venerdì 11 marzo 2016

Rovereto

La nave sotto il precedente nome di Yalou (da www.marine-marchande.net)

Piroscafo da carico da 8564 tsl, 5381 tsn, 10.400 tpl e 16.535 tonnellate di dislocamento, lungo 149,4 metri, largo 17,75 e pescante 8,6, con velocità di 12,5 nodi. Ex francese Yalou (una delle decine di navi mercantili francesi cedute ad Italia e Germania con gli accordi Laval-Kaufmann del gennaio 1943), dato in gestione alla società Oriens di Trieste ed iscritto a quel Compartimento Marittimo con matricola 6/F.

Breve e parziale cronologia.

1914
Costruito nei cantieri Weser Aktien Gesellschaft di Brema come Raimund (numero di cantiere 200) per la Roland Linie – Globus Reederei di Brema.
Per i successivi sei anni, a causa della prima guerra mondiale, resterà immobile in porto.

Una foto del Raimund (da www.nils-seefahrt.de

21 luglio 1920
Dopo la fine della guerra, il Raimund (che non ha mai navigato dopo il suo completamento, a causa della guerra) viene trasferito dalla Germania alla Francia come riparazione dei danni di guerra. Diviene di proprietà della Compagnie des Messageries Maritimes di Parigi, che lo ribattezza Yalou, registrandolo a Dunkerque e ponendolo in servizio sulla linea Nord Europa-Estremo Oriente. Stazza lorda e netta risultano essere 8597 tsl e 5499 tsn (poi 8676 tsl e 5421 tsn, dal 1932, e 8564 tsl e 5381 tsn dal 1934).
30 luglio 1928
Lo Yalou entra in collisione con il piroscafo britannico Bedeway nella Schelda, e dev’essere portato all’incaglio per non affondare completamente. Viene poi recuperato e riparato ad Anversa.

Tre immagini dello Yalou semiaffondato nella Schelda (da www.messageries-maritimes.org):




1930
Subisce lavori di modifica, con l’installazione di una turbina Bauer Wach (al posto dell’ormai antiquata macchina alternativa) e di un nuovo timone.
1934
I bruciatori delle caldaie vengono convertiti da carbone a nafta, riducendo il personale di macchina di 15 uomini.


Sopra, lo Yalou a Haipong, nell’aprile 1934 (g.c. Philippe Ramona, via www.messageries-maritimes.org) e sotto, a Saigon il 26 aprile 1935 (g.c. Albert-Jean Pund via www.messageries-maritimes.org)


1940
I bruciatori delle caldaie vengono nuovamente convertiti a carbone.
22 gennaio 1940
Lo Yalou arriva a Marsiglia dall’Indocina, con a bordo parte dei 20.000 lavoratori indocinesi (denominati «ouvriers non spécialisés», operai non specializzati) reclutati forzosamente dalle autorità coloniali francesi per essere impiegati in Francia durante la guerra. Il viaggio avviene in condizioni disumane; i lavoratori indocinesi sono stipati nelle stive, spesso assieme al bestiame imbarcato come riserva alimentare, in condizioni sanitarie precarie, trattenuti a bordo durante gli scali e talvolta persino frustati.
8-14 febbraio 1940
Salpa da Casablanca e raggiunge Brest con il convoglio KS 63 (14 mercantili francesi, un greco ed un britannico, senza scorta).
1° aprile 1940
Salpa da Brest con il convoglio 36 BS (nove mercantili francesi, due britannici ed un belga, scortati dal cacciatorpediniere Cyclone e dall’avviso Commandant Duboc, ambedue francesi).
2 aprile 1940
Il convoglio si disperde ed i mercantili dirigono ognuno verso la sua destinazione.
Agosto-ottobre 1940
Rimane a Saigon.
Aprile 1941
Dopo aver trascorso un periodo in Madagascar, rientra a Marsiglia e viene qui posto in disarmo.
Dicembre 1942
Sequestrato a Marsiglia dalle forze dell’Asse, a seguito dell’occupazione italo-tedesca della Francia di Vichy, viene trasferito all’Italia, ribattezzato Rovereto ed affidato alla società Oriens (cioè al Lloyd Triestino).
 
