Il Genova in navigazione (g.c. Antonio Leucci, da navimaggiore.blogspot.it)
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Piroscafo mezzo
salone ad elica in servizio su Lago Maggiore. Lungo 44,20 metri, largo 5,80,
pescaggio 1,26 m, velocità 25,44 km/h, 500 passeggeri e 7 uomini di equipaggio.
Breve e parziale cronologia.
1913-1914
Costruito dalla Ditta
Bacigalupo di Genova Sampierdarena per la Società Anonima Innocente Mangilli –
Impresa di Navigazione sul Lago Maggiore.
25 aprile 1914
Ultimo ad essere
completato dei tre piroscafi gemelli della sua serie (Milano, Torino e Genova), il Genova effettua le prove di collaudo sul Lago Maggiore, al comando
del capitano Cipriano Besana. Entra poi in servizio di trasporto passeggeri di
linea sul lago. È anche l’ultimo piroscafo ad entrare in servizio sul Vebano:
le successive costruzioni, negli anni Venti, saranno motonavi.
Luglio 1917
In seguito al
fallimento della ditta Mangilli passa, insieme al resto della flotta, in regime
di requisizione e gestione provvisoria alle Ferrovie dello Stato, sino al 1923.
1923
Passa, con il resto
della flotta, in gestione temporanea al Ministero dei Lavori Pubblici.
1924
Come il resto della
flotta, passa alla Società Subalpina Imprese Ferroviarie, che ha rilevato il
servizio di navigazione sul Verbano. Ne viene valutata la possibilità di
trasformazione (insieme a Milano e Torino) in motonave ad elica, che non
viene però attuata.
L’affondamento
Dopo l’armistizio tra
l’Italia e gli Alleati dell’8 settembre 1943 e l’occupazione tedesca del
Norditalia, i battelli del Lago Maggiore continuarono nel loro servizio di
collegamento tra i paesi rivieraschi. Per un anno il loro servizio non venne
disturbato, se non dalle contingenze e ristrettezze della guerra; ma a partire
dall’autunno 1944 iniziò ad operare su tutta la Pianura Padana un considerevole
numero di bombardieri leggeri e cacciabombardieri angloamericani, privi di veri
e propri obiettivi ma piuttosto in “caccia libera” a “targets of opportunity”,
obiettivi occasionali costituiti principalmente da mezzi di trasporto di ogni
tipo: automezzi, corriere, treni ed anche battelli. L’obiettivo primario di
questi velivoli consisteva infatti nell’attaccare e distruggere qualsiasi mezzo
che avrebbe potuto essere utilizzato dalle forze tedesche. Un simile criterio,
evidentemente, avrebbe tuttavia portato a pesanti perdite tra la popolazione
civile, cosa che puntualmente avvenne.
Sui quattro grandi
laghi prealpini la situazione rimase tranquilla sino al settembre 1944. Il 25
settembre, proprio il Lago Maggiore divenne il teatro del primo di una lunga
serie di attacchi aerei ai danni dei battelli lacuali, e proprio il Genova ne divenne la prima vittima.
Il 25 settembre 1944
il Genova, al comando del capitano
Edoardo Fornara, lasciò Pallanza diretto a Baveno con un centinaio di
passeggeri a bordo. Cosa trasportasse di preciso la nave sembra controverso,
perché mentre secondo il libro “Memorie di un conflitto (1940-1945)”, edito
dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Laveno Mombello (che cita la
testimonianza del superstite Guglielmo Morlotti, sebbene non è chiaro se
l’affermazione che segue provenisse da lui), la nave stava trasportando “armi
fasciste e tedesche da utilizzare contro i partigiani ossolani” (e gli aerei lo
attaccarono a difesa della Repubblica partigiana dell’Ossola); per altra
versione il Genova non aveva a bordo
che passeggeri civili, principalmente donne e bambini (ed il suo mitragliamento
ed affondamento fu un deliberato atto terroristico volto a fiaccare il morale
della popolazione civile). In realtà, come detto sopra, entrambe le
versioni probabilmente sbagliano circa
le motivazioni dell’attacco aereo: con ogni probabilità l’attacco al Genova rientrò nella tragica casistica
dei “targets of opportunity”. Da una parte si deve rilevare che la supposizione
che i battelli potessero essere impiegati per trasportare truppe non era del tutto
infondata (proprio nell’autunno 1944, infatti, il piroscafo a ruote Lariano
venne lungamente impiegato per trasportare truppe sul Lago di Como), dall’altra
non si può non notare la totale noncuranza nei confronti delle vittime civili
che simili attacchi avrebbero quasi sicuramente comportato (e che infatti
comportarono svariate volte).
