giovedì 26 maggio 2016

Emma

Non sembrano esistere immagini dell’Emma, probabilmente per via della sua brevissima vita; qui è visibile un disegno della motonave Apuania, sua gemella.

L'Emma era una moderna motonave da carico da 7391 tsl e 9950 tpl, capace di una velocità di 14 nodi. Aveva due gemelle, Apuania ed Humanitas; appartenente all'armatore genovese Andrea Zanchi, era fresca di cantiere e non aveva nemmeno fatto in tempo ad essere iscritta ad un Compartimento Marittimo quando venne affondata.
Completata nei cantieri Odero Terni Orlando del Muggiano, a La Spezia (numero di cantiere 257), nel dicembre del 1942, il 19 dicembre venne requisita a La Spezia dalla Regia Marina, senza essere iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato; come tutte le moderne motonavi di nuova costruzione, venne immediatamente destinata al trasporto di rifornimenti sulle rotte per la Tunisia.
La vita dell'Emma fu brevissima e s'interruppe prematuramente, a poche ore dall'inizio del suo primo viaggio sulla famigerata "rotta della morte".

Alle 17 del 15 gennaio 1943, infatti, la nave salpò da Napoli per Biserta in convoglio con la motonave tedesca Ankara, fruendo della scorta della torpediniera Clio (tenente di vascello Carlo Brambilla) e delle moderne torpediniere di scorta Groppo (capitano di corvetta Beniamino Farina, caposcorta) ed Uragano (capitano di corvetta Luigi Zamboni). A bordo dell'Emma si trovavano circa 350 uomini, tra equipaggio e militari italiani e tedeschi, ed un carico che consisteva in dieci carri armati tedeschi – sei Panzer IV e quattro Panzer II –, 300 tonnellate di munizioni e 650 tonnellate di altri materiali. Il tempo non era dei migliori: vento e mare molto grosso da ponente-maestro.
Uno dei 350 uomini a bordo dell'Emma era il diciannovenne marinaio Emilio Ramognini, originario di Sassello. Nonostante avesse a carico due fratelli minori e la madre vedova, era stato arruolato nel C.R.E.M. come marinaio servizi vari il 4 febbraio 1942 e chiamato alle armi il successivo 10 novembre; dopo un breve periodo al deposito C.R.E.M. di La Spezia, il 9 dicembre era stato imbarcato sull'Emma, ancora in allestimento nei cantieri del Muggiano. La nave era armata con un cannone da 120 mm ed i marinai dell'equipaggio militare, tra cui Ramognini, avevano preparato delle piattaforme in legno destinate ad ospitare quattro mitragliatrici contraeree quadrinate tedesche, imbarcate insieme ai loro armamenti per migliorare la difesa contraerea della nave.
Da La Spezia l'Emma, non appena ultimata, era partita alla volta di Napoli, dove doveva imbarcare i rifornimenti da trasportare in Africa: il Natale del 1942 era stato trascorso in navigazione sottocosta. Giunta a Napoli, si era proceduto all'imbarco dei rifornimenti, effettuato nottetempo per maggior segretezza. Le munizioni vennero caricate nelle stive, gli automezzi in coperta; presero imbarco alcuni soldati italiani ed una compagnia tedesca di rimpiazzi diretti in Tunisia, cui era aggregata anche una trentina di prigionieri sovietici. Emilio Ramognini, le cui mansioni a bordo includevano quelle di cambusiere e cameriere, avrebbe ricordato che il vitto a bordo era abbondante: quando anzi avanzava della pasta ne portava ai prigionieri sovietici, che ringraziavano sempre per la gentilezza, mentre i soldati tedeschi apparivano scontrosi e sgarbati.
Dopo la partenza da Napoli Ramognini salì in plancia, ma non essendoci ordini per lui scese sottocoperta nei locali ov'erano sistemati i soldati tedeschi perché aveva notato che uno di essi aveva una fisarmonica: appassionato di musica, chiese il permesso di poterla suonare, ma il proprietario rifiutò in malo modo, al che Ramognini se ne tornò in plancia a scrutare il mare con il binocolo.

