sabato 14 febbraio 2015

Alberico Da Barbiano

L’Alberico Da Barbiano (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)

Incrociatore leggero della classe Di Giussano (anche detta classe Da Barbiano, o Colleoni) del tipo Condottieri (dislocamento standard 5155 tonnellate, a pieno carico 6844 tonnellate). La sua classe, prima classe di incrociatori italiani costruita dopo la prima guerra mondiale, nacque come risposta ai grandi cacciatorpediniere francesi delle classi Jaguar, Aigle e Lion: rispetto a tali unità, gli incrociatori sarebbero stati più veloci (37 nodi, grazie al più potente apparato motore sino a quel momento sviluppato per una nave da guerra italiana) e meglio armati. Lo scafo, sviluppato a partire da una versione ingrandita e rinforzata di quello degli esploratori classe Navigatori, risultò troppo debole, specie longitudinalmente. La corazzatura fu estremamente sacrificata alla velocità, risultando di 24+18 mm per la cintura corazzata, 20 mm orizzontale, 20 mm verticale, 23 mm per le torri, tra i 25 ed i 40 mm il torrione.
In definitiva si trattò di navi piuttosto mal riuscite, con mediocri qualità di tenuta del mare, scarsa abilità, corazzatura ampiamente insufficiente, scarsa autonomia e velocità effettiva che non superava di molto i 30 nodi.
Durante il secondo conflitto mondiale il Da Barbiano svolse solo 7 missioni di guerra per totali 13.241 miglia percorse, avendo trascorso diversi mesi a Pola per lavori e per l’addestramento degli allievi delle locali scuole.

Il Da Barbiano in una fotocartolina (g.c. Salvatore Atzori via www.betasom.it)

Breve e parziale cronologia.

16 aprile 1928
Impostazione nei Cantieri Ansaldo di Genova.
23 agosto 1930
Varo nei Cantieri Ansaldo di Genova; è madrina del varo Clorinda Thaon di Revel, moglie del Grande Ammiraglio Paolo Emilio Thaon di Revel.
Durante le prove in mare, il Da Barbiano manterrà per otto ore i 39,6 nodi (con potenza sviluppata di 112.760 HP) e toccherà l’eccezionale velocità di 42,05 nodi (potenza sviluppata 123.479 HP), così divenendo il più veloce incrociatore al mondo, ma tale risultato, ottenuto solo 32 minuti, con sovrastrutture ed armamento ancora incompleti e sforzando al limite le caldaie, non sarà mai raggiunto in condizioni normali.
9 giugno 1931
Entrata in servizio. Il Da Barbiano e le unità gemelle andranno a far parte della II Squadra Navale, formata dalle navi maggiori più leggere e veloci.
Le navi svolgeranno prima le usuali prove, quindi l’addestramento preliminare e poi l’attività di Squadra con addestramento, crociere nel Mediterraneo con scali in porti italiani e stranieri e partecipazione annuale alle manovre navali.
Durante questo periodo prestano servizio sul Da Barbiano, rispettivamente quale guardiamarina e trombettiere, le future Medaglie d’Oro al Valor Militare Alessandro Cavriani e Mino Luperi.
Nei primi anni Trenta, per alleggerire la nave e migliorare la stabilità trasversale, le due gambe laterali dell’albero a tripode verranno rimosse. Le due mitragliere singole Vickers-Terni 1917 da 40/39 mm che fanno parte dell’armamento verranno al contempo sostituite con quattro mitragliere binate da 13,2/76 mm.

L’incrociatore in Liguria nella tarda estate del 1931 (Coll. Erminio Bagnasco via Maurizio Brescia e www.associazione-venus.it)

22 aprile 1934
Con una solenne cerimonia, alla presenza della I (Luca Tarigo, Ugolino Vivaldi, Antoniotto Usodimare, Alvise Da Mosto) e II Squadriglia Esploratori (Lanzerotto Malocello, Giovanni Da Verrazzano, Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno), della IV Squadriglia Cacciatorpediniere (Francesco Crispi, Quintino Sella, Giovanni Nicotera, Bettino Ricasoli, Tigre, Francesco Nullo, Daniele Manin) e del posamine Dardanelli, il Da Barbiano, i gemelli Alberto Di Giussano, Giovanni delle Bande Nere e Bartolomeo Colleoni ed il similare Luigi Cadorna ricevono le proprie bandiere di combattimento nel bacino di San Marco a Venezia. La bandiera del Da Barbiano è offerta dalla città di Ravenna, città natale del condottiero eponimo.
Qualche giorno prima le navi sono state visitate da Vittorio Emanuele III, assieme al capo di Stato Maggiore della Regia Marina, ammiraglio Domenico Cavagnari, ed al comandante del Dipartimento Marittimo dell’Alto Adriatico, ammiraglio Ferdinando di Savoia.
Durante tale periodo presta servizio sull’incrociatore, quale sottotenente di vascello, la futura Medaglia d’oro al Valor Militare Saverio Marotta.
Da Barbiano, Di Giussano e Cadorna formano la IV Divisione Navale, cui è assegnata la V Squadriglia Cacciatorpediniere (quattro unità classe Navigatori).



Due immagini del Da Barbiano a Venezia il 18 luglio 1934, insieme ad una motonave della serie “Brioni” (sopra: Coll. Guido Alfano, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net; sotto: www.difesa.it


27 ottobre 1934
L’idrovolante del Da Barbiano, mentre compie dei voli di prova sopra la Valle d’Augusto nell’isola dalmata di Lussino, dove l’incrociatore è alla fonda, si schianta sul Monte Baston, causando la morte del pilota, Lucio Alban.

La nave nel 1935 (dal Jane’s Fighting Ships, via Giuseppe Garufi e www.xmasgrupsom.com)
Vittorio Emanuele III in visita sul Da Barbiano il 10 giugno 1935, probabilmente in occasione della Festa della Marina (Archivio fam. Casciello, per g.c. di Vincenzo Marasco)

3 ottobre-19 novembre 1936
È di base a Tangeri per le operazioni connesse alla guerra civile spagnola.
22-30 dicembre 1936
Scorta un piroscafo a Palma di Maiorca durante la guerra civile spagnola.

Il Da Barbiano alla fonda in Mar Piccolo, a Taranto, nell’agosto 1936 (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net)

2-7 gennaio 1937
Scorta un piroscafo a Cadice durante la guerra civile spagnola.
16-20 gennaio 1937
Nuova missione di scorta ad un piroscafo fino a Cadice durante la guerra civile spagnola.
28-30 gennaio 1937
Esegue una crociera pendolare durante la guerra civile spagnola.
22-27 marzo 1937
Scorta un piroscafo durante la guerra civile spagnola.
1-6 aprile 1937
Ultima missione di scorta ad un piroscafo durante la guerra civile spagnola.
1938-1939
Durante lavori di modifica, l’armamento viene rinforzato con quattro mitragliere binate Breda 1935 da 20/65 mm e due scaricabombe per 40 bombe di profondità.
A seguito di una serie di danni riportati con il maltempo, le strutture dello scafo vengono rinforzate per evitare danni causati dalle sollecitazioni ad alte velocità.
24 settembre 1938
Il Da Barbiano viene visitato a La Spezia da una missione militare del Manchukuo.
1939
Il Da Barbiano, con gli incrociatori leggeri Luigi Cadorna ed Armando Diaz, forma la IV Divisione Navale, facente parte della II Squadra Navale, di base a Taranto.
Ad inizio 1940 l’incrociatore (capitano di vascello Manfredi) verrà temporaneamente assegnato alla III Divisione, salvo tornare alla IV Divisione prima dell’entrata in guerra.

Un’altra foto dell’incrociatore a Venezia (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)

6 giugno 1940
Il Da Barbiano partecipa ad un’operazione di posa di mine con base ad Augusta.
8 giugno 1940
Il Da Barbiano (capitano di vascello Azzi, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Alberto Marenco di Moriondo), il Luigi Cadorna (capitano di vascello Polacchini), i cacciatorpediniere Lanciere (capitano di vascello D’Arienzo) e Corazziere (capitano di fregata Avegno) della XII Squadriglia e le torpediniere Polluce (tenente di vascello Bettica) e Calipso (tenente di vascello Zambardi), dopo aver imbarcato (in rada gli incrociatori, a Punta Cugno le altre unità) in tutto 428 mine tipo Wickers Elia (146 sul Da Barbiano, 118 sul Cadorna, 54 su ogni cacciatorpediniere e 28 su ogni torpediniera), lasciano Augusta per effettuare nella notte successiva la posa dello sbarramento offensivo «L K» (Lampedusa-Kerkennah) nel Canale di Sicilia (tale sbarramento è inteso soprattutto ad evitare azioni offensive, nelle acque della Tripolitania, da parte di navi francesi provenienti dalla Tunisia), composto da quattro segmenti paralleli orientati per 233° («A» di 146 mine, «B» di 118 mine, «C» di 108 mine e «D» di 56 mine) ma all’ultimo momento si decide di rimandare la missione di ventiquattr’ore, dunque le navi vengono fatte tornare in porto.
9 giugno 1940
Da Barbiano, Cadorna, Lanciere, Corazziere, Polluce e Calipso partono di nuovo da Augusta alle 16. Alle 16.45 i due incrociatori, preceduti dai cacciatorpediniere, superano le ostruzioni a 26 nodi, poi seguono le rotte costiere di sicurezza, scortati da due idrovolanti antisommergibile CANT Z decollati da Augusta. Alle 17.50 si uniscono al gruppo anche le due torpediniere. Alle 19.30 le navi lasciano le rotte di sicurezza, ed i cacciatorpediniere si accodano agli incrociatori mentre cessa la scorta aerea antisommergibile. Alle 20.30 le navi accostano per 222° facendo rotta su Lampedusa.
10 giugno 1940
Alle 00.03 viene data libertà di manovra per la posa delle mine, compiuta con rotta 223° e velocità 16 nodi. Il Da Barbiano è il primo a cominciare la posa del tratto assegnato, il «B» (il più lungo, 146 mine da posare su una lunghezza di 14,5 km iniziando in 35°22’ N e 12°19’ E e finendo in 35°17’ N e 12°10’20” E), all’1.03, terminandola all’1.39 (durante la posa si verifica un inceppamento alle ferroguide di dritta vicino allo scambio poppiero, ma l’inconveniente viene subito risolto); poi anche le altre navi posano le rispettive mine (ultimi a concludere sono, alle 2.12, Lanciere e Corazziere, tratto «D»; il Cadorna posa il tratto «C» e le torpediniere il tratto «A»). La profondità a cui sono posate le mine è di quattro metri, la distanza tra ogni ordigno di cento metri. Alle 4.20 le navi del gruppo si avvistano a vicenda ed iniziano la riunione, conclusa la quale, alle 4.42, comincia la navigazione di rientro verso Augusta, a 25 nodi, con le siluranti in scorta ravvicinata. Alle 10.15 viene avvistato un idrovolante quadrimotore francese, proveniente da Malta e diretto verso ovest. Alle 12.25 la formazione (con le torpediniere a proravia degli incrociatori ed i cacciatorpediniere a poppavia di questi ultimi) imbocca le rotte costiere di sicurezza della Sicilia, nuovamente sotto la scorta di due idrovolanti CANT Z antisommergibile inviati da Augusta. Alle 15.45 le navi superano le ostruzioni ed entrano nel porto di Augusta.
Poche ore dopo, l’Italia entra nella seconda guerra mondiale. Il Da Barbiano, insieme al Cadorna, forma la 1a sezione della IV Divisione della I Squadra Navale (di base a Taranto); la 2a sezione della IV Divisione è composta dal Di Giussano e dall’Armando Diaz, gemello del Cadorna. Il Da Barbiano è la nave ammiraglia della IV Divisione, imbarcando il suo comandante ammiraglio di divisione Alberto Marenco di Moriondo.
11 giugno 1940
Lascia Augusta alle 3.45 e fa ritorno a Taranto, dove poi resta pronto a muovere insieme al Di Giussano.
7 luglio 1940
Il Da Barbiano (nave ammiraglia dell’ammiraglio di divisione Alberto Marenco di Moriondo), con il resto della IV Divisione (Di Giussano, Cadorna e Diaz), salpa da Taranto alle 13 (per altra fonte alle 14.10, insieme al resto della IV Divisione, alla VIII Divisione con gli incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi ed alle Squadriglie Cacciatorpediniere XV – Pigafetta, Zeno – e  XVI – Da Recco, Pessagno, Usodimare – e contemporaneamente alle corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour con le Squadriglie Cacciatorpediniere VII e VIII) per fornire scorta a distanza ad un convoglio di quattro mercantili carichi di rifornimenti in navigazione verso la Libia (motonavi da carico Marco Foscarini, Francesco Barbaro e Vettor Pisani, motonavi passeggeri Esperia e Calitea, con la scorta diretta dei due incrociatori leggeri della II Divisione, dei quattro cacciatorpediniere della X Squadriglia, delle quattro torpediniere della IV Squadriglia e delle vecchie torpediniere Rosolino Pilo e Giuseppe Missori). La IV Divisione prende il mare insieme al resto della I Squadra Navale (V Divisione con le corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour, VIII Divisione Incrociatori con Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi e XV e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere con cinque unità cui poi si aggiungono le tre della XIV Squadriglia) a sostegno (a distanza) dell’operazione, mentre come scorta indiretta è in mare la II Squadra Navale (incrociatore pesante Pola, I, VII e III Divisioni incrociatori con nove navi in tutto e IX, XI, XII e XIII Squadriglia Cacciatorpediniere).
La II Squadra si pone 35 miglia ad est del convoglio, tranne la VII Divisione con la XIII Squadriglia, che viene invece posizionata 45 miglia ad ovest.
8 luglio 1940
Da Barbiano e Di Giussano catapultano ciascuno un idroricognitore per esplorare il mare in cerca di navi nemiche, ma gli aerei non ne vedono alcuna e dirigono per Bengasi.
Giunto il convoglio a destinazione, la flotta italiana si avvia sulla rotta di rientro, ma alle 15.20 dell’8 luglio, a seguito dell’avvistamento di una formazione britannica – anche la Mediterranean Fleet, infatti, è in mare a protezione di convogli – la I e la II Squadra Navale dirigono per intercettare le navi nemiche (che si teme dirette a bombardare Bengasi), con l’intento di impegnarle in combattimento almeno un’ora prima del tramonto.
Alle 19.20, però, in seguito ad ordini di Supermarina (il comando della Regia Marina, che, a differenza dell’ammiraglio Campioni – comandante superiore in mare – ha avuto modo di apprendere, tramite la crittografia, la reale consistenza e finalità dei movimenti britannici) la flotta italiana accosta per 330° per rientrare alle basi, con l’ordine di non impegnare il nemico. Durante l’accostata le navi vengono attaccate da alcuni velivoli con una dozzina di bombe, rispondendo con intenso tiro contraereo. La navigazione notturna di rientro si svolge senza grossi inconvenienti, salvo due fallimentari attacchi siluranti contro la III Divisione; la II Squadra (eccetto la VII Divisione, che è ancora separata da essa) accosta verso nord all’1.23.
Già dalle 22 dell’8, però, sono arrivati nuovi ordini: Supermarina teme che la Mediterranean Fleet intenda lanciare un attacco aeronavale contro le coste italiane, perciò ordina alle forze in mare di riunirsi nel punto 37°40’ N e 17°20’ E, 65 miglia a sudest di Punta Stilo, entro le 14 del 9 luglio. Alle 6.40 del 9 luglio la III Divisione si ricongiunge con Pola e I Divisione, alle 8 viene avvistato un idroricognitore Short Sunderland che pedina la flotta italiana (la caccia italiana, chiamata ad intervenire, non verrà però inviata ad attaccarlo).
9 luglio 1940
Alle 14.30, dopo l’avvistamento della Mediterranean Fleet ad 80 miglia di distanza da parte di un ricognitore, la flotta italiana assume rotta 10° per dirigere verso le navi nemiche; in questo frangente, la IV Divisione viene dimezzata dalle avarie, che costringono Diaz e Cadorna a lasciare la formazione e rientrare alla base. Da Barbiano e Di Giussano formano, insieme all’VIII Divisione, una colonna di incrociatori cinque miglia ad est delle corazzate, così costituendo l’ala sinistra della formazione insieme alle Squadriglie Cacciatorpediniere IX e XIV.
Già alle 14.15 Da Barbiano e Di Giussano hanno catapultato i rispettivi idroricognitori (quello del Da Barbiano è pilotato dal sergente maggiore Biondi della Regia Aeronautica ed ha come osservatore il sottotenente di vascello Dante Morrone) per perlustrare il tratto di mare a prora dritta della squadra italiana, da dove si pensa che arriverà la flotta britannica (il cui intento è portarsi a nord della formazione italiana onde tagliarle la rotta per Taranto): i velivoli, poco più tardi, avvistano infatti la Mediterranean Fleet a 30 miglia di distanza, ed alle 15 comunicano che essa ha accostato per nord-nord-ovest. Tra le 14.50 e le 15.10 le navi italiane e britanniche si avvistano reciprocamente: la IV Divisione avvista gli incrociatori leggeri Orion (nave di bandiera dell’ammiraglio Tovey), Neptune, Liverpool e Sydney del 7th Cruiser Squadron britannico.
Alle 15.17 la IV Divisione porta la velocità a 30 nodi e compie una decisa accostata verso il 7th Cruiser Squadron, contro il quale inizia il tiro alle 15.26 (o 15.27), da 20.500-21.000 metri di distanza; il tiro sia delle unità italiane che di quelle britanniche viene giudicato ben diretto, ma nessuna nave viene colpita da ambo le parti (il Neptune è costretto a gettare in mare il proprio idrovolante, danneggiato insieme alla relativa catapulta dalle schegge di un proiettile caduto in mare molto vicino, per evitare un incendio; numerosi colpi cadono a proravia di Da Barbiano e Di Giussano). Alle 15.30 anche le corazzate britanniche (specie Warspite e Malaya), la cui distanza con gli incrociatori italiani è scesa a 24.000 metri, aprono il fuoco contro IV e VIII Divisone con i pezzi da 381 mm, inquadrando subito, con un totale di dieci salve da 381, le navi italiane; per sottrarsi al tiro delle corazzate, la IV Divisione interrompe l’azione ed accosta a sinistra, procedendo per poco verso sud (l’VIII invece verso est) per poi riassumere alle 15.40 rotta nordovest, posizionandosi a poppavia di Cesare e Cavour.
Alle 15.53 anche le corazzate italiane aprono il fuoco; il duello con quelle britanniche continua finché alle 15.59 la Cesare viene danneggiata da una salva da 381, dopo di che le forze italiane rompono il contatto.
Terminata l’inconclusiva battaglia, la IV Divisione, insieme alle Divisioni I e VIII, al Pola ed alla Cavour, fa rotta per Augusta.
Durante la navigazione la formazione italiana verrà ripetutamente attaccata da velivoli italiani, che hanno scambiato le navi italiane per britanniche, tanto da costringere la IV Divisione ad aprire il fuoco con le artiglierie contraeree dalle 16.20 alle 21.00, contro aerei ritenuti nemici: uno di essi verrà abbattuto dal Di Giussano alle 19.30, ma si rivelerà poi essere italiano. Alle 18.40 la IV Divisione inverte la rotta per dare assistenza al cacciatorpediniere Saetta, che ha subito un’avaria, ed alle 18.50 torna sulla rotta originaria tenendosi ai lati del Saetta.

Il Da Barbiano in una foto antecedente al 1938: sulla catapulta di prua vi è un idrovolante CRDA CANT 25 (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)

10 luglio 1940
La IV Divisione e le altre navi (Pola, Cavour, I e VIII Divisione con rispettivamente Zara, Fiume e Gorizia e Duca degli Abruzzi e Garibaldi, ed i 36 cacciatorpediniere delle Squadriglie VII, VIII, IX, XI, XIV, XV e XVI) arrivano ad Augusta alle 00.40.
Supermarina, temendo a ragione che la base possa essere attaccata a breve da aerosiluranti britannici, dispone l’immediata partenza di tutte le navi concentratesi nella base siciliana: la IV Divisione, insieme alla VIII, riparte da Augusta alle 19 diretta a Taranto.
11 luglio 1940
IV e VIII Divisione arrivano a Taranto alle sette.
30 luglio 1940
Da Barbiano e Di Giussano, scortati dai cacciatorpediniere della XV Squadriglia (Antonio Pigafetta, Lanzerotto Malocello e Nicolò Zeno), salpano da Taranto alle 5.55 per fornire protezione a distanza (nella parte più pericolosa del viaggio tra Sicilia e Libia), insieme alle Divisioni I (Zara, Pola, Fiume, Trento e Gorizia) e VII (Eugenio di Savoia, Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi, Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli) ed alle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XII, XIII e XV (15 unità in tutto), ai convogli in mare per l’operazione di rifornimento della Libia «Trasporto Veloce Lento» (che vede in mare in tutto i trasporti Maria Eugenia, Gloria Stella, Mauly, Bainsizza, Col di Lana, Francesco Barbaro, Città di Bari, Marco Polo, Città di Napoli e Città di Palermo, scortati dai cacciatorpediniere Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco e dalle torpediniere Orsa, Procione, Orione, Pegaso, Circe, Climene, Clio, Centauro, Airone, Alcione, Aretusa ed Ariel, il tutto suddiviso in due convogli partiti da Napoli e diretti uno a Tripoli e l’altro a Bengasi).
1° agosto 1940
I convogli dell’operazione «TVL» giungono felicemente a destinazione. La IV Divisione rientra ad Augusta alle dieci.
5 agosto 1940
Dopo aver imbarcato 105 mine tipo P 200, il Da Barbiano (capitano di vascello Azzi, nave ammiraglia dell’ammiraglio Marenco di Moriondo) salpa da Augusta alle 16 insieme al Di Giussano (capitano di vascello Maroni Ponti, anch’esso con 105 mine a bordo) ed ai cacciatorpediniere Antonio Pigafetta (capitano di vascello Melodia) e Nicolò Zeno (capitano di vascello Morra; con 92 mine ciascuno; un terzo cacciatorpediniere, il Lanzerotto Malocello, non può partire per avaria di macchina) per effettuare la posa dello sbarramento «7 AN» (384 mine tipo P 200) tra Pantelleria e la Tunisia. La formazione è scortata dalle torpediniere Cassiopea (che procede in testa alla formazione e provvede anche a dragarne la rotta di sicurezza), Cigno, Pleiadi ed Aldebaran fino alle 20.30, quando queste vengono fatte tornare alla base. Vi è inoltre una scorta aerea antisommergibile con due idrovolanti ed un’altra con una sezione di aerei da caccia fino al calar del buio.