Intorno alle 15 del
25 settembre (per altra versione nel mattino di quel giorno) il Genova era in arrivo a Baveno, quando
venne attaccato da alcuni cacciabombardieri angloamericani – provenienti da
Intra, dove avevano sganciato un grappolo di bombe colpendo un gruppo di case
operaie detto “Il cassinone” e provocando nove vittime –, forse dei Republic
P-47 Thunderbolt (uno dei modelli più impiegati in questo genere di missioni),
oppure due Supermarine Spitfire britannici. I passeggeri del piroscafo
sentirono un rombo lontano, poi d’improvviso gli aerei furono sopra di loro,
scesero bassissimi sull’acqua e mitragliarono il Genova con proiettili esplosivi e perforanti, incendiandolo, uccidendo
il comandante Fornara e provocando numerose vittime e feriti tra i passeggeri e
l’equipaggio. Il mitragliamento si protrasse per un quarto d’ora; Guglielmo
Morlotti, membro dell’equipaggio (era controllore), si mise in salvo
rifugiandosi alla base del fumaiolo, strisciandogli intorno prono per non
essere colpito, ma fu ugualmente ferito in varie parti del corpo dalle schegge
proiettate dalle scialuppe colpite (e passò poi tre mesi in ospedale a Baveno,
nel Grand Hotel).
La passeggera Anna
Tropea Buoninsegni, che al momento dell’attacco si trovava nella sala del
piroscafo insieme ai suoi due figli di 6 e 10 anni, strinse a sé i suoi bambini
e si gettò sotto un tavolo: rimasero tutti e tre incolumi, ma quando si
rialzarono si trovarono circondati da un lago di sangue.
Il ponte del
piroscafo era cosparso di morti e feriti; uno dei figli di Anna Tropea
Buoninsegni, mentre cercavano di uscire in coperta, gridava “Mamma, mamma, non
calpestiamo i morti”. La confusione era generale, la gente si accalcava sul
ponte, amici e parenti si cercavano spesso senza risultato.
Le fiamme levatesi in
più punti diedero vita ad un violento incendio che non si riuscì a domare,
mentre qualcuno gridò “Stanno per scoppiare le macchine!”.
Il macchinista del Genova era rimasto ferito, mentre il
timoniere, rifugiatosi a poppa durante il mitragliamento, riuscì poi a portare
il battello, gravemente danneggiato ed in fiamme, sino al pontile, sbarcando feriti
(che furono portati nel Grand Hotel di Baveno, trasformato in ospedale
militare) e superstiti. La nave fu tirata verso la riva anche usando delle
corde.
Poi uomini della
Marina Nazionale Repubblicana (la Marina della RSI) disormeggiarono il
piroscafo, avvolto dalle fiamme e senza più nessuno a bordo, e lo portarono al largo,
temendo che le caldaie sarebbero scoppiate (le autorità avevano infatti
ordinato che la nave venisse rimorchiata al largo non appena fosse terminata la
rimozione di morti e feriti). Il battello bruciò per poco tempo a poca distanza
dalla riva, poi le caldaie scoppiarono ed il Genova impennò la prua ed affondò a 400 metri dalla riva, su un
fondale di 14 metri. I morti furono 34, tutti civili: tre membri
dell’equipaggio (il comandante Fornara, il marinaio Giovanni Tarazza e l’aiuto
motorista Pio Pirali) e 31 passeggeri. Tra l’equipaggio rimasero feriti il
controllore Guglielmo Morlotti, il macchinista Giuseppe Mobiglia, l’assistente
bigliettaio Ettore Monferrini, il timoniere Luigi Zaninetta ed il manovale
Pietro Vesco.
