Il motoveliero quando portava
il nome di Sorelle Leoni (g.c. Mauro
Millefiorini)
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Il Drin era un grosso motoveliero da
carico, una nave goletta in legno lunga 44,3 metri, larga 8,9 e pescante 4,8,
con stazza lorda e netta rispettivamente di 435,02 tsl e 360 tsn. Varato ad
Oneglia nell’agosto 1920, nel cantiere di Ambrogio Terrizzano, come veliero
‘puro’, si chiamava in origine Amelia M.,
ma nel suo primo decennio di vita venne cambiò nome per due volte, prima in Patria e poi in Sorelle Leoni; Drin fu il
suo quarto ed ultimo nome, che assunse nel 1938 – anno in cui fu motorizzato
con un motore a 6 cilindri da 42 HP nominali prodotto dalla Deutsche Werke Kiel
A. G. – quando passò dall’armatore Bartolomeo Martinelli di Viareggio (che
l’aveva comprato nel 1936 dal concittadino Italo Leoni) ai savonesi Giorgio
Noceti e Carlo Landi. Durante la guerra avrebbe ancora cambiato armatore,
passando dal milanese Guido Ferraguti allo zaratino Gino Treleani; suo ultimo
Compartimento Marittimo d’iscrizione fu Zara, dove ebbe la matricola numero 31.
Il
Sorelle Leoni e, in secondo piano, il
più piccolo motoveliero Teresa Maggi
fotografati durante una burrasca al largo di Forte dei Marmi, negli anni Trenta
(da “L’Italia Marittima” n. 1 del 15 agosto 1933, via Pietro Berti e www.naviearmatori.net)
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Alle 11 del 15 ottobre 1940 il Drin
venne requisito a Fiume dalla Regia Marina, che lo iscrisse nel ruolo del
naviglio ausiliario dello Stato con la sigla V 48 e ne fece una vedetta foranea.
Nell’aprile 1941 il motoveliero cambiò destinazione d’impiego,
diventando un dragamine magnetico d’altura, e di conseguenza anche la
caratteristica, che divenne DM 20.
La sua fine venne il 9 giugno 1941, quando, uscito da Tripoli per una
missione di dragaggio, venne investito dall’esplosione proprio di ciò che era
‘nato’ per neutralizzare, una mina magnetica. Erano le 7.30. Il Drin resistette e poté essere
rimorchiato nell’avamporto, dove fu portato ad incagliare, ma tutto fu vano, in
quanto più tardi il motoveliero si spezzò in due ed affondò nelle acque basse
dell’avamporto, dal quale rimasero emergenti solo le sue alberature e parte
delle strutture della coperta.
Non vi furono perdite umane.
Il relitto del Drin nell’avamporto di Tripoli (da “Navi
mercantili perdute” di Rolando Notarangelo e Gian Paolo Pagano, USMM, Roma
1997)
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