Altra immagine del Da Barbiano (da “In Mediterraneo potevamo mettere in ginocchio l’Inghilterra” di Teucle Meneghini, via www.poetsgulf.it)

6 agosto 1940
All’1.43 le navi, dopo aver verificato la posizione in base al faro di Pantelleria, assumono la formazione per la posa delle mine, che ha inizio alle 2.06: per primo posa le proprie mine lo Zeno, poi il Pigafetta, quindi il Di Giussano e per ultimo il Da Barbiano, che conclude alle 4.12. Proprio il Da Barbiano è afflitto da una serie di inconvenienti: dapprima s’inceppa la posa delle mine a sinistra, poi a dritta; in quest’ultimo caso, non potendo lasciare cadere le mine da dritta, bisogna farle scorrere sulle ferroguide, facendole passare a sinistra attraverso il raccordo che unisce le ferroguide dei due lati a prua, e poi farle cadere da sinistra, ed allo scopo devono essere fermate due volte le macchine, e la velocità ridotta a soli sei nodi. Quando mancano due minuti alla conclusione della posa, una delle mine già posate, forse difettosa, esplode circa due-tre chilometri  poppa del Da Barbiano.
Le mine, regolate per una profondità di quattro metri, sono distanziate di cento metri tra di loro.
Le navi, dispostesi in linea di fila, passano ad ovest dello sbarramento appena posato e fanno poi rotta su Augusta (destinazione comunicata solo a missione in corso) a 25 nodi, seguendo la rotta che passa a ponente della Sicilia (altrimenti, seguendo la stessa dell’andata, un eventuale avvistamento della formazione permetterebbe ai comandi britannici di sospettare della posa dello sbarramento, e della sua probabile posizione); alle 6.45 i cacciatorpediniere si pongono in scorta ravvicinata prodiera, ma vengono entrambi colti da avarie che costringono tutta la formazione a ridurre la velocità. In vista della costa, Pigafetta e Zeno si spostano a sinistra degli incrociatori (scorta laterale sinistra), e quando alle 19.10 si imbocca lo Stretto di Messina si spostano a poppa. Alle 23.40 le navi arrivano ad Augusta.
Il 10 gennaio 1941 salterà sullo sbarramento «7 AN» il cacciatorpediniere britannico Gallant, che non tornerà mai più in servizio.
7 agosto 1940
La IV Divisione lascia Augusta alle 20.45 per tornare a Taranto.

L’unità in bacino di carenaggio (Coll. Guido Alfano via www.naviearmatori.net

8 agosto 1940
La IV Divisione si ormeggia alle undici in Mar Piccolo. Le navi resteranno a Taranto fino a fine mese, parte ormeggiate alla boa in Mar Grande, parte in Arsenale (Mar Piccolo) per lavori di poco conto.
28 agosto 1940
Il Da Barbiano parte da Taranto in serata per raggiungere Pola. Sbarcano da esso, prima della partenza, l’ammiraglio di divisione Alberto Marenco di Moriondo, nuovo comandante della IV Divisione, ed il suo capo di stato maggiore, capitano di fregata Franco Baslini: il ruolo di nave ammiraglia della IV Divisione è infatti passato al Giovanni delle Bande Nere, aggregato alla IV Divisione dopo lo scioglimento della II (25 agosto, a seguito dello scontro di Capo Spada in cui è affondato il Colleoni) di cui era nave ammiraglia.
29 agosto 1940
Durante la notte, all’1.51, l’incrociatore sperona nel Basso Adriatico (posizione 41°26’ N e 18°39’ E, al largo di San Foca) il motoveliero Buona Fortuna, in navigazione a luci spente; il Buona Fortuna viene preso a rimorchio dalla torpediniera Partenope (che stava scortando il Da Barbiano assieme alla gemella Pleiadi), che tenterà vanamente di rimorchiarlo a Brindisi prima del suo affondamento, avvenuto alle 7.10. Il Da Barbiano subisce leggeri danni ai tubi lanciasiluri di sinistra a causa della collisione.
31 agosto 1940
Il Da Barbiano arriva a Pola alle 8.30 e viene messa in riserva (parte dell’equipaggio viene sbarcato) per lavori.
6 settembre 1940
I lavori di grande manutenzione del Da Barbiano hanno inizio nell’Arsenale di Pola.
23 settembre 1940
Compie una breve uscita da Pola per effettuare tiri ridotti a beneficio degli allievi della Scuola Cannonieri.
27-28 settembre 1940
Altre due brevi uscite da Pola, con la scorta delle anziane torpediniere Confienza e San Martino, sempre per esercitazioni di tiro per gli allievi della Scuola Cannonieri di Pola.
21-22 ottobre 1940
Altre due uscite da Pola, ancora una volta per addestramento degli allievi cannonieri.
13 gennaio 1941
Parte da Trieste alle 9.50 e raggiunge Monfalcone, dove entra nel bacino galleggiante dei Cantieri Riuniti dell’Adriatico per eseguirvi lavori di carenaggio. Il comandante del Da Barbiano, capitano di vascello Mario Azzi, sbarcherà temporaneamente per sostituire il comandante del Bande Nere, ammalatosi.

Ulteriore immagine dell’unità a Venezia nel settembre 1934 (Conway via Giuseppe Garufi e www.xmasgrupsom.com)

19 gennaio 1941
Completati i lavori di carenaggio, esce dal bacino, lascia Monfalcone e fa ritorno a Pola scortato dalla San Martino, effettuando prove di macchina durante la navigazione.
1° marzo 1941
Il Da Barbiano, a Pola, conclusi i lavori, passa nuovamente da nave in riserva a nave in armamento.
7 marzo 1941
Esce da Pola per compiere i giri di bussola.
14 marzo 1941
Nuova breve uscita per esercitazioni (attacchi simulati di aerosiluranti) con la scorta della vecchia torpediniera Audace.
24 marzo 1941
Altra breve uscita da Pola, sempre con la scorta dell’Audace, per ulteriori esercitazioni con attacco simulato di aerosiluranti. Il vento forte costringe a sospendere l’esercitazione.
Marzo-giugno 1941
Fino al 1° luglio il Da Barbiano viene adibito ad esercitazioni, in porto ed in mare aperto, per gli allievi cannonieri di Mariscuole Pola. (Il 4 aprile 1941 sarà formalmente posto alle dipendenze del Comando Forze Navali Speciali, per poi tornare a far parte della IV Divisione il 26 aprile, ma senza in realtà mai muoversi da Pola).
29 aprile 1941
Breve uscita da Pola per esercitazioni di tiro, scortato dall’Audace.
Maggio 1941
Assume il comando del Da Barbiano il capitano di vascello Giorgio Rodocanacchi, che sarà il suo ultimo comandante.

Il capitano di vascello Giorgio Rodocanacchi, ultimo comandante del Da Barbiano (USMM)

1-18 luglio 1941
Nuovi lavori di manutenzione, svolti nell’Arsenale di Pola.
19 luglio 1941
Compie due brevi uscite per esercitazioni con sommergibili nel Golfo del Quarnaro.
13 agosto 1941
Altra breve uscita per esercitazioni con sommergibili.
4 settembre 1941
Nuova uscita da Pola per esercitazioni con sommergibili. Tornato in porto, vi rimane fermo sino al 1° novembre per piccoli lavori.
2 novembre 1941
Conclusi i lavori, il Da Barbiano lascia Pola a mezzogiorno, diretto a Taranto.
3 novembre 1941
Arriva a Taranto alle 17.25 ed entra in Arsenale, dove subisce nuovi lavori, protrattisi fino al 4 dicembre.
Il Da Barbiano, con Di Giussano, i cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi e Lanzerotto Malocello, un cacciatorpediniere classe Soldati ed i posamine ausiliari (ex traghetti) Reggio ed Aspromonte, viene scelto per essere una delle unità incaricate della posa della quinta spezzata («S 5») del campo minato «S» nel Canale di Sicilia. Il Da Barbiano dovrebbe posare 94 mine; la sua perdita nel mese successivo impedirà però lo svolgimento dell’operazione.

Da Barbiano e Di Giussano, i due gemelli accomunati dal lungo servizio in pace e in guerra nella IV Divisione e dalla tragica fine, qui insieme in bacino di carenaggio (USMM via www.italie1935-1945.com)

Trasporto d’emergenza

Nel novembre 1941, mentre il Da Barbiano era fermo per lavori a Taranto, la guerra sul mare infuriava nel canale di Sicilia. Fu quello, per i convogli italiani, il peggior mese dell’intero conflitto: le perdite tra i rifornimenti inviati in Libia sfiorarono il 30 %, e quelle tra i carburanti, carico più importante e di conseguenza più bersagliato, toccarono il 92 %. Mai, prima d’allora (né mai più in seguito) si erano toccati simili tassi.
Approfittando della carenza di rifornimenti creata da tale situazione, l’VIII Armata britannica era passata all’offensiva, il 19 novembre. Le truppe italo-tedesche in Nordafrica avevano un disperato bisogno di carburante e munizioni; stante la gravissima situazione dei trasporti in quel momento, Supermarina, su richiesta del Comando Supremo, mise a punto un piano per effettuare trasporti urgenti di tali essenziali rifornimenti mediante navi da guerra, ossia sommergibili, cacciatorpediniere ed incrociatori. Le quantità di rifornimenti imbarcabili su tali unità erano in realtà assai scarse, e la sistemazione di fusti e latte di benzina, stipate alla meglio nei locali interni disponibili o direttamente in coperta, poneva gravi rischi alle navi stesse, che sovente si trovavano impossibilitate ad usare il proprio armamento (nel caso di fusti sistemati in coperta) oltre che a rischio di essere incendiate anche solo da un banale mitragliamento, mentre nei locali interni il pericolo era rappresentato dall’accumulo di vapori.
Ciononostante, il piano fu attuato, e, pur tra numerose difficoltà e perplessità, la larga maggioranza dei trasporti andò a buon fine. La sorte della IV Divisione avrebbe rappresentato una tragica eccezione.
Da Barbiano, Di Giussano, Bande Nere e Cadorna, le cui mediocri caratteristiche – scarsissima corazzatura, modeste qualità marine, velocità ormai ridotta dal lungo servizio – li rendevano ormai inadatti all’impiego di squadra con le altre navi maggiori, furono gli incrociatori scelti per questo ingrato compito. La IV Divisione avrebbe dovuto trasportare in Libia provviste, nafta, gasolio e benzina per aerei. Quest’ultimo carico era di vitale importanza, perché all’inizio del dicembre 1941 la disponibilità di carburante per aerei in Tripolitania era tanto ridotta che a breve non sarebbe più stato possibile fornire scorta aerea ai convogli in arrivo.
Da Barbiano (avente a bordo l’ammiraglio Antonino Toscano) e Di Giussano salparono da Taranto alle 8.15 del 5 dicembre per raggiungere Brindisi; il Da Barbiano, disormeggiatosi per secondo, venne lasciato passare avanti, come nave ammiraglia, dal Di Giussano, che si lasciò appositamente scadere a dritta. I due incrociatori procedettero poi a zig zag per evitare attacchi di sommergibili, ed arrivarono a Brindisi (banchina commerciale) alle 17.50.
Da Barbiano e Di Giussano imbarcarono a Brindisi le provviste ed i materiali che avrebbero dovuto portare in Libia, appena una cinquantina di tonnellate, ad inizio dicembre 1941, poi lasciarono la città pugliese alle sei del mattino dell’8 dicembre diretti a Palermo, dove giunsero il giorno seguente alle nove, ormeggiandosi al molo Piave. Qui il modesto carico fu incrementato da ventidue tonnellate di benzina avio in fusti (undici tonnellate per incrociatore, sistemate in coperta a poppa nell’impossibilità di portare i fusti sottocoperta, con grande pericolo per la nave in caso di colpi a bordo), dopo di che i due incrociatori ripartirono dal capoluogo siciliano alle 17.20 dello stesso giorno (un’ora e mezza più tardi del previsto), imboccando una rotta che avrebbe compiuto un largo giro attorno dalle Egadi (a nord dell’arcipelago), poi avrebbe puntato verso sud e sarebbe passata ad ovest di Marettimo per poi dirigere a sud, verso Pantelleria e poi verso Tripoli (la rotta occidentale per la Libia). Per risparmiare carburante, la velocità da tenere sarebbe stata compresa tra i 18 e i 22 nodi. Da Tripoli sarebbero uscite le torpediniere Calliope e Generale Antonio Cantore, che avrebbero sminato la rotta da percorrere per poi andare incontro ai due incrociatori ed assumerne la scorta il mattino del 10.
Le condizioni meteomarine (di per sé sfavorevoli alla navigazione, tanto che a Toscano era stato detto di tentare la traversata ugualmente e tornare indietro solo se le condizioni si fossero rivelate proibitive), con foschia e mare grosso da nord-nord-ovest (burrasca moderata), sembravano propizie alla segretezza della missione, elemento fondamentale per la sua riuscita: invece, alle 22.56 (a nord di Pantelleria) la IV Divisione venne avvistata da un ricognitori britannico (l’Am9V), che iniziò a tallonarla, comunicando intanto tutti i suoi movimenti a Malta, da dov’era decollato. Come se non bastasse, alle 23 sorse anche la luna, la cui luce mise in maggior risalto le sagome degli incrociatori italiani, rendendoli ancora più visibili agli aerei.
Non era dovuta a mera fortuna l’individuazione, da parte del ricognitore, degli incrociatori italiani: “ULTRA”, il sistema britannico di intercettazione e decifrazione dei messaggi italiani, aveva fatto il suo lavoro. Ai comandi britannici in Mediterraneo, in seguito alla decrittazione dei messaggi italiani, già l’8 dicembre giunse l’informazione «Gli incrociatori DA BARBIANO  e DI GIUSSANO debbono lasciare l’Italia alle ore 16.00 del giorno 9, velocità 18-22 nodi lungo la rotta occidentale, per raggiungere Tripoli alle ore 11.00 del giorno 10. Essi partiranno nuovamente (da Tripoli) al tramonto dello stesso giorno». L’indomani, sempre prima della partenza delle navi da Palermo, i comandi britannici furono edotti che «Incrociatori DA BARBIANO e DI GIUSSANO debbono lasciare un porto siciliano alle 16.00 del 9, navigando a ponente della Sicilia alla velocità di 18 nodi fino a notte, allorquando essi aumenteranno a 22 nodi. Le due unità dovranno giungere a Tripoli nella notte del 10 e ripartire per la Sicilia a 22 nodi. Due cacciatorpediniere usciti da Tripoli effettueranno uno sminamento a partire dalla notte del 9 e si congiungeranno col gruppo DA BARBIANO alle 8.00 del giorno 10 (trasmesso il 9 dicembre)».
Alle 23.55, quando le sue navi si trovavano proprio al centro del Canale di Sicilia, l’ammiraglio di divisione Antonino Toscano (comandante della IV Divisione, che il 2 dicembre aveva scelto come nave ammiraglia il Da Barbiano, che aveva in passato comandato come capitano di vascello, al posto del Di Giussano), constatato che la sorpresa era sfumata e che l’intenso traffico radiotelegrafico nemico (Supermarina inviò messaggi inviati a Malta dall’aereo Am9V alle 22.49, 22.57 e oo.27 e messaggi inviati da Malta ad aerei in volo all’1.12 ed alle 2.37) indicava che quest’ultimo era ormai in allarme, nonché che il progressivo peggioramento delle condizioni del mare avrebbe causato ritardi che avrebbero prolungato l’esposizione delle sue navi ai sempre più probabili attacchi nemici – dai quali sarebbe stato difficile difendersi, dato che la presenza in coperta a poppa dei fusti di benzina, incendiabili dalle vampe delle artiglierie della nave, avrebbe impedito l’uso delle torri poppiere –, decise di ordinare d’invertire la rotta e dirigere su Marettimo. Dopo aver dato l’ordine, Toscano lo fece comunicare a Supermarina e più tardi chiese a tale comando ulteriori istruzioni, ricevendo, alle 2.25 del 10, l’ordine di annullare la missione e rientrare a Palermo. (Per altra fonte, Toscano aspettò qualche tempo presso Marettimo in attesa di conferme alla sua decisione da parte di Supermarina, poi, non avendo ricevuto nulla, rientrò egualmente a Palermo).

L’ammiraglio di divisione Antonino Toscano (USMM)

La previsione dell’ammiraglio non era errata: pur essendo già sulla rotta di rientro, alle 3.30 del 10 dicembre Da Barbiano e Di Giussano furono attaccati da aerosiluranti Fairey Albacore e Fairey Swordfish al largo di Marettimo, ma mandarono a vuoto l’attacco con opportune manovre. I due incrociatori giunsero a Palermo alle 8.20 dello stesso 10 dicembre, riuscendo ad evitare l’avvistamento da parte di un altro ricognitore decollato da Hal Afar, che avrebbe dovuto guidare su di loro una nuova ondata di sette Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm (tali aerei, pur muniti di radar, si spinsero oltre Trapani ma non riuscirono a trovare i loro bersagli). Qui li raggiunse, l’indomani, anche il Bande Nere, che sarebbe dovuto partire con loro nel successivo tentativo di rifornire Tripoli: per rimediare al rinvio della missione, infatti, sarebbe stato necessario inviare più benzina. L’ammiraglio Toscano fu criticato da Supermarina per la sua decisione, specie per aver incrociato in attesa di ordini dopo aver invertito la rotta.
Durante la sosta forzata a Palermo, gli equipaggi degli incrociatori furono lasciati andare in franchigia con le motobarche, ma vincolati ad essere sempre reperibili ed a tornare ogni ora in banchina per firmare: si poteva infatti ripartire da un momento all’altro. Il personale fu lasciato andare in franchigia anche per depistare eventuali informatori nemici presenti sul posto circa le intenzioni sul viaggio delle due navi; secondo una versione, anzi, furono anche fatte venire sottobordo delle bettoline che simularono lo sbarco del carico.
Nemmeno l’interruzione della missione era passata inosservata da ULTRA, che il 10 dicembre aveva puntualmente informato che «Vicino a Marettimo le due unità furono attaccate da aerosiluranti e tornarono a Palermo».