Tra le 19.40 e le 19.45 del 15 gennaio, una decina di miglia a sud/sudovest di Ischia (per altra fonte, cinque miglia a sud dell’isola), l'Emma fu colpita nella stiva situata a poppavia della sala macchine da un siluro lanciato dal sommergibile britannico P 228 (poi Splendid, al comando del tenente di vascello Ian Lachland Mackay McGeogh).
Il sommergibile aveva avvistato il convoglio alle 19.10, a poppavia sinistra, quando si trovava 30° a prora dritta dell'Emma. In quel momento, due delle torpediniere si trovavano a proravia del convoglio, mentre la terza si trovava vicino al secondo mercantile della fila; restando in superficie, lo Splendid si era avvicinato e, alle 19.27, aveva lanciato cinque siluri da 1830 metri, per poi immergersi subito dopo.
Grazie alla sua solida costruzione, la motonave rimase a galla; mentre l'Uragano proseguì nella scorta all'Ankara, che tirò dritto sulla sua rotta (per ordine del caposcorta), Groppo e Clio rimasero con l'Emma, per prenderla a rimorchio.
Intanto, non avendo subito danni per le poche e lontane bombe di profondità gettate dopo l'attacco, lo Splendid si era allontanato per mezz’ora, indi era riemerso, constatando la presenza della nave danneggiata e ferma con due torpediniere che l'assistevano. Dopo aver ricaricato le batterie, il sommergibile s'immerse alle 20.37, essendo la luna uscita dalle nubi, e McGeogh decise di finire la preda ferita. Si avvicinò in immersione, ma la velocità di avvicinamento era tanto bassa che dopo un’ora la distanza tra lo Splendid e le navi italiane era ancora superiore a 2740 metri; per giunta, l'oscurità divenne più fitta, al punto da impedire di vedere il bersaglio, così alle 21.50 lo Splendid riemerse temporaneamente per cercare l'Emma, la trovò, e s’immerse di nuovo. A questo punto una delle torpediniere localizzò lo Splendid con l'ecogoniometro, ma, non appena accelerò per avvicinarsi ad esso, perse il contatto.
Alle 23.50 lo Splendid lanciò un siluro dai tubi prodieri – l'ultimo – da circa 2290 metri di distanza: l’arma mancò il bersaglio, ed il sommergibile si allontanò di nuovo, per ricaricare le batterie ed i tubi lanciasiluri. Non era ancora finita.

Il mare grosso vanificò i tentativi delle torpediniere di prendere l'Emma a rimorchio per portarla a Napoli: sia la Clio che la Groppo tentarono inutilmente, e durante l'ultimo tentativo la Clio venne scagliata da un'onda contro il mercantile, subendo vasti danni all'opera morta, che la costrinsero a rientrare a Napoli alle tre di notte del 16. (Per altra versione la Clio tentò anche di affiancarsi all'Emma per prendere a bordo truppe ed equipaggio, e fu durante questo tentativo che venne sbattuta dalle onde contro lo scafo dell'Emma, rimanendo seriamente danneggiata).
Trascorse così una notte d'angoscia per gli uomini dell'Emma, bloccati sulla nave danneggiata, immobilizzata ed in balia del mare, che impediva ogni trasbordo o rimorchio. Nel corso della notte, la motonave andò alla deriva verso sud/sudest. Emilio Ramognini avrebbe ricordato, a distanza di anni, quella notte da incubo, nella quale si sentivano grida provenienti dalle stive ma nessuno ne usciva, forse le scalette erano danneggiate ed impraticabili: "La luna ogni tanto spariva lasciando il buio più nero del nero, quando riappariva le onde riflettevano sul mare la tragedia che si stava consumando, eravamo in balia delle onde, il vento e le onde sferzavano il mio volto".
All'1.15, intanto, lo Splendid era riemerso per la ricarica: l'Emma, assistita da una torpediniera, era visibile circa 7315 metri a sudest, mentre altre due torpediniere stavano conducendo un rastrello a nordovest.
All'alba del 16 gennaio sopraggiunsero due rimorchiatori d'alto mare inviati da Napoli, l'Ursus ed il Titano, che diedero inizio alle operazioni per prendere a rimorchio l'Emma.
Sembrava che tutto potesse concludersi per il meglio, ma lo Splendid non se ne era andato: era sempre nei pressi, in attesa dell'occasione per poter attaccare.
Dopo aver mantenuto il contatto visivo con la motonave per tutta la notte, alle sei del mattino il sommergibile si era immerso in profondità, aveva caricato due siluri ed aveva iniziato la manovra di avvicinamento. Salito a quota periscopica alle 7.15, McGeogh aveva visto il bersaglio alla distanza di 2290 metri, con una torpediniera ancora nei suoi pressi (per altra fonte, però, tutte le torpediniere erano rientrate a Napoli nel corso della notte) ed un rimorchiatore affiancato. Fatalmente, il rimorchio dell'Emma verso Napoli avrebbe portato le navi italiane proprio ad avvicinarsi inconsapevolmente allo Splendid, che alle 8.35 del 16 gennaio lanciò un siluro da soli 685 metri.
Dopo meno di un minuto, quando si stava per completare la presa a rimorchio dell'Emma, la motonave venne centrata dal siluro (sul momento, da parte italiana, si pensò che i siluri fossero due).
Lo scoppio delle armi coinvolse le trecento tonnellate di munizioni che si trovavano a bordo, e l'Emma si disintegrò in una terrificante esplosione nel punto 40°25' N e 13°56' E (per altra fonte 40°37' N e 13°47' E), 17 miglia a sudovest di Capri (per altra fonte, a 12 miglia per 240° da Capri).
Anche i due rimorchiatori vennero investiti dall’esplosione: l'Ursus, che aveva già teso il cavo di rimorchio, venne colpito da dei rottami che uccisero un uomo e ne ferirono due; ancor peggio andò al Titano, che si trovava accanto all'Emma per prendere un altro cavo e fu travolto dall'onda generata dall’esplosione, che uccise sette uomini del suo equipaggio e ne ferì altri venti.

