Il varo del Naiade (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)
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Sommergibile di
piccola crociera della classe Sirena (681 tonnellate di dislocamento in
superficie e 842 in immersione). Compì in guerra 4 missioni offensive od esplorative
e 4 di trasferimento, percorrendo in tutto 4508 miglia in superficie e 818 in
immersione.
Breve e parziale cronologia.
9 maggio 1931
Impostazione nei
Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone.
27 marzo 1933
Varo nei Cantieri
Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone. Subito posto a disposizione del Comando
Marina di Pola, restando però a Monfalcone per l’allestimento ed i collaudi.
16 novembre 1933
Entrata in servizio.
Il battello (a destra) in
allestimento nei cantieri di Monfalcone (da “Gli squali dell’Adriatico” di
Alessandro Turrini, Vittorelli Edizioni, 1999, via www.betasom.it)
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1934
Dislocato a Brindisi
in seno alla X Squadriglia Sommergibili (alle dipendenze del Comando Divisione
Sommergibili), che forma insieme ai gemelli Sirena,
Nereide, Ondina, Anfitrite e Galatea.
Compie una lunga crociera
addestrativa nel Mediterraneo occidentale, facendo scalo ad Almeria e nelle
Baleari.
1935-1936
Effettua crociere
addestrative lungo le coste italiane.
Il Naiade a Taranto negli anni ’30 (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net)
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Novembre 1936-Settembre 1937
Dopo la rimozione di
tutti i segni che potrebbero renderlo riconoscibile (a partire dal nome e dalle
lettere identificative), il Naiade prende
clandestinamente parte alla guerra civile spagnola (è uno dei primi dei
numerosi sommergibili italiani a farlo), effettuando tre missioni di 8,9 e 6
giorni nelle acque della Spagna ed in Egeo, senza avvistare alcuna nave
sospetta.
8 novembre 1936
Lascia Trapani al
comando del CC Alfredo Criscuolo, accompagnato dallo spagnolo CC Arturo Génova
Torruella (è comandante in seconda del Naiade
Gino Birindelli, futura Medaglia d’oro al Valor Militare), per raggiungere una
zona d’agguato al largo di Barcellona: è la prima delle sue tre missioni nella
guerra di Spagna, l’obiettivo è di bloccare il porto di Malaga insieme ai
sommergibili Topazio, Antonio Sciesa e Torricelli e di impedire l’arrivo di navi sovietiche con
rifornimenti per le truppe repubblicane. Si tratta del primo gruppo di
sommergibili italiani inviati a partecipare alla guerra di Spagna.
16 novembre 1936
Torna alla base a
seguito di un’avaria.
Nel periodo della
guerra di Spagna i marinai del Naiade,
quando si trovano in porti spagnoli, devono andare in libera uscita solo se
armati, essendo divenute le città particolarmente pericolose.
Agosto-settembre 1937
Opera in Mar Egeo in
azioni connesse alla guerra civile spagnola (intercettazione ed attacco a
naviglio repubblicano).
1937
Dislocato a Lero,
opera nel Dodecaneso ma fa scalo anche a Derna e Tobruk.
1938
Dislocato a Brindisi,
assegnato alla XLII Squadriglia Sommergibili.
1940
Dislocato a Tobruk.
10 giugno 1940
All’entrata in guerra
dell’Italia il Naiade (TV Luigi
Baroni) è di base a Tobruk, in seno alla LXI Squadriglia Sommergibili (VI
Gruppo Sommergibili), che forma insieme a Sirena,
Argonauta, Fisalia e Smeraldo.
Prende il mare per la sua prima missione d’agguato al largo di Sollum, dove
forma uno sbarramento cui, in base agli ordini di Maricosom (il comando della
flotta subacquea), partecipano anche i sommergibili Diamante, Topazio e Lafolè. La posizione del Naiade in tale sbarramento è 40 miglia a
nordovest di Alessandria d’Egitto.
Il Naiade (da www.marinaiditalia.com)
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12 giugno 1940
Nel pomeriggio, al
largo di Alessandria, il Naiade (al
comando del TV Luigi Baroni) attacca con il proprio cannone un convoglio di
pontoni a rimorchio, scortati da una cannoniera. Infiltrazioni d’acqua hanno
però reso il munizionamento delle riservette esterne difettoso, così che,
quando la cannoniera di scorta attacca il Naiade
con le mitragliere, questi deve immergersi e ritirarsi.
