la superficie, affondando di poppa, e scomparve alle 16.25, circa sei minuti dopo essere stato colpito dalle bombe, in posizione 03°23’ S e  30°28’ O, circa 350 miglia a nordest di Natal, in Brasile, ed a circa 140 miglia da Fernando de Noronha. L’Archimede aveva sempre risposto al fuoco durante tutti gli attacchi con bombe ed i mitragliamenti da parte di entrambi i Catalina, sebbene con scarsi risultati (il cannone di prua e la mitragliera pesante da 37 mm situata nell’estremità poppiera della torretta risultarono inefficaci – i loro proiettili oltrepassarono il primo Catalina – mentre una mitragliatrice da 13,2 mm installata sulla torretta fu più precisa e colpì con tre proiettili l’ala destra di uno degli aerei), fino alla fine: il mitragliere addetto alla mitragliera di dritta situata nella parte poppiera della torretta (quella di sinistra era fuori uso già da dopo il primo attacco), il sergente motorista Ludovico Vottero, non cessò il fuoco finché non si ritrovò con l’acqua al collo, finché la torretta stessa non venne sommersa. Mentre la prua s’inabissava, emerse in superficie una grande quantità di bolle. Il carburante, marrone ed oleoso, formò una grande chiazza semicircolare di circa 7-8 metri per 60 che galleggiava sulla superficie, marcando il punto dell’affondamento.

Di seguito le foto scattate dal Catalina del tenente di vascello Bradford all’Archimede, durante l’attacco. Per gentile concessione di Jerry Mason. 











Non vi erano rottami in acqua; gli aerei americani ritennero che ci fossero in mare 30 o 40 sopravvissuti, circa un terzo dei quali con indosso giubbotti salvagente in Kapok o apparati respiratori. In realtà, secondo quanto Lo Coco affermò nel 1943 nell’interrogatorio, solo venticinque uomini, tra cui il comandante Saccardo, riuscirono a gettarsi in mare, e sei di essi annegarono a causa delle ferite riportate nell’attacco o delle ustioni provocate dal carburante in fiamme. Nella testimonianza che rese in Italia nel 1946 Lo Coco affermò invece che solo lui ed altri 18 uomini ebbero modo di buttarsi in mare, mentre 41 uomini, compresi tutti gli ufficiali di macchina, affondarono con il sommergibile.

Dopo l’affondamento, l’idrovolante 83-P-12 effettuò due passaggi sorvolando a bassa quota i naufraghi, ed ad ogni passaggio gettò vicino a loro una zattera di gomma da 7 posti; anche l’83-P-5 compì un sorvolo gettando un’altra zattera in gomma da sette posti vicino ai superstiti (la zattera ammarò in mezzo ai naufraghi). Quest’ultimo velivolo rimase in zona per quasi due ore dal suo primo attacco con le bombe. Lo Coco disse che il primo aereo aveva mitragliato gli uomini in acqua prima di gettare una zattera. (I mitraglieri Kloss e Burggraff del Catalina 83-P-5 dissero in un’intervista di essere stati “fortemente tentati” di mitragliare i naufraghi in acqua, ma che fu loro ordinato di non sparare.) Delle tre zattere buttate dagli aerei, i sopravvissuti dell’Archimede riuscirono a recuperarne solo due: Lo Coco dovette nuotare per circa cento metri per raggiungerle, poi le gonfiò, ne legò una all’altra per rimorchiarla e remò in direzione degli altri naufraghi. Su una delle due zattere, quella di Lo Coco, salirono in tutto tredici uomini (lui compreso), tra cui il comandante Saccardo, il comandante in seconda Suriano, il sottotenente di vascello Magnano ed il guardiamarina Carlo Greppi, l’unico altro ufficiale superstite; sull’altra zattera presero posto sei marinai.
Il sergente Vottero, issato a bordo di una zattera ma gravemente ferito ad una gamba, morì poco dopo essere stato tirato a bordo. Le due zattere erano legate insieme, ed andarono alla deriva, essendo gli occupanti troppo deboli per remare; il guardiamarina Greppi, un giovane genovese alla sua prima missione con l’Archimede, affermò che la deriva li stesse portando verso le Antille.

Questo secondo il resoconto del 1943; nel 1946, invece, Lo Coco affermò che uno dei 19 uomini che si erano gettati in mare, del quale non conosceva le generalità, fu ucciso dalle nutrite raffiche di mitragliatrice che gli aerei avevano sparato sui naufraghi mentre il sommergibile affondava, dopo di che, terminato il mitragliamento, gli aerei lanciarono ai superstiti due canotti in gomma provvisti ognuno di quattro remi, ed i naufraghi vi si divisero equamente, nove su ogni battellino. I sopravvissuti tentarono di dirigersi verso la costa brasiliana, distante 150 miglia, ma le correnti li portarono invece sempre più al largo. Tutti i naufraghi erano totalmente nudi, esausti e senza cibo.



 




L’Archimede è affondato, lasciando sulla superficie del mare solo una chiazza di carburante ed una ventina di sopravvissuti, cui vengono lanciate delle zattere gonfiabili. Sotto, i lievi danni arrecati al Catalina del tenente di vascello Bradford dalle mitragliere Breda da 13,2 mm del sommergibile (tutte le foto sono per g.c. di Jerry Mason).



Gli equipaggi dei Catalina videro i naufraghi dell’Archimede salire sulle zattere, ed il giorno seguente un aereo venne inviato alla ricerca dei sopravvissuti, ma non riuscì a trovarli: i superstiti sulle zattere, infatti, sia il giorno dopo l’affondamento che quello ancora successivo videro aerei che volteggiavano in cerchio, ma in lontananza. Alcuni dei naufraghi si alzarono in piedi e soffiarono nei piccoli fischietti di cui le zattere erano dotate; non avevano, però, pressoché nessun indumento per segnalare, e non vennero avvistati. Iniziò così un’interminabile deriva nell’Atlantico meridionale.
 
Il comandante Saccardo, un ventinovenne napoletano che si era offerto volontario per il servizio sui sommergibili perché infastidito dall’inazione sulle navi di superficie in Mediterraneo e che godeva di grande popolarità tra l’equipaggio dell’Archimede per il suo carattere gentile ed alla mano (a Bordeaux aveva persino fatto rimborsare ai suoi uomini il prezzo della doppia razione), subito dopo l’affondamento incoraggiò i superstiti e li mantenne uniti; sembrava calmo, rassegnato al suo destino. Il comandante in seconda Suriano, un padovano che aveva già prestato servizio sui sommergibili tascabili in Mar Nero (dove era stato comandante del CB 4), detestato dall’equipaggio perché sempre critico ed irascibile nonché unico ufficiale che avesse cercato di far vigere una rigida disciplina, mentre si trovava febbricitante dopo l’affondamento criticò duramente le capacità di Saccardo, affermò che il comandante era interamente colpevole per la perdita dell’Archimede ed attribuì l’affondamento all’inesperienza ed alla giovane età del comandante. Suriano aveva sempre avuto frizioni con Saccardo, a causa dell’inesperienza di quest’ultimo riguardo i sommergibili (che in effetti anche Lo Coco confermò), e spesso aveva dovuto aiutare od anche di fatto sostituire l’inesperto comandante nel dare gli ordini.


Due immagini del comandante Saccardo in missione (g.c. Giovanni Pinna)


Il quinto giorno alla deriva, i superstiti avvistarono un piroscafo all’orizzonte, ma i tentativi di attirarne l’attenzione non ebbero alcun risultato. Il settimo giorno venne avvistato un altro piroscafo, che passò a circa 1200 metri di distanza, alla velocità di circa dieci nodi: il comandante Saccardo, che riteneva il piroscafo argentino, si trasferì sulla zattera che aveva sei uomini a bordo, prese in prestito due remi dalla prima zattera e cercò di raggiungere la nave, promettendo di tornare indietro a prendere gli altri dodici se fosse riuscito a raggiungere la nave. Ma del comandante Saccardo e dei suoi sei compagni non si seppe più nulla. Lo Coco ritenne che non fossero riusciti a raggiungere il piroscafo.
 
Anche in questo caso, la versione data negli Stati Uniti nel 1943 (e sopra riportata) fu sensibilmente differente da quella data in Italia nel 1946: in quest’ultima, infatti, Lo Coco disse che i due canotti avevano navigato insieme per venti giorni, poi, intorno alle 13 del ventesimo giorno, era stato avvistato un piroscafo a circa tre miglia di distanza, e l’altro canotto con nove naufraghi si era diretto con decisione verso la nave, sperando di riuscire a farsi avvistare e salvare, ma Lo Coco e gli altri sul suo battellino notarono che il mercantile proseguiva per la sua rotta, allontanandosi velocemente e sparendo alla vista, ed il canotto che gli aveva mosso incontro svanì all’orizzonte: dei nove uomini in esso non si ebbero più notizie.
 
La zattera di Lo Coco continuò ad andare alla deriva, ed i sopravvissuti, uno dopo l’altro, morirono per le ferite, per le ustioni, di fame, di sete, o per aver bevuto troppa acqua di mare. Solo un occasionale e breve rovescio interruppe l’intenso, tremendo caldo del giorno. Il ventunesimo giorno di deriva morirono due uomini. Il giorno seguente, altri tre, poi, il ventiquattresimo giorno, altri due. Il comandante in seconda Suriano morì due o tre giorni prima che la zattera giungesse a riva, e prima di spirare assicurò a Lo Coco che lui sarebbe stato l’unico sopravvissuto. Lo Coco gettò i cadaveri in mare. Rimasero così solo in due: Lo Coco ed il sergente silurista Aldo Santolamazza (Lo Coco parlò del “sottocapo La Mazza Santo”, ma non vi era nessuno con questo nome tra l’equipaggio dell’Archimede, e Santo La Mazza appare una evidente distorsione del cognome Santolamazza, che è l’unico nome, nella lista dell’equipaggio dell’Archimede, riconducibile a “Santo La Mazza”), entrambi distesi sul fondo della zattera, ormai privi di sensi e di forze.
 
Secondo quanto Lo Coco raccontò in America nel 1943, durante il ventottesimo giorno alla deriva, la zattera si capovolse e gettò Lo Coco in mare, ma l’onda successiva raddrizzò nuovamente la zattera e lo gettò nuovamente a bordo. Questo gli fece ricordare ciò che Suriano gli aveva detto prima di morire. Il ventinovesimo giorno dopo l’affondamento, secondo le informazioni di base del rapporto dell’US Navy, il battellino venne portato dalle onde a riva sull’isola di Bailique, vicino alla costa occidentale del Rio delle Amazzoni. Secondo quanto riferito da Lo Coco nel 1946, invece, al ventiseiesimo giorno di deriva il battellino venne trovato da pescatori brasiliani, che portarono il superstite nell’isola di San Paolo. In realtà, la zattera venne trovata l’8 maggio 1943, dunque ventitrè giorni dopo l’affondamento. Lo Coco venne trovato indebolito ed in delirio da due pescatori brasiliani, che lo portarono nella vicina isola di Brigue; solo dopo quattro giorni Lo Coco riprese conoscenza sull’isola dov’era stato portato, e si riprese abbastanza perché si scoprisse che era un italiano, membro dell’equipaggio dell’Archimede. All’interno del canotto i pescatori avevano trovato anche il cadavere di Santolamazza, che venne sepolto nel cimitero di San Paolo, come fu detto a Lo Coco quando si fu ripreso. (Per altra fonte, invece, oltre a Lo Coco i pescatori brasiliani trovarono nel canotto due cadaveri, e non uno). Il battellino era andato alla deriva per 1400 miglia.
 
Esiste anche una terza versione, secondo cui 42 uomini dell’equipaggio affondarono con l’Archimede, mentre 25 furono sbalzati in mare e salirono su tre canotti lanciati da Catalina ma sprovvisti di scorte di viveri; nei quindici giorni successivi, durante cui non furono viste navi né aerei, 6 uomini morirono di fame e di sete, poi uno dei canottini, con Saccardo ed altri sei uomini, scomparve il 1º maggio nel tentativo di raggiungere una nave avvistata in lontananza per fare segnali e farsi notare, ed un altro battellino, con 6 uomini, sparì due o tre giorni dopo; l’ultimo rimasto, con 6 uomini, fu trovato da barche da pesca brasiliane l’8 maggio 1943 nei pressi di Fernando de Noronha, 27 giorni dopo l’affondamento, con un solo superstite, Lo Coco, ormai già quasi moribondo. Questa versione non trova però riscontro in quanto riferito da Lo Coco.
 
