La VAS 208 fotografata a Biserta il 22 marzo 1943 (g.c. STORIA militare) |
Cacciasommergibili (Vedetta Anti Sommergibile, VAS) classe Baglietto 68
t, prima serie. Lungo 28 metri e largo 4,30, con un pescaggio di 1,80 m,
dislocava 69,1 tonnellate e raggiungeva una velocità di 20,5 nodi ed
un’autonomia di 300 miglia a 19 nodi. L’armamento constava di due mitragliere
da 20/65 mm, due mitragliatrici da 6,5 mm, due tubi lanciasiluri da 450 mm, due
scaricabombe antisommergibile ed una torpedine da rimorchio; l’equipaggio era
composto da 26 uomini.
Breve e parziale
cronologia.
1942
Costruita nei cantieri Baglietto di Varazze.
Inizialmente impiegata in Tunisia, verrà successivamente dislocata in
Liguria con la V Squadriglia Vedette Antisom.
26-27 agosto 1943
La VAS 208, insieme alle
gemelle VAS 214, 220, 224, 238 e 240, alla cannoniera Zagabria,
alla corvetta Pellicano, ai
sommergibili H 6 e Francesco Rismondo, ai rimorchiatori Sant’Antioco e Portoferraio (per rimorchio bersaglio) ed alle Squadriglie
Cacciatorpediniere XIII (Carabiniere,
Fuciliere, Mitragliere) e XIV (Artigliere,
Legionario, Alfredo Oriani), nonché a numerosi aerei, partecipa ad una
prolungata esercitazione (dal tardo pomeriggio del 26 e per tutta la notte
successiva, fino al 27) della IX Divisione Navale, composta dalle moderne
corazzate Roma, Vittorio Veneto ed Italia.
Scopi dell’esercitazione, svolta al largo di La Spezia, sono: esercitazioni di
tiro diurne e notturne, verifica della coordinazione tra caccia italiani e
tedeschi nel respingimento di attacchi notturni di aerosiluranti, simulazione
di attacco notturno di motosiluranti, emissione di cortine fumogene, prove di
navigazione notturna. Due delle VAS simulano un attacco notturno di
motosiluranti in condizioni di bassa visibilità; una delle due viene avvistata
a grande distanza dal Carabiniere ed
inquadrata dal suo tiro illuminante e poi anche da un proiettore del Mitragliere, mentre l’altra,
trattenendosi a maggiore distanza, non viene individuata.
Procchio
L’armistizio dell’8 settembre 1943 sorprese la VAS 208, insieme alle gemelle VAS
214, 219 e 220, nel porto di Imperia, dove aveva base la V Squadriglia Vedette
Antisom (al comando del tenente di vascello Ludovico Motta, imbarcato sulla VAS 214) che le quattro VAS formavano.
La sera stessa dell’8 settembre le forze della Wehrmacht iniziarono ad
occupare la Liguria, e nel primo pomeriggio del 9 appariva evidente che presto
anche Imperia sarebbe stata raggiunta dalla loro avanzata. Il comandante della
Capitaneria di Imperia, tenente colonnello di porto Piaggio, ordinò che tutte
le navi mercantili e militari in condizione di muovere dovessero partire il
prima possibile per evitare la cattura, senza però specificare dove si sarebbero
dovute dirigere, se non che tutti i porti a sud di Livorno fossero da
considerarsi sicuri, affermazione decisamente ottimistica e che presto avrebbe
perso ogni fondamento.
Intorno alle 15.30 del 9 settembre, pertanto, la VAS 208 e le tre gemelle lasciarono Imperia, proprio mentre
entravano nella rada alcune motozattere da sbarco tedesche tipo MFP. Queste
ultime, benché più lente delle VAS, erano più grandi e meglio armate; sulle VAS
ci si preparò al combattimento, armando le mitragliere da 20 mm che ogni unità
aveva, ma nessuno aprì il fuoco e le VAS poterono prendere il largo senza
incidenti, per poi fare rotta per Portoferraio. Alcune delle unità della V
Squadriglia, infatti, avevano i motori in condizioni ben distanti dalla piena
efficienza ed inadatti ad una lunga navigazione di trasferimento; si sperava
che a Portoferraio sarebbe stato possibile rimettere in efficienza i motori,
rifornirsi e ricevere disposizioni più dettagliate.
