Torpediniera della
classe Spica tipo Alcione (dislocamento standard di 670 tonnellate, in carico
normale 975 tonnellate, a pieno carico 1050 tonnellate).
Nel suo breve
servizio bellico – fu la prima di 23 navi della sua classe ad essere affondate
in guerra – fu inizialmente adibita a compiti di posa di mine, vigilanza e
caccia antisommergibile nelle acque della Sicilia, e successivamente anche alla
scorta di convogli in navigazione tra l’Italia e Tripoli e Bengasi.
Breve e parziale cronologia.
29 ottobre 1936
Impostazione nei
cantieri Ansaldo di Sestri Ponente.
14 marzo 1938
Varo nei cantieri
Ansaldo di Sestri Ponente.
1° luglio 1938
Entrata in servizio.
Dopo un periodo di addestramento in Alto Tirreno, viene assegnata alla I
Squadriglia Torpediniere, alle dipendenze della Divisione Scuola Comando di
Augusta.
7-9 aprile 1939
L’Ariel, inquadrata nel IV Gruppo Navale
(al comando dell’ammiraglio di divisione Oscar Di Giamberardino) insieme agli
incrociatori leggeri Luigi di Savoia
Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi, ai cacciatorpediniere Freccia e Baleno, alle gemelle Alcione, Airone ed Aretusa,
alle navi cisterna-sbarco Scrivia e Sesia, alla cisterna Garda, al trasporto Asmara ed alla motonave Marin Sanudo, partecipa all’occupazione di Santi Quaranta durante
le operazioni per l’invasione dell’Albania (Operazione «OMT»).
1939
Assume il comando
dell’Ariel il tenente di vascello
Corrado Del Greco.
Il tenente di vascello Corrado Del Greco (da www.movm.it) |
Maggio 1940
Assume il comando
dell’Ariel, al posto di Del Greco, il
tenente di vascello Mario Ruta.
8 giugno 1940
Airone ed Ariel posano un
campo minato (50 mine) al largo di Capo Granitola. Il giorno seguente il
piccolo piroscafo Angiulin, in
navigazione in zona, finirà accidentalmente su questo campo minato (o su un
altro posato in prossimità dall’Alcione
e dall’Aretusa), affondando con tutto
l’equipaggio.
10 giugno 1940
All’entrata in guerra
dell’Italia, l’Ariel forma con le
gemelle Alcione, Airone ed Aretusa la I
Squadriglia Torpediniere, di base a Messina.
11 giugno 1940
Ariel
ed Airone salpano da Trapani alle 18 scortando
il posamine ausiliario (ex traghetto ferroviario) Scilla (capitano di fregata Menini), incaricato di posare gli
sbarramenti di mine «1 AS» e «1 AS bis» tra la Sicilia e Pantelleria. Le tre
navi escono dal porto in linea di fila, con Airone
in testa, Scilla al centro ed Ariel in coda; dopo aver percorso le
rotte di sicurezza a 14 nodi, alle 21.07 (giunte al largo di Capo Granitola,
con rotta vera 217°) dirigono per Pantelleria. Stabilita la posizione alle
23.57, raggiungono l’estremità sudoccidentale dello sbarramento, riducendo la
velocità a 12 nodi a mezzanotte. Ariel
ed Airone si posizionano ai lati
dello Scilla.
12 giugno 1940
Lo Scilla inizia la posa delle 400 mine che
ha a bordo alle 00.25, completandola alle 2.15; lo sbarramento è delimitato dai
meridiani 36°55’ N e 37°10’,7 N e dai paralleli 12°05’,3 E e 12°24’,1 E. Appena
terminata la posa, le tre navi si rimettono in rotta verso Capo Granitola
(rotta vera 36°) con una velocità di 14 nodi, sempre in linea di fila. Giunte
presso il capo alle 3.57, imboccano la rotta di sicurezza per Trapani ed
arrivano qui alle 7.30.
6 giugno-10 luglio 1940
L’Ariel, insieme alle gemelle Andromeda, Alcione, Aldebaran, Airone ed Aretusa ed al posamine ausiliario Adriatico, partecipa alla posa di numerosi campi minati nelle acque
della Sicilia: due sbarramenti antinave ed uno antisommergibile, tutti di 45
mine tipo Elia o tipo Bollo, a nord di Trapani; uno antinave di 50 mine e due
antisommergibile (uno di 45 mine e l’altro di 50) tra Marittimo e Levanzo; e
due sbarramenti antisom di 50 mine ciascuno tra Marettimo e Favignana, tutti
con mine tipo Elia o tipo Bollo (insieme, di volta in volta, alle torpediniere
ed Ariel).
29 luglio 1940
Ariel,
Alcione, Airone ed Aretusa
assumono a Messina la scorta di un convoglio (trasporti truppe Marco Polo, incrociatori ausiliari Città di Palermo e Città di Napoli) in navigazione da Napoli a Bengasi, nell’ambito
dell’operazione «Trasporto Veloce Lento», sostituendo la III Squadriglia
Torpediniere (Circe, Clio, Climene e Centauro).
A supporto
dell’operazione prendono il mare gli incrociatori pesanti Pola, Zara, Fiume, Gorizia e Trento, gli
incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano,
Alberto Di Giussano, Eugenio di Savoia, Muzio Attendolo, Raimondo Montecuccoli e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi ed i
cacciatorpediniere delle Squadriglie IX (Vittorio
Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci), XII (Lanciere,
Carabiniere, Ascari, Corazziere), XIII
(Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino) e XIV (Antonio Pigafetta, Lanzerotto
Malocello e Nicolò Zeno).
31 luglio 1940
Il convoglio
raggiunge Bengasi.
5 settembre 1940
Ariel
(tenente di vascello Mario Ruta), Alcione
(tenente di vascello Luigi Bonatti), Altair
(caposquadriglia, capitano di fregata Adone Del Cima) ed Aretusa (tenente di vascello Mario Castelli della Vinca) salpano da
Augusta alle 18.40, per effettuare la posa del primo sbarramento di mine
offensivo al largo di Malta, pensato per ostacolare l’invio di convogli di
rifornimento all’isola. Ognuna delle torpediniere ha a bordo 28 mine tipo E 1.
