martedì 10 maggio 2016

Vesuvio

Il Vesuvio (g.c. Pietro Berti, via www.naviearmatori.net

Piroscafo da carico da 5430 tsl e 3391 tsn, lungo 120,38 metri, largo 15,75 e pescante 8,38, con velocità di crociera di 10,5 nodi. Appartenente alla Società Anonima Nova Genuensis (gruppo Ravano), con sede a Genova, ed iscritto con matricola 711 al Compartimento Marittimo di Genova.

Breve e parziale cronologia.

1914
Costruito dai cantieri Fiat San Giorgio del Muggiano (La Spezia) per la Navigazione Generale Italiana, con sede a Genova. Stazza lorda e netta originaria, 5459,19 tsl e 3492,30 (o 4037) tsn.
28 luglio 1918
Il Vesuvio, nell’ambito di un viaggio da Livorno a Karachi, salpa alle 19.30 da Siracusa, diretto a Malta in convoglio con altre quattro navi, scortate dai cacciatorpediniere britannici Usk e Ribble (che ne ha assunto la scorta alle 7.30, al largo di Siracusa). Durante la navigazione nel Mar Ionio viene attaccato dal sommergibile tedesco UC 25 (al comando nientemeno che del tenente di vascello Karl Dönitz, futuro comandante della flotta subacquea tedesca nella seconda guerra mondiale), che gli lancia due siluri. Alle 20.48, in posizione 37°00’ N e 15°00’ E, una delle armi colpisce il Vesuvio sul lato sinistro (tra la «deep tank» ed il locale caldaie), mentre l’altra passa tra il Vesuvio ed il Ribble. I due cacciatorpediniere britannici contrattaccano con bombe di profondità, mentre il convoglio viene fatto rientrare a Siracusa; alle 22.45 il timone del Vesuvio viene collegato con un cavo al Ribble, ma alle 23.05 il cavo si spezza. Mentre l’Usk viene mandato a raggiungere il convoglio, per indirizzarlo nuovamente verso il mare aperto, sopraggiungono alcuni rimorchiatori italiani, che, sotto la protezione del Ribble, prendono a rimorchio il danneggiato Vesuvio. La nave viene portata a posare con la prua su un bassofondale vicino alla riva: l’esplosione del siluro e la successiva ricaduta della nave hanno infatti “piegato” lo scafo, lasciando la poppa sollevata ed “oscillante” e la nave quasi insellata.
Dopo lunga e laboriosa opera di recupero – per prima si prosciuga la stiva numero 1, quindi si costruisce una paratia di fortuna e si procede a prosciugare la stiva numero 2, più grande – si riuscirà a “raddrizzare” e riunire lo scafo, sino a rimettere la nave in condizioni di efficienza.

Il Vesuvio gravemente danneggiato ed incagliato dopo il siluramento…

…ed una rappresentazione grafica delle fasi del suo recupero (g.c. Pietro Berti, via www.naviearmatori.net

192…
Acquistato dalla Nova Genuensis Società Anonima per l’Industria e il Commercio Marittimo.
20 settembre 1928
Il Vesuvio, mentre è in manovra nel porto di Montreal, scarico e diretto al magazzino 9 (dove deve caricare grano da trasportare a Genova), sperona accidentalmente – nonostante la navigazione stia avvenendo sotto la direzione di un pilota locale – il piroscafo norvegese Older (anch’esso avente a bordo un pilota), nel canale presso il molo Laurier. Entrambe le navi rimangono danneggiate: il Vesuvio ha la prua contorta dalla collisione, l’Older riporta uno squarcio a centro nave. Per uno degli ufficiali del Vesuvio questa è la seconda collisione in acque canadesi nel giro di un anno: è stato infatti naufrago del piroscafo Vulcano, della stessa compagnia, affondato per collisone al largo di Rimouski il 18 ottobre 1927.

