La nave quando portava il
nome di Bolton Castle, in Sudafrica,
nel 1933 (g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net)
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Piroscafo da carico
di 5826 tsl, 3959 tsn e 9222 tpl (per altra fonte 5739 tsl, 3595 tsn e 9367
tpl), lungo 129,29-133,95
metri , largo 16,15 e pescante 8,01-9,11 m , con una velocità di
9-10 nodi. Appartenente alla Società
Anonima Mare Nostrum con sede a Genova, matricola 2239 al Compartimento
Marittimo di Genova, nominativo di chiamata ICEI.
Breve e parziale cronologia.
14 aprile 1914
Varato nei cantieri
William Hamilton & Company Ltd. di Port Glasgow (Glen Yard) come Bolton Castle (numero di cantiere 296).
Maggio 1914
Completato per la
Lancashire Shipping Company Ltd. (armatore J. Chambers & Co. di Liverpool)
con sede a Liverpool. Il suo nominativo di chiamata originario è JDFO.
Impiegato sulla rotta
Londra-Genova-Singapore-Manila-New York.
16 febbraio 1916
Il Bolton Castle si trova ormeggiato ad un
molo del porto di New York (precisamente a Brooklyn, dov’è giunto il 6 febbraio
da Singapore, via Port Natal e S. Lucia) insieme ai piroscafi Pacific e Bellagio, alcuni dei quali intenti a caricare munizioni dirette a
Vladivostok, quando scoppia un violento incendio in alcuni edifici vicini: è
proprio un uomo di guardia sul Bolton
Castle a notarlo per primo, intorno all’una di notte. Le fiamme si estendono
rapidamente anche alle navi e alle chiatte ormeggiate al molo, tanto da
costringere i loro equipaggi a salvarsi saltando su altre chiatte e
rimorchiatori giunti in soccorso, o direttamente nelle acque del porto: il
comandante del Bolton Castle, capitano
Benjamin Smith (che ha avuto un braccio rotto per uno scoppio avvenuto sulla
nave), e sei membri del suo equipaggio devono calarsi lungo una cima fino ad
una chiatta; la moglie del capitano Smith deve buttarsi in acqua per sfuggire
alle fiamme, venendo poi soccorsa dal marito e da dei marinai.
Quando i mezzi dei
pompieri giungono sul molo, le fiamme hanno già raggiunto un’intensità tale da
renderlo inaccessibile; anche i battelli antincendio non possono fare nulla per
il Pacific ed il Bolton Castle (si riesce invece ad allontanare il terzo piroscafo),
anche perché quest’ultimo ha a bordo un carico di gasolio (destinato alla
Russia) che alimenta l’incendio. Quando questo è alla sua massima intensità, le
caldaie dei due piroscafi esplodono. Anche quindici chiatte, cariche di
munizioni ed ormeggiate nei pressi, vanno distrutte.
Due lavoratori
asiatici, uno del Bolton Castle ed
uno del Pacific, risultano dispersi.
Il Bolton Castle sarà inizialmente valutato
come irrecuperabile («practically a total loss»), ma successivamente, forse
perché si tratta di una nave pressoché nuova e si è in piena guerra – dove ogni
nave è utile – si cambierà idea, e la nave verrà riparata.
1937
Acquistato dalla
Minerva Steam Ship Company Ltd. (in gestione a Fred Hunter Ltd.) di Londra.
1939
Acquistato dalla
Società Anonima di Navigazione Mare Nostrum (armatore A. Ravano) di Genova,
ribattezzato Fidelitas ed iscritto
con matricola 2239 al Compartimento Marittimo di Genova.
Impiegato nella rotta
tra il Mediterraneo e le Indie Occidentali.
17 gennaio 1940
Mentre è in
navigazione in zavorra nell’Atlantico, il Fidelitas
si trova in difficoltà – causa problemi alle strumentazioni del timone –
durante una burrasca da ponente, al punto da dover chiedere aiuto via radio a
tutte le navi nelle vicinanze (mentre si trova in posizione 35°25’ N e 71°35’
O, 180 miglia
al largo di Capo Hatteras) richiedendo di restare nei suoi pressi per dare
assistenza in caso di avaria al timone.
