Il varo dell’Argonauta (dalla Rivista Marittima n. 2
del febbraio 1995, via Marcello Risolo e www.betasom.it)
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Sommergibile di
piccola crociera della classe Argonauta (serie “600”, dislocamento in
superficie 666,56 tonnellate ed in immersione 810,43 tonnellate). In guerra
effettuò una missione offensiva ed una di trasferimento, percorrendo 1400
miglia in superficie e 350 in immersione.
Fu il capostipite
della numerosissima serie “600”, primo esemplare di un tipo che sarebbe stato
riprodotto, con varie migliorie, in ben 59 unità, nelle classi Argonauta, Sirena,
Perla, Adua e Platino.
Il battello visto da tre
quarti di poppa (Coll. E. Bagnasco, da “Le costruzioni navali della Regia
Marina 1861-1945”, supplemento alla Rivista Marittima n. 9 dell’agosto-settembre
1996)
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Breve e parziale cronologia.
9 novembre 1929
Impostazione nei
Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone (numero di costruzione 225).
10 gennaio 1931
Varo nei Cantieri
Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone.
1° gennaio 1932
Entrata in servizio.
Trascorre i primi mesi a Pola e Monfalcone, poi (alla fine del 1932) viene
inviato a Taranto.
L’Argonauta alla consegna (da “I sommergibili di Monfalcone” di
Alessandro Turrini, supplemento al n. 11 della Rivista Marittima del novembre
1998, via www.betasom.it)
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1933
Dislocato a Messina.
Compie una lunga crociera addestrativa in Mediterraneo orientale, spingendosi
fino al Dodecaneso e facendo poi scalo, durante il ritorno, nei porti della
Libia.
Durante gli anni
Trenta viene destinato all’addestramento.
Il battello nel 1935 (foto F.
Cianciafara, g.c. Giuseppe Garufi via www.grupsom.com)
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1936
Dislocato temporaneamente
a Tobruk con la LXI Squadriglia Sommergibili del VI Grupsom; effettua crociere
d’addestramento sia nel Dodecaneso che in Nordafrica.
Successivamente torna
in acque italiane, dove disimpegna attività addestrativa sino allo scoppio
della guerra.
Il sommergibile in bacino di
carenaggio (da “Sommergibili italiani” di Alessandro Turrini ed Ottorino Ottone
Miozzi, USMM, 1999)
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Giugno 1940
Si trova dislocato di
nuovo a Tobruk con la LXI Squadriglia del VI Grupsom, che compone insieme a Sirena, Fisalia, Naiade e Smeraldo, tutti del tipo “600”.
L’Argonauta in navigazione (da www.navyworld.narod.ru)
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La perdita
Nel giugno 1940,
subito prima dell’entrata in guerra dell’Italia, l’Argonauta, al comando del tenente di vascello Vittorio Cavicchia
Scalamonti, prese il mare diretto in una zona circa 100 miglia a nordest di
Alessandria d’Egitto, per una missione di agguato offensivo. All’atto della
dichiarazione di guerra, il 10 giugno, l’Argonauta
era già in agguato al largo di Alessandria. Il battello, insieme ad altri
sommergibili (tra cui il gemello Fisalia),
avrebbe dovuto formare uno sbarramento tra Creta e l’Egitto, con l’obiettivo di
intercettare il traffico britannico da e per il Canale di Suez ed Alessandria
d’Egitto.
I successivi undici
giorni passarono senza che si avessero a registrare eventi di una qualche importanza,
se non la constatazione di una notevole attività antisommergibile, che venne
rilevata all’idrofono; non fu possibile localizzare od attaccare alcuna unità
nemica.
Il 21 giugno il
sommergibile, localizzato da cacciatorpediniere nemici, venne sottoposto ad un intenso
e preciso bombardamento con bombe di profondità, che mise fuori uso il
periscopio d’attacco. L’Argonauta
riuscì ad evadere la caccia mediante accorte manovre evasive, ma non senza aver
riportato danni piuttosto seri, che lo costrinsero a fare rotta di rientro per
Tobruk, ove giunse nel pomeriggio del 22.