In ogni caso, la presenza di Lo Coco venne comunicata alle autorità della Marina brasiliana a Belem, e, essendo il Brasile in guerra contro l’Italia, Lo Coco, ora prigioniero (era stato preso in custodia dalla polizia di Brigue), venne imbarcato su una cannoniera brasiliana che lo portò a Belem, dove arrivò il 6 giugno 1943 e dove venne internato in isolamento nella locale base navale, per poi essere trasferito per via aerea negli Stati Uniti (il ritrovamento del superstite era stato comunicato dal Brasile agli USA il 1° giugno), dove arrivò ad un centro per l’interrogatorio il 27 giugno 1943. Dopo la lunga convalescenza, Lo Coco venne internato in un campo di prigionia nel Mississippi e poi a New York, dove rimase fino alla fine della guerra e dove cercò inutilmente di scoprire cosa fosse stato degli uomini del secondo canotto – anche se facilmente immaginò che morirono di fame e di sete entro qualche giorno da quando si erano separati da loro – o se fossero stati recuperati i corpi di qualcuno dei 41 uomini affondati con l’Archimede. In Italia l’Archimede venne considerato uno dei tanti battelli scomparsi in guerra con tutto l’equipaggio: fu solo dopo il rientro in patria di Lo Coco che si seppe cos’era successo. Dopo il rimpatrio, il 26 ottobre 1946 Lo Coco rilasciò una nuova deposizione sull’accaduto ai carabinieri della stazione di Porticello (Legione di Palermo).
 
I piloti dei due aerei affondatori dell’Archimede, Thurmond Robertson e Gerald Bradford, ricevettero un encomio per la loro azione contro il sommergibile: anche se i superiori di Robertson “non incoraggiarono” l’uso improprio che aveva fatto del suo Catalina – un bombardamento in picchiata, ad una velocità non contemplata dal progetto del PBY Catalina –, gli venne riconosciuto il grande coraggio nell’azione, come del resto a Bradford. Robertson ricevette la Distinguished Flying Cross e proseguì nella sua carriera, anche se, riferì la figlia, ebbe sempre un certo rimorso per aver causato la morte di 60 uomini. Thurmond Robertson è morto il 21 novembre 2001, all’età di 85 anni.
 
Giuseppe Lo Coco, l’unico sopravvissuto all’affondamento dell’Archimede, è morto il 30 agosto 2004 all’età di 86 anni.
 
Morirono nell’affondamento:
 
Ruggieri Abbattista, sottocapo motorista, da Barletta
Ugo Avolio, sottocapo silurista, da Napoli
Camillo Boetschi, sottotenente del Genio Navale Direzione Macchine, da Roma
Bruno Bravo, sottocapo silurista, da Oderzo
Aldo Bulfon, secondo capo silurista, da Moggio Udinese
Giuseppe Cantù, sergente cannoniere, da Carmagnola
Giuseppe Capace, sergente elettricista, da Napoli
Albino Casagrande, sergente cannoniere, da Montebelluna
Luigi Castellotti, sottocapo cannoniere, da Borghetto Lodigiano
Giovanni Cerosio, marinaio motorista, da Visone
Guerrino Coltro, sergente silurista, da Gavello
Cosimo Cometa, marinaio (ordinanza del comandante), da Monteiasi
Roso Corradi, marinaio elettricista, da Sorbolo
Leonida Cresci, marinaio silurista, da Arcola
Cosimo De Cesario, marinaio motorista, da Taranto
Giovanni De Simone, marinaio, da Napoli
Vincenzo Dell’Aquila, sottocapo elettricista, da Capua
Enrico Deni, marinaio silurista, da Malo
Costantino Esposito, marinaio motorista, da Palombara Sabina
Paolo Fantasia, sottocapo nocchiere, da Gaeta
Franco Ferrero, marinaio infermiere, da Casale Monferrato
Franco Firrao, capitano del Genio Navale Direzione Macchine di complemento (direttore di macchina), da Napoli
Alfredo Galasso, sottocapo radiotelegrafista, da Salerno
Alfredo Galtieri, sergente motorista, da Taranto
Carlo Greppi, guardiamarina, da Casalbeltrame
Luigi Iacchini, marinaio cannoniere, da Pescara
Zlatozar Kastelic, sottocapo radiotelegrafista, da Matteria
Diego La Licata, sottotenente del Genio Navale Direzione Macchine, da Palermo
Emanuele Lo Savio, secondo capo elettricista, da Napoli
Luca Lucchini, sottocapo cannoniere, da Stresa
Adolfo Magnano, sottotenente di vascello di complemento (ufficiale alle artiglierie), da Genova
Pierino Mandelli, sergente elettricista, da Cinisello Balsamo
Antonio Mauriello, sottocapo motorista, da Montefredane
Bruno Miani, tenente del Genio Navale Direzione Macchine di complemento, da Trieste
Giuseppe Migliorati, secondo capo nocchiere, da Firenze
Emilio Nocentini, marinaio silurista, da Reggello
Giuseppe Perez, marinaio nocchiere, da Sciacca
Pierino Pigozzo, marinaio, da Voghera
Sergio Priviero, marinaio motorista, da Venezia
Silvestro Radin, secondo capo silurista, da Canfanaro
Francesco Rispoli, capo radiotelegrafista di seconda classe, da Ischia
Egidio Rissone, capo motorista di terza classe, da San Paolo Solbrito
Nino Rubaudo, marinaio fuochista, da Sanremo
Silvio Ruggeri, capo elettricista di terza classe, da Reggio Calabria
Guido Saccardo, tenente di vascello (comandante), da Portici
Italo Sandrin, guardiamarina, da Capodistria
Pietro Sanna, marinaio meccanico, da Martis
Aldo Santolamazza, sergente silurista, da Roma
Carmine Sesti, marinaio silurista, da Napoli
Elio Squillantini, marinaio silurista, da Stia
Ennio Suriano, tenente di vascello (comandante in seconda), da Pianiga
Giorgio Tari, sergente segnalatore, da Fasano
Angelo Tedeschi, marinaio elettricista, da Milano
Onofrio Tito, sottocapo nocchiere, da Trani
Pietro Tomaiuolo, sergente elettricista, da Mattinata
Rocco Trentadue, secondo capo motorista, da Grumo Appula
Dino Ulivi, sottocapo furiere (cuoco), da Pietrasanta
Angelo Vallese, sergente motorista, da San Donà di Piave
Nello Vesprini, marinaio, da Sant’Elpidio a Mare
Tommaso Visentini, sottocapo radiotelegrafista, da Sospirolo
Ludovico Vottero, sergente motorista, da Torino
 
Un’altra fonte (Regiamarina.net) elenca come caduti sull’Archimede anche altri quattro uomini, il sergente Francesco Moccia ed i marinai Giulio Montepagano, Bruno Moscolo e Giovanni Nano, ma questi nomi sono probabilmente finiti per sbaglio nella lista dell’Archimede. In realtà Francesco Moccia, imbarcato sul sommergibile Comandante Cappellini, risulta deceduto in prigionia in Giappone il 4 settembre 1947, mentre Giulio Montepagano, Bruno Moscolo e Giovanni Nano morirono nell’affondamento del sommergibile Morosini, nell’agosto 1942.


Di seguito il rapporto sull’interrogatorio di Giuseppe Lo Coco, per gentile cortesia del capitano di vascello della US Navy Jerry Mason, gestore dell’interessantissimo sito U-Boat Archive (link in fondo alla pagina):

"REPORT ON THE INTERROGATION OF PRESUMABLY SOLE SURVIVOR FROM ARCHIMEDE, SUNK 15 APRIL 1943

26 July 1943

[…]

Chapter I. INTRODUCTORY REMARKS

The Italian submarine Archimede was sunk at 1625 P on 15 April, 1943 at 03° 23' D., 30° 28' W. by two U.S. Navy PBY-5A aircraft (83-P-5 and 83-P-12) based at Natal, Brazil. Thirty or 40 survivors were seen in the water after the attack; three rubber rafts were dropped near the survivors which were seen manning them. But, according to the sole prisoner of war from Archimede [Giuseppe Lo Coco], only two rafts were successfully manned, one by 13 survivors and the other by six.

Apparently, on the 29th day after the sinking, one raft with a sole survivor washed ashore on the Island of Bailique near the western shore of the Amazon River. The survivor was found delirious and very weak by natives, who transported him to the nearby Island of Brigue. Some days after the prisoner had sufficiently recovered, it was discovered by the natives that he was Italian and a member of Archimede's crew. The Brazilian naval authorities in Belem were notified of the survivor's presence. The prisoner arrived in Belem 6 June, 1943, aboard a Brazilian gunboat. He was interned incommunicado at the Brazilian naval base, from which he was forwarded to the United States by air and arrived at an interrogation center 27 June, 1943.

It is pointed out that this report is based mainly on the story of one survivor and that its accuracy cannot be fully established. Unfortunately, no other Italian naval prisoner was available to test the sole survivor's story. The prisoner did not appear at all security conscious. In fact he was anti-Fascist and loathed the Germans. He was a Sicilian, 26 years old, with only three years of elementary schooling. He was conscripted in 1939 and had been four years in the submarine service. He appeared of about average intelligence but his memory with respect to dates and technical features of his submarine was limited -- perhaps affected by his 29 days' ordeal.

The prisoner and the aerial action reports both conform the certain destruction of Archimede. There has been no success in the search for other survivors, and it is believed that all the others perished at sea.

Chapter II. CREW OF ARCHIMEDE

According to the prisoner Archimede had a complement of 60 officers and men. Her commanding officer was Tenente di Vascello* Guido Saccardo, a Neapolitan, 29 years old. He was commissioned 10 January, 1936, and received his latest rank five years later. His first assignment was a torpedo boat. He served in the Spanish Civil War campaign. Since Italy's entry into the present war he had served on destroyers; his last ship before volunteering for submarine service was the destroyer Lanciera [Lanciere], which was later sunk [il 23 marzo 1942, in una tempesta, di ritorno dalla seconda battaglia della Sirte; per quel tempo, comunque, Saccardo era già sbarcato]. On her he had been second in command and acted as fire control officer. But, he had told the prisoner, she had done nothing in the Mediterranean except escort a few convoys so that he had become disgusted with her inactivity. After a short course at the commander's school at Pola he went overland to Bordeaux where he relieved Capitano di Corvetta Gianfrancesco Gazzana Priaroggia, a Milanese, of the command of Archimede in August or September 1942. According to the prisoner, Saccardo was a kind, easy-going officer and very well liked by his officers and crew, but there was considerable friction between him and Tenente di Vascello Zuliani [in realtà Suriano], his Executive Officer. Saccardo was inexperienced in submarine service, gave orders poorly particularly with regard to torpedo firing and crash diving. The prisoner related that on the occasion of the sinking of Oronsay during the eleventh cruise, his commander caused the sub to plummet down about 40 metres at a diving angle of 45 degrees before bringing her under control. Then, at periscope depth, he missed the target with his first torpedo, so that Zuliani took over the firing of the next four torpedoes. Saccardo was very popular with his men because he had arranged for a refund of money charged his crew for double rations at the Bordeaux base. Immediately after the sinking of Archimede he encourage the survivors and kept them together. He appeared calm and resigned to his fate. The sinking, according to the prisoner, was attributed by Zuliani to the commander's youth and inexperience.

The Executive Officer was Tenente di Vascello Zuliani from Padua. (O.N.I. Note: The only probable choice in the Italian Navy List is an Alberto Zuliani, Settetenente in the Reserve Port Captains' Corps, commissioned 12 October, 1939.) [In realtà, “Zuliani” altro non è che la trascrizione errata di “Suriano”, il cognome del comandante in seconda dell’Archimede, Ennio Suriano; il suo cognome, evidentemente, venne pronunciato o capito erroneamente durante l’interrogatorio.] He had joined Archimede at Bordeaux before her eleventh cruise. Previously he had been on a midget sub on the Black Sea. He supervised some of Archimede's exercises outside of Bordeaux between her next to the last and final cruises. He was the first watch officer. The prisoner stated that Zuliani was extremely unpopular with the crew, effeminate, critical and cantankerous. He always wanted three or four orderlies to serve him coffee, cold cream, or pomade for his hair. He was the only officer who attempted stern discipline with the crew. While in a feverish condition after the sinking he was very critical of Saccardo's ability and stated that the latter was entirely responsible for their disaster.

Capitano Direzione Macchine Lorenzo Ferrari [un altro nome pronunciato, capito o trascritto erroneamente: si trattava in realtà di Franco Firrao], a Neopolitan, 33 years old, was the Chief Engineer Officer. He was evidently very capable and well liked. When the order to abandon ship was given, he held many of the crew below at the point of a gun and said, "If our sub sinks, we die with her". According to the prisoner most of the 35 crew members who did not succeed in leaving the submarine were held below by Ferrari.

The gunnery officer was Sottotenente di Vascello Tommaso Magnani [in realtà Magnano], a Genoese, 30 years old, who was on the inactive list according to the Italian Navy List of November 1940. He had served in the Spanish Civil War campaign. The prisoner stated that Magnani had been a navigation officer in the Merchant Marine and that he had been drafted to submarine service in the late summer of 1942. He had, admittedly, no knowledge of gunnery. Still he was officer in charge of many gunnery exercises on Archimede between the next to the last and final cruises. The prisoner stated that Magnani stood by with arms folded near the forward deck gun during the plane attack leading to the sinking. The ineffectiveness of the forward deck gun during this attack was ascribed by the prisoner to Magnani's complete inexperience. He was quoted as having said, "I hope we submerged soon and get out of this mess". He was popular, however, with both officers and men.

