lunedì 22 dicembre 2014

Nembo

Il Nembo (g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net)

Cacciatorpediniere della classe Turbine (1220 tonnellate di dislocamento standard, 1560 t in carico normale e 1715 t a pieno carico), ormai anziano ed usurato dopo l’intensa attività degli anni ’30 (la velocità era calata a 31 nodi da una media di 33-36) come il resto della classe, e quindi ormai inadatto a compiti di squadra, venne considerato una nave “spendibile” e dislocato in Libia agli ordini di Marina Tobruk. Fu assegnato a compiti di scorta convogli, ma eseguì una sola missione prima di andare perduto.

Breve e parziale cronologia.

21 gennaio 1925
Impostazione nei Cantieri del Tirreno di Riva Trigoso (numero di costruzione 92).
27 gennaio 1927
Varo nei Cantieri del Tirreno di Riva Trigoso. Il Nembo sarà la prima nave da guerra costruita da questi cantieri.

Il varo del Nembo (g.c. Franco Lena via www.naviearmatori.net)

24 ottobre 1927
Entrata in servizio.
Negli anni successivi all’entrata in servizio verrà sottoposto ad alcuni lavori di modifica, quali l’aggiunta di una mitragliera binata Breda Mod. 31 da 13,2/76 mm ed un miglioramento delle sistemazioni di bordo.
1929
Fa parte, con i gemelli Turbine, Euro ed Aquilone, della II Squadriglia della 1a Flottiglia della I Divisione Siluranti, facente parte della 1a Squadra Navale, di base a La Spezia.
1929-1932
Partecipa a diverse crociere nelle acque Mediterraneo. Nel maggio 1929 si reca da La Spezia a Barcellona con la Divisione Navale dell’ammiraglio Ferdinando di Savoia-Genova.
1931
Insieme ai gemelli Zeffiro, Espero ed Euro, all’esploratore Ancona ed a due flottiglie di cacciatorpediniere (rispettivamente quattro e sei unità, più un esploratore ciascuna), il Nembo forma la II Divisione della 1a Squadra Navale. In questo periodo è comandante del Nembo Raffaele De Courten, futuro Capo di Stato Maggiore della Marina.
25 marzo-15 settembre 1932
Diviene una delle prime navi italiane ad imbarcare una centrale di tiro tipo «Galileo-Bergamini», progettata dal CV Carlo Bergamini, comandante la I Squadriglia Cacciatorpediniere ed il Nembo stesso, che è caposquadriglia (le altre unità sono Euro, Turbine ed Aquilone). Cacciatorpediniere che l’Aquilone compone unitamente a Euro, Nembo e Turbine, il cacciatorpediniere compie un intensivo addestramento con la nuova centrale di tiro. Tale addestramento ha come il risultato la formazione di equipaggi esperti e qualificati e la decisione di imbarcare altre centraline di tiro «Galileo-Bergamini» su numerose altre unità.

1934
Nembo, Euro, Turbine ed Aquilone formano la VIII Squadriglia Cacciatorpediniere, che, insieme alla IV Squadriglia (Espero, Borea, Ostro e Zeffiro), è aggregata alla II Divisione Navale, composta dagli incrociatori pesanti Fiume e Gorizia.
Nello stesso anno Nembo e Turbine vengono temporaneamente inviati in Mar Rosso.
1936-1938
Partecipa alla guerra di Spagna, contrastando il contrabbando di rifornimenti per le forze repubblicane spagnole con crociere di vigilanza lungo le coste della Spagna, facendo soste nelle Baleari.
In questo periodo è comandante in seconda del Nembo il TV Costantino Borsini, futura Medaglia d’oro al Valor Militare.

La nave nel 1936-1937 (da www.icsm.it)

Novembre 1937
Subisce un periodo di lavori a Napoli, dopo essere stato temporaneamente posto a disposizione di Umberto di Savoia.
6 giugno-10 luglio 1940
Nembo (caposquadriglia), Turbine, Euro ed Aquilone posano 6 sbarramenti antinave, per un totale di 160 mine, nelle acque di Tobruk.
10 giugno 1940
All’entrata in guerra dell’Italia il Nembo appartiene alla I Squadriglia di Cacciatorpediniere, che dal marzo 1940 ha base a Tobruk alle dipendenze del locale Comando Marina, insieme ad Euro, Turbine ed Aquilone.

