La Città di Bari in navigazione (g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net)
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Incrociatore
ausiliario, già motonave passeggeri da 3338,60 tsl, 1883 tsn e 2450 tpl, lunga
96,7 metri e larga 13,6, pescaggio 6,49 metri, velocità 14,5 nodi. Matricola 41
al Compartimento Marittimo di Bari, appartenente alla Società Anonima di
Navigazione Adriatica, con sede a Venezia.
Breve e parziale cronologia.
1928
Costruita a Trieste
dallo Stabilimento Tecnico Triestino per la Puglia Società Anonima di
Navigazione a Vapore (di Bari), come motonave passeggeri in grado di
trasportare 89 passeggeri in cabina oltre al carico. Fa parte di una serie di
quattro navi gemelle (Città di Bari, Rodi, Egeo ed Egitto).
4 aprile 1932
Passata alla Società
di Navigazione San Marco. Il 4 aprile 1932 la società Puglia, la San Marco ed
altre compagnie di navigazione adriatiche si fondono nella Compagnia Adriatica
di Navigazione (avente sede a Venezia), della cui flotta la Città di Bari entra pertanto a far parte.
In questo periodo
viene anche considerata la possibilità della trasformazione, nel caso di un
conflitto, della Città di Bari e
delle gemelle in portaerei di scorta, progetto poi mai attuato. Resta invece
reale – ed infine si concretizzerà nel 1940 – la possibilità di trasformarle in
incrociatori ausiliari: come per molte altre navi costruite per compagnie
controllate dallo Stato, nella costruzione di queste motonavi si è tenuto conto
di tale possibile futura necessità (i requisiti richiesti dalla Regia Marina
perché una motonave passeggeri possa essere impiegata come incrociatore ausiliario
sono una stazza non molto elevata – ma bastante a poter navigare in alto mare
senza difficoltà –, una velocità di circa 15 nodi e la possibilità di impiego
per missioni di trasporto veloce).
1° gennaio 1937
Passata formalmente alla
Adriatica Società Anonima di Navigazione (ossia la nuova denominazione che, dal
1° gennaio, ha assunto la Compagnia Adriatica di Navigazione).
La Città di Bari presta servizio sulla
linea n. 54 Tirreno-Pireo-Istanbul, nonché sulla linea
Brindisi-Pireo-Rodi-Alessandria.
Aprile 1940
Viene fermata dalle
autorità d’ispezione alleate, che pongono il suo carico d’acquaragia sotto
sequestro. In precedenza era già stata trattenuta per oltre un mese per
controlli su un carico di cereali.
15 giugno 1940
Cinque giorni dopo
l’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale, la Città di Bari viene requisita dalla Regia Marina.
19 giugno 1940
Iscritta nel ruolo
del naviglio ausiliario dello Stato (dalle 00. del 19) e trasformata in
incrociatore ausiliario, ricevendo un armamento costituito da due cannoni da
120/45 mm e quattro mitragliere da 20/65 mm.
27 luglio 1940
Partecipa
all’operazione «Trasporto Veloce Lento» salpando da Napoli per Tripoli alle
5.30, in convoglio con i piroscafi Maria
Eugenia, Bainsizza e Gloriastella e le motonavi Mauly, Francesco Barbaro e Col di
Lana (anche il Città di Bari è
impiegato, in quest’occasione, come trasporto e non come nave scorta), scortate
dalle torpediniere Orsa, Procione, Orione e Pegaso (IV
Squadriglia Torpediniere) e dai cacciatorpediniere Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco della X Squadriglia (forniscono inoltre supporto a
distanza, nelle giornate del 30 e 31 luglio e del 1° agosto, anche aliquote
delle forze da battaglia, con 5 incrociatori pesanti, 6 incrociatori leggeri e
15 cacciatorpediniere).
30 luglio 1940
Intorno alle 14 il
convoglio cui appartiene il Città di Bari
viene attaccato, circa 20 miglia a sud di Capo dell’Armi, dal sommergibile
britannico Oswald, che lancia alcuni
siluri contro il Grecale: il
cacciatorpediniere riesce però a schivare le armi.
1° agosto 1940
Alle 9.45 tutte le
navi del convoglio raggiungono Tripoli senza danni.