La nave a Capetown nel 1933 (John H. Marsh Maritime Research Centre di Capetown, via Mauro Millefiorini e www.naviearmatori.net

Massaua

Anche il Vesuvio fu uno dei tanti mercantili che l’ingresso in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, sorprese al di fuori del Mediterraneo: nel suo caso, quanto meno in territorio controllato dall’Italia, la colonia dell’Eritrea. La nave si trovava a Massaua, e a Massaua rimase per i mesi a seguire, condividendo la “prigionia” in un porto amico assieme ad una trentina di altri bastimenti mercantili, tra italiani e tedeschi.
Ma la “quiete” – se così è lecito dire di un porto soggetto a ripetuti attacchi aerei britannici – di Massaua venne rotta nella primavera del 1941, con il crepuscolo dell’Africa Orientale Italiana. Conquistata la Somalia italiana nel febbraio di quell’anno, le forze del Commonwealth lanciate contro l’Eritrea vennero fermate per quasi due mesi (dal 2 febbraio al 27 marzo) nella sanguinosissima battaglia di Cheren. Il 27 marzo, dopo aver lasciato sul campo più di 12.000 tra italiani ed ascari eritrei, le forze del generale Nicolangelo Carnimeo dovettero però cedere e ripiegare: ai britannici si apriva così la via ad Asmara e Massaua, che furono raggiunte in pochi giorni.
A Massaua il comandante della piazza, contrammiraglio Mario Bonetti, dovette selezionare le poche navi che si potevano salvare e prendere la triste decisione di distruggere tutto il resto, onde evitarne la cattura da parte nemica. Partiti i cacciatorpediniere per un’ultima, suicida missione contro Porto Sudan, salpati i sommergibili per la Francia occupata e le poche navi con autonomia sufficiente per il Giappone, tutto il resto si dovette autoaffondare: una parte delle navi lo fece nel vicino arcipelago delle isole Dahlak, un’altra parte nel porto stesso di Massaua. Il Vesuvio rientrò in quest’ultimo gruppo.
Bonetti organizzò l’autoaffondamento in modo che non solo i britannici non mettessero mano sulle navi italiane, ma neppure potessero riutilizzare (almeno per lungo tempo) il porto: fece disporre le navi lungo i tre accessi al porto, in corrispondenza dei quali creò altrettante barriere con i loro relitti. Ricevettero ordine di autoaffondarsi all’imboccatura del porto militare i mercantili italiani Moncalieri e XXIII Marzo, il piroscafetto Impero, il mercantile tedesco Oliva, due bacini galleggianti ed il relitto devastato della vecchia torpediniera Giovanni Acerbi; si dovettero autoaffondare all’imbocco del porto commerciale il mercantile italiano Adua, il posamine Ostia, un pontone gru, i mercantili tedeschi Gera e Crefeld; per ostruire l’accesso del porto meridionale, il più grande, fu predisposta una barriera costituita da una lunga fila di relitti, da nord verso sud: il piroscafo italiano Alberto Treves, la cisterna militare Niobe, il Vesuvio, il piroscafo tedesco Frauenfels, l’italiano Brenta, il transatlantico Colombo ed un altro piroscafo tedesco, il Liebenfels.
Qua e là, senza una assegnazione precisa, si autoaffondarono anche la torpediniera Vincenzo Giordano Orsini (dopo aver sparato fino all’ultimo colpo contro le colonne britanniche in avanzata), le piccole cannoniere Giuseppe Biglieri e Porto Corsini, i vecchi MAS 204, 206, 210, 213 (non prima di aver silurato l’incrociatore leggero HMS Capetown) e 216, i rimorchiatori militari Formia, San Giorgio e San Paolo. Le cisterne per acqua Sile, Sebeto e Bacchiglione vennero risparmiate dall’autodistruzione, perché potessero continuare a servire ai bisogni della popolazione civile anche dopo l’occupazione britannica.
Il suicidio di massa delle navi italiane ebbe inizio il 3 aprile 1941: il 4 aprile il Vesuvio si autoaffondò all’imboccatura meridionale del porto di Massaua, tra la Niobe ed il Frauenfels. Massaua cadde quattro giorni dopo.
 

