Il Luca Tarigo in Mar Piccolo a Taranto nei primi anni Trenta (dal
libro “Nozioni generali sulla Marina”, Roma, Atena, 1939)
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Cacciatorpediniere,
già esploratore, della classe Navigatori (dislocamento standard 2125
tonnellate, 2760 in
carico normale, 2880 a
pieno carico). Fu la prima unità della sua classe ad essere completata; per
questo i Navigatori furono talvolta chiamati anche “classe Tarigo”.
In guerra svolse
principalmente attività di scorta ai convogli in navigazione tra l’Italia e la
Libia (specie sulla rotta da Napoli a Tripoli via Palermo), oltre che di posa di
mine (le quali provocarono la perdita di un cacciatorpediniere nemico ed il
grave danneggiamento di un altro); effettuò in tutto 30 missioni di guerra,
percorrendo 18.000 miglia nautiche.
Breve e parziale cronologia.
30 agosto 1927
Impostazione nei cantieri
Ansaldo di Sestri Ponente (Genova).
9 dicembre 1928
Varo nei cantieri
Ansaldo di Sestri Ponente.
Alle prove in mare
risulta il meno veloce della classe, raggiungendo “solo” i 38,43 nodi, con
dislocamento di 1950 tonnellate.
16 novembre 1929
Entrata in servizio.
Il periodo iniziale
di addestramento in mare aperto pone in rilievo i problemi di stabilità trasversale
della classe, ragion per cui il Tarigo
viene rimandato in cantiere e sottoposto al primo ciclo di grandi lavori di
modifica (consistenti soprattuto in riduzione ed alleggerimento delle
sovrastrutture) tesi ad aumentare la stabilità: la plancia viene modificata ed
abbassata, le due gambe laterali dell’albero a tripode vengono eliminate e così
pure i depositi di carburante sopra la linea di galleggiamento, così però
riducendo la capacità complessiva di serbatoi di oltre 100 tonnellate, e
conseguentemente anche l’autonomia. Vengono inoltre sostituiti il timone (per
migliorarne le carenti qualità evolutive) ed i tubi lanciasiluri (due impianti
binati da 533 mm, più leggeri, al posto dei due trinati composti ciascuno di
due tubi da 533 mm ed uno da 450 mm). Vengono inoltre installate due
mitragliere binate da 13,2/76 mm. Dopo le modifiche, i Navigatori risulteranno
delle eccellenti unità.
Tarigo, Pancaldo e Da Noli
fotografati durante una cerimonia il 23 marzo 1930 (g.c. Carlo Di Nitto)
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Ottobre 1930
Ultimazione dei
lavori di modifica. Il Tarigo viene
assegnato al 1° Gruppo della Divisione Leggera.
Dicembre 1930-marzo 1931
Il Tarigo è tra le unità adibite ad
appoggiare la crociera aerea transatlantica dall’Italia al Brasile di Italo
Balbo. Sono tutte unità della classe Navigatori: Tarigo, Nicoloso Da Recco
ed Ugolino Vivaldi, formano il I
Gruppo dislocato alle Canarie, per l’assistenza nella zona centrale
dell’Atlantico, mentre Leone Pancaldo,
Antonio Da Noli e Lanzerotto Malocello costituiscono II
Gruppo (dislocato a Pernambuco per l’assistenza nella zona americana
dell’Atlantico) ed Emanuele Pessagno ed
Antoniotto Usodimare il III
Gruppo (di competenza della parte africana dell’Atlantico).
Gli idrovolanti di
Balbo, undici Savoia Marchetti S. 55 (cui se ne aggiungeranno altri tre in
Africa), decollano da Orbetello il 17 dicembre, fanno tappa a Cartagena,
Kenitra, Villa Cisneros e Bolama e da qui decollano il 6 gennaio 1931, all’1.30
di notte, attraversando l’Atlantico e raggiungendo Porto Natal, in Brasile,
alle 19.30 dello stesso giorno, dopo 3000 km. In questa fase di verificano
varie avarie ed incidenti, che provocano la perdita di tre degli aerei. Dopo
aver fatto tappa a Bahia, gli S. 55 volano per altri 1400 km, arrivando infine
in formazione su Rio de Janeiro, davanti al Pan di Zucchero, alle 17 del 15
gennaio 1931, insieme agli esploratori di scorta, sotto gli occhi di un milione
di persone.
Il Tarigo, partito per tale missione il 1°
dicembre 1930, la conclude rientrando a Gaeta il 18 marzo 1931.
Primi anni Trenta
Impiegato insieme ai
gemelli, inquadrati nel Gruppo Esploratori.
8 dicembre 1931
Riceve a Genova la
bandiera di combattimento (offerte dalla città di Genova e dai paesi natali dei
navigatori cui le navi sono intitolate), insieme ai gemelli Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli, Antoniotto
Usodimare, Nicoloso Da Recco, Leone Pancaldo, Emanuele Pessagno e Lanzerotto
Malocello, nel corso di una grande cerimonia cui partecipa anche il
cardinale Carlo Dalmazio Minoretti. La bandiera di combattimento del Tarigo è offerta dal Comune di Genova.
Anni Trenta
Svolge intensa
attività con la Squadra Navale, prendendo parte a tutte le principali
esercitazioni e compiendo numerose esercitazioni in Mediterraneo, con scali in
diversi porti esteri.
Aprile 1932
Mentre il Tarigo è in navigazione con unità
similari da Portoferrario a Pozzuoli, con mare grosso, una violenta ondata
trascina in mare quattro uomini del gemello Da
Noli: il Tarigo mette a mare la
propria baleniera che, tra mille difficoltà, riesce a trarre in salvo i quattro
uomini.
1933-1934
Il Tarigo, al comando del capitano di
vascello Francesco Pirendio, è nave comando del 1° Gruppo della III Divisione
della 2a Squadra Navale.
22 aprile 1934
Il Tarigo, inquadrato nella I Squadriglia
Esploratori insieme ai gemelli Ugolino
Vivaldi, Antoniotto Usodimare ed Alvise Da Mosto, ed unitamente alla II
Squadriglia Esploratori (formata dai gemelli Lanzerotto Malocello, Nicoloso
Da Recco, Emanuele Pessagno e Giovanni Da Verrazzano) nonché alla IV
Squadriglia Cacciatorpediniere (Francesco
Crispi, Quintino Sella, Giovanni Nicotera, Bettino Ricasoli, Tigre, Francesco Nullo, Daniele Manin) ed al posamine Dardanelli,
presenzia alla cerimonia per la consegna della bandiera di combattimento agli
incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano,
Alberto Di Giussano, Giovanni delle Bande Nere, Bartolomeo Colleoni e Luigi Cadorna, nel bacino di San Marco a
Venezia.
Agosto 1936
Il Tarigo (capitano di fregata Armando
Squinobal) viene temporaneamente dislocato a Tangeri e, insieme al gemello Antonio Da Noli ed agli incrociatori
leggeri Muzio Attendolo e Giovanni
delle Bande Nere, segue a distanza i piroscafi Nereide ed Aniene,
partiti da Cagliari (dove sono giunti da La Spezia) e diretti l’uno a Melilla
(dove arriva nella notte del 13-14 agosto) e l’altro a Vigo (dove arriva il 27
agosto), con a bordo un gruppo di aerei da caccia FIAT CR. 32 della Regia Aeronautica (12 sul Nereide e 9 sull’Aniene) ed alcuni carri leggeri Ansaldo L. 3/35 (cinque, a bordo
dell’Aniene), carburante, munizioni,
parti di ricambio e gli equipaggi degli aerei (18 uomini sul Nereide e 14 sull’Aniene) e dei carri (tutti sull’Aniene).
L’operazione, sotto copertura e con gran segretezza (gli aerei sono imballati
in cassoni di abete, gli avieri sono in borghese e senza documenti, l’imbarco è
effettuato sotto la sorveglianza della polizia), serve ad inviare tali aerei ad
appoggiare le truppe nazionaliste di Francisco Franco nella guerra civile in
corso in Spagna. Tarigo e Da Noli seguono i mercantili tenendosi
entro il loro raggio visivo, mentre Attendolo
e Bande Nere pattugliano le loro
rotte. I due mercantili vengono avvistate in alcune occasioni da navi spagnole
repubblicane (ed anche britanniche), ma la presenza delle navi italiane
impedisce loro di intercettarli ed ispezionarli (la sera del 23 agosto, mentre
l’Aniene si accinge ad attraversare
lo stretto di Gibilterra, una nave repubblicana le ordina con segnali luminosi
di comunicare nome e destinazione, ma il sopraggiungere del Tarigo la induce ad andarsene).
24-25 agosto 1936
Il Tarigo fornisce scorta ed assistenza
all’incrociatore pesante Gorizia,
danneggiato (nel pomeriggio del 24, al largo di Tangeri, mentre tornain Italia
dopo aver assistito alle Olimpiadi della vela di Kiel) dall’esplosione
accidentale di un deposito di carburante per gli idrovolanti imbarcati, che ha
squarciato la prua su entrambi i lati. Il Tarigo
scorta il Gorizia da Tangeri (dove
non vi sono i mezzi necessari per effettuare le riparazioni) a Gibilterra, dove
l’incrociatore viene messo in bacino di carenaggio.
1937-1938
Partecipa alla guerra
civile spagnola, scortando navi che trasportano le truppe italiane del Corpo
Truppe Volontarie ed operando tra Malaga, Tangeri, Ceuta, Cadice e Palma di
Maiorca (in quest’ultimo porto il Tarigo
rimane dislocato per parte del 1938).
5 maggio 1938
Partecipa alla
rivista navale «H» organizzata in occasione della visita in Italia di Adolf
Hitler: nella rivista, il Tarigo
fa della I Squadra Navale (ammiraglio Vladimiro Pini), formata, oltre che
dal Tarigo, dagli incrociatori
pesanti Trento, Trieste e Bolzano,
dalle Divisioni di incrociatori leggeri degli ammiragli Minghetti (Muzio Attendolo, Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta),
Barone (Alberto Di Giussano, Giovanni delle Bande Nere, Bartolomeo Colleoni) e Romagna (Alberico Da Barbiano, Luigi Cadorna ed Armando Diaz), da due squadriglie di
esploratori classe Navigatori (Antonio Da
Noli, Antoniotto Usodimare, Ugolino Vivaldi, Nicolò Zeno, Giovanni Da Verrazzano, Alvise
Da Mosto ed Antonio Pigafetta,
oltre appunto al Tarigo) e da una
squadriglia di cacciatorpediniere (Maestrale,
Grecale, Libeccio e Scirocco).
5 settembre 1938
Riclassificato
cacciatorpediniere, al pari dei gemelli; assegnato alla XIV Squadriglia
Cacciatorpediniere.
La nave nel 1939 (g.c. Carlo
Di Nitto)
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1939
Dislocato a Tangeri
come stazionario, per operare nello stretto di Gibilterra, ancora nell’ambito
della guerra civile in Spagna, che volge al termine.
Successivamente,
viene dislocato per alcuni mesi in Mar Tirreno.
Novembre 1939
Assume il comando del
Tarigo il capitano di fregata Pietro
De Cristoforo, che lo manterrà sino alla perdita.
Dicembre 1939
Dislocato a Rodi,
inquadrato nella XVI Squadriglia Cacciatorpediniere (Comando Forze Navali
dell’Egeo).
Aprile 1940
Lasciata Rodi, si
trasferisce a La Spezia e viene posto in riserva.
6 maggio-10 agosto 1940
Sottoposto nei
cantieri Odero Terni Orlando di Livorno alla seconda fase di grandi lavori di
modifica: la prua viene completamente ricostruita con forma differente
(inclinata in avanti anziché dritta) e lo scafo viene allargato di un metro
(nella parte compresa tra il complesso binato prodiero ed il complesso
lanciasiluri poppiero), il che permette anche di ricavare spazio per ulteriori
serbatoi di carburante (così incrementando l’autonomia). Viene anche potenziato
l’armamento; le ferroguide per il trasporto e la posa di mine vengono allungate
fino al castello, permettendo di imbarcare e posare 86 mine tipo P. 200, 94
mine tipo Elia o 104 mine tipo Bollo (mentre prima si potevano trasportare e
posare solo 54 mine tipo Elia o 56 tipo Bollo). I due impianti lanciasiluri
binati da 533 mm vengono di nuovo sostituiti con altrettanti impianti binati
dello stesso calibro, e vengono aggiunte altre due mitragliere binate da
13,2/76 mm e due tramogge per bombe di profondità. L’aumento di dislocamento
(250 tonnellate in più) provoca una diminuzione della velocità di 28 nodi, ma
risolve definitivamente i problemi di stabilità e tenuta del mare.
Completati i lavori a
guerra già iniziata, il Tarigo termina
un breve periodo di prove ed esercitazioni nelle acque di La Spezia, poi viene
assegnato alla XV Squadriglia Cacciatorpediniere (di base dapprima a Taranto,
successivamente trasferita a Trapani e Palermo), insieme ai gemelli Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno
ed Antoniotto Usodimare.
Il Tarigo nei cantieri OTO di Livorno verso il termine dei lavori (Coll.