Sottotenente [in realtà tenente] Direzione Macchine Bruno Miani of Trieste, 28 years old, was the first Assistant Engineer Officer. He was young and inexperienced; his first cruise was the last cruise of Archimede. The second Assistant Engineering Officer was another young officer who had also joined the boat on her last cruise -- Sottotenente Direzione Macchine Boeschi [Camillo Boteschi], of Trieste. He and the other three junior officers were very well liked by the crew.

Guardiamarina Franco (?) [in realtà Carlo] Greppi, a Genoese, Guardiamarina Alicata [Diego La Licata; sottotenente GN, equivalente al grado di guardiamarina degli ufficiali di vascello] of Palermo, and Aspirante Sandri [Italo Sandrin; in realtà un guardiamarina e non un aspirante] of Padua were the junior watch officers. They, too, had joined Archimede on her final cruise. Alicata had transferred from Cagni just before Archimede's last cruise.

The prisoner stated that his boat had had five commanders during her life span. Saccardo had taken over from Tenente di Vascello Gazzana. (O.N.I. Note: According to Italian Press notices Gazzana was promoted to Capitano di Corvette in May 1943.) Gazzana made two cruises on Archimede -- the second and third cruises out of Bordeaux. According to the prisoner, the only success during these two cruises were two torpedo hits on an American cruiser of the Pensacola class [in realtà fu attaccato senza risultato l’incrociatore USS Moffett] and the sinking of an American ship of 6,000 tons [il Cardina]. Prior to joining Archimede Gazzana had gone to the commanders' school at Danzig for a three-months' course. The prisoner considered him a good officer and a good commander. This opinion was shared by all the men. Gazzana, an ex-boxer, used to box with his men and playfully manhandle them. He was lenient with an efficient crew, but stern with a spiritless or sloppy crew.

While Archimede was awaiting orders to leave Massawa for Bordeaux, Capitano di Corvette Marino Salvatori arrived by air from Rome 10 days before her famous trip.* He took her successfully to Bordeaux and commanded her on her first war cruise out of the French port in September or October 1941. After this he returned to Rome where he was given a shore assignment in the Navy Ministry. The prisoner stated that Salvatori was a Count and as such received double pay. This extra pay he shared with his crew. Salvatori was popular with his men and was a good naval officer.

According to the prisoner, Tenente di Cascello Mario Signorini, who preceded Salvatori, was unqualified and much below the average naval officer. After her acceptance trials, Signorini was given command of Archimede and sailed her from Taranto to Massawa. Operating out of this East African base he made three peace time cruises and seven war cruises until the advent of Salvatori in March or April 1941. 
 
The honor of first commanding officer at the commissioning of Archimede went to Capitano di Corvette Michele Asnasch, "a big paunchy Venetian". He put the boat through her various trials and also took a short trip to Barcelona. He was popular, good natured and for his size quite agile. He was reputed to have considerable knowledge of submarines.

The prisoner was certain that Capitano Genio Navale Varoli was never on Archimede.  (O.N.I. Note:  Varoli is a prisoner from Tritone and stated that he had served under Gazzana on Archimede during most of 1942.)  Tenente Genio Navale Alfio Di Bella made the trip from Massawa to Bordeaux as the engineer officer.  He is now Capitano Genio Navale on the training ship Vespucci.  Sottotenente di Vascello Leo Masina of Bologna was formerly navigation officer on Archimede.  On the long trip to Bordeaux he acted as second in command under Salvatori.  In January 1943, he left Bordeaux for a three months' course at the commanders' school in Pola.

According to the prisoner there was a fine family spirit on board Archimede; officers and men were very friendly except for Zuliani who attempted to be a severe disciplinarian. On the last cruise the crew included 25 new ratings freshly arrived from the Pola submarine school. The prisoner and 25 other ratings were veteran submarine men; but of these only five or six had made the trip from East Africa to France. The prisoner complained that there were constantly new ratings to instruct ashore and aboard.

The sole survivor, Giuseppe Lococo [Lo Coco], was a Sottocapo Nostromo (Coxswain, 3cl.), who had been conscripted in 1938 and had been in submarine service since joining Archimede in January 1939. He described his duties as being a four hour daily watch on the conning tower, the operation of the horizontal rudder mechanism in the control room, and loading the forward deck gun. The prisoner called his boat "una carcassa" (an old hulk). In speaking of the commissioning exercises the prisoner expressed the wish that he had never had the honor of raising Archimede's flag nor received a billet on her.

Chapter III.  EARLY HISTORY OF ARCHIMEDE
 
The prisoner was very definite that the submarine sunk was not the "old" Archimede, 880 tons, launched in 1934 at Taranto.  This boat, he said, had been sold to Spain in 1936.  (O.N.I. Note:  According to the 1941 edition of Jane's Fighting Ships Archimede was believed lost in 1940.  In ONI-202 of February 1943, it is listed as still operating.)  The prisoner stated that his submarine was a "new" Archimede, 1.100 tons, built at the Cantiere Navale Franco Tosi, Taranto, during 1938.  Her keel was laid early 1938, and after seven or eight months in building she was launched at the end of 1938.  When the prisoner joined her in early January 1939, half of the crew had already arrived at Taranto.  She was commissioned in the middle of January 1939, and the prisoner claimed that he had had the honor of raising her flag.  Presiding at the commissioning exercises was Capitano di Fregata Remo Polacchini, second in command of the submarine base at Taranto.  (O.N.I. Note:  Brother of the well known Contrammiraglio Romolo Polacchini.)
 
Her trials were held outside of Taranto and consisted of crash diving, escape lung and torpedo firing exercises.  These lasted 20 days; a few repairs were then necessary for the motors, pumps and valves.  Capitano di Corvetta Michele Asnasch took over Archimede at her commissioning and was with her until Tenente di Vascello Mario Signorini arrived to sail her from Taranto to Massawa.  She made a trip to Barcelona with the building yard's engineers on board:  here they held trials for seven days.  Upon her return to Taranto more repairs and refittings which lasted one month were necessary.  Following this, torpedo firing exercises were again held outside the port.
 
She refuelled and took on supplies for a trip to Massawa, her future base.  The builders sent an engineer to Africa to continue tests until the end of 1939 when the boat was officially consigned to the Italian Navy.  She went from Taranto to Tobruk where she remained for two days.  She then proceeded to Port Said remaining there one day.  She arrived without incident at Massawa in the early summer of 1939, after a 15 days' trip out of Taranto.  Her hull was scraped in one of the two floating docks; this and a few internal repairs required 20 days.
 
At Massawa she went through torpedo firing and crash diving exercises and gunnery practice for a month.  At that time she would crash dive to a depth of 15 meters in 36 seconds; later in the Atlantic she required 56 or 60 seconds to reach the same depth.
 
The first cruise out of Massawa started on 5 December, 1939.  She set out with two or three other submarines, went to Assab, held exercises mostly crash diving outside the port for five or six days, and then returned to Massawa.
 
The second cruise out of Massawa was in January 1940.  She again sailed down to Assab and held the same exercises as before.  She was back in Massawa in 15 days, and the crew went ashore for two months to a rest camp near Asmara.
 
The third and last peace time cruise occurred in April 1940; she visited Port Sudan where the crew spent two days in port.  After a cruise of eight days she returned to Massawa where she was put in a floating dock for repairs.  One torpedo tube was leaking, and the crash diving tank which had been unsatisfactory was removed and a new one was installed.  The prisoner said that the heat of the Red Sea was very hard on his boat and that it was necessary to clean her hull after every cruise.
 
Chapter IV. WAR CRUISES OUT OF MASSAWA

When Italy entered the war in June 1940, there were two submarine flotillas at Massawa, consisting of the submarines listed below:

1. FerrarisGalelei [Galilei], Archimede, and Torricelli.
2. PerlaMacalleGalvani and Guglielmotti.

Archimede made seven war cruises out of Massawa all under the command of Tenente di Vascello Signorini. The prisoner stated that Capitano di Corvetta Livio Piomarta never made a cruise on Archimede out of Massawa. (O.N.I. Note: Piomarta commanded Archimede on one cruise out of Massawa, according to survivors of Ferraris; see C.B. 4093 (8), p.6)

FIRST WAR CRUISE

On the morning of 10 June, 1940, she was in the roadstead of Massawa harbor. She was ordered to leave immediately and to operate off the lower entrance of the Suez canal for 40 days. But she was out only 15 days because early one day they were sighted and attacked by six destroyers. She remained submerged for twenty-four hours during intermittent depth charge attacks. The air refrigerating tubes were broken; resultant gas killed six of the crew and temporarily crazed the others except the officers in the control room, who had shut its water tight doors. Ventilators also kept it free of gas. After all danger of further attack had passed, the officers surfaced the submarine and cleared the compartments of gas. The boat returned to Massawa where the crew was hospitalized for five months. They were then sent to a rest camp at Asmara for 15 days.

SECOND WAR CRUISE

This was a mission of seven days down to a zone off Perim. She left Massawa on 20 December, 1940. The prisoner stated that "they sighted nothing and did nothing".

THIRD, FOURTH, FIFTH, SIXTH AND SEVENTH WAR CRUISES

Each cruise was a routine patrol of five or six day's duration. Again the prisoner stated that "they did nothing".

Chapter V. TRIP FOM MASSAWA TO BORDEAUX

Archimede was one of the four submarines remaining out of the original eight when the war broke out. The other three were Perla, Ferraris, and Guglielmotti. According to the prisoner his boat was lying in the roadstead of Massawa at 0400, 2 or 3 April, 1941, when enemy gunfire was heard approaching the port from the direction of Asmara. Archimede under the command of Capitano di Corvetta Mario Salvadori and Guglielmotti, commanded by Capitano di Corvette Gino Spagone, were ordered to leave immediately for Bordeaux. Perla had left first about 2 March, 1941, and Ferraris about 20 days later. Before giving the order for the four submarines to depart the Italian Admiral of the base and Spagone, his second in command, had made arrangements for their refueling at sea. The prisoner stated that five or six days out of Massawa he heard a Rome radio broadcast acknowledge the British entry into Massawa 8 April, 1941. (O.N.I. Note: The prisoner's dates are at variance with all previous reliable information. According to the Ferraris Report the four submarines left Massawa 3 March, 1941; Guglielmotti arrived at Bordeaux 5 May, 1941, Ferraris 8 May, 1941, and Perla 28 May, 1941. The Perla Report indicates her arrival as 20 May, 1941, another submarine's arrival 6 May, 1941, and another 11 May, 1941. From press notices and other sources it appears certain that some of the four submarines from Massawa had arrived before 20 May, 1941, and all had reached their destination before 31 May, 1941.)

The prisoner said that his boat left in such a hurry that twelve of the crew were left behind in Massawa - one was a motor mechanic, the others were torpedo and electrical ratings. She sailed with a complement of thirty five including eight officers and eight petty officers. There were on board, however, two passengers, a German merchant marine captain versed in Italian to assist in the refueling later, and on Italian Maresciallo Nocchiere (Warrant Quartermaster) aquatinted with the waters between Massawa and Bordeaux. Archimede and Guglielmotti travelled together on the surface for several days out of Massawa, submerging in the Red Sea only once or twice to test trim. Soon after their departure they met two convoys going in opposite directions. They fell in behind the south bound convoy and were undetected. They started through Bab el Mandeb at 2400 and were clear at 0400. At this point the two submarines parted. The prisoner said that Archimede passed Madagascar at a considerable distance but he did not know whether to the west or east of the island. After a trip of 45 or 46 days she arrived at the rendezvous 500 miles south of Madagascar to find Guglielmotti waiting half submerged but no sign of the supply ship. (O.N.I. Note: In view of the 45 or 46 days' traveling and also the fact the only 30 days, according to the prisoner, were required after refueling to arrive at Bordeaux, the position given by the prisoner is very improbable. This rendezvous may have been the position of the second refueling of Perla, which 23 April, 1941, secured alongside a German oil tanker at 26° S., 18° W.) After making the proper recognition signals the two submarines pulled up close enough for the crews to converse. Archimede had practically exhausted her supply of provisions a day or two previously, and she had only 30 tons of fuel left. Her maximum fuel capacity was 200 tons, but at the beginning of her long voyage she had been able to get only 100 tons. Her commander facetiously suggested to the crew that with their enormous fuel supply of 30 tons they should take a run to Japan.