Il 13 dicembre avrebbe dovuto prendere avvio un’operazione complessa di traffico, la «M. 41», con la quale sarebbero stati inviati in Libia tre convogli per totali sei mercantili e dodici cacciatorpediniere, più una scorta indiretta di due corazzate, cinque incrociatori e nove cacciatorpediniere ed una forza d’appoggio di due corazzate, quattro cacciatorpediniere e due torpediniere. Nel tratto finale della navigazione, i convogli avrebbero dovuto essere scortati dagli aerei di base in Tripolitania: questi, tuttavia, avevano ormai così poco carburante – appena 25 tonnellate in tutto – da non poter più effettuare tale servizio. Per garantire la scorta aerea ai convogli in arrivo in Libia, si rese necessario programmare una nuova missione della IV Divisione per il 12 dicembre. Al contrario di quanto inizialmente previsto, il Bande Nere non vi avrebbe potuto partecipare, perché immobilizzato da un’avaria: il carico di benzina ad esso destinato dovette così essere imbarcato sugli altri due incrociatori, assieme ad ulteriori quantitativi di rifornimenti. In tutto su Da Barbiano e Di Giussano furono caricate 100 tonnellate di benzina avio, 250 di gasolio, 600 di nafta e 900 di vettovaglie; salirono a bordo anche oltre a 135 militari del Corpo Reali Equipaggi Marittimi di passaggio, diretti a Tripoli.
Alle 16 del 12 dicembre, pertanto, gli uomini a terra in franchigia – molti erano andati nei cinema di Palermo – furono immediatamente fatti tornare a bordo, e ci si preparò per la partenza.
Già quel mattino, sul Da Barbiano, si era tenuta una riunione cui avevano partecipato l’ammiraglio Toscano, il suo Stato Maggiore ed i comandanti, direttori di macchina ed ufficiali alle comunicazioni delle navi che avrebbero partecipato alla missione. Al centro della discussione anche il fatto che la benzina trasportata non era contenuta in lattine a chiusura ermetica come in molti viaggi precedenti, bensì in fusti non a tenuta stagna (non sigillati, soggetti a perdita di benzina e così non collocabili nei locali interni) che avevano dovuto essere sistemati in coperta, a poppa: ciò, al di là dei già menzionati gravissimi rischi in caso di attacco (possibilità di grave incendio anche per un solo proiettile giunto a bordo), avrebbe impedito anche l’uso di parte dell’armamento degli incrociatori, le cui stesse vampe dei cannoni avrebbero potuto incendiare la benzina; peraltro i fusti, sistemati fin sotto le torri poppiere, ne impedivano anche il brandeggio. In caso di combattimento, prima di poter rispondere al fuoco si sarebbero dovuti gettare i mare i bidoni di benzina. Per maggior sicurezza si erano imbarcate squadre antincendio supplementari, con tute d’amianto.
Da Barbiano (capitano di vascello Giorgio Rodocanacchi) e Di Giussano (capitano di vascello Giovanni Marabotto), mollati gli ormeggi alle 17.24, lasciarono Palermo alle 18.10 (o 18.30) del 12 dicembre, scortati dalla torpediniera Cigno (capitano di corvetta Nicola Riccardi). Vi sarebbe dovuta essere anche una seconda torpediniera di scorta, la Climene (le due torpediniere avrebbero dovuto costituire uno schermo protettivo avanzato), ma anch’essa non poté partire a causa di avarie alle caldaie.
Il Da Barbiano, al comando del capitano di vascello Giorgio Rodocanacchi, imbarcava l’ammiraglio Toscano, comandante della IV Divisione. L’incrociatore aveva a bordo in tutto 784 uomini, tra cui 81 militari di passaggio, mentre gli altri 703 erano membri dell’equipaggio e del Comando della IV Divisione.
L’ingombrante carico, sistemato ovunque vi fosse sufficiente spazio, ed il sovraffollamento della nave appesantivano l’incrociatore ed in certi punti rendevano difficili persino gli spostamenti del personale. La situazione era peggiore sul Da Barbiano, il più carico dei due, sul quale era stata imbarcata la maggior parte dei fusti di benzina.
Onde evitare la scoperta degli incrociatori da parte di ricognitori britannici, Supermarina dispose che la IV Divisione sarebbe dovuta transitare molto a nordovest delle Egadi (ben più che nella missione precedente, passando circa 40 miglia a levante di Marettimo così da evitare il tratto di mare a sud di tale isola, dove le puntate dei ricognitori britannici erano frequenti), poi dirigere verso Capo Bon (da doppiare alle due di notte del 13, per poi passare davanti a Kelibia un’ora dopo) e successivamente seguire la costa tunisina; la velocità da mantenere per tutto il viaggio sarebbe stata di 22 (o 23) nodi. I due veloci incrociatori ne avrebbero potuta ottenere una maggiore, ma bisognava risparmiare nafta: si pensava persino di scaricare a Tripoli una parte della nafta rimasta nei serbatoi alla fine del viaggio, per consegnarla alle forze dislocate in Libia (anche per questo si era scelta la rotta di ponente per Tripoli, più breve ma più pericolosa, anziché quella di levante). Giunti a Capo Bon alle due di notte del 13 dicembre, i due incrociatori avrebbero diretto per l’arcipelago delle Kerkennah, dove avrebbero trovato ad attenderli le torpediniere Calliope e Generale Antonio Cantore, che li avrebbero scortati a Tripoli. L’arrivo nella città libica era previsto per le 13 del 13.
Per tutelare la sicurezza della missione, Supermarina, tramite Marina Messina, aveva disposto un agguato da parte di un catena di sei MAS tra Pantelleria e Lampione (due MAS sarebbero usciti da Trapani per pattugliare a zona a nord della rotta che la IV Divisione avrebbe dovuto seguire, mentre gli altri quattro, partiti da Pantelleria, avrebbero perlustrato le acque tra quell’isola e Lampione), mentre la Regia Aeronautica aveva organizzato ricognizioni aeree a rastrello della zona a sud del 35° parallelo, sia a levante che a ponente di Capo Bon. I Comandi dell’Aeronautica della Sicilia e della Sardegna avevano ricevuto l’ordine di svolgere, rispettivamente, una vasta ricognizione del Mediterraneo Centrale ed un’altra a sudovest della Sardegna ed ad ovest della Corsica (in entrambi i casi, durante il giorno 12). Nel tratto finale del viaggio, gli incrociatori sarebbero stati scortati da aerei da caccia della 5a Squadra Aerea: per permettere loro di prendere il volo, il carburante era stato appositamente mandato a Tripoli per via aerea nei giorni immediatamente precedenti.

Il Da Barbiano, in primo piano, ed il Di Giussano fotografati in Mar Piccolo a Taranto il 4 dicembre 1941. La foto, scattata da un militare tedesco in partenza per l’Africa, è probabilmente l’ultima immagine dei due incrociatori (g.c STORIA militare)

Alle 15.20 del 12 dicembre, prima ancora della partenza degli incrociatori, il Comando dell’Aeronautica della Sicilia aveva fatto sapere a Superaereo (il comando della Regia Aeronautica) che non erano state avvistate unità nemiche, e che due caccia Macchi Mc. 202 avevano sorvolato il porto della Valletta a Malta constatando che le unità della temibile Forza K britannica erano ancora lì.
Meno rassicuranti erano le notizie giunte dal Comando dell’Aeronautica della Sardegna, che tra le 13.30 e le 13.50 di quello stesso giorno aveva fatto partire tre CANT Z. 1007 bis del 51° Gruppo bombardieri dall’aeroporto di Decimomannu. Alle 15.45 del 12 dicembre, il secondo CANT Z. 1007 bis, pilotato dal sottotenente Nascimbene, aveva localizzato quattro cacciatorpediniere nemici in navigazione verso est, a velocità stimata di 20 nodi, al largo di Béjaïa in Algeria e a 60 miglia ad est di Algeri. Si trattava della 4th Destroyer Flotilla, composta da tre cacciatorpediniere britannici, Sikh (capo flottiglia capitano di fregata Graham Henry Stokes), Legion (capitano di fregata Richard Frederick Jessel) e Maori (capitano di fregata Rafe Edward Courage), e da uno olandese, l’Isaac Sweers (capitano di fregata Jacques Houtsmuller), partiti da Gibilterra alle 5.30 dell’11 dicembre per raggiungere Malta, da dove poi sarebbero proseguiti per Alessandria d’Egitto, dove avrebbero rinforzato la Mediterranan Fleet. L’aereo di Nascimbene (che aveva comunicato «Ore 15.00 avvistati 4 cc.tt. inglesi a un fumaiolo in lat. 37°30’ long. 04°30’ rotta 90 velocità 20 nodi») era rimasto in contatto visivo coi cacciatorpediniere per una quarantina di minuti; alle 16 questi erano stati avvistati anche da un altro aereo, pilotato dal sottotenente Biondi, che li aveva fotografati ed aveva confermato che si trattava di quattro cacciatorpediniere in navigazione con rotta 90° e su due colonne, a 20 nodi stimati, ad est di Algeri. Tutte le informazioni furono inviate a Supermarina.
Alle 16.45 lo stesso aereo italiano aveva reiterato l’avvistamento, aggiungendo che non c’erano stati cambiamenti rispetto a quanto visto e comunicato prima («Sono in vista del nemico – nessun cambiamento degli elementi dell’avvistamento presentemente segnalato»).
Considerati i dati disponibili, Supermarina aveva stimato che, se i cacciatorpediniere avessero mantenuto una velocità di 20 nodi, sarebbero arrivati al traverso di Capo Bon dopo le sei del mattino del 13; se invece avessero immediatamente portato la velocità a 28 nodi (cosa ritenuta piuttosto improbabile per un viaggio di trasferimento come il loro) ciò sarebbe accaduto intorno alle tre di notte, cioè quando la IV Divisione – sempre mantenendo 23 nodi di velocità – sarebbe già stata al sicuro, avendo superato Capo Bon di una ventina di miglia, cioè da un’ora.
Ciò aveva indotto a non ordinare alcuna interruzione, rinvio o variazione alla missione degli incrociatori di Toscano: il motivo risiedeva più nell’urgenza di mandare carburante in Libia che nel labile vantaggio che emergeva da tali empiriche previsioni. Si sarebbe potuta ordinare una velocità maggiore rispetto ai 23 nodi inizialmente previsti, un’abbreviazione della rotta prevista (eliminare la deviazione a nordovest delle Egadi avrebbe permesso di ridurre il viaggio di due ore) e/o un rinforzo della scorta dei due incrociatori, ma nulla di tutto ciò fu fatto.
Il segnale di scoperta del ricognitore italiano, ritrasmesso dalla stazione radio di Cagliari su onda 1950, fu intercettato dal Da Barbiano ancora in porto a Palermo, e l’ammiraglio Toscano fu così messo al corrente dell’avvistamento delle navi britanniche: d’altra parte, non poteva far altro che attenersi agli ordini. Tale segnale fu ricevuto anche dalla Cigno, ma non dal Di Giussano, che non aveva ancora cominciato gli ascolti di navigazione; dalla plancia del Da Barbiano, durante il posto di manovra, si cercò di segnalarlo al Di Giussano, ma non essendo stato il segnale compreso da quest’ultimo, e nonostante questi ne avesse richiesto la ripetizione, il segnale fu annullato.
Nella lontana Bletchley Park, in Inghilterra, ULTRA era ancora al lavoro. Lo stesso 12 dicembre i decrittatori britannici poterono quindi far sapere ai loro comandi militari che «Gli incrociatori Da Barbiano, Di Giussano e Bande Nere debbono lasciare Palermo alle 18.00 di oggi 12 e procedere per Tripoli a 22 nodi, arrivando a Tripoli alle 15 del giorno 13. Essi salperanno da Tripoli nella notte del 14 per ritornare in Italia. Il Bande Nere rientrerà a Palermo, ma la destinazione delle altre due unità non è conosciuta»: tutto quello che serviva sapere per preparare un nuovo agguato.
Al tramonto del 12 dicembre la IV Divisione, dopo aver superato le Egadi, venne avvistata da un ricognitore britannico Vickers Wellington dotato di radar ASV (Air to Surface Vessel), là inviato in base alle informazioni di ULTRA, che comunicò i movimenti e dati di moto delle navi italiane sia a Malta che alla 4th Destroyer Flotilla: quest’ultima, non appena ebbe ricevuto la comunicazione (avendo da poco superato Algeri), accelerò subito a 30 nodi per intercettare le navi italiane, così invalidando le ottimistiche previsioni di Supermarina. (Per altra fonte, inizialmente il comando di Malta, ricevute le informazioni di ULTRA, aveva deciso d’inviare la Forza K contro gli incrociatori italiani, ma poi, per evitare un eccessivo consumo di nafta che avrebbe potuto impedire alla Forza K di uscire in mare a contrasto dell’operazione «M. 41», ed avendo notato che le navi di Stokes erano già in posizione ideale, se avessero accelerato, per intercettare le unità italiane presso Capo Bon, da Malta fu ordinato a queste ultime di attaccare la IV Divisione).
Al contempo il comandante delle forze britanniche stanziate a Malta, viceammiraglio Wilbraham Ford, dispose attacchi di aerosiluranti che avrebbero avuto luogo all’alba del 13: ma nessuno dei due incrociatori avrebbe mai visto tale alba. Ford ordinò anche che la Forza K, con tre incrociatori e tre cacciatorpediniere, lasciasse Malta per intercettare le navi di Toscano a nord di Kuriat (circa 90 miglia a sud di Capo Bon).
Alle 22. 23 (per altra fonte 21.45) Supermarina comunicò al Da Barbiano, con messaggio cifrato su onda radio 1950, «Possibile incontro con piroscafi in uscita da Malta – Nessun piroscafo nazionale aut francese su vostra rotta» (la partenza di piroscafi da Malta, diretti a Gibilterra, era stata riferita dai comandi tedeschi); alle 23.15 l’ammiraglio Toscano ordinò il posto di combattimento, ed alle 2.10 del 13 il posto di combattimento generale. La formazione era in linea di fila: in testa la Cigno, due chilometri più indietro il Da Barbiano e dietro di esso il Di Giussano. La velocità, come ordinato, era di 23 nodi. La luna era sorta, ma il fitto annuvolamento (specie all’orizzonte) rendeva la notte molto buia, benché la considerevole fosforescenza dell’acqua creasse una zona di visibilità attorno alle navi. Quando la luna “superò” le nubi, ci fu un notevole rischiaramento.
Gli incrociatori erano in assetto di combattimento notturno: cannoni carichi metà a granata e metà a palla, motori di brandeggio in moto; ognuno dei pezzi secondari da 100/47 mm aveva pronta una riservetta di otto colpi illuminanti e due a granata; ogni mitragliera aveva otto caricatori di riserva in aggiunta alla dotazione normale.

La navigazione procedette tranquilla fino alle 2.45 del 13 dicembre, quando, a sette miglia da Capo Bon, si avvertì chiaramente il rumore prodotto da un aereo che sorvolava la formazione a bassa quota (era un ricognitore Vickers Wellington del 68th Squadron della Royal Air Force, munito di radar ASV e proveniente da Malta, che aveva localizzato la formazione, sorvolandola ripetutamente, e che ne comunicò la posizione ai cacciatorpediniere, i quali si trovavano in quel momento tra Zembra e Zembretta). La Cigno comunicò con la lampada per segnalazioni Donath «Aerei sul mio cielo» (secondo alcune fonti, tali segnali luminosi furono visti anche dai cacciatorpediniere britannici, però l’orario dato da questi ultimi per i lampi di luce visti sparire dietro Capo Bon è piuttosto divergente, le 3.02). Il ritardo accumulato dagli incrociatori di Toscano, forse a causa di un giro attorno alle Egadi più ampio del previsto, era tale che questi sarebbero giunti a Capo Bon alle tre di notte anziché alle due, ma ciò non fu comunicato a Supermarina, che così non ordinò di recuperare il ritardo.
Alle 3.15 la IV Divisione, giunta a due miglia dal faro di Capo Bon (o 3,5 miglia a nord del Capo), accostò per 157° onde scapolare Capo Bon mantenendosi a poco più di un miglio dalla costa, così entrando nel settore oscurato del faro (che sino a quel momento le aveva invece illuminate di quando in quando); il Da Barbiano segnalò per ultracorte a Cigno e Di Giussano «Fate attenzione ai piroscafi nemici». A quel punto le navi di Toscano sarebbero dovute proseguire per sette-otto miglia e poi tornare su rotta 180°, seguendo la costa tunisina, ma invece – alle 3.20 – il Da Barbiano, senza preavviso, accostò a sinistra (di 180° per contromarcia) fino ad invertire la rotta (così assumendo rotta 337°) e mise le macchine a tutta forza, per poi comunicare l’inversione alle altre due unità a mezzo radiosegnalatori. In plancia comando del Da Barbiano, il comandante Rodocanacchi aveva infatti ricevuto dalla plancia ammiraglio l’ordine d’invertire la rotta, e subito dopo anche “Artiglieri seguire indici elettrici – Complessi attenzione”. Il Di Giussano, che non ricevette l’ordine d’invertire la rotta, imitò la nave ammiraglia per contromarcia, venendosi però a trovare, ad accostata ultimata, piuttosto scartato a dritta rispetto al Da Barbiano. La Cigno non ricevette il messaggio sull’inversione di rotta e non si accorse neanche della manovra dei due incrociatori, così continuò ignara su rotta 180° fino alle 3.25, quando accostò a sua volta, ma ormai era in coda alla formazione, ben lontana dagli incrociatori.
Le ragioni dell’improvvisa inversione di rotta ordinata dall’ammiraglio Toscano sono destinate a restare un mistero: di lì a poco, il comandante della IV Divisione le avrebbe portate con sé per sempre, e così tutto il suo Stato Maggiore. Non si possono che fare congetture: una teoria è che l’ammiraglio Toscano, ormai certo di essere stato avvistato dai velivoli che avevano sorvolato le sue navi, avesse deciso di tornare indietro, come nella missione del 9 dicembre, per sfuggire agli attacchi che sarebbero inevitabilmente seguiti, ma in tal caso avrebbe avuto più senso dirigere per le Egadi (percorso più breve) anziché verso nordovest; senza considerare che l’inversione di rotta fu repentina ed avvenne più di mezz’ora dopo l’avvistamento del Wellington, e non sembrava esserci ragione per ordinare, così tardi, una manovra tanto frettolosa.
Un’altra ipotesi è che Toscano, invertendo la rotta, intendesse confondere le idee al ricognitore britannico circa la vera rotta seguita, aspettare che se ne andasse e poi riassumere la rotta originaria verso Tripoli, oppure che avesse avvertito il rombo di motori di aerei in avvicinamento, giungendo a ritenere che fosse in arrivo un attacco di aerosiluranti, ed intendesse deviare dalla rotta per disorientare gli aerei attaccanti e portarsi più a nord, in acque più libere, dove avrebbe avuto maggiori possibilità di manovra.
Ancora, è stato suggerito che con tale manovra l’ammiraglio intendesse evitare i campi minati italiani presenti in quelle acque (in particolare l’«S. 11», che creavano tra Kelibia e Capo Bon un ristretto passaggio (largo appena tre miglia) nel quale, in caso di attacco navale od aereo, sarebbe stato difficile manovrare: tuttavia la loro presenza era già conosciuta e c’era la Cigno in posizione avanzata, dunque anche tale ipotesi non pare avere grande fondamento. Né trova molto credito l’ipotesi per cui l’inversione di rotta sarebbe stata ordinata a causa dell’avvistamento, a proravia, di sagome ritenute navi nemiche: sia perché in quella direzione non vi era alcuna unità, sia perché in posizione avanzata da quella parte c’era la Cigno, che avrebbe dovuto avvistare per prima eventuali unità avversarie.
Un’ultima teoria è stata formulata dal gruppo che, nel 2007, ritrovò il relitto della nave: l’ammiraglio Toscano avrebbe avvistato qualcosa – i cacciatorpediniere britannici – a dritta, sottocosta, un po’ arretrato, e, sapendo che il carico di benzina sistemato a poppa rappresentava un grave rischio, impedendo al contempo l’uso delle torri poppiere, avrebbe deciso d’invertire la rotta per non dare la (vulnerabilissima) poppa al nemico, e poter fare fuoco contro di esso usando le torri prodiere. Tale ipotesi sarebbe suffragata dalla distanza esistente tra il relitto del Da Barbiano e la costa, due chilometri, il che significa che le unità avversarie erano visibili da bordo dell’incrociatore; la prua rivolta a nord anziché ad ovest mostra che l’incrociatore si stava dirigendo verso le navi nemiche.
Il mutamento di rotta ritardò l’incontro con i cacciatorpediniere anglo-olandesi, ma solo di qualche minuto.
La 4th Destroyer Flotilla, procedendo a 30 nodi tenendosi nelle acque territoriali del Nordafrica francese (onde evitare i campi minati italiani) in modo da intercettare la IV Divisione (sulla base delle informazioni su rotta e velocità fornite dal Wellington autore dell’avvistamento), era giunta in vista di Capo Bon, e delle navi italiane intente a doppiarlo, già alle tre di notte del 13. Alle 3.02 le unità nemiche videro lampi di luce e le sagome di due navi che procedevano verso sud, che però scomparvero dietro la costa: per qualche minuto i due incrociatori italiani furono nascosti dalla sagoma del Capo, poi, dopo che i cacciatorpediniere di Stokes ebbero a loro volta doppiato Capo Bon (restando molto sottocosta, così che le loro sagome si confondessero con il litorale mentre quelle delle navi italiane si stagliavano contro la debole luce lunare), tornarono visibili a questi ultimi: per primi al Sikh, che comunicò alle unità dipendenti «Enemy in sight» e di abbassare la velocità a 20 nodi, per ridurre la formazione di onde a prua e risultare così meno visibili. L’inversione di rotta portò la IV Divisione ad avvicinarsi rapidamente alla 4th Destroyer Flotilla. Il Sikh, in testa alla formazione anglo-olandese, e l’Isaac Sweers che lo seguiva si tennero ancora più sottocosta, in modo da defilare di controbordo alle navi di Toscano, mentre Maori e Legion seguirono una rotta un po’ più allargata, passando più vicini alle navi italiane (per altra versione, la linea di fila era nell’ordine seguente, dalla prima all’ultima unità: Sikh, Legion, Maori, Isaac Sweers). Poi, tutti e quattro andarono all’attacco a tutta forza.
Sul Da Barbiano, il primo ad avvistare i cacciatorpediniere nemici fu, quasi immediatamente dopo l’accostata, il terzo direttore del tiro, che si trovava in controplancia (secondo il sottotenente di vascello Silvini, in plancia comando, furono invece le vedette ad avvertire, mentre l’inversione di rotta era ancora in corso, “Avvistamento unità navali sulla sinistra”); subito dopo anche l’ammiraglio Toscano ed il suo Capo di Stato Maggiore, capitano di vascello Giordano, ambedue in plancia ammiraglio, avvistarono a loro volta le unità avversarie (secondo una fonte, il Da Barbiano comunicò allora «Attenzione, piroscafi nemici» e subito dopo «Avvistamento unità navali sulla sinistra»). Tra quanti le videro vi fu, in plancia comando, il sottotenente di vascello Silvini: in base ai ‘baffi’ di prua, questi valutò che la loro velocità fosse di 28-30 nodi. L’ammiraglio Toscano ordinò di portare le macchine alla massima forza, ordinare «Vela 30» (velocità 30 nodi) al Di Giussano e poi – ordine comunicato per portavoce alla plancia comando del Da Barbiano, situata sotto la plancia ammiraglio, e per radio al Di Giussano – di aprire il fuoco.
Era troppo tardi: il Sikh, già al traverso del Da Barbiano, cui defilò di controbordo sparando con le mitragliere, lanciò quattro siluri da un chilometro – da bordo del Da Barbiano si stimò la distanza in appena 300 metri – contro la nave ammiraglia della IV Divisione.
In plancia comando, però, regnava l’incertezza. Il primo direttore del tiro, Aldo Cavallini, riferì al comandante Rodocanacchi che le torri erano pronte, cariche e in punteria, ma Rodocanacchi non ordinò di aprire il fuoco: forse pensava che l’ombra che era improvvisamente comparsa a sinistra potesse essere la Cigno, dato che la torpediniera, se avesse accostato a tempo insieme agli incrociatori, si sarebbe potuta trovare in quel punto, intenta a risalire la formazione per assumere nuovamente la sua posizione in testa. Il comandante in seconda dell’incrociatore, capitano di fregata Alfredo Ghiselli, gridò “perché non si spara?”, ma il comandante Rodocanacchi rimase attaccato al portavoce che comunicava con l’ammiraglio Toscano, gridando “Sopra! Ammiraglio!”. Poi Ghiselli, che teneva un binocolo puntato sul cacciatorpediniere più vicino, esclamò “Ha lanciato, ha lanciato” e Rodocanacchi rispose ordinando subito di mettere tutta la barra a sinistra, ma non c’era più tempo.
Nelle torri il clacson d’allarme era suonato alle 3.30, ed i serventi erano ai loro posti, pronti al fuoco; il secondo direttore del tiro, tenente di vascello Maniscalco, fece subito seguire la punteria alla torretta, ma sentì un vociare confuso nella torretta di comando, situata sotto la torretta del secondo direttore del tiro. Né dall’apparecchio di punteria generale del secondo direttore del tiro, né dalla punteria della torretta, fu possibile vedere il bersaglio: ci si limitava a seguire a controindice le indicazioni della colonnina.
Dopo pochi istanti il capitano di vascello Giordano gridò nel portavoce “ha lanciato [si riferiva al Sikh, nda] Tutto a sinistra” e poi ripeté di nuovo “aprite il fuoco”. L’incrociatore iniziò ad accostare a sinistra, ma subito – erano le 3.22 – il primo siluro colpì a prua sinistra, sotto la torre numero 1 da 152 mm, causando un iniziale sbandamento a sinistra, mentre la nave veniva investita da un violentissimo fuoco di mitragliere, le codette luminose dei cui proiettili apparivano chiaramente visibili. Solo le mitragliere di sinistra del Da Barbiano fecero in tempo a sparare qualche colpo prima che la coperta dell’incrociatore fosse investita da una gragnuola di colpi di mitragliera.
Dopo il Sikh, anche il Legion sparò coi cannoni e lanciò tutti i suoi siluri contro il Da Barbiano, mentre l’Isaac Sweers sparò solamente con le artiglierie, contro il Di Giussano; il Maori attaccò il Da Barbiano già incendiato alle 3.26, lanciando due siluri e sparando contro la sua plancia (per altra fonte sarebbe stato uno dei siluri del Maori, invece di quello del Legion, ad aver colpito l’incrociatore; una versione ancora differente vedrebbe il Da Barbiano colpito da quattro siluri anziché tre: due del Sikh, uno del Legion ed uno del Maori).
Subito dopo il primo siluro, il Da Barbiano fu colpito da un secondo (anch’esso, come il primo, del Sikh) che centrò la sala macchine, ponendo fuori uso l’apparato motore ed aprendo lo squarcio più grande nello scafo, mentre i parecchi colpi caduti a bordo falcidiavano il personale alle armi e facevano esplodere i fusti di benzina, scatenando un colossale incendio che si estese a tutta la nave. Pochi attimi dopo, il Da Barbiano fu raggiunto verso poppa, all’altezza della sala convegno ufficiali, da un terzo siluro, lanciato dal Legion, mentre un’altra arma lanciata dalla stessa nave lo mancò a poppa e colpì invece il Di Giussano. Intanto il Da Barbiano veniva spazzato e crivellato di cannonate e colpi di mitragliera: diverse raffiche centrarono la plancia, frantumandone i vetri, ed una di esse colpì in pieno il capitano di vascello Giordano, che crollò sul pagliolato. Il tenente di vascello Raiani, aiutante di bandiera dell’ammiraglio Toscano, vide quest’ultimo immobile nell’angolo sinistro della plancia, e non gli parve che fosse stato colpito.
Il secondo direttore del tiro, Maniscalco, sentì uno scossone violento; inutilmente attese di sentire il rumore dei cannoni della propria nave che rispondevano al fuoco, ma invece giunse soltanto un secondo scossone, più forte del primo, che fece sussultare la nave. Erano i siluri che arrivavano a segno. Non sentendo ancora sparare, Maniscalco ordinò di aprire la porta della torretta e fece affacciare un sottufficiale, che riferì che l’incrociatore era fermo, sbandato a sinistra ed in affondamento. Dopo mezzo minuto si avvertì un terzo scossone, più lontano: il terzo siluro. A Maniscalco non rimase che ordinare ai suoi uomini di mettersi in salvo.
L’energia venne a mancare immediatamente, la nave cominciò subito a sbandare. L’equipaggiò iniziò ad abbandonare la nave, che intanto continuava a sbandare sempre più rapidamente sulla sinistra: gli ultimi che si gettarono in acqua lo fecero quando ormai il ponte di coperta era quasi perpendicolare alla superficie del mare.
L’ultimo uomo a vedere l’ammiraglio di divisione Antonino Toscano fu forse il sottocapo Vincenzo Antro. Mentre iniziava a percorrere l’ultima scaletta che portava in coperta, Antro sentì la voce fioca di Toscano, ferito gravemente, gli si avvicinò e lo riconobbe. L’ammiraglio gli disse “Aiutami sono ferito” reggendosi a fatica in piedi, tenendosi con una mano alla ringhiera della plancetta. Non c’era nessun altro intorno. Antro prese in spalla l’ammiraglio Toscano e riuscì faticosamente a portarlo fino nei pressi dell’hangar, poi corse a prua in cerca di una zattera e di qualcuno che potesse aiutarlo, ma non trovò né l’una né l’altro. Tornato dall’ammiraglio, Antro cercò di aiutarlo, ma il buio pesto ed il forte sbandamento lo resero inutile: Toscano, a causa della gravità delle sue ferite, non era più in grado di muoversi, e, avendo compreso che era giunta la fine, gli mormorò “Lasciatemi qui, salvatevi”. A quel punto, il sottocapo Antro si gettò in acqua. L’ammiraglio Toscano non fu mai più rivisto. Alla sua memoria fu conferita la Medaglia d’oro al Valor Militare.
Il comandante Rodocanacchi, dopo aver fatto tutto il possibile per mettere in salvo i suoi uomini, cedette il suo salvagente al sottocapo Bettini, che non lo aveva, e rimase a bordo. Affondò con la sua nave; una Medaglia d’oro al Valor Militare onorò il suo gesto.
La stessa decorazione fu conferita alla memoria del giovane tenente del Genio Navale Franco Storelli, imbarcato sul Da Barbiano dal precedente 25 luglio. Storelli, accorso nelle sale caldaie invase dal vapore quando già la sua nave era mortalmente colpita, fortemente sbandata ed al buio, tentò in ogni modo di garantire il funzionamento dell’apparato motore. Il fumo degli incendi ed il vapore, dilagato ovunque, impedivano di vedere e respirare, ma Storelli continuò egualmente nel suo lavoro; quando gli fu chiesto di mettersi in salvo, disse ai suoi sottoposti di salvarsi e che per parte sua intendeva fare fino all’ultimo il suo dovere per salvare la nave, o almeno prolungarne l’esistenza. Anche lui seguì la nave in fondo al mare.
Il puntatore mitragliere Mario (Giulio) Ottonello di Varazze, che si trovava di guardia su una plancetta, fu gettato in coperta e perse momentaneamente i sensi. Quando rinvenne, Ottonello capì che la nave stava affondando, quindi si tolse scarpe, pantaloni e cappotto e si gettò in mare.
Nel giro di una decina di minuti, l’Alberico Da Barbiano si capovolse ed affondò in un mare di fiamme, scomparendo sotto la superficie alle 3.35 del 13 dicembre, un miglio e mezzo ad est del faro di Capo Bon, in posizione 37°04’ N e 11°07’ E. Sulla superficie rimasero centinaia di naufraghi ed una immensa chiazza di carburante in fiamme. Molti di coloro che si erano buttati per ultimi non riuscirono a sfuggire all’enorme marea di benzina incendiata che galleggiava sulla superficie, e che continuò a bruciare per tutta la notte.