Aldo Fraccaroli, via Maurizio Brescia e www.associazione-venus.it)
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5 settembre 1940
Tarigo, Da Noli (caposcorta,
capitano di vascello Giovanni Galati) e Malocello
(la XIV Squadriglia Cacciatorpediniere) salpano da Palermo alle 10, per
rilevare al largo di Trapani (nel punto a 5 miglia per 245° dal Faro di
Marettimo) le torpediniere Circe ed Aldebaran nella scorta di un convoglio
(piroscafo Marco Polo con 2000
ufficiali e soldati, motonave Francesco
Barbaro con 3000 tonnellate di munizioni, provviste, carri armati, veicoli
e materiale bellico) in navigazione da Napoli a Tripoli. I cacciatorpediniere
seguono rotte costiere fino al punto previsto per l’incontro; alle 14.25 Tarigo e Malocello mettono a mare i paramine, su ordine del Vivaldi, ed alle 14.56 avviene la
riunione con i due mercantili. Tarigo
e Malocello si portano a proravia del
convoglio per effettuare dragaggio protettivo.
Il convoglio supera
le isole Egadi e segue le rotte costiere della Tunisia; alle 18 incontra un
convoglio di due piroscafi scortati dalla torpediniera Procione, ed alle 19.20
è già al traverso di Capo Bon.
7 settembre 1940
Alle 5.20, presso la
boa n. 3 di Kerkennah, viene incontrato un piroscafo che procede di
controboordo, ed alle 16 (al largo di Sabratha) si avvistano ricognitori
italiani.
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 17.45 (18.30 per altra versione).
8 settembre 1940
Tarigo, Da Noli (caposcorta)
e Malocello ripartono da Tripoli per
Napoli all’una di notte, scortando sempre Marco
Polo e Barbaro dirette ora a
Bengasi. La squadriglia di cacciatorpediniere si dispone in posizione di scorta
ravvicinata.
Alle due di notte
s’incrocia il piroscafo Pallade diretto a Tripoli, ed alle 7.08 ha inizio lo
zigzagamento di convoglio e scorta, che proseguirà sino alle 19.18.
9 settembre 1940
Il convoglio raggiunge
il punto «D» di Bengasi alle 7.18, e poco dopo entra in porto, ormeggiandosi al
molo sottoflutto alle 8.15.
10 settembre 1940
Tarigo, Da Noli (caposcorta)
e Malocello lasciano Bengasi per
Napoli alle 15.45 (16.30 per altra versione) scortando il Marco Polo, che ritorna vuoto in Italia. Tarigo e Malocello
precedono il Da Noli nell’uscita dal
porto, mentre il Marco Polo segue il Da Noli.
Alle 16.56 il Da Noli avvista una mina alla deriva ad
otto miglia per 230° dal faro di Bengasi (un paio di chilometri ad est della
rotta di sicurezza che conduce in porto), ed ordina al Tarigo di avvicinarsi ed affondarla. Così viene fatto; affondata la
mina (che sembra essere un ordigno italiano tipo «P. 200» o «Bollo») a raffiche
di mitragliera, il Tarigo si
ricongiunge al Da Noli alle 17.15.
11 settembre 1940
Alle 7.51 vengono
avvistati ricognitori italiani; alle 11.59 inizia di nuovo lo zigzagamento,
proseguito fino alle 16.42. Alle 17.40, davanti a Messina, la XIV Squadriglia
cede la scorta alla torpediniera Generale
Antonio Cantore, uscita da quel porto. Sarà la Cantore a scortare il Marco
Polo fino a Napoli; la XIV Squadriglia assume invece velocità 20 nodi e
raggiunge Palermo.
19 settembre 1940
Tarigo, Da Noli e Malocello sostituiscono a Trapani, in
mattinata, le torpediniere Generale
Antonio Cantore e Generale Marcello
Prestinari nella scorta ai trasporti truppe Esperia e Marco Polo,
partiti da Napoli e diretti a Tripoli.
20 settembre 1940
Il convoglio
raggiunge Tripoli alle otto.
24 settembre 1940
Tarigo, Da Noli e Malocello ripartono da Tripoli alle 19
scortando Esperia e Marco Polo di rientro scarichi a Napoli,
via Palermo.
25 settembre 1940
Il convoglio giunge a
Palermo alle 18.30. Da Trapani in poi si aggrega alla scorta anche la
torpediniera Giuseppe Dezza.
28 settembre 1940
Il convoglio giunge a
Napoli alle 16.
6 ottobre 1940
Il Tarigo (capitano di fregata Pietro De
Cristoforo), insieme a Vivaldi
(capitano di vascello Galati, comandante superiore in mare), Da Noli (capitano di fregata Zoli) e Malocello (capitano di fregata Del
Buono), lascia Palermo alle 8.25 per partecipare alla posa dello sbarramento di
mine «M 3», a sud di Malta. I cacciatorpediniere imboccano lo stretto di
Messina alle 14.20, dirigono per entrare nella rada di Augusta alle 17.25 e si
ormeggiano a Punta Cugno alle 18.40, indi si riforniscono ed imbarcano le mine.
7 ottobre 1940
Alle 18.20 i
cacciatorpediniere salpano da Augusta, ma alle 19.10 il Malocello subisce un’avaria al timone ed alle 20.20, stante
l’impossibilità di ripararla in tempo utile per proseguire la missione, viene
rimandato in porto.
Il Tarigo, il piroscafo Esperia ed un altro cacciatorpediniere classe Navigatori in una foto scattata al largo di Capo Bon nel 1940, da bordo del Vivaldi (g.c. Adriano Pasqua, via ANMI Cologne) |
8 ottobre 1940
All’1.49 la XIV
Squadriglia riduce la velocità a 12 nodi, ed all’1.56 il Tarigo inizia per primo la posa; Vivaldi e Malocello lo
precedono in linea di fila. Alle 2.06 l’ancora di una delle mine s’inceppa
mentre scorre sulle ferroguide: il Tarigo
è così costretto ad interrompere la posa e portarsi in testa alla formazione,
per risolvere l’inconveniente e poi terminare la posa per ultimo. Il Da Noli inizia a posare le sue mine alle
2.16 e, dopo che questi ha terminato, il Vivaldi
comincia a posare le sue alle 2.30. Alle 2.47, terminata la posa del Vivaldi, riprende quella del Tarigo, ma alle 2.53 lo scorrimento di
una delle mine s’inceppa di nuovo, causando uno spazio vuoto lungo 1500 metri
nello sbarramento. Alle 2.56 la posa è terminata, e le navi iniziano la
navigazione di ritorno seguendo una rotta che le faccia trovare all’alba con
rotta e posizione tali (sulla congiungente Bengasi-Stretto di Messina) che
eventuali aerei nemici, qualora avvistino le navi italiane, non riescano a
capire da dove provengano.
In tutto sono state
posate 191 mine tipo Elia, alla profondità di 4 metri, con una distanza di 100
metri tra ogni arma (salvo i problemi causati dagli inceppamenti del Tarigo). In queste mine incapperà, l’11
ottobre, il cacciatorpediniere britannico Imperial, che riporterà gravi danni.
Alle 6.55 un
ricognitore britannico viene avvistato a 14-15 km di distanza su rilevamento
90°; si avvicina alle navi italiane e si trattiene nell’area per parecchio
tempo, poi se ne va. Alle 8.20 la XIV Squadriglia viene raggiunta da caccia
della Regia Aeronautica, ed alle 10.30 i cacciatorpediniere arrivano ad
Augusta.
Alle 19.55 Tarigo, Vivaldi e Da Noli (il Malocello è ancora bloccato dall’avaria
al timone) ripartono da Augusta per Trapani, imboccando lo stretto di Messina
alle 23.59.
9 ottobre 1940
Alle 9.38 i tre
cacciatorpediniere dirigono per entrare nel porto di Trapani, ed alle 10.15 si
ormeggiano al molo della Colombaia, dove si riforniscono ed imbarcano nuove
mine, destinate allo sbarramento «4 A N» (da posare tra Pantelleria e la
Tunisia). Mollati gli ormeggi, lasciano il porto alle 21.15, ed alle 23.38
assumono rotta verso Capo Bon.
10 ottobre 1940
Avvistato il faro di
Capo Bon all’1.35, le tre navi dirigono per il punto ove iniziare la posa alle
3.08. Dopo essersi disposti su linea di rilevamento 150°, con un intervallo di
200 metri tra ogni nave ed una velocità di 12 nodi, la posa è cominciata, alle
3.54, di nuovo dal Tarigo. Due delle
prime mine posate dal Tarigo
esplodono accidentalmente, come talvolta capita. Alle 4.14 inizia la posa il Da Noli, mentre alle 4.31 è il turno del
Vivaldi, che completa la posa alle
4.46; in tutto sono state posate 174 mine (oltre alle due del Tarigo detonate prematuramente).
A mezzogiorno la XIV
Squadriglia è di nuovo alla banchina Crispi di Palermo.
Sullo sbarramento «4
A N» andrà perduto, il 22 dicembre, il cacciatorpediniere britannico Hyperion.
12 ottobre 1940
La XIV Squadriglia
Cacciatorpediniere (Luca Tarigo, Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli) salpa da Messina alle
otto del mattino insieme alla III Divisione (incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano, al
comando dell’ammiraglio Luigi Sansonetti) per dare appoggio al
cacciatorpediniere Camicia Nera,
che sta rientrando alla base inseguito da navi ed aerei britannici dopo che, in
un fallito attacco silurante nella notte precedente e nei suoi successivi
sviluppi il mattino del 12 ottobre, sono stati affondati il
cacciatorpediniere Artigliere (posto
fuori uso dall’incrociatore leggero Ajax e
finito dall’incrociatore pesante York)
e le torpediniere Airone ed Ariel (entrambe dall’Ajax). L’ordine è di supportare il
rientro del Camicia Nera (nonché dei
cacciatorpediniere Aviere e Geniere, anch’essi scampati allo
scontro, l’Aviere piuttosto
danneggiato) e, se possibile, impegnare gli incrociatori britannici. XIV
Squadriglia ed IV Divisione dirigono per il punto in cui si sa essere il Camicia Nera. In base alle
intercettazioni, l’ammiraglio Sansonetti comprende che Aviere, Geniere e Camicia Nera non necessitano più di protezione, dunque alle 10.15 fa
ridurre la velocità da 30 a 25 nodi, continuando a navigare verso sud fino alle
12.15, quando giunge da Supermarina l’ordine di rientrare alla base.
16-18 novembre 1940
Il 16 novembre la XIV
Squadriglia (Tarigo, Vivaldi, Da Noli e Malocello)
salpa da Palermo per unirsi al resto della flotta italiana in un tentativo di intercettazione
di una formazione britannica diretta verso est. Si tratta della Forza H
dell’ammiraglio James Somerville (incrociatore da battaglia Renown, portaerei Argus e Ark Royal, incrociatori leggeri
Sheffield, Despatch e Newcastle, otto cacciatorpediniere)
uscita da Gibilterra per l’operazione «White», che prevede l’invio a Malta di
aerei decollati dall’Argus per rinforzarne le difese, un’azione di
bombardamento di Alghero (velivoli dell’Ark
Royal) ed il trasporto a Malta di uomini e materiali della RAF
sul Newcastle.
Oltre alla XIV
Squadriglia, prendono il mare le corazzate Vittorio Veneto e Cesare,
l’incrociatore pesante Pola come
nave comando della II Squadra, la I Divisione con gli incrociatori pesanti
Fiume e Gorizia (tutti da Napoli), la III
Divisione con gli incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano (da Messina) e le Squadriglie Cacciatorpediniere IX (Alfieri, Oriani, Gioberti, Carducci), XII (Ascari, Lanciere, Corazziere e Carabiniere) e XIII (Bersagliere,
Granatiere, Fuciliere, Alpino). Le
navi uscite da Napoli, prive di dati precisi sul nemico, dirigono verso sud nel
Basso Tirreno; nel pomeriggio del 16 la XIV Squadriglia raggiunge il resto
della formazione. La forza così riunita, sotto il comando dell’ammiraglio
Campioni, assume quindi rotta verso est verso l’8° meridiano, a sudovest della
Sardegna, procedendo a 18 nodi, ridotti a 14 nella notte del 17 per agevolare
la navigazione dei cacciatorpediniere, resa difficoltosa da un vento da
sudovest.
Per tutta la giornata
del 16 non si ricevono informazioni sulle forze nemiche; solo alle 10.15 del 17
queste vengono avvistate da ricognitori, che però non precisano né la rotta né
la velocità. Campioni dirige verso sud, in direzione di Bona, sperando di
riuscire ad intercettare le unità britanniche nel pomeriggio, se esse
proseguono verso est.
Raggiunto alle 16.30
un punto prestabilito 45 miglia a nord-nord-est di Ustica, la formazione italiana
dirige poi verso ovest ed alle 17.30 arriva 35 miglia a sudovest di
Sant’Antioco. Dopo aver navigato per un po’ in direzione dell’Algeria, nella
totale mancanza su dove sia il nemico e dove esso sia diretto, la squadra
italiana riceve l’ordine rientrare. Campioni rileverà che le condizioni del
mare – onde molto lunghe da sudovest – hanno causato forte rollio e beccheggio
in tutte le sue navi, corazzate comprese, tanto da impedire l’uso dei cannoni
se dirette verso sud. Durante il ritorno le navi italiane eseguono
esercitazioni di tiro contro la scogliera La Botte, a sud di Ponza. Sempre
durante il ritorno il Malocello viene
colto da un’avaria ad un timone, che lo costringe a riparare a Cagliari
assistito da Trento, Vivaldi e Da Noli; le altre navi italiane
rientrano alle basi tra il mattino ed il pomeriggio del 18 novembre.