A short time before the supply ship* arrived, Ferraris also arrived on the scene. The prisoner was definite that Archimede refueled first, and was then followed by Guglielmotti and Ferraris. She finished refueling at 2400, 18 or 19 May, 1941, and immediately continued her journey. She took a course 300 miles south of the Cape of Good Hope. Thirty days later she arrived at Le Verdon at 0900, one hour after the arrival of Guglielmotti. Ferraris arrived 10 days later; she had been badly battered in the Bay of Biscay by a storm which had ripped off her after deck flooring. Perla came into Bordeaux a month later than the prisoner's boat.

After their arrival at Bordeaux the entire crew was hospitalized for a month. They were then given one month's leave plus 4 days for traveling. In Italy the crew was unfavorably impressed by the lack of attention or receptions which contracted with the great welcome and publicity they had received at Bordeaux. The prisoner returned to his boat in mid-August 1941. From her arrival until early September 1941, she was in Dry Dock No. 2 for repairs and refittings.
 
Chapter VI. EIGHTH WAR CRUISE

With Salvatori still as her commander, Archimede left Bordeaux for a forty days' cruise 10 October, 1941, a few days before the departure of Ferraris. Both had the same operating zone off Gibraltar. She was near the scene of the sinking of Ferraris; they had arrived in the zone 21 October, 1941. At dawn 25 October, 1941, she sighted six enemy destroyers. She immediately submerged and soon heard the "pinging" of Asdic Search Gear on her hull. The destroyers depth-charged her from 0800 to 1300 and from 1400 to 2100. The prisoner heard 66 depth charge explosions. Her deck flooring was completely smashed, all lights were blown out, fuel tanks leaked, pumps were put out of order, the glass on instruments was demolished, manometers were crippled, and some torpedo tubes were leaking. Other than that the prisoner said that his boat survived the attacks very well! She continued to operate about 600 miles west of Gibraltar. Before the attack she had operated close to Gibraltar at night, but during the day she had remained a considerable distance away. She returned without any further incident to Bordeaux 17 November, 1941, for two months' repairs. She was laid up in Dry Dock No. 1. The crew was given 22 days' leave, at the end of which the prisoner with half of the crew was sent to an Italian rest camp near Bordeaux, where they had gun firing exercises and received instruction in their particular branches. Salvatori left Archimede and went to Rome for a shore job. Capitano di Corvetta Giuseppe Cardi [Caridi], second in command of the base, assumed responsibility for the boat.

Chapter VII. NINTH WAR CRUISE

Tenente di Vascello Gianfrancesco Priaroggia, who had previously been Executive Officer under the famous Fecia di Cossato on Tazzoli, relieved Caridi in January 1942. The crew was all embarked 17 January, 1942. Gazzana took Archimede out immediately for twenty days. Cappellini and Finzi went out with her at the same time, but had different operating zones. Gazzaba's mission was to report to the base at Bordeaux all ship movements out of Lisbon. At night she approached the coast at periscope depth to a point where the shore lights were visible. Five or six lighted ships of Spanish and Argentinean ownership were sighted leaving the port. On 6 February, 1942, she returned to Bordeaux. Two months of repairs followed during which the "old" 100.47 mm. forward gun was removed and a new 100.43 mm. gun was installed. The prisoner stated that Gazzana and twenty-five of the crew went to Danzig for training while the boat was being repaired.
 
Chapter VIII. TENTH WAR CRUISE

The prisoner was left ashore on this cruise. His estimates of its length varied from forty to sixty days. He believed that his boat with Gazzana still as commander left Bordeaux early May 1942. During this month the prisoner had fifteen days' leave to visit his sick father in Palermo. While there he hears the Italian radio broadcast Gazzana's claim of two torpedo hits on an American cruiser of the Pensacola class. (O.N.I. Note: No cruiser of this class was even in the Atlantic at this time.) [in realtà l’Archimede aveva attaccato infruttuosamente l’incrociatore statunitense Milwaukee scortato dal cacciatorpediniere USS Moffett] At the end of May the prisoner was back in Bordeaux; twenty days later Archimede returned flying one small pennant for the sinking of an armed steamer of 6,000 tons. (O.N.I. Note: According to an Italian Bulletin of 25 June, 1942, this ship was sunk the day after the Pensacola action.) [si trattava del piroscafo Cardina] The prisoner was also told by crew members about the two torpedo hits on the American cruiser. Gazzana had not been able to see the results because he had been immediately attacked by destroyers, screening the cruiser, which had launched twenty-nine depth charges at the submerged submarine. Her electrical installations had been seriously disrupted, and there were also various internal damages. These necessitated over a month's repairs. Gazzana left Archimede in August 1942. Tenente di Vascello Guido Saccardo had come from Naples overland to Bordeaux to relieve him. Saccardo had previously been in the Mediterranean on a destroyer. The crew remained ashore during Archimede's repairs.

Chapter IX. ELEVENTH WAR CRUISE

Archimede left for a sixty day's cruise approximately 11 September, 1942, with Saccardo as her commanding officer. Her mission was to operate in a triangular zone off Freetown described as follows: the base was along the equator from 13° W. to 22° W., the apex was at 09° N., 18° W., the two sides were the lines from the ends of the base to the apex. The prisoner claimed that, leaving Le Verdon, she followed a course as far as Cape Finistère and from Cape Finistère through the Canaries to her zone. Before reaching it she sighted only two Spanish ships. After cruising in her zone for a few days, she sighted Oronsay early 9 October, 1942. Saccardo fired the first torpedo and missed. Zuliani, his Executive Officer, took over and made a hit with the second torpedo. The prisoner stated that three more torpedoes were fired, one of them by a torpedo rating, Santalamazza [Aldo Santolamazza], which actually sank the ship. The rating lost his diploma as expert torpedoman, because he had fired prematurely at the ready command. (O.N.I. Note: Oronsay was a British cargo and passenger ship, 20,043 tons, torpedoed without warning at 0515, 9 October, 1942, at estimated position 04° 29' N., 20° 58' W. She sank at 1815, after receiving three torpedo hits.) The prisoner stated that his boat took no other offensive action. She returned to her base between 11 and 20 November, 1942. Repairs in dry dock were necessary. The crew received a month's leave, after which some had gunnery practice on a range outside of Bordeaux while others including the prisoner instructed new ratings from Pola aboard Archimede. The prisoner celebrated both Christmas and New Year's Eve in Bordeaux by getting drunk.

Chapter X. TWELFTH AND LAST WAR CRUISE

The beginning of this cruise was marked by the advent of four new young officers and twenty five "green" ratings from Pola of whose training the prisoner had a low opinion. The prisoner stated that, before leaving, the crew was shrived and received communion from the same priest that was seen by Ferraris at the beginning of her last war cruise. The prisoner also said that the crew had a premonition of their impending fate for they bade farewell to the priest exclaiming: "We shall not see each other again, we are going to our death." Together with Da Vinci and BagnoliniArchimede left Bordeaux 14 February, 1943, for a four months' cruise. Prisoner stated that his boat developed motor trouble before reaching Le Verdon and turned back. At 0500, 15 February she set out again preceded by a pilot vessel to Le Verdon. From this point a minesweeper about 100 meters ahead of her took up the van flanked by two German destroyers with planes overhead. The minesweeper exploded two mines near the entrance of the Gironde. The escort left Archimede after one day. It took her six days and nights to traverse the danger zone of the Bay of Biscay. During this period she travelled submerged from 0800 to 2000, from 2000 to 0800 she continued on the surface. Twenty five days out of Bordeaux she arrived in her operating zone. This was described as a tri-angle: one leg 500 miles long from Pernambuco to St. Paul Rocks, the second leg 300 miles in a line NW from St. Paul Rocks, and the base was formed by the line joining the two legs. Five or six days before arriving in her zone, one Argentinean and two Spanish ships were sighted. She entered the operating zone approximately 12 March, 1943. She patrolled the zone without sighting any enemy shipping. At 2400, 14 April, the prisoner saw plainly the lighthouse of San Fernando de Noronha. They continued on a course toward St. Paul Rocks.

While on patrol, stern torpedo tube No. 7 was found to be leaking badly, the torpedo was removed and the tube flooded.

Chapter XI. SINKING OF ARCHIMEDE

The prisoner's story is at variance in a number of facts with the aerial reports so that it is considered advisable to submit both.

THE AERIAL ACTION REPORT.

An Italian submarine was sighted at 1510 P, April, 1943, by a U.S. Navy PBY-5A (83-P-5) of Squadron VP-83 based on Natal, Brazil. The weather was good, visibility varied from 10 miles to unlimited at an altitude of 7,300 feet. The submarine was fully surfaced and was sighted dead ahead at a range of 8 miles and on opposite course making 5/7 knots. The plane pilot held his course and altitude to a point about aft of the submarine. About that time the latter opened machine gun fire. The plane made a gradual turn to starboard and lost about 1,000 feet altitude. The pilot decided to make a horizontal bombing run at 6,000 feet and drop from his starboard wing two Mark-44 bombs carrying Mark-19 nose fuzes. Gunfire from the enemy boat had not ceased. At an altitude of 6,000 feet and at a range of about one half mile, it appeared that the submarine was about to submerge. The plane immediately dove at an angle of about 60° and at about 2,000 feet released all 4 bombs including 2 Mark-44 bombs on the port wing equipped only with hydrostatic fuzes set for a 25 foot depth.

The bombs from the starboard wing were seen to explode close aboard and to port of the boat about 20 feet abaft the conning tower. Those from the port wing exploded to starboard about 60 feet forward of the conning tower. The enemy continued to fire back throughout the run. Water thrown up by the explosions completely hid the submarine. When the water subsided, she was seen on the surface circling and apparently unable to go to starboard, and leaving a long streak of brown oil. Much dark grey smoke was coming directly from and aft of the conning tower; she appeared out of control doing 4/5 knots. About 15 or 20 minutes later the smoke cleared and she resumed a straight course bearing 065° - 080° T. Keeping her in sight the pilot climbed to about 6,000 feet and radioed to nearby planes for assistance. While the plane was circling around 6 miles away, puffs of smoke were observed from the enemy's forward deck gun - 10 rounds during 40 minutes before the arrival of a second plane.

Forty-five minutes after the first attack another PBY-5A (83-P-12) of the same squadron arrived on the scene. It had received a signal from the first plane and proceeded to the location indicated. Flying at 1,500 feet it sighted the submarine at a range of eight miles, fully surfaced but down at the stern with her after deck awash. Direct attack would have been beam on, but the plane flew around to the stern for a 180° target angle. The boat altered course to port during the plane's run, thus making a target angle of 210° at the instant of bomb release. At about 1,500 yards both plane and submarine opened fire, the enemy gun on the aft end of the conning tower firing about two rounds per second. In this first run the plane dropped a load of four bombs from an altitude of 50/100 feet; they were Mark-44 depth bombs set for sixty-five foot spacing and twenty-five foot depth. Explosions were observed along the port quarter and probably bracketed the hull just aft of the conning tower, the fourth on the starboard deck just aft of the conning tower. The same plane made four more runs circling to starboard. The submarine and plane exchanged gunfire during the bombing attack and the four subsequent strafing attacks.

The first plane combined with the second plane in two of the four strafing runs. She also made a third strafing run alone, during which the boat's bow was sticking out of the water at an angle of about 50°. Following the explosions caused by the bombs of the second plane the submarine settled gradually by its stern and the bow came up out of the water until it protruded at an angle of about 50°. She slid slowly down and backwards until completely under the surface. She sank at 1625 P, about 6 minutes after the last mentioned explosions. A considerable quantity of heavy brown oil appeared on the surface forming a 25' x 200' semi-circle over the spot of the sinking. One large burst of bubbles appeared as the bow slid under. There was no debris but approximately 30 or 40 survivors were in the water, one-third of whom appeared to be wearing Kapok life preservers or escape lungs.

The enemy exchanged gunfire during all the bombing and strafing runs of both planes. In fact, the gunner on the aft conning tower machine gun did not cease firing until the tower slid beneath the surface. The second plane observed many hits on and around the conning tower from its bow gun. This plane made two runs after the sinking, and dropped one 7-man rubber raft on each run close to the survivors. The first plane also made a run after the sinking to drop one 7-man rubber raft near the survivors. Following her initial bombing attack the first plane remained in the area almost two hours. At the end of the operation the survivors were seen manning the life rafts dropped. A plane searched in vain on the following day for the survivors.

The forward deck gun and the 37 mm. mounted machine gun on the aft part of the conning tower were ineffective, but a 50 calibre machine gun on top of the tower was more accurate and made 3 hits on one plane. The aft deck gun may have been blown off by explosions.

THE PRISONER'S STORY.