Il tenente del Genio Navale Franco Storelli (USMM)

Mentre questo accadeva, si era svolto anche il dramma del Di Giussano. Parzialmente coperto dalla massa della propria nave ammiraglia, il secondo incrociatore non aveva subito una eguale pioggia di cannonate, siluri e colpi di mitragliera, ma quanto giunto a destinazione – compreso un siluro, quello del Legion che aveva mancato a poppa il Da Barbiano – fu sufficiente a compromettere la sorte dell’unità. Senza che il carico di benzina prendesse fuoco scatenando un altro rogo, il Di Giussano rimase immobilizzato ed affondò, spezzandosi in due, alle 4.20, con la perdita di 283 dei 720 uomini imbarcati. La Cigno, rimasta indietro, assisté impotente al disastro (vide un’altissima fiammata levarsi dal Da Barbiano, poi il breve combattimento del Di Giussano), ebbe un breve quanto infruttuoso scambio di colpi con i cacciatorpediniere nemici e si diresse poi sul luogo dello scontro per prestare soccorso.
La 4th Destroyer Flotilla giunse indenne a Malta; il suo comandante Stokes sarebbe stato insignito, per la distruzione dei due incrociatori, dell’Ordine del Bagno (“onorificenza inconsueta per un ufficiale del suo grado”, come ebbe a ricordare in seguito l’ammiraglio Andrew Browne Cunningham, all’epoca comandante della Mediterranean Fleet).

Del Da Barbiano, soltanto pochi zatterini Carley poterono essere messi in acqua. I naufraghi che riuscirono a sfuggire al carburante in fiamme che galleggiava sul mare si ritrovarono a galleggiare nella fredda acqua di dicembre aggrappati a pochi rottami, sovente senza nemmeno aver avuto il tempo d’indossare un salvagente. Il sottotenente di vascello Figari si avvicinò ad uno zatterino in legno tipo De Bonis (dodici posti) cui era aggrappata una quindicina di uomini, ai quali si unì anche lui. Gli uomini aggrappati allo zatterino si misero a nuotare per allontanarsi dalle fiamme che avanzavano verso di loro, ma di quando in quando qualche marinaio, sopraffatto dal freddo, reclinava la testa, mollava la presa e si lasciava andare. Entro le 8.30 di quel mattino, sarebbero rimasti in sette.
Il tenente CREM Bardi, circa mezz’ora dopo l’affondamento, notò l’albero di una delle imbarcazioni dell’incrociatore, e vi si aggrappò. Altri lo imitarono, e nel giro di poco tempo si ritrovarono in otto ad essere aggrappati all’albero: tra di essi il fuochista Urlara, senza salvagente, che chiedeva aiuto. Bardi gli diede il suo salvagente, ed Urlara tornò ad essere calmo e fiducioso nella salvezza.
Parecchi altri naufraghi tentarono di raggiungere a nuoto la costa, che non era lontana, ma il freddo, le ferite, le ustioni e lo sfinimento decimarono il loro numero. Il guardiamarina Niccolini, uno dei pochi superstiti tra il personale in plancia comando, mentre nuotava verso la costa s’imbatté nel secondo capo Alfredo Cipriani, che gli disse di essere ferito ad una spalla, e nel sottocapo Della Pasqua, che era invece illeso e domandò quanto fosse lontana la riva. Continuando a nuotare, i tre continuarono a tenersi in contatto lanciando richiami, ma prima Cipriani, e poi anche Della Pasqua, scomparvero nel buio della notte. (Ad Alfredo Cipriani, che era stato calciatore nella squadra locale del suo paese, Raiano, sarebbe stato dedicato, molti decenni più tardi, un campo di calcio).
Tra coloro che morirono nel tentativo di raggiungere la riva a nuoto vi fu anche il primo direttore del tiro, capitano di corvetta Aldo Cavallini. Salito inizialmente su una zattera con altri naufraghi, cedette il suo posto ad un marinaio e seguì per qualche tempo il galleggiante a nuoto, ma alla fine fu sopraffatto dal freddo e dalla stanchezza. Il suo corpo sarebbe stato ritrovato una decina di giorni dopo al largo di Lampedusa, identificato grazie alla piastrina che aveva nel portafogli, e sepolto in mare; la Croce di Guerra al Valor Militare ne avrebbe onorato il sacrificio.
Dopo aver nuotato vigorosamente per scampare alle fiamme che raggiunsero invece molti altri uomini, ed essersi brevemente riposato su di una lancia trovata alla deriva, il mitragliere Mario Ottonello riuscì a raggiungere a nuoto la costa tunisina; al faro di Capo Bon incontrò degli altri superstiti, insieme ai quali si mise in marcia. Avrebbero camminato per tutta la notte e parte del mattino seguente prima di essere raggiunti da un reparto italiano, che li avrebbe poi trasportati all’ospedale italiano «Giuseppe Garibaldi» di Tunisi.
Una cinquantina di naufraghi, tra cui quattro feriti, riuscì infine a raggiungere la spiaggia di Kelibia, altri 25 toccarono terra a Ras Hauria, e tre, feriti, giunsero a riva a Ras Adar. La popolazione locale e le autorità francesi (accorsero subito sul posto anche i rappresentanti della Commissione Italiana di Armistizio con la Francia) si profusero in quanto loro possibile per dare aiuto ai naufraghi giunti a terra; i feriti furono ricoverati negli ospedali militari di Tunisi, nell’ospedale italiano «Garibaldi» e, per mancanza di spazio, anche in un convitto scolastico.
La Cigno perlustrò la zona dello scontro per tutta la notte  ed il mattino successivo, recuperando più di 500 sopravvissuti, soprattutto del Di Giussano (mentre circa 150 altri avevano raggiunto la riva a nuoto o su imbarcazioni e zatterini). I naufraghi, quando non già feriti od ustionati, erano coperti di nafta, per cui vennero subito mandati alle docce di bordo; altri, intirizziti dal freddo, furono mandati nei locali caldaie. Il lavoro della torpediniera fu però intralciato dai velivoli britannici, che sorvolavano la zona gettando bengala, così costringendo la nave ad aprire il fuoco con il proprio armamento, effettuare manovre ed emettere cortine fumogene; diversi superstiti raccontarono in seguito che gli aerei avevano anche mitragliato naufraghi ed imbarcazioni in mare, causando altre vittime. Alla Cigno si unirono anche la vecchia torpediniera Giuseppe Sirtori, quattro MAS e successivamente un idrovolante CANT Z. 506 (che ammarò e trasse in salvo due uomini), tutti inviati dalla Sicilia, oltre anche a pescatori tunisini. Contro i soccorritori c’erano, oltre al carburante in fiamme sul mare ed alla bassa temperatura dell’acqua, anche gli squali che infestavano la zona.
Tra le cinque del mattino e le 6.30, sei dei sette uomini aggrappati all’albero dell’imbarcazione assieme al tenente Bardi si lasciarono andare e scomparvero: rimasero solo Bardi e Urlara.
Quando alle 8.30 la Cigno passò vicino allo zatterino del sottotenente di vascello Figari, continuò a recuperare naufraghi, e disse loro che sarebbe giunta anche da loro. In realtà, sarebbero passate altre tre ore prima che un MAS soccorresse i superstiti dello zatterino e li portasse sulla Cigno: entro quell’ora, della quindicina di uomini che vi erano originariamente aggrappati solo in tre, tra cui Figari, sarebbero stati ancora vivi.
L’enorme incendio che divampava dov’era stato il Da Barbiano si estinse soltanto alle dieci del mattino.
Alle due del pomeriggio del 13 dicembre non c’era ormai più nessuno in acqua, dunque la Cigno concluse le ricerche e fece rotta su Trapani. In tutto furono tratti in salvo 687 naufraghi, 250 del Da Barbiano e 437 del Di Giussano, su un totale di 1504 uomini imbarcati sulle due navi. I superstiti furono portati a Trapani, dove i feriti vennero ricoverati nei locali ospedali.
Dei 784 uomini imbarcati sul Da Barbiano, sopravvissero soltanto 20 ufficiali (quattro dei quali feriti) su 43, 32 sottufficiali (otto dei quali feriti) su 121, 194 sottocapi e marinai (40 dei quali feriti) su 606 e quattro tra militarizzati ed uomini della Regia Aeronautica (tra cui un ferito) su tredici.
Furono recuperate dal mare le salme di cinque ufficiali, 18 sottufficiali, 52 sottocapi e marinai e due tra militarizzati e uomini dell’Aeronautica (molte delle quali sepolte a Trapani, non tutte identificate); risultarono invece dispersi altri 19 ufficiali, 71 sottufficiali, 360 tra sottocapi e marinai e sette tra militarizzati ed uomini della Regia Aeronautica. Scomparve in mare l’intero Stato Maggiore della IV Divisione Navale; oltre a Toscano e Rodocanacchi, anche Giordano e Ghiselli furono tra le vittime.