Ancorché infruttuosa,
l’uscita in mare delle forze italiane ha contribuito al parziale fallimento
dell’operazione «White»: a seguito dell’avvistamento della squadra italiana da
parte dei ricognitori di Malta, infatti, Somerville ha fatto lanciare gli aerei
dall’Argus tenendo la portaerei quanto più ad ovest possibile, cioè più
lontana da Malta di quanto inizialmente pianificato, prolungando di molto la
distanza sulla quale gli aerei dovranno volare. Il risultato sarà che su
quattordici aerei decollati dall’Argus (dodici Hawker Hurricane e due
Blackburn Skua) solo cinque (quattro Hurricane ed uno Skua) giungeranno a
Malta: gli altri esauriranno il carburante e precipiteranno in mare a seguito
di errori di navigazione e stime sbagliate sugli effetti del vento.
22 novembre 1940
Tarigo, Da Noli e Vivaldi (caposcorta) salpano da Palermo
alle 17 scortando Esperia e Marco Polo, provenienti da Napoli e
diretti a Tripoli.
23 novembre 1940
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 16.
29 novembre 1940
Tarigo, Vivaldi (caposcorta)
e Da Noli partono da Tripoli per
Palermo e Napoli alle 20, scortando Esperia
e Marco Polo che ritornano scarichi.
30 novembre 1940
Il convoglio giunge a
Palermo alle 7.30; qui rimane il Marco
Polo, mentre le altre navi proseguono per Napoli.
1° dicembre 1940
I cacciatorpediniere
e l’Esperia arrivano a Napoli.
14 dicembre 1940
Tarigo, Vivaldi (caposcorta)
e Da Noli lasciano Palermo alle 10.15
e sostituiscono le torpediniere Generale
Antonino Cascino ed Enrico Cosenz
nella scorta ai trasporti truppe Esperia,
Conte Rosso e Marco Polo, provenienti da Napoli e diretti a Tripoli. Il convoglio
ha anche una scorta indiretta, assicurata dagli incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere ed Alberto Di Giussano e dai
cacciatorpediniere Ascari e Carabiniere (questi ultimi per scorta
antisommergibile degli incrociatori).
Nei mesi a venire, il
Tarigo ed il resto della XIV
Squadriglia Cacciatorpediniere (capitano di vascello Giovanni Galati, uno dei
più capaci e competenti ufficiali della Regia Marina, con bandiera sul Vivaldi), verranno continuamente
impiegati nella scorta a «convogli veloci» di grandi navi passeggeri (Esperia, Conte Rosso e Marco Polo,
nonché meno di frequente Victoria, Neptunia, Oceania) adibite al trasporto di truppe, traversate che seguono
sempre uno schema più o meno eguale: all’andata, rotta lungo le secche di
Kerkennah; ritorno, rotte solitamente più ad est; scorta diretta, quasi sempre;
presenza, in caso di fondati timori di attacco da parte di forze navali di
superficie, di una Divisione di incrociatori per scorta a distanza. L’utilizzo
in convoglio sempre delle stesse navi permette, oltre ai vantaggi derivanti
dall’impiego di un gruppo di unità dalle caratteristiche omogenee, un maggiore
affiatamento tra di esse.
15 dicembre 1940
Il convoglio
raggiunge Tripoli alle 15.
19 dicembre 1940
Tarigo, Vivaldi (caposcorta),
Malocello, Da Noli e la torpediniera Orione
partono da Tripoli per Napoli alle 10, scortando Esperia, Conte Rosso e Marco Polo che rientrano vuoti.
20 dicembre 1940
Il convoglio giunge a
Napoli alle 20.30.
26 dicembre 1940
Tarigo, Vivaldi (caposcorta),
Da Noli, Malocello e Cosenz
partono da Napoli alle 19 diretti a Tripoli, scortando Esperia, Conte Rosso e Marco Polo. La Cosenz lascia il convoglio a Napoli.
28 dicembre 1940
Le navi giungono a
Tripoli alle 11.30.
30 dicembre 1940
Tarigo, Vivaldi (caposcorta),
Da Noli e Malocello lasciano Tripoli per Napoli alle 17.30, scortando ancora Esperia, Conte Rosso e Marco Polo.
A Trapani i cacciatorpediniere vengono sostituiti da un’unica torpediniera, la Sirio, che scorta i trasporti fino a
Napoli.
1940-1941
Nuovi lavori di
potenziamento dell’armamento; vengono eliminati i due cannoncini singoli da
40/39 mm ed imbarcate ben quattro mitragliere binate da 13,2/76 mm e sette
Breda singole da 20/65 mm Mod. 1940.
Un’altra immagine del Tarigo negli anni ’30 (USMM)
|
7-8 gennaio 1941
Alle 22.20 del 7 Tarigo (capitano di fregata Pietro De
Cristofaro), Vivaldi (capitano di
vascello Galati, caposquadriglia), Da
Noli (capitano di fregata Zoli) e Malocello
(capitano di fregata Del Buono), unitamente alle torpediniere Vega (capitano di corvetta Fontana) e Sagittario (tenente di vascello Cigala
Fulgosi), lasciano Trapani per partecipare alla posa degli sbarramenti di mine
«X 2» ed «X 3», di 180 ordigni ciascuno, a nord di Capo Bon (Canale di
Sicilia). Supermarina ha ordinato il minamento di quella zona a seguito
dell’operazione britannica «Collar» e della conseguente battaglia di Capo
Teulada, durante le quali la Mediterranean Fleet è ripetutamente transitata nel
canale di Sicilia senza subire alcun danno, proprio perché a nord di Capo Bon,
dove essa è passata, non esistono campi minati.
Una volta in mare la
formazione si dispone in linea di fila (nell’ordine, Vivaldi, Malocello, Vega, Da Noli, Tarigo e Sagittario) e fa rotta su Capo Bon,
avvistandone il faro all’1.53 dell’8 gennaio. Dopo aver ridotto la velocità a
dodici nodi, le navi iniziano la posa alle 4.02: per prima la Sagittario (estremità meridionale dell’X
2), poi Tarigo e Da Noli; Vega, Malocello e Vivaldi si portano sull’estremo meridionale dell’X 2, dopo di che
la Vega inizia la posa per prima alle 5.02, seguita dal Malocello ed infine dal Vivaldi
che conclude alle 5.04. Terminata la posa delle mine, i due gruppi assumono
rotta per Marettimo e poi per Trapani, navigando separatamente e giungendo nel
porto siciliano tra le 10 e le 11 del mattino. L’operazione, prevista in
origine per una notte di novilunio o comunque prossima ad essa (per maggior
sicurezza), ha dovuto essere effettuata, a causa dei rinvii (dovuti alla
carenza di siluranti pronte per la posa, essendo moltissime unità assorbite
dalle missioni di scorta sulle rotte per la Libia e per l’Albania, in quel
momento in situazione particolarmente critica a causa dell’andamento delle
operazioni sul fronte greco), in una notte prossima al plenilunio, ma non vi
sono stati egualmente problemi.
12 gennaio 1941
Tarigo, Vivaldi (caposcorta)
e Malocello sostituiscono a Trapani
la Cosenz nella scorta ad Esperia, Conte Rosso, Marco Polo
ed un altro trasporto truppe, la motonave Calitea,
tutti partiti da Napoli e diretti a Tripoli.
13 gennaio 1941
In serata si unisce
alla scorta anche il Da Noli.
14 gennaio 1941
Il convoglio arriva a Tripoli alle 11.30.
15 gennaio 1941
Tarigo, Vivaldi, Malocello e Da Noli lasciano Tripoli alle 18.30, scortando ancora Esperia, Conte Rosso e Marco Polo.
A Trapani, i quattro cacciatorpediniere della XIV Squadriglia sono sostituiti
da due torpediniere di Marina Sicilia per l’ultimo tratto della navigazione
(fino a Napoli).
22 gennaio 1941
A Trapani Tarigo, Vivaldi (caposcorta), Malocello
e Da Noli sostituiscono i
cacciatorpediniere Freccia e Saetta nella scorta ad Esperia, Conte Rosso, Marco Polo
ed alla motonave Victoria,
provenienti da Napoli e diretti a Tripoli.
24 gennaio 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli in mattinata.
25 gennaio 1941
Tarigo, Freccia (caposcorta)
e Saetta ripartono da Tripoli
scortando Esperia, Victoria, Conte Rosso e Marco Polo.
26 gennaio 1941
All’1.25 il
sommergibile britannico Upholder (tenente
di vascello Malcolm David Wanklyn), in agguato presso la boa n. 4 delle
Kerkennah, sente i rumori del convoglio in avvicinamento, del quale avvista
alcune navi all’1.30. All’1.35 l’Upholder
lancia due siluri ad un mercantile che dista 2300 metri, dopo un minuto vira
per evitare un cacciatorpediniere ed avvista così altri due mercantili, contro
uno dei quali lancia altri due siluri, da 2750 metri, all’1.47, per poi
immergersi ed allontanarsi all’1.49. Nessuna nave viene colpita.
27 gennaio 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 10.
5 febbraio 1941
Tarigo, Freccia (caposcorta)
e Saetta partono da Napoli alle 18.30 (o 19), scortando Esperia, Conte Rosso, Marco Polo e Calitea. I quattro mercantili trasportano truppe e materiali della
Divisione corazzata «Ariete», in corso di trasferimento in Libia.
6 febbraio 1941
A causa del maltempo,
i tre cacciatorpediniere della scorta sono costretti a rifugiarsi a Palermo,
dove giungono alle 15; deve allora sostituirli nella scorta ai trasporti truppe
l’incrociatore Bande Nere (ammiraglio
di divisione Alberto Marenco di Moriondo, inviato da Palermo).
Passato il maltempo e
giunto il convoglio a destinazione, i cacciatorpediniere vengono inviati a
Tripoli per scortare i trasporti nel viaggio di ritorno.
9 febbraio 1941
Tarigo, Malocello, Freccia (caposcorta, capitano di
vascello Baldo) e Saetta e la
torpediniera Aldebaran partono da
Tripoli alle 18.30 scortando Esperia,
Conte Rosso, Marco Polo e Calitea, che
hanno imbarcato 5000 profughi civili (2000 per altra versione) in fuga
dall’avanzata delle forze britanniche (sta terminando l’operazione «Compass»:
le forze britanniche hanno conquistato l’intera Cirenaica ed annientato la X
Armata italiana, e si teme una loro avanzata anche in Tripolitania).
Durante la
navigazione, Calitea ed Aldebaran si separano dal resto del
convoglio, per raggiungere Palermo.
Alle 19.36 il
sommergibile britannico Usk (capitano
di corvetta Peter Ronald Ward) avvista due unità del convoglio a 3200-3660
metri di distanza, al largo di Tripoli, e cinque minuti dopo lancia due siluri
contro la nave di testa. I siluri hanno corsa irregolare e mancano il
bersaglio; l’Usk s’immerge poco dopo.
Poche ore dopo, alle
22.20, è un altro sommergibile britannico, il Truant (capitano di corvetta Hugh Alfred Vernon Haggard), ad
avvistare il convoglio italiano, in posizione 33°41’ N e 13°51’ E (una
sessantina di miglia a nordest di Tripoli), mentre procede su rotta 350°, a 7-8
miglia di distanza. Alle 23 il battello britannico lancia sei siluri, ma
nessuno di essi raggiunge il bersaglio, e le navi del convoglio non si
accorgono neanche dell’attacco.
11 febbraio 1941
Esperia, Conte Rosso, Marco Polo ed i cacciatorpediniere
arrivano a Napoli alle cinque. Calitea
ed Aldebaran vi giungeranno un giorno più tardi.
20 febbraio 1941
Tarigo (caposcorta), Malocello
e la torpediniera Rosolino Pilo
lasciano Tripoli per Napoli alle 9, scortando i piroscafi Caffaro, Istria e Beatrice Costa.
22 febbraio 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 20.
3 marzo 1941
Il Tarigo (caposcorta), il cacciatorpediniere
Freccia e la torpediniera Castore partono da Napoli per Tripoli
alle 18, scortando i piroscafi tedeschi Arta,
Adana ed Aegina e l’italiano Sabaudia.
6 marzo 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 20.30 (o 20.45).
9 marzo 1941
Il Tarigo (caposcorta) e la torpediniera Aldebaran lasciano Tripoli alle 7.30,
scortando Arta, Adana, Aegina e due altri
piroscafi, il tedesco Heraklea e
l’italiano Amsterdam.
12 marzo 1941
Il convoglio arriva a
Napoli alle 6.30.
14 marzo 1941
Il Tarigo (caposcorta), il Freccia e le anziane torpediniere Rosolino Pilo, Giuseppe Missori e Giuseppe
La Farina salpano da Napoli per Tripoli alle 20.30, scortando i piroscafi
tedeschi Adana, Aegina, Heraklea e Galilea e l’italiano Beatrice Costa, con truppe e materiali
dell’Afrika Korps.
18 marzo 1941
Il convoglio
raggiunge Tripoli all’una.
19 marzo 1941
Tarigo (caposcorta), Freccia,
Missori e Pilo ripartono da Tripoli per Napoli alle 7.30, scortando Adana, Aegina, Heraklea e Galilea che ritornano scarichi.
21 marzo 1941
Il convoglio arriva a
Napoli alle 20.
1° aprile 1941
Alle 11 Tarigo (caposcorta, capitano di fregata
Pietro De Cristofaro), Euro e Baleno salpano da Napoli per Tripoli
scortando i trasporti truppe Esperia,
Victoria, Conte Rosso e Marco Polo.