There was some clouds in the sky and the sun was low on the horizon when the first attacking plane appeared. The prisoner was in the aft torpedo compartment at 2000 on 15 April, 1943, when he heard the Executive Officer announce over the loudspeaker: "Plane sighted dead ahead." Immediately Saccardo gave orders to man the guns and to secure all watertight doors. The prisoner ran to his post at the forward deck gun. Magnani stood by with his arms folded and giving no orders but expressing the hope that the order to submerge would soon be given. All on deck were surprised that the first plane made an initial run over their boat without dropping any bombs. The submarine began evasive tactics but made no attempt to submerge. From a point aft of her the plane turned back for a run over the boat. It dropped two bombs, both missed but one dropped close to the forward starboard side. The concussion from the explosion was terrific, the outer and inner hatches of the forward hatchway were ripped open and away from their hinges, and a mountainous wall of water covered the entire boat. In fact, many of the survivors were sick from the quantity of sea water they swallowed during this cascade.

Because of the damage to the forward hatches Archimede was unable to submerge. The lighting installations had been smashed and one Diesel engine had been rendered inoperative. She continued on the surface following an evasive course. The plane in the meanwhile kept circling at a distance. The prisoner claimed that her guns did not fire during the attack nor before the appearance of the second plane. Fifteen minutes elapsed between the first and second attacks.

Suddenly out of a cloud about 1,000 meters away, a second plane appeared and made a run at low altitude over the submarine. It dropped two bombs which hit the pressure hull aft of the conning tower. One tore through the aft hatchway, and a sheet of flame burst from the oil deposit at the bottom of the hatchway. The four primed torpedoes in the aft tubes also exploded.

The explosions ripped a tremendous hole in the pressure hull, and the aft torpedo compartment hung like "a broken arm" from the rest of the boat. She plunged stern first beneath the surface with her bow high in the air. The prisoner was peppered by many small metal fragments in the second bomb attack. The Engineer Officer [Franco Firrao] at the point of a gun held many of the crew below. Twenty-five including the Commanding Officer succeeded in getting into the water free of the sinking submarine, but of these six were drowned either because of wounds or burns from flaming oil. The machine gun on the port side of the aft conning tower had been rendered useless during the first bombing attack, but the starboard machine gun manned by Sottocapo Motorista Votero [Ludovico Vottero, che era in realtà un sergente e non un sottocapo] continued to fire until the water reached his neck. He was badly wounded in one leg and died shortly after he was pulled aboard a raft. The prisoner protested that the first plane machine-gunned those in the water before dropping a rubber raft.

Three rubber rafts were dropped by the planes but only two were recovered. The prisoner swam about 100 meters to recover them. He inflated them, tied one in tow and rowed to the other survivors. One raft was manned by thirteen including the Captain, the Executive Officer, two junior officers (Greppi and Magnani) and the prisoner. In the other there were six ratings. The two rafts tied up together and drifted as the occupants were too weak to row. The prisoner stated that according to Greppi they were drifting toward the Antilles. On the day after the sinking as well as on the following day planes were seen circling around at a distance. Some of the survivors stood up and blew little whistles furnished in the rafts. They had practically no clothing for signaling. But they were never sighted. On the fifth day adrift, a steamer was sighted on the horizon but again no success attended their attempts to signal her attention. Again on the seventh day a steamer which Saccardo believed to be Argentinean, passed about 1,200 meters away at approximately 10 knots. Saccardo then transferred to the raft with six men, borrowed 2 oars from the first raft and set off in the direction of the ship. He promised to return for the remaining twelve survivors if he were successful. Nothing was seen or heard of the Commander and his companions after that. The prisoner doubted that Saccardo ever succeeded in reaching the ship. The prisoner's raft drifted on; the survivors one by one except for the prisoner died either from wounds, burns, hunger, thirst or from drinking too much sea water. Zuliani died two or three days before the rescue of the sole survivor. Only an occasional brief rain squall interrupted the intense heat of the day. The prisoner had a narrow escape on the twenty-eighth day adrift; the raft overturned throwing him into the water but the next wave righted the raft and threw him back into the raft. This incident reminded the prisoner that Zuliani before dying had assured him that he would be the sole survivor. On the twenty-ninth day after the sinking the raft washed ashore on the Island of Bailique near the Western shore of the Amazon River; the prisoner was found weak and delirious by two Brazilian fishermen.

Chapter XII. DETAILS OF ARCHIMEDE

DISPLACEMENT.
According to the prisoner 1,100 tons on the surface and 1,200 tons submerged.
LENGTH.
75 metres.
WIDTH OF PRESSURE HULL AMIDSHIPS.
4 metres.
HEIGHT OF PRESSURE HULL.
Between 4 and 5 metres.
HEIGHT OF PRESSURE HULL AND TANKS.
Between 5 and 6 metres.
EXTREME WIDTH OF PRESSURE HULL AND SADDLE TANKS.
Between 6 and 7 metres.
HEIGHT OF CONTROL ROOM.
2.65 metres.
HEIGHT OF CONNING TOWER FROM DECK.
Between 2 and 3 metres.
WIDTH OF PLATFORM ON CONNING TOWER.
2 metres.
LENGTH OF PLATFORM.
5 meters.
WIDTH OF DECK PLATFORM.
3 metres.
DRAFT AMIDSHIPS.
4 metres.
BOW.
Raked and rounded on top.
TYPE.
According to the prisoner improved Archimede Class.
DEVICE.
On the port side of the gray-colored conning tower one of the crew had painted a white dolphin.

LAYOUT (FROM BOW TO STERN).

Forward Torpedo Compartment.
Hammocks for ratings.
Watertight bulkhead and escape chamber.
Communications Room.
Petty Officers' Quarters forward, port and starboard.
Hydrophone booth forward starboard.
Wooden partition.
Captain's enclosure aft starboard.
Officer's Quarters starboard.
Radio Cabin and Water Closet aft port.
Watertight bulkhead.
Control Room.
Munitions magazine under floor plating aft of periscopes.
Watertight bulkhead.
Engine Room.
Diesels.
Watertight bulkhead.
Auxiliary Compartment.
Electric motors and galley.
Watertight bulkhead and escape chamber.
Aft Torpedo Compartment.
Hammocks for ratings.

TORPEDO TUBES.
Eight 21" tubes, 4 forward and 4 aft. The two aft upper tubes were numbered 1 (starboard) 2 (port); the two aft lower were 3 (starboard) 4 (port). Forward the upper tubes were 5 (starboard) and 6 (port); the lower 7 (starboard) and 8 (port). The tubes were checked every 7 or 8 days for water leaks. No splashless-discharge "senza bella" apparatus was fitted. All tubes were loaded with primed torpedoes on war cruises.

TORPEDOES.
She carried ten 533 mm Naples torpedoes, six electric and four magnetic, and six 450 mm Fiume air torpedoes. All the former type were marked "Silurificio di Napoli". There were eight reserve torpedoes, four in each torpedo compartment kept under the plating, two port ad two starboard. Two Naples electric torpedoes and six Fiume were carried aft and eight Naples including the magnetic were carried forward. The maximum range of the Naples type was 8,000 metres, that of the Fiume type was 6,000 metres; at the end of their maximum run the unexploded torpedoes sank. The Naples type was seven metres long with an explosive load of 250 kilos of trinotrotoluol while the Fiume torpedo was six metres long with an explosive load of 150 kilos. The smaller torpedoes were used in tubes 3 and 4 only; to accommodate them rings were inserted. These weighed 100 kilos each and were described as two iron hoops joined by four wooden shafts around which were fastened six iron "ribs", the whole being covered by a zinc cylindrical shield. These rings were removed and cleaned at the dock. Generally the depth setting for torpedoes was four metres, but in the case of the magnetic ones the Captain set the depth according to the draft of the target plus one or two metres for passing beneath the ship. The magnetic torpedo would explode even if it passed the target at a distance of 50 metres, the prisoner claimed, and would cause great damage to the hull of the ship.
Inside the warhead there were two pistols both of the same type one behind the other; these fired simultaneously. The prisoner first said that the maximum angling of the torpedoes was 90° and later changed it to 50°. Prisoner saw the wake of his torpedoes very clearly at night, and during the day waves from the torpedo's run.
The four Naples magnetic torpedoes were embarked at Bordeaux. A magnetic shield was attached over and to the warhead. A key valve on the side of the shield was regulated before launching.
All torpedo primers were checked every six or seven days. The prisoner had never seen nor heard of S.I.C torpedoes. In the control room aft of the observation periscope was located a central automatic firing box with dials for the speed and distance of the target and the required angling of the torpedo. This box was directly operated by the Executive Officer.

GUNS.

Two 100.43 mm guns, forward and one aft on raised platforms.

Two 36 calibre twin-mounted Breda machine guns in the free flooding aft section of the conning tower on deck level. Each was in a water-tight shaft casing, one port and one starboard, and the casings extended one metre above the flooring. The guns were raised by a compressed air piston; there were two or three litres of glycerine in the cylinders and valves of the casing as a protection against water. The barrels of the Bredas extended about 2 metres and projected more than one-half metre beyond the top of the conning tower. This may account for the statement in the aerial action report that a machine gun was mounted on the aft top of the conning tower. The prisoner insisted that no machine gun was mounted there. Two unmounted Breda machine guns calibre were kept in reserve in the magazine. Each gun was capable of 1,000 rounds per minute.

Four water-tight cases of machine gun ammunition for ready use were kept near the hatch in the conning tower. Sixteen other cases were in the magazine; each box contained eight belts of 35 shells each. Both machine guns were always loaded. The magazine was below the plating in the control room aft of the periscopes near the hatchway; 250 shells for the deck guns were also kept there. Ammunition came up on a conveyor to the deck.

ENGINES.
Two Tosi diesel engines; each six cylinders, 1,500 h.p., 350 r.p.m.
Maximum speed: 18 knots when she left the builder, 17 knots in the Red Sea, and 16 knots on Atlantic cruises.

MOTORS.
Two Tosi electric motors, each 500 h.p.
Maximum speed: eight knots on the surface and six submerged. Builder's designed submerged speed was eight knots, but in the Red Sea it was reduced to seven and a half, and in the Atlantic to six.

BATTERIES.
Two electric batteries of 45 cells each, one under the Petty Officers' Quarters and the other under the Officers' Quarters. With one generator running at 250 r.p.m. a battery was completely charged in six hours. The batteries were of the lead-acid type, and had never caused any trouble. The prisoner had never heard of nickel-iron-alkali batteries.

TANKS.
Four fuel tanks each with a capacity of 50 tons, two port and two starboard, one at either end of the saddle tanks.
The aft hatchway section below the compartment flooring contained eight tons of lubricating oil.
The crash-diving tank was below the control room, capacity 17 tons. This was a new tank installed at Bordeaux in 1941 and replaced a previous one with a capacity of 10 tons.
Two trimming tanks, one fore and the other aft of the crash-diving tank for athwartship trim. One bow and one stern trimming tank for longitudinal trim. Capacity of all trimming tanks, 103 tons.
One fresh water tank with a capacity of 22 tons, located between the aft trimming tank and the aft fuel tanks.

AIR COMPRESSORS.
Two electric San Giorgio air compressors, at working pressure each charged 200 litres per hour, one in the aft and the other in the forward torpedo compartment.

TRIMMING PUMPS.
The pumps, electrically operated, were located beneath the control room. The trim indicator was on the forward bulkhead of the control room. On the port side were situated two mercury manometers for reading trim fore and aft. A handle was pulled to ascertain the boat's setting before trimming.

RUDDERS.
The horizontal rudders were electrically operated by levers on the starboard side of the control room. The vertical rudder was also electrically operated on the port side of the conning tower. The hand emergency rudder wheel was located on the starboard side of the aft torpedo compartment.

RADIO.
A short wave receiving and transmitting set of Italian make in a cabin on the port side of the communications room. Access was forbidden to all except the radiomen and officers. Receiving set had a range of 3/4,000 miles. Operated on a four metre wave length to Betasom (Bordeaux) and on a three metre wave length to Rome.
Watches: from 0400 to 0800 for Rome, from 2000 to 2400 for Betasom. Watch was kept at all times; each radio rating was "on" for four hours and "off" for four hours.

RADIO DIRECTION FINDER.
A "radiogoniometre" of Italian make. Functioned very well.

RADAR.
Not fitted. But the prisoner had heard that upon return from the last cruise a German set would have been installed.

HYDROPHONES.
A San Giorgio set in a booth on forward starboard side of the communications room. Had a range of 3/4000 metres, and functioned well. Sottocapo R.T. Vicentini, Sottocapo R.T. Calasso and R.T. Scelto Sladizari stood the hydrophone watches.

ASDIC.
The Spada apparatus had been fitted during peace cruises. It proved too noisy on war cruises and was removed early 1942.

SOUNDING GEAR.
A Pirelli electric sounding apparatus, located near the hatch in the control room. Effective to a depth of 250 metres. A radio rating handled it.

DEPTH GAUGES.
One small instrument with markings from 1 to 30 metres. One large instrument with markings from 5 to 150 metres.

PERISCOPES.
Two periscopes, one forward for attack, the other aft for observation. The attack periscope was operated in the conning tower; the Captain had a saddle mounted on the periscope. The observation periscope was used in the control room without the benefit of saddle comfort. The attack periscope could be elevated several metres higher than the other one. The motor for the elevation and depression of both periscopes had a pinion, driving a rack on the shafts. The periscope depth for attack was 11 metres.