Le torpediniere e vari mezzi salpati da Napoli e guidati da aerei da ricognizione – ora il tempo stava rapidamente migliorando – perlustrarono a lungo lo specchio di mare in cui l'Emma era saltata in aria, ma riuscirono a salvare soltanto sette sopravvissuti, dei circa 350 uomini che erano a bordo.
Uno di questi sette era Emilio Ramognini: aveva visto le scie dei siluri dirette verso la nave e si era subito lanciato in mare, senza neanche mettersi un salvagente, dal lato opposto a quello da cui provenivano. Si era buttato "a soldatino", con i piedi verso il basso; nel volo perse il binocolo da cui non si separava mai, poi ci fu la terrificante esplosione. Nell'impatto colpì qualcosa con il piede sinistro e rimase ferito, poi sprofondò sotto la superficie ma riuscì a tornare a galla. Visto un cadavere che galleggiava nei pressi con un salvagente indosso, si avvicinò per prenderlo, ma scoprì con orrore che il corpo era privo di un braccio e della testa. Allontanatosi, s'imbatté nei tronchi usati per realizzare le piattaforme su cui erano state installate le mitragliere quadrinate tedesche, e ne afferrò uno senza più lasciarlo, pur sapendo nuotare benissimo. Le onde lo sballottavano di continuo, un momento era sulla cresta di un'onda e quello successivo veniva inghiottito dal mare, in un movimento altalenante; quasi non sentiva il freddo. Intorno a lui riaffioravano ogni tanto pezzi di legno, casse, copertoni, altri rottami. Un aereo segnalava alle navi soccorritrici la posizione dei naufraghi; dopo quella che parve un'eternità ma che probabilmente, rifletté in seguito, non doveva essere stata più di un'ora venne issato a bordo di una nave ed adagiato su una coperta. Il piede ferito, che perdeva abbondantemente sangue, venne provvisoriamente fasciato con una sciarpa; intanto un cagnolino gli leccava le orecchie. Pensò ai compagni scomparsi con la nave: "...un marò quasi senza denti e un testicolo, un giorno gli avevo chiesto perché non avesse provato a far domanda di esonero, ma a quel tempo arruolavano tutti, c'era bisogno di personale... un altro marò di Milano con i baffetti, faceva il panettiere con suo padre... un maresciallo cannoniere veneto tanto bravo... adesso erano tutti morti".