10 maggio 1940
Giunto a Flusching
(Belgio) al comando del camogliese Aldo Martinero, durante un viaggio da Boston
ad Anversa, il Fidelitas, benché
l’Italia sia ancora neutrale, viene sorvolato da aerei tedeschi che,
scambiatolo per un’unità nemica, lo bombardano: una bomba va a segno,
provocando tra l’equipaggio una vittima e cinque feriti.
15 maggio 1940
Ad Anversa (porto
dove ormai sono rimasti soltanto il Fidelitas
ed altre quattro navi italiane: le altre sono fuggite, essendo in corso
l’invasione tedesca del Belgio) il Fidelitas viene accidentalmente
mitragliato e bombardato nel corso di un’incursione di bombardieri Junkers Ju
88 del KG. 30 della Luftwaffe. I fuochisti Vincenzo Pergolesi e Francesco Piras
rimangono uccisi e tre altri marittimi sono feriti. Lascia poi il porto senza
aver potuto scaricare il proprio carico di grano.
Il giorno stesso,
trovandosi in navigazione al largo della costa olandese durante l’invasione
tedesca del Belgio, il Fidelitas viene
accidentalmente attaccato, insieme ai piroscafi italiani Foscolo ed Antonio Locatelli,
dapprima dall’artiglieria appostata sulla riva orientale della Schelda e poi
(al largo di Zeebrugge) da bombardieri tedeschi Junkers Ju 87. Il Locatelli viene danneggiato ed il Foscolo affondato.
22 maggio 1940
Raggiunge Cork. Da lì
proseguirà per Dublino, nella neutrale Irlanda.
Violatore di blocco
Il 6 giugno 1940 il Fidelitas, sempre al comando di Aldo
Martinero, salpò da Dublino per un nuovo viaggio verso gli Stati Uniti.
L’Italia stava per entrare nella seconda guerra mondiale, ma l’equipaggio del
piroscafo non poteva saperlo, così come non ne erano a conoscenza gli uomini a
bordo di più di duecento mercantili italiani che si trovavano in quel momento
in navigazione in tutto il mondo. I più, lo avrebbero appreso troppo tardi.
Prima di iniziare la
traversata dell’Atlantico, il Fidelitas
fece scalo a Swansea, con l’intenzione di rifornirsi di cibo, acqua e carbone;
nulla di tutto ciò, però, venne concesso dalle autorità locali – probabilmente
con il preciso scopo di ritardare la partenza della nave e poterla poi
catturare, dal momento che i britannici sospettavano dell’imminente entrata in
guerra dell’Italia – e per due giorni il piroscafo rimase fermo nel porto gallese.
Alla fine, il console
italiano di Cardiff suggerì al comandante Martinero di partire, e ciò fu fatto
l’8 giugno. Il Fidelitas arrivò nel
porto spagnolo di La Coruña a mezzogiorno del 10 giugno 1940: quel pomeriggio
il comandante Martinero scese a terra, andò al consolato e sentì la
dichiarazione di guerra dell’Italia. Il Fidelitas
era rimasto bloccato fuori dal Mediterraneo, e sarebbe stato internato in
Spagna.
Per qualche mese il
piroscafo rimase inattivo a La Coruña, poi, a settembre 1940, venne trasferito
ad El Ferrol; rimasero sulla nave soltanto il comandante Martinero, il
direttore di macchina, un marinaio, un fuochista ed un giovanotto, mentre il
resto dell’equipaggio fu rimpatriato.
Seguì un anno e mezzo
di internamento nel porto di El Ferrol.
Ma non sarebbe durato
per tutto il conflitto: nel marzo 1942 il Fidelitas
venne noleggiato dalla compagnia tedesca Hansa di Brema e si decise di farlo
partire per Bordeaux, nella Francia atlantica occupata, sede di una base di
sommergibili italiani e già meta di numerosi violatori di blocco là giunti
dalla Spagna, dalle Canarie, dal Brasile e dal Giappone (17 in tutto, mentre altri 6 erano
andati perduti nel tentativo).
I trasferimenti erano
stati pianificati da Supermarina: le navi, trasferite a Bordeaux dai porti di
Paesi neutrali ma favorevoli o comunque benevoli all’Asse, venivano poi essere
poste alle dipendenze della Germania, mentre i loro carichi potevano essere
inviati in Italia.