INTERCOMMUNICATION SYSTEM.
A microphone was located near the commander's seat at the attack periscope, another was located up on the conning tower platform. These by loudspeaker system were clearly audible in all compartments of the boat except in the engine room.

UNDERWATER COMMUNICATION.
Communication with other submarines was difficult probably because the operators were inexperienced or the equipment was inadequate. Inter-communication was carried on by means of a short wave set within a certain frequency band which the prisoner did not know.

VENTS AND BLOWS.
To surface, air was admitted at sea pressure into the flooded tanks. These were then emptied by electric pumps. The air valves connected with these pumps were located in the forward control room, port and starboard.

HATCHWAYS.
Three hatchways, one between the forward torpedo compartment and the communications room, the second in the control room aft of the periscopes, and the third between the auxiliary room and the aft torpedo compartment. The forward and aft hatchways were also escape chambers. In the section of the forward hatchway below the compartment flooring were kept fresh stores. The same section of the aft hatchway was used for a deposit of lubricating oil. The compression shaft for escape lung exercises had been removed before starting any Atlantic cruises. The control room hatchway led up into the conning tower room aft of the periscopes and the commander's and helmsman's seats. Then a ladder led up to the conning tower platform.

MISCELLANEOUS.

In the acceptance trials off Taranto she went to a depth of 150 metres without difficulty or ill effects. In October 1941, when depth-charged off Gibraltar, she remained successfully for many hours at a depth of 140/150 metres.

Her pressure hull plates were 50 mm thick, and the outer hull plates were of the same thickness.

On her arrival at Bordeaux from Massawa the after section of the conning tower was removed and the after conning tower fairing was curved like that of many German boats. The remaining after section was opened to the sky, and within it were the two water-tight shafts for the Breda guns. The ladder was removed from the center of the after conning tower and replaced with one to starboard and one to port of the abaft conning tower.

The prisoner recognized the picture of the Archimede Class submarine in O.N.I. - 202 and stated that his boat resembled it. It differs from his boat because it has a line of free flooding openings above the saddle tanks as well as a line of openings slightly below deck level. His boat had only the latter openings.

From the forward antenna post (two metres high) stretched two antenna wires to arms on the port and starboard sides of the conning tower platform, thence to the after antenna post and ended on the stern.

A net cutter was fitted on the bow from the keel to a post on the forward deck.

The prisoner insisted that all electrical equipment on his boat was of Italian manufacture. But he admitted that the watch binoculars were of German make and gave excellent performance. These had replaced Italian binoculars which were "good only for a theatre."

Chapter XIII. OTHER SUBMARINES

I. Location of Italian Submarine Flotilla Based on Bordeaux (as of 15 February, 1943).

Archimede, Bagnolini and Da Vinci left Bordeaux on 14 February, 1943, but Archimede had trouble with her electric motors, returned to Bordeaux, and left on the next day for her final cruise. All three were bound for different zones for 4 months' cruises.

Barbarigo was in the large Dry Dock No. 1 of Basin I.

Cagni had arrived at Bordeaux early February 1943, from a 4 months' cruise to the Orient. Tied up at quay on south side of Basin I.

Cappellini had left Bordeaux about 15 January, 1943, for a 60 days' cruise.

Finzi was tied up at the quay on the south side of Basin I.

Giuliani was in the small Dry Dock No. 2 of Basin I.

Tazzoli was tied up at the quay on the south side of Basin I.

Torelli was tied up in front of the naval refectory on the north side of Basin I, waiting to go into small Dry Dock No. 2.

II. Various Submarines and Commanders.

Bagnolini had a new commander, a Tenente di Vascello, in February 1943, but the prisoner did not know his name.

Barbarigo's maximum cruising endurance was given as 50/60 days. Her commander in February 1943, was Tenente de Vascello Roberto Rigoli.

Cagni had two commanders for her four months' cruise to the Orient: Capitano di Fregata Carlo Liannazza and Capitano di Corvette Giuseppe Roselli Lorenzini. The latter assumed complete command on her arrival at Bordeaux in February 1943; Liannazza returned overland to Italy. During this cruise she sank only one merchant ship. She had left Taranto early October 1942; the prisoner doubted that she had carried a cargo. She had gone to Japan or Japanese territory, possibly Singapore. She had refueled at a Japanese port. The prisoner stated without any confirmation that a month later she was back in Bordeaux. Her maximum speed is 22 knots. She carries 32 torpedoes and has 16 tubes, 10 forward and six aft.

Cappellini was given a new commander, Tenente di Vascello (name unknown), for her cruise in January 1943. The prisoner heard at Bordeaux that a previous commander, Capitano di Corvetta Salvadore Todaro had been killed in the Mediterranean.

Da Vinci has made two cruises under Tenente di Vascello Gianfranco Gazzana since he left Archimede in August, 1942. On his first cruise he took Da Vinci to La Pallice for trails in launching and recovering a midget submarine. The trials were unsuccessful because Da Vinci's antenna and the conning tower were damaged several times. So the venture was abandoned after several days. Her forward deck gun had been removed for the trials, and she left without this gun on a four months' cruise. On her return in late December 1942/early January 1943, Gazzana was credited with sinking six merchant ships. Her crew was given 40 days' leave.

Ferraris, the prisoner has heard, sank one merchantman and one destroyer during December 1940.

Finzi was commanded by Capitano di Corvetta Antonio de Giacomo in February 1943. She has a maximum cruising endurance of four months.

Giuliani was at Gotenhafen during 1941 and part of 1942 as a school boat for Italian submarine personnel. During the aerial attack on her in the Bay of Biscay September 1942, her commander's throat was badly slashed by fragments and her Executive Officer had to assume command. She then tool refuge in Santander, but later escaped and returned to Bordeaux. She went out in December 1942, on a 60 days' cruise, sinking only one ship and returning early February 1943.

Tazzoli with Capitano di Fregata Carlo Fecia di Cossato came into Bordeaux early February 1943, after a four months' cruise during which she had sunk four merchant vessels. At the beginning of the cruise she downed a plane in the Bay of Biscay. Her maximum cruising endurance is four months.

Torelli was commanded by a Capitano di Corvetta (name unknown to the prisoner) in February 1943. Twenty days before the Giulaiani [sic] action she had been hit by aircraft bombs in the Bay of Biscay, went into a Spanish port, escaped and returned to Bordeaux. During the attack she had gone to a depth of 180 meters according to claims of her crew. At Bordeaux an unexploded bomb under her deck flooring was removed.

III. Submarine Devices.

Barbarigo: Skull and cross bones like the Death's Head device on several German U-boats, painted on the port side of the conning tower. According to the prisoner this device was adopted after the much-publicized sinking of two American battleships.

Cappellini: A man in flowing cavalier's cloak with a sword held in his right hand across his chest to the left shoulder, painted on the port side of the conning tower.

Tazzoli: A daisy painted on the port side of the conning tower. The prisoner claimed that he saw eight German U-boats at La Pallice, all with skull and cross bones device painted on the conning tower. (O.N.I. Note: The U-576 and U-752 are known to have this device.)

Chapter XIV. SUBMARINE TACTICS

The forward and aft hatchways of Italian submarines are kept closed during Atlantic cruises. The Italians based at Bordeaux operate off Fernando de Noronha, Recife, Bahia and Freetown. The Atlantic cruises during 1942 varied from 20 to 60 days. But since the end of 1942 they are generally of four months' duration. During 1942 the trip from Le Verdon through the Bay of Biscay was made entirely on the surface day and night. But in 1943 it has become a risky trip of 7 days' duration including the first with destroyer and plane escort. The British planes cover the Bay "like and umbrella" so that it is commonly called "the graveyard of submarines". The trip is made submerged from 0800 to 2000, and on the surface from 2000 to 0800.

On Archimede officers stood watch for four hours and were "off" for 12 hours. The officers had a seat between the two periscopes on the conning tower platform. The ratings stood watch for four hours each; each of the four ratings on watch was assigned a quarter as his sector.

The prisoner claimed that during his last six months at Bordeaux all Italian submarines were embarking four Naples magnetic torpedoes.

Chapter XV. SUBMARINE BASES

BORDEAUX.
When the prisoner arrived in Bordeaux June 1941, there were 42 Italian submarines at this base, including the four from East Africa. Thirteen were sunk later and nineteen returned to Mediterranean bases. In October 1941 there were 20 Italian submarines at this base. In April 1942 only 10 remained: Archimede, Tazzoli, Barbarigo, Da Vinci, Cappellini, Finzi, Bagnolini, Giuliani, Torelli and Cagni. These used Basin I.
The prisoner claimed that there had been no German U-boats based at Bordeaux from June 1941 to February 1943. Shortly before 15 February, 1943, two German U-boats of 800 tons, he said, came into Basin II for repairs.
Behind the quay of Basin I there were workshops for the Italians only. The German workshops are alongside Basin II. There are two barracks for German workers on the north side of Basin II.
In December 1942 the location of the deperming range was changed to the entrance between the two basins; it was previously in the upper end of Basin I. Both Italian and German boats are depermed on the same range, which is always operated by German personnel. The prisoner claimed that deperming required one or two days and in the case of one boat three days. New locks were being constructed February 1943, to the right of the old ones; the channel is 100 metres wide and separated from the old channel by a bank only two metres wide. The swing bridge between the two basins opens into Basin II. The bunkers in Basin II were under construction February 1943 and only the walls had been completed. The Italian administrative offices (one for each of the 10 submarines) are located on the left of the entrance to Basin I. On the opposite bank of the Garonne from the basins were tied up three German destroyers and three German freighters. The ex-French cruiser De Grasse was berthed near the new German barracks. It was formerly used by Italian officers and petty officers, but six months prior to the prisoner's last cruise it was taken over by the Germans. The prisoner thought that it was being used as a depot ship for German officers. The blockade runner Himalaya was tied up in Basin II.
Submarine parts for the Italian workshops were brought to Basin I from La Pallice.
Italian submarine crews lived at a camp near Gradigna (phonetic), distant one quarter of an hour by bus from the base. To reach this place the road along the river was followed downstream and then a bridge was crossed. Trips were made in new Fiat busses with a capacity of 25 passengers. By tram it was a 10 minute trip from the base to Place Gambetts. The "Brothel Bar" or "Plati" opposite the tram stop in Place Gambetta was a very popular place with both Italians and Germans. French and Spanish girls were met here, given "the once over", and then taken to inns. On leaving "Plati" and turning left for one block and then right for one half block, one may find brothels 14, 12 and 20 open to Germans and Italians for the slight consideration of 60 francs a session. Brothels 1 to 10 are located at the end of the street to the left of "Plati"; these are available for the French as well as Germans and Italians at 50 francs a "throw". There are four officers' brothels in the vicinity of "Plati", mostly for Germans. The Italian officers prefer private hotel rooms for amorous diversion. "Moulin Rouge" is brothel 10, and is the scene of frequent fights between Germans and Italians. Brothels 14 and 20 are frequented mostly by Italians. The prisoner claimed that brothels 4 and 5 were destroyed by air raids (love's labor lost!), and were rebuilt elsewhere. The prisoner stated that almost all the Italians at the base suffered from "il male francese" (venereal disease).
Prisoner said that there were about 300 marines of the San Marco Battalion at the base. They wore a green shirt and green trousers that were very wide around the thighs. Their green beret had as its insignia the lion of San Marco. Guard duties and the security of the base were their principal assignments.
According to the prisoner Capitano di Vascello Enzo Grossi (of American battleship fame!) replaced Contrammiraglio Polacchini as Commander of the Italian base in January 1943. In February it was rumored that Grossi would shortly be promoted to Contrammiraglio. (O.N.I. Note: A picture of Grossi in Il Messagero of 11 June, 1943, shows him still as a Capitano di Vascello.) Capitano di Corvetta Giuseppe Caridi, second in command of the base under Polacchini and also Flotilla Commander, has remained the same under Grossi. This has caused a very embarrassing situation. Caridi, formerly a senior officer, now finds himself an aide to Grossi. The two do not speak to each other. Caridi received Grossi's promotion very badly and is resentful, as also are many navy career officers. Grossi "jumped" 15 senior officers when he was made CdV and C.O. of Betasom. The prisoner thought that Grossi was becoming "grosso" (bog) simply through Fascist influence. To cap it all, the prisoner stated that after his second claimed sinking of an American battleship in September 1942 a monument was erected in honor of Grossi and his Barbarigo below the entrance to the basins on the upstream side. The base is of stone in which are inscribed Grossi's name and his two claims of sinking American battleships. Above the base extends a slenderized wooden version of the conning tower of Barbarigo. The entire monument is about 50 metres high. All Italian submarines leaving the base turn their prows to the monument and salute it.