Da Tripoli escono successivamente le torpediniere Polluce e Partenope, per
rinforzare la scorta.
Il convoglio segue la
rotta di levante (che è quella solitamente seguita dai convogli veloci per
trasporto truppe): attraversa lo stretto di Messina, poi passa circa 150 miglia
ad est di Malta (in modo da restare al di fuori del raggio d’azione degli
aerosiluranti là basati) a 15-17 nodi di velocità. Di giorno, le navi fruiscono
di una scorta aerea assicurata da due-tre idrovolanti CANT Z. 501 per
protezione antisommergibili e due caccia FIAT CR. 42 per protezione da attacchi
aerei.
Durante il viaggio,
una sola volta viene segnalato un sommergibile in zona; la scorta reagisce al
possibile attacco zigzagando e lanciando bombe di profondità a scopo
intimidatorio.
2 aprile 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 19.30.
7 aprile 1941
Tarigo (caposcorta), Euro, Lampo e Baleno ripartono da Tripoli alle 17, scortando Esperia, Victoria, Conte Rosso e Marco Polo. La rotta seguita è ancora quella di levante.
8 aprile 1941
Alle 00.05 il sommergibile
britannico Upright (tenente di
vascello Edward Dudley Norman) avvista il convoglio in posizione 34°30’ N e
12°51’ E (un centinaio di miglia a nord-nord-ovest di Tripoli), su rilevamento
143° e con rotta 350°. Alle 00.21 il battello lancia due siluri contro i
mercantili di testa delle due colonne del convoglio (che si “sovrappongono”
nella visuale del periscopio) e poi altri due al mercantile di coda.
Nessun’arma va a segno, e probabilmente l’attacco non viene nemmeno notato.
9 aprile 1941
Le navi giungono a
Napoli alle 7.30.
Convoglio Tarigo
Alle 21.30 del 13
aprile 1941 il Tarigo, al comando del
capitano di fregata Pietro De Cristofaro, salpò da Napoli alla volta di Tripoli
quale caposcorta di un convoglio formato dai piroscafi tedeschi Arta, Adana, Aegina ed Iserlohn, carichi di truppe (10
ufficiali e 184 sottufficiali e soldati sull’Arta, 13 ufficiali e 326 sottufficiali e soldati sull’Adana, 11 ufficiali e 206 tra
sottufficiali e soldati sull’Aegina,
14 ufficiali e 278 sottufficiali e soldati sull’Iserlohn), veicoli (62 sull’Arta,
148 sull’Adana, 64 sull’Aegina e 118 sull’Iserlohn) e materiali (487 tonnellate sull’Arta, 409 sull’Adana, 493
sull’Aegina e 608 sull’Iserlohn), e dal piroscafo italiano Sabaudia, carico di 1371 tonnellate di munizioni.
Il convoglio, denominato proprio «Tarigo», era il ventesimo dei convogli che
trasportavano in Libia truppe e materiali dell’Afika Korps, il cui
trasferimento in Africa settentrionale era iniziato in febbraio.
La scorta, oltre che
dal Tarigo, era composta dai due più
piccoli cacciatorpediniere Lampo
(capitano di corvetta Enrico Marano) e Baleno
(capitano di corvetta Giovanni Arnaud); in origine ci sarebbero dovuti essere
invece l’Euro e lo Strale insieme al Tarigo,
ma poi erano stati sostituiti per nuovo ordine. Il convoglio avrebbe seguito la
rotta che passava attraverso il Canale di Sicilia (ad ovest della Sicilia),
raggiungendo la Tunisia a Capo Bon e costeggiandola poi attraverso la zona
delle Isole Kerkennah.
Prima ancora della
partenza del convoglio, nel pomeriggio del 13 aprile, il Comando Marina della
Sicilia aveva informato Supermarina, a mezzo telefono, che i ricognitori del X Corpo
Aereo Tedesco (X CAT) avevano avvistato a Malta quattro nuovi
cacciatorpediniere, aggiungendo che i velivoli tedeschi avrebbero effettuato
una nuova ricognizione al tramonto e si sarebbero tenuti pronti ad un eventuale
bombardamento notturno.
Dato che i
rifornimenti del convoglio «Tarigo» erano richiesti con urgenza dal Comando
tedesco, e che non era certo la prima volta che unità sottili britanniche
sostavano a Malta (senza che questo determinasse ogni volta la sospensione dei
traffici con l’Africa Settentrionale), Supermarina non diede molto peso alla
notizia, non curandosi nemmeno di trasmetterla al Tarigo.
Avrebbe dovuto farlo:
le navi avvistate dai ricognitori a Malta erano quelle della 14th
Destroyer Flotilla britannica, al comando dell’esperto capitano di vascello
Philip John Mack: i moderni e potenti cacciatorpediniere Jervis (al comando dello stesso Mack), Janus (capitano di fregata John Anthony William Tothill), Nubian (capitano di fregata Richard
William Ravenhill) e Mohawk (capitano
di fregata John William Musgrave Eaton), i primi due della classe J ed gli
ultimi due della classe Tribal (quest’ultima era la più grande e meglio armata
classe di cacciatorpediniere della Royal Navy); tre su quattro erano dotati di
radar. Poco più di due settimane prima le navi di Mack avevano partecipato alla
battaglia di Capo Matapan, dove il Jervis
ed il Nubian avevano finito, coi loro
siluri, gli incrociatori pesanti Zara e Pola (messi fuori uso, rispettivamente,
dal tiro delle corazzate della Mediterranean Fleet ed a un aerosilurante).
Il 10 aprile
l’ammiraglio Andrew Browne Cunningham (comandante della Mediterranean Fleet),
dopo insistenti pressioni da Londra (ostacolare il traffico navale con la Libia
era divenuto di vitale importanza per i britannici, dato che il flusso
ininterrotto di uomini e materiali dei mesi precedenti aveva consentito la
travolgente offensiva di Rommel), aveva acconsentito con riluttanza a dislocare
i quattro cacciatorpediniere (che si trovavano in quel momento a Suda) a Malta,
con l’apposito compito di attaccare i convogli italiani. Le navi di Mack
avevano già effettuato due uscite in mare, la prima nella notte tra l’11 ed il
12 aprile e la seconda in quella tra il 12 ed il 13, ma, nonostante l’ausilio
della ricognizione aerea in entrambe le occasioni, non erano riuscite ad
intercettare alcuna nave. Ora le cose sarebbero cambiate.
La tabella di marcia
del convoglio era stata preparata in modo che la parte più pericolosa della
navigazione (quella alla minima distanza da Malta) avvenisse di giorno, quando
le navi avrebbero potuto fruire anche di scorta aerea (sia della Regia
Aeronautica che del X CAT).
Il convoglio,
procedendo a dieci nodi, non incontrò problemi di sorta fino a Marettimo.
Superata quest’isola, tuttavia, si levò un forte vento da scirocco ed il tempo
andò deteriorandosi, con mare agitato, foschia e piovaschi. A causa del
maltempo, nel corso della notte tra il 14 ed il 15 aprile il convoglio andò
disperdendosi. Alle quattro del mattino del 15 l’Arta, che era in testa alla colonna di sinistra, accostò
improvvisamente a sinistra, indicando rotta vera 180° al Lampo; il cacciatorpediniere e tutta la colonna di sinistra,
pensando che la nave tedesca avesse ricevuto ordini diretti dal Tarigo, accostarono a loro volta su
quella rotta, ma la colonna di dritta ed il Baleno
non fecero altrettanto.
Nel frattempo, Capo
Bon era apparso alla vista; il Tarigo
venne informato via radiosegnalatore dal Lampo,
accortosi che doveva esservi stato qualche errore, che questi stava procedendo
a 8 nodi su rotta 180°: il caposcorta gli ordinò di assumere rotta 40° e di
restare su quella rotta fino all’alba, quando avrebbero cercato di riunire i
due pezzi del convoglio (in quel momento la visibilità era troppo scarsa, e si
sarebbe rischiato un grave incidente). Il peggiorare del tempo, ed altre
manovre errate da parte dei piroscafi, portarono però il convoglio a
disperdersi ancora di più; solo verso le 10 del 15 aprile risultò possibile
ricomporlo e riprendere la navigazione verso le Kerkennah.
Il ritardo di ben
quattro ore, accumulato in questo frangente, aveva completamente cambiato la
situazione della tabella di marcia: adesso, l’attraversamento del tratto più
pericoloso sarebbe avvenuto proprio di notte, quando non vi potevano essere
ricognizione e scorta aerea.
I piovaschi
continuarono per tutta la giornata, caratterizzata anche da vasti banchi di
nebbia, che impedirono agli aerei del X CAT di dare scorta aerea al convoglio;
a causa del maltempo, i velivoli della ricognizione marittima di Tripoli
sospesero tutte le attività.
Non fecero però così
i ricognitori di Malta. Alle 13.45 (secondo i volumi dell’USMM; però le fonti
britanniche indicano già alle 11.57 un messaggio di un ricognitore, che
segnalava cinque navi mercantili, scortate da tre cacciatorpediniere, al largo
della costa tunisina nei pressi di Capo Bon, con rotta sud e velocità stimata 9
nodi) uno di questi – un Martin Maryland denominato OHSF e pilotato da E. A.
Whiteley, comandante del 69th Squadron – avvistò il convoglio alcune
miglia a sud di Kelibia, ne apprezzò correttamente rotta (verso sud), posizione
(36°12’ N e 11°16’ E, 160 miglia ad ovest di Malta), composizione (cinque
mercantili in linea di fronte, preceduti da due cacciatorpediniere e con un
terzo cacciatorpediniere al traverso a sinistra) e velocità (8 nodi – anche se
questa, a detta di Whiteley, era la velocità che lui stimava sempre per i
convogli che avvistava, sembrandogli una media abbastanza plausibile: in questo
caso, era esatta) e comunicò il tutto a Malta. Whiteley ricordò poi che
l’avvistamento del convoglio avvenne in modo del tutto improvviso ed
inaspettato: stava volando con il suo aereo tra la nebbia e la pioggia, quando
all’improvviso gli erano comparse davanti le navi dell’Asse – tanto
all’improvviso che, volando a bassa quota, per poco non si era schiantato
contro l’albero di una di esse.
Il Baleno avvistò a sua volta il
ricognitore e lo segnalò al Tarigo,
che a sua volta lo comunicò al Lampo;
non fu però possibile abbatterlo, e così poté tallonare il convoglio per buona
parte del pomeriggio, inviando regolari rapporti a Malta. Alle 14.22 l’OHSF
contattò nuovamente Malta per aggiornare sulla posizione del convoglio;
stavolta Supermarina riuscì ad intercettare e decifrare il messaggio, che ne
informò Marina Messina e Superaereo, sollecitando la prima a richiedere
l’intervento del X CAT (sia contro i ricognitori, che contro eventuali attacchi
al convoglio) ed il secondo ad intervenire esso stesso, con aerei da caccia,
per la protezione del convoglio e con ricognitori da Malta verso le Kerkennah.
Alle 15.50, però,
Superaereo rispose per telefono, spiegando che finché il maltempo persisteva
l’Aeronautica della Sicilia non poteva fare niente. Alle 16 Supermarina ordinò
via radio al Tarigo di modificare la
rotta: una volta giunto alla boa numero 4 delle secche di Kerkennah, avrebbe
dovuto dirigere assieme al convoglio verso la boa n. 6, per poi atterrare a
Turgoeness. Questo dirottamento era inteso a vanificare il precedente
avvistamento da parte dei ricognitori di Malta; ma il convoglio, a causa del
ritardo accumulato la notte precedente, era ancora nelle acque delle Kerkennah,
in zona dove la rotta era obbligata, e dovette proseguire lungo quella rotta
per tutta la notte.
Alle 17.07, inoltre,
Supermarina contattò per telegrafo Marina Tripoli e dispose affinché quel
Comando inviasse già nelle prime ore del mattino dell’indomani velivoli per la scorta
aerea ed unità che andassero a rinforzare la scorta navale.
Alle 17.15 Superareo
annunciò a Supermarina che qualcosa si stava muovendo: a seguito
dell’avvistamento di un aereo, erano decollati da Siracusa due aerosiluranti
Savoia Marchetti S. 79, con il compito d’intercettarlo ed al contempo di
effettuare ricognizione e vigilanza sul convoglio. Dei due S. 79, però, in
realtà uno solo era effettivamente decollato, ed anche questo dovette rientrare
poco dopo a causa del maltempo (venti di 80 km/h), senza aver visto niente (ciò
fu riferito da Superaereo a Supermarina alle 18.45).
Intanto, il convoglio
proseguiva nella navigazione. Il mare ed il vento erano caduti ed anche il
barometro seguitava a scendere, ma persisteva una foschia bassa e fitta
all’orizzonte; non fu possibile avvistare né Kuriat né il faro di Capo Africa.
Nel frattempo, la
trappola si era messa in moto. Ricevute le ripetute ed accurate comunicazioni
dell’aereo OHSF, il comando di Malta fece salpare alle 18 (o 18.30) i quattro
cacciatorpediniere del capitano di vascello Mack (imbarcato sullo Jervis), con il compito di intercettare
e distruggere il convoglio avvistato. Appena superate le ostruzioni, era stato
ordinato il “posto di combattimento” ed erano state effettuate prove degli
apparati di direzione del tiro e trasmissione degli ordini. L’eccitazione sulle
navi britanniche era palpabile; circolavano voci sull’obiettivo della missione
– poi confermate da alcuni degli ufficiali – e si confidava di riscuotere un
successo, grazie all’esperienza accumulata combattendo in Mediterraneo, in
Atlantico ed in Norvegia.