Durante la notte le VAS, viaggiando a bassa velocità sia per
risparmiare combustibile, sia perché i motori afflitti da reiterate avarie non
consentivano molto di più, attraversarono il mare tra Livorno e la Gorgona
senza essere avvistate dalle numerose unità tedesche – motozattere,
motodragamine, posamine – che incrociavano in quelle acque, dove avevano già
affondato o catturato diverse unità minori od ausiliarie italiane (il trasporto
Buffoluto, l’incrociatore ausiliario Piero Foscari, il piroscafo Valverde, i VAS 234, sul quale era morto il contrammiraglio Federico Martinengo,
235, 238 e 239, le motozattere
MZ 703, 709 e 749, il
panfilo-cacciasommergibili AS 113
Pertinace, il dragamine D 1).
Il caposquadriglia Motta, considerati le difficoltà ed i rischi della
navigazione notturna in quelle acque infestate da unità tedesche, valutò la
possibilità di passare la notte a Capraia, in modo da giungere all’isola d’Elba
con la luce del giorno, dunque lasciò le VAS
208, 219 e 220 al largo e si avvicinò al piccolo porto di Capraia con la VAS 214. Quest’ultima, però,
nell’avvicinarsi al porto avvistò le sagome di tre motozattere, che avvicinò e
chiamò ripetutamente per cercare informazioni, ma senza ottenere risposta:
Motta ritenne allora che si trattasse di motozattere tedesche e pertanto si
allontanò, rinunciando a sostare a Capraia, si riunì alle tre VAS dipendenti e
riprese la navigazione verso sud. In realtà le motozattere erano cinque ed
erano italiane (molto simili a quelle tedesche, essendo sostanzialmente una
copia con poche modifiche del progetto delle MFP), ma questo era solo il primo
degli equivoci che avrebbero pregiudicato la sorte delle VAS della V
Squadriglia.
Circa due ore più tardi le quattro VAS arrivarono nelle acque
dell’isola d’Elba, più o meno contemporaneamente al rimorchiatore militare Porto Palo ed alla cannoniera Rimini, là giunte navigando isolate da
La Spezia. Tutte e sei le piccole unità, essendo ancora buio, seguirono le
norme prescritte ed attesero l’alba per farsi riconoscere dal semaforo di
Montegrosso e poter così entrare nella rada di Portoferraio. Soffiava però un
vento da sud, sempre più forte, che stava facendo ingrossare il mare, ed
intorno alle cinque del mattino del 10 settembre le quattro VAS furono
costrette a ridossarsi al largo del paesino elbano di Procchio.
Poco prima delle sei (alle 5.45, secondo il sergente Adorno Picchi, in
servizio all’osservatorio di Monte Castello), tuttavia, gli osservatori del XXV
Gruppo di Artiglieria da Posizione Costiera e gli uomini del 343° Battaglione
Mitraglieri, schierato a Biodola e Procchio, avvistarono le unità della V
Squadriglia che si avvicinavano lungo la rotta di sicurezza, seguite a distanza
da Rimini e Porto Palo. I soldati, che nella generale confusione
post-armistiziale avevano i nervi a fior di pelle, credettero che si trattasse
di unità tedesche che intendessero effettuare uno sbarco sull’isola d’Elba,
perciò aprirono un nutrito fuoco con le mitragliatrici contro le VAS (che per
loro fortuna erano ancora piuttosto lontane); seguirono confusi e caotici
scambi di segnalazioni completamente erronee, mentre alcune postazioni di
terra, vedendo i proiettili traccianti che cadevano in mare, pensarono che
fossero colpi sparati dalle navi avvistate e richiesero urgentemente che le
batterie costiere aprissero il fuoco. Il colonnello Nicola De Stefanis,
comandante del 108° Reggimento Costiero di Portoferraio, credette di trovarsi
di fronte a quatto motozattere tedesche che «manifestavano» «intenzione di
venire a terra» e ritenne anche che gli «zatteroni» tedeschi, una volta presi
sotto il tiro incrociato della propria compagnia mitraglieri, avessero anche risposto
al fuoco con grande violenza (in realtà le VAS non reagirono, per non
peggiorare la situazione), prima di essere costretti a ritirarsi verso
nordovest virando di bordo e coprendosi con cortine fumogene dopo che altre
armi si furono unite al fuoco e la sorpresa dello «sbarco» fu sfumata; così
scrisse nel suo rapporto, e lo stesso fece il generale di brigata Achille
Gilardi, comandante del Settore Elba, che anzi parlò di «sei motozattere con
truppe a bordo» e che «invertirono la rotta reagendo al fuoco e proteggendosi
con nebbia artificiale» e ritenne che due delle «motozattere» fossero state
colpite, visto che al largo se ne videro poi solo quattro (perché tante erano
le VAS).