Rapidamente
allontanatosi e posizionatosi in agguato non lontano, potrà rifarsi poche ore
più tardi: intorno alle 22 dello stesso giorno il Naiade avvista la motonave cisterna norvegese Orkanger da 8029 tsl (già danneggiata, quel mattino, dal
sommergibile Nereide), in navigazione
da Porto Said (da dov’è partita il 7 giugno) a Malta carica di carburante per
la Royal Navy ed apparentemente isolata (in realtà vi sono alcune navi scorta,
che il Naiade non ha visto), e
l’attacca con il lancio di tre siluri, uno dopo l’altro. Uno, difettoso (corsa
irregolare), manca la petroliera, mentre il secondo, alle 22.55 (21.57 per
altra fonte, evidentemente secondo un altro fuso orario), colpisce la nave sul
lato sinistro, tra le cisterne numero 6 e 7 (la posizione approssimata
dell’attacco viene indicata, dalle fonti britanniche, in 31°43’ N e 28°53’ E),
che vengono squarciate provocando la copiosa fuoriuscita (ma non l’incendio)
del carburante. L’Orkanger, sbandata,
immobilizzata e priva di luce, viene abbandonata da quasi tutto l’equipaggio su
tre imbarcazioni: a bordo rimangono solo il comandante, tre ufficiali, il
direttore di macchina ed un ufficiale britannico, che lanciano l’SOS e,
controllati i danni, concludono che la nave può essere salvata. Alle 23.05,
però, il Naiade colpisce la
petroliera con il terzo siluro, che va a segno a poppa, in sala macchine,
distruggendo una scialuppa (rimasta sottobordo alla nave per prendere a bordo
gli uomini rimasti) e provocando l’affondamento dell’Orkanger, che s’inabissa lentamente di poppa per poi scomparire
verso le 23.30 nel punto 31°42’ N e 28°50’ E, 73 miglia a nordovest di
Alessandria: si tratta della prima nave mercantile affondata da unità navali
italiane nella seconda guerra mondiale. Le vittime tra il suo equipaggio sono
quattro, i 41 superstiti (uno dei quali morirà per le ferite) verranno raccolti
tre ore più tardi dal piroscafo spagnolo Tom
e portati ad Alessandria. Il Naiade,
sottoposto ad intensa e sistematica ricerca, si allontana in immersione sotto
caccia con bombe di profondità; le diverse scariche di bombe gettate contro di
esso non causano comunque alcun danno.
Il successo verrà
citato nel bollettino di guerra numero 1, con il generico annuncio «Nel
Mediterraneo nostri sommergibili hanno silurato un incrociatore ed una
petroliera di 10.000 tonnellate» (l’incrociatore era l’HMS Calypso, affondato dal Bagnolini).
Arriva a Tobruk.
10-16 agosto 1940
Effettua un
pattugliamento nelle acque di Creta, insieme all’anziano sommergibile oceanico
Balilla, ma non avvista nulla di particolare.
Il sommergibile poco prima
del varo (da it.wikipedia.org)
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L’affondamento
Nel dicembre 1940 il Naiade, al comando del tenente di
vascello Pietro Notarbartolo, fu inviato in agguato al largo di Alessandria
insieme ai sommergibili Narvalo e Neghelli, ricevendo successivamente l’ordine
di pattugliare le 45 miglia di fascia costiera attorno a Sidi el Barrani ed
attaccare le unità nemiche che vi avesse trovato.
Il 14 dicembre, in agguato
nelle acque di Sidi el Barrani, il Naiade
notò intensa attività navale nemica, ed in serata sentì all’idrofono rumori di
turbine di due unità navali: erano i cacciatorpediniere britannici Hyperion ed Hereward (per altra fonte il battello avvistò una formazione di
cacciatorpediniere britannici), che erano usciti in mare insieme ad altri due
cacciatorpediniere, il Diamond ed il Mohawk, per scortare l’incrociatore
antiaerei Coventry in un
pattugliamento al largo della costa libica, a supporto delle operazioni
terrestri delle forze britanniche (l’offensiva denominata operazione «Compass»).