Morti sul Da Barbiano

Edgardo Adamo, sottocapo elettricista, disperso
Antonino Aiello, capo cannoniere di prima classe, disperso
Alvaro Aimone, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Alberti, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Allinio, marinaio, disperso
Salvatore Amato, marinaio elettricista, disperso
Gino Ambrogi, sottocapo meccanico, deceduto
Giovannino Amedei, marinaio, disperso
Gennaro Amitrano, sottocapo elettricista, disperso
Mario Angioi, sergente nocchiere, disperso
Carlo Ansaldo, marinaio, disperso
Pietro Antifora, marinaio infermiere, disperso
Antonio Aquila, marinaio, disperso
Alessandro Aquilina, secondo capo infermiere, disperso
Ferdinando Aquilino, sottocapo cannoniere, disperso
Salvatore Arco, marinaio cannoniere, disperso
Domenico Arena, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Arianiello, marinaio, disperso
Gerardo Arpino, marinaio, disperso
Pietro Assante, secondo capo radiotelegrafista, disperso
Cosimo Attolino, marinaio silurista, disperso
Alberto Aversa, marinaio, disperso
Giosuè Avolio, sottocapo carpentiere, disperso
Mircko Bacconi, capo cannoniere di terza classe, disperso
Ernesto Badiale, sottocapo fuochista, disperso
Vincenzo Bagni, marinaio meccanico, disperso
Sergio Baiocchi, marinaio cannoniere, deceduto
Stellio Balbi, sottocapo silurista, disperso
Angelo Baldassarre, marinaio fuochista, disperso
Egeo Balducci, sergente elettricista, disperso
Giuseppe Barbagallo, marinaio, disperso
Corrado Barbugian, sottocapo cannoniere, disperso
Vincenzo Bari, capo carpentiere di seconda classe, disperso
Islando Barilari, sottocapo silurista, deceduto
Mario Barisani, marinaio S. D. T., disperso
Eligio Barra, sottocapo S. D. T., disperso
Giuseppe Barsotti, marinaio carpentiere, disperso
Salvatore Basile, marinaio cannoniere, disperso
Alberto Battelli, marinaio elettricista, disperso
Francesco Battiato, marinaio fuochista, deceduto
Ottavio Battista, marinaio, disperso
Santo Bellantoni, sottocapo cannoniere, disperso
Luigi Benassi, sottocapo meccanico, disperso
Luigi Benes, marinaio fuochista, disperso
Renato Beretta, sottocapo meccanico, disperso
Romolo Bertana, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Bertelli, marinaio cannoniere, deceduto
Francesco Bertuccini, marinaio, disperso
Mario Bettelani, sottocapo cannoniere, deceduto
Carmelo Bianco, marinaio, disperso
Leonardo Bittarelli, sottocapo furiere, disperso
Giancarlo Bocconi, guardiamarina, disperso
Guerrino Bollori, sottocapo S. D. T., disperso
Fracesco Bona, secondo capo elettricista, disperso
Luciano Boni, marinaio torpediniere, disperso
Ferruccio Borrini, capo S. D. T. di prima classe, disperso
Girolamo Ciro Raffaele Bosco, secondo capo nocchiere, disperso
Giuseppe Bottacini, marinaio fuochista, disperso
Vincenzo Bova, marinaio, disperso
Albino Bozzato, marinaio, disperso
Osvaldo Braga, sergente elettricista, disperso
Filippo Bravata, marinaio, disperso
Bruno Brunaschi, marinaio cannoniere, disperso
Benedetto Bruner, marinaio furiere, disperso
Pietro Budicin, marinaio, disperso
Giorgio Buono, marinaio, disperso
Giovanni Caiazzo, sottocapo meccanico, disperso
Antonio Calisi, marinaio, disperso
Denzio Calzolari, marinaio, disperso
Amerindo Camilli, sottocapo elettricista, disperso
Ettore Campanella, marinaio, disperso
Giuseppe Campione, sottocapo segnalatore, disperso
Pietro Candeloro, sottocapo cannoniere, disperso
Paolino Capelli, sottocapo cannoniere, disperso
Paolo Capobianchi, marinaio, disperso
Vittorio Capriotti, sottocapo infermiere, disperso
Ludovico Caracciolo, guardiamarina, deceduto
Liberato Caracino, secondo capo furiere, deceduto
Pietro Caraffini, marinaio fuochista, disperso
Vittorio Cardamone, marinaio silurista, disperso
Giuseppe Carbutti, sottocapo cannoniere, disperso
Vito Cardella, sottocapo meccanico, disperso
Guido Cardini, sottocapo fuochista, disperso
Primiano Carpinone, marinaio, deceduto
Angelo Casacchia, marinaio meccanico, disperso
Carlo Casati, sottocapo fuochista, disperso
Francesco Cassano, sottocapo fuochista, disperso
Aldo Castagnola, marinaio fuochista, disperso
Rocco Castaldi, marinaio, disperso
Armando Castellitti, marinaio, disperso
Gaetano Castelnuovo, marinaio, deceduto
Angelo Castoldi, marinaio fuochista, disperso
Michele Cataneo, secondo capo elettricista, disperso
Secondo Cavagnero, secondo capo nocchiere, deceduto
Bruno Cavagnis, sottocapo S. D. T., disperso
Canzio Cavallari, marinaio, disperso
Aldo Cavallini, capitano di corvetta, deceduto
Luigi Cavallo, sottocapo fuochista, disperso
Luigi Cavigioli, marinaio furiere, deceduto
Giuseppe Cazzaro, sottocapo elettricista, disperso
Giuseppe Cecato, marinaio, disperso
Giovanni Cecchi, marinaio nocchiere, disperso
Mario Cei, marinaio, disperso
Pietro Celotti, secondo capo meccanico, disperso
Gabriele Cerne, marinaio fuochista, disperso
Carmelo Chiarezza, sottocapo radiotelegrafista, disperso
Ciro Chiovaro, marinaio, disperso
Giuseppe Chiricallo, marinaio cannoniere, disperso
Esterino Cian, marinaio torpediniere, disperso
Felice Ciceri, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Cicotto, secondo capo nocchiere, disperso
Mario Cinella, secondo capo meccanico, disperso
Eleuterio Cippis, marinaio meccanico, disperso
Alfredo Cipriani, secondo capo cannoniere, deceduto
Luigi Cirillo, marinaio elettricista, deceduto
Michele Cocca, marinaio cannoniere, disperso
Alberto Cociani, capo meccanico di seconda classe, disperso
Ignazio Colomba, marinaio, deceduto
Pietro Colombelli, sottocapo carpentiere, disperso
Mario Colombo, marinaio cannoniere, disperso
Pietro Colucci, marinaio, deceduto
Vincenzo Compatangelo, capo cannoniere di seconda classe, disperso
Mario Concetti, sottocapo radiotelegrafista, deceduto
Italo Contardi, marinaio fuochista, disperso
Antonio Conte, marinaio, disperso
Francesco Conte, sottocapo cannoniere, deceduto
Saverio Conte, marinaio, disperso
Pasquale Contessi, sottocapo, disperso
Pietro Corba Colombo, marinaio S. D. T., disperso
Ianello Corradano, marinaio fuochista, disperso
Francesco Corradino, marinaio cannoniere, disperso
Salvatore Corrao, secondo capo segnalatore, deceduto
Vincenzo Corsale, marinaio cannoniere, disperso
Dante Cosini, marinaio, disperso
Ferruccio Cosoli, sottotenente CREM, deceduto
Luigi Cossu, marinaio meccanico, disperso
Mario Costantini, marinaio cannoniere, disperso
Francesco Costantino, marinaio silurista, disperso
Carlo Crippa, marinaio, disperso
Leo Crotti, sergente cannoniere, disperso
Salvatore Cuccurullo, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Cudignoto, marinaio fuochista, disperso
Amedeo Cuneo, secondo capo cannoniere, disperso
Pietro Curci, marinaio fuochista, disperso
Paolo Curreri, sottocapo cannoniere, disperso
Alfonso D’Adamo, marinaio, disperso
Oronzo D’Andrea, marinaio, disperso
Mario D’Andrea, marinaio cannoniere, disperso
Saverio D’Angelo, capo cannoniere di seconda classe, disperso
Donato D’Annunzio, sottocapo meccanico, disperso
Raffaele D’Auria, marinaio, disperso
Raffaele D’Urso, secondo capo cannoniere, disperso
Bruno Dalla Pasqua, marinaio cannoniere, disperso
Ferdinando Dazzi, marinaio elettricista, disperso
Luigi De Bellis, marinaio, disperso
Paolo De Cicco, marinaio, disperso
Alberto De Crescenzo, marinaio segnalatore, disperso
Mario De Gortes, marinaio, disperso
Lucio De Luca, marinaio fuochista, deceduto
Raffaele De Luca, marinaio, disperso
Velio De Marco, sottocapo S. D. T., disperso
Giovanni De Renzo, marinaio fuochista, disperso
Luigi De Rosa, marinaio, disperso
Salvatore De Salvo, marinaio cannoniere, deceduto
Nicola Del Core, secondo capo meccanico, disperso
Alfredo Del Giudice, capo elettricista di prima classe, deceduto
Pietro Delfino, sottocapo cannoniere, disperso
Costantino Della Penna, marinaio meccanico, disperso
Dencio Denci, marinaio fuochista, disperso
Antonino Di Bella, marinaio, disperso
Michele Di Costanzo, marinaio, disperso
Sergio Di Gioia, marinaio cannoniere, deceduto
Alberto Di Martino, secondo capo radiotelegrafista, deceduto
Giuseppe Di Martino, secondo capo cannoniere, disperso
Nicola Diletto, marinaio cannoniere, disperso
Casimiro Dimini, marinaio, disperso
Riccardo Em. Dobressi, marinaio fuochista, disperso
Otello Dobrilla, marinaio, disperso
Vincenzo Dolente, marinaio, disperso
Mario Donadu, marinaio cannoniere, disperso
Emilio Droghetto, marinaio, disperso
Antonio Duccilli, marinaio, disperso
Dante Dugoni, marinaio cannoniere, disperso
Vittorio Duina, marinaio fuochista, disperso
Bruno Falcier, marinaio, disperso
Pietrino Fanari, sottocapo silurista, disperso
Salvatore Farina, marinaio, disperso
Luigi Farris, secondo capo cannoniere, disperso
Luigi Fassi, secondo capo cannoniere, disperso
Milvio Favilla, marinaio fuochista, disperso
Oneglio Fava, sottocapo radiotelegrafista, disperso
Santo Fazio, marinaio fuochista, disperso
Antonio Ferlicchia, sottocapo cannoniere, disperso
Alberto Ferrara, secondo capo meccanico, deceduto
Domenico Ferrara, marinaio, disperso
Primo Ferraresso, marinaio cannoniere, disperso
Aldo Ferrari, secondo capo nocchiere, disperso
Artemio Ferrari, sergente radiotelegrafista, disperso
Antonio Ferrario, marinaio, disperso
Raffaele Ferraro, marinaio, disperso
Gino Ferro, marinaio elettricista, disperso
Bruno Fighera, sergente elettricista, disperso
Galdino Fiora, marinaio, disperso
Salvatore Fiorenza, marinaio fuochista, disperso
Pietro Fioroni, capo radiotelegrafista di terza classe, deceduto
Antonio Formicola, sottocapo meccanico, disperso
Giuseppe Fotanelli, marinaio cannoniere, disperso
Nicola Franco, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Frasso, capo radiotelegrafista di prima classe, disperso
Vincenzo Frate, marinaio, disperso
Guglielmo Fumagalli, sottocapo cannoniere, disperso
Francesco Gagliardi, marinaio, disperso
Giulio Gagliardi, marinaio, disperso
Giuseppe Galliazzo, secondo capo cannoniere, disperso
Antonio Gallo, marinaio, deceduto
Vito Gargasole, marinaio, disperso
Giuseppe Gargiulo, sottocapo cannoniere, disperso
Luigi Gargiulo, marinaio fuochista, deceduto
Francesco Garofalo, marinaio, deceduto
Pietro Gasparini, marinaio, disperso
Danilo Gasperini, secondo capo cannoniere, deceduto
Giovanni Gasperini, marinaio, disperso
Domenico Gatto, marinaio, deceduto
Mario Gattoni, marinaio, disperso
Ciro Gaudino, marinaio, disperso
Carlo Gelada, marinaio, disperso
Mauro Genestreti, marinaio fuochista, disperso
Mario Gentini, marinaio S. D. T., disperso
Giobatta Gerometta, sottocapo cannoniere, deceduto
Guglielmo Gheduzzi, capo cannoniere di seconda classe, disperso
Giorgio Gherm, marinaio fuochista, disperso
Walter Ghetti, marinaio cannoniere, disperso
Salvatore Ghigino, marinaio, disperso
Alfredo Ghiselli, capitano di fregata, deceduto
Dante Giacobbe, marinaio furiere, deceduto
Salvatore Giacone, sottocapo elettricista, disperso
Francesco Giampaglia, marinaio, disperso
Vittorio Gianella, secondo capo cannoniere, disperso
Mario Giardino, capo furiere di terza classe, disperso
Luciano Gifra, marinaio meccanico, disperso
Cesare Gigante, marinaio, disperso
Armando Giglio, marinaio, disperso
Filippo Gionta, secondo capo segnalatore, disperso
Carlo Giordano, capitano di fregata, disperso
Ernesto Giudici, marinaio cannoniere, deceduto
Gino Glorio, marinaio meccanico, disperso
Giuseppe Govoni, sottocapo elettricista, disperso
Eros Grandi, sottocapo torpediniere, disperso
Giovanni Graniglia, marinaio fuochista, disperso
Battista Grasso, marinaio, disperso
Giuseppe Gregori, secondo capo furiere, disperso
Bruno Grifoni, secondo capo meccanico, disperso
Luigi Grillo, marinaio, disperso
Domenico Grosso, marinaio, disperso
Pietro Grosso, marinaio, deceduto
Mauro Guala, secondo capo infermiere, deceduto
Vincenzo Guarino, marinaio, disperso
Gaetano Guarracino, marinaio cannoniere, disperso
Rosario Guglielmo, marinaio, disperso
Antonio Guida, marinaio infermiere, disperso
Gennaro Iacovelli, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Ida, secondo capo furiere, disperso
Bruno Ievscek, sottocapo cannoniere, disperso
Domenico Illiano, marinaio, disperso
Pasquale Intini, sottocapo elettricista, disperso
Luigi Isera, secondo capo meccanico, disperso
Carlo Kaladich, capo carpentiere di seconda classe, disperso
Giovanni Kobec, marinaio fuochista, disperso
Antonio Labate, marinaio cannoniere, deceduto
Andrea Lanfredi, marinaio, deceduto
Mariano Lanza, secondo capo cannoniere, disperso
Luigi Latino, sottocapo furiere, deceduto
Vito Lattanzi, marinaio, disperso
Leo Lazzaretto, sottocapo cannoniere, disperso
Amedeo Lena, marinaio, disperso
Corrado Leonardi, marinaio cannoniere, deceduto
Mario Leone, marinaio meccanico, disperso
Luigi Liberti, capitano di corvetta, disperso
Antonio Lo Turco, sottocapo cannoniere, disperso
Pierluigi Longhena, aspirante (Genio Navale), disperso
Fiorindo Longo, sottocapo fuochista, disperso
Pantaleo Losapia, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Lucchini, secondo capo furiere, disperso
Osvaldo Lucianetti, marinaio musicante, disperso
Luciano Luciani, marinaio fuochista, disperso
Mario Lumini, sottocapo cannoniere, disperso
Aristide Luppi, marinaio cannoniere, disperso
Francesco Luppino, marinaio cannoniere, deceduto
Mario Magini, marinaio meccanico, disperso
Pietro Magnone, secondo capo elettricista, disperso
Giuseppe Malara, sergente segnalatore, disperso
Sebastiano Mallin, sottocapo segnalatore, disperso
Romano Malusà, marinaio cannoniere, disperso
Giovanni Manca, marinaio, deceduto
Luciano Mancini, marinaio musicante, deceduto
Giuseppe Mantelli, capo cannoniere di terza classe, disperso
Italo Mantovan, marinaio cannoniere, disperso
Giovanni Mantovani, marinaio fuochista, disperso
Rinaldo Marchiani, secondo capo meccanico, disperso
Luigi Marcolli, marinaio fuochista, disperso
Bruno Marconi, marinaio nocchiere, disperso
Franco Marinelli, marinaio, disperso
Nazzareno Marinelli, sottocapo torpediniere, disperso
Santo Marletta, marinaio fuochista, disperso
Enrico Martarelli, marinaio cannoniere, disperso
Antonio Martinci, marinaio, disperso
Giovanni Martungelli, marinaio, disperso
Mario Maruccia, marinaio, deceduto
Giorgio Masiero, marinaio fuochista, disperso
Renato Masini, marinaio, disperso
Edmondo Adelfio Massucci, sottocapo carpentiere, disperso
Elio Mazzucco, marinaio, disperso
Mario Mazzucco, sergente elettricista, disperso
Lino Menegon, sottocapo meccanico, disperso
Anselmo Menghelli, marinaio cannoniere, deceduto
Giuseppe Mennella, sottocapo cannoniere, disperso
Agostino Mercanti, sottocapo segnalatore, disperso
Giovanni Mero, marinaio cannoniere, deceduto
Andrea Messina, marinaio, deceduto
Giuseppe Micozzi, marinaio, deceduto
Giuseppe Milani, sottocapo fuochista, disperso
Giuseppe Mineo, marinaio, disperso
Lorenzo Mirabito, marinaio, disperso
Carlo Moiraghi, marinaio cannoniere, disperso
Marco Molini, marinaio cannoniere, disperso
Aristide Montrasio, marinaio fuochista, disperso
Urbano Moreschi, secondo capo cannoniere, deceduto
Armando Morresi, marinaio, deceduto
Attilio Moscardelli, marinaio, disperso
Rodolfo Mosco, marinaio motorista, disperso
Mario Motta, sottocapo palombaro, disperso
Pasquale My, sottocapo furiere, disperso
Bernardo Nembrini, marinaio, disperso
Salvatore Nicotra, marinaio, disperso
Armando Nizzi, capo meccanico di terza classe, disperso
Donato Norcia, sottocapo cannoniere, disperso
Mario Notari, marinaio cannoniere, disperso
Andrea Notarpietro, sottocapo cannoniere, disperso
Cristofaro Noviello, marinaio meccanico, disperso
Alberto Oblato, marinaio fuochista, disperso
Oreste Occhipinti, marinaio elettricista, disperso
Salvatore Occhipinti, sottocapo infermiere, deceduto
Nicola Oliva, secondo capo cannoniere, disperso
Giuseppe Opisso, marinaio, disperso
Duilio Origo, marinaio cannoniere, disperso
Lorenzo Orlando, capitano del Genio Navale, deceduto
Salvatore Orlando, marinaio, disperso
Alfonso Ottena, marinaio, disperso
Tommaso Pacaccio, marinaio, disperso
Aldo Pacetti, marinaio, disperso
Primo Padoan, marinaio, disperso
Angelo Padovan, secondo capo furiere, disperso
Mattia Pagani, sottocapo fuochista, disperso
Vito Palatella, sergente segnalatore, disperso
Elio Palombo, motorista, disperso
Umberto Palumbo, marinaio, deceduto
Antonio Panigutti, secondo capo cannoniere, disperso
Pietro Antonio Pantaleo, sottocapo cannoniere, disperso
Saverio Paparella, marinaio furiere, deceduto
Vittorio Parascandolo, capo cannoniere di seconda classe, deceduto
Antonio Paratore, sottocapo furiere, deceduto
Mario Paravan, marinaio fuochista, disperso
Paolo Carlo Parenti, marinaio cannoniere, deceduto
Nicola Parodo, sottocapo nocchiere, disperso
Ivo Pasquini, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Pasquino, marinaio torpediniere, deceduto
Antonio Pastore, marinaio cannoniere, disperso
Francesco Paternò, secondo capo cannoniere, disperso
Rodolfo Pecci, marinaio, deceduto
Giuseppe Pedonese, sottocapo meccanico, disperso
Luciano Peirani, marinaio, deceduto
Mario Pellegrino, marinaio, disperso
Felice Pellerano, capo furiere di terza classe, disperso
Michele Peluso, marinaio cannoniere, disperso
Vittorio Penzo, marinaio, disperso
Ottorino Peroni, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Perrone, marinaio, disperso
Lorenzo Perrone, marinaio silurista, disperso
Ubaldo Perrone, marinaio meccanico, disperso
Giovanni Pescarmona, tenente del Genio Navale, disperso
Agostino Petrachi, sottocapo cannoniere, disperso
Renzo Pettinelli, sottocapo elettricista, disperso
Federico Umberto Piapan, marinaio fuochista, disperso
Amedeo Piersanti, marinaio fuochista, deceduto
Diego Pignatelli, marinaio musicante, disperso
Guido Piloni, marinaio fuochista, disperso
Pino Pini, marinaio, disperso
Nicolò Pisani, secondo capo cannoniere, disperso
Giovanni Pisanù, secondo capo nocchiere, disperso
Francesco Pischedda, marinaio furiere, disperso
Francesco Pistorio, sottocapo fuochista, disperso
Cosimo Pizzi, marinaio cannoniere, disperso
Natale Poggi, marinaio elettricista, disperso
Francesco Pollio, sottocapo, disperso
Lino Pontuti, secondo capo meccanico, deceduto
Angelo Poretti, marinaio cannoniere, disperso
Francesco Portincasa, sottocapo radiotelegrafista, disperso
Raffaele Portunato, marinaio, disperso
Ernesto Pozzi, sottocapo elettricista, disperso
Adolfo Pratesi, tenente di vascello, disperso
Renzo Prevignano, capo meccanico di terza classe, disperso
Aldo Protano, sottocapo cannoniere, disperso
Temistocle Provenza, marinaio cannoniere, disperso
Fiore Prudenzano, marinaio fuochista, disperso
Francesco Pugliese, capo cannoniere di terza classe, deceduto
Salvatore Pugliese, marinaio cannoniere, disperso
Guerrino Pulese, marinaio, disperso
Aureliano Puzzer, marinaio fuochista, disperso
Alessandro Quarta, sottocapo infermiere, disperso
Mario Quinto, sottotenente di vascello, disperso
Antonino Raffa, marinaio cannoniere, disperso
Alberto Ragusa, marinaio furiere, disperso
Raimoldi Gaetano, marinaio torpediniere, disperso
Guido Raimondi, marinaio fuochista, deceduto
Giacomo Rando, marinaio, disperso
Giovanni Ranni, secondo capo furiere, disperso
Valentino Rao, secondo capo cannoniere, deceduto
Oscar Rappi, sottocapo elettricista, disperso
Pietro Redaelli, secondo capo cannoniere, disperso
Angelo Regorda, sottocapo meccanico, disperso
Antonio Reho, marinaio, disperso
Innocenzo Renna, marinaio, disperso
Giovanni Renzi, marinaio, disperso
Erminio Reppi, sottocapo elettricista, disperso
Abramo Resmini, marinaio, disperso
Wilson Ricci, sottocapo cannoniere, deceduto
Francesco Ricciardi Rizzo, marinaio, disperso
Salvatore Ricciato, marinaio, disperso
Pietro Ricciuti, marinaio cannoniere, deceduto
Gino Riparbelli, secondo capo meccanico, disperso
Pietro Rizzo, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Roberto, sottocapo cannoniere, disperso
Lino Robuschi, marinaio, disperso
Giorgio Rodocanacchi, capitano di vascello (comandante), deceduto
Giovanni Rogante, marinaio cannoniere, disperso
Ottorino Romagnani, sottocapo fuochista, disperso
Rinaldo Romani, secondo capo elettricista, disperso
Francesco Romano, marinaio, disperso
Rosario Romano, marinaio, disperso
Giovanni Romele, sottocapo cannoniere, disperso
Michele Romita, marinaio, disperso
Giuseppe Romiti, secondo capo radiotelegrafista, disperso
Silvio Roncoroni, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Rota, marinaio fuochista, disperso
Francesco Russo, marinaio carpentiere, deceduto
Ferruccio Sabaini, marinaio cannoniere, disperso
Duilio Sabatini, marinaio silurista, disperso
Mario Sai, marinaio S. D. T., disperso
Luigi Samogia, maggiore del Genio Navale, disperso
Carlo Sandali, marinaio, disperso
Guasco Sandrini, marinaio, disperso
Paolo Sandrini, marinaio, deceduto
Raffaele Sarti, secondo capo radiotelegrafista, disperso
Melchisedek Savastano, capo meccanico di terza classe, disperso
Rodolfo Sbrojavacca, sergente segnalatore, disperso
Santino Scaltritti, marinaio fuochista, disperso
Carlo Scandella, secondo capo cannoniere, disperso
Pietro Scanu, marinaio fuochista, disperso
Mario Scarpello, marinaio elettricista, disperso
Salvatore Scelfo, sergente segnalatore, disperso
Domenico Sclippa, sottocapo cannoniere, disperso
Alberto Scodellini, guardiamarina, disperso
Luigi Scotti, secondo capo cannoniere, disperso
Agatino Scuderi, marinaio furiere, disperso
Francesco Secco, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Segotta, marinaio nocchiere, disperso
Alessandro Serra, marinaio, disperso
Vincenzo Siena, marinaio cannoniere, disperso
Domenico Silov, sottocapo furiere, disperso
Giovanni Silva, sottocapo cannoniere, disperso
Angelo Siri, marinaio, disperso
Mauro Soldani, marinaio cannoniere, disperso
Angiolino Soliani, marinaio fuochista, disperso
Raffaele Sollazzi, marinaio, disperso
Cesare Sotgiu, secondo capo cannoniere, disperso
Giulio Spada, capo meccanico di terza classe, disperso
Carmelo Spadaro Dutturi, sergente cannoniere, disperso
Aurelio Spalato, sottocapo segnalatore, disperso
Agostino Staccoli Castracane, aspirante guardiamarina, deceduto
Paolo Staffa, tenente CREM, disperso
Giulio Staiano, capitano CREM, disperso
Raffaele Sterlacchini, marinaio fuochista, disperso
Franco Storelli, tenente del Genio Navale, disperso
Pietro Strazzullo, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Sturaci, marinaio fuochista, disperso
Luigi Taccagni, marinaio, disperso
Salvatore Tamburrino, sottocapo cannoniere, disperso
Cataldo Tanese, sottocapo meccanico, disperso
Nello Tassinari, sottocapo cannoniere, deceduto
Manlio Taveri, secondo capo radiotelegrafista, disperso
Giovanni Terrone, sottocapo cannoniere, disperso
Tiburzio Ezzelino, sottocapo meccanico, disperso
Antonio Tollin, marinaio cannoniere, disperso
Gaetano Tomarelli, secondo capo meccanico, disperso
Idro Tomellini, capo S. D. T. di terza classe, disperso
Angelo Tonelli, capo elettricista di seconda classe, disperso
Angelo Tonoli, sottocapo fuochista, disperso
Walter Tori, sottocapo meccanico, disperso
Antonino Toscano, ammiraglio di divisione (comandante della IV Divisione Navale), disperso
Pietro Tracco, marinaio cannoniere, disperso
Sergio Traversa, marinaio elettricista, disperso
Franco Traverso, marinaio cannoniere, disperso
Antonio Trevisi, sottocapo meccanico, disperso
Giovanni Giulio Tricotti, sottocapo furiere, disperso
Guglielmo Tromanesi, sottocapo fuochista, disperso
Giovanni Valdetaro, marinaio fuochista, disperso
Ilio Valentic, marinaio fuochista, disperso
Arrigo Valli, marinaio fuochista, disperso
Rolando Vanni, sergente musicante, disperso
Alberto Vannini, marinaio segnalatore, deceduto
Arturo Vanzini, marinaio fuochista, disperso
Raffaele Varricchio, marinaio nocchiere, disperso
Ferdinando Vecchio, marinaio radiotelegrafista, deceduto
Antonio Vella, marinaio, disperso
Mario Vendemini, marinaio fuochista, disperso
Gaetano Veneziani, sottocapo torpediniere, disperso
Sebastiano Venneri, sottocapo cannoniere, disperso
Michelino Verdura, capo silurista di prima classe, disperso
Italo Verunelli, sottotenente del Genio Navale, disperso
Giovanni Vianello, marinaio, disperso
Luigi Vicario, marinaio fuochista, disperso
Rodolfo Villasevaglios, tenente di vascello (Capitaneria di Porto), disperso
Angelo Viola, marinaio fuochista, disperso
Raffaele Visone, marinaio fuochista, disperso
Luigi Vitiello, secondo capo furiere, deceduto
Domenico Viviani, guardiamarina, disperso
Pasquale Vollero, marinaio cannoniere, disperso
Bruno Voltancoli, secondo capo cannoniere, deceduto
Giovanni Zanin, marinaio fuochista, disperso
Domenico Zennaro, marinaio furiere, disperso
Francesco Zito, marinaio cannoniere, disperso
Michele Zito, sergente meccanico, disperso
Alessandro Zufellato, sottocapo cannoniere, disperso


