La San Giusto a Taranto, con la livrea da nave soccorso (g.c. Carlo Di
Nitto via www.naviearmatori.net)
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Nave soccorso, già
motonave mista da 860,66 tsl e 382 tsn, lunga 65,45-68,42 metri, larga 9,34 e
pescante 3,6; velocità 13 nodi. Appartenente alla Società Anonima di
Navigazione Istria, con sede a Trieste, ed iscritta con matricola 292 al
Compartimento Marittimo di Trieste.
In precedenza fu
impiegata anche come posamine ausiliario. Effettuò due sole missioni come nave
soccorso.
Breve e parziale cronologia.
24 marzo 1928
Impostata nei
cantieri Odero Terni Orlando del Muggiano (La Spezia), costruzione numero 215.
10 dicembre 1928
Varata nei cantieri
Odero Terni Orlando del Muggiano.
25 luglio 1929
Completata per la
Società Anonima di Navigazione Istria. Impiegata sulle rotte costiere
dell’Istria, trasportando merci e passeggeri tra Zara, le principali località
della costa istriana (tra cui Pola, Lussinpiccolo e Parenzo) e Trieste.
1937
A partire da questo
anno la San Giusto, oltre che per il
servizio di linea tra Trieste e Zara, viene impiegata anche in mini-crociere
estive con destinazione Venezia ed altri centri turistici dell’Adriatico.
29 agosto 1939
Requisita dalla Regia
Marina, dalle ore 24, ed iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato
come posamine. Successivamente derequisita.
11 maggio 1940
Requisita dalla Regia
Marina ed iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato come posamine
ausiliario, con caratteristica M 14
(per altra fonte F 101), con capacità
di carico e posa di 40 mine.
Assegnata al Gruppo
Navi Ausiliarie Dipartimentali del Comando Militare Marittimo di Pola (insieme
al posamine Azio, alla cisterna per
nafta Lete ed alle cisterne per acqua
Scrivia e Verbano), e dislocata a Pola.
6 giugno-10 luglio 1940
Il San Giusto partecipa alle operazioni di
minamento difensivo delle coste italiane nei giorni precedenti e successivi
all’entrata in guerra; specificamente esso prende parte, insieme al posamine Azio, alla posa di due sbarramenti al
largo di Ancona (uno antinave di 70 mine ed uno antisommergibile di 50, entrambi
con vecchie mine tipo C 15 ex austroungariche, residuate della Grande Guerra),
tre al largo di Trieste (tutti antisommergibile, di 35 mine C 15 ciascuno) ed
otto al largo di Pola (anch’essi antisommergibile, di 40 mine C 15 ciascuno).
Agosto 1940
La sigla assegnata
alla San Giusto diviene S 3: rimosse le attrezzature per la posa
delle mine, la nave viene trasformata in nave soccorso, ossia unità veloce per
il tempestivo – dovrà essere sempre pronta a muovere in mezz’ora – salvataggio
di naufraghi ed equipaggi di aerei abbattuti o precipitati. Vengono ricavati
una decina di posti letto ed imbarcate attrezzature per operazioni chirurgiche
d’emergenza e cure dai problemi più comuni nei naufraghi (shock traumatico,
ipotermia, annegamento, ustioni); l’equipaggio è integrato da personale
sanitario. Scafo e sovrastrutture, come prescritto dalla Convenzione di dell’Aja
del 1907 per tutte le navi ospedale, vengono verniciate di bianco, con una
fascia verde lungo lo scafo e croci rosse sulle murate e sul fumaiolo.
I lavori di
adattamento, effettuati a Trieste a cura della Società di Navigazione Istria,
dureranno quattro mesi.
La San Giusto sarà la più “grande” delle
sette navi soccorso messe in servizio dalla Regia Marina durante il secondo
conflitto mondiale.