La nave con i colori della
società Adriatica (g.c. Rosario Sessa via www.naviearmatori.net)
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Disastro a Tripoli
Il mattino del 3
maggio 1941 il Città di Bari (comandante
militare capitano di fregata Giuseppe Puppo, comandante civile capitano Carlo
Oberti, militarizzato col grado di tenente di vascello) era ormeggiato al lato
occidentale del pontile numero 1 (il pontile «24 gennaio») del porto di
Tripoli, con la prua rivolta verso la terra, intento nel completamento
dell’imbarco del carico che, come ordinato da Marilibia, avrebbe dovuto portare
a Bengasi. Il carico era dei più importanti, ma al contempo pericolosi:
carburante e munizioni. Il Città di Bari
aveva già imbarcato 3000 cassette di munizioni nella stiva numero 1, trecento
fusti di benzina nella stiva numero 2, 600 fusti di benzina nella stiva numero
4 e 1000 cassette di munizioni nella stiva numero 5. La stiva numero 3 era
invece occupata, per i due terzi del suo volume, da altre merci di vario tipo.
Il carico proseguiva: dal lato dritto (verso terra) venivano imbarcate le
munizioni (nelle stive 1 e 5) e le altre merci (nella stiva 3), dal lato sinistra
(quello del mare) venivano caricati i fusti di benzina (nelle stive 2 e 4),
prelevati da due chiatte ormeggiate sottobordo. Squadre di stivatori arabi
provvedevano all’imbarco ed allo stivaggio del carico.
Sul lato orientale
del medesimo pontile, per giunta, era attraccata la motonave da carico Birmania (che aveva invece la poppa
rivolta verso terra), che stava invece scaricando munizioni sia da prua che da
poppa.
Una situazione
abbastanza usuale nei porti libici, ma estremamente rischiosa: sarebbero
bastati un incidente od un attacco aereo per scatenare una catastrofe.
E fu esattamente
questo ciò che avvenne. Alle 10.10 del mattino tutto stava procedendo senza
problemi, quando un violento scoppio, seguito da altri meno forti, investì il Città di Bari. La Birmania era esplosa.
Il comandante militare
dell’incrociatore ausiliario, il capitano di fregata Giuseppe Puppo, si trovava
allora nella segreteria comando, in coperta a dritta verso centro nave, insieme
al tenente di vascello di complemento Michele Culotta ed al sergente
specialista direzione del tiro Angelo Minelli. Stavano sbrigando pratiche
d’ufficio.
Il comandante Puppo,
che aveva subito parecchie abrasioni alla testa dalle quali perdeva
copiosamente sangue, dopo essersi ripreso dall’esplosione corse fuori in
coperta per vedere cosa stesse accadendo, e subito vide davanti a sé la poppa
del Birmania, in fiamme, scossa da
continue esplosioni che lanciavano schegge in tutte le direzioni.
Apparentemente, il Città di Bari non
sembrava avere danni od incendi, quindi Puppo ordinò al nostromo Salvatore La
Camera ed ad altri uomini che si trovavano nelle vicinanze di correre a prua ed
a poppa e disormeggiare la nave, per allontanarla dal molo e soprattutto dalla
pericolosissima Birmania, le cui
fiamme e tizzoni infuocati venivano spinti dal vento – un grecale piuttosto
fresco – verso l’incrociatore ausiliario. Subito dopo, però, Puppo si recò sul
lato sinistro e lì vide che le due chiatte cariche di fusti di benzina
ormeggiate lungo la murata, all’altezza delle stive 2 e 4, stavano bruciando
furiosamente, e che le fiamme stavano cominciando ad uscire anche dalle stesse
stive 2 (a prua) e 4 (a poppa). L’incendio era indomabile, e non era nemmeno
pensabile di riuscire anche solo a circoscriverlo; né sarebbe stato possibile
allagare rapidamente le stive per estinguere od isolare le fiamme (o per lo
meno impedire che si estendessero al resto del carico), essendo il Città di Bari ormeggiato in acque basse.
Essendo evidente che
non si poteva più far niente per salvare la nave, e che presto le fiamme
avrebbero raggiunto le munizioni sistemate nelle stive 1 e 5, con prevedibili
catastrofiche conseguenze, il comandante Puppo dovette dare l’ordine di
abbandonare la nave e mettersi in salvo. Una parte degli uomini corse a terra e
lungo il pontile numero 1, per raggiungere i rifugi antiaerei, altri si
buttarono in mare e raggiunsero a nuoto i moli più prossimi. La maggior parte
dell’equipaggio, in tal modo, poté mettersi in salvo, compresi molti feriti.