Il capitano di fregata Leonardo Elena, comandante del Nembo e della sua squadriglia nel 1935 (g.c. Giovanni Pinna)

14-15 giugno 1940
Alle 22.30 del 14 giugno Nembo (capitano di corvetta Emanuele Marzio Ventura Messia De Prado), Turbine ed Aquilone partono da Tobruk per bombardare le posizioni britanniche di Sollum con le loro artiglierie. Assiste alla missione anche il comandante di Marina Tobruk, il contrammiraglio Alessandro Olgeni. I tre cacciatorpediniere aprono il fuoco contro Sollum alle 3.49 del 15 giugno, proseguendo il tiro sino alle 4.05 e sparando in tutto 220 proiettili da 120 mm. La densa foschia impedisce che le unità italiane vengano avvistate ed attaccate, ma per contro ne ostacola la precisione nel tiro. La missione viene completata senza incidenti, ma con scarsi risultati.
17 giugno 1940
Secondo alcune fonti il Nembo sarebbe stato attaccato in questa data, senza successo, dal sommergibile britannico Parthian al largo di Tobruk; in realtà il Parthian avvista un cacciatorpediniere che identifica come “classe Nembo”, che è l’Euro, e non riesce neanche ad avvicinarsi a sufficienza da poter tentare il lancio dei siluri.
26 giugno 1940
Nembo, Turbine ed Aquilone eseguono un altro bombardamento delle linee britanniche a Sollum, cannoneggiandole dalle 5.35 alle 6.18 con eccellente visibilità e buoni risultati. Essendo questo cannoneggiamento effettuato più tardi rispetto a quello del 15 giugno, partecipa alla missione anche un ricognitore, con il compito di avvertire in anticipo i cacciatorpediniere dell’eventuale avvistamento di aerei britannici inviati a contrattaccare, che tuttavia non si fanno vedere. Vengono sparati 541 colpi, con risultati migliori rispetto al bombardamento del 15 giugno.
Tali azioni (quella del 26 giugno è stata chiesta dal Comando Superiore delle Forze Armate italiane in Libia) devono servire ad indebolire le difese britanniche nell’area, in previsione della prossima offensiva italiana.
5 luglio 1940
Il porto di Tobruk viene attaccato da nove aerosiluranti britannici Fairey Swordfish dell’813th Squadron della Fleet Air Arm, decollati da Sidi el Barrani ed aventi come obiettivo le navi in porto (con priorità per i cacciatorpediniere). L’attacco è stato deciso dopo che il 4 luglio un ricognitore Short Sunderland ha sorvolato la base da 1500-2000 metri di quota dalle 10 alle 11.15, nonostante il tiro contraereo aperto contro di esso, accertando la presenza a Tobruk di numeroso naviglio.
Il Nembo si trova ormeggiato sul lato meridionale della rada, alla boa C2, a proravia dell’Ostro (boa C4) che è a sua volta ormeggiato a proravia dell’Aquilone (boa C6). L’allarme aereo viene dato alle 20.06; in pochi minuti i siluri colpiscono i cacciatorpediniere Zeffiro ed Euro ed i piroscafi Manzoni, Liguria e Serenitas, affondando Zeffiro e Manzoni, mentre le altre navi colpite devono essere portate all’incaglio per evitarne l’affondamento. I cacciatorpediniere alle boe vengono infruttuosamente attaccati da due degli Swordfish, che tuttavia, a causa della difficoltà a transitare come previsto tra la fila dei cacciatorpediniere a sinistra e quella dei mercantili (Sereno, Sabbia, Liguria, Serenitas e Manzoni) a dritta, e del violento tiro contraereo aperto dagli stessi cacciatorpediniere, non riescono a lanciare i siluri. Alle 21.31 viene dato il cessato allarme.

Il Nembo fotografato in Mar Grande a Taranto poco tempo prima dello scoppio della seconda guerra mondiale (g.c. STORIA militare)