Ariel
ed Altair formano la prima sezione, Alcione ed Aretusa la seconda. Una volta in franchia delle ostruzioni, le
quattro torpediniere si dispongono in linea di fila e dirigono dapprima per il
vertice del settore di avvicinamento di Capo Passero e poi (a 23 nodi) verso il
punto prestabilito «E», dove giungono alle 21.17; qui riducono la velocità a 16
nodi e dirigono verso il punto prestabilito «F», dove arrivano alle 23.04. Qui
il caposquadriglia Del Cima distacca Alcione
ed Aretusa per eseguire la posa della
loro parte di campo minato (nella zona indicata come «M 1»), mentre Altair ed Ariel proseguono senza cambiare rotta e velocità (rispettivamente
149,5° e 16 nodi) verso il punto prestabilito «Alfa 1» della zona designata «M
2» (lunga nove miglia e larga 3, a sudest di Malta). Alle 23.42, in direzione
di Malta (a dritta delle navi), si accende un proiettore, diretto verso Alcione ed Aretusa, cui alle 24 se ne aggiunge un altro, nella medesima
direzione ma puntato verso Ariel ed Altair. I proiettori cercano
insistentemente nella direzione delle torpediniere, muovendosi a tratti con
lentezza ed a tratti con rapidità, ma soffermandosi solo per pochi minuti nella
loro direzione; si spegneranno solo alle 00.31.
6 settembre 1940
Alle 00.07 vengono
avvistate anche le sorgenti luminose dei due fasci di proiettori; in questo
momento Ariel ed Altair si trovano in posizione 35°48’,5 N e 14°52’,5 E. Alle 00.26
le due torpediniere dirigono verso il punto «Alfa 1», alle 00.40 riducono la
velocità a 8 nodi (velocità prescritta per la posa) ed alle 00.48 giungono nel
punto «Alfa 1». Qui l’Altair dà all’Ariel libertà di manovra, così che possa
posare le sue mine nella parte nordorientale della zona «M 2». Le mine vengono
posate a grappoli, con rotte varie e serpeggianti; la profondità delle mine è
di quattro metri, la distanza tra ciascun grappolo non è minore di 700 metri, e
quella delle singole mine di ogni grappolo è di 60-80 metri. Mancando il
solcometro, per misurare il percorso compiuto si contano i giri delle eliche
rilevati dal contatore continuo. Grazie anche a mare e vento calmi ed alla
buona visibilità, l’operazione si svolge senza intoppi.
Terminata la posa, l’Ariel si ricongiunge con l’Altair alle 5.42, ed alle 5.55 le due
navi ritornano nel punto «E», dove assumono rotta nord e – dopo aver chiesto al
semaforo di Cozzo Spadaro se Alcione
ed Aretusa siano già tornate ad
Augusta, ottenendo risposta positiva – imboccano le rotte costiere di sicurezza
per rientrare ad Augusta, dove arrivano alle 8.28.
L’Ariel a Taranto nel 1939 (da “Le torpediniere italiane 1881-1964” dell’USMM, 2° edizione, Roma 1974, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net)
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Attacco notturno
Tra le 20 e le 20.30
dell’11 ottobre 1940 l’Ariel, al
comando del tenente di vascello Mario Ruta, salpò da Augusta insieme alle
gemelle Airone (caposquadriglia,
capitano di corvetta Alberto Banfi) ed Alcione
(tenente di vascello Luigi Bonatti) della I Squadriglia Torpediniere, nonché ai
quattro cacciatorpediniere della XI Squadriglia Cacciatorpediniere (Aviere, Artigliere, Geniere e Camicia Nera).
Compito delle sette
siluranti era effettuare ricerca a rastrello a levante di Malta, alla
ricerca di unità britanniche.
Alle 8.45 dell’11
ottobre, infatti, un velivolo di linea italiano aveva avvistato 20 navi
britanniche (15 navi da guerra e 5 di tipo imprecisato) con rotta 220° (ma
all’arrivo dell’aereo avevano virato di 90° a dritta) in posizione 35°20’ N e
15°40’ O, a 65 miglia per 115° da (ad est-sudest di) Malta. Un’ora dopo
Superareo ne aveva informato Supermarina, che – nell’impossibilità di fare
uscire in mare le forze navali maggiori prima dell’indomani – aveva ordinato al
Comando Militare Marittimo della Sicilia (ammiraglio di divisione Pietro
Barone, con sede a Messina), cui era affidata l’operazione, di predisporre una
ricerca offensiva notturna mediante l’impiego di aerei per la ricognizione ed
unità sottili (cacciatorpediniere, torpediniere e MAS) per la ricerca del
contatto e l’eventuale attacco. Tra i vari provvedimenti disposti (ricognizioni
con aerei, invio dei MAS 512, 513 e 517 in agguato notturno al largo della Valletta, approntamento in
tre ore delle due squadre navali, messa in allarme delle difese di Taranto,
della Sicilia e della Libia, interruzione del traffico tra Italia e Libia) era
stato perciò deciso di mandare numerose siluranti a controllare e, se avessero
trovato unità avversarie, attaccare col favore della notte (oltre alla I
Squadriglia Torpediniere ed alla XI Squadriglia Cacciatorpediniere, avrebbe
preso il mare anche la VII Squadriglia Cacciatorpediniere – Freccia, Dardo, Saetta e Strale –, ma cercando sulla congiungente
Marettimo-Zembra, dove il passaggio era meno probabile). Nel giro di
ventiquattr’ore sarebbe stato possibile fare uscire le forze da battaglia da
Taranto, Augusta e Messina, per appoggiare l’azione notturna delle siluranti, o
sfruttarne gli eventuali risultati positivi.
