Il Nembo (g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net) |
Cacciatorpediniere
della classe Turbine (1220 tonnellate di dislocamento standard, 1560 t in
carico normale e 1715 t a pieno carico), ormai anziano ed usurato dopo
l’intensa attività degli anni ’30 (la velocità era calata a 31 nodi da una
media di 33-36) come il resto della classe, e quindi ormai inadatto a compiti
di squadra, venne considerato una nave “spendibile” e dislocato in Libia agli
ordini di Marina Tobruk. Fu assegnato a compiti di scorta convogli, ma eseguì
una sola missione prima di andare perduto.
Breve e parziale cronologia.
21 gennaio 1925
Impostazione nei Cantieri
del Tirreno di Riva Trigoso (numero di costruzione 92).
27 gennaio 1927
Varo nei Cantieri del
Tirreno di Riva Trigoso. Il Nembo
sarà la prima nave da guerra costruita da questi cantieri.
Il varo del Nembo (g.c. Franco Lena via www.naviearmatori.net)
|
24 ottobre 1927
Entrata in servizio.
Negli anni successivi
all’entrata in servizio verrà sottoposto ad alcuni lavori di modifica, quali
l’aggiunta di una mitragliera binata Breda Mod. 31 da 13,2/76 mm ed un
miglioramento delle sistemazioni di bordo.
1929
Fa parte, con i
gemelli Turbine, Euro ed Aquilone, della
II Squadriglia della 1a Flottiglia della I Divisione Siluranti,
facente parte della 1a Squadra Navale, di base a La Spezia.
1929-1932
Partecipa a diverse crociere
nelle acque Mediterraneo. Nel maggio 1929 si reca da La Spezia a Barcellona con
la Divisione Navale dell’ammiraglio Ferdinando di Savoia-Genova.
1931
Insieme ai gemelli Zeffiro, Espero ed Euro,
all’esploratore Ancona ed a due
flottiglie di cacciatorpediniere (rispettivamente quattro e sei unità, più un
esploratore ciascuna), il Nembo forma
la II Divisione della 1a Squadra Navale. In questo periodo è
comandante del Nembo Raffaele De
Courten, futuro Capo di Stato Maggiore della Marina.
25 marzo-15 settembre 1932
Diviene una delle
prime navi italiane ad imbarcare una centrale di tiro tipo «Galileo-Bergamini»,
progettata dal CV Carlo Bergamini, comandante la I Squadriglia
Cacciatorpediniere ed il Nembo
stesso, che è caposquadriglia (le altre unità sono Euro, Turbine ed Aquilone). Cacciatorpediniere che l’Aquilone compone unitamente a Euro, Nembo e Turbine, il
cacciatorpediniere compie un intensivo addestramento con la nuova centrale di
tiro. Tale addestramento ha come il risultato la formazione di equipaggi
esperti e qualificati e la decisione di imbarcare altre centraline di tiro «Galileo-Bergamini»
su numerose altre unità.
Il Nembo fotografato dopo il 1932 (da www.italie1935-45.com/mer/equipements/cacciatorpedinieri/turbine.php) |
1934
Nembo,
Euro, Turbine ed Aquilone
formano la VIII Squadriglia Cacciatorpediniere, che, insieme alla IV Squadriglia
(Espero, Borea, Ostro e Zeffiro), è aggregata alla II Divisione
Navale, composta dagli incrociatori pesanti Fiume
e Gorizia.
Nello stesso anno Nembo e Turbine vengono temporaneamente inviati in Mar Rosso.
1936-1938
Partecipa alla guerra
di Spagna, contrastando il contrabbando di rifornimenti per le forze
repubblicane spagnole con crociere di vigilanza lungo le coste della Spagna,
facendo soste nelle Baleari.
In questo periodo è
comandante in seconda del Nembo il TV
Costantino Borsini, futura Medaglia d’oro al Valor Militare.