La notte precedente il Coventry era
stato silurato da un altro sommergibile italiano, il Neghelli, e le unità della scorta stavano ora cercando il
sommergibile attaccante. Verso le 19.40 il battello italiano si portò a quota
periscopica e manovrò per attaccare i due cacciatorpediniere, che tuttavia lo avevano
già localizzato con l’ASDIC e lo bombardarono, pesantemente ed accuratamente,
con cariche di profondità: queste esplosero sotto lo scafo del Naiade, e le concussioni provocate dagli
scoppi ne investirono in pieno lo scafo, arrecando gravi danni alle
strumentazioni vitali, rompendo i manometri e causando anche una vittima: il
marinaio Gaetano Francoforte.
Il Naiade andò sprofondando sempre più in
basso, assumendo un forte appruamento: scese fino a 137 metri di profondità (57
in più della quota di collaudo), la pressione iniziò a far saltare i raccordi
delle prese a mare. Divenne presto chiaro che il battello non poteva più
restare immerso: il comandante Notarbartolo si consultò con il direttore di
macchina, poi, per evitare la distruzione del sommergibile e la morte di tutto
l’equipaggio, il comandante ordinò “aria per tutto” per emergere e tentare di
ingaggiare un duello in superficie con il cannone. Prima lentamente, poi sempre
più rapidamente, il sommergibile arrestò la corsa verso gli abissi ed iniziò a
risalire. Alle 20.30 il Naiade emerse,
subito accolto da tiro di cannoni e mitragliere delle navi nemiche, e gli
uomini uscirono in coperta attraverso la torretta, ma si trovò che il cannone
era stato posto fuori uso dagli scoppi delle bombe di profondità. Non rimase
che avviare le procedure per l’autoaffondamento ed abbandonare l’unità: aperti
gli sfoghi d’aria (a farlo fu il comandante Notarbartolo, che salì poi in
coperta per aiutare i suoi uomini), il Naiade
affondò lentamente di poppa nel punto 32°03’ N e 25°26’ N, venti miglia a
nordest di Bardia, mentre i naufraghi si dirigevano verso le lance frattanto messe
a mare dall’Hyperion e dall’Hereward, che avevano cessato il fuoco
senza aver provocato, per fortuna, alcuna vittima. I marinai britannici sulle
scialuppe, temendo che i naufraghi che vi si aggrappavano le potessero
capovolgere, li colpirono sulle mani coi remi ed i calci delle pistole.
Qualcuno, come il capo radiotelegrafista di seconda classe Giovanni D'Errico,
preferì nuotare direttamente verso i due cacciatorpediniere invece che
rischiare di essere respinto e colpito.
Nonostante tutto, Hyperion ed Hereward trassero in salvo 5 ufficiali e 42 tra sottufficiali e
marinai, su un totale di 48 uomini che componevano l’equipaggio del
sommergibile. I cacciatorpediniere giunsero ad Alessandria d’Egitto il 15
dicembre.
L’equipaggio del Naiade trascorse i suoi primo otto mesi
di prigionia in Egitto, poi furono tutti trasferiti in Sudafrica, in un campo di
prigionia della provincia di Johannesburg, circondato per cento miglia dalla
foresta che precludeva ogni possibilità di fuga. Il capo radiotelegrafista
Giovanni D'Errico divenne capo campo, intermediario tra il personale britannico
ed i prigionieri italiani (cui fu assegnato un lavoro in base alle proprie
competenze e capacità), e riuscì anche a costruire una radio clandestina con la
quale ascoltare, nottetempo, le trasmissioni radio dall’Italia.
Alcuni dei membri
dell’equipaggio, tra cui il ventiduenne Leonardo De Toma, furono trasferiti in
un campo dell’Inghilterra, da dove poterono rimpatriare nel luglio del 1944.
Mentre i giornali
alleati diedero la notizia dell’affondamento del sommergibile nemico
(aggiungendo che era stato affondato mentre tentava di interferire con il
bombardamento navale di Bardia e le altre operazioni britanniche a supporto
delle proprie truppe in avanzata in Libia e di evacuazione della massa di
prigionieri catturati nell’operazione «Compass»), in Italia, dove niente si era
saputo della fine del Naiade se non
che, partito per la sua missione, non aveva più dato sue notizie, gli uomini
dell’equipaggio furono dapprima considerati dispersi e, trascorso un anno,
caduti in azione: alle mogli venne assegnata la pensione di vedove di guerra.
Solo nel 1943, per tramite della Croce Rossa Internazionale, le famiglie dei
“dispersi” poterono apprendere che i loro cari erano vivi, sebbene prigionieri.
Tutte tranne una, la famiglia di Gaetano Francoforte, per cui la buona notizia
non sarebbe mai arrivata.