Swordfish

Gli Swordfish britannici tornarono alla carica il 19 luglio 1940, avendo come obiettivo primario l’incrociatore leggero Giovanni delle Bande Nere, danneggiato nello scontro di Capo Spada, che in realtà era riparato a Bengasi (l’ultima volta che era stato visto da unità britanniche, il Bande Nere aveva rotta verso Tobruk, e solo in seguito aveva accostato per dirigere a Bengasi).
Il Nembo era ancora dove si era trovato durante l’attacco del 5 luglio, ormeggiato alla boa C2 a proravia dell’Ostro, sul lato meridionale della baia (Nembo, Ostro ed Aquilone erano allineati lungo la direttrice da est ad ovest). Regolari i servizi di difesa e sicurezza: il personale addetto alle armi era ai suoi posti alle mitragliere da 40/39 e 13,2 mm, mentre tutti gli uomini non necessari a tali servizi si trovavano alloggiati sui piroscafi Liguria (incagliato ma agibile) e Sabbia. I locali erano presidiati, le porte stagne e la portelleria chiuse, come prescrivevano le norme contro gli attacchi aerei all’ormeggio.
Prima dell’invio degli aerosiluranti, già altri attacchi aerei turbarono la “quiete” del porto libico: dapprima, alle 17, tre ondate composte rispettivamente da cinque, tre e quattro bombardieri Bristol Blenheim degli Squadrons 55 e 201, provenienti dall’Egitto, bombardarono nell’arco di una decina di minuti la parte settentrionale della rada, danneggiando leggermente una batteria contraerea e le infrastrutture del porto e perdendo un aereo. Alle 18 fu dato il cessato allarme, ma già alle 18.56 fu suonato un nuovo allarme perché un idrovolante del 700th Squadron della Fleet Air Arm, catapultato dalla corazzata britannica Warspite, sopraggiunse da nordovest per verificare i risultati del bombardamento di poco prima. L’idrovolante divenne subito oggetto del violento e preciso tiro contraereo italiano, riportando tali danni da precipitare in mare mentre tornava alla base.
Alle 19.33, ventuno minuti dopo il tramonto, fu suonato il secondo cessato allarme. Non sarebbe stato l’ultimo.
Alle 21.54 del 19 luglio Tobruk fu messa in allarme ancora una volta, a seguito di segnalazioni provenienti dai punti d’ascolto avanzati di Bardia e Belafarid, ed alle 22.30 sei Swordfish dell’824th Squadron della Fleet Air Arm, decollati da Sidi el Barrani, apparvero nei cieli della base libica. Gli aerei, distaccati con la loro squadriglia dalla portaerei britannica Eagle, erano decollati dalla base egiziana alle otto di quella sera con il preciso obiettivo di silurare le navi ormeggiate a Tobruk; provenienti da nordest, procedevano in due formazioni a cuneo poco distanziate tra di loro, al comando del tenente di vascello F. S. Quarry. Nel cielo c’erano solo nuvole sparse, il vento, da sudest, era debolissimo, il mare calmo.
Le difese contraeree aprirono subito un intenso tiro contraereo che costrinse gli aerei britannici ad effettuare numerosi passaggi sulla rada per evitare di essere colpiti (tre degli Swordfish furono danneggiati nell’attacco, anche se nessuno fu abbattuto), nonché per individuare i bersagli (operazione complicata dalla mediocre luce lunare) e prepararsi all’attacco. Verso l’1.30 del 20 luglio gli Swordfish diedero inizio all’attacco, proprio mentre le navi italiane iniziavano a loro volta il tiro contraereo. Ciò che fece capire agli uomini del Nembo che gli attaccanti erano aerosiluranti fu la reazione dell’incrociatore corazzato San Giorgio (stazionario in rada come batteria contraerea galleggiante), che all’1.30 aprì il fuoco verso sud con alzo molto basso, spostando rapidamente il tiro verso ovest e mantenendolo sempre basso. Gli Swordfish si disposero in formazione d’attacco, superarono la barriera del fuoco contraereo e scesero a volo radente sulla superficie del mare, per compiere la corsa di lancio.
All’1.32 il primo siluro andò a segno colpendo il piroscafo Sereno, che iniziò ad affondare di poppa, e due minuti più tardi anche l’Ostro venne silurato: il suo deposito munizioni poppiero eruppe in una violenta deflagrazione, che proiettò parecchie schegge anche a bordo del Nembo. Su quest’ultimo si iniziò allora a preparare i soccorsi da portare all’Ostro, che stava affondando, ma all’1.37 il Nembo stesso venne a sua volta colpito dal siluro dello Swordfish pilotato dal tenente di vascello E. S. Ashley (equipaggio composto dai guardiamarina S. A. Quincannon e F. F. Loster). L’arma colpì al centro, sulla dritta, tra i locali caldaia 2 e 3: la nave sbandò immediatamente sul lato sinistro – quello opposto a quello colpito – facendo cadere in mare parecchi uomini, e facendo finire sott’acqua quasi subito il parapetto della mitragliera da 40/39 mm di sinistra. In pochi minuti il Nembo toccò il fondale, profondo solo 7-8 metri, si abbatté sul lato sinistro ed affondò, lasciando emergere parte del lato di dritta e dei fumaioli. All’1.45 il cacciatorpediniere era affondato.
Le ricerche dei dispersi cominciarono prima ancora che l’attacco aereo fosse terminato – il cessato allarme fu dato alle 5.56 – e proseguirono sino a tutto il mattino.
Tra l’equipaggio del Nembo i morti furono 25, i feriti quattro. Il bilancio non fu più pesante perché parte dell’equipaggio si trovava alloggiato non sulla propria nave ma su Sabbia e Liguria.