Ciò che l’aereo di
linea italiano aveva avvistato era l’intera Mediterranean Fleet (le corazzate Valiant, Warspite, Ramillies e Malaya, le portaerei Eagle ed Illustrious, l’incrociatore pesante York, gli incrociatori leggeri Ajax,
Orion, Sydney, Liverpool e Gloucester ed i cacciatorpediniere Havock, Hasty, Hyperion, Hero, Hereward, Ilex, Jervis, Janus, Juno, Dainty, Defender, Decoy, Nubian, Vampire e Vendetta),
uscita in mare l’8 ottobre per fornire scorta a distanza ad un convoglio
diretto a Malta (l’«M.F. 3») ed ora, dopo l’arrivo in porto dei mercantili
(avvenuto l’11 ottobre), in attesa di assumere la scorta di tre piroscafi
scarichi (Aphis, Plumleaf e Volo, del
convoglio «M.F. 4») di ritorno ad Alessandria d’Egitto. Per ordine del
comandante della Mediterranean Fleet, ammiraglio Andrew Browne Cunningham, a
nord della squadra navale britannica era stato costituito uno ‘schermo’ di
incrociatori (le unità del 7th Cruiser Squadron: Ajax, Orion e Sydney), con
compiti di ricognizione, l’ultimo dei quali (il più a nord) era l’incrociatore
leggero Ajax, al comando del capitano
di vascello E. D. B. McCarthy, che procedeva a zig zag alla velocità di 17 nodi
una settantina di miglia a nord della formazione britannica ed ad altrettante
miglia da Malta. Le altre unità dello schermo erano l’incrociatore pesante York, gli incrociatori leggeri Orion e Sydney ed i cacciatorpediniere Nubian
e Mohawk; le navi procedevano in
linea di rilevamento, a notevole distanza l’una dall’altra.
I primi ricognitori
italiani, degli idrovolanti CANT Z. 501 delle Squadriglie 144a (di
base a Stagnone), 184a, 186a (di base entrambe ad
Augusta) e 189a (di base a Siracusa) della Regia Aeronautica,
decollarono nel primo pomeriggio dell’11 ottobre, quando il cielo – fino ad
allora coperto dalle nuvole, con scariche elettriche, forti raffiche di vento e
visibilità molto limitata, a causa di una perturbazione sul Mediterraneo
centrale iniziata il 9 ottobre – iniziò a rasserenarsi, permettendo un progressivo
miglioramento della visibilità. Il CANT Z. 501 decollato per primo da Stagnone
esplorò il settore più occidentale (tra il meridiano di Capo Bon ed il 13°
meridiano) ma non trovò nulla; altri due idrovolanti erano decollati da Augusta
sempre nel primo pomeriggio dell’11 e condussero una ricerca (distanziati di 30
miglia e con percorsi paralleli ed opposti) che andava da Malta al meridiano
22° E, ma di nuovo senza risultati; un quarto CANT Z. 501, decollato da
Siracusa ed assegnato all’esplorazione di un settore a sud ed ad est di Malta,
non vide nulla.
Le sette navi della I Squadriglia Torpediniere e della XI Squadriglia
Cacciatorpediniere, arrivate a mezzanotte dell’11 ottobre sul meridiano 16°40’
E (ad un centinaio di miglia da Malta), si irradiarono sul rastrello con base
28 miglia, disponendosi, da nord verso sud, nell’ordine Alcione, Airone, Ariel, Geniere, Aviere, Artigliere e Camicia Nera, procedendo affiancate ad una distanza di circa
quattro miglia l’una dall’altra, con un intervallo di otto miglia tra la I
Squadriglia Torpediniere (più a nord) e la XI Squadriglia Cacciatorpediniere
(più a sud). All’una di notte del 12 ottobre, terminato il posizionamento sul
rastrello, le sette siluranti iniziarono la ricerca. Le navi procedevano a 12 nodi
con rotta 270°, con direttrice della ricerca da est verso ovest. L’eccezionale
visibilità (grazie alla luce lunare da sudovest, che rendeva tale settore,
verso il quale si sviluppava la ricerca, molto luminoso) e la direttrice
avrebbero permesso alle navi italiane di individuare le unità nemiche nei loro
settori prodieri prima di essere viste a loro volta (le condizioni di luce
lunare erano particolarmente favorevoli alle torpediniere). La ricerca del
nemico si svolgeva a sud del parallelo di Malta, nell’area compresa tra i
paralleli 35°54’ N e 35°25’ N a partire dal meridiano 16°40’ E.
Contemporaneamente,
la Mediterranean Fleet procedeva a dodici nodi una cinquantina di miglia a
sudest di Malta, con rotta 90° (opposta a quella delle navi italiane); la linea
protettiva degli incrociatori era dispiegata in linea di rilevamento a nordest
del grosso della squadra britannica, con l’Ajax
posizionato esternamente verso nord. Ancora più a nord procedevano i tre
mercantili del convoglio salpato da Malta alle 22.30, diretti verso est e
scortati dagli incrociatori antiaerei Coventry
e Calcutta e dai cacciatorpediniere Stuart, Voyager, Wryneck e Waterhen.
Il tempo era
migliorato, con vento e mare da sudest forza 2-3 in diminuzione e cielo sereno.
La luna, rispetto alle navi italiane, si trovava alle spalle delle unità
britanniche, il che avrebbe facilitato il loro avvistamento.
All’1.37 del 12
ottobre, in piena notte (bene illuminata dalla luna – che tra un paio d’ore
sarebbe tramontata verso ovest-sudovest –, mancando solo quattro giorni alla
luna piena), l’Alcione avvistò a
circa 18.000 metri, 40° a sinistra della prua, la sagoma di una nave nemica che
procedeva su rotta opposta: era l’Ajax
(capitano di vascello Edward Desmond Bewley McCarthy), che procedeva a zig zag
a 17 nodi.
Ebbe così inizio la
manovra di attacco delle torpediniere. Dopo l’Alcione, che provvide a lanciare il segnale di scoperta per
radiosegnalatore (identificando correttamente la nave incontrata come un
“incrociatore tipo Orion”), l’Airone
avvistò l’Ajax all’1.42, mentre non è
noto con certezza l’orario in cui l’incrociatore venne avvistato dall’Ariel: con ogni probabilità, comunque,
ciò avvenne tra l’1.40 e l’1.50, dopo di che la nave accostò verso nordovest.