Imboccato il canale
dragato orientale, i cacciatorpediniere si misero in navigazione a 26 nodi in
linea di fila, con il Jervis in
testa, seguito dal Janus, poi dal Nubian e per ultimo dal Mohawk. Alle 19.15, usciti dal canale,
assunsero rotta 248°.
Alle 19.25 il comando
di Malta informò lo Jervis che un
nuovo avvistamento aereo confermava la rotta e posizione che il convoglio aveva
alle 18.36, e ne precisava la velocità in otto nodi.
Mentre la 14th
Destroyer Flotilla assumeva una rotta che l’avrebbe portata ad intercettare il
convoglio «Tarigo», sia quest’ultimo che Supermarina rimasero completamente
all’oscuro di quanto stava accadendo: dato che il maltempo impedì a tutti i
ricognitori italiani e tedeschi di decollare, i cacciatorpediniere britannici
passarono del tutto inosservati.
Jervis, Janus, Nubian e Mohawk arrivarono a 6 miglia dalla boa n. 4 delle Kerkennah, nel
previsto punto di passaggio del convoglio italiano, già alle 00.44 del 16
aprile (secondo i calcoli di Mack, questo avrebbe dovuto portare le sue navi a
trovarsi venti miglia a proravia del convoglio da attaccare, entro l’una di
notte). La rotta venne cambiata, divenendo di 310°, e la velocità fu ridotta a
20 nodi. Dato però che le navi italio-tedesche non erano ancora arrivate, Mack
ordinò ai suoi cacciatorpediniere di accostare per nord, ridurre la velocità e
cominciare un ampio zigzagamento, in modo da accrescere la zona di ricerca.
Era una notte chiara,
con vento forza 5 da nordovest; la luna era al primo quarto, e si trovava a
sudest rispetto ai cacciatorpediniere britannici.
All’una di notte
venne assunta rotta 333°, che Mack riteneva essere parallela ed opposta a
quella che il convoglio avrebbe probabilmente seguito, ed all’1.10 i
cacciatorpediniere iniziarono a zigzagare. Successivamente le navi britanniche
virarono verso ovest, poi verso sud; all’1.42, però, la 14th
Flotilla oltrepassò il punto in cui sarebbe dovuto essere il convoglio
italo-tedesco se la sua velocità fosse stata di 8 nodi, quindi Mack ordinò di
accelerare a 25 nodi (secondo una fonte in questa fase, all’1.45, i
cacciatorpediniere britannici superarono inconsapevolmente il convoglio
italiano, senza che nessuno dei due gruppi si avvedesse dell’altro, passandogli
tre miglia a sinistra); all’1.55, se il convoglio avesse avuto una velocità di
7 nodi, si sarebbe dovuto trovare solo tre miglia più avanti dei
cacciatorpediniere britannici, ma ancora non si vedeva niente. Mack dovette
concludere che la rotta da lui stimata per il convoglio avversario non era
corretta, e ipotizzò che le navi italiane si fossero tenute più vicine alla
costa; pertanto, all’1.55, ordinò di virare per 214°, in modo da avvicinarsi
alla boa n. 1 delle Kerkennah.
Alla fine, all’1.58,
la ricerca di Mack venne ripagata dall’avvistamento del convoglio italiano, che
procedeva a sei miglia di distanza, per 170°, su rilevamento di circa 140°. Non
è del tutto chiaro se l’avvistamento avvenne otticamente (come sembrerebbe dal
rapporto del Jervis) oppure a mezzo
radar (come è scritto nel rapporto del Nubian:
«Prendo contatto a mezzo radar ad una distanza di 12.000 yds su rilevamento
est»); inoltre nel suo rapporto il Nubian
indicò l’orario dell’avvistamento nell’1.43, ben quindici minuti prima di
quello indicato dallo Jervis (ma
d’altra parte, il Nubian riferì anche
di aver aperto il fuoco alle 2.10, dieci minuti prima degli altri
cacciatorpediniere). Il Mohawk, nel
suo rapporto, indicò addirittura nell’1.30 l’orario in cui avvistò i primi oggetti
sospetti a prora sinistra (avvistamento a seguito del quale accostò per
avvicinarvisi ed accelerò a 25 nodi), che riconobbe come cinque navi
convogliate all’1.45 (e nel suo rapporto scrisse che il Jervis aprì il fuoco alle 2.05). Le differenze di orari indicati
tra i rapporti delle diverse navi furono in questo caso particolarmente
vistose.
In ogni caso, i
cacciatorpediniere di Mack, che procedevano in linea di fila ed avevano
accelerato fino a 25 nodi, identificarono correttamente il convoglio come composto
da cinque navi mercantili e tre cacciatorpediniere di scorta. In quel momento
le navi britanniche erano 20° a prora sinistra del convoglio. Alle due il Jervis, dopo aver comunicato
l’avvistamento alle unità dipendenti, accostò per 140° e accelerò a 27 nodi.
Il convoglio
procedeva in due gruppi: davanti, l’Aegina
a dritta e l’Arta a sinistra; dietro,
Iserlohn ed Adana seguivano rispettivamente Aegina
ed Arta, mentre il Sabaudia si trovava in mezzo al secondo
gruppo, tra l’Iserlohn e l’Adana.
Il Baleno proteggeva il fianco
esterno, a dritta della colonna destra (Aegina
ed Iserlohn), ed il Lampo faceva lo stesso sul lato opposto
(colonna sinistra: Arta ed Adana); il Tarigo procedeva invece in testa alla formazione, leggermente
avanzato rispetto ad Arta ed Aegina. La velocità del convoglio, in
quel momento, era di soli sei nodi; le navi si trovavano nei pressi della boa
numero 3 delle Kerkennah.
Approfittando del
fatto che le navi italiane e tedesche non li avevano ancora individuati, i
quattro cacciatorpediniere della 14th Flotilla non attaccarono
subito, bensì manovrarono per portarsi a nord (cioè a poppavia) del convoglio,
in modo che questi si venisse a trovare tra loro e la luna (così che le sagome
delle navi dell’Asse risultassero ben visibili nella luce lunare, mentre da
parte loro non avrebbero potuto vedere, nel buio, le navi britanniche).
Mentre il convoglio «Tarigo» procedeva ignaro di quanto si
stava per scatenare, i cacciatorpediniere di Mack eseguirono alla perfezione la
manovra ordinata: si portarono a nord del convoglio, si dispiegarono in modo da
poter meglio attaccare, brandeggiarono i tubi lanciasiluri (alle 2.02 Mack
ordinò di brandeggiarli verso dritta, ed alle 2.05 di brandeggiarli verso
sinistra), ridussero le distanze, accostarono per 210° (alle 2.03; alle 2.11 il
Jervis accostò di nuovo, per 170°,
alle 2.13 per 160°, alle 2.14 per 150°, alle 2.18 per 140°) in modo che i
piroscafi si stagliassero contro la luna (mentre loro restavano nella parte
oscura dell’orizzonte) e quando tutto fu pronto, alle 2.20, aprirono il fuoco
da 2000 metri di distanza, contro le navi in coda al convoglio.
Il Jervis aprì il fuoco alle 2.20, da 2000
metri, sparando contro un cacciatorpediniere (il Baleno) che aveva su rilevamento 100°; alle 2.22 il bersaglio venne
colpito sia da salve da 120 mm che dalle mitragliere pesanti “pom-pom” da 40
mm, e rispose al fuoco con raffiche di mitragliera e altre salve da 120. Alle
2.25 incendiò un mercantile, ed alle 2.27 vide il cacciatorpediniere che aveva
attaccato in stato di affondamento. Seguì poi una mischia confusa, in cui le
navi si scambiarono fuoco di cannoni e mitragliere di ogni calibro da distanze
che variavano da più di 1800 metri a meno di 50.
Il Janus aprì il fuoco alle 2.22, da 2000
metri (distanza misurata dal radar, che poco dopo divenne inutile perché i
bersagli divennero troppo numerosi e pertanto confusi), contro lo stesso
cacciatorpediniere attaccato dal Jervis,
centrandolo fino dalla prima salva; subito dopo spostò il tiro sul mercantile
di coda, colpendolo alla seconda salva e centrandolo per altre cinque,
riducendolo in fiamme. A questo punto il Janus
cambiò ancora bersaglio, tirando contro un altro mercantile, che venne
anch’esso incendiato; indi lanciò un siluro contro il cacciatorpediniere di
prima, mancandolo. Alle 2.30, raggiunto il gruppo di testa del convoglio, il Janus aprì il fuoco contro il mercantile
più grande, e lanciò tre siluri, rivendicandone uno a segno.
Il Nubian aveva aperto il fuoco alle 2.10
contro il mercantile di coda (il Sabaudia);
vi fu una forte esplosione, e la nave prese fuoco. Poi spostò il tiro su un
secondo ed un terzo mercantile (erano l’Iserlohn
e l’Aegina), incendiandoli entrambi.
Il Mohawk aprì il fuoco (qualche minuto
dopo il Jervis) contro il mercantile
più vicino (il Sabaudia), colpendolo
otto volte ed incendiandolo. Sparò meno degli altri, dato che era in coda alla
formazione e dunque Jervis, Janus e Nubian potevano attaccare i bersagli prima di lui, ed il suo
comandante non voleva sprecare munizioni.
Colta completamente
di sorpresa, la scorta italiana tentò di reagire, ma fu subito ridotta a mal
partito: i colpi giunsero a bordo prima ancora che si potesse aumentare la
velocità e mandare la guardia franca (la metà dell’equipaggio che era in turno
di riposo) ai posti di combattimento.
Il Lampo fu il primo cacciatorpediniere ad
essere colpito; poté sparare solo tre salve, prima che i colpi britannici
distruggessero entrambi i complessi binati da 120 mm. Il lancio dei siluri non
ebbe successo; centrato in più punti e ridotto ad un relitto galleggiante, il Lampo fu sospinto dalla corrente sulle
secche di Kerkennah, ove si adagiò. Dei 205 uomini del suo equipaggio, 141
erano rimasti uccisi.
Non ebbe miglior
sorte il Baleno: la prima salva
nemica lo colpì in plancia, uccidendone il comandante e tutti gli ufficiali
tranne uno; mentre tentava di accelerare ed accostare, fu colpito ancora in
sala macchine e caldaie, mitragliato e posto fuori combattimento. Per effetto
della corrente finì anch’esso sulle secche di Kerkennah, con 69 morti tra i 205
componenti del suo equipaggio.
I mercantili, armati
solo con delle mitragliere, non erano altro che bersagli. Il Sabaudia, che procedeva in coda al
convoglio, fu tra i primi ad essere centrati e prese fuoco (alle 2.50 gli
incendi raggiunsero il carico di munizioni, ed il piroscafo si disintegrò in
una colossale esplosione, che irraggiò il Jervis
con una pioggia di rottami di ogni forma e dimensione). Adana ed Aegina,
anch’essi colpiti quasi subito, vennero rapidamente avvolti dalle fiamme (le
loro stive erano piene di veicoli e benzina in fusti); l’Iserlohn riuscì invece a mettere la poppa sul nemico, ma ciò servì
soltanto a rimandare la sua fine. L’Arta
cercò di approfittare della poca distanza di uno dei cacciatorpediniere
britannici per speronarlo (furono due le navi nemiche che riferirono di un
episodio simile: il Jervis, che alle
2.27 evitò di stretta misura un tentativo di speronamento da parte di un
mercantile di 3000 tsl; il Mohawk,
che alle 2.30 evitò un tentativo di speronamento da parte di un mercantile che
appariva ancora relativamente intatto), ma l’immediata contromanovra di
quest’ultimo evitò la collisione.
Le navi britanniche
sparavano con tale intensità che i bossoli dei proiettili, ammucchiandosi
accanto ai cannoni, intralciavano il loro utilizzo.
Grazie alla sua
posizione in testa al convoglio (mentre Mack attaccò prima le navi in coda,
provenendo da poppa), il Tarigo
sfuggì alla mattanza iniziale, ed ebbe a disposizione alcuni minuti per
organizzare una reazione.
Non appena ebbe
sentito le prime cannonate, il comandante De Cristofaro ordinò di mettere le
macchine avanti tutta ed accostare con tutta la barra a dritta, per
contrattaccare; questa manovra portò il Tarigo
tra due mercantili già colpiti e due cacciatorpediniere britannici che, non
visti, stavano risalendo il convoglio lungo il lato di dritta, quasi rasentando
le boe delle secche di Kerkennah. Stando ai rapporti britannici, cercando di
discernere tra la confusione degli orari, non furono due ma tre i cacciatorpediniere
che ingaggiarono il Tarigo in questa
fase: il Jervis, il Nubian ed il Mohawk.
Il Jervis, poco dopo le 2.27 – riferì poi nel
rapporto – avvistò un grosso cacciatorpediniere che risaliva il convoglio sul
lato di dritta e lo ingaggiò in un violento combattimento, centrandolo con la
prima salva e scatenando un incendio a centro nave.