Dopo alcune
riparazioni provvisorie effettuate in quella base, il battello lasciò Tobruk
alle 21.45 del 27 giugno diretto a Taranto, nel cui arsenale avrebbe dovuto
essere sottoposto a lavori più estesi per la riparazione delle avarie più gravi:
in particolare la sostituzione del periscopio d’attacco, lavoro che la base di
Tobruk non era attrezzata per compiere, mentre a Taranto sarebbe stato compiuto
facilmente. Dopo la partenza l’Argonauta
avrebbe dovuto seguire la costa libica (passando al largo di Ras el Tin) fino a
Capo Ras el Hilal e poi assumere rotta nord-nord-ovest verso Capo Colonne, ma
non diede mai più notizia di sé.
Nel caso dell’Argonauta, la ricerca negli archivi
britannici ha permesso di individuare non una, ma due azioni antisommergibile
che potrebbero, pressoché certamente, aver causato la sua perdita.
Il 29 giugno 1940,
alle 5.10, i cacciatorpediniere britannici Dainty
(capitano di fregata Mervyn Somerset Thomas), Defender (capitano di corvetta St. John Reginald Joseph Tyrwhitt), Decoy (capitano di fregata Eric George
McGregor), Voyager (australiano,
capitano di corvetta James Cairn Morrow) ed Ilex
(capitano di corvetta Philip Lionel Saumarez) avvistarono un sommergibile emerso
130 miglia a sudovest di Capo Matapan. Le unità
britanniche, che costituivano la Forza «C» al comando del capitano di
fregata Thomas del Dainty, erano
impegnate in un rastrello antisommergibile nel Mediterraneo centrale tra
Alessandria e Tobruk a protezione dell’operazione di rifornimento britannica
«MA 3» tra Malta, Egitto e Grecia, durante la quale affondarono altri due
sommergibili italiani, il Console
Generale Liuzzi e l’Uebi Scebeli. Fu il Voyager ad avvistare il sommergibile in superficie, a nove miglia
di distanza, e poco dopo, mentre i cacciatorpediniere oltrepassavano una
chiazza di nafta che galleggiava laddove il sommergibile era stato poco prima
avvistato – si era infatti immerso – l’Ilex
localizzò un’unità subacquea a 6 miglia per 300°. Alle 6.15 Dainty, Decoy, Ilex e Voyager bombardarono con bombe di
profondità tale sommergibile immerso, dopo di che non ritrovarono più il
contatto. Poco dopo, alle 6.42, fu avvistato un altro sommergibile emerso a
poca distanza – l’Uebi Scebeli – e Dainty, Defender ed Ilex andarono
ad affondarlo, lasciando Decoy e Voyager vicino al punto del primo
attacco. L’attacco delle 6.15 era avvenuto nel punto 35º16'
N e 20º20' E (o 35°24’ N e 20°10’ E), corrispondente ad un punto situato a
circa un terzo del percorso che l’Argonauta
avrebbe dovuto seguire (tra Capo Ras el Hilal e l’estremità sudoccidentale
della Grecia).
Per lungo
tempo si è ritenuto che senza dubbio fosse stata questa la fine dell’Argonauta, ed ad oggi è ancora questa la
versione più accreditata dall’USMM e dagli storici. (Una fonte britannica afferma
tuttavia che il sommergibile attaccato sarebbe stato un altro battello
italiano, l’Uarsciek, che sarebbe
stato danneggiato, ma in realtà l’Uarsciek
era in agguato a sud di Cefalonia e tornò alla base senza aver avvistato navi
nemiche).
Non solo
navi di superficie, però, erano uscite in mare per l’operazione «MA 3»: anche 14 idrovolanti antisommergibile
setacciarono il Mediterraneo centrale alla ricerca di sommergibili italiani,
affondandone uno, il Rubino. Alle 10.15
del 28 giugno 1940 (per altre fonti alle 14.50 del 29 giugno), l’idrovolante
Short Sunderland L 5804/S del 201st Group (230th
Squadron) della Royal Air Force (di base a Malta), pilotato dal capitano
(Acting Flight Lieutenant) canadese William Weir Campbell, effettuò due
passaggi sganciando due o quattro bombe antisommergibile da 250 libbre (113 kg)
contro un sommergibile del quale aveva avvistato il periscopio, nel punto 37º29' N e 19º51' E, cioè praticamente sulla rotta seguita
dall’Argonauta. La prua del battello
si era sollevata per poi scivolare verticalmente verso il fondo, lasciando in
superficie olio, rottami e bolle d’aria. Campbell ritenne di aver affondato il
sommergibile attaccato, ma al rientro alla base non fu creduto.