Le tre unità,
abbandonato il rastrello, misero la prua sull’incrociatore e conversero sul
bersaglio a 19 nodi di velocità, agendo per imitazione di manovra; avvicinatesi
all’Ajax (una di fronte ad esso e le
altre due ai lati dell’incrociatore, manovra d’attacco poi giudicata ben
eseguita) senza essere state avvistate (l’incrociatore era dotato di un radar,
ma era un apparato progettato per rilevare gli aerei, non le navi), serrarono
le distanze, cercarono di ottenere dei beta adatti al lancio e lanciarono i
loro siluri quasi simultaneamente. L’Alcione
ne lanciò due all’1.57, da 1800 metri di distanza, mentre l’Airone ne lanciò due alla stessa ora (da
2000 metri) ed altri due un minuto dopo, da soli 900 metri.
La morte della
maggior parte dell’equipaggio dell’Ariel,
invece, impedisce di avere informazioni precise su come si svolse il suo
attacco: in ogni caso, la torpediniera attaccò contemporaneamente alle due
gemelle e lanciò un solo siluro (Ruta aveva in realtà ordinato di lanciarne
due, ma poi venne aperto il fuoco e l’Ajax
colpì l’Ariel in plancia prima che
l’ordine potesse essere trasmesso a centro nave), sul lato dritto dell’Ajax (verso prua), da una distanza di un
migliaio di metri. Secondo una fonte, il siluro lanciato venne deviato dalla
scia dell’Airone.
Nessuno dei sette
siluri lanciati dalle torpediniere andò a segno: probabilmente avevano
sovrastimato la velocità dell’Ajax.
Inoltre l’incrociatore aveva avvistato l’Alcione
all’1.55 – all’ultimo momento – e, incerto circa l’identità del nuovo arrivato,
aveva effettuato il segnale di riconoscimento; non avendo ottenuto risposta, l’Ajax aveva accelerato (dapprima alla
massima velocità, poi ridotta a 25 nodi) e modificato continuamente la rotta,
il che aveva contribuito a vanificare i lanci.
La manovra di
avvicinamento ed attacco delle torpediniere era stata ben eseguita, ma aveva
contribuito a frustrarla, oltre alla contromanovra dell’Ajax, anche la disposizione dei tubi lanciasiluri sulle unità del
tipo Alcione della classe Spica:
sebbene fossero armate con quattro tubi lanciasiluri ciascuna, soltanto due per
lato potevano essere usati, così ne poterono essere lanciati soltanto cinque in
un primo momento (l’Ariel ne lanciò
solo uno perché colpita prima di poter lanciare il secondo) e subito dopo altri
due (perché l’Airone, dopo il primo
lancio, riuscì a virare in modo da usare anche i tubi dell’altro lato) invece
che dodici contemporaneamente, che avrebbero costituito una minaccia ben più
grave per l’Ajax.
Il comandante Banfi
dell’Airone, all’1.59, ordinò anche
di aprire il fuoco contro l’incrociatore, con i suoi pezzi da 100 mm; pochi
secondi dopo, anche Airone ed Ariel fecero lo stesso, in contemporanea
(secondo una versione, l’Ariel aprì
il fuoco prima ancora di lanciare il siluro, perché intanto l’Ajax aveva aperto il fuoco contro di essa).
Tale decisione fu coraggiosa, ma probabilmente imprudente: le torpediniere (o
per lo meno Airone ed Ariel) erano ancora troppo vicine all’Ajax, che avrebbe potuto facilmente
distruggerle con il tiro dei suoi cannoni, mentre le artiglierie delle unità della
classe Spica non avrebbero potuto arrecare danni gravi ad un incrociatore
leggero.
E questo fu
precisamente ciò che accadde. Dopo essere stato colpito da alcuni proiettili
dell’Airone (subendo perdite tra
l’equipaggio, ma danni non gravi) ed aver completato un’inversione di rotta, l’Ajax rispose al fuoco alle due di notte.
Nel volgere di pochi minuti, la caposquadriglia della I Squadriglia
Torpediniere venne ridotta ad un relitto galleggiante, carico di morti e
feriti.
Sorte ancor peggiore
toccò all’Ariel, che fece in tempo a
sparare solo due salve. La prima salva da 152 mm dell’Ajax (che avvistò l’Ariel
ancor prima dell’Airone, a dritta
della prua e con rotta opposta alla sua), sparata da 4000 metri di distanza (i
britannici stimarono invece 3660 metri), centrò la plancia della torpediniera,
facendo strage di chi vi si trovava e ferendo a morte il comandante Ruta; la
torpediniera rimase subito immobilizzata (aveva appena lanciato il siluro) e
l’incrociatore le riversò addosso un intensissimo fuoco con i pezzi secondari
da 102 mm. Le salve successive alla prima colpirono la nave in vari punti dello
scafo e delle sovrastrutture ma soprattutto in corrispondenza della linea di
galleggiamento (con ogni probabilità anche al di sotto, con conseguenti falle
ed allagamenti), decretandone così la rapida fine. L’Ariel continuò a sparare fino alla fine; affondò alle 2.05, in
posizione 35°37’ N e 14°62’ E, senza nemmeno che si sviluppassero degli incendi
a bordo (altra fonte invece parla di violento incendio ed esplosione di un
deposito munizioni, ma deve trattarsi di un errore).
Il comandante in
seconda, cui il moribondo comandante Ruta aveva trasferito il comando, affondò
con la nave.