Per ultimi saltarono a terra, sulla banchina numero 1, il comandante Puppo e la
sua ordinanza, il trombettiere Salvatore Loconsole, che lo aveva prontamente
raggiunto subito dopo la prima esplosione. Subito, vedendo che il cannoniere
Luigi Ciullo era in acqua e non aveva abbastanza forza per arrampicarsi sul
molo, lo aiutarono a salire, poi tutti e tre raggiunsero di corsa il rifugio
antiaerei situato all’inizio del pontile numero 1, mentre dietro di loro Birmania e Città di Bari venivano scosse dalle esplosioni e proiettavano
schegge in tutte le direzioni. Nel ricovero c’erano alcuni uomini del Città di Bari e parecchi tedeschi ed
arabi, tra cui dei feriti gravi.
L’esplosione del Città di Bari (ben visibile) e della Birmania, fotografata dal tenente del
Genio Luigi Dionisi (tratta da http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/avio02.htm)
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Dopo circa mezz’ora
era tutto finito: le esplosioni si erano fatte più deboli e più rare, e
comparvero sul posto le prime ambulanze. Il comandante Puppo, vedendole dal
ricovero (dal quale era uscito a controllare dopo che il peggio sembrava essere
passato), le richiamò perché venissero a prendere i feriti. Tutti gli uomini
del Città di Bari che erano nel
rifugio con il comandante vennero trasportati da ambulanze della Regia Marina
al Comando Marina di Tripoli, dove trovarono parecchi altri sopravvissuti del
loro equipaggio. Il resto dei superstiti del Città di Bari, feriti, erano ricoverati negli ospedali di Tripoli.
Il relitto del Città di Bari, dilaniato dalle
esplosioni e consumato dalle fiamme, si posò sul fondale alle 10.30, una
ventina di minuti dopo l’esplosione iniziale, restando in massima parte
emergente e fortemente inclinato a sinistra.
Si erano salvati in
79, su 89 uomini dell’equipaggio presenti sul Città di Bari quella tremenda mattina: in dieci mancavano
all’appello, quanti non avevano fatto in tempo ad allontanarsi prima che la
nave saltasse in aria. Tra questi vi era anche il tenente di vascello Culotta,
unico ufficiale disperso: il comandante Puppo raccontò ai suoi familiari che,
quando lo aveva visto per l’ultima volta, questi stava cercando di ripararsi
sotto una scrivania. Michele Culotta era stato richiamato improvvisamente “al
fronte”, nonostante le rimostranze di moglie e cognata, subito dopo essere
tornato a casa per quello che sarebbe dovuto essere un periodo di riposo.
Lasciò cinque figli, la cui madre ricevette la pensione di vedova di guerra
solo dal 1949. Alcuni dei dispersi furono probabilmente tra le vittime i cui
corpi furono recuperati, ma erano troppo martoriati dalle esplosioni per essere
riconoscibili. Furono sepolti nel cimitero italiano di Hammangi, a Tripoli.
Quasi tutti i feriti,
sorprendentemente, non avevano riportato lesioni gravi; ma uno dei più gravi,
il cannoniere Michele Maggio, spirò nella notte successiva nell’Ospedale
Militare, portando il numero totale delle vittime a undici. I superstiti erano
9 ufficiali (quattro dei quali feriti) e 69 sottufficiali e marinai.
Nell’esplosione
avevano perso la vita anche parte dell’equipaggio della Birmania, alcuni membri degli equipaggi di navigli minori che si
trovavano nei pressi delle due navi esplose, molti degli uomini che erano sul
molo al momento del disastro, circa 50 militari tedeschi impegnati nelle
operazioni di scarico, portuali, scaricatori libici ed anche militari che erano
presenti casualmente sulle due navi, nonché abitanti di Tripoli investiti dalle
schegge infuocate proiettate ovunque dalle esplosioni, che fecero crollare
anche gli edifici adiacenti al molo interessato dal disastro. Vittime e feriti vennero
portati nei diversi ospedali di Tripoli, mentre i feriti lievi e gli illesi vennero
radunati nella sede del Comando Marina di Tripoli, dove ricevettero del
vestiario per sostituire quello perso a bordo delle proprie navi.
Il 4 maggio 1941 gran
parte dei sopravvissuti al disastro furono imbarcati sulla nave ospedale
Sicilia, che li portò a Napoli. Altri quattro uomini del Città di Bari furono rimpatriati il giorno seguente sul piroscafo
Marco Polo. Venti feriti in condizioni più serie (due ufficiali, un
sottufficiale e 17 sottocapi e marinai) rimasero invece ricoverati a Tripoli.