Il Nubian avvistò alle 2.23 un
cacciatorpediniere classe Navigatori che procedeva con rotta opposta, a 915
metri al traverso a dritta, ed alle 2.25 accelerò e virò verso di esso. Al
contempo il Nubian aprì il fuoco
contro il Tarigo con i pezzi da 120 e
le mitragliere da 12,7 e 40 mm (“pom-pom”); la nave italiana rispose al fuoco
(inizialmente, quando il Nubian
iniziò a tirargli contro, De Cristofaro esitò a reagire, pensando che potesse
essere il Baleno; poi, però, il
sottotenente di vascello Ettore Bisagno – ufficiale addetto ai siluri – gridò
che era un “incrociatore” britannico). Dopo aver colpito il bersaglio in
plancia ed a poppa, il Nubian (che
aveva invece subito solo danni da schegge) dovette interrompere il fuoco perché
il Mohawk passò tra di esso ed il Tarigo, ostruendogli il campo di tiro.
Quanto al Mohawk, questi avvistò alle 2.23 un
cacciatorpediniere classe Navigatori a prora dritta, su rotta parallela ed opposta,
che avanzava a forte velocità. Mohawk
e Nubian lo presero subito sotto
tiro, centrandolo ripetutamente ed incendiandolo; la nave italiana fu vista
fermarsi con incendio a bordo circa un miglio a poppavia del Mohawk.
Sul Tarigo, il tenente di vascello Bisagno
ordinò di lanciare tre siluri contro un cacciatorpediniere che stava duellando
con la nave italiana, ma le cannonate giunte a segno distrussero le
trasmissioni degli ordini, che non raggiunsero così i siluristi. Prima che si
potesse intervenire, la nave nemica si ritrovò già fuori turo.
Alle 2.31 il Tarigo passò tra Jervis e Janus;
quest’ultimo gli lanciò due siluri, che lo mancarono a poppa, e lo colpì con il
fuoco dei “pom-pom”, mentre non riuscì a brandeggiare in tempo i cannoni da 120
mm.
Il combattimento tra
il Tarigo ed i cacciatorpediniere
britannici fu violentissimo, combattuto a poche centinaia di metri: ma il Tarigo, dopo che Lampo e Baleno erano
stati ridotti al silenzio senza poter fare danni, era ora solo contro quattro
navi di potenza di fuoco uguale o superiore. La nave non aveva ancora concluso
l’accostata, e le macchine avevano accelerato solo di pochi giri, quando la
prima salva (del Nubian) andò a
segno: colpì sotto la plancia, facendo strage degli uomini che vi si trovavano,
amputando la gamba destra del comandante De Cristofaro, distruggendo le
trasmissioni degli ordini e tranciando quelle del timone, la cui ruota prese a
girare senza più controllo.
Nonostante la gravità
della ferita, De Cristofaro – che fermò l’emorragia dalla gamba amputata
stingendo il moncherino con la sua cintura – rimase al comando; appoggiato ad
una paratia, disse di proseguire l’accostata a dritta e ripeté l’ordine di
attaccare. Alcuni ufficiali e marinai si precipitarono a poppa, dove azionarono
la ruota di governo là situata. Il sottonocchiere Mario Papi, dato che i colpi
giunti a bordo avevano distrutto le bussole, continuò a governare orientandosi
con le stelle.
Intanto il Tarigo aveva iniziato a rispondere al
fuoco, sparando colpi isolati, ma una seconda salva andò a segno, stavolta
danneggiando il complesso prodiero da 120 mm e facendo scoppiare la caldaia
numero 1. Mentre la coperta era spazzata da raffiche di mitragliera, il
complesso prodiero continuava a sparare con una sola canna (avendo l’altra l’otturatore
incatastato), ma nuove salve da 120 mm lo ridussero definitivamente al
silenzio. I colpi centrarono anche la caldaia numero 3, distruggendola,
incendiarono la plancia, distrussero uno dei due complessi lanciasiluri e le
mitragliere e fecero esplodere le riservette. Altre salve (sia del Nubian che del Jervis) misero fuori uso le macchine, immobilizzando la nave, ed
aprirono grosse falle nello scafo: il Tarigo
era condannato.
Il sottotenente di
vascello Domenico Balla, dopo aver soccorso il comandante De Cristofaro, cercò
di rimettere in funzione uno dei complessi da 120 mm.
Il direttore di
macchina, capitano del Genio Navale Luca Balsofiore (imbarcato sul Tarigo fin dal luglio 1939), venne
mortalmente ferito ed anche accecato da una delle cannonate giunte a segno; si
fece portare dal comandante Da Cristoforo e gli riferì che sulle macchine non
si poteva più contare, poi morì accanto al suo comandante. Anche il comandante
in seconda, tenente di vascello Pietro Dante Radaelli, era stato ferito a morte.
Il micidiale
martellamento che in pochi minuti aveva ridotto il Tarigo ad un relitto cessò per qualche momento, ed in questo
frangente il sottotenente di vascello Bisagno – ferito da due grosse schegge,
che gli erano penetrate in una coscia – ed un gruppetto di siluristi, molti dei
quali già feriti dalle mitragliere e sanguinanti, riuscirono a radunarsi a
poppa e puntare il complesso lanciasiluri ancora funzionante (quello poppiero) verso
le navi britanniche. Fu il sergente silurista Adriano Mazzetti (spesso questo
valoroso membro dell’equipaggio, che non fu tra i sopravvissuti, è erroneamente
menzionato come “sottocapo silurista Adriano Marchetti”), anch’egli gravemente
ferito, ad indicare un’ombra nell’oscurità; Bisagno tolse le sicurezze ai tubi,
Mazzetti brandeggiò manualmente il complesso (l’energia elettrica non giungeva
più) e puntò. Vennero usate le cariche piriche per lanciare. Dal Tarigo agonizzante partirono tre siluri,
che dopo una breve corsa colsero il loro obiettivo.
Alle 2.36 il Mohawk fu colpito da uno dei siluri a
poppa dritta, in corrispondenza del complesso “Y” da 120 mm (quello più
poppiero); l’esplosione asportò la poppa estrema del cacciatorpediniere, dal complesso
“Y” (compreso; tutti i suoi serventi rimasero uccisi) in poi, immobilizzando
subito la nave (che si appoppò immediatamente, con l’acqua che già arrivava al
complesso “X” da 120). Il comandante Eaton, guardandosi intorno, non vide
nessuna nave oltre all’Arta ed al
relitto del Tarigo, ancora fermo ed
in fiamme a più di un miglio: giunse alla conclusione che il siluro doveva
essere provenuto da quest’ultimo, anche se ritenne a torto che l’arma fosse
stata lanciata solo per alleggerire la nave, e che quindi il siluramento fosse
stato involontario.
L’attacco del Tarigo ebbe anche l’effetto di salvare
l’Arta dalla distruzione completa,
dato che il Mohawk venne colpito
mentre stava virando a dritta per attaccarla, dopo averne eluso il tentativo di
speronamento. Sebbene gravemente danneggiato, il cacciatorpediniere britannico
fece ancora in tempo ad aprire il fuoco e colpire l’Arta, scatenando degli incendi a bordo, ma il mercantile tedesco
riuscì a portarsi in secco.
Il primo siluro aveva
causato sul Mohawk danni gravi, ma
non irreparabili: nonostante l’estrema poppa fosse stata asportata
dall’esplosione, le eliche c’erano ancora, ed il direttore di macchina riteneva
di poter rimettere in moto e salvare la nave. Cinque minuti dopo il primo
siluramento (una fonte indica le 2.41, il che sembra plausibile, ed un'altra le
2.53, nella confusione degli orari di quella notte), tuttavia, un secondo
siluro centrò il Mohawk sul lato
sinistro, tra i locali caldaia 2 e 3 (la caldaia n. 3 esplose, ustionando
decine di uomini; il ponte di coperta si spezzò ed un complesso lanciasiluri
cadde dentro la nave, travolgendo gli uomini che erano in sala macchine), ed il
cacciatorpediniere cominciò ad abbassarsi rapidamente sull’acqua. Eaton ordinò
a tutto l’equipaggio di salire in coperta; dopo solo un minuto, il Mohawk iniziò rapidamente a sbandare a
sinistra, rovesciandosi su un fianco ed immergendo la poppa fino all’altezza
dei tubi lanciasiluri. A Eaton non rimase che ordinare di abbandonare la nave; vennero
messi a mare sei zatterini, mentre il resto dell’equipaggio dovette buttarsi in
acqua.
Poco dopo il Mohawk affondò, rovesciato sul lato di
dritta, in posizione 34°56’ N e 11°42’E (in tredici metri d’acqua), lasciando
emergere solo una modesta parte dello scafo, a prua. 41 uomini del suo
equipaggio, tra cui due ufficiali, avevano perso la vita.
Alle 2.37 il Nubian, mentre andava verso il Mohawk, avvistò un cacciatorpediniere a
prora sinistra (ma riferì che aveva un fumaiolo, quindi non è chiaro se fosse
il Tarigo, che però di fumaioli ne
aveva due, oppure Lampo o Baleno, che però erano già ridotti a
relitti), contro il quale tirò diverse salve, colpendolo più volte ed
incendiandolo. Alle 2.40 il Jervis
lanciò anche un siluro contro il Tarigo,
ritenendo di averlo probabilmente colpito a poppa, ma in realtà la nave fu
mancata. Alle 2.44 il Jervis spostò
la sua attenzione su un mercantile, immobilizzato ed in fiamme, contro cui
lanciò infruttuosamente un siluro.
Alle 2.46 il Janus, dopo aver silurato un mercantile,
avvistò di nuovo il Tarigo, che
sembrava in navigazione verso nord emettendo fumo, perciò accelerò a 30 nodi e
virò a sinistra per uscire dal fumo, poi sparò contro di esso mettendo a segno
tre salve. Dalle 2.47 alle 2.59 il Janus
duellò con il Tarigo (che nel
rapporto identificò per nome – mentre Lampo
e Baleno non solo non vennero
identificati correttamente, ma furono persino scambiati per torpediniere classe
Spica – : forse aveva visto e riconosciuto le lettere distintive pitturate
sullo scafo) cambiando più volte rotta con velocità comprese tra i 16 ed i 30
nodi (ma a quest’ora, il Tarigo avrebbe
già dovuto essere immobilizzato, secondo gli orari degli altri
cacciatorpediniere: sembra esservi discordanza tra i diversi rapporti) e
lanciando tre siluri, nessuno dei quali andò a segno. Il tiro del Tarigo era impreciso, passando spesso
troppo alto; il Janus lo centrò
invece numerose volte finché alle 2.59, vedendolo immobilizzato ed in fiamme, e
dato che non rispondeva più al fuoco, lo ritenne ormai in affondamento e si
allontanò verso est.
Alle 2.52 il Jervis venne informato dal Nubian che il Mohawk era stato silurato ed affondato, e gli diresse incontro;
alle 3.11 il capoflottiglia britannico vide un siluro passargli sotto lo scafo
(in corrispondenza della plancia) senza esplodere, e ritenne che a lanciarlo
fosse stato il grosso cacciatorpediniere di prima (appunto il Tarigo: e altri non poteva essere), che
ora appariva immobilizzato, in fiamme e fuori combattimento. Il Jervis aprì il fuoco contro di esso,
centrandolo più volte, poi, dato che aveva intanto proseguito nella navigazione
e si era lasciato il relitto del caccia italiano troppo a poppavia per
continuare il tiro, ordinò al Janus
di finirlo. Quest’ultimo eseguì l’ordine aprendo nuovamente il fuoco da 1830
metri: il Tarigo fu colpito ancora
diverse volte, fu scosso da un’esplosione a centro nave, cui seguì un violento
incendio, e sbandò sempre più verso dritta, come se stesse per capovolgersi.
Anche la nafta delle caldaie aveva preso fuoco, e le riservette in coperta
detonavano in continui scoppi.
Dopo che un’ultima
serie di salve, ormai superflue, ebbe colpito ancora il Tarigo, il comandante De Cristofaro mandò l’equipaggio al posto
d’incendio; subito, però, la nave prese a sbandare fortemente, e De Cristofaro
ordinò di abbandonarla. Il tenente di vascello Mauro Miliotti, ufficiale più
alto in grado ancora in vita, fermò gli uomini che stavano per gettarsi in
mare; li radunò a poppa, ordinò l’attenti, gridò “Viva l’Italia”, poi fece
mettere a mare le poche zattere rimaste intatte, mentre la nave continuava a
sbandare. Sui piccoli galleggianti furono imbarcati per primi i feriti; gli
uomini per i quali non c’era posto dovettero tuffarsi in mare.
Gli ufficiali
rimasero a bordo fino a quando il Tarigo
non fu scomparso sotto la superficie; per ultimi l’abbandonarono gli ufficiali
più anziani, il tenente di vascello Miliotti (che non sopravvisse) ed il sottotenente
di vascello Balla. Il comandante De Cristofaro, intanto, era morto dissanguato
al suo posto. Il relitto del Tarigo
fu il suo sepolcro; alla sua memoria ed a quella del direttore di macchina
Balsofiore fu conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Il più giovane degli
ufficiali del Tarigo, cui era
affidata la custodia della bandiera della nave, la andò a recuperare,
nonostante la zona dove si trovava fosse in preda alle fiamme, e se la avvolse
intorno al torace, prima di gettarsi in mare. Non sopravvisse: il suo corpo
sarebbe stato successivamente ritrovato sull’isola di Djerba e lì sepolto
provvisoriamente in una cassa di legno, ancora avvolto nella bandiera (nel
luglio 1942 venne riesumato, traslato a Sfax e qui sepolto con gli onori
militari).