Fidelitas e Drepanum (un altro
piroscafo italiano che compì anch’esso la traversata nel marzo 1942) furono le
ultime navi italiane a tentare di forzare il blocco per raggiungere la Francia,
a diversi mesi di distanza dalle altre (che avevano raggiunto Bordeaux tra il
febbraio e l’agosto del 1941).
Mentre il Fidelitas veniva sottoposto alle
riparazioni ed alla manutenzione necessaria a rimetterlo in grado di navigare
dopo un’immobilità tanto prolungata, dall’Italia venne inviato un nuovo
equipaggio che si aggiunse ai cinque uomini rimasti a bordo fin dal 1940.
L’8 marzo 1942 la
nave lasciò El Ferrol per Bilbao, dove subì ulteriori lavori di protezione
della plancia, apprestamento di basamenti per mitragliere contraeree (da
imbarcare in futuro) e realizzazione di alloggi per il personale tedesco che le
avrebbe armate; conclusi anche questi lavori, il Fidelitas imbarcò un carico di minerale di ferro e salpò infime per
Bordeaux.
Il viaggio fino al
porto francese, effettuato senza scorta, filò liscio, e qui il piroscafo sbarcò
una parte del proprio carico, riducendo il pescaggio a 5,18 metri .
Ma la carriera del Fidelitas quale violatore di blocco era
giunta soltanto a metà strada: la parte più pericolosa doveva ancora venire.
Dopo una sosta a Bordeaux durata alcuni mesi, il piroscafo ne ripartì nel
luglio 1942, scortato da pescherecci armati tedeschi. Dopo uno scalo a Brest,
ebbe inizio l’attraversamento del Canale della Manica, pericoloso tanto per i
bassifondali e per le violente e capricciose correnti quanto per la stretta
sorveglianza esercitata dalla Marina e dall’aviazione britanniche, che
attaccavano ogni nave che tentasse l’attraversamento.
Il lungo
attraversamento della Manica vide la nave fare tappa a Cherbourg, Les
Hardreaux, Le Havre, Dunkerque e Dieppe, per poi giungere a Rotterdam; si
navigava di notte, col favore del buio (in particolare le notti di novilunio,
per i punti più pericolosi), mentre si passava il giorno all’ormeggio.
Nella notte tra il 18
ed il 19 agosto venne attraversato il punto più stretto del canale, davanti a
Dover: la distanza tra le opposte sponde era tanto ridotta, in quel tratto, che
le artiglierie appostate sulla costa britannica potevano raggiungere col loro
tiro le navi in transito sulla sponda francese, e di conseguenza sparavano
continuamente con tiro d’interdizione.
Le cannonate, i cui
lampi potevano essere visti da bordo del Fidelitas,
giungevano sulla sponda opposta dopo 23 secondi, spesso mancando di poco il
piroscafo e levando grosse colonne d’acqua; nessun colpo, però, giunse mai a
segno. L’attraversamento del punto più pericoloso, sotto il continuo tiro
dell’artiglieria, durò quaranta esasperanti minuti, dopo di che la nave fu al
“sicuro” dal fuoco nemico.
Durante un’altra
notte del viaggio, il comandante Martinero vide le unità della scorta manovrare
ed aprire il fuoco per respingere un attacco di siluranti; fece ridurre la
velocità, poi fermare le macchine e quindi mettere macchine indietro, giusto in
tempo per vedere dei siluri mancare il Fidelitas
passandogli di prua.
Il resto del viaggio
passò tra incursioni di bengalieri seguite da attacchi di bombardieri, ma
ciononostante il piroscafo raggiunse Rotterdam senza un graffio, scaricandovi
il restante carico di minerale di ferro ed imbarcando un nuovo carico da
trasportare a Bergen, dove giunse passando per il canale di Kiel.
1942-1943
Il Fidelitas, sempre mantenendo il proprio
equipaggio italiano, viene impiegato a noleggio delle forze tedesche nel Mare
del Nord.