La nave nel 1936-1937 (da www.icsm.it)
|
Novembre 1937
Subisce un periodo di
lavori a Napoli, dopo essere stato temporaneamente posto a disposizione di
Umberto di Savoia.
6 giugno-10 luglio 1940
Nembo
(caposquadriglia), Turbine, Euro ed Aquilone posano 6 sbarramenti antinave, per un totale di 160 mine,
nelle acque di Tobruk.
10 giugno 1940
All’entrata in guerra
dell’Italia il Nembo appartiene alla
I Squadriglia di Cacciatorpediniere, che dal marzo 1940 ha base a Tobruk alle
dipendenze del locale Comando Marina, insieme ad Euro, Turbine ed Aquilone.
Il capitano di fregata Leonardo Elena, comandante del Nembo e della sua squadriglia nel 1935 (g.c. Giovanni Pinna) |
14-15 giugno 1940
Alle 22.30 del 14
giugno Nembo (capitano di corvetta Emanuele Marzio
Ventura Messia De Prado), Turbine ed Aquilone partono da Tobruk per
bombardare le posizioni britanniche di Sollum con le loro artiglierie. Assiste
alla missione anche il comandante di Marina Tobruk, il contrammiraglio
Alessandro Olgeni. I tre cacciatorpediniere aprono il fuoco contro Sollum alle
3.49 del 15 giugno, proseguendo il tiro sino alle 4.05 e sparando in tutto 220
proiettili da 120 mm. La densa foschia impedisce che le unità italiane vengano
avvistate ed attaccate, ma per contro ne ostacola la precisione nel tiro. La
missione viene completata senza incidenti, ma con scarsi risultati.
17 giugno 1940
Secondo alcune fonti
il Nembo sarebbe stato attaccato in
questa data, senza successo, dal sommergibile britannico Parthian al largo di Tobruk; in realtà il Parthian avvista un cacciatorpediniere che identifica come “classe Nembo”,
che è l’Euro, e non riesce neanche ad
avvicinarsi a sufficienza da poter tentare il lancio dei siluri.
26 giugno 1940
Nembo, Turbine ed Aquilone eseguono un altro bombardamento delle linee britanniche a
Sollum, cannoneggiandole dalle 5.35 alle 6.18 con eccellente visibilità e buoni
risultati. Essendo questo cannoneggiamento effettuato più tardi rispetto a
quello del 15 giugno, partecipa alla missione anche un ricognitore, con il
compito di avvertire in anticipo i cacciatorpediniere dell’eventuale
avvistamento di aerei britannici inviati a contrattaccare, che tuttavia non si
fanno vedere. Vengono sparati 541 colpi, con risultati migliori rispetto al
bombardamento del 15 giugno.
Tali azioni (quella
del 26 giugno è stata chiesta dal Comando Superiore delle Forze Armate italiane
in Libia) devono servire ad indebolire le difese britanniche nell’area, in
previsione della prossima offensiva italiana.
5 luglio 1940
Il porto di Tobruk
viene attaccato da nove aerosiluranti britannici Fairey Swordfish dell’813th
Squadron della Fleet Air Arm, decollati da Sidi el Barrani ed aventi come
obiettivo le navi in porto (con priorità per i cacciatorpediniere). L’attacco è
stato deciso dopo che il 4 luglio un ricognitore Short Sunderland ha sorvolato
la base da 1500-2000 metri di quota dalle 10 alle 11.15, nonostante il tiro
contraereo aperto contro di esso, accertando la presenza a Tobruk di numeroso
naviglio.