Poco dopo, anche i
cacciatorpediniere della XI Squadriglia passarono all’attacco, ma non ebbero
miglior sorte delle torpediniere che li aveva preceduti. L’Ajax ormai era in allarme, e questa volta fu l’incrociatore ad
avvistare per primo le navi italiane ed aprire il fuoco: l’Artigliere venne subito ridotto in condizioni non molto migliori
dell’Airone, ed ebbe metà
dell’equipaggio morto o ferito (tra le vittime anche il comandante e
caposquadriglia della XI Squadriglia Cacciatorpediniere, capitano di vascello
Carlo Margottini); l’Aviere fu a sua
volta colpito e costretto a ritirarsi con gravi danni, 7 morti e 14 feriti a
bordo; Geniere e Camicia Nera interruppero presto l’azione. L’Ajax fu colpito altre quattro volte (dall’Artigliere), riportando alcuni altri danni non particolarmente
gravi.
Alle 3.06 l’Ajax informò l’ammiraglio Cunningham
dell’accaduto, e ricevette l’ordine di convergere verso il grosso insieme al
resto del 7th Cruiser Squadron.
Intanto (alle 3.03)
l’Alcione, unica scampata alla strage
della I Squadriglia, tornò sul luogo dell’attacco iniziale e trovò l’Airone ancora galleggiante, ma in fiamme
ed in procinto di affondare. Nell’avvicinarsi all’Airone, l’Alcione passò
presso il punto dove aveva visto l’Ariel
venire immobilizzata dal tiro dell’Ajax,
ma questa non c’era più: era già affondata da quasi un’ora. Dopo aver recuperato
72 naufraghi dell’Airone (che
s’inabissò alle 3.34), operazione che
richiese circa un’ora, l’Alcione
lasciò sul posto una motolancia e fece rotta per Augusta, dove giunse alle otto
del mattino.
Quattro ore dopo arrivarono in quel porto anche Aviere e Geniere, mentre
il Camicia Nera tornò sul luogo del
combattimento e prese a rimorchio l’Artigliere,
che ancora galleggiava. Alle sette del mattino, tuttavia, le due navi furono
attaccate da aerei e contemporaneamente videro unità nemiche profilarsi all’orizzonte:
erano il 3rd (York, Liverpool, Gloucester) ed il 7th Cruiser Squadron (Orion e Sydney, l’Ajax non era
invece tornato) più quattro cacciatorpediniere (tra cui il Nubian ed il Vampire),
informati da dei ricognitori della presenza in zona dei due cacciatorpediniere,
si erano avvicinati per distruggerli. Non potendo fare più nulla, il Camicia Nera dovette abbandonare il
rimorchio e ritirarsi a tutta forza in direzione di Augusta.
L’Artigliere venne finito
dall’incrociatore pesante York, affondando alle 9.05, mentre il Camicia Nera riuscì ad eludere
l’inseguimento della formazione britannica e raggiungere a sua volta Augusta,
poco prima di mezzogiorno.
Nel lasciare la zona,
le unità britanniche non raccolsero che una ventina dei naufraghi dell’Artigliere, temendo di essere altrimenti
attaccate da aerei durante il salvataggio (com’era successo qualche mese prima
dopo l’affondamento dell’incrociatore Colleoni);
lo York, tuttavia, comunicò in
chiaro, in italiano e su frequenze commerciali, la posizione dei superstiti
(«Naufraghi di cacciatorpediniere italiani posizione 35° 50' N 16° 22' E»,
messaggio lanciato alle 11.40).
A causa dei confusi
eventi della notte e della mattina, i naufraghi delle tre navi affondate si
erano venute a trovare tutti a poca distanza gli uni dagli altri, una novantina
di miglia ad est di Malta. Questo era accaduto perché Airone ed Ariel avevano
mantenuto rotte convergenti durante l’attacco all’Ajax, venendo così affondate a poca distanza l’una dall’altra, e l’Artigliere – che durante il rastrello si
trovava 16 miglia a sud dell’Ariel –
durante il combattimento aveva assunto rotta verso nord, finendo con l’essere
affondato nei pressi del punto di affondamento delle due torpediniere.
I sopravvissuti di Airone, Ariel ed Artigliere, più
di 150 in tutto, erano soli in mezzo al mare, parte sulle poche imbarcazioni
disponibili (la iole lasciata dall’Alcione
sul posto e la motobarca lasciata dal Camicia
Nera il mattino del 12, prima di allontanarsi), i più a bordo di zatterini
e battellini.
Il più alto in grado,
fra i naufraghi, era il comandante dell’Airone
e della I Squadriglia, capitano di corvetta Banfi, seriamente ferito ma
sopravvissuto all’affondamento della propria nave, e recuperato dalla iole
dell’Airone. Banfi assunse il comando
della flottiglia di natanti su cui erano imbarcati i naufraghi; ordinò alla
motobarca del Camicia Nera di
radunare tutti gli zatterini e battellini, per poi prenderli a rimorchio e
dirigere verso nordovest.
Si era in quel
momento nella prima mattina del 12 ottobre, e le informazioni disponibili a
Supermarina e Marina Messina erano ancora molto limitate: soltanto l’Alcione era già giunta in porto, con la
notizia che l’Airone era affondata ed
i sopravvissuti che aveva potuto recuperare, ma niente si sapeva dell’Ariel e nemmeno di cosa fosse successo
all’Artigliere dopo che il Camicia Nera era stato costretto ad
abbandonarlo. Durante la notte e la mattina erano arrivate solo comunicazioni
molto frammentarie dalle unità coinvolte, insufficienti a farsi un quadro
preciso della situazione.
Da Messina, alle otto
del mattino, vennero fatte uscire in mare la III Divisione Navale (incrociatori
pesanti Trento, Trieste e Bolzano) e la
XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (Ugolino
Vivaldi, Luca Tarigo ed Antonio Da Noli); alle 10.15, appreso
dalle intercettazioni che il Camicia Nera
non aveva più bisogno di aiuto e che per l’Artigliere
non c’era più nulla da fare, la III Divisione ridusse la velocità a 25 nodi, ed
a mezzogiorno le fu ordinato di rientrare.