10 aprile 1943
Il Fidelitas si trova a far parte di un
convoglio tedesco (mercantili Stadt Emden,
Liselotte Essberger, Klaus Howaldt, Hanau, Willy, Bera e Maurita, scortati dai motodragamine R 89 e R 152, dai
cacciasommergibili UJ 1101, UJ 1102 e UJ 1106 e dalle motovedette V
5902, V 5903, V 6102, V 6103, V 6109 e V 6110) che alle 15.11 viene attaccato
con due siluri dal sommergibile sovietico S
56, nelle acque di Sletnes (Tanafjord, Finnmark, in Norvegia); le armi non
colpiscono alcuna nave, e la scorta contrattacca con cariche di profondità. Il
convoglio subisce poi un bombardamento da parte di velivoli sovietici, ma di
nuovo non vi sono danni.
30 luglio 1943
Nei turbolenti eventi
che seguono la caduta di Mussolini, un rapporto dei servizi segreti tedeschi a
Wilhelmshaven riferisce al reparto operazioni della Kriegsmarine di sospetti
che il Fidelitas intenda “disertare”
durante il prossimo viaggio da Amburgo a Tarvik. Il reparto operazioni ordina
al comando navale del Baltico di prendere tutte le precauzioni per impedirlo,
ma senza mostrare sfiducia verso gli italiani.
8 settembre 1943
Catturato dalle forze
tedesche in seguito all’annuncio dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati.
Secondo alcune fonti ciò sarebbe avvenuto a Bordeaux – il che significa che la
nave era stata nuovamente trasferita in tale porto attraverso il canale della
Manica – dopo di che la nave sarebbe stata di nuovo trasferita nel Mare del
Nord, ma ciò sembra avere poco senso; è più probabile che il Fidelitas fosse rimasto nel Mare del
Nord e che la cattura sia avvenuta in un porto dell’Europa settentrionale.
In ogni caso, dopo la
cattura il Fidelitas viene trasferito
al Reichsverkehrsministerium (Ministero dei Trasporti) di Berlino e dato in
gestione alla Dampfschifffahrts-Gesellschaft Hansa di Brema, ricevendo il nuovo
nominativo di chiamata DYAY ma mantenendo il proprio nome di Fidelitas.
L’equipaggio verrà
integrato da marittimi ucraini, russi, tedeschi e norvegesi, pur restando a
maggioranza italiana (non è chiaro in che situazione: alcune fonti sembrano
considerare il Fidelitas come parte
della “marineria civile della Repubblica Sociale Italiana”); verrà inoltre
imbarcato un gruppo di militari tedeschi addetti alla gestione delle armi di
bordo, ed al comandante italiano Giacomo Piana (Martinero non fa più parte
dell’equipaggio) sarà affiancato il tedesco Janssen.
Il Fidelitas sarà poi impiegato sulle rotte
tra Norvegia e Danimarca.
L’affondamento
Il 27 novembre 1944,
alle 13.30, il Fidelitas salpò da
Aalesund, nel Sulafjord, insieme al piroscafo tedesco Jersbek e con la scorta di quattro unità della Kriegsmarine. Il
multinazionale equipaggio del Fidelitas
ammontava a 22 italiani, 16 tedeschi (4 marittimi civili e 12 militari addetti
alle armi contraeree), 7 ucraini e due russi; c’era inoltre a bordo un pilota norvegese.
La tranquillità del
viaggio durò però meno di mezz’ora: prima delle 14 le navi furono attaccate da dieci
velivoli britannici Bristol Beaufighter, sei del 404th Squadron e
quattro – modello Mk. X, detti “Torbeau” – del 489th Squadron (“Dallachy
Wing”, equipaggi neozelandesi) della Royal Air Force, guidati dal capitano
(Flight Lieutenant) S. S. Shulemson sull’aereo “Z” NV177. Alle 13.56 proprio
questo aereo, insieme al velivolo “F” del 404th Squadron, attaccarono
la nave scorta che era in testa al convoglio – era la vedetta V 5311 Seeotter –
ed il Fidelitas con razzi da 11 kg di testata, mentre alle
14.09 gli altri aerei attaccarono a loro volta con razzi e siluri. Tre
Beaufigthers vennero colpiti, ma nessuno fu abbattuto; mentre il Jersbek venne danneggiato da razzi, il Fidelitas ebbe la peggio e fu dapprima
mitragliato e poi centrato da due siluri, affondando immediatamente a causa del
pesante carico di minerale. Dato che la profondità del mare (107 metri ) era minore
della lunghezza della nave (134
metri ), quando la prua toccò il fondo la poppa si
trovava ancora al di sopra della superficie, ma poi la prua cedette e la poppa
si “adagiò” sino ad affondare e posarsi sul fondale. Poco dopo l’affondamento
si verificò anche una violenta esplosione subacquea, provocata dallo scoppio
delle caldaie, che uccise altri naufraghi.