Il Nembo si trova ormeggiato sul lato
meridionale della rada, alla boa C2, a proravia dell’Ostro (boa C4) che è a sua volta ormeggiato a proravia dell’Aquilone (boa C6). L’allarme aereo viene
dato alle 20.06; in pochi minuti i siluri colpiscono i cacciatorpediniere Zeffiro ed Euro ed i piroscafi Manzoni,
Liguria e Serenitas, affondando Zeffiro
e Manzoni, mentre le altre navi
colpite devono essere portate all’incaglio per evitarne l’affondamento. I cacciatorpediniere
alle boe vengono infruttuosamente attaccati da due degli Swordfish, che
tuttavia, a causa della difficoltà a transitare come previsto tra la fila dei
cacciatorpediniere a sinistra e quella dei mercantili (Sereno, Sabbia, Liguria, Serenitas e Manzoni) a
dritta, e del violento tiro contraereo aperto dagli stessi cacciatorpediniere,
non riescono a lanciare i siluri. Alle 21.31 viene dato il cessato allarme.
Il Nembo fotografato in Mar Grande a Taranto poco tempo prima dello
scoppio della seconda guerra mondiale (g.c. STORIA militare)
|
Swordfish
Gli Swordfish
britannici tornarono alla carica il 19 luglio 1940, avendo come obiettivo primario
l’incrociatore leggero Giovanni delle
Bande Nere, danneggiato nello scontro di Capo Spada, che in realtà era
riparato a Bengasi (l’ultima volta che era stato visto da unità britanniche, il
Bande Nere aveva rotta verso Tobruk,
e solo in seguito aveva accostato per dirigere a Bengasi).
Il Nembo era ancora dove si era trovato
durante l’attacco del 5 luglio, ormeggiato alla boa C2 a proravia dell’Ostro, sul lato meridionale della baia (Nembo, Ostro ed Aquilone erano
allineati lungo la direttrice da est ad ovest). Regolari i servizi di difesa e
sicurezza: il personale addetto alle armi era ai suoi posti alle mitragliere da
40/39 e 13,2 mm, mentre tutti gli uomini non necessari a tali servizi si
trovavano alloggiati sui piroscafi Liguria
(incagliato ma agibile) e Sabbia. I
locali erano presidiati, le porte stagne e la portelleria chiuse, come
prescrivevano le norme contro gli attacchi aerei all’ormeggio.
Prima dell’invio
degli aerosiluranti, già altri attacchi aerei turbarono la “quiete” del porto
libico: dapprima, alle 17, tre ondate composte rispettivamente da cinque, tre e
quattro bombardieri Bristol Blenheim degli Squadrons 55 e 201, provenienti
dall’Egitto, bombardarono nell’arco di una decina di minuti la parte
settentrionale della rada, danneggiando leggermente una batteria contraerea e
le infrastrutture del porto e perdendo un aereo. Alle 18 fu dato il cessato
allarme, ma già alle 18.56 fu suonato un nuovo allarme perché un idrovolante
del 700th Squadron della Fleet Air Arm, catapultato dalla corazzata
britannica Warspite, sopraggiunse da
nordovest per verificare i risultati del bombardamento di poco prima.
L’idrovolante divenne subito oggetto del violento e preciso tiro contraereo
italiano, riportando tali danni da precipitare in mare mentre tornava alla
base.
Alle 19.33, ventuno
minuti dopo il tramonto, fu suonato il secondo cessato allarme. Non sarebbe
stato l’ultimo.
Alle 21.54 del 19
luglio Tobruk fu messa in allarme ancora una volta, a seguito di segnalazioni
provenienti dai punti d’ascolto avanzati di Bardia e Belafarid, ed alle 22.30
sei Swordfish dell’824th Squadron della Fleet Air Arm, decollati da
Sidi el Barrani, apparvero nei cieli della base libica. Gli aerei, distaccati
con la loro squadriglia dalla portaerei britannica Eagle, erano decollati dalla base egiziana alle otto di quella sera
con il preciso obiettivo di silurare le navi ormeggiate a Tobruk; provenienti
da nordest, procedevano in due formazioni a cuneo poco distanziate tra di loro,
al comando del tenente di vascello F. S. Quarry. Nel cielo c’erano solo nuvole
sparse, il vento, da sudest, era debolissimo, il mare calmo.