Il Genova in fiamme ed in procinto di affondare il 25 settembre 1944 (foto tratta da “Memorie di un conflitto (1940-1945)” edito dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Laveno Mombello/Edizioni Marwan, 1995, a cura di Giuseppe Musumeci)
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Volle la sorte che di
lì a meno di ventiquattr’ore anche i due gemelli del Genova lo raggiungessero sul fondo del lago: nel pomeriggio dello
stesso 25 settembre fu infatti affondato a Luino il Torino, mentre l’indomani il Milano
venne incendiato ed affondato al largo di Intra. Per altrettanto singolare
coincidenza, i tre piroscafi gemelli furono anche le uniche unità della
numerosa flotta del Verbano ad andare perdute durante la guerra.
Terminato il
conflitto, le prime due nuove motonavi costruite dalla Navigazione Lago
Maggiore ricevettero i nomi di Genova
e Milano, a ricordo dei due battelli
perduti.
Non è chiaro cosa sia
stato del relitto del Genova: per una
versione si troverebbe tuttora laddove venne affondato, davanti a Baveno o tra
Stresa e Santa Caterina (ma appare strano che non vi sia alcuna notizia su un
relitto che giaccia ad una profondità così ridotta), per un’altra venne
successivamente riportato a galla e demolito.
Il 7 maggio 1959 la
tragedia del Genova e del Milano venne commemorata con il lancio
di una corona di fiori proprio dal Torino,
alla presenza del capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Pecori
Giraldi, di altri nove ammiragli e di una rappresentanza della Marina, oltre
che di sindaci, autorità e popolazione rivierasca, compresi anche alcuni
superstiti di quei tragici eventi, tra cui Anna Tropea Buoninsegni, che narrò
la sua storia.
Il 9 ottobre 1984, a
quarant’anni dall’affondamento, si tenne una nuova commemorazione: di nuovo il Torino, antico gemello e compagno di
sventura di Milano e Genova, imbarcò rappresentanze delle
autorità civili e religiose e del personale NLM, i parenti dei membri
dell’equipaggio deceduti sui due battelli ed altre persone, e depose due corone
di fiori sui luoghi dell’affondamento dei due piroscafi. In entrambi i casi
venne impartita una benedizione, e fu celebrata una messa di suffragio a bordo
della nave. Nella stessa occasione fu realizzata ad Arona, nella sede della
Navigazione Lago Maggiore, una targa in memoria dei cinque uomini della
Navigazione periti sul Genova e sul Milano.
Attualmente il
drammatico affondamento del Genova
viene commemorato annualmente esclusivamente da esponenti di gruppi di estrema
destra (Federazione del Movimento Nazionalpopolare, Federazione raggruppamento
nazionale combattimenti e reduci della RSI, Associazione nazionale famiglie
caduti e dispersi RSI), con il lancio di una corona d’alloro nelle acque del
lago, nel punto dove la nave fu affondata.
Si ringrazia la Navigazione Lago
Maggiore.
non dimentichiamo i mitragliamenti dei cortei funebri da parte del'aviazione alleata e il "calcolato" mancato aiuto ai partigiani della Repubblica Ossolana nell'ottobre 1944 quando le truppe nazifasciste forti di mezzi corazzati pronte ad assalire la valle erano un facile obiettivo per un'aviazione che aveva la supremazia assoluta dei ci
RispondiEliminaeli.Vergogna! Silvio Emilio CAVALLI
Il battello Genova è stato sicuramente recuperato, avevo circa 8 - 10 anni ed ero presente quando avvenne. Èstato un recupero molto difficile avvenne in due distinte operazioni, la prima con l'ausilio di cassoni
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