La lunga e pesante caccia antisommergibile (lo Splendid, tornato a quota periscopica alle 8.45, aveva constatato il risultato del lancio – la nave era scomparsa – e poi era sceso a 21 metri, allontanandosi verso nordovest) non portò alcun risultato: una bomba di profondità esplose vicina al sommergibile alle 10.07, poco dopo che un'accidentale perdita di quota l'aveva quasi portato ad affiorare, e poco più tardi, dopo che lo Splendid era sceso a 107 metri, un pacchetto di dieci bombe era esploso poco a poppavia; dopo quest’attacco, però, le unità impegnate nella caccia avevano perso il contatto.
Lo Splendid avrebbe incontrato la sua fine in quelle stesse acque tre mesi più tardi, per mano del cacciatorpediniere tedesco Hermes.

Emilio Ramognini venne sbarcato a Napoli e ricoverato all'ospedale militare marittimo di Piedigrotta insieme ad altri tre superstiti, un maresciallo dei carabinieri ed un sergente ed un autiere entrambi del Regio Esercito. La sera stessa del 16 venne operato al piede per esiti di ferita da scheggia e lesioni ai tendini: prima di addormentarlo con l'etere una suore infermiera gli disse "Adesso vai in paradiso", il che non dovette risultare molto rassicurante. Si svegliò con la gamba ingessata fino alla coscia, ingessatura che tenne per quattro mesi; il piede guarì, ma perse l'uso dell'articolazione. Avendo Ramognini perso tutto il suo corredo nell'affondamento, il medico che l'aveva operato gli regalò 50 lire, ed il caposala 25.
Nei giorni successivi venne a trovarlo la fidanzata di un maresciallo segnalatore che era tra i dispersi: gli raccontò che avrebbero dovuto sposarsi a breve, che aveva pregato fin dalla partenza della nave; pur sapendo che non c'erano altri sopravvissuti, le disse per consolarla che forse era stato salvato da un'altra nave. Nella camerata c'erano altri sei o sette feriti e naufraghi di varie unità, tra cui un marinaio ustionato su tutto il corpo che invocava la madre: era stato ridotto così da un attacco aereo su una motozattera carica di carburante; una notte morì.
A Ramognini era stata prescritta una cura di sulfamidici, farmaci molto forti che avevano però l'effetto di bloccargli lo stomaco: si accordò allora con un marinaio infermiere, tale Fumagalli, un omone di quasi due metri che aveva sempre fame, cedendogli la parte di razione che non riusciva a mangiare in cambio del suo impegno a distruggere, gettandoli nel bagno, una parte dei farmaci che avrebbe dovuto ingerire.
A poco a poco riprese a camminare, ed un giorno, trovandosi per le vie di Napoli, incontrò una compagnia di soldati tedeschi che scambiandolo per un mutilato - aveva il piede ferito nascosto nei pantaloni larghi - si misero sull'attenti e gli resero gli onori.

Ramognini era ancora ricoverato all'ospedale di Piedigrotta quando esplose nel porto la motonave Caterina Costa, facendo centinaia di vittime: si trovava al tavolo a recitare il rosario con la suora ed altri feriti, e lo spostamento d'aria li gettò a terra. Pochi giorni dopo, il 4 aprile 1943, fu trasferito a Bologna, al centro ortopedico Putti: qui fu privato delle stampelle, per evitare che continuando a camminare con esse s'ingobbisse, e gli furono invece dati dei bastoni a forma di "T" fasciati con bende, che fungevano da ammortizzatore. Fu nuovamente operato al piede sinistro, che non si era saldato bene, ma iniziò a soffrire di osteomielite.
Ramognini avrebbe ricordato in seguito l'ottimo trattamento e la grande professionalità dei medici di questo centro, sempre indaffarati a mitigare i danni causati dal piombo e dal fuoco sui feriti di guerra: ad un marinaio furono impiantate nel ventre le mani ustionate affinché ricrescesse la pelle, per poi separarle con ottimo risultato; ad un altro fu ricostruita la vescica, ad un altro ancora il naso asportato da una fucilata, ad un altro il calcagno, il che permise di salvargli la gamba. C'erano molti grandi mutilati, molti senza una gamba, alcuni in condizioni peggiori: un ufficiale che aveva perso mani ed occhi, un ragazzo poco più che ventenne che aveva perso gambe, braccia, un occhio ed un orecchio. Una volta un ufficiale medico chiese a Ramognini di aiutarlo a tenere fermo un marinaio con una gamba amputata cui doveva praticare un'incisione per far fuoriuscire il pus dal moncone che si era infettato: quando incise con il bisturi il sangue schizzò ovunque, Ramognini andò nei bagni per lavarsi e vi trovò il cadavere di una ragazza, una delle vittime civili di un bombardamento aereo avvenuto poco prima, portate all'ospedale e sistemate dove c'era spazio.
Anche in tanto strazio c'era spazio per la leggerezza e l'allegria di soldati e marinai che avevano pur sempre vent'anni o poco più: in un'occasione Ramognini ed alcuni compagni tentarono di fare un gavettone a Calderoli, un ragazzo ferito ad un braccio che usciva tutte le sere, ma accidentalmente l'acqua cadde invece sul cappellano del centro, entrato dalla porta da cui ci si aspettava dovesse entrare il destinatario dello scherzo, strappandogli un'imprecazione (nondimeno il sacerdote, chiarito l'equivoco, si mostrò compiaciuto del buono spirito dei degenti); due marinai cui mancavano ad uno il braccio sinistro ed all'altro il destro suonavano la fisarmonica insieme stando affiancati, un altro senza gamba suonava il mandolino. Una contessa bolognese riforniva il centro con la frutta delle sue piantagioni, e regalò a Ramognini un bastone da passeggio.