La Croce al Merito di Guerra conferita alla memoria del sottocapo meccanico Angelo Regorda, disperso sul Da Barbiano (per g.c. del nipote Angelo Regorda)

 
Atto di morte del secondo capo segnalatore Salvatore Corrao del Da Barbiano, recuperato dal mare e sepolto a Trapani (g.c. Michele Strazzeri)
 
 
Nel 1948 la Commissione d’Inchiesta Speciale istituita sulla perdita dei due incrociatori concluse che dopo l’avvistamento dei cacciatorpediniere di Stokes la missione avrebbe dovuto essere interrotta, anche su iniziativa dell’ammiraglio Toscano, perché qualunque ipotetico vantaggio – come quello calcolato da Supermarina circa i diversi orari di arrivo a Capo Bon – sarebbe stato troppo ridotto ed aleatorio per poter permettere una ragionevole sicurezza; la Commissione ritenne che sia Supermarina che il comando della IV Divisione avevano invece voluto proseguire a tutti i costi per via della disperata situazione del carburante e perché, dopo il primo tentativo abortito del 9 dicembre, una nuova interruzione della missione non sarebbe stata accettata. Il capo di Stato Maggiore della Marina Militare in quel momento, ammiraglio Franco Maugeri, respinse però le conclusioni della Commissione d’Inchiesta Speciale, affermando che solo a Supermarina, e non a Toscano, sarebbe spettato di ordinare l’interruzione della missione ed il ritorno in porto; Maugeri affermò che Toscano, saputo dei cacciatorpediniere, avrebbe dovuto aumentare la velocità abbastanza da poter evitare l’incontro, e che “non era stato possibile chiarire” perché Supermarina non gli avesse dato ordini in tale senso. L’ammiraglio sostenne anche che il fatto che Supermarina avesse ritenuto accettabile che la IV Divisione avesse solo un’ora di “vantaggio” sulla 4th Destroyer Flotilla nell’arrivare a Capo Bon “non potesse essere definito un errore” (come invece ritenuto dalla CIS), anche in considerazione della necessità di ridurre al massimo le ore di navigazione diurna dopo la partenza da Palermo e di mantenere la velocità durante il viaggio prossima alla velocità economica (per risparmiare carburante).  

Il relitto del Da Barbiano è stato individuato il 12 ottobre 2007 da una spedizione di ricerca («Altair 2007») guidata dal celebre fotografo subacqueo Andrea Ghisotti e dagli storici Pietro Faggioli, Stefano Ruia e Daniele Bianconi. I membri della spedizione hanno scandagliato otto punti indicati dall’Istituto Idrografico della Marina Militare e da pescatori locali; avendo trovato tracce soltanto presso il primo punto, inizialmente trascurate per via del loro modesto innalzamento rispetto al fondale circostante, l’imbarcazione è tornata sul punto ed ha ripreso a scandagliare, individuando “tracce” su un vasto tratto di fondale, ad una profondità di una settantina di metri.
L’incrociatore giace a 60-70 metri di profondità, con i cannoni ancora puntati verso la direzione da dove erano venute le navi britanniche. Dopo aver fotografato il relitto, Ghisotti e Faggioli hanno deposto sullo scafo, nei pressi di una delle torri prodiere da 152, una targa con la scritta «Gli italiani non vi hanno dimenticato».

Un’altra immagine del Da Barbiano (da “Arms and Armour Press” via Giuseppe Garufi e www.xmasgrupsom.com)

La motivazione della Medaglia d’oro al Valor Militare conferita alla memoria del capitano di vascello Giorgio Rodocanacchi, nato a San Miniato (Pisa) il 2 ottobre 1897:

“Comandante di un incrociatore, destinato a compiere una missione delicata e particolarmente rischiosa, si dedicava con appassionata competenza alla preparazione della sua nave.
Seguendo le direttive e l'esempio del suo Ammiraglio creava nel suo equipaggio la più pura atmosfera eroica, si che tutti guardassero con cosciente serenità anche alla possibilità del supremo sacrificio nel nome sacro della Patria.
Venuto improvvisamente a contatto notturno ravvicinatissimo con unità nemiche, manovrava con rapidità e freddezza per tentare di schivare i numerosi siluri lanciati a brevissima distanza e reagiva vigorosamente con le sue artiglierie. Mentre la nave affondava, si preoccupava di organizzare il salvataggio della sua gente, che rincuorava con l'elevata parola ed il nobile esempio, sfidando l'offesa del nemico che martellava ancora con cannoni e mitragliere il bastimento in fiamme.
Incurante della propria salvezza, restava sulla nave in procinto di inabissarsi, cedendo in atto di suprema abnegazione, il suo salvagente ad un marinaio che ne era privo; e scompariva eroicamente con la sua unità alla quale si sentiva legato oltre la vita.
Mediterraneo Centrale, 13 dicembre 1941”

La motivazione della Medaglia d’oro al Valor Militare conferita alla memoria dell’ammiraglio di divisione Antonino Toscano, nato ad Agrigento il 19 luglio 1897:

“Comandante di una divisione di incrociatori leggeri, incaricata di una missione di guerra eccezionalmente delicata e rischiosa, accoglieva con perfetta serenità il compito affidatogli, e ne dirigeva i preparativi con estrema cura di ogni particolare. Conscio che  solo una fortunata evasione da ogni mezzo di scoperta e di offesa nemica poteva permettere alle sue navi di compiere incolumi la loro missione, preparava fortemente l'animo suo e quello dei suoi alla suprema offerta alla Patria. Scontratosi ad alta velocità con un gruppo di unità nemiche che defilava di controbordo, reagì con tutti i mezzi bellici all'azione nemica fortissima e di breve durata.
Ferito gravemente fra i primi, continuava imperterrito a dirigere il combattimento, infondendo rabbiosa energia in tutti i suoi dipendenti: esempio di salde ed eroiche virtù militari. Colpita duramente più volte la nave che batteva la sua insegna, rimaneva al suo posto di comando e di combattimento e, in una suprema dedizione alla Patria e alla Marina, deciso a condividere la sorte dell'unità che si inabissava in un alone di gloria, con essa eroicamente scompariva, additando alle schiere dei suoi dipendenti la via del dovere e del sacrificio.
Mediterraneo Centrale, 13 dicembre 1941”

La motivazione della Medaglia d’oro al Valor Militare conferita alla memoria del tenente del Genio Navale Franco Storelli, nato Gualdo Tadino (Perugia) il 28 dicembre 1918:

“Imbarcato su incrociatore, impegnato in combattimento e gravemente colpito, accorreva nei locali caldaie e, nonostante il forte sbandamento dell'unità e la sopravvenuta interruzione dell'energia elettrica, si prodigava con prontezza e perizia per assicurare il funzionamento dell'apparato motore.
Benché il locale fosse invaso da vapore, che rendeva difficile la respirazione e la visibilità, pure a breve distanza, rimaneva con elevata fermezza d'animo nei locali, intento all'attuazione del suo disegno e, invitato a rinunciare alla pericolosa operazione ed a mettersi in salvo, mentre si preoccupava dell'incolumità dei propri dipendenti, rispondeva con fiere parole dalle quali emanava tutto l'ardore della propria decisione, di compiere sino all'ultimo il suo dovere nella vana, quanto generosa, volontà di essere ancora utile alla sua nave.
Scompariva poco dopo con l'unità che s'inabissava, offrendo con azione improntata al più sublime e cosciente eroismo, la nobile sua esistenza al servizio della Patria.
Mediterraneo Centrale, 13 dicembre 1941”

Ancora in bacino di carenaggio, a La Spezia (Coll. Guido Alfano via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)

Si ringrazia Pietro Faggioli.



30 commenti:

  1. l'agguato portato dalla 4th destroyer flotilla alla IV divisione italiana non fu dovuta
    all'operato di ultra ma ad un bel messaggio spia che la IV divisione non riusci a deci
    frare mai. Messaggio inviato da Roma al CRT di messina alle ore 23,15 del 12/12/41
    e che la IV divisione non è mai riuscita a decifrare.La verità fa paura!!.

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    1. La verità, quella vera, a me non ha mai fatto paura, a differenza che ai vari Trizzino, Caruso, Baroni che lei sembra seguire (e che mai hanno portato uno straccio di prova alle loro fantasiose, ridicole tesi). E per questo le dico: la responsabilità di Ultra nell'agguato di Capo Bon è dimostrata da una montagna di documenti trovati negli archivi britannici; quali sono le fonti e prove di questo suo messaggio spia?
      Ancora nel ventunesimo secolo ci sono quelli convinti che l'Italia sia stata sconfitta per colpa di fantomatici "traditori" annidati nelle forze armate, e non semplicemente perché combatteva contro le maggiori potenze industriali e navali del mondo!

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    2. l'articolo 16 dell'armistizio chiarisce in modo inequivocabile l'esistenza dei traditori della Patria in servizio permanente effettivo

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    3. Per cominciare, è l'articolo 16 del trattato di pace di Parigi, non dell'armistizio: ti sei studiato male la lezione, temo. E l'articolo 16 si applica a qualsiasi cittadino italiano, non specificamente a fantomatici alti ufficiali. E' ben noto che vi erano antifascisti anche prima dell'8 settembre.

      Quell'articolo è diventato un feticcio dei trizziniani, un po' come la moglie inglese di Brivonesi...

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  2. Quello che Supermarina non conosceva era che, dopo l’avvistamento dei due incrociatori italiani da parte del Wellington del 221° Squadron, il Comandante della Marina a Malta, vice ammiraglio Wilbraham Ford, aveva inviato in volo sette aerosiluranti Swordfish dell’830° Squadron e cinque aerosiluranti Albacore dell’828° Squadron dell’Aviazione Navale (Fleet Air Arm – FAA). Nel frattempo, sempre allo scopo di intercettare i due incrociatori dell’ammiraglio Toscano, alle 18.30 del 9 dicembre erano partite da Malta cinque unità delle Forze B e K, gli incrociatori Neptune, Aurora, Penelope e i cacciatorpediniere Jaguar e Kandahar.
    Nelle prime ore del 10 dicembre gli aerei britannici si spinsero oltre Trapani, e nonostante possedessero anch’essi il radar di scoperta navale ASV II non riuscirono a rintracciare gli incrociatori italiani, che avrebbero dovuto attaccare. I comandanti del Da Barbiano (capitano di vascello Giorgio Rodocanacchi) e del Di Giussano (capitano di vascello Giovanni Marabotto), avendo invece percepito, alle 03.30, la presenza dei velivoli nemici, ritennero, erroneamente, di aver sventato un attacco aerosilurante, con l’ausilio della manovra e nascondendosi con cortine di nebbia artificiale, per poi rientrare a Palermo alle 08.20 di quello stesso giorno.
    Il rientro alla base degli incrociatori italiani della 4a Divisione Navale costrinse le unita navali britanniche salpate da Malta ad effettuarono un viaggio di intercettazione a vuoto, e rientrarono alla Valletta il mattino dell’indomani, 10 dicembre. Il Da Barbiano e il Di Giussano, se avessero continuato nella rotta sud, nella notte sul 10, o al limite l’indomani dello stesso giorno, sarebbero andati incontro al nemico, nelle condizioni più sfavorevoli ad affrontare un combattimento, a causa del loro pericolosissimo carico di combustibili e munizioni e per l’inferiorità numerica e potenziale.
    La ritirata dell’ammiraglio Toscano, che pure aveva fatto storcere la bocca negli ambienti navali italiani e generato anche discussioni antipatiche nei riguardi dell’ufficiale, servi invece ad evitare i pericolosissimi attacchi degli aerosiluranti e delle navi di superficie britanniche, e fortunatamente, almeno per il momento, ad evitare un’altra tragedia navale simile a quella di Matapan e del convoglio “Duisburg”, che poi si sarebbe verificata nella ripetizione della missione, nelle prime ore del 13 dicembre a Capo Bon.

    (SEGUE)

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  3. 2°) LA SECONDA TRAGICA MISSIONE DELLA IV DIVISIONE NAVALE DEL 12-13 DICEMBRE 1941
    Dopo quell’esperienza negativa del primo tentativo di portare la benzina avio a Tripoli, dovendo ripetere la missione al più presto possibile, Supermarina decise di apportare una variante al piano operativo aggregando alla 4a Divisione Navale l’incrociatore Giovanni dalle Bande Nere, fatto venire da La Spezia, e le torpediniere Cigno e Climene partire da Trapani per assumere la scorta dei tre incrociatori. I preparativi, come vedremo, si svolsero mentre i britannici avevano iniziato una loro operazione, che riguardava il trasferimento di quattro cacciatorpediniere da Gibilterra ad Alessandria, con scalo a Malta. Lo scopo era quello di rinforzare la Mediterranean Fleet di Alessandria, che difettava alquanto di naviglio leggero, dopo la partenza di sei cacciatorpediniere per l’Oceano Indiano, determinata dall’entrata in guerra del Giappone, necessari per scortare le due corazzate Queen Elizabeth e Valiant, le uniche rimaste ad Alessandria dopo il danneggiamento della Warspite il 22 maggio 1941, ad opera di una bomba da 250 chili sganciata da un cacciabombardiere tedesco Bf.109 della Squadriglia 8/JG.77, con pilota il tenenti Wolf-Dietrich Huy, e l’affondamento della Barham il 25 novembre, silurata dal sommergibile tedesco U-331, comandato dal tenente di vascello Hans Diedrich von Tiesenhausen.
    I cacciatorpediniere della 4a Flottiglia, che fino a quel momento erano stati a disposizione della Forza H di Gibilterra, partirono alle ore 05.30 dell’11 dicembre da Gibilterra diretti Malta. Si trattava del Sikh, Maori, Legion e Isaac Sweers (quest’ultimo olandese), comandati rispettivamente dai capitani di fregata Graham Henry Stokes, Rafe Edwards Courage, Richard Frederick Jessel e Jacques Hoursmuller, Gli ordini impartiti dal Comando della Forza H (vice ammiraglio James Somerville) al capitano di fregata Stokes, Comandante della Squadriglia sul Sikh, erano, lasciata Gibilterra, di percorrere il Mediterraneo occidentale simulando una ricerca antisom, e appena superata l’altezza di Algeri, in posizione long. 03°30’E, allo scopo di portarsi il più rapidamente fuori dalla minaccia degli aerei italiani della Sardegna, di procedere alla massima velocità, che fu infatti portata dal comandante Stokes a 30 nodi. E ciò avvenne, ed è un elemento importantissimo, prima ancora che i quattro cacciatorpediniere della 4a Squadriglia fossero stati avvistati da due ricognitori italiani, come si è sempre erroneamente creduto.
    Alle ore 16.00 del 12 dicembre, un velivolo Cant.Z.1007 bis della 212a Squadriglia del 51° Gruppo Ricognizione Strategica dell’Aeronautica della Sardegna, avvistò a 60 miglia ad est di Algeri i quattro cacciatorpediniere britannici che dirigevano verso levante. L’avvistamento fu poi confermati un quarto d’ora dopo da un altro Cant.Z.1000 bis della medesima 212a Squadriglia.
    La segnalazione di quelle navi, che secondo gli ufficiali osservatori di Marina imbarcati sui due ricognitori procedevano verso est alla velocità di 20 nodi, arrivò perfettamente a conoscenza di Supermarina e dell’ammiraglio Antonino Toscano, ma entrambi, ritenendo che il passaggio degli incrociatori della 4a Divisione Navale Da Barbiano (nave ammiraglia) e Di Giussano a Capo Bon si sarebbe svolto prima di quello delle unità nemiche, non si preoccuparono troppo dell’eventualità di dover incontrare quelle siluranti, che secondo i loro calcoli sarebbero passate con almeno un’ora di ritardo. Se avessero saputo che i cacciatorpediniere britannici invece che a 20 nodi marciavano a 30 nodi, Supermarina e l’ammiraglio Toscano, si sarebbero comportati in modo differente aumentando la velocità della 4a Divisione Navale per Tripoli, in modo che le loro navi, che trasportavano 22 tonnellate di benzina avio per l’aviazione, oltre a nafta, ed esplosivi per l’Esercito, non sarebbero state intercettate a Capo Bon dal nemico che sopraggiungevano da occidente.

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    1. Questo e' stato il problema della nostra flotta: ricevere ordini da qualcuno da una poltrona, su quale strategia adottare in mare. Il comandante di una nave deve avere la liberta' di decidere quale linea tattica adottare, in base a informazioni in suo possesso. Qualunque comandante di buon senso, avrebbe messo i motori al massimo per arrivare prima a destinazione. Il prezioso carburante. alla fine e' andato perso e con esso tutti quei ragazzi, compreso mio zio Paolo Parenti di soli 20 anni.

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  4. 2°) LA SECONDA TRAGICA MISSIONE DELLA IV DIVISIONE NAVALE DEL 12-13 DICEMBRE 1941
    Dopo quell’esperienza negativa del primo tentativo di portare la benzina avio a Tripoli, dovendo ripetere la missione al più presto possibile, Supermarina decise di apportare una variante al piano operativo aggregando alla 4a Divisione Navale l’incrociatore Giovanni dalle Bande Nere, fatto venire da La Spezia, e le torpediniere Cigno e Climene partire da Trapani per assumere la scorta dei tre incrociatori. I preparativi, come vedremo, si svolsero mentre i britannici avevano iniziato una loro operazione, che riguardava il trasferimento di quattro cacciatorpediniere da Gibilterra ad Alessandria, con scalo a Malta. Lo scopo era quello di rinforzare la Mediterranean Fleet di Alessandria, che difettava alquanto di naviglio leggero, dopo la partenza di sei cacciatorpediniere per l’Oceano Indiano, determinata dall’entrata in guerra del Giappone, necessari per scortare le due corazzate Queen Elizabeth e Valiant, le uniche rimaste ad Alessandria dopo il danneggiamento della Warspite il 22 maggio 1941, ad opera di una bomba da 250 chili sganciata da un cacciabombardiere tedesco Bf.109 della Squadriglia 8/JG.77, con pilota il tenenti Wolf-Dietrich Huy, e l’affondamento della Barham il 25 novembre, silurata dal sommergibile tedesco U-331, comandato dal tenente di vascello Hans Diedrich von Tiesenhausen.
    I cacciatorpediniere della 4a Flottiglia, che fino a quel momento erano stati a disposizione della Forza H di Gibilterra, partirono alle ore 05.30 dell’11 dicembre da Gibilterra diretti Malta. Si trattava del Sikh, Maori, Legion e Isaac Sweers (quest’ultimo olandese), comandati rispettivamente dai capitani di fregata Graham Henry Stokes, Rafe Edwards Courage, Richard Frederick Jessel e Jacques Hoursmuller, Gli ordini impartiti dal Comando della Forza H (vice ammiraglio James Somerville) al capitano di fregata Stokes, Comandante della Squadriglia sul Sikh, erano, lasciata Gibilterra, di percorrere il Mediterraneo occidentale simulando una ricerca antisom, e appena superata l’altezza di Algeri, in posizione long. 03°30’E, allo scopo di portarsi il più rapidamente fuori dalla minaccia degli aerei italiani della Sardegna, di procedere alla massima velocità, che fu infatti portata dal comandante Stokes a 30 nodi. E ciò avvenne, ed è un elemento importantissimo, prima ancora che i quattro cacciatorpediniere della 4a Squadriglia fossero stati avvistati da due ricognitori italiani, come si è sempre erroneamente creduto.
    Alle ore 16.00 del 12 dicembre, un velivolo Cant.Z.1007 bis della 212a Squadriglia del 51° Gruppo Ricognizione Strategica dell’Aeronautica della Sardegna, avvistò a 60 miglia ad est di Algeri i quattro cacciatorpediniere britannici che dirigevano verso levante. L’avvistamento fu poi confermati un quarto d’ora dopo da un altro Cant.Z.1000 bis della medesima 212a Squadriglia.
    La segnalazione di quelle navi, che secondo gli ufficiali osservatori di Marina imbarcati sui due ricognitori procedevano verso est alla velocità di 20 nodi, arrivò perfettamente a conoscenza di Supermarina e dell’ammiraglio Antonino Toscano, ma entrambi, ritenendo che il passaggio degli incrociatori della 4a Divisione Navale Da Barbiano (nave ammiraglia) e Di Giussano a Capo Bon si sarebbe svolto prima di quello delle unità nemiche, non si preoccuparono troppo dell’eventualità di dover incontrare quelle siluranti, che secondo i loro calcoli sarebbero passate con almeno un’ora di ritardo. Se avessero saputo che i cacciatorpediniere britannici invece che a 20 nodi marciavano a 30 nodi, Supermarina e l’ammiraglio Toscano, si sarebbero comportati in modo differente aumentando la velocità della 4a Divisione Navale per Tripoli, in modo che le loro navi, che trasportavano 22 tonnellate di benzina avio per l’aviazione, oltre a nafta, ed esplosivi per l’Esercito, non sarebbero state intercettate a Capo Bon dal nemico che sopraggiungevano da occidente.