Dicembre 1940
Entra in servizio
come nave soccorso e viene subito fatta partire da Trieste per Tobruk, dov’è
stata assegnata insieme ad un’altra, più piccola, nave soccorso, la Giuseppe Orlando.
Durante il viaggio di
trasferimento, tuttavia, la crisi sanitaria causata dalla disastrosa campagna
di Grecia induce a dirottare la San
Giusto a Valona, dove la nave imbarca 81 degenti (21 feriti e 60 malati)
che trasporta a Bari.
Inizio 1941
A seguito della presa
di Tobruk da parte delle truppe britanniche (22 gennaio 1941), la San Giusto non viene più fatta
proseguire per l’Africa, e viene invece dislocata a Brindisi, dove rimane di
base.
Marzo 1941
Durante questo
periodo la San Giusto esce in mare
soltanto a scopo precauzionale nel corso dei viaggi in aereo che Benito
Mussolini compie per recarsi in Albania.
(Per altra fonte,
invece, la San Giusto, dopo il
termine dei lavori di conversione, raggiunse effettivamente Tobruk, dove ebbe
occasione di prestare servizio, poi fu trasferita a Brindisi per il soccorso ad
aerei precipitati, attività nella quale ebbe modo di salvare numerosi aviatori,
talvolta giungendo, nelle sue ricerche, ai limiti dell’autonomia; infine fu
inviata a Valona in rinforzo alle navi ospedale “maggiori” e fu in questa
occasione che imbarcò gli 81 feriti e malati poi trasferiti a Brindisi).
L'affondamento
Mentre la San Giusto era rimasta in Italia, la Giuseppe Orlando aveva raggiunto la
Libia, dislocandosi a Tripoli anziché nell’ormai perduta Tobruk. L’intensa
attività della piccola nave soccorso, tuttavia, durò soltanto pochi mesi: il 3
maggio 1941 la Orlando, uscita
nell’avamporto di Tripoli, urtò una mina magnetica ed affondò all’istante con
otto vittime tra i 39 membri del suo equipaggio.
Quando questo
accadde, la San Giusto si trovava a
Bari. Occorreva rimpiazzare la perduta Orlando
per proseguire le missioni di soccorso costiero in Tripolitania, pertanto la San Giusto ricevette ordine di
trasferirsi a Tripoli, per sostituire la Orlando.
Il 13 maggio 1941 la
nave, al comando del sottotenente di vascello Nicolò Prinz, piranese, lasciò
pertanto Bari (per altra fonte Brindisi) alla volta della Libia, comunicando
via radio al Comando Marina di Tripoli che sarebbe giunta nella base libica il
15 maggio.
Alle otto di sera del
14 maggio gli uomini della San Giusto
avvistarono sulla dritta una mina alla deriva, che provvidero ad affondare a
colpi di moschetto.
Nella notte tra il 14
ed il 15 maggio, la nave soccorso imboccò la rotta di sicurezza indicata nelle
disposizioni, procedendo a velocità normale. Il tempo era in generale buono,
con vento da ponente e mare un po’ mosso.
Alle quattro del
mattino del 15 il direttore di macchina, terminato il suo turno di guardia in
sala macchine, consegnò la guardia al primo ufficiale di macchina e si recò a
dormire in cabina. Anche il primo ufficiale di coperta stava dormendo, nella
cabina sul ponte; il comandante Prinz era invece in plancia, mentre il
direttore sanitario, capitano medico Francesco Delfino, era nel bar di bordo.
Alle 5.55,
improvvisamente, un’esplosione spezzò in due la San Giusto, sollevando una colonna d’acqua e lanciando in aria
innumerevoli rottami. La nave aveva appena subito la sorte toccata alla Orlando dodici giorni prima: aveva
urtato una mina.