Gli artiglieri degli osservatori erano dubbiosi sulla reale identità
delle unità avvistate, e come se non bastasse gli ufficiali non erano presenti,
perché a rapporto al Comando di Gruppo, a Literno: tra questi vi erano anche il
comandante dell’osservatorio principale di Monte Castello, il tenente
colonnello Manzutti, ed il suo vice, tenente Vestrini; trovandosi i due
ufficiali a tre quarti d’ora dal loro osservatorio, la responsabilità di
valutare l’entità della minaccia e dirigere il tiro ricadde sul sergente
Picchi, unico graduato presente.
Il panico di un attacco tedesco si diffuse a macchia d’olio, così alle
6.10 le batterie del XXV Gruppo aprirono il fuoco con i cannoni da 75/27 mm
della 11a Batteria, appostati a Santa Lucia della Pila, e gli obici
da 149/12 mm della 120a e 121a Batteria di Casa Verna e
del Literno. Lo stesso avevano fatto le mitragliatrici dei vari reparti, il 25°
Gruppo d’Artiglieria e la batteria costiera «Ludovico De Filippi» dell’Enfola,
quest’ultima armata da personale della Regia Marina anziché dell’Esercito e
provvista di quattro cannoni navali da 152/45 mm. Si trattò dell’unica, tra le
batterie elbane armate da personale della Marina, ad aprire il fuoco; nelle
altre, forse, gli artiglieri, avendo più dimestichezza con le unità navali, si
resero conto di cosa avevano effettivamente davanti a loro e non spararono.
Anche la batteria «De Filippi», comunque, dopo aver sparato pochi colpi a
19.000 metri di distanza, cessò il tiro, mentre cannoni e mitragliere
dell’Esercito inseguirono le VAS in precipitosa fuga. Fu grazie alla scarsa
gittata delle artiglierie disponibili ed all’imprecisione del tiro se nessuna
delle unità italiane fu colpita.
Erano le 6.25 quando le quattro VAS, trovandosi ad un miglio dalla
costa al traverso di Scoglietto (Portoferraio) e dirette a Portoferraio, si
videro fare oggetto del tiro di una batteria situata ad ovest del porto, con
colpi di cannone e raffiche di mitragliera; ritenendo erroneamente – dato che
la distanza e la visibilità, secondo il caposquadriglia Motta, sarebbero dovute
essere tali da permettere il perfetto riconoscimento della bandiera italiana – che
anche l’Elba fosse già in mano ai tedeschi, le unità della V Squadriglia, senza
rispondere al fuoco, si allontanarono verso est, tentando di raggiungere il
Canale di Piombino per entrare in quel porto. Subito dopo che le quattro unità
si furono rifugiate dietro Capo Vita, il motore della VAS 208 andò totalmente e definitivamente in avaria, così che
l’unità dovette essere presa a rimorchio da una delle gemelle; non appena
ebbero scapolato il ridosso dell’Elba, come se non bastasse, i piccoli
cacciasommergibili si trovarono in difficoltà a causa del mare burrascoso da
sud, a causa di una forte sciroccata.
Non essendo possibile proseguire ulteriormente con mare tanto avverso,
che le sballottava in continuazione, e le unità in condizioni tanto precarie di
efficienza (specie con la VAS 208 che
doveva procedere a rimorchio), la V Squadriglia dovette puggiare su
Portovecchio di Piombino. Stavolta il semaforo della base non commise errori di
riconoscimento, e le quattro VAS poterono ormeggiarvisi alle 7.30 (lo stesso
fecero anche Rimini e Porto Palo, che le avevano seguite a distanza per tutto il tempo).