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  5. Un’inversione di rotta, come quella avvenuta il 9 dicembre con il rientro degli incrociatori a Palermo, da una missione che era stata richiesta da Superaereo e appoggiata dal Comando Supremo, non sarebbe stata tollerata, per l’urgenza di portare la benzina avio a Tripoli, che serviva urgentemente all’Aeronautica del Settore Ovest della 5a Squadra, per far volare gli aerei assegnati alla protezione dei convogli dell’operazione M.41, che dovevano arrivare dall’Italia con rifornimenti e mezzi da combattimento, attesi dall’Esercito impegnato nel contrasto all’offensiva britannica in Cirenaica.
    Ma ad aumentare le possibilità dei britannici di intercettare le navi italiane, contribuirono alcune loro deviazioni di rotta, ma soprattutto in modo determinante il lungo giro dalle navi compiuto intorno alle Isole Egadi, dopo la partenza da Palermo, con dati di navigazione non trasmessi dall’ammiraglio Toscano a Supermarina per mantenere il silenzio radio, che fu il motivo per cui le unità della 4a Divisione Navale arrivarono a Capo Bon con un’ora di ritardo, alle 03.00 invece che alle 02.00 del 13 dicembre fissate nell’ordine di operazione di Supermarina.
    Pertanto l’operazione proseguì senza apportare alcuna variazione precauzionali, e la lacuna che si verificò é soprattutto da addebitare alle segnalazioni errate dei ricognitori sulla reale velocità dei cacciatorpediniere britannici. Tuttavia, se l’ammiraglio Toscano fosse arrivato a Capo Bon alle 02.00, come gli era stato ordinato, non vi sarebbe stata alcuna conseguenza Fu l’aggiramento delle Egadi, forse compiuto in modo molto più largo di quanto ordinato da Supermarina (40 miglia), la principale causa del disastro di Capo Bon.
    L’errore, se vi fu, fu esclusivamente del Comandante della 4a Divisione Navale, che nel suo ordine di operazione effettuò alcune varianti di navigazione e di velocità, che non erano nelle intenzioni di Supermarina, che poi mostrò di non essere stata neppure informata. Infatti, sulle norme di navigazione fissate dall’ammiraglio Toscano, abbiamo la testimonianza del tenente di vascello Giovanni Bacich, ufficiale di rotta e alle comunicazioni in Plancia Comando del Di Giussano. Egli ha sostenuto che il comandante Marabotto, comandante del Di Giussano, alle 17.10 del 12 dicembre ricevette e gli passo l’ordine di operazione dell’ammiraglio Toscano, che conteneva un anticipo della partenza, per cui alle 17.15 fu ordinato il posto di manovra e furono aperti gli ascolti di

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  6. navigazione.
    Uscendo da Palermo fu costituita con le tre unità le linea di fila, nell’ordine Cigno, Da Barbiano, Di Giussano, e si procedette alla velocità di 23 nodi, “con lievi varianti delle rotte indicate nell’ordine di operazione. Zigzagamento fin oltre le isole Egadi, si passa molto al largo di queste. Poi rotta 218° verso Capo Bon. Atterraggio a Capo Bon alle ore 03.05 circa a 6-8 miglia avendo il faro per 175°”. Quindi la 4a Divisione, effettuando lievi varianti alla rotta e con navigazione con zigzagamento passò molto al largo delle Isole Egadi (è da presumere oltre le 40 miglia fissate da Supermarina), però procedendo a 23 nodi invece delle 22 ordinate, per poi aumentare a 24 nodi a 4 miglia a nord di Capo Bon. E’ durante questo tratto di navigazione, Palermo – Capo Bon, che si verificò il ritardo di un ora, che appare incomprensibile. Ricordiamo che le navi di Toscano doveva essere a Capo Bon alle 02.00 del 13 dicembre, ed invece vi arrivavano alle 03.00, e ciò che gli fu fatale.
    Supermarina, a missione ultimata tragicamente, fu indotto a credere che i cacciatorpediniere britannici avessero ricevuto l’ordine di aumentare al massimo la velocità (28-30 nodi) per intercettare gli incrociatori dell’ammiraglio Toscano a Capo Bon alle ore 02.00 del 13 dicembre. E dello stesso avviso sono stati nel dopoguerra vari storici, che hanno attribuito il successo britannico al fatto, esatto, che la rotta e la destinazione delle navi italiane, a Tripoli, era stata trasmessa ai Comandi del Mediterraneo dall’organizzazione britannica Ultra, e che ai cacciatorpediniere era stato dato l’ordine di aumentare la velocità per intercettarli, che invece non era vero.
    Infatti, per non perdere tempo nella navigazione verso Malta che si svolgeva alla velocità di 30 nodi, gli ordini ricevuti dal comandante Stokes erano di non farsi impegnare: “Proceed at high speed practising evasion”; e quale informazioni importanti che ricevette vi fu soltanto quello di fare attenzione a tre incrociatori italiani che potevano trovarsi nella sua zona. Il terzo incrociatore doveva essere il Giovanni delle Bande Nere, fatto venire a Palermo da La Spezia, ma che non poté partire per un sopraggiunto guasto alle caldaie, così come per lo stesso motivo non poté salpare la torpediniera Climene. Pertanto la scorta agli incrociatori fu limitata soltanto alla torpediniera Cigno, anche perché altre due torpediniere, Clio e Centauro, disponibili in Sicilia, erano state destinate il 14 dicembre a scortare, nel passaggio dello Stretto di Messina, le corazzate Littorio Vittorio Veneto in trasferimento da Napoli a Taranto per l’operazione M.41, per la quale tutte le siluranti in grado di prendere il mare erano destinate alla scorta dei convogli e delle unità navali maggiori.

    o
    Dal rapporto del tenente di vascello Bruno Salvini, imbarcato sull’incrociatpore Alberto di Giussano (capitano di vascello Giovanni Marabotto), risulta che Capo Bon fu avvistato dall’incrociatore alle 01.30 del 13 dicembre, e che subito dopo, trovandosi a circa 4 miglia da quel promontorio, la velocità della 4a Divisione fu aumentata da 23 a 24 nodi. Quando poi la torpediniera Cigno (capitano di corvetta Nicola Riccardi), vedendo passare insistentemente un velivolo avvistato per la prima volta alle 02.45, segnalò alle 02.56 con il lampeggiatore Donath al Da Barbiano “Aereo sul vostro cielo” (avvistato poco dopo anche dalle vedette del Da Barbiano), le navi italiane si trovavano ancora, con prora 180°, a 3,5 miglia a nord del faro di Capo Bon. In quel momento, secondo quanto risulta nella relazione del capitano di vascello Giovanni Marabotto, comandante del Di Giussano, le condizioni meteorologiche nella zona erano le seguenti: “Nubi basse che non lasciano trasparire la luce lunare. Visibilità all’orizzonte a tratti buona e a tratti mediocre. Notevole fosforescenza delle onde mosse dall’elica. Vento leggero da Maestrale. Mare quasi calmo”.

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  7. Alle 03.00 la Circe, che guidava la marcia seguita dai due incrociatori, accostò, come previsto, per 157° per costeggiare il massiccio promontorio di Capo Bon. La distanza dalla costa scese a circa 2 miglia, ed il Da Barbiano segnalò per ultra corte alle altre due navi della formazione: “Fate attenzione ai piroscafi nemici”. Si riferiva alla segnalazione ricevuta da Supermarina sul probabile incontro con piroscafi usciti da Malta, la quale, nonostante le difficoltà di interpretazione sorte sulle navi italiane, era stata ritenuta ben compresa dal Comando della Divisione, mentre invece non lo era assolutamente.
    Appena oltrepassato il settore di vigilanza di Capo Bon, entrando nel settore oscurato del faro che fino a quel momento aveva illuminato le navi a tratti, il Da Barbiano prese un po d’acqua sulla dritta, per poi invertire la rotta sulla sinistra. Il Di Giussano, che non aveva ricevuto il segnale di inversione di rotta trasmessa per R.D.S. della nave ammiraglia, ne imitò la manovra per contromarcia al termine della quale, avendo manovrato per 180°, invece che i 160° del Da Barbiano, rimase spostato verso il largo, sulla dritta del De Barbiano, che lo precedeva. Manovrando per 160° il Da Barbiano non ritornò a nord, che era la rotta più logica se voleva ritirarsi, ma puntò in direzione della costa di Capo Bon, dove si trovavano occultati i cacciatorpedinierde britannici. E mentre il Da Barbiano manovrava per rimettersi in rotta sulla scia del Da Barbiano fu udito il grido “ombre indistinte a sinistra”. Poi scoppiò “l’inferno”.
    La torpediniera Cigno, continuando a mantenersi a una distanza di 2.000 metri di prora all’incrociatore Da Barbiano, non si accorse della sua manovra di inversione rotta, anche perché non percepì il segnale di dirigere per 160° trasmesso per r.d.s. della nave ammiraglia; pertanto, il Cigno proseguì nella sua rotta sud fino alle ore 03.25 quando anch’essa, aumentando la velocità, tornò indietro, rimanendo però nettamente arretrata rispetto ai due incrociatori della formazione.


    o
    Da parte britannica, avvicinandosi da ovest a Capo Bon con i suoi quattro cacciatorpediniere in linea di fila nell’ordine Sikh, Legion, Maori, Isaac Sweers, il capitano di fregata Stokes aveva l’obbiettivo di passare, in acque territoriali francesi, a un miglio e mezzo di distanza tra la costa e gli sbarramenti minati italiani S.11, e proseguire fino a Kelibia, per poi puntare ad est su Malta, Alle 03.02 del 13 dicembre, con condizioni atmosferiche che vedevano la luna all’ultimo quarto, coperta dalle nuvole e la notte chiara, Stokes avvistò di prora verso oriente dei lampi di luce, e poi due sagome di navi di medio tonnellaggio che trasmettendo a luce bianca fra di loro erano dirette a sud: era la torpediniera Cigno che segnalava con il lampeggiatore Donath la presenza in cielo di un aereo da ricognizione nemico al Da Barbiano, che rispose con lo stesso sistema di segnalazione.
    Si trattava di un Wellington VIII del 221° Squadron della RAF fornito di radar di scoperta navale ASV II, che a Malta era stato aggregato al 69a Squadron da ricognizione, e che decollato da Luqa aveva per pilota e capo equipaggio il sergente maggiore William Denis Reason. Il velivolo, avvistato dalla Cigno alle 02.45, determinò le cause che portarono all’azione notturna, poiché la torpediniera Cigno, come era suo dovere, ne segnalò la presenza al Da Bardiano con il lampeggiatore, mettendo sull’avviso le navi britanniche. Il comandante Stokes ritenne che potessi trattarsi della forza i tre incrociatori italiani che gli erano stati segnalati come trovarsi “probabili” in quella zona, per poi vederli sparire dietro il promontorio di Capo Bon.

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  8. Sebbene i suoi “ordini fossero quelli di non impegnarsi”, Stokes decise di controllare bene se vi fosse una possibilità di attacco favorevole, che al momento non gli sembra attuabile. “Superato Capo Bon, alla distanza prescritta entro un miglio e mezzo dalla costa”, ebbe “la prima visione chiara del nemico”, riconoscendo le sagome per incrociatori, si porto sotto costa riducendo la velocità a 20 nodi per non mostrare il troppo visibile baffo di prora. Ma poi, preso un contatto radar, e controllando con il binocolo, si accorse che gli incrociatori italiani “avevano invertito la rotta di 16 punti” (160°), e che tornando a nord gli stavano venendo incontro.
    Il motivo di questa manovra, effettuata repentinamente con accostata per contromarcia (180°) a sinistra e aumento immediato della velocità a 30 nodi, che è ampiamente discussa nel corso degli anni senza poter arrivare ad una conclusione definitiva, stava nel fatto che Supermarina aveva trasmesso a Marina Messina, su segnalazione tedesca, che un generico convoglio di navi mercantili britanniche, assolutamente inesistente, era partito da Malta. Marina Messina ritrasmise il messaggio alla 4a Divisione Navale, e sarebbe stato meglio se non lo avesse fatto, perché sulla nave ammiraglia Da Barbiano, ma anche sul Di Giussano e sulla Cigno, vi furono enormi difficoltà di decifrazione, e alla fine, non riuscendovi che parzialmente, si convinsero che il messaggio era stato inviato affinché, avvistato il convoglio sulla loro rotta, poteva essere attaccato. Per cui le navi ebbero dall'ammiraglio Toscano l’ordine di assumere l’assetto di combattimento, pronte ad ogni occasione, mentre invece l’intenzione di Supermarina era del tutto contraria ad un intervento navale, perché l’obiettivo delle navi era quello di trasportavano il carico di benzina avio atteso a Tripoli senza indugio.
    In questa favorevole situazione che si presentò del tutto casualmente ai cacciatorpediniere britannici, il comandante Stokes, per non lasciarsi sfuggire, “se possibile”, un’occasione favorevole non prevista, segnalò alle sue unità “Nemico in vista”. Quindi e mantenendosi, per non essere avvistato, tra gli incrociatori italiani e la costa, in modo da “avere la possibilità di passare non avvistato”. A questo punto Stokes, rompendo l’indugio, dette l’ordine di attacco con “i segnali di avvertimento alle navi a poppa” luminosi, e i quattro cacciatorpediniere della 4a Flottiglia, tra le 03.23 e le 03.26, defilarono lungo gli obiettivi lanciando i siluri e facendo fuoco con le artiglierie, e conseguendo, secondo il comandante della 4a Flottiglia, un “successo altre le mie più grandi aspettative”.

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  9. La manovra di inversione rotta per 180° della 4a Divisione Navale , con la prora rivolta verso Capo Bon, derivava dal fatto che il nemico era stato individuato da Da Barbiano, ma gli ordini di combattimento subito emanati alle unità dalla Divisione, con il personale già allertato, per attaccare le ombre scure che sembravano essere dei segnalati piroscafi ma anche i cacciatorpediniere nemici, non ebbe l’esito sperato.
    Sulla manovra di attacco ordinata dall’ammiraglio Toscano abbiamo la importante testimonianza di uno degli ufficiali che si trovavano in plancia comando del De Barbiano, rilasciata, dopo l’affondamento della sua nave, alla CIAF in Tunisia e mai considerata dalla documentazione ufficiale, se non dal mio saggio Lo scontro di Capo Bon (13 dicembre 1941), in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, settembre 1991, p. 51-145.
    Il tenente di vascello vascello Bruno Salvini, riferì, come appare di seguito, che l’ammiraglio Toscano stava manovrando per il combattimento, e per questo motivo nella contromarcia a sinistra aveva assunto la rotta 337°, che lo portava verso la costa, e non i 360° che puntava a nord, ossia tornando sulla stessa rotta percorsa fino a quel momento con rotta sud, e l’ideale se effettivamente avesse voluto tornare a Palermo:
    Alle ore 03.09 in seguito a segnalazioni verbali ricevute direttamente dal Comandante Rodocanacchi, dalla plancia Ammiraglio [ammiraglio Toscano], veniva invertita la rotta, rilevamento 337. Macchine alla massima forza – Artiglierie seguire indici elettrici – Complessi attenzione. Dalla controplancia le vedette segnalano: avvistamento unità navali sulla sinistra. Dalla feritoia laterale sinistra della torretta corazzata , avvistati su un Beta di circa 60 gradi, due unità navali che giudicai di un tonnellaggio di circa 2000 [tonnellate]. La velocità di dette unità apprezzata dai baffi di prora era di circa 28-30 miglia. Ordine dalla plancia Ammiraglio di aprire il fuoco. Distanza al traverso di detta unità 300 metri. Il comandante in seconda capitano di fregata [Alfredo] Ghiselli, che seguiva la manovra dell’unità nemiche annuncia “Ha lanciato”. Ordine immediato del Comandante Rodocanacchi: “Tutta barra a sinistra”. Il Comandante Ghiselli annuncia per la seconda volta “Ha lanciato”.

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  10. Subito dopo, nello spazio di trenta secondi, il Da Barbiano fu colpito da due siluri lanciati dal cacciatorpediniere Sikh e da tiro di artiglieria e armi leggere e immobilizzato e in fiamme. Fu tentata un’ultima resistenza da parte di una mitragliera da 20 mm, che però dopo aver sparato due caricatori fu ridotta al silenzio dal fuoco nemico.
    Da parte nostra, come abbiamo messo in risulto nel saggio per l’Ufficio Storico della Marina Militare, per cercare di ricostruire quell’avvenimento nel modo il più possibile veritiero, ci siamo in particolare basati sugli ordini impartiti dalla nave ammiraglia Da Barbiano al Di Giussano, del quale si salvarono quasi tutti gli ufficiali, compresi il comandante e il comandante in seconda e facendo un’attenta analisi delle testimonianze dei superstiti che quella notte si trovavano sulla plancia del Da Barbiano.
    I due primi cacciatorpediniere che lanciarono i siluri sul Da Barbiano furono avvistati anche dal Di Giussano, che dopo l’inversione di rotta stava manovrando per rimettersi il linea di fila sulla scia della nave ammiraglia.
    Alle 03.25 le vedette del Di Giussano situate in contro plancia e nella plancia mitragliere segnalarono , “a circa 20° a sinistra in direzione del DA BARBIANO, masse scure identificate prima per piroscafi poi per 3 e poi 4 cacciatorpediniere”, contro i quali il comandante, capitano di vascello Marabotto, ordinò “al primo direttore del tiro di passare in punteria sul bersaglio e all’ufficiale T. di tenersi pronto al lancio sul lato sinistro”.
    Sul Da Barbiano, dopo alcuni momenti di indecisione la plancia ammiraglia ordinò di aprire il fuoco contro i cacciatorpediniere nemici, ormai distanti soltanto 300 metri (circa 900 metri per il comandante Stokes), ma prima che l’unità potesse cominciare a sparare, il comandante in seconda, capitano di fregata Alfredo Ghiselli, che teneva il binocolo puntato sulla silurante nemica più vicina, gridò due volte “Ha lanciato … Ha lanciato”.
    Sebbene il comandante Rodocanacchi avesse ordinato “Tutta barra a sinistra” per evitare i siluri, non vi fu il tempo di contromanovrare convenientemente.
    Dal Di Giussano, che nel frattempo aveva ricevuto il segnale “velocità 30” trasmesso dalla nave ammiraglia, il Da Barbiano fu visto avvolto da un’enorme vampata. L’attacco dei quattro cacciatorpediniere del capitano di fregata Stokes, avvenuto per semplice causa fortuita, era iniziato con effetti devastanti.

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  11. Dopo essersi portato sotto costa per tenere nascoste il più possibile davanti alla montuosa penisola di Capo Bon le unità della sua squadriglia, alle vedette delle navi italiane, il capitano di fregata Stokes, sul Sikh, “fece un lungo segnale d’allarme a luce rossa lampeggiante” al Legion, che lo stava seguendo nella formazione in linea di fila con a poppa gli altri due cacciatorpediniere Maori e Isaac Sweers. E un minuto dopo, alle 03.23, il Sikh e il Legion, sfilando sul fianco sinistro degli incrociatori italiani, lanciarono i siluri da corta distanza, stimata in circa 900 – 1.000 metri. Subito dopo aprirono il fuoco con i pezzi binati da 120 mm sulle due navi dell’ammiraglio Toscano.
    Due dei quattro siluri lanciati dal Sikh colpirono il Da Barbiano, ed uno dei primi due siluri scagliati dal Legion raggiunse il Di Giussano. Quest’ultimo, non essendosi ancora messo sulla scia della nave ammiraglia e trovandosi nell’accostata a sinistra per contromarcia a maggiore distanza dalle unità nemiche, che erano in parte coperte dal Da Barbiano, prima di essere colpito ebbe tuttavia il tempo di sparare con le torri prodiere, tre salve da 152 mm che, dirette probabilmente sul Legion (che stava sparando con i cannoni da 120 mm sul Da Barbiano e con le mitragliere Oerlikon sul Di Giussano), finirono tutte lunghe sulla costa. Il comandante Stokes, ha scritto che la seconda nave (il Di Giussano) “sparò una salva dell’armamento principale finita in riva al mare di Capo Bon, prima che venisse messa a tacere da tre salve ben dirette del SIKH e da un siluro a mezza nave del LEGION per poi scomparire in una nuvola di fumo”.
    Anche il comandante del Legion, capitano di fregata Richard Frederick Jessel, scrisse che fu sparata una sola salva, finita lunga, probabilmente diretta sulla sua nave. Alle 03.25 lanciò i suoi ultimi sei siluri sul Di Giussano, e Jessel ritenne, erroneamente, di averne messo uno a segno sull’incrociatore.
    Avendo notato che i siluri del Sikh avevano colpito l’incrociatore di testa (Da Barbiano), alle 03.26 il cacciatorpediniere Maori del capitano di fregata Rafe Edward Courage, impegnò quella medesima nave, che era in fiamme, con le artiglierie, colpendola visibilmente sul ponte di comando, per poi lanciare due siluri, uno dei quali andò a segno sull’incrociatore.
    Il cacciatorpediniere olandese Isaac Sweers del capitano di fregata Jaques Houtsmuller, che essendo l’ultimo della fila guidata dal Sikh venne a trovarsi in una zona dove non poté lanciare i siluri, osservò però i colpi a segno degli altri cacciatorpediniere e il loro fuoco d’artiglieria sulle unità nemiche. Riuscì a sparare alcuni colpi su una nave in fiamme, che era il Di Giussano, osservandone poi le esplosioni con lampi molto grandi, e poi defilando velocemente verso sud, vide di prora, alla distanza di 2.000 yards, un cacciatorpediniere che si avvicinava, e che il comandante Houtsmuller ritenne fosse il Legion. Ma poi osservando meglio con il binocolo si accorse trattarsi di una torpediniere italiana della classe “Partenope”, che era il Cigno, contro il quale aprì il fuoco d’artiglierie e mitragliere, e lanciò anche un siluro che, non essendo esploso sulla nave presa di mira, Houtsmuller ritenne le fosse passato sotto lo scafo.
    Da parte sua il Cigno, trovandosi arretrato rispetto agli incrociatori, in quella fase confusa della battaglia vide defilare velocemente controbordo i cacciatorpediniere britannici, e contro di essi aprì il fuoco con i suoi tre canmnoni da 100 mm, e lanciò un siluro contro il Legion, senza però riuscire a colpirlo. Lo stesso Cigno, secondo la relazione del comandante del Sikh, era stato individuato durante “un giro del radar” dal cacciatorpediniere, che si trovò vicino alla torpediniera, ritenuta della classe “Spica”, ma ha scritto Stokes “essa passò così rapidamente e talmente vicino e con un rittimo talmente elevato di velocità che l’armamento principale non poté essere messo in punteria”.