Le difese contraeree
aprirono subito un intenso tiro contraereo che costrinse gli aerei britannici
ad effettuare numerosi passaggi sulla rada per evitare di essere colpiti (tre
degli Swordfish furono danneggiati nell’attacco, anche se nessuno fu abbattuto),
nonché per individuare i bersagli (operazione complicata dalla mediocre luce
lunare) e prepararsi all’attacco. Verso l’1.30 del 20 luglio gli Swordfish
diedero inizio all’attacco, proprio mentre le navi italiane iniziavano a loro
volta il tiro contraereo. Ciò che fece capire agli uomini del Nembo che gli attaccanti erano
aerosiluranti fu la reazione dell’incrociatore corazzato San Giorgio (stazionario in rada come batteria contraerea
galleggiante), che all’1.30 aprì il fuoco verso sud con alzo molto basso,
spostando rapidamente il tiro verso ovest e mantenendolo sempre basso. Gli
Swordfish si disposero in formazione d’attacco, superarono la barriera del
fuoco contraereo e scesero a volo radente sulla superficie del mare, per
compiere la corsa di lancio.
All’1.32 il primo
siluro andò a segno colpendo il piroscafo Sereno,
che iniziò ad affondare di poppa, e due minuti più tardi anche l’Ostro venne silurato: il suo deposito
munizioni poppiero eruppe in una violenta deflagrazione, che proiettò parecchie
schegge anche a bordo del Nembo. Su
quest’ultimo si iniziò allora a preparare i soccorsi da portare all’Ostro, che stava affondando, ma all’1.37
il Nembo stesso venne a sua volta
colpito dal siluro dello Swordfish pilotato dal tenente di vascello E. S.
Ashley (equipaggio composto dai guardiamarina S. A. Quincannon e F. F. Loster).
L’arma colpì al centro, sulla dritta, tra i locali caldaia 2 e 3: la nave
sbandò immediatamente sul lato sinistro – quello opposto a quello colpito –
facendo cadere in mare parecchi uomini, e facendo finire sott’acqua quasi
subito il parapetto della mitragliera da 40/39 mm di sinistra. In pochi minuti
il Nembo toccò il fondale, profondo
solo 7-8 metri, si abbatté sul lato sinistro ed affondò, lasciando emergere
parte del lato di dritta e dei fumaioli. All’1.45 il cacciatorpediniere era
affondato.
Le ricerche dei
dispersi cominciarono prima ancora che l’attacco aereo fosse terminato – il
cessato allarme fu dato alle 5.56 – e proseguirono sino a tutto il mattino.
Tra l’equipaggio del Nembo i morti furono 25, i feriti
quattro. Il bilancio non fu più pesante perché parte dell’equipaggio si trovava
alloggiato non sulla propria nave ma su Sabbia
e Liguria.
Il comandante De
Prado, che durante l’affondamento si era prodigato per la salvezza dei suoi
uomini sino al punto di cedere il proprio salvagente, ricevette la Medaglia
d’argento al Valor Militare. La stessa decorazione fu conferita
al secondo capo cannoniere Luigi Brignolo, rimasto gravemente ferito
nell’attacco, che, confortato dal comandante, si dichiarò contento del
sacrificio fatto per l’Italia.
I relitti del Nembo e dell’Ostro vennero successivamente smantellati; le loro artiglierie
andarono a rinforzare le difese della piazzaforte di Bardia.