Solo nell’inverno del
1946 gli ultimi uomini del Naiade
avrebbero fatto finalmente ritorno a casa. Giovanni D'Errico, che partendo per la
guerra aveva lasciato la moglie incinta, vi avrebbe trovato un figlio in più.
Il Naiade con l’equipaggio schierato in coperta (da www.grupsom.com)
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Così ricordò
l’affondamento il radiotelegrafista Artemio Mancini (si ringraziano Gaetano
Gallinaro e l’ANMI):
“Colpiti in pieno, fracassati, al buio più angoscioso spalancammo gli occhi dinanzi al destino più orrendo, che ormai si era impadronito delle nostre anime, inesorabile, sembrava stenderci le sue branche. Alla luce di un accumulatore guardammo i manometri di profondità; erano spezzati dalla tremenda esplosione! Ma la voce del comandante era ancora ferma, incisiva e ciò ci rianimò: cinquanta marinai sommergibilisti non si impressionano mai, ma quello era troppo. Il nostro sommergibile colpito a pieno da cinque bombe di profondità filava veloce verso l’abisso.
Non ci restava altro
da tentare e questo lo compresi anche io che, con una mano sul cuore, mormorai:
“mamma mia!”... e un nodo mi salì alla gola. La voce irata del comandante ci
riscosse, quando un tremendo sbandamento di prua ci volle far perdere l’ultima
speranza: “aria in pieno da tutte le parti!”. La voce velata di pianto e d’ira
corse di locale in locale e si perse con una risonanza macabra. Il sommergibile
si impennò, volammo a pallone, e tutto d’un tratto dallo sbandamento ci
accorgemmo di essere in superficie.
Uno ad uno sfilammo
dalla torretta e quando fummo sulla plancia ci accolse un rabbioso miagolio di
una mitragliatrice e le salve dei cannoni dei cacciatorpediniere che ci
circondavano. Il comandante comprese che il suo compito era di aiutare la gente
in mare e dopo aver aperto gli sfoghi d’aria venne sopra e cominciò la sua
opera di salvataggio.
Il sommergibile, lento,
lento si inabissava e noi in mare cercammo rifugio presso due scialuppe calate
in mare dai caccia. Quella che ci si presentò agli occhi allora fu una scena
tremenda. Quei marinai da bordo delle scialuppe davano remate e colpi col
calcio delle rivoltelle ai malcapitati che si erano accostati; preferisco
chiudere questo argomento perché tuttora, a ripensarci, il cuore mi sussulta ed
un fremito mi attanaglia la gola. Per essere più agile nei movimenti, mi
spogliai di tutto e mi restò indosso solo il maglione azzurro.
Poco dopo il
sommergibile, come a darci l’ultimo saluto, emerse a fuso di poppa e poi si
inabissò per sempre.”
Il
Naiade in entrata a Taranto (da http://www.forum.planetmountain.com/phpBB2/album_page.php?pic_id=21270&sid=6143fe18186808b08d8df354cfd30fb2)
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Su quel sommergibile ci fu anche mio padre l'elettricità Luigi Colombo insignito poi della medaglia di bronzo
RispondiEliminaMi permetto di segnalare un errore: il capo telegrafista, mio nonno, si chiamava Giovanni D'Errico, non Errico.
RispondiEliminaLa ringrazio per la segnalazione, provvedo subito a correggere.
EliminaGrazie a lei per la dotta e affascinante ricostruzione (a me particolarmente cara). Mi scuso per la segnalazione ripetuta, ma inizialmente non appariva il mio messaggio. Un saluto molto cordiale.
EliminaBuonasera, esistono foto dell' equipaggio? C'era anche mio nonno ma non ho nessun documento dell' epoca purtroppo.
EliminaBuongiorno, conosco queste:
Eliminahttps://www.marinaiditalia.com/public/uploads/2009_11_40.pdf
http://www.crtpesaro.it/Materiali/Italiano/Sommergibili/index.php
Grazie
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RispondiEliminaSul Naiade era imbarcato anche mio papà, Rocco Passoni. Dell'affondamento raccontò in lacrime,al suo ritorno, solo a sua mamma per non ripeterlo più! Erano tutti ragazzi, lontani e in guerra....Rimase prigioniero in Sudafrica, a Zonderwater, per anni. Pochi giorni prima di morire, guardando la foto del Naiade appesa accanto al letto, pianse ancora!
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