La sosta a Piombino si rivelò purtroppo fatale per i quattro
cacciasommergibili: alle 9.30 del 10 settembre, infatti, entrarono in porto anche
le torpediniere tedesche TA 9
(tenente di vascello Otto Reinhardt) e TA
11 (tenente di vascello Karl-Wolf Albrand) ed il piroscafo tedesco Hans SS Carbet. Entrate con il pretesto di doversi rifornire di acqua e
carburante – cui il comandante di Marina Piombino (capitano di fregata Amedeo
Capuano) non aveva creduto, dovendo però infine permettere loro l’ingresso su
ordine del gerarca fascista e generale Cesare De Vecchi, comandante della 215°
Divisione Costiera di Massa Marittima – le unità tedesche, provenienti da Torre
Annunziata, avevano in realtà il compito di porre sotto il proprio controllo il
porto di Piombino, e dopo essere entrate le due torpediniere si portarono l’una
(TA 9) all’estremità settentrionale
del porto e l’altra (TA 11)
all’estremità meridionale, tenendo così sotto tiro l’intera area portuale.
Le VAS si vennero così a ritrovare sotto la minaccia dei cannoni delle
due torpediniere, virtualmente in ostaggio.
Nelle ore successive risultò evidente che stava per scatenarsi la
battaglia: numerosi altri mezzi navali tedeschi con truppe a bordo entrarono
nel porto per procedere all’occupazione della città, mentre a Piombino civili e
militari, stanchi dell’indecisione dei comandi dell’Esercito – apparentemente
preoccupati più di mantenere l’“ordine pubblico” che di respingere un evidente
prossimo attacco tedesco, specie De Vecchi – provvedevano a preparare le
difese.
Le VAS, impossibilitate a ripartire, si sarebbero ritrovate nel mezzo
della battaglia; su ordine del Comando Marina di Piombino – non potendo le
piccole unità, poco armate, in condizioni d’inefficienza e per giunta tenute
sotto tiro dalle navi tedesche, contribuire al combattimento – gli equipaggi
delle quattro VAS sabotarono le loro unità, per poi allontanarsi un po’ per
volta, furtivamente, prima del tramonto.
Calato il buio, alle 21.15 scoppiò la battaglia tra le unità della
Kriegsmarine impegnate nello sbarco a Piombino e civili e militari italiani che
reagirono all’attacco. I combattimenti infuriarono per tutta la notte, e
costarono 4 morti e parecchi feriti da parte italiana e 120 morti e 300
prigionieri da parte tedesca; le batterie costiere italiane di Montecaselli, di
Villa Serini e del Semaforo, cui poi si unirono anche dei carri armati aprirono
il fuoco sul naviglio tedesco presente nel porto, affondandovi la TA 11, sette motozattere, le chiatte Mainz e Meise e sei tra motolance e motobattelli della Luftwaffe (Fl.B.429, Fl.B.538, Fl.C.3046, Fl.C.3099, Fl.C.504 e Fl.C.528) e
danneggiando gravemente la TA 9, il Carbet ed il piroscafo Capitano Sauro, in mano tedesca (Carbet e Sauro vennero poi autoaffondati per via dei danni).
Durante la battaglia, una delle quattro VAS fu colpita da un proiettile
che la incendiò; dai suoi serbatoi fuoriuscì gasolio in fiamme che avvolse
anche le altre unità vicine nonché la TA
11, contribuendo al suo affondamento. La VAS 208 e le sue tre gemelle furono tutte colpite nel combattimento
ed affondate nelle acque del porto. Ebbe così termine la breve storia della V
Squadriglia Vedette Antisom.
Non vi furono perdite tra gli equipaggi delle VAS; radunati nella
frazione di Salivoli, gli uomini della V Squadriglia riuscirono a lasciare
Piombino prima che la città venisse occupata dalle forze tedesche. Alcuni
giovani ufficiali, tra varie peripezie, riuscirono a raggiungere il Suditalia
ed a tornare nei ranghi della Regia Marina.
Quanto restava della VAS 208
e delle gemelle venne ripescato nel 1947 e smantellato.
Nessun commento:
Posta un commento