Il nostromo, che era
a poppa estrema, notò che l’esplosione si era verificata sul lato sinistro,
sotto la plancia, e che lo scafo si spezzò a poppavia della plancia. La plancia
scomparve nell’esplosione insieme al comandante Prinz; i suoi rottami ricaddero
in mare dopo l’esplosione, ed il troncone prodiero affondò rapidamente. Non vi
furono superstiti tra quanti si trovavano in plancia o nei locali sottostanti.
Nonostante tanto
sfacelo, i motori rimasero in funzione, ed il relitto mutilato della San Giusto continuò ad avanzare.
Il direttore di
macchina, che stava dormendo, venne svegliato da un sordo fragore e da un
brusco spostamento; sentì la nave sbandare improvvisamente sul lato sinistro,
per poi tornare in assetto dopo qualche secondo. Tentò di alzarsi, ma venne
travolto da una massa d’acqua che lo gettò nella direzione opposta a quella
dove intendeva andare, poi richiuse la porta della cabina, ritrovandosi al
buio. Nell’oscurità, sentì che i motori stavano ancora andando, quindi cercò di
uscire, ma trovò la porta bloccata; infine sfondò il pannello inferiore con una
sedia, riuscendo finalmente ad uscire in coperta. Si rese conto a quel punto
d’essere del tutto nudo; al contempo sopraggiunse il nostromo, ferito, che
stava correndo verso poppa.
L’ufficiale, pensando
che il disastro fosse dovuto ad un incidente verificatosi in sala macchine,
tentò infruttuosamente di aprire la porta che conduceva nel locale motori, poi,
guardandosi attorno, vide che altri uomini si stavano buttando in mare.
Ignorando che la San Giusto non aveva più la prua, il
direttore di macchina salì sul parapetto della murata per vedere cosa stesse
accadendo sul ponte di passeggiata, ma fu urtato violentemente e precipitò in
mare. Quando venne a galla, l’ufficiale si trovò in mezzo a rottami e nafta che
galleggiava sulle onde; ad una decina di metri di distanza, la San Giusto continuava lentamente nella
navigazione, senza più anima viva a bordo. Non c’erano più la prora, la plancia
ed i locali sottostanti, né l’albero di trinchetto; la prima scialuppa di
sinistra penzolava semidistrutta dalle gru.
Il direttore di
macchina si aggrappò ad un relitto galleggiante, e vide più lontani i gavitelli
luminosi del salvagente, dei naufraghi che nuotavano in mare e due imbarcazioni
a remi, l’una intenta a recuperare i naufraghi in acqua, l’altra diretta verso
di lui a forte velocità. Presto venne recuperato da quest’ultima, che si
riavvicinò al relitto della San Giusto,
che ora si stava fermando; notando una motolancia con quattro marinai vicino
alla nave, il direttore di macchina si avvicinò alla motolancia, i cui
occupanti non avevano acceso il motore ma remavano con molta accortezza,
scrutando il mare attorno a lui. Questi gli spiegarono di aver visto in acqua,
appena un metro sotto la superficie, delle mine, a poca distanza l’una
dall’altra. L’ufficiale, a questo punto, decise di trasferirsi dalla scialuppa
a remi in cui si trovava alla motolancia; rimandò la prima a soccorrere gli
uomini ancora in mare, poi avviò il motore della seconda e si portò sottobordo
alla San Giusto, molto appruata ma
non in procinto di affondare.
Risalito sulla nave
agonizzante, il direttore di macchina ispezionò i locali ancora accessibili in
cerca di altri uomini, ma non trovò nessuno; il quadrato ufficiali era invaso
dai rottami, il bar scoperchiato e trasformato in un ammasso di lamiere
dilaniate. Sceso in coperta, il direttore di macchina distrusse un’altra parte
della porta della sua cabina, così da poter recuperare qualche vestito da
indossare, poi controllò alcuni altri alloggi, sempre senza trovare nient’altro
che vetri e porcellane frantumate e mobili spostati.