Lo Yalou a Dunkerque nel gennaio 1937 (g.c. Philippe Lemaire via www.messageries-maritimes.org

L'affondamento

Anche il Rovereto, come molti piroscafi ex francesi, non vide la fine del suo primo viaggio verso la Tunisia.
Alle 3.20 del 5 aprile 1943 la nave, al comando del quarantanovenne capitano di lungo corso Oscar Suttora e con a bordo 117 o 130 uomini (tra equipaggio e militari italiani e tedeschi, compreso personale militare tedesco addetto all’armamento contraereo) ed un consistente carico di rifornimenti di ogni genere, che comprendeva un grosso quantitativo di munizioni, salpò da Napoli per Biserta in convoglio con i piroscafi tedeschi Carbet e San Diego e l’italiano Caserta, tutti ex francesi. La scorta era piuttosto numerosa, consistendo nelle torpediniere Perseo (capitano di corvetta Saverio Marotta; a bordo vi era anche il comandante superiore in mare, capitano di fregata Ernesto Pellegrini), Orione (capitano di corvetta Luigi Colavolpe), Pallade (capitano di corvetta Antonio Giungi) e Libra (capitano di corvetta Gustavo Lovatelli) alle quali, alle 16.15 dello stesso 5 aprile, si unirono il vecchio cacciatorpediniere Augusto Riboty (tenente di vascello di complemento Nicola Ferrone) e la torpediniera Clio (capitano di corvetta Carlo Brambilla), uscite da Messina.
Subito dopo la partenza, il Caserta ebbe un’avaria al timone, non riparabile in mare, che lo costrinse a tornare in porto. Alle 2.30 del 6 aprile il Carbet, scortato dal Riboty, si separò dal convoglio e fece rotta per Trapani, dove giunse alle 9.30 di quel giorno.
Le rimanenti sette navi proseguirono verso Biserta.
Già il 5 aprile "ULTRA" aveva scoperto, tramite le sue decrittazioni, che Rovereto, San Diego e Caserta sarebbero giunti a Biserta (i primi due) e Tunisi (il terzo) in breve tempo. Questa informazione, di per sé insufficiente a pianificare un attacco, venne però arricchita l’indomani da nuove decrittazioni: i britannici vennero così a sapere che Rovereto, San Diego e Caserta erano partiti dal Golfo di Napoli intorno alle tre di notte del 5 aprile, a dieci nodi di velocità, e che all’1.30 del 6, 15 miglia a nordovest di Trapani, il Caserta si sarebbe separato da loro per raggiungere tale porto, mentre gli altri due piroscafi avrebbero dovuto raggiungere Biserta alle 15.30 dello stesso giorno.
La maggior parte del viaggio trascorse senza intoppi; quando le navi giunsero in vista dell’isola di Zembra, venne avvistata l'anziana torpediniera Enrico Cosenz (tenente di vascello Alessandro Senzi), salpata da Biserta e mandata incontro al convoglio per pilotarlo sulla rotta di sicurezza di Zembra, che il convoglio aveva appena imboccato. In quel momento – erano le 9.25 – sopraggiunsero 18 bombardieri angloamericani, che vennero ingaggiati dai caccia della Luftwaffe che costituivano la scorta aerea del convoglio. Nel combattimento tra gli aerei, uno dei velivoli tedeschi venne abbattuto; le navi del convoglio uscirono però indenni dalla pioggia di bombe sganciate dagli aerei avversari. Alle 9.54 la Cosenz raggiunse il convoglio.
Alle 11.10 l'attacco venne replicato, sempre da parte di 18 bombardieri; la Perseo richiamò ripetutamente sul posto i caccia tedeschi, ma questi non poterono intervenire, perché a loro volta assaliti da aerei nemici tra Tunisi e Biserta. Anche questo bombardamento venne superato senza danni; ma non sarebbe durata per sempre.
Alle 17.17, al largo di Capo Zebib, ebbe inizio il terzo attacco aereo: il convoglio aveva appena accostato in direzione di Biserta – era l’ultima accostata da compiere durante la navigazione – quando vennero avvistati 22 quadrimotori che volavano in formazione a 3000 metri di quota, con rotta perpendicolare a quella del convoglio. Erano bombardieri statunitensi Boeing B-17, le famose “fortezze volanti”. I sei caccia che formavano in quel momento la scorta aerea tentarono di intercettare gli aerei Alleati, ma invano.
La prima ondata di bombardieri non fece danni, ma la seconda colpì sia il Rovereto che il San Diego. Mentre quest’ultimo venne colpito a prua, con incendio a bordo, il Rovereto venne centrato in pieno dalle bombe ed eruppe in una spaventosa esplosione, otto miglia ad est di Biserta.
La Clio e la Cosenz recuperarono i pochi naufraghi. 
L'Orione venne mandata a Biserta per chiedere mezzi di salvataggio (vi arrivò alle 18.20 e da quel porto uscirono i rimorchiatori Tebessa e Gabes, rispettivamente tedesco e francese, per tentare un rimorchio del San Diego), mentre Perseo, Pallade e Libra si avvicinarono al San Diego per prestare assistenza, ma dovettero rinunciarvi per il dilagare dell'incendio su questa nave, che costrinse l'equipaggio ad abbandonarla (il piroscafo esplose alle 19.27; tutti i 125 uomini a bordo lo avevano già abbandonato e furono tratti in salvo dalla scorta).
Le torpediniere raggiunsero Biserta tra le 20.10 e le 21.35 del 6 aprile; i naufraghi dei due piroscafi vennero portati nei bunker di La Carière, dove ricevettero le prime cure.
 