Già prima che lo York comunicasse la posizione dei
naufraghi, Marina Messina aveva disposto una ricognizione aerea nel tratto di
mare dove aveva avuto luogo lo scontro, per cercare eventuali superstiti;
l’aereo incaricato della ricerca, l’idrovolante 189/2 della 189a
Squadriglia di Siracusa, decollò intorno a mezzogiorno per esplorare un settore
di 1600 miglia quadrate compreso tra i paralleli 35° 40' N e 36° 20' N ed i
meridiani 16° E e 16° 40' E (ottanta miglia ad est di Malta). Poco dopo, con
l’arrivo ad Augusta del Camicia Nera
e l’intercettazione del messaggio dello York,
Marina Messina comprese che l’Artigliere
doveva essere affondato e che il suo equipaggio era in mare, proprio nella zona
in cui era stato inviato l’idrovolante. Venne allora deciso di inviare sul
posto i MAS 547, 548 e 550 della XV
Squadriglia ed un altro idrovolante; quest’ultimo col compito individuare i
naufraghi e guidare i MAS sulla loro posizione. I MAS salparono da Augusta poco
dopo le 14, e l’idrovolante, il 184/8 della 184a Squadriglia,
decollò dalla stessa base poco prima delle 15.
Il tempo aveva
cominciato a peggiorare: si verificavano frequenti piovaschi, che riducevano di
molto la visibilità, e l’idrovolante della 189a Squadriglia, nella
sua prolungata esplorazione dell’area assegnata (tornò alla base alle 16.30),
avvistò delle chiazze di nafta, ma nessun naufrago, né rottami. Lo videro
invece, con ogni probabilità, i naufraghi stessi, che videro un aereo
sconosciuto nel pomeriggio del 12, molto lontano.
Andò anche peggio
all’idrovolante della 184a Squadriglia, che fu investito dai
piovaschi, non trovò niente (la visibilità era ulteriormente peggiorata) e
perse anche il contatto coi MAS, prima di tornare alla base. I MAS, dal canto
loro, erano stati avvistati ed attaccati da un idrovolante britannico Short
Sunderland, che li bombardò e li mitragliò senza risultato; dopo averlo
respinto col fuoco delle loro mitragliere, giunsero nella zona assegnata ed
arrivarono tanto vicini ai naufraghi che questi sentirono il rumore dei loro
motori, ma non riuscirono ad avvistarli, così come i MAS non riuscirono ad
avvistare i superstiti. Il mare era ora forza 4 ed in aumento, e dopo poco calò
il buio della sera: a notte inoltrata i MAS dovettero rientrare ad Augusta
(dove arrivarono all’una di notte del 13, dopo aver affrontato con difficoltà
una forte libecciata con mare al traverso). Per la seconda volta in poche ore i
naufraghi delle tre siluranti, dopo essere stati ad un passo dalla salvezza, si
ritrovavano soli a lottare contro gli elementi.
Il temporale scoppiato
nel tardo pomeriggio del 12 ottobre, infatti, aveva investito il gruppo dei
superstiti con grande violenza; i natanti vennero dispersi ed alcuni si
capovolsero, e molti naufraghi scomparvero in mare.
Verso l’alba del 13
ottobre, quando il tempo iniziò a migliorare, Banfi riunì di nuovo i natanti
superstiti e si rimise in rotta verso nordovest, alla misera velocità che una
motobarca gravata da rimorchio poteva fare.
Il mattino del 13
ottobre ripresero le ricerche aeree; i MAS erano in porto, pronti a salpare non
appena fosse stato comunicato un avvistamento. Alle 8.30 decollò da Augusta il
CANT Z. 184/9 della 184a Squadriglia, per esplorare la stessa zona
del giorno precedente, ed al contempo prese il volo dalla stessa base un CANT
Z. 506 della 170a Squadriglia.
Il 184/9 avvistò
finalmente qualcosa alle 11.30: un’imbarcazione con dei naufraghi a 50 miglia
per 130° da Capo Passero, allo spigolo nordoccidentale del settore di ricerca.
All’idrovolante fu ordinato di volare in cerchio attorno all’imbarcazione per
segnalarne la posizione ai MAS, che partirono subito da Augusta; Marina Messina
contattò subito anche il comando della 2a Squadra Aerea di Palermo,
richiedendo l’invio di un idrovolante di soccorso CANT Z. 506 da Siracusa. Ciò
fu fatto ma l’aereo, giunto nell’area indicata, non riuscì a trovare i
superstiti.
Intanto, invece, fu
il 170/7 a trovare qualcosa, segnalando un gruppo di zattere con naufraghi poco
lontano dall’avvistamento del 184/9. Il 170/7 era però giunto al limite
dell’autonomia, e doveva rientrare a breve; per questo la 184a e la
186a Squadriglia misero a disposizione altri due idrovolanti, il
186/4 (che decollò da Augusta alle 14.50 con l’ordine di esplorare la zona
segnalata e, in caso di avvistamento di naufraghi, tenersi sul loro cielo per
guidarvi i MAS) ed il 184/6 (il quale decollò da Augusta alle 15.20 con
l’incarico di tenersi in crociera fra il punto dell’ultima segnalazione del
gruppo di zattere e Malta, per preavvisare dell’eventuale arrivo di navi
nemiche dall’isola). Un altro CANT Z. 501, il 189/7 della 189a
Squadriglia, in volo da Tripoli ad Augusta, venne dirottato sul luogo dello
scontro per partecipare alle ricerche, ed in breve avvistò anch’esso dei
naufraghi nella stessa zona dei due precedenti avvistamenti, segnalandoli ai
MAS. Alle 15.10, l’Alcione lasciò
Augusta diretta a Capo Passero, per poi proseguire verso la zona dove si
trovavano i superstiti. La nave ospedale Aquileia,
in navigazione nel Mediterraneo centrale, ricevette da Supermarina l’ordine di passare
nella zona dello scontro, pur senza ricevere specifico ordine di raggiungere il
punto indicato dagli idrovolanti. Marina Messina richiese ancora a Supermarina,
che assentì, l’utilizzo della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (Vivaldi, Tarigo e Da Noli), che salpò
da Messina alle 18.30 per rastrellare, fino alle otto del mattino seguente, un
vasto settore attorno al punto di avvistamento delle zattere trovate
dall’idrovolante 189/7 (zona che i cacciatorpediniere raggiunsero a notte
fatta).