Si trattò
della prima azione antisommergibile compiuta in Mediterraneo da un Sunderland,
aereo che si sarebbe presto rivelato un avversario pericoloso per i
sommergibili dell’Asse (lo stesso L 5804/S di Campbell affondò poche ore più
tardi un altro sommergibile italiano, il Rubino,
sempre nell’ambito delle operazioni connesse a «MA 3»).
Considerata
la velocità di avanzamento dell’Argonauta,
appare poco probabile che il battello potesse già trovarsi nella posizione
indicata da Campbell, troppo avanzata, ma rimane anch’essa una possibilità da
tenere in considerazione, specie qualora il pilota avesse sbagliato a calcolare
la posizione. Se l’Argonauta fu
effettivamente affondato dall’aereo di Campbell, al sommergibile italiano
toccherebbe il triste primato di primo delle decine di sommergibili dell’Asse
affondati da questo temibile velivolo.
Quale che
fosse stata la causa, il comandante Cavicchia Scalamonti, gli altri quattro
ufficiali ed i 43 sottufficiali e marinai dell’Argonauta non fecero mai più ritorno.
Il sommergibile in un’immagine dell’Almanacco Navale (g.c. Giuseppe Garufi via www.xmasgrupsom.com |
Scomparsi con l’Argonauta:
Gildo Allegretti, comune
Umberto Ammazzalorso, capo di
seconda classe
Giuseppe Augelli, sergente
Carmine Barbato, comune
Salvatore Battiato, comune
Otello Bondi, capo di prima classe
Carlo Bonissone, comune
Giuseppe Burlando, comune
Claudio Carlini, sottocapo
Vittorio Cavicchia Scalamonti,
tenente di vascello (comandante)
Pietro Cerotti, sergente
Angelo Consigli, comune
Giovanni Conta, capo di terza
classe
Giuseppe Corbo, secondo capo
Giovanni Cotugno, sottocapo
Mario Cozzi, comune
Alberto Di Vanno, comune
Luigi Dominici, comune
Corrado Farinola, secondo capo
Umberto Fonti, comune
Walter Francheo, comune
Luigi Fulgheri, comune
Gualtiero Galantini, secondo capo
Giuseppe Gelao, comune
Modesto Gerosa, comune
Angelo Iommetti, comune
Calogero La Grassa, sottocapo
Sebastiano Licciardello, sottocapo
motorista, 25 anni, da Acireale
Alberto Lucido, comune
Angelo Manara, comune
Giuseppe Mangraviti, comune
Matteo Marino, sottocapo
Aniello Mennella, sergente
Gioacchino Pistolesi, secondo capo
Angelo Prestipino, comune
Francesco Ritacca, sottocapo
Gregorio Rosati, guardiamarina (ufficiale
alle armi)
Renato Rossi, sottotenente di
vascello (comandante in seconda)
Tommaso Rubino, comune
Mario Salzano, comune
Mario Setta, comune
Giuseppe Sorge, sottotenente di
vascello (ufficiale di rotta)
Luigi Stefani, capitano del Genio
Navale (direttore di macchina)
Mario Torresini, secondo capo
Guido Turcolin, sottocapo
Ugo Villani, comune
Cesare Vitali, secondo capo
Vittorio Vitti, comune
Un aggiornamento. In tempi recenti il subacqueo belga Jean-Pierre Misson ha
annunciato di aver “ritrovato” il relitto dell’Argonauta nelle acque di Ras el Hilal, sulla costa libica,
“identificandone” il relitto da un’immagine sonar da lui ottenuta nel 2012. La
notizia, molto inopportunamente, è stata ripresa e diffusa da alcuni siti web e
testate giornalistiche, facilmente ingannabili e ben poco scrupolose nel
verificare le notizie prima di pubblicarle.