Le cause del disastro
non sembrano essere del tutto chiaro: le pubblicazioni ufficiali parlano di
esplosione verificatasi sulla Birmania,
per sabotaggio od incidente, che avrebbe poi investito il Città di Bari, ma altrove si parla anche di attacco aereo (anche da
parte di alcuni sopravvissuti del Città
di Bari, che affermarono che gli aerei effettuarono tre passaggi con
sgancio di bombe, che provocarono anche il crollo di parte delle
sovrastrutture). Di per sé, i documenti relativi alla perdita del Città di Bari non sembrano essere molto
illuminanti sulla causa prima della catastrofe.
Secondo un dispaccio
del Comando Superiore dell’Africa Settentrionale Italiana del 3 maggio 1941,
tre aerei nemici, giunti di sorpresa sul porto a motori spenti alle 10.15,
avevano colpito con bombe e spezzoni Birmania
e Città di Bari, oltre al piroscafo
tedesco Kybfels, causandone l’esplosione.
Un altro dispaccio
del Comando Superiore della Regia Marina in Libia, del 7 maggio 1941, affermava
invece che l’esplosione fosse avvenuta nel carico di benzina e munizioni della Birmania (presumibilmente per cause
accidentali), scatenando un incendio che si era poi propagato al Città di Bari.
Secondo un resoconto
del CV Giuseppe Castracane, capo ufficio D. T., datato 10 maggio 1941, dopo che
questi aveva interrogato cinque ufficiali e due sottufficiali del Città di Bari, risultava che nessun
membro dell’equipaggio aveva potuto rendersi conto delle cause dell’esplosione,
a causa della rapidità del precipitare degli eventi. Castracane indicava come
ipotesi principale che l’incendio e le esplosioni a bordo della Birmania avessero raggiunto ed
incendiato anche il Città di Bari, ma
riferì al contempo che molti superstiti ritenevano che causa prima del disastro
fosse stato un attacco aereo: non c’era stato allarme aereo, tuttavia alcuni
dei sopravvissuti dicevano di aver visto dei velivoli sospetti al momento del
disastro.
Il relitto
irrecuperabile del Città di Bari, uno
dei tanti che sarebbero andati via via ‘affollando’ il sorgitore libico con il
procedere della guerra, rimase sul luogo dov’era esploso sino a dopo la caduta
di Tripoli in mano alleata, nel gennaio 1943. Successivamente venne recuperato
dagli occupanti britannici, solo per essere demolito.
Morirono nel disastro del Città di Bari:
Luigi Barba, cannoniere puntatore scelto
(militare, disperso)
Michele Bellomo, sottonocchiere (marinaio militarizzato,
disperso)
Donato Capriati, marinaio (giovanotto di
seconda militarizzato, disperso)
Leonardo Carofiglio, marinaio (giovanotto di
prima militarizzato, disperso)
Michele Culotta, tenente di vascello di
complemento, da Genova (militare, disperso)
Pietro Di Staso, marinaio (militare, disperso)
Michele Maggio, cannoniere ordinario (militare,
deceduto)
Luigi Minetto (o Minetti), secondo capo
meccanico (operaio militarizzato, disperso)
Virgilio Specchia, sottocapo silurista
(militare, disperso)
Matteo Strizzi, marinaio (militare, disperso)
Leonardo Terlizzi, marinaio (marinaio militarizzato,
disperso)
N.B. Nell’elenco dei dispersi compare anche un
altro nome, quello del radiotelegrafista Domenico Palazzo, accanto al quale,
tuttavia, era annotato che nell’elenco di Marilibia risultava ferito, e si
raccomandava di attendere un ulteriore comunicato. Non è quindi chiara la sua
sorte.
Un’altra foto di Luigi
Dionisi, ritraente il Città di Bari
semiaffondato al posto d’ormeggio. Sulla destra si intravede la prua della Birmania (da http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/avio02.htm)
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Il relitto del Città di Bari visto da prua, con la Birmania sulla sinistra (g.c. Coll.