I primi a raggiungere
i naufraghi furono i MAS; per prima trovarono la iole dell’Alcione, poi l’idrovolante 184/6 li guidò fino agli altri natanti.
I naufraghi erano ormai in mare da 36 ore; ne erano rimasti in vita 137, che
furono tutti recuperati dai MAS. Dato che i tre fragili scafi erano ora
sovraccarichi, l’idrovolante 184/6 guidò verso di loro l’Alcione, che prese a bordo da essi una sessantina di sopravvissuti.
Fattasi sera, MAS ed Alcione si
misero in rotta verso Augusta, dove arrivarono alle 23.50; lo stesso fece il 184/6,
che ammarò alla base a notte fatta.
Durante la notte le
ricerche vennero proseguite dalla XIV Squadriglia Cacciatorpediniere, che (su
ordine di Supermarina) rastrellarono l’area fino alle 3.40, per poi tornare ad
Augusta alle otto senza aver trovato niente. Alle 7.15 del 14 ottobre, intanto,
decollarono da Augusta gli idrovolanti 184/3 e 186/1, che esplorarono la solita
zona; questa volta, però, trovarono solo zattere vuote, rottami e tre salme.
Alle nove arrivò ad
Augusta l’Aquileia; venne fatta ripartire
alle 10.30, con l’ordine di portarsi nel punto 80 miglia ad est di Gozo ed
effettuare ulteriori ricerche (ciò avvenne alle 18.15).
Alle 12.40
decollarono da Augusta il 184/9 ed il 186/4, che perlustrarono la metà
superiore della zona senza più trovare nessun naufrago in vita; soltanto
rottami, salvagenti in kapok, zatterini carley vuoti e tre gruppi di cadaveri,
con indosso i salvagente. Mentre tornavano alla base, gli idrovolanti videro
che l’Aquileia era giunta nei pressi,
ed aveva messo a mare le imbarcazioni. Appena giunta nel punto assegnato,
infatti, la nave ospedale aveva avvistato dei rottami, e recuperato cinque
cadaveri. Rimase in zona per tutta la notte, a lento moto, ma non avvistò
superstiti, né sentì grida di aiuto; all’alba avvistò altri rottami, altre
zattere ed un altro corpo senza vita.
Alle 7.40 del 15
ottobre decollò da Augusta l’idrovolante 186/4, che effettuò un’altra minuziosa
ricerca ma trovò soltanto zattere e rottami.
Alle 9.30 l’Aquileia, non avendo avvistato
sopravvissuti né ricevuto segnalazioni da aerei, si mise in navigazione per
tornare ad Augusta.
Alle 13 decollò da
Siracusa l’idrovolante 189/7; la sua accurata ricerca permise di nuovo di
trovare solo natanti, zattere e rottami. Avvistò anche un cadavere e, grazie al
miglioramento del tempo, poté ammarare nei suoi pressi, recuperando la
piastrina di riconoscimento.
Nell’evidenza che non
vi erano altri naufraghi da salvare, le ricerche vennero concluse. Durante tali
operazioni alcuni degli idrovolanti erano stati attaccati da aerei britannici
da caccia e ricognizione, ma erano sempre riusciti ad uscirne intatti.
I 137 naufraghi
recuperati dai MAS il 13 ottobre erano 82 superstiti dell’Artigliere, 41 dell’Ariel
e 12 dell’Airone, oltre a due marinai
del Camicia Nera rimasti a bordo
della motolancia quando la loro nave se n’era andata.
Compresi i naufraghi
già salvati dall’Alcione subito dopo
lo scontro e dal Camicia Nera prima
di lasciare l’Artigliere, vennero
recuperati in tutto 225 sopravvissuti, di cui 100 dell’Artigliere, 84 dell’Airone
e 41 dell’Ariel; circa metà di quanti
erano imbarcati sulle tre navi affondate.
Delle tre navi
affondate nello scontro, l’Ariel fu
quella che subì le perdite più pesanti in rapporto al totale degli uomini
imbarcati: di 139 uomini che componevano il suo equipaggio ne furono salvati
41, meno di un terzo. Morirono 7 ufficiali, 15 sottufficiali e 76 tra sottocapi
e marinai.
Per incredibile
coincidenza, morì nello stesso scontro anche il precedente comandante dell’Ariel, il tenente di vascello Corrado
Del Greco, ora Assistente di Squadriglia della XI Squadriglia
Cacciatorpediniere (imbarcato sull’Artigliere).
Sia a lui che al comandante Ruta venne conferita, alla memoria, la Medaglia
d’Oro al Valor Militare.