Sull'attendibilità di Jean-Pierre Misson si riporta quanto segue, lasciando al lettore il compito di giudicare. Nel
corso degli ultimi anni, Misson ha sostenuto di aver trovato in due
ristrettissimi specchi d’acqua (pochi chilometri quadrati), al largo di Tabarka
(Tunisia) e Ras el Hilal (Libia), non meno di dieci sommergibili (il britannico
Urge e gli italiani Argonauta, Foca, Dessiè, Asteria, Avorio, Porfido e Cobalto, nonché altri ancora ai quali,
grazie a Dio, non è “riuscito” ad appioppare un nome), il cacciatorpediniere
britannico Quentin, la nave cisterna
italiana Picci Fassio, la
motosilurante tedesca S 35 e
probabilmente altri relitti, distanti tra loro poche centinaia di metri (il che
sarebbe già, di per sé, pressoché inverosimile). Si vedano, in proposito, le
accese discussioni sul forum AIDMEN nonché le rivendicazioni di Misson che in
alcuni casi, per mezzo di giornalisti del tutto inesperti della materia, sono
purtroppo arrivate fin sui giornali. Tutti i “ritrovamenti”, con metodologia del
tutto inaccettabile per una qualsivoglia seria ricerca di un relitto, sono
avvenuti mediante l’“interpretazione” di vaghissime ombre registrate dal sonar,
senza una singola immersione sugli immaginari relitti in questione.
La maggior parte
delle sopraccitate unità, a differenza dell’Argonauta,
ebbero sopravvissuti tra i propri equipaggi, e sia tali sopravvissuti che le
unità responsabili degli affondamenti registrarono, all’epoca, le posizioni di
detti affondamenti. Da ciò risulta con certezza che tutti i sommergibili e le
navi di cui sopra affondarono in luoghi distanti decine, se non centinaia di
miglia da quelli in cui Misson sostiene di averli trovati; ma ciò non scoraggia
Misson dal sostenere che tutti coloro che registrarono tali posizioni abbiano
sbagliato grossolanamente nelle loro rilevazioni di parecchie decine di miglia
(del tutto impossibile, soprattutto quando si parla di quasi quindici unità
diverse), mentre egli non prende lontanamente in considerazione di poter aver
sbagliato nell’identificazione delle immagini sonar dei “relitti” in questione.
Dette immagini sonar,
in realtà, risultano a qualsiasi osservatore imparziale come niente più che
vaghi ed indistinguibili sgorbi, non identificabili in alcun modo e che con
ogni probabilità non mostrano alcun relitto, né altro oggetto fatto dall’uomo;
è Misson a “vedervi” i relitti, trasformando ogni ombra rilevata dal suo sonar
in un “sommergibile”. Esemplare, a questo proposito, la procedura di
“identificazione” del “relitto” dell’Urge,
annunciata persino sui giornali: a sostegno delle sue tesi, Misson ha
contattato un esperto di immagini sonar per identificare la vaga immagine sonar
da lui attribuita al relitto dell’Urge,
ma questi, visionata l’immagine, ha negato la possibilità di identificarla. Ciò
non ha frenato minimamente Misson, che ha riaffermato la propria
autoreferenziale identificazione dell’Urge,
e si è poi premurato di non chiedere altri pareri di esperti (che non avrebbero
che potuto essere negativi, non essendovi alcun relitto) per le “identificazioni”
successive. Ancora più grottesca l’attribuzione delle cause di affondamento di
queste unità: se trascurando il fatto che esse sono note con certezza per tutte
le navi e sommergibili indicati (Argonauta
e Foca rappresentano le uniche
eccezioni), Misson attribuisce buona parte degli affondamenti dei
“sommergibili” di Tabarka ad un fantomatico campo minato presente in quelle
acque. In realtà, è noto con certezza che non esisteva nessun campo minato
presso Tabarka tranne uno che venne posato solo in epoca successiva a quasi
tutti gli affondamenti citati, e che dunque non può esserne la causa. Una volta
di più, ciò non sembra turbare minimamente Misson. Per le unità per il quale
non ha potuto inventare un impossibile affondamento su mine inesistenti, Misson
ha sostenuto che esse (sommergibili compresi, anzi, per primi) siano andate
alla deriva per decine di miglia prima di affondare, convenientemente, tutte
nel fazzoletto di mare ispezionato dal suo sonar, benché dai rapporti
dell’epoca appaia chiaro come dette unità siano affondate nei luoghi degli
attacchi, senza andare alla deriva.
Si ritiene che tutto
ciò la dica lunga sulla validità delle "scoperte" di Jean-Pierre Misson. La notizia del ritrovamento dell’Argonauta
presso Ras el Hilal è purtroppo da considerarsi come completamente destituita
di fondamento.
Il sommergibile con l’equipaggio
schierato in coperta (da “L’Italia e la guerra 1940-1943” di Domenico Rotolo,
Publimodel 2005, via Marcello Risolo)
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