LA PALLICE.
The roofs of the bunkers have a thickness of four metres of reinforced concrete. Early February 1943 the prisoner saw two German U-boats outside the bunkers and six inside. One U-boat was going out on a cruise.
After leaving Bordeaux Italian submarines put into La Pallice for a final check over, especially for oil leaks, and then make some practice crash dives. On one occasion the prisoner's boat tied up in front of the bunkers for two days because she was too long and had too much draft to go into the one empty bunker, a dry one. The Italian submarine personnel formerly lived in barracks alongside the north of the basin. In December 1942 two new barracks to the north of the basin were built for them. When the old barracks were used, the officers were quartered separately; now they are with their men. German ratings frequently came aboard the prisoner's boat and were surprised to find that the Italian Diesels were much lower than the German type.
At the entrance to the harbor are located six balloons, three anchored on each mole.

DANZIG.
The prisoner left this training base in early January 1942. While here he lived in the barracks opposite the island. He heard shortly after he had left that the Germans had taken over these barracks and that the Italians were moved to a depot ship in the Kaiserhafen. When weather permitted, the Italians made trips on submarines for torpedo firing and Asdic practice, generally with German destroyers at night. Five or six German U-boats were being repaired at the quay below the island and on the same side as the barracks. The prisoner knew of no prisoner of war camp in the vicinity of the barracks.

Chapter XVI. GERMAN SUPPLY SHIP

About noon on 18 or 19 May, 1941, the awaited German ship, which the prisoner insisted was an auxiliary cruiser, was seen approaching 45° off the starboard bow (with Archimede facing south). The ship's captain was uneasy because he had been attacked by aircraft the day before; he therefore requested that the submarines move three or four miles farther east.
After tying up, Archimede sent her German passenger by the supply ship's motor launch to arrange refueling. Steel hawsers with a long iron shield protecting the two hoses were extended from the ship's stern to Archimede's bow. One hose was used for fuel oil, the other for fresh water; both were 100 mm. in diameter. The transfer of 100 tons of fuel and 12 tons of lubricating oil, beginning in the afternoon was completed at 2400. Prisoner stated that after about 50 tons of fuel had been taken on, his engineer officer protested to the Germans that the fuel oil was too light for Archimede's engines. The transfer was halted, and after some discussion the Germans mixed fuel oil with German Diesel oil in order to furnish a much heavier fuel. During the transfer she was towed slowly while her own electric motors operated at low speed. Once or twice pressure caused leaks in the hose connections; and two Germans in blue shirts, who had come aboard, sealed the leaks. Archimede was also given fresh water and food supplies. During this operation twenty 20-liter cans of lubricating oil were taken to Guglielmotti in rubber boats. Half of Archimede's crew went aboard the German ship to clean up and eat. A hose was extended to the deck of the submarine so that the others could take a shower. The sea was calm in the afternoon, a slight sea was running at night. There was a temperate sun during the day, but at night the men used their rough-weather winter outfits because of the cold.
The prisoner described the German vessel as an auxiliary cruiser of about 10,000 tons, painted gray, two masts with crow's nests one forward and one aft with two funnels amidships. Loading cranes extended from the forward mast, and from the after mast flew the German flag. The prisoner saw two large guns forward on a raised platform. Several guns were concealed aft under canvas. Prisoner heard that there were also machine guns on the ship's bridge. On the stern were painted the letters SANT; the prisoner heard her name given as Santieco (phonetic). The prisoner heard later at Bordeaux that this German auxiliary cruiser had been sunk in the Atlantic. (O.N.I. Note: It is impossible to identify positively the German ship involved in the refueling. The best case, according to available information, may be made out for Raider 16.* She was in these waters during this period; her description fits fairly well with the vague one given by the prisoner; she was known to have encountered two or three "French" submarines in the Mozambique Channel in early March 1941, and Raider 16 was sunk 22 November, 1941. The name used by the auxiliary cruiser at the time, however, was one resembling San Diego, posing as an American ship. The German tanker Nordmark, which frequently posed as the American ship Dixie, is a possibility, although the prisoner stated definitely that the refueling ship was not a tanker.)
* Also called Atlantis, Tamesis, Goldenfels, etc. See C.B. 4051 (29), pages 32-38.

Chapter XVII. RELATIONS WITH GERMANS

The prisoner stated that the Germans and the Italians in Bordeaux were almost constantly fighting. In one instance in December 1942, at 14 Place Gambetta, 11 Germans and 10 Italian marines of the San Marco Battalion had considerable fighting over some women. The result of it was that the Italians killed one and sent four to the hospital. The Germans were drunk and insulted the Italians. The Germans were nearly always drunk, officers and men alike. There was a fight between the Germans and the Italians almost every night in brothels 10, 12, 14 and 20.
The situation got so bad that Italian armed guards had to patrol the streets to defend Italian sailors. In rare cases the German authorities actually tried to get the culprits, who were Germans, and sometimes penalized these Germans by sending them to the Russian front, but in many cases the authorities just tried to hush matters up as quietly as possible.
Most of the German junior officers were always in bars or brothels. The higher officers reportedly had the wine and women sent up to their rooms. The venereal disease rate was higher among the Germans than among the Italians. (O.N.I. Note: All other evidence points to the contrary.) The brothel girls used to tell the prisoner that there was considerable sexual activity between French and German men. Moreover, the Bordeaux girls complained that the German sailors took too much time in intercourse. They preferred the Italians, who were faster, because they could then have more customers. All Italian submarine men were given "short arm" inspection each day by junior officers before entering the barracks.
The Germans took over private houses in Bordeaux for their officers and men, while the Italians were quartered in less commodious wooden buildings out of the city. Italian officers had been living aboard the uncompleted ex-French cruiser De Grasse until the Germans forced them to move out on the pretext that the ship was going to be placed in sea service, after which the Germans themselves moved into it. The Italian officers then moved to the wooden barracks outside the city. The prisoner had heard that the food the Germans and Italians ate was equal in quality but that the Germans got it in larger quantities.
At the time of his leaving Bordeaux the prisoner came in contact daily with 3 or 4,000 Germans, and he believed that there was a total of 5 to 6,000 of them in the city.
On several occasions he was at La Pallice. He said it was absolutely forbidden for Italians to walk with or talk to Germans there. (O.N.I. Note: He did not say whether this was a German or an Italian ruling.) Once while his boat was there two German officers attempted to come aboard for an inspection; his captain forbade them to do so in reciprocation for similar German treatment.
He spent several months in training at Danzig during the winter of 1941/1942. There was a group of 200 Italians training there, with Italian instructors; they were completely separated from the Germans in all ways so that no incidents would ensue. He thinks that his was the last group of Italians to be sent there. It took him 24 hours to make a non-stop trip to Danzig; that is, non-stop except for getting out at one unidentified place, from 8 to 12 hours out of Bordeaux, and walking across a wooden bridge over an air-bomb crater in the roadbed to another train waiting on the other side.
The prisoner was last in Palermo, his home town, in May 1942. While he was there, two German soldiers of an encampment of over 2,000 were killed by Italians after they had gone into a restaurant and refused to pay for their meal. On another occasion one of his crewmates was walking with his fiancee on the streets of his home town, Rome, and a passing German soldier winked at her. A fight ensued and as a result his friend almost lost his liberty privileges.
In Bordeaux the Italians got provisions from the Germans obviously of Italian origin -- macaroni, edible oils, sardines, and salami. They were told that they were German products, but they were actually Italian with only the German stamp upon them. Why these provisions should come to them from Italy through the Germans and not directly was always somewhat of a mystery to them.
In Bordeaux the prisoner saw numerous German Kriegshelferinnen in uniform; they were working only in offices.
He summed up the Italian-German situation by saying that the Italian affection for the Germans is such that they can hardly tolerate them and do not want to see them. Italian soldiers are waiting for the end of this war only so that can go into another war against the Germans. Ant number would volunteer for such duty, and of course on orders none of them would hesitate to fight the Germans. He thought it quite likely that the Italian soldiery would turn against the Germans at the height of the Allied attack. Sicily want America to come in and "get it over with" quickly.

Chapter XVIII. MISCELLANEOUS

TRIP TO PALERMO
The prisoner made his last trip to Italy in May 1942. He went by train from Bordeaux to Millan where he had to make arrangements with the Italian Consul, then to Manaco, up through Switzerland and Austria to Innsbruck (no passenger trains were allowed via Ventimiglia), across the Bremer Pass, down through Bologna, Florence, Rome, Naples and Messina to his home in Palermo. He saw many German troops throughout Italy, especially at Messina. There were also many at Monaco. It seemed to be the policy to keep the Italian and German troops in different places and not in the same immediate vicinity.
The prisoner found conditions in Palermo very good except that prices of food and other necessities were very high. The black market was flourishing and enriching the "contrabbandiere". In the city he saw two companies (of 150 men each) of Italian troops. A large number of coast defense personnel, about two thousand, divided between two Military Maritime Commands, were posted to guard the harbour. The superior officers of these commands lived in the Albergo di Santa Rosalia overlooking the harbour. Four or five warships were in the harbour. There was some shipbuilding going on in the two shipyards located off the northern shore of La Cala on the extreme left of the main harbour. These shipyards are very small, each has two building slips and launches two ships every ten months. These ships are escort vessels, usually well-armed and designed also to carry cargo. They are of about two or three thousand tons each.
Before leaving Bordeaux on his final cruise the prisoner was told by an Italian doctor originally from Palermo that their native city had been "knocked out" by an air raid and that most of the population was evacuated to Corleone and Porticello.

MIDGET SUBMARINE.
Unsuccessful trials were held at La Pallice in September 1942 on the Da Vinci with a midget submarine which the prisoner called a "C.P." This was described as 6 or 7 metres long., designed to carry one engineer officer and 3 Marescialli Palombari (divers) within the boat. Two torpedoes were carried beneath the keel which could be released by leavers inside the "C.P.". The divers would leave the boat and attach time bombs to the keels of enemy ships. The maximum diving depth of the midget submarine was 40 metres. The prisoner did not know its intended mission.
Capitano di Fregata Borghese, head of the "Shock-Unit" School at La Spezia, supervised the trials. Da Vinci's forward deck gun was removed to accommodate the midget submarine. The trials lasted several days during which Da Vinci would submerge, release her "baby" and then attempt to come up under the midget submarine recover it on her forward deck. But many mishaps occurred; the antenna wires of Gazzana's boat were repeatedly cut, and the forward section of the conning tower was damaged. Borghese finally decided to give up the trials and shipped the midget submarine back to Italy.

RANKS AND RATINGS.
According to the prisoner the hierarchy of enlisted men in the Italian submarine service is as follows:

Maresciallo IIIa classe
Maresciallo IIa classe
Maresciallo Ia classe
Secondo Capo
Sergents
Sottocapo
Marinaio Scelto
Marinaio

The Maresciallo IIIa classe may, after specialized schooling, receive a commission as Guardiamarina (Ensign).

RADIO BROADCASTS.

The prisoner said that it was usual on his boat to listen to broadcasts from non-axis stations at noon-time until late evening. Both short and long wave stations were heard. But the news bulletin issued every night was the official Rome communiqué.