Dal centro Putti Ramognini, una volta migliorate le sue condizioni, venne nuovamente trasferito all'Ospedale Regina Margherita di Castelfranco Emilia, che ricevette un giorno la visita a sorpresa della principessa di Piemonte Maria José con il suo seguito di alti ufficiali: per far prima i degenti corsero a letto senza nemmeno togliersi le scarpe. La principessa ascoltò i singoli casi e fece generose donazioni, ad un marinaio senza una gamba diede mille lire, a Ramognini saputo che aveva madre vedova e fratelli minori a carico regalò 500 lire ed una foto dei suoi figli.
Data la sua condizione Ramognini non fu disturbato neanche dopo l'armistizio e l'occupazione tedesca del Nord Italia: ottenuta una licenza tedesca, continuò a fare la spola tra Bologna, Castelfranco Emilia e Camerana, dov'era in convalescenza. Il 16 febbraio 1945 fu sottoposto a Torino a visita per essere dichiarato invalido di guerra: un guardiamarina della commissione, saputo che era sopravvissuto all'affondamento dell'Emma, gli disse di fare un ex voto alla Madonna. Fu congedato definitivamente il 5 dicembre 1945; si sarebbe spento nel 2014, all'età di 91 anni.

Le vittime fra l'equipaggio civile dell'Emma:
(nominativi tratti dall'Albo d'Oro della Marina Mercantile, si ringrazia Carlo Di Nitto)