Il Luca Tarigo colò a picco alle 3.20 (o
3.33) del 16 aprile, 500 metri a sud della boa numero 3 delle Kerkennah. Anche i
britannici riconobbero – cosa assai rara per l’epoca – che si era battuto
valorosamente, vendendo cara la pelle: il Weekly Intelligence Report del 4
luglio 1941, descrivendo l’azione, avrebbe infatti riportato «The destroyer Luca Tarigo, which had put up a very
good fight and had continued to use her torpedo-tubes after she had been
torpedoed, was well on fire, unable to move and had been supposed to be out of
action, finally sank before 0333 after repeated battering by Jervis, Mohawk, Nubian and Janus».
Poco lontano giaceva
il relitto del Mohawk: due guerrieri
uccisisi a vicenda, ora condannati a condividere il sonno eterno nel medesimo
sepolcro.
Dopo aver incendiato
ed affondato anche l’Iserlohn e
colpito pure l’Arta, che andò poi ad
incagliarsi sulle secche (così fece anche l’Adana,
che però affondò qualche ora dopo, mentre l’Aegina
era già colata a picco), Jervis e Nubian recuperarono i naufraghi del Mohawk (i superstiti furono 7 ufficiali,
tra cui il comandante Eaton, e 160 tra sottufficiali e marinai), poi il Janus ricevette l’ordine di affondarne
completamente il relitto ancora affiorante. Ciò fu fatto a cannonate, dato che
la nave aveva finito i siluri; dopo quattro colpi a segno, l’aria ancora
intrappolata nello scafo lo lasciò, ed il relitto Mohawk scomparve definitivamente in posizione 34°56,5’ N e 11°42,4’
E.
Alle 4.03 i tre
cacciatorpediniere britannici assunsero rotta 080° e velocità 20 nodi (poi 29
dalle 4.18) per il rientro a Malta, senza soffermarsi a finire le navi
incendiate ma ancora galleggianti od incagliate (erano quattro: l’Arta, l’Adana, il Lampo ed il Baleno), né a recuperarne i naufraghi.
I naufraghi del Tarigo, abbandonata la nave, videro un
proiettore accendersi nella notte, poi spegnersi dopo un po’. Era stato acceso
da una delle navi britanniche impegnate nel salvataggio dei naufraghi del Mohawk, ma questo loro non lo sapevano:
nel buio della notte nessuno, sul Tarigo,
aveva visto l’esito del lancio dei siluri.
L’odissea degli
uomini del Tarigo non si era però
conclusa con l’affondamento. Le zattere con i naufraghi andarono alla deriva
per tutta la notte e tutta la giornata del 16, fino a sera. Molti dei feriti
soccombettero prima dell’arrivo dei soccorsi; altri uomini, relativamente
illesi, morirono per sfinimento od ipotermia.
Non appena Marilibia
fu informata dell’accaduto, venne disposto l’invio di idrovolanti ed aerei da
trasporto, affinché provvedessero ai primi soccorsi; furono inoltre fatti
partire, o dirottati in zona, i cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (capitano di vascello Giovanni Galati, cui fu
assegnato il comando superiore delle operazioni di soccorso), Antonio Da Noli, Lanzerotto Malocello e Dardo,
le torpediniere Giuseppe Sirtori, Perseo, Partenope, Centauro e Clio e la nave soccorso Giuseppe Orlando; presero parte al
salvataggio dei naufraghi anche i piroscafi Capacitas
ed Antonietta Lauro e la nave
ospedale Arno, che erano in
navigazione al largo di Sfax, e ancora i rimorchiatori Ciclope, Trieste, Montecristo, Pronta e Salvatore Primo.
La Orlando recuperò 326 sopravvissuti
e due salme, il Vivaldi 258 naufraghi
e quattro corpi, il Capacitas
recuperò 148 superstiti (tra cui 15 feriti) e due salme, li sbarcò a Susa e si
mise in cerca di altri naufraghi.
Parte dei naufraghi
del Tarigo – una decina di uomini od
anche meno – venne recuperata, la sera del 16 aprile, dall’Antonietta Lauro, che aveva trovato la loro zattera. I
sopravvissuti vennero successivamente trasferiti sull’Arno, dove vennero informati che i ricognitori avevano avvistato, a
mezzo miglio dal relitto del Tarigo,
il relitto sommerso di un cacciatorpediniere britannico: il Mohawk. Solo allora seppero che i siluri
lanciati nel buio non avevano mancato il bersaglio.
Altri 25
sopravvissuti del Tarigo furono
tratti in salvo dal Capacitas, che li
sbarcò a Palermo insieme ad altri 117 naufraghi di altre navi (due del Baleno, dieci del Sabaudia, due italiani imbarcati sull’Aegina, un italiano imbarcato sull’Iserlohn e 103 tedeschi dell’Adana,
dell’Aegina e dell’Iserlohn).
Le ricerche si
conclusero il 18 aprile, quando i naufraghi vennero sbarcati a Tripoli. In
tutto vennero tratti in salvo 1248 o 1271 sopravvissuti, mentre le vittime
furono circa 700, di cui quasi un terzo erano tra l’equipaggio del Tarigo. (Questo in base ai documenti
rintracciati negli archivi dallo storico e ricercatore Platon Alexiades: la
storia ufficiale dell’USMM, invece, parla di 1248 persone salvate su 3000
imbarcate sulle navi affondate).
Dei 238 uomini che
componevano l’equipaggio del Luca Tarigo,
infatti, soltanto 3 ufficiali e 33 tra sottufficiali, sottocapi e marinai
sopravvissero, a testimonianza di quanto cruento fosse stato il combattimento.
Morirono 8 ufficiali e 194 tra sottufficiali, sottocapi e marinai.
Oltre al comandante
De Cristofaro ed al direttore di macchina Balsofiore, decorati alla memoria con
la Medaglia d’Oro al Valor Militare, vennero decorati anche il sottotenente di
vascello Bisagno (Medaglia d’Argento al Valor
Militare, a vivente), il sottotenente di vascello Balla (Medaglia
d’Argento al Valor Militare, a vivente),
il tenente di vascello Miliotti (Medaglia d’Argento al Valor Militare, alla memoria), il sergente
silurista Mazzetti (Medaglia di Bronzo al Valor
Militare, alla memoria), il sottonocchiere Papi (Medaglia di Bronzo al
Valor Militare, a vivente) ed il
comandante in seconda Radaelli (Medaglia di Bronzo al Valor Militare, alla memoria).
Non tutti erano morti
nel combattimento: diversi giorni dopo lo scontro, uno zatterone del Tarigo con i cadaveri di una quarantina
di uomini venne ritrovato sulla costa tunisina. I corpi furono sepolti in una
fossa comune.
Morirono sul Tarigo:
Umberto Aiazzi, secondo capo, disperso
Vittorio Aiazzi, secondo capo furiere,
disperso
Antonio Allevato, marinaio, deceduto
Corrado Aloi, marinaio fuochista, deceduto
Giancarlo Antolini, sottocapo cannoniere,
disperso
Angelo Apollonio, marinaio, disperso
Enrico Arata, marinaio fuochista, disperso
Salvatore Arcidiacono, marinaio, deceduto in
territorio metropolitano il 26.2.1941
Arnaldo Arioli, guardiamarina, deceduto
Antonino Attanasio, capo meccanico di seconda
classe, disperso
Carmine Auriemma, marinaio, disperso
Dante Balestracci, capo meccanico di seconda
classe, deceduto
Luca Balsofiore, capitano del Genio Navale,
disperso
Vittorio Barbaria, marinaio, deceduto
Giulio Baronio, sottocapo meccanico, disperso
Ottorino Bartoloni, sottocapo S. D. T., disperso
Lorenzo Battista, secondo capo
radiotelegrafista, disperso
Antonio Benedetti, sergente segnalatore,
deceduto
Franco Bentirotti, marinaio, disperso
Attilio Bettiol, secondo capo meccanico,
deceduto
Francesco Beuci, marinaio cannoniere, disperso
Attilio Biasi, marinaio fuochista, disperso
Egidio Bolari, secondo capo meccanico,
disperso
Giacomo Bonforte, sottocapo cannoniere,
deceduto
Giuseppe Borgia, marinaio, deceduto
Vittorio Bruzzone, marinaio, deceduto
Gino Bruschi, capo meccanico di seconda
classe, disperso
Antonio Bufi, marinaio nocchiere, disperso
Luigi Buzzetto, sergente furiere, disperso
Egidio Bussolini, marinaio cannoniere,
disperso
Antonio Cafiero, marinaio fuochista, deceduto
Augusto Carli, marinaio cannoniere, disperso
Gennaro Carnevale, marinaio fuochista,
deceduto
Giovanni Cascone, secondo capo cannoniere,
disperso
Antonio Catini, marinaio radiotelegrafista,
disperso
Giuliano Centini, marinaio meccanico, deceduto
Antonio Ceroni, sottocapo cannoniere, disperso
Pietro Chiarlone, sottocapo silurista,
disperso
Luigi Cibola, sottocapo infermiere, disperso
Primo Cominotto, marinaio cannoniere, deceduto
Antonio Conti, marinaio cannoniere, deceduto
Antonio Coppola, sergente meccanico, deceduto
Tullio Coran, marinaio cannoniere, deceduto
Giuseppe Cordone, marinaio meccanico, disperso
Ezio Corradini, sottocapo cannoniere, disperso
Gerolamo Corti, marinaio fuochista, disperso
Angelo Cosentino, sergente cannoniere,
deceduto
Egidio Costa, sottocapo elettricista, disperso
Emilio Crippa, marinaio fuochista, disperso
Antonio D’Accorsi, marinaio, deceduto
Francesco De Angelis, marinaio cannoniere,
disperso
Pietro De Cristofaro, capitano di fregata,
deceduto
Vincenzo De Falco, marinaio cannoniere,
disperso
Guido De Luca, marinaio fuochista, disperso
Vincenzo De Luca, marinaio cannoniere,
deceduto
Antonio De Negri, marinaio segnalatore,
deceduto
Luca Dedola, capo torpediniere di terza
classe, disperso
Francesco Del Bello, marinaio, deceduto
Luigi Della Bella, sottocapo torpediniere,
disperso
Mario Della Rossa, sottocapo elettricista,
disperso
Cosimo Di Bari, marinaio cannoniere, deceduto
Giuseppe Di Blasi, marinaio fuochista,
deceduto
Nicolo Donato, marinaio, deceduto
Rosario Donato, marinaio, deceduto
Luigi Dugo, sergente cannoniere, deceduto
Pietro Ercole, sottocapo radiotelegrafista,
deceduto
Luigi Esposito, marinaio fuochista, disperso
Vittorio Falanga, sergente elettricista,
disperso
Espedito Fantasia, sottotenente del Genio
Navale, deceduto
Marcello Ferrari, marinaio fuochista, deceduto
Aldo Ferraris, capo meccanico di terza classe,
deceduto
Salvatore Fontana, sergente cannoniere,
deceduto
Cesarino Formigoni, marinaio cannoniere,
deceduto
Giovanni Fugattini, marinaio cannoniere,
disperso
Alberto Gabriellini, capo nocchiere di seconda
classe, deceduto
Giulio Gardenal, marinaio fuochista, deceduto
Innocenzo Gargano, marinaio cannoniere,
disperso
Gino Gerola, marinaio cannoniere, deceduto
Luigi Giorgi, marinaio elettricista, disperso
Felice Giraud, secondo capo silurista,
deceduto
Virgilio Giustini, guardiamarina, disperso
Maurizio Golla, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Giovanni Grasso, marinaio, disperso
Rocco Gricoli, marinaio fuochista, deceduto
Salvatore Guarino, marinaio, disperso
Giuseppe Iaccarino, marinaio, disperso
Pasquale La Gioia, marinaio cannoniere,
disperso
Alfonso Lamberti, marinaio, disperso
Tonino Largo, marinaio silurista, deceduto
Rocco Latessa, marinaio cannoniere, deceduto
Emanuele Leone, marinaio, disperso
Antonio Levantaci, secondo capo cannoniere,
deceduto
Gioacchino Lipari, marinaio cannoniere,
disperso
Giuseppe Lo Coco, marinaio, disperso
Vito Lo Iacono, marinaio, disperso
Luigi Loffredo, marinaio, disperso
Vittorio Longhino, marinaio motorista,
deceduto
Roberto Luppi, marinaio fuochista, disperso
Aldo Maldotti, marinaio, disperso
Ennio Mameli, marinaio S. D. T., deceduto
Emanuele Mantovani, marinaio, disperso
Ferruccio Marcon, marinaio elettricista,
deceduto
Salvatore Maresca, marinaio cannoniere,
disperso
Cesare Mariani, marinaio fuochista, disperso
Gustavo Marinari, marinaio, deceduto
Filippo Marinaro, marinaio fuochista, disperso
Mario Marsili, sergente elettricista, disperso
Giovanni Masone, marinaio cannoniere, deceduto
Oris Massetti, marinaio nocchiere, disperso
Federico Mauri, marinaio fuochista, disperso
Antonio Maurino, sottocapo radiotelegrafista,
deceduto
Adriano Mazzetti, sergente silurista, disperso
Mario Melchionna, marinaio cannoniere,
disperso
Giuseppe Melilli, secondo capo cannoniere,
deceduto
Francesco Melis, marinaio, deceduto
Pietro Merlino, marinaio, disperso
Vincenzo Mesto, marinaio fuochista, disperso
Carmelo Miggiano, marinaio S. D. T., deceduto
Mauro Miliotti, tenente di vascello, disperso
Pasquale Milo, marinaio fuochista, disperso
Luigi Minguzzi, sottotenente di vascello,
disperso
Pietro Mirabella, marinaio, deceduto
Silvano Mollo, marinaio, deceduto
Vittorio Montefusco, marinaio fuochista,