Caduti sul Nembo:
Giuseppe Alessi, marinaio cannoniere, da Palermo, disperso
Matteo Alia, marinaio, da Balestrate, disperso
Alfredo Baldazzi, sottocapo silurista, da Longiano, disperso
Francesco Bertoletti, marinaio torpediniere, da Codogno, disperso
Lorenzo Bovino, secondo capo segnalatore, da Polignano a Mare, disperso
Fernando Braglia, sergente silurista, da Sassuolo, disperso
Antonio Cargetti, sottocapo elettricista, da Giugliano in Campania, disperso
Gennaro Cercola, marinaio cannoniere, da Napoli, disperso
Giovanni Cicerani, marinaio, da Terracina, disperso
Luigi Cimone, marinaio, da Catania, disperso
Michele De Filippis, marinaio fuochista, da Vasto, disperso
Pietro Di Franco, marinaio cannoniere, da Palermo, disperso
Bonaventura Garzia, capo radiotelegrafista di
terza classe, da Alezio, disperso
Paolo La Rosa, marinaio fuochista, da Siracusa, disperso
Antonio Mangiulli, marinaio, da Brindisi, disperso
Francesco Milana, marinaio, da Linguaglossa, disperso
Domenico Napolitano, marinaio fuochista,
da Genova, disperso
Rolando Pompili, marinaio cannoniere, da Teramo, disperso
Vincenzo Ritrovato, marinaio fuochista, da Gioia Tauro, disperso
Francesco Sales, capo meccanico di terza
classe, da Napoli, disperso
Pietro Santitas, capo cannoniere di seconda
classe, da Corato, disperso
Pietro Scotto, marinaio carpentiere, da Sant'Olcese, disperso
Giuseppe Spinella, marinaio infermiere, da Piraino, disperso
Antonio Squeo, marinaio fuochista, da Trinitapoli, disperso
Carmelo Taffara, marinaio, da Catania, disperso
Il relitto del Nembo pochi giorni dopo l’affondamento (g.c.
STORIA militare)
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La motivazione della
Medaglia di bronzo al Valor Militare conferita al secondo capo cannoniere Luigi
Brignolo:
"Capo armaiolo di caccia torpediniere dislocato in base avanzata, obiettivo di reiterate offese aeree nemiche, sempre primo ad accorrere ove incombeva il pericolo, lavoratore e animatore instancabile, dimostrava in varie missioni di guerra e in varie missioni di fuoco, slancio e perizia non comuni. Gravemente ferito nell'affondamento dell'unità, al comandante che lo confortava si diceva lieto del sacrificio compiuto per la Patria.
(Acque della Cirenaica, 10 Giugno-22 Luglio 1940)"
"Capo armaiolo di caccia torpediniere dislocato in base avanzata, obiettivo di reiterate offese aeree nemiche, sempre primo ad accorrere ove incombeva il pericolo, lavoratore e animatore instancabile, dimostrava in varie missioni di guerra e in varie missioni di fuoco, slancio e perizia non comuni. Gravemente ferito nell'affondamento dell'unità, al comandante che lo confortava si diceva lieto del sacrificio compiuto per la Patria.
(Acque della Cirenaica, 10 Giugno-22 Luglio 1940)"
La motivazione della
Medaglia di bronzo al Valor Militare (a vivente) conferita al capitano di
corvetta Emanuele Marzio Ventura Messia De Prado, nato il 1° giugno 1905:
"Comandante di
cacciatorpediniere dislocato in base avanzata obbiettivo di reiterate offese
dell'avversario, in numerose missioni di guerra fra le quali due azioni di
bombardamento di base nemica, dava costanti prove di capacità e coraggio.
Affondata rapidamente la sua nave in seguito al siluramento da un aereo nemico, si prodigava senza misura per salvare l'equipaggio, privandosi anche del proprio salvagente mentre più intenso era il bombardamento e il tiro radente delle mitragliere.
(Acque della Cirenaica, 10 giugno-29 luglio 1940)"
Affondata rapidamente la sua nave in seguito al siluramento da un aereo nemico, si prodigava senza misura per salvare l'equipaggio, privandosi anche del proprio salvagente mentre più intenso era il bombardamento e il tiro radente delle mitragliere.
(Acque della Cirenaica, 10 giugno-29 luglio 1940)"
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