Navi autoaffondate a Massaua: la prima sulla destra, più vicina, è il Vesuvio. Nella fila a sinistra, andando verso destra, si riconoscono: Frauenfels, Brenta, Colombo (rovesciato) e Liebenfels (g.c. Edward (Ted) Ellsberg Pollard)

Gli equipaggi dei mercantili autoaffondati vennero inizialmente internati dai britannici in Eritrea, ma molti di essi incontrarono successivamente un tragico destino: il 16 novembre 1942 molti dei marittimi, insieme ad altri civili italiani internati in Africa Orientale ed ad alcuni prigionieri di guerra pure italiani, furono imbarcati sul piroscafo britannico Nova Scotia, che avrebbe dovuto trasportarli in Sudafrica, verso nuovi campi d’internamento. Il 28 novembre, il Nova Scotia venne silurato dal sommergibile tedesco U 177 ed affondò in soli dieci minuti a sudest di Lourenço Marques. Molti affondarono con la nave, molti altri scomparvero nell’oceano, annegati, periti di stenti, o divorati dagli squali (i corpi di oltre 120 furono portati dalle onde sulle spiagge del Sudafrica, e sepolti in fosse comuni). L’U 177, pur avendo scoperto di aver affondato una nave carica di italiani (alleati della Germania), dovette allontanarsi senza soccorrere nessuno (tranne due marittimi italiani) in ottemperanza alle disposizioni da poco impartite (di non prestare soccorso ai naufraghi) a seguito di un attacco aereo subito due mesi prima dall’U 156 mentre era intento al salvataggio dei superstiti del piroscafo Laconia, anch’esso carico di prigionieri italiani.
Solo il 30 novembre giunse sul posto l’avviso portoghese Alfonso De Albuquerque, che trasse in salvo 181 o 194 superstiti, tra cui 117 o 130 internati italiani, che sbarcò in Mozambico. Non ebbero la stessa fortuna altri 655 internati italiani, che scomparvero in mare insieme a 88 guardie sudafricane, 107 membri dell’equipaggio britannico e tredici passeggeri (cinque civili ed otto militari).
Tra le vittime del Nova Scotia vi fu anche un marittimo del Vesuvio, il triestino Umberto D’Este, ufficiale di macchina.
 

Relitti a Massaua: il Vesuvio è il primo a sinistra; andando verso destra vi sono Frauenfels, Brenta e Colombo (rovesciato). Per g.c. di Edward Ellsberg (Ted) Pollard, nipote di Edward Ellsberg, che diresse gran parte delle operazioni di recupero dei relitti.

Le operazioni di recupero dei relitti e ripristino del porto di Massaua, affidate ad una squadra al comando dell’ufficiale statunitense Edward Ellsberg, ebbero inizio solo nell’aprile 1942; il porto della città iniziò lentamente a ridiventare agibile dopo un mese e mezzo di lavori.
Il relitto del Vesuvio fu uno degli ultimi ad essere recuperati dai britannici, nell’aprile del 1953; a differenza di quasi tutte le altre navi perdute in Eritrea, rivide l’Italia, ma solo per esservi demolito.
 

La fila di navi autoaffondate all’accesso del porto meridionale di Massaua: da sinistra a destra Alberto Treves, Niobe (entrambe semisommerse e difficilmente riconoscibili), Vesuvio (il primo fumaiolo visibile da sinistra), Frauenfels (parzialmente sovrapposto al Vesuvio), Brenta, Colombo (rovesciato), Liebenfels. Per g.c. di Ted Pollard.


3 commenti:

  1. Salve, complimenti per il blog. Ho trovato molto interessante la cronologia sul piroscafo Vesuvio. Qual è la fonte di queste notizie? Mi piacerebbe poterla consultare!

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  2. Salve, molto interessante. Mi piacerebbe sapere qual è la fonte di queste notizie sul piroscafo "il Vulcano". Grazie

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  3. Buonasera,
    le fonti sono molteplici, le principali sono in questo caso quelle linkate in fondo alla pagina.

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