Il comandante De Prado, che durante l’affondamento si era prodigato per la salvezza dei suoi uomini sino al punto di cedere il proprio salvagente, ricevette la Medaglia d’argento al Valor Militare. La stessa decorazione fu conferita al secondo capo cannoniere Luigi Brignolo, rimasto gravemente ferito nell’attacco, che, confortato dal comandante, si dichiarò contento del sacrificio fatto per l’Italia.
I relitti del Nembo e dell’Ostro vennero successivamente smantellati; le loro artiglierie andarono a rinforzare le difese della piazzaforte di Bardia.

Caduti sul Nembo:

Giuseppe Alessi, marinaio cannoniere, da Palermo, disperso
Matteo Alia, marinaio, da Balestrate, disperso
Alfredo Baldazzi, sottocapo silurista, da Longiano, disperso
Francesco Bertoletti, marinaio torpediniere, da Codogno, disperso
Lorenzo Bovino, secondo capo segnalatore, da Polignano a Mare, disperso
Fernando Braglia, sergente silurista, da Sassuolo, disperso
Antonio Cargetti, sottocapo elettricista, da Giugliano in Campania, disperso
Gennaro Cercola, marinaio cannoniere, da Napoli, disperso
Giovanni Cicerani, marinaio, da Terracina, disperso
Luigi Cimone, marinaio, da Catania, disperso
Michele De Filippis, marinaio fuochista, da Vasto, disperso
Pietro Di Franco, marinaio cannoniere, da Palermo, disperso
Bonaventura Garzia, capo radiotelegrafista di terza classe, da Alezio, disperso
Paolo La Rosa, marinaio fuochista, da Siracusa, disperso
Antonio Mangiulli, marinaio, da Brindisi, disperso
Francesco Milana, marinaio, da Linguaglossa, disperso
Domenico Napolitano, marinaio fuochista, da Genova, disperso
Rolando Pompili, marinaio cannoniere, da Teramo, disperso
Vincenzo Ritrovato, marinaio fuochista, da Gioia Tauro, disperso
Francesco Sales, capo meccanico di terza classe, da Napoli, disperso
Pietro Santitas, capo cannoniere di seconda classe, da Corato, disperso
Pietro Scotto, marinaio carpentiere, da Sant'Olcese, disperso
Giuseppe Spinella, marinaio infermiere, da Piraino, disperso
Antonio Squeo, marinaio fuochista, da Trinitapoli, disperso
Carmelo Taffara, marinaio, da Catania, disperso

Il relitto del Nembo pochi giorni dopo l’affondamento (g.c. STORIA militare)

La motivazione della Medaglia di bronzo al Valor Militare conferita al secondo capo cannoniere Luigi Brignolo:

"Capo armaiolo di caccia torpediniere dislocato in base avanzata, obiettivo di reiterate offese aeree nemiche, sempre primo ad accorrere ove incombeva il pericolo, lavoratore e animatore instancabile, dimostrava in varie missioni di guerra e in varie missioni di fuoco, slancio e perizia non comuni. Gravemente ferito nell'affondamento dell'unità, al comandante che lo confortava si diceva lieto del sacrificio compiuto per la Patria.
(Acque della Cirenaica, 10 Giugno-22 Luglio 1940)"

La motivazione della Medaglia di bronzo al Valor Militare (a vivente) conferita al capitano di corvetta Emanuele Marzio Ventura Messia De Prado, nato il 1° giugno 1905:

"Comandante di cacciatorpediniere dislocato in base avanzata obbiettivo di reiterate offese dell'avversario, in numerose missioni di guerra fra le quali due azioni di bombardamento di base nemica, dava costanti prove di capacità e coraggio.
Affondata rapidamente la sua nave in seguito al siluramento da un aereo nemico, si prodigava senza misura per salvare l'equipaggio, privandosi anche del proprio salvagente mentre più intenso era il bombardamento e il tiro radente delle mitragliere.
(Acque della Cirenaica, 10 giugno-29 luglio 1940)"


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