Conclusa
l’infruttuosa esplorazione, l’ufficiale tornò in coperta, gettò in mare un
fusto di benzina che avrebbe dovuto fungere da riserva di carburante della
motolancia, guardò il locale motori dove l’acqua aveva ormai raggiunto il
pagliolo, controllò ancora alcuni locali vuoti e semidistrutti ed infine tornò
sulla motolancia.
Dopo aver preso a
rimorchio le due lance a remi, il direttore di macchina portò le tre
imbarcazioni a circa cinquecento metri dalla San Giusto, poi fece l’appello.
Non risposero in
sedici, tra cui cinque ufficiali. Il comandante Prinz era scomparso
nell’esplosione che aveva cancellato la plancia, il primo ufficiale di macchina
era stato visto per l’ultima volta mentre si dirigeva verso la dispensa; anche
il direttore sanitario Delfino ed il primo ufficiale di coperta erano
scomparsi. Il direttore di macchina era l’unico ufficiale sopravvissuto.
La San Giusto era frattanto giunta al
termine della sua agonia: la nave continuava a sbandare, e, quando l’acqua
raggiunse la base del fumaiolo, sul ponte di passeggiata, il bastimento oscillò
bruscamente verso prua, poi impennò la poppa sin quasi a trovarsi a
perpendicolo sul mare e rimase in quell’assurda posizione per alcuni minuti,
poi, alle sette del mattino, s’inabissò a 15 miglia per 25° da Tripoli,
salutata da tutti i sopravvissuti.
Dopo un attimo di
raccoglimento, la motolancia diresse verso la costa rimorchiando le altre due
imbarcazioni, ma poco più tardi il suo motore cessò di funzionare; i suoi
occupanti proseguirono a remi finché – ormai in vista di Tripoli – non
s’imbatterono in due pescherecci, che li presero a rimorchio. Entrarono nel
porto di Tripoli a mezzogiorno.
Oltre alle 16
vittime, si ebbero a lamentare sette feriti, che vennero immediatamente
ricoverati in ospedale.
Morirono nell'affondamento della San Giusto:
Marino Ballardini, secondo capo radiotelegrafista, da Lugo
Giuseppe Belemmi, marinaio, da Cattolica
Guido Benedetti, marinaio fuochista, da Pirano
Francesco Brighi, marinaio, da Cesenatico
Mario Crovetto, capo radiotelegrafista di terza classe, da Genova
Mario D'Adduzio, secondo capo segnalatore, da Foggia
Diego De Maria, sottocapo radiotelegrafista, da Nola
Francesco Delfino, capitano medico, da Reggio Calabria
Giacomo Haber, secondo capo furiere, da Pirano
Ferdinando Matacchiera, secondo capo infermiere, da Sassari
Nicolò Prinz, sottotenente di vascello, da Pirano
Bruno Rosso, sottotenente del Genio Navale, da Trieste
Corrado Tacchini, capo meccanico di prima classe, da Romagnano Sesia
Livio Vascotto, capitano di corvetta, da Parenzo
Agostino Vidussi, guardiamarina, da Lussinpiccolo
Giuseppe Vitassovich, marinaio, da Dignano d'Istria
La San Giusto quando ancora era una nave passeggeri (Coll. Guido
Alfano via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)
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Il dr. Delfino era mio nonno, grazie per le informazioni!
RispondiEliminaLa Motonave era di proprieta' di mio nonno Cattich Simeone da Zara titolare della Societa' Unipersonale Istria Trieste.
RispondiEliminaGrazie per per il Vostro dettagliato ricordo.
Simeone Dall'Antonia Cattich
Titolare della Agenzia di Navigazione Istria Trieste di Zara
RispondiEliminain aggiunta al mio commento del 28/11/20 : Titolare dell'Agenzia in Zara
Eliminae non della Societa' Istria- Trieste, specifico per correttezza e chiarezza.
Grazie ancora per le notizie
Simeone Dall'Antonia Cattich