Annex A. LIST OF CREW OF ARCHIMEDE

Saccardo, Guido
Tenente di Vascello
Lieutenant
Zuliani, Alberto (?) [Suriano, Ennio]
Tenente di Vascello
Lieutenant
Magnani, Tommaso [Magnano, Adolfo]
Sottotenente di Vascello (di complemento)
Lieutenant (j.g.) (Reserve)
Ferrari, Lorenzo [Firrao, Franco]
Tenente [in realtà capitano] Direzione Macchine (di complemento)
Lieut. (j.g.) (engineering duties only) (Reserve)
Miani, Bruno
Sottotenente [in realtà tenente] Direzione Macchine (di complemento)
Ensign (engineering duties only) (Reserve)
Boeschi, [Boteschi, Camillo]
Sottotenente Direzione Macchine
Ensign (engineering duties only)
Greppi, Franco (?) [Greppi, Carlo]
Guardiamarina
Ensign
Alicata, [La Licata, Diego]
Guardiamarina [sottotenente GN]
Ensign
Sandri, [Sandrin, Italo]
Aspirants [in realtà guardiamarina]
Midshipman
Ruggiero, [Ruggeri, Silvio]
Maresciallo la classe [in realtà capo di III classe] Elettricista
Warrant Electrician
Rispoli, [Francesco]
Maresciallo Capo [in realtà capo di II classe] Radio Telegrafista
Warrant Radioman
Migliorati, Giuseppe
Capo [di II classe] Nostromo
Chief Boatswain's Mate
Trentadue, [Rocco]
Secondo Capo di Macchine
Machinist's Mate, 1 cl.
Resoni, [Rissone, Egidio]
Secondo Capo [in realtà capo di III classe] di Macchine
Machinist's Mate, 1 cl.
Losavio, [Lo Savio, Emanuele]
Secondo Capo Elettricista
Electrician's Mate, 1cl.
Radi, [Radin, Silvestro]
Secondo Capo Silurista
Torpedoman's Mate, 1cl.
Cantu, Giuseppe
Sergente Cannoniere
Gunner's Mate, 2cl.
Coltro, [Guerrino]
Sergente Silurista
Torpedoman's Mate, 2cl.
Buffo, [Buffon, Aldo]
Sergente [in realtà capo di II classe] Silurista
Torpedoman's Mate, 2cl.
Tari, Giorgio
Sergente Furiere
Storekeeper, 2cl.
Cantiere, [Galtieri, Alfredo]
Sergente Motorista
Motor Machinist's Mate, 2cl.
Mantelli, [Mandelli, Pietro]
Sergente Elettricista
Electrician's Mate, 2cl.
Santalamazza, Ardo [Santolamazza, Aldo]
Sottocapo [in realtà sergente] Silurista
Torpedoman's Mate, 3cl.
Avolio, Ugo
Sottocapo Silurista
Torpedoman's Mate, 3cl.
Tomaiolo, Pietro
Sottocapo [in realtà sergente] Elettricista
Electrician's Mate, 3cl.
Dellaguida, [Dell’Aquila, Vincenzo]
Sottocapo Elettricista
Electrician's Mate, 3cl.
Vallesi, [Vallese, Angelo]
Sottocapo [in realtà sergente] Motorista
Motor Machinist's Mate 3cl.
Votero [Vottero], Ludovico
Sottocapo [in realtà sergente] Motorista
Motor Machinist's Mate 3cl.
Lucchini, [Luca]
Sottocapo Cannoniere
Gunner's Mate, 3cl.
Casagrande, [Albino]
Sottocapo [in realtà sergente] Cannoniere
Gunner's Mate, 3cl.
Calasso, [Galasso, Alfredo]
Sottocapo Radio Telegrafista
Radioman, 3cl.
Vincentini, [Visentini, Tommaso]
Sottocapo Radio Telegrafista
Radioman, 3cl.
Fantasia, [Paolo]
Sottocapo Nocchiere
Quartermaster, 3cl.
Tito, [Onofrio]
Sottocapo Nocchiere
Quartermaster, 3cl.
*Lococo [Lo Coco], Giuseppe
Sottocapo Nostromo
Coxswain
Cameti, [Conti, Guido]
Sottocapo [in realtà comune]
Petty officer, 3cl.
Capece, [Capace, Giuseppe]
Sottocapo [in realtà sergente]
Petty officer, 3cl.
Mazza,
Sottocapo
Petty officer, 3cl.
Nocentini, [Emilio]
Silurista Scelto
Seaman, 1cl.
Squillantini, [Elio]
Silurista Scelto
Seaman, 1cl.
Cresci, [Leonida]
Silurista Scelto
Seaman, 1cl.
Bravo, [Bruno]
[Sottocapo] Silurista Scelto
Seaman, 1cl.
Tedeschi, [Angelo]
Elettricista Scelto
Seaman, 1cl.
Cerosi [Cerosio, Giovanni]
Motorista Scelto
Seaman, 1cl.
Sladizari
Radio Telegrafista Scelto
Seaman, 1cl.
Battista, [Abbattista, Ruggiero]
[Sottocapo] Motorista
Seaman, 2cl.
Maurielli [Mauriello, Antonio]
[Sottocapo] Motorista
Seaman, 2cl.
Olivi, [Ulivi, Dino]
[Sottocapo] Cuoco
Cook (translation)
Ferrero, [Franco]
Infermiere
Hospital Apprentice, 2cl.
Comete, [Cometa, Cosimo]
Ordinanza Comandante
Captain's orderly (translation)
Deni, [Enrico]
Silurista
Seaman, 2cl.
Pigotti, [Pigozzo, Pierino]
Marinaio
Seaman, 2cl.
Vespini, [Vesprini, Nello]
Marinaio
Seaman, 2cl.
De Simone, [Giovanni]
Marinaio
Seaman, 2cl.
Rubaoto, [Rubaudo, Nino]
Marinaio
Seaman, 2cl.
Previero, [Priviero, Sergio]
Marinaio
Seaman, 2cl.
De Cesaro, [De Cesario, Cosimo]
Marinaio
Seaman, 2cl.
Castelici, [Castellotti, Luigi]
Marinaio [in realtà sottocapo]
Seaman, 2cl.
Esposito [Costantino]
Marinaio
Seaman, 2cl.
**---------
Marinaio
Seaman, 2cl.

* Presumably sole survivor, and sole prisoner. 

** Prisoner could not recall the name.

TOTAL CREW OF ARCHIMEDE

Officers
8
Midshipman
1
Petty officers
29
Other ratings
22
Total
60".

La dichiarazione resa il 26 ottobre 1946 da Giuseppe Lo Coco, nato a S. Flavia il 28.2.1918, alla Stazione di Porticello della Legione territoriale dei Carabinieri di Palermo (per gentile concessione dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia):
 
"Facevo parte dell’equipaggio del Sommergibile Archimede composto di 60 uomini. Durante una missione di guerra nell’Atlantico, appena giunti all’altezza dell’isola di San Fernando di Norona e precisamente a 150 miglia dalla costa, alle ore 21,40 del 15 aprile 1943 il nostro sottomarino navigante in emersione venne attaccato da quattro aerei di bombardamento americani e colpito da diverse bombe si affondò in poco più di dieci minuti. Solo 19 uomini potemmo buttarci  in mare, mentre i due ufficiali di macchina con il resto di trentanove uomini, dei quali non sono in grado di precisare i nomi, scomparvero in mare con tutta l’unità... Nel momento in cui il sommergibile affondava, gli stessi aerei ci sottoposero a delle nutrite raffiche di mitragliatrici in seguito alle quali uno dei diciannove naufraghi, di cui non conosco le generalità, è deceduto. Dopo aver effettuato il mitragliamento gli apparecchi medesimi ci lanciarono due battelli di gomma muniti di quattro remi ciascuno, sui quali ci collocammo nove uomini per ogni battello... Cercammo invano di dirigerci verso la costa, poiché le correnti ci trasportavano sempre più a largo. Eravamo tutti completamente nudi, privi di forze e senza viveri. Per venti giorni entrambi i battelli navigarono insieme per le infinite distese del mare, quando nel predetto ventesimo giorno verso le ore 13, avvistammo un  piroscafo transitante a circa tre miglia da noi. Il secondo battello mosse decisamente all’incontro di detto piroscafo con la speranza di essere scorti e presi a bordo. Abbiamo però notato che la nave si allontanava velocemente dalla nostra vista percorrendo la sua rotta e così anche il battello che si era spinto all’incontro scompariva all’orizzonte senza sapere più nulla della sua sorte.
 
Al ventunesimo giorno sono decedute due persone, al ventiduesimo sono deceduti altri tre ed al ventiquattresimo altri due. I morti furono da me buttati in acqua. Siamo rimasti così solo io e il sottocapo La Mazza Santo [si trattava del sergente Aldo Santolamazza], distesi in fondo al battello, privi di sensi. Al ventiseiesimo giorno di navigazione il mio battello fu recuperato da pescatori brasiliani e fui condotto nell’isola di S. Paolo ove presi la conoscenza dopo quattro giorni. Seppi così che anche il sottocapo La Mazza, fu trovato cadavere a bordo del battello e fu sepolto nel cimitero di S. Paolo.
 
Durante la mia prigionia a New York, malgrado il mio interessamento non mi fu possibile conoscere quale sorte toccò ai nove uomini del secondo battello né seppi se furono recuperati eventualmente cadaveri appartenenti ai quarantuno uomini che si inabissarono col sommergibile Archimede. Comunque sono convinto che anche i nove uomini del secondo battello sono tutti periti per la fame e la sete dopo qualche giorno dal loro allontanamento dal mio battello, mentre per i quarantuno uomini affondati con l’unità posso in modo certo affermare la loro morte per annegamento."
 
L’analisi, da parte americana, dell’attacco aereo contro l’Archimede, per gentile concessione di Jerry Mason:
 
"CONFIDENTIAL
ANALYSIS OF ANTI-SUBMARINE ACTION BY AIRCRAFT
Unit VP-83 Unit Report NO. 14.
Airplane Type: PBY-SA.
Squadron NO.: 83-P-12
Pilot Lieut G. Bradford USNR.
Location of Attack -- Latitude: 03-23 s.
Longitude so-2s W.
Date: April 15: 1943.
Time: 1620. (Z0118 Plus P)
 
1. The airplane was flying at 1500 feet following homing signals which were being transmitted by another plane of the squadron [ossia quello di Thurmond Robertson] which was  contact with a submarine it had previously attacked. At a range of 8 miles the Submarine was sighted fully surfaced but down by the stern with its after deck awash. Course was altered to permit an attack from astern. The attack was delivered from an altitude ofabout 50 to 100 feet at the ground speed of 125 knots and target angle approximately 210°. Four Mark 44 depth bombs fitted with flat nose attachments were released by intervalometer set for 65 foot spacing at 130 knots. Mark 24-1 fuses were installed and set to function at 25 feet. Two of the bombs fitted with Mark 19 nose fuses, as the assigned mission was "anti-blockade runner sweep". The explosions were observed to occur along the port quarter and probably bracketing the hull of the submarine just abaft the conning tower. The submarine and airplane exchanged gunfire throughout the attack and during the four subsequent strafing runs. The enemy did not cease firing until his conning tower slipped beneath the surface. Following the explosions the submarine settled gradually by the stern, and its bow came up out of the water until it protruded at an angle of about 50°. It then slid slowly downward and backward until it disappeared completely about six minutes after the explosions occurred. A considerable quantity of heavy brown oil and approximately thirty or forty survivors remained on the surface following the disappearance of the submarine. One large burst of bubbles appeared as the bow of the submarine slid under. No debris was sighted. The plane remained in the  for 10 minutes following this attack, during which time it dropped life rafts to the survivors in the water. It then departed for base, having reached PLE."

Il modulo della 10° Flotta statunitense relativo all’affondamento dell’Archimede da parte dei due Catalina dello Squadron VP-83 (g.c. Jerry Mason/U-boat Archive)


Un articolo del giornale americano “Minneapolis Morning Tribune” su Earl Joseph Kloss ed Arnold Burggraff ed il loro ruolo nell’attacco all’Archimede (g.c. sito Togetherweserved)




Una serie di articoli di giornali statunitensi in merito all’azione di Thurmond Robertson ed all’affondamento dell’Archimede (di cui si parla, erroneamente, come di un U-Boot tedesco, non essendo all’epoca ancora stato recuperato l’unico sopravvissuto, Giuseppe Lo Coco, in grado di identificare l’unità affondata).


Dichiarazione di Giuseppe Lo Coco resa in Italia nel 1946, dal sito dell’ANMI
Traduzione in italiano del rapporto sull’interrogatorio di Giuseppe Lo Coco da parte delle autorità statunitensi, su Regiamarina.net
La sequenza completa delle fotografie scattate da uno dei Catalina durante l’attacco che portò all’affondamento dell’Archimede, sul sito Uboat Archive
“10th Fleet ASW Incident Form narrative concerning attack by two VP-83 aircraft on Archimede”, sul sitoU-Boat Archive
Analisi dell’US Navy sull’attacco ed affondamento dell’Archimede, sul sito U-Boat Archive
Storia dell’Archimede, su Regiamarina.net
Storia dell’Archimede, su Grupsom
Schede dei sommergibili classe Brin, su Betasom
Scheda dell’Archimede sul sito della Marina Militare
Encomio del comandante in capo della Flotta dell’Atlantico per l’83rd Patrol Squadron per l’affondamento dell’Archimede, dal sito U-Boat Archive
La vicenda di Giuseppe Lo Coco e dell’Archimede nel libro Sole Survivors of the Sea
L’affondamento dell’Archimede nel libro US Navy PBY Catalina Units of the Atlantic War
L’affondamento dell’Archimede nel libro Galloping Ghosts of the Brazilian Coast: United States Naval Air Operations in the South Atlantic DuringWorld War II
Pagina di Wikipedia sull’Archimede

5 commenti:

  1. Io esule capodistriano, mi sono emozionato alla scoperta della fine del mio concittadino Italo Sandrin (erroneamente citato Sandrini). E' un fatto sconosciuto a tutti i miei concittadinie che cercherò di far conoscere.

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  2. Lorenzo il sito
    http://www.uboatarchive.net/ArchimedePhotos.htm
    non funziona

    questo è quello funzionante:
    http://www.uboatarchive.net/Archimedie/Archimede.htm

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    1. Sì, ogni tanto i link smettono di funzionare perché i siti vengono modificati o cessano di funzionare...

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  3. Lorenzo ottimo lavoro, ma il TV Signorini si chiamava Mario (non Elio), figlio di Tito e di Fanny Becchi, nato a Roma il 12.11.1908, per l’azione in mar Rosso del 19-26 giugno 1940 ricevette una MAVM (giugno 1940).

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