Privata Domenico Iacono)
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Così ricordò il
disastro di Tripoli Antonio Mammone, che all’epoca vi lavorava come scaricatore
di porto (si ringrazia la figlia Aurora):
“[Il mattino del 3
maggio 1941] Io fui assegnato sulla Birmania
e Lombardo [un altro scaricatore] sulla Città
di Bari, due “carrette” affiancate al molo principale. La Birmania era zeppa di fusti di benzina e
di sofisticate e sensibilissime bombe tedesche a grappolo da trasbordare sulla Città di Bari che avrebbe poi proseguito
per Bengasi; perché, intanto, dopo il disastro di Graziani, i
tedeschi erano
sbarcati a Tripoli a dare man forte agli alleati italiani considerati
"shaiser", cioè merda, e insieme con una rapida controffensiva il
quattro aprile avevano riconquistato
la città di Bengasi.
Quella mattina, dopo ore di carico e scarico, quando però nemmeno un decimo
degli infernali strumenti di morte era stato trasbordato dalla Birmania sulla Città
di Bari e quando più
si sentiva la noia per quel monotono incarico (o la preoccupazione?), con
Lombardo ci scambiavamo segnali di appuntamento durante l'imminente riposo
degli scaricatori per andare a pranzare su qualche nave vicina. Capitan Bobani
salì sulla Birmania e mi pregò di
andare a cercare Corrado, un caposquadra degli scaricatori che io conoscevo;
lui stesso mi avrebbe sostituito fin quando non fossi tornato. [Dopo aver
trovato Corrado a bordo della motonave Vulcani, a seguito di un incontro
durante il ritorno] perdemmo cosi quei cinque minuti che bastarono a salvarmi e
quando eravamo a non più di venti metri dalla Birmania dal suo boccaporto vidi spuntare il sole, lo vidi
scoppiare, poi lo sentii! Quanto tempo trascorse da quando i miei occhi furono
abbacinati da quell’immensa sfera di fuoco fino a che le orecchie ne
percepissero l'essenza? Forse un attimo, forse neppure un attimo e fu solo una
pseudoestesia a separare nettamente quel sole abbacinante dal boato immenso,
infinito e dal gran pugno che mi abbatté…
Mi ritrovai senza
sapere come fra due camions parcheggiati più in là, bagnato, dolorante per
varie escoriazioni sulle gambe e sulle braccia e negli occhi sempre quella
sfera di fuoco esplodente che sorgeva dalla Birmania.
Oh Dio, ma sulla Birmania non c'era
Capitan Bobani? E dove sarà ora ? E tutti quegli scaricatori arabi che nulla
avevano a che vedere con la guerra, che fine hanno fatto? Poi dal mio rifugio
fra i due camions vidi l’autocarro dei vigili del fuoco, attestato sulla
banchina, lanciare ridicoli schizzi d'acqua verso il vulcano che continuava ad
esplodere: poi l'intera prua della nave volò nel cielo e ricadde su pompieri e
autocarro…
Il disastro della Birmania nel quale sono periti, si
disse, almeno duecento persone, lo raccontai più dettagliatamente dopo la
guerra in un lungo articolo sul giornale "Corriere di
Tripoli". Del
Capitano Bobani si trovò qualche settimana dopo solo una mano con al dito un
anello riconosciuto come suo dagli amici più intimi. Lombardo, sulla Città di Bari, si salvò perché lo
spostamento d'aria lo scaraventò in mare e anche se con il bacino fratturato,
riuscì grazie alla sua abilità di nuotatore, ad allontanarsi di quanto bastò
perché qualcuno
io aiutasse a
mettersi ai riparo. Io me la cavai abbastanza a buon mercato: ci rimisi la
bicicletta quasi nuova che assieme ai pompieri e ai bar sulla banchina rimase
sepolta dalla prua della nave.”
Un’altra foto del relitto del
Città di Bari, scattata nel gennaio
1942: a sinistra si vedono i resti accartocciati della poppa (da http://www.ibiblio.org/hyperwar/UN/UK/UK-RAF-II/UK-RAF-II-9.html)
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Di seguito, una serie di
documenti relativi alla perdita del Città
di Bari. Si ringrazia Pierluca Zampardi, nipote del tenente di vascello
Michele Culotta, scomparso nel disastro, per averli gentilmente forniti dopo
averli trovati presso l’USMM.
Dispacci relativi al
disastro:
La relazione del comandante
Puppo sull’affondamento del Città di Bari:
Elenchi dei membri dell’equipaggio
del Città di Bari deceduti, dispersi,
feriti o rimpatriati:
Elenchi dei feriti ricoverati
negli ospedali di Tripoli:
Si ringraziano Pierluca Zampardi
ed Aurora Mammome.
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