Gerolamo Acquarone, nostromo, da Imperia
Giovanni Ardoino, marconista, da Bonassola
Giuseppe Baracchini, commissario di bordo, da Genova
Raffaele Barba, marinaio, da Torre del Greco
Giuseppe Barsotelli, garzone di camera, da Ameglia
Bartolomeo Berti, marinaio, da Forte dei Marmi
Pietro Brizzi, giovanotto, da Lerici
Mario Brondi, garzone di camera, da Lerici
Giovanni Campanella, fuochista, da Lerici
Giuseppino Cellai, operaio meccanico, da Arcola
Carlo Cimmino, marinaio, da Torre del Greco
Roberto Colombo, capitano di lungo corso, da Camogli
Umberto Cuccurullo, ufficiale di macchina, da Torre Annunziata
Ernesto Dall'Orso, capitano di lungo corso, da Lavagna
Andrea Degli Innocenti, fuochista
Giobatta Del Bene, nostromo, da Deiva
Pietro Devoto, elettricista, da Lerici
Martino Eufrate, marinaio, da Marsiglia
Bartolomeo Figari, direttore di macchina, da Camogli
Fioravante Forlano, marinaio, da La Spezia
Ferdinando Franceschini, carbonaio, da Lerici
Giuseppe Germiniasi, fuochista, da Genova
Michele Giacopello, marinaio, da Lerici
Ernesto Giberti, cameriere, da Nervi
Ottavio Iavazzo, mozzo, da Torre del Greco
Ascanio La Bruna, garzone di cucina, da Napoli
Alcimedonte Landi, operaio meccanico, da Arcola
Antonio La Salandra, ufficiale di macchina, da Roma
Giacomo Luxardo, pennese, da Framura
Aldo Magni, capo fuochista, da Molfetta
Eugenio Martinelli, cameriere, da Bogliasco
Francesco Molato, carpentiere, da Monte di Procida
Giuseppe Oliviero, marinaio, da Torre del Greco
Vittorio Paladini, operaio meccanico, da Carrara
Cesare Panizza, cuoco, da Medicina
Antonio Passalacqua, panettiere, da Camogli
Francesco Pastorino, capitano di lungo corso, da Camogli
Attilio Pellegrini, fuochista, da La Spezia
Giuseppe Piccardo, cuoco, da Genova
Silvio Sarbia, fuochista, da Ameglia
Raimondo Scala, marinaio, da Torre del Greco
Roberto Scotto, capitano di lungo corso, da Bacoli
Domenico Sorrentino, carbonaio, da Torre del Greco
Giovanni Spanò, ufficiale di macchina, da Olbia
Giuseppe Strambi, giovanotto, da Lerici
Salvatore Tille, marinaio, da Torre del Greco
Emanuele Torre, cambusiere, da Santa Margherita
Vincenzo Varchetta, fuochista, da Portovenere
Mario Vassale, marinaio, da Lerici
Giovanni Viviani, marinaio, da Bonassola

L'affondamento dell'Emma nel diario di bordo dello Splendid (da Uboat.net):

"15 January 1943
1910 hours - A lookout sighted ships on the starboard quarter. P 228 was 30 degrees on the starboard bow of the target, a 6000 tons merchant ship. She was in convoy with one other merchant ship. They were escorted by three destroyers. Two of the destroyers were ahead of the leading merchant ships. The third destroyer was near the second merchant ship. Started a surface attack.
1927 hours - Fired five torpedoes from 2000 yards. Dived immediately afterwards. One explosion was heard that was thought to be a hit. A few depth charges were dropped following this attack but these were not close. After withdrawing for 30 minutes P 228 surfaced. One merchant ship was seen to lay stopped with two destroyers standing by. The starboard engine was out of action. Kept the damaged merchant ship in sight while charging the depleted battery on the port engine.
2037 hours - Dived as the moon came from behind the clouds. Decided to finish off the damaged merchant ship. An hour after diving the range was still over 3000 yards when the darkness became more intense so that the target could no longer be seen.
2150 hours - Surfaced to locate the target. Successfully did so and submerged again. When the range closed one of the destroyers obtained contact with her Asdic on P 228 but when the destroyer picked up speed she lost contact again.
2350 hours - Fired the last remaining bow torpedo in the tubes from a range of about 2500 yards. It missed. P 228 then retired from the scene to charge the battery and reload the torpedo tubes.
16 January 1943
0115 hours - Surfaced to charge. The target could be seen at a range of 8000 yards to the South-East. One destroyer was still standing by. Two other destroyers were to the North-West, sweeping. During the rest of the night the target was kept in sight.
0600 hours - Dived deep and loaded two torpedoes. Also started to close the target.
0715 hours - Came to periscope depth. Saw the target at a range of 2500 yards. One destroyer was still with her. A tug was seen alongside the target and soon afterwards the tow towards Naples began. Fortunately the target had to be towed towards P 228 to get there. Started attack.
0835 hours - Fired one torpedo from 750 yards. It hit. Breaking up noises were heard immediately afterwards.
0845 hours - Returned to periscope depth. A destroyer and two tugs were in sight but the merchant ship had gone so it must have sunk. P 228 then went to 70 feet and withdrew to the North-West. No immediate counter attack followed.
1005 hours - Depth control was lost and P 228 broached. She dived immediately again.
1007 hours - A depth charge exploded fairly near. HE and Asdic impulses were also picked up coming nearer. P 228 went to 350 feet. A pattern of 10 depth charges were dropped which exploded close astern. After this attack the enemy lost contact. P 228 meanwhile continued to retire to the North-West.
1400 hours - Returned to periscope depth. No ship or aircraft in sight."


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