La fine del Rovereto, vista dalla Cosenz (g.c. Guglielmo Lepre)

Secondo il diario di Supermarina, soltanto dodici naufraghi del Rovereto (sei italiani e sei tedeschi) vennero tratti in salvo; uno di questi, un marinaio italiano, morì per le ferite riportate il 22 aprile. Il diario del «Seetransportstelle Bizerta» annotò invece (il 7 aprile) di 26 sopravvissuti recuperati, di cui 25 membri dell’equipaggio ed un militare addetto alle armi antiaeree.
Le vittime furono in tutto 45 membri dell'equipaggio, tutti italiani (compreso il comandante Suttora, che in precedenza era sopravvissuto all'affondamento della motonave Carlo Del Greco), e 60 militari italiani e tedeschi di passaggio od addetti alle armi di bordo.
 
Le vittime tra l'equipaggio civile:
(si ringraziano Carlo Di Nitto e Giancarlo Covolo)
 
Francesco Arienzo, carbonaio, da Resina
Antonio Barichieich, marinaio, da San Pietro dei Nembi
Luca Berardo, garzone di cucina, da Torre del Greco
Antonio Bericelli, marinaio, da Lussingrande
Arnaldo Bisaccioni, ufficiale radiotelegrafista, da Ruta
Salvatore Boellis, cuoco, da Gallipoli
Vincenzo Boriello, garzone, da Torre del Greco
Ciro Bozza, mozzo, da Torre del Greco
Carlo Bruni, fuochista, da Grottammare
Pierino Bruno, ufficiale di coperta, da Acqui
Angelo Castrignano, carbonaio, da Monopoli
Amedeo Corradino, capo fuochista, da Bonassola
Gabriele D'Alessio, sguattero, da Aversa
Costantino De Budas, marinaio, da Porto Torres
Melchiorre De Marni (o De Martino), cambusiere, da Meta
Luigi Di Cristo, mozzo, da Torre del Greco
Giuseppe Di Donna, fuochista, da Torre del Greco
Salvatore Fallica, ufficiale di macchina, da Catania
Domenico Fragalà, marinaio, da Venezia
Francesco Gargiulo, operaio, da Torre del Greco
Marco Maiorana, carbonaio, da Ercolano
Nicola Matarese, cameriere, da Torre del Greco
Giuseppe Minutolo, marinaio, da Resina
Andrea Montella, ufficiale di macchina, da Resina
Aldo Muradori, cameriere, da Trieste
Alberto Nedoclan (o Nodoclan), secondo ufficiale di macchina, da Zara
Silvio Ombres, giovanotto, da Napoli
Francesco Palladino, ingrassatore, da Torre del Greco
Vito Palomba, fuochista, da Mazara del Vallo
Raimondo Picot, marinaio, da Albona
Luigi Poderoso, giovanotto, da Sorrento
Nicola Polese, ufficiale di coperta, da Torre del Greco
Domenico Pollino, marinaio, da Resina
Giovanni Raicovi (o Rascovi), marinaio, da Albona (o Arsia)
Francesco Ricciuto, fuochista, da Portici
Raffaele Ritano, fuochista, da Torre del Greco
Silvio Rolla, nostromo, da Ameglia
Duilio Rosetti, ingrassatore, da Chioggia
Francesco Simonetti, ufficiale di coperta, da Camogli
Oscar Suttora, comandante, da Campeche
Amedeo Tafuri, cuoco, da Gallipoli
Alfredo Talin, carpentiere, da Arcola
Umberto Vigna, ingrassatore, da Trieste
 
"ULTRA" apprese da sé, con le solite decrittazioni, del proprio successo. I comandi navali tedeschi conclusero che le traversate verso la Tunisia, ormai, potevano essere compiute con successo solo da mercantili veloci dotati di forte scorta di aerei da caccia.
 
Lo Yalou a Diego Suarez il 12-13 gennaio 1941 (foto Pierre Pouyade, via Michel Touin e www.messageries-maritimes.org)


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