disperso
Simone Moro, marinaio cannoniere, disperso
Luigi Nava, marinaio fuochista, disperso
Luigi Nazzari, secondo capo meccanico,
deceduto
Michele Saverio Nencha, marinaio segnalatore,
deceduto
Beniamino Neri, marinaio cannoniere, disperso
Angelo Occhipinti, secondo capo meccanico,
deceduto
Carlo Oddone, marinaio S. D. T., deceduto
Rocco Pacicca, secondo capo cannoniere,
deceduto
Dante Paganini, capo cannoniere di terza classe,
disperso
Ettore Paini, sottocapo cannoniere, disperso
Angelo Palumbo, sottotenente CREM, deceduto
Antonio Panciullo, secondo capo
radiotelegrafista, deceduto
Enzo Panigada, marinaio S. D. T., deceduto
Spartaco
Parapetti, sottocapo meccanico, disperso
Innocenzo Pascucci, sottocapo
radiotelegrafista, disperso
Ettore Pasquali, sottocapo cannoniere,
disperso
Mario Pavese, marinaio cannoniere, disperso
Amleto Pavone, capo silurista di seconda
classe, deceduto
Stefano Pellicanò, marinaio, disperso
Ettore Pendola, marinaio, deceduto
Luigi Pestalardo, marinaio fuochista, deceduto
Augusto Pittaluga, marinaio cannoniere,
disperso
Antonio Pizzarelli, marinaio cannoniere,
disperso
Alfonso Poggi, capo elettricista di terza
classe, disperso
Ezio Pontecorvi, marinaio, deceduto
Giuseppe Ponzano, secondo capo S. D. T.,
deceduto
Leonardo Porcelluzzi, marinaio segnalatore,
deceduto
Luigi Prosio, marinaio cannoniere, deceduto
Angelo Raccuglia, marinaio S. D. T., disperso
Salvatore Raciti, sergente elettricista,
disperso
Dante Radaelli, tenente di vascello, disperso
Raffaele Raiola, marinaio fuochista, disperso
Luigi Rana, marinaio cannoniere, disperso
Giulio Rasetta, capo cannoniere di terza
classe, disperso
Leonardo Rasetti, sottocapo meccanico,
disperso
Orlando Razzore, marinaio S. D. T., disperso
Antonio Re, secondo capo cannoniere, deceduto
Giuseppe Regeni, marinaio, disperso
Umberto Renner, marinaio, disperso
Lazzaro Repetto, marinaio, disperso
Giovanni Restelli, marinaio fuochista,
disperso
Orlando Rispoli, marinaio silurista, deceduto
Vittorio Rizzini, sottocapo cannoniere,
disperso
Enrico Rogari, marinaio cannoniere, disperso
Mario Romani, marinaio cannoniere, deceduto
Antonio Rombi, marinaio cannoniere, disperso
Cesare Rossi, marinaio silurista, disperso
Nicola Rubino, marinaio cannoniere, deceduto
Antonio Ruiu, sottocapo nocchiere, deceduto
Adalberto Ryma, capo radiotelegrafista di
terza classe, deceduto
Raffaele Sabbatini, marinaio, deceduto
Giuseppe Santo, marinaio cannoniere, deceduto
Aldo Schenone, marinaio fuochista, disperso
Gualtiero Schnabl, marinaio, disperso
Antonio Scrivani, marinaio, disperso
Luigi Simoncelli, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Simoncini, sottocapo cannoniere,
disperso
Giuliano Sordi, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Sottile, marinaio cannoniere,
disperso
Antonio Spinella, sottocapo furiere, disperso
Luigi Stasi, meccanico, disperso
Giovanni Tararà, marinaio cannoniere, deceduto
Federico Tavella, marinaio fuochista, disperso
Luigi Terminiello, marinaio, disperso
Guido Terrabusi, marinaio fuochista, disperso
Attilio Tommasi, marinaio nocchiere, disperso
Armando Tornabuoni, marinaio fuochista,
disperso
Antonio Tornato, marinaio fuochista, disperso
Vincenzo Traversa, secondo capo meccanico,
deceduto
Salvatore Trovato, marinaio fuochista,
disperso
Leonardo Ucciardello, sottocapo
radiotelegrafista, deceduto
Armando Varchetta, marinaio, disperso
Nicola Vecera, sottocapo cannoniere, disperso
Mario Vezzoli, marinaio, deceduto
Vincenzo Virdis, sergente nocchiere, deceduto
Giuseppe Vitti, marinaio silurista, disperso
Renato Zani, sottocapo cannoniere, disperso
Renzo Zucchinali, marinaio, deceduto
Otello Zunino, marinaio fuochista, disperso
Il marinaio Renzo Zucchinali, 21 anni, da Canonica d’Adda (BG), morto sul Tarigo (g.c. Rinaldo Monella/www.combattentibergamaschi.it) |
La guerra avrebbe
ulteriormente ridotto lo sparuto gruppo dei sopravvissuti del Tarigo. Dei tre ufficiali superstiti (il
sottotenente di vascello Bisagno, il sottotenente di vascello Balla ed il
sottotenente del Genio Navale Spartaco Amodio), soltanto Balla sopravvisse alla
guerra: Bisagno, imbarcato sul MAS 571,
morì per le ferite riportate in un’azione in Mar Nero (per la quale fu decorato
con la Medaglia d’Oro al Valor Militare) il 21 giugno 1942, mentre Amodio morì
il 28 gennaio 1943 per le ferite subite nell’affondamento del
cacciatorpediniere Bombardiere,
silurato ed affondato dal sommergibile United
sulle rotte dei convogli.
Il disastro del
convoglio Tarigo, la prima perdita
veramente pesante in un panorama fino ad allora positivo (gli attacchi ai
convogli per la Libia e le relative perdite erano state piuttosto limitate fino
a quel momento: unici episodi particolarmente dolorosi erano stati gli
affondamenti dell’incrociatore Armando
Diaz, della motonave Città di Messina
e del piroscafo Leopardi, per le
elevate perdite in vite umane), fu un fulmine a ciel sereno per i comandi
italiani: otto navi affondate e settecento uomini uccisi in una sola notte,
poco meno dell’equivalente di tutte le perdite che si erano subite dall’inizio
del 1941. Mussolini rimase turbato dall’accaduto; il capo di Stato Maggiore
della Marina, ammiraglio di squadra Arturo Riccardi, attribuì l’intercettazione
alla rotta obbligata che le navi avevano dovuto seguire; altri diedero la colpa
alla Francia, visto che l’attacco era avvenuto nelle acque della Tunisia.
Giusta osservazione fu quella del generale Francesco Pericolo, il capo di Stato
Maggiore dell’Aeronautica, il quale fece notare che fino ad allora non era
accaduto niente del genere semplicemente perché i britannici non avevano mai
sferrato attacchi di notte e con navi di superficie (eccetto che per
un’incursione nel Canale d’Otranto nel novembre 1940, con risultati analoghi).
Delle navi che erano
finite sulle secche, il Baleno
affondò nel pomeriggio del 16 aprile, mentre l’Arta, danneggiata in modo non irreparabile ma incagliata in
posizione tale da non essere recuperabile, dovette essere lasciata dov’era, e
venne distrutta il 26 aprile dal sommergibile britannico Upholder. Solo il Lampo
poté essere recuperato e riparato dopo un lungo lavoro.
Immersioni sul
relitto del Mohawk, effettuate il 27
aprile, il 7 maggio ed il 22-23 giugno sotto la direzione del capitano di
fregata Eliseo Porta, permisero di recuperare importanti documenti britannici,
tra cui il «Mediterranean Station Order Book» (disposizioni di massima per la
Mediterranean Fleet). Le immersioni furono compiute da una squadra di cinque
subacquei travestiti da pescatori francesi, imbarcati sulla goletta Fiammetta (che fingeva di pescare nelle
vicinanze, mentre i subacquei operavano da uno zatterino e, in caso di arrivo
di aerei nemici, si fingevano morti); l’individuazione del relitto del Mohawk, affondato vicino al Tarigo, venne agevolata anche dalla
presenza del relitto di quest’ultimo, l’estremità del cui alberetto affiorava
ancora sotto la superficie.
Secondo alcune fonti,
tra i documenti recuperati dal Mohawk
vi furono anche le mappe dei campi minati al largo di Alessandria d’Egitto, che
si rivelarono utili per la preparazione dell’attacco della X Flottiglia MAS a
quella base, nel dicembre del 1941. Venne anche ritrovato il radar del Mohawk, ma non sapendo cosa fosse, ed
essendo troppo ingombrante per essere recuperato, i subacquei lo lasciarono
dov’era.
Il relitto del Tarigo (affondato a poca profondità),
rintracciato nel 1950-1951 dalla società «MICOPERI» (Mini Contivecchio
Recuperi), venne in larga parte distrutto per recuperarne i metalli pregiati.
Simile sorte ebbero il Mohawk e quasi
tutte le navi affondate alle Kerkennah nello scontro di dieci anni prima. Tra i
subacquei che parteciparono alla demolizione del Tarigo vi fu anche Giuseppe Guglielmo, che dieci anni prima era
stato uno dei cinque sommozzatori che si erano immersi sul relitto del Mohawk per recuperarne i documenti.
Durante una pausa nei lavori, Guglielmo colse l’occasione per tornare sul Mohawk, dove trovò quello che non era
riuscito ad individuare nel 1941: i cifrari della Marina britannica, chiusi in
un’apposita cassetta per l’affondamento (durante la ricerca del 1941, i
subaquei non avevano cercato una cassetta, ma dei documenti sparsi).
Ciò che restava del
relitto del Tarigo, insieme agli
altri relitti delle navi del convoglio, venne esplorato nel 1954-1955 dal
subacqueo e giornalista Lino Pellegrini, insieme alla moglie Elena ed ai figli
Daniele e Marina.
La motivazione della
Medaglia d’Oro al Valor Militare conferita alla memoria del capitano di fregata
Pietro De Cristofaro, nato a Napoli il 1° settembre 1900:
“Ufficiale superiore
di altissimo valore. Comandante di silurante in servizio di scorta ad
importante convoglio in acque insidiate dal nemico, prendeva tutte le
disposizioni atte a garantire la sicurezza del convoglio affidatogli. Assaliti
la scorta e il convoglio improvvisamente da soverchianti forze navali nemiche
la notte sul 16 aprile 1941, con serena e consapevole audacia conduceva
immediatamente all'attacco la nave di suo comando.
Crivellata la sua nave da colpi nemici, colpito egli stesso da una granata che
gli asportava una gamba, rifiutava di essere trasportato in luogo più ridossato
e solo concedeva che gli venisse legato il troncone dell'arto, non per vivere
ma per continuare a combattere. Così egli rimaneva fino all'ultimo, fermo al
suo posto di dovere e di onore e nella notte buia, illuminata a tratti dalle
vampe delle granate e degli incendi, i suoi occhi che si spegnevano avevano
ancora la visione di un'unità nemica che sprofondava nel mare, colpita
dall'offesa della sua nave.
E con questa egli volle inabissarsi, mentre i superstiti, riuniti a poppa
lanciavano al nemico il loro grido purissimo di fede. Esempio sublime di
indomito spirito guerriero, di coraggio eroico, di virtù di capo, di dedizione
alla Patria oltre ogni ostacolo e oltre la vita.
Mediterraneo Centrale, 16 aprile 1941.”
Alla sua memoria è
anche stata intitolata una corvetta della classe omonima, in servizio dal 1965
al 1994.
La motivazione della
Medaglia d’Oro al Valor Militare conferita alla memoria del capitano di del
Genio Navale Luca Balsofiore, nato Forio d’Ischia l’11 settembre 1906:
“Direttore di
Macchina di silurante in servizio di scorta ad importante convoglio, durante
improvviso durissimo combattimento notturno contro forze nemiche soverchianti,
disimpegnava i propri incarichi con perizia, serena noncuranza del pericolo e
fredda determinazione.
Colpita
irrimediabilmente l'unità, ferito a morte egli stesso, non pago di dare alla
Patria anche la vita, volle compiere ancora un atto di sublime attaccamento al
dovere, quello che doveva suggellare la sua eroica esistenza di prode
Ufficiale.
Incapace di muoversi per le gravi ferite, accecato da un colpo al viso, con
forza d'animo sovrumana, vincendo atroci sofferenze, si faceva accompagnare
sulla plancia per riferire di persona al Comandante sulle condizioni
dell'apparato motore ormai sconvolto dall'offesa avversaria e per morire al
fianco del suo superiore.
Scompariva quindi in
mare con la Nave, lasciando mirabile esempio di stoico coraggio, di sublime
abnegazione, di spirito combattivo e di assoluta dedizione al dovere, spinta
oltre ogni limite.”
Il Tarigo in cantiere (da www.deutsches-afrika-korps.de) |
Il marinaio Armando Varchetta era di Golfo Aranci, aveva 21 ANNI R.I.P.😇
RispondiEliminaavete i nomi dei sopravvissuti del Tarigo? grazie
RispondiEliminaA parte i pochi menzionati purtroppo no, mi spiace
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