I caduti tra l’equipaggio dell’Ariel:
Vincenzo Accolla, marinaio, disperso
Vincenzo Agrillo, marinaio cannoniere,
disperso
Giovanni Albanese, marinaio, disperso
Corrado Avarino, marinaio cannoniere, disperso
Giovanni Balbiani, marinaio silurista,
disperso
Ciro Barone, marinaio, disperso
Michele Beltrami, marinaio cannoniere,
disperso
Giovanni Benzia, marinaio, disperso
Egidio Berchicci, marinaio fuochista, disperso
Fiorenzo Boi, secondo capo nocchiere, disperso
Matteo Bonaccurso, sottocapo meccanico,
disperso
Mario Bonau, capitano del Genio Navale,
deceduto
Massimo Braggio, sottotenente di vascello,
disperso
Giovanni Bruno, marinaio fuochista, disperso
Nicola Buono, marinaio fuochista, disperso
Ignazio Calì, sottocapo cannoniere, disperso
Evelino Calvetti, sottocapo torpediniere,
disperso
Antonio Calobbruni, marinaio cannoniere,
disperso
Vincenzo Campobasso, sottocapo furiere,
disperso
Francesco Cangiano, marinaio, disperso
Pasquale Caorsi, sottocapo cannoniere,
disperso
Domenico Cartisano, sergente nocchiere,
disperso
Mario Casanova, marinaio nocchiere, disperso
Giovanni Cecchini, marinaio, disperso
Bruno Cernigoi, marinaio fuochista, disperso
Emilio Colombo, marinaio, disperso
Antonino Costantino, sottocapo cannoniere,
disperso
Emilio D’Alò, marinaio silurista, disperso
Paolo Dall’Orso, sottotenente di vascello,
deceduto
Vittorio De Palma, marinaio S. D. T., disperso
Osvaldo Della Giusta, guardiamarina, deceduto
Vincenzo Di Pietro, marinaio furiere, disperso
Ettore Feletti, sergente cannoniere, disperso
Vittorio Finotti, sottocapo elettricista, disperso
Pasquale Franzese, secondo capo
radiotelegrafista, disperso
Eugenio Fullone, secondo capo segnalatore,
disperso)
Carmelo Gallano, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Gallo, marinaio fuochista, disperso
Carmine Gambardella, marinaio, disperso
Ateo Gaudino, marinaio cannoniere, disperso
Gaetano Geroli, sottocapo cannoniere, deceduto
Natale Graziano, sergente cannoniere, disperso
Domenico Iannello, marinaio fuochista,
disperso
Francesco Ielapi, sergente cannoniere,
disperso
Giovanni La Cava, capo meccanico di terza
classe, disperso
Carlo La Rosa, marinaio, disperso
Guglielmo Licini, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Lo Conte, marinaio, disperso
Antonio Loi, marinaio fuochista, disperso
Giuliano Longoni, aspirante guardiamarina,
disperso
Carmelo Lorenzi, marinaio fuochista, disperso
Alido Lori, marinaio elettricista, disperso
Pasquale Losito, marinaio fuochista, disperso
Severo Luciano, sottocapo cannoniere, disperso
Francesco Lupetin, marinaio fuochista,
disperso
Enzo Madrigali, marinaio radiotelegrafista,
disperso
Giuseppe Magri, capo meccanico di prima
classe, disperso
Pietro Marchetto, marinaio cannoniere,
disperso
Giovanni Masia, marinaio cannoniere, disperso
Rolando Masieri, secondo capo silurista,
disperso
Mario Mattana, marinaio cannoniere, disperso
Silvio Mazzola, marinaio fuochista, disperso
Euro Menini, sottotenente commissario,
disperso
Vincenzo Miceli, sottocapo cannoniere,
disperso
Santo Motta, marinaio, disperso
Vincenzo Muro, marinaio fuochista, disperso
Danillo Muzio, marinaio cannoniere, disperso
Francesco Ognissanti, marinaio silurista,
disperso
Giovanni Oresta, sottocapo elettricista,
disperso
Giordano Orsenigo, marinaio fuochista,
disperso
Luigi Palomba, marinaio, disperso
Aldo Pantaloni, secondo capo silurista,
disperso
Giuseppe Papagni, capo cannoniere di seconda
classe, disperso
Domenico Papaleo, marinaio cannoniere,
disperso
Mario Pari, marinaio torpediniere, disperso
Giuseppe Paternò, marinaio, disperso
Mario Patrone, marinaio fuochista, disperso
Marcello Pironi, sottocapo motorista, disperso
Francesco Quartara, marinaio
radiotelegrafista, disperso
Vincenzo Raneri, marinaio, disperso
Carlo Robello, sottocapo cannoniere, disperso
Alide Rosa, marinaio fuochista, disperso
Mario Ruta, tenente di vascello (comandante),
disperso
Vitantonio Santoro, marinaio fuochista,
disperso
Giuseppe Scimone, sottocapo S. D. T., disperso
Anselmo Semprini, marinaio, disperso
Giuseppe Serra, marinaio cannoniere, disperso
Michele Serreli, marinaio torpediniere,
disperso
Arnaldo Sibilli, capo meccanico di prima
classe, disperso
Alberto Soldani, marinaio radiotelegrafista,
disperso
Angelo Tomassi, sottocapo segnalatore,
disperso
Aldo Tonello, sergente meccanico, disperso
Giuseppe Tudisco, marinaio cannoniere,
disperso
Domenico Tulli, marinaio fuochista, disperso
Pietro Vigna, sottocapo infermiere, disperso
Emilio Visintin, marinaio cannoniere, disperso
Luigi Zavoli, marinaio fuochista, disperso
Bruno Zeni, sergente S. D. T., disperso
Il tenente di vascello Mario Ruta, comandante dell’Ariel scomparso con la sua nave (g.c. Giovanni Pinna) |
La motivazione della
Medaglia d’Oro al Valor Militare conferita alla memoria del tenente di vascello
Mario Ruta, nato a Napoli il 12 febbraio 1911:
“Comandante di
torpediniera, ne curò appassionatamente la preparazione, prodigando le sue
eccellenti doti di organizzatore e di animatore.
Durante una ricerca notturna in prossimità di base nemica, avvistato un
incrociatore inglese, con pronta ed ardita manovra si portò all'attacco
spingendosi a distanza ravvicinatissima, conscio del gravissimo rischio ma
deciso ad ottenere il più sicuro effetto delle sue armi.
Lanciati i siluri e aperto il tiro contro il nemico, la sua unità fu fatta
segno alla preponderante reazione del fuoco avversario ed egli cadde tra i
primi.
Mortalmente ferito, riuscì ancora a dare disposizioni perché l'azione fosse
continuata. Le estreme parole di sereno incitamento furono da lui pronunciate
mentre sotto i colpi del nemico affondava la sua nave, alla quale egli rimaneva
affidato per sempre.
Si chiudeva così gloriosamente una giovane vita tutta dedicata alla marina, ma
rimaneva il più luminoso esempio di fulgido eroismo.
Canale di Sicilia, 12 ottobre 1940.”
Un’altra immagine dell’Ariel scattata, con ogni probabilità, nella stessa occasione della precedente (Bollettino d’Archivio USMM) |
Radiotelegrafista Soldani Alberto disperso era mio zio ,aveva 19 anni ed era dell'Isola d'Elba di Rio Marina
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