Dei 48 uomini
imbarcati sul Fidelitas, soltanto cinque
italiani (Aldo Merlo, Felice Montano, Vittorio Marmorato, Luigi Tanghette e
Giorgio Discala), i due russi (Gregori Halken e Michael Kostjik) e due tedeschi
(il radiotelegrafista Herbert Hartmann, che altra fonte elenca però tra le vittime, ed il primo ufficiale di macchina Anton
Niederbacher) riuscirono a salvarsi, a nuoto od a bordo di zatterini e
battellini gonfiabili; morirono 17 italiani, tutti e sette i marittimi ucraini,
14 tedeschi (compresi tutti i 12 militari) ed il pilota norvegese. Soltanto
quattro salme poterono essere recuperate.
Perirono nell’affondamento:
Omar Abis (o Abib), capo fuochista, da Genova,
disperso
Ivan Aftanjok, marinaio, ucraino, disperso
Vittorio Airoldi, primo ufficiale di macchina,
da Genova, disperso
Alberto Arena, marinaio, da Genova, disperso
... Becker, marinaio infermiere
(Kriegsmarine), disperso
Carlo Bock, secondo ufficiale di macchina, da
Amburgo, disperso
Stefano Carletti, fuochista, da Genova,
disperso
Giuseppe Chiesa, terzo ufficiale di macchina,
da Genova, disperso
Dublas Colli, marinaio, da Genova, deceduto
Mario Corsinovi, steward, da Genova, deceduto
Giuseppe Fieri, scrivano, da Genova, disperso
Antonio Forlani, marinaio, da Genova, deceduto
Alessandro Giordanella, marinaio, da Genova,
disperso
Donato Giordano, capo fuochista, da Genova,
disperso
Vincenzo Guglielmi, primo ufficiale, da
Bordighera, disperso
... Jansen, comandante, da Brema, disperso
Ole Johannsen, pilota, da Bergen, disperso
... Johannsen, marinaio segnalatore
(Kriegsmarine), disperso
Ivan Katschenko, marinaio, ucraino, disperso
... Killat, sergente maggiore (Kriegsmarine),
disperso
Musej Korschewsky, marinaio, ucraino, disperso
Pedro Kosucher, marinaio, ucraino, deceduto
... Krügel, marinaio di prima classe
(Kriegsmarine), disperso
... Lange, marinaio di prima classe
(Kriegsmarine), disperso
... Liehr, marinaio segnalatore
(Kriegsmarine), disperso
Prodislav Lukaschewic, marinaio, ucraino,
disperso
... Mittendorf, sergente (Kriegsmarine),
disperso
Giobatta Moraglia, marinaio, da Genova,
disperso
Giacomo Piana, comandante, da Bordighera,
disperso
Michele Pintus, marinaio, da Genova, disperso
... Radkowski, marinaio di prima classe
(Kriegsmarine), disperso
Mario Riva, secondo ufficiale, da Genova,
disperso
... Rose, sottocapo segnalatore
(Kriegsmarine), disperso
Attilio Sarti, fuochista, da Genova, disperso
Pedro Stenzenko, marinaio, ucraino, disperso
Edoardo Vanni, scrivano, da Genova, disperso
... Voss, marinaio di prima classe
(Kriegsmarine), disperso
... Wagner, marinaio di prima classe
(Kriegsmarine), disperso
Wisch Vucase, marinaio (Kriegsmarine?), disperso
Il relitto del Fidelitas, localizzato nel 1988, giace sul
fondale sabbioso tra i 95 ed i 106 metri di profondità. Nel 1997 il cacciamine
norvegese Tyr, autore del
ritrovamento di numerosi relitti storici in acque norvegesi, ha filmato i resti
della nave e recuperato la campana di bordo. Diverse reti da pesca sono
impigliate nel relitto.
Oltre ai 39 uomini
scomparsi nel suo affondamento, il Fidelitas
ha da allora reclamato altre vite: due subacquei sono deceduti nel corso di
immersioni sul suo relitto.
Il Fidelitas poco prima di essere affondato (da www.dykkepedia.com)
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