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  12. Lo stesso accadde per il Maori del capitano di fregata Courage che nel dirigere con rotta sud, avendo visto e poi superato una torpediniera sul suo lato dritto, apri il fuoco con i cannoni da 120 mm a distanza ravvicinata, “che non ebbe molto successo a causa del raggio molto corto”.
    Occorre dire che la Cigno fu fortunata, poiché i comandanti dei cacciatorpediniere britannici pensarono soltanto ad allontanarsi verso sud il più rapidamente possibile, mentre invece se si fossero trattenuti nella zona dello scontro, occupandosi anche della torpediniera, per essa non si sarebbe stato campo.
    Nel frattempo, dopo aver lanciato i suoi siluri, il cacciatorpediniere Legion del capitano di fregata Jessel aumentando la velocità aveva diretto verso sud-ovest, per poi segnalare alle altre unità “E-boat”, ossia la presenza di un Mas o di un motosilurante verso terra. Quindi aprì il fuoco a dritta con ogni tipo di arma, mitragliere Oerlikon, pom-pom e cannoni da 120 mm, e quella piccola unità, assolutamente inesistente, “fu vista disintegrarsi e affondare”!
    In definitiva i comandanti dei quattro cacciatorpediniere ritennero di aver affondato sicuramente due incrociatori e un cacciatorpediniere, e probabilmente un altro cacciatorpediniere oppure Mas.
    Contro i due incrociatori della 4a Divisione Navale l’attacco delle unità britanniche risultò rapido e micidiale nei suoi effetti. Il Da Barbiano fu colpito da un totale di tre siluri (due del Sikh e uno del Maori), che esplosero sul fianco sinistro dello scafo, rispettivamente a prora all’altezza della torre n. 1, al centro nave, e a poppa all’altezza della sala convegno ufficiali. L’incrociatore fu anche bersagliato dal fuoco d’artiglieria e delle mitragliere, in particolare dal Legion. I proiettili dell’unità britannica ridussero al silenzio una mitragliera da 20 mm, che aveva aperto il fuoco sparando circa due caricatori, mettendone fuoci combattimento tutti i serventi, assieme a quelli degli altri complessi di armi automatiche e le vedette schierate sullo stesso lato sinistro raggiunto dai siluri.
    L’unità con le macchine completamente immobilizzate, assunse subito uno sbandamento pauroso, in seguito al quale alle 03.35, capovolgendosi, affondò rapidamente in una fornace di nafta e benzina in fiamme, sgorganti a fiotti dai depositi squarciati e dai fusti situati a poppa, a un miglio e mezzo ad est del Faro di Capo Bon. Erano passati appena quattro o cinque minuti dallo scoppio del primo siluro che aveva colpito l’incrociatore. In questa situazione infernale elevato risultò il numero di perdite di vite umane, molte delle quali mentre si dibattevano in in mare cosparso di benzina e nafta in fiamme, che continuò a bruciare per alcune ore.
    Quanto al Di Giussano, subito dopo l’inversione di rotta le stazioni di vedetta segnalarono un avvistamento a 20 gradi a sinistra in direzione dell’incrociatore; masse scure identificate prima per piroscafi e poi per tre e quattro cacciatorpediniere, con rotta all’incirca di controbordo. Il comandante Marabotto “ordinò al primo Direttore del Tiro di passare in punteria sul bersaglio e all’ufficiale T di tenersi promnto al lancio sul lato sinistro. … il De Barbiano segnalò velocità 30” che fu sibuto trasmessa alle macchine, ma subito dopo dal Di Giussano fu avvistata di prora a sinistra un’enorme vampata avvolgere il Da Barbiano. Il capitano di vascello Marabotto ordinò “al Primo Direttore del Tiro di iniziare il tiro”, che cominciò prima che il nemico sparasse sul Di Giussano. Alla seconda salva da 152 mm sembro che una nave fosse stata colpita, e la fiammata notevole intravista sull’obiettivo fu “salutata con gioia dal personale di plancia”. E possibile che invece si trattasse del bagliore di una salva da 120 mm in partenza dal cacciatorpediniere preso di mira.

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  13. Subito dopo aver sparato la terza salva con i pezzi da 152 mm prodieri (i comandanti del Sikh e del Legion ritennero che l’incrociatore ne avesse sparata soltanto una), il Di Giussano manovrò per evitare uno di due siluri lanciati dal Legion, che arrivavano da poppavia al traverso. Dal rapporto del capitano di corvetta, Morisani, comandante in seconda del Di Giussano, risulta che egli vide un’ombra profilarsi sulla sinistra dell’incrociatore, che stava accostando alla massima forza, contro la quale fu aperto il fuoco con le mitragliere da 20 mm. Subito dopo, alle 03.27, si verificò “una violenta esplosione al centro sinistra”, in corrispondenza delle caldaie 3 e 4 e presso il deposito munizioni centrale. Raggiunto anche da due granate da 120 mm al centro batteria sinistra e presso la segreteria comando, nonché da raffiche di mitragliera in controplancia, sotto la plancia e sulla tuga centrale, il Di Giussano rimase privo di energia elettrica e, cominciando a sbandare sul fianco sinistro, diminuì l’andatura per poi fermarsi con la sala macchine in fiamme, rimanendo immobilizzato.
    Rimasto senza energia elettrica per poter usare ancora le artiglierie e per diminuire lo sbandamento, e non potendo usare i turafalle, in quanto lo squarcio del siluro sullo scafo interessava quasi tutto il centro della nave, dal compartimento macchine di sinistra fino all’altezza dell’alloggio ammiraglio, l’incrociatore appariva ormai condannato. In effetti quell’unico colpo di siluro, in una nave che aveva una protezione di corazza modestissima, risultò mortale, e al comandante Marabotto, che aveva ricevuto dal Direttore di Macchina la notizia che la situazione era “disperata”, di fronte all’aumento dello sbandamento assunto dal Di Giussano e il pericolo che l’incendio in sala macchine, aumentando di proporzione, si propagasse alla benzina in fusti stivata a poppa, non restò che dare l’ordine di abbandonare la nave.
    Alle 04.22 del 13 dicembre, con le fiamme che ormai si stavano propagando in coperta, l’incrociatore, con lo scafo che si spezzo in due tronconi, affondò di poppa a miglia 2,5 a levante di Capo Bon. La torpediniera Cigno, che dalla sua iniziale posizione avanzata a 2.000 metri dalla prora del Da Barbiano stava risalendo verso nord a grande velocità, per raggiungere e sopravanzare gli incrociatori, allo scopo di riprendere il suo posto in testa alla formazione, vide chiaramente i bagliori del duello d’artiglieria e gli scoppi dei siluri sugli incrociatori italiani. Successivamente individuò una unità velocissima avanzare di controbordo, che in primo tempo ritenne uno degli incrociatori nazionali. Diminuita la distanza e riconosciuta per il profilo che si andava delinenado la sagoma di un cacciatorpediniere a due fumaioli, di cui distinse la sigla H 64, il capitano di corvetta Riccardi accostò sull’unità nemica, che era indubbiamente l’olandese Isaac Sweers, contro la quale lanciò un siluro e scambiò colpi d’artiglieria e di mitragliere.
    Occorre dire che, nonostante la torpediniera Cigno e i cacciatorpediniere britannici nella mischia risultata molto confusa abbiano ritenuto di aver individuato nella zona del scontro unità sottili, motosiluranti o Mas, la realtà era ben diversa, poiché dei sei Mas italiani i più vicini si trovavano molto più a sud-est, dislocati sulla congiungente tra le isole di Pantelleria e Linosa, mentre cinque motosilurani tedesche, mandate in agguato presso Malta, a iniziare dalle 02.00, come da ordine ricevuto, stavano rientrando alla base.
    In effetti, l’azione si svolse in modo talmente veloce che trascorsero appena sette minuti dal momento in cui la 4a Squadriglia Cacciatorpediniere britannica aveva doppiato Capo Bon e il momento in cui, concluso l’attacco, le sue unità avevano assunto la rotta di disimpegno verso sud-

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  14. Dopo il rapido combattimento, che determinò l’immediato arresto dei due incrociatori italiani in un tratto di superficie del mare cosparsa di benzina in fiamme, le unità britanniche diressero ad alta velocità per Malta, dove arrivarono, calorosamente accolti, poco prima di mezzogiorno del 13 dicembre, mentre il Cigno raggiunta la zona del disastro, si apprestò a recuperare i naufraghi.
    Nel corso del breve combattimento la torpediniera Cigno, come risulta dalla sua relazione, aveva sparato “24 colpi da 100/47 e 240 colpi da 20/65”.
    In conclusione, la fortuna per i britannici non si verificò, come è stato sempre ritenuto, a seguito della trasmissione di avvistamento del ricognitore Wellington VIII del 69° Squadron della RAF, effettuata alle 03.00 del 13 dicembre, arrivata a Malta alle 03.15 e ritrasmessa da Malta dopo venti minuti . La segnalazione dell’aereo non ebbe alcun peso sull’azione dei cacciatorpediniere del comandante Stokes, poiché a quell’ora essi si trovavano già a contatto visivo con le unità dell’ammiraglio Toscano, e Malta ritrasmise il messaggio ai cacciatorpediniere, intercettato dalle stazioni italiane, quando ormai era praticamente tutto finito.
    Ma il suo determinante contributo il velivolo della RAF lo dette con la sua sola presenza sul cielo di Capo Bon, perché indusse il comandante della torpediniera Cigno (senza averne alcuna colpa) a segnalare al Da Barbiano la presenza dell’aereo con il lampeggiatore Donath. E lo scambio di messaggi a luce bianca tra le due navi italiane, mise il comandante del Sikh sulla giusta strada per attaccare.
    La velocità di 30 nodi, mantenuta dai cacciatorpediniere della 4a Flottiglia da presso Algeri (long. 03°30’E) a Capo Bon, per uscire dal raggio di azione degli aerei italiani della Sardegna, fu la carta vincente di quelle misure, assieme al contributo di errori commessi da parte italiana. Nel rapporto del capitano di vascello Stokes, non si accenna all’aver ricevuto la trasmissione di avvistamento del Wellington, ne la ritrasmissione da Malta vwrificatasi molto più tardi.
    L’inversione repentina di rotta del Da Barbiane, per attaccare le navi di un presunto convoglio nemico segnalato da Supermaruina in uscita da Malta, mentre invece si trattava dei cacciatorpediniere della 4a Flottiglia che si tenevano sotto la costa di Capo Bon in attesa di sapere come comportarsi, si verificò proprio nel punto peggiore del Canale di Capo Bon, di 3 miglia tra la costa e gli sbarramenti minati; e il risultato dello scontro fu agevolato per le unità britanniche proprio dal fatto che, con tale manovra di controbordo a sinistra, le navi italiane si avvicinarono al nemico a velocità più che doppia di quella che sarebbe stata necessaria ai cacciatorpediniere del comandante Stokes per raggiungere gli incrociatori. Inoltre, se l’ammiraglio Toscano avesse proseguito la rotta verso sud, il possibile incontro con i cacciatorpediniere britannici della 4a Flottiglia si sarebbe potuto verificare lontano da Capo Bon, a sud di Kelibia, in un punto di mare più largo che avrebbe consentito, anche per la lontananza della costa, una maggiore visibilità per le vedette italiane e altresi permesso alla 4a Divisione Navale una più ampia possibilità di manovra.

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  15. Non deve poi essere dimenticato che la velocità delle navi britanniche, da sfruttare in un eventuale inseguimento, era al momento inferiore a quella delle unità italiane, poiché per ridurre la visibilità dell’onda di prova ai suoi cacciatorpediniere, e portandosi sotto costa alla scopo di non farsi avvistare dalla vedette nemiche, il comnandante Stokes aveva ordinato alle sue unità di ridurla a 20 nodi, mentre le navi italiane marciavano a 24 nodi. Motivo per il cui, se improvvisamente continuando con rotta sud, gli incrociatori italiani avessero aumentato la loro maggiore velocità è da presumere che i cacciatorpediniere britannici sarebbero rimasti indietro, anche in considerazione dell’ordine di non impegnarsi. Servivano ad Alessandria, per poter scortare le corazzate e gli incrociatori della Mediterraneaccorse, a corta distanza, che gli incrociatori italiani avevano invertito la rotta e dirigevano verso i suoi cacciatorpediniere, che a questo punto attaccarono.

    FRANCESCO MATTESINI - Roma 18 Dicembre 2019



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  16. LA PARTE CHE SEGUE DEVE ESSERE INSERITA IN TESTA ALL-ARTICOLO


    L'AGGIORNAMENTO SULLA LA BATTAGLIA DI CAPO BON DEL 13 DICEMBRE 1941
    1°) IL FALLIMENTO DELLA PRIMA MISSIONE DELLA IV DIVISIONE NAVALE DELL'AMMIRAGLIO ANTONINO TOSCANO PER PORTARE RIFORNIMENTI DI BENZINA AVIO A TRIPOLI
    FRANCESCO MATTESINI
    Dai miei saggi: Lo scontro di Capo Bon, Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Dicembre 1991, p. 135-136; Il Giallo di Capo Bon, nel sito di Academia Edu, e in forma ridotta nel forum AIDMEN, Dicembre 2019.

    L’8 dicembre 1941, il generale Ugo Cavallero, Capo di Stato Maggiore Generale delle Forze Armate italiane (Comando Supremo) discusse con l’ammiraglio Arturo Riccardi, Capo di Stato Maggiore della Marina, e con il generale Rino Corso Fougier, nuovo Sottosegretario di Stato e Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, i problemi inerenti all’organizzazione dei convogli destinati a superare il blocco nemico per portare i rifornimenti in Libia, nel momento in cui le forze italiane e tedesche erano impegnate a fronteggiare l’offensiva dell’8a Armata britannica. Il blocco era determinato, non soltanto dagli attacchi degli aerei e dei sommergibili britannici, ma soprattutto dalla presenza a Malta di una formazione navale, denominata Forza K, che disponeva di quattro incrociatori e quattro cacciatorpediniere, e che in soli venti giorni aveva affondato tredici navi mercantili, (di cui ben sette del convoglio “Duisburg”) e due cacciatorpediniere di scorta. E questo sebbene i convogli fossero stati fortemente scortati dalle unità della Regia Marina, con l’appoggio dell’Aeronautica.
    Si trattava ora di avviare in Libia tre convogli, con un totale di nove piroscafi, quattro dei quali diretti a Bengasi e gli altri cinque destinati a raggiungere Tripoli. Essi sarebbero stati scortati da quattro navi da battaglia, da tre divisioni di incrociatori e da ventisei cacciatorpediniere, mentre l’aviazione italiana avrebbe contribuito ai compiti di scorta e di appoggio con circa cinquecentottanta aerei e quella germanica, in Sicilia e in Grecia, con cinque gruppi di impiego. Fu inoltre predisposto un ampio sbarramento di sommergibili italiani e tedeschi, destinati a vigilare sulle provenienze da Alessandria e da La Valletta.
    Ma prima di mettere in movimento questa grande operazione, denominata “M.41”, occorreva portare urgentemente un carico di benzina a Tripoli, per permettere agli aerei italiani operanti in quella zona di poter assicurare la protezione ai convogli, poiché le loro scorte di carburante erano scese ad appena 25 tonnellate. Supermarina, l’organo operativo dello Stato Maggiore della Marina, decise di impiegare allo scopo gli incrociatori della IV Divisione Navale Da Barbiano e Di Giussano, al comando dell’ammiraglio Antonino Toscano. Le due unità, imbarcato parte del carico di carburante a Brindisi e il restante a Palermo, salparono per Tripoli la sera del 9 dicembre, per poi dirigere verso occidente per aggirare da nord le isole Egadi, dove nella notte furono avvistati da un ricognitore britannico Wellington VIII (AM9W) del 221° Squadron della RAF, che disponeva del radar di scoperta navale ASV II.

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  17. Considerato ormai fallita la sorpresa, che era la premessa principale per la riuscita della sua missione, l’ammiraglio Toscano, volendo evitare di essere attaccato con luce lunare dagli aerei di Malta ormai allertati, se si fosse spinto ancora più a sud, invertì la rotta dirigendo verso l’Isola di Marettimo, per poi rientrare a Palermo su ordine di Supermarina, che successivamente mostrò di non condividere l’iniziativa rinunciataria presa dal Comandante della IV Divisione Navale.

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  18. Nell'inserire l'articolo, non é uscita la prima parte, quella della prima missione della IV Divisione, che ho poi riportato a fondo articolo. Siete in grado di sistemare il tutto, in modo che per il lettore sia comprensibile.

    Francesco Mattesini

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    1. Purtroppo no, i commenti appaiono in ordine cronologico. Comunque credo che chi li leggerà riuscirà a capire quale sia l'ordine corretto.

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  19. Grazie mille per la precisazione.
    Francesco Mattesini

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  20. LE PRINCIPALI FONTI ATTENDIBILI BRITANNICHE

    National Archives, “Action of Cape Bon against Italian Naval Forces on the night 12TE – 13TE December 1941”, Relazione del capitano di fregata Stokes, ADM 1/12325.

    Idem, relazione del cacciatorpediniere Isaac Sweers..
    Ibidem, relazione del cacciatorpediniere Sikh.
    Ibidem, relazione del cacciatorpediniere Maori.
    Ibidem, relazione del cacciatorpediniere Legion.

    AUSMM, Scambio notizie con Ammiragliato britannico, lettera HSL/5 del 31 gennaio 1959, cartella n. 2.

    Historical Section Admiralty, volume Mediterranean 1941.

    I.S.O Playfair e altri, Mediterranean and Middle East, Volume II, HMSO, London.

    Tony Spooner, Supreme Gallantry. Malta’s Role in the Allied Victory 1939 – 1945, London, John Murray, 1996.

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  21. LE PRINCIPALI FONTI ATTENDIBILI ITALIANE

    AUSMM, Relazione d’inchiesta sulla perdita degli incrociatori DA BARBIANO e DI GIUSSANO, Commissione d’Inchiesta Speciale, p. 29-30.

    AUSMM, Relazione sul combattimento della 4a Divisione Navale nella notte sul 13 dicembre s.a, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella 45.

    AUSMM, Affondamento degli incrociatori DA BARBIANO e DI GIUSSANO, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella 45.

    AUSMM, “Rapporto di missione eseguita dal CIGNO da Palermo a Capo Bon, Prot. 215/SRP del 16 dicembre 1941”, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella n. 45.

    AUSMM, “Le operazioni di salvataggio superstiti Incrociate Da Barbiano e Di Giussano”, lettera n. 1708/SRP del 17 dicembre 1941, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella n. 45.

    AUSMM, Minuta di Supermarina sull’”Affondamento degli incrociatori Da Barbiano e Di Giussano”, Scontri navali e operazioni di guerra, cartella n. 45.

    AUSMM, “Relazione del contrammiraglio Roberto Soldati, Capo della Sottodelegazione Marina di Biserta della Commissione Italiana d’Armistizio con la Francia (CIAF)”, Scontri navali ed operazioni di guerra, cartella n. 45.

    AUSMM, Cartella Promemoria Ammiraglio Sansonetti 1941.

    AUSMM, Intercettazioni Estere, 13 dicembre 1941.

    AUSMM, Supermarina – Comunicazioni telefoniche, Comunicazione n. 14395, registro n. 22.

    AUSMM, Supermarina Telegrammi Copia Unica, Registro n. 26.

    AUSMM, Supermarina – Cifra in Arrivo.

    AUSMM, Supermarina – Cifra in partenza.

    AUSMM, Supermarina Avvisi.

    Francesco Mattesini, Lo scontro di Capo Bon, Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Settembre 1991.

    Aldo Cocchia, La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale, USMM, 1962.

    Alfino Toscano, La IV Divisione ed il suo Ammiraglio. La trappola sanguinosa di Capo Bon (13-12-1941; Edigraf, Catania 1985.

    Elio Andò e Franco Gay, Incrociatori leggeri classe “Di Giussano”, Edizioni dell’Ateneo & Bizzarri, 1979.

    Alfino Toscano, Documenti raccolti e missive della IV Divisione Navale, Catania 1989.

    Angelo Iachino, Le due Sirti.

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  22. Buongiorno, sono Barbara Cavallini, nipote diretta del Tenente di Vascello, Capitano di Corvetta e Direttore del Tiro ALDO CAVALLINI, imbarcato sul "Da Barbiano" la notte del 13 dicembre 1941 e citato in questo racconto. Ci tenevo a segnalare che mio nonno durante quella terribile notte aveva trovato posto su una zattera e l'ha ceduto ad un marinaio, convinto di poter seguire il mezzo a nuoto, ma così non è stato. Il suo corpo è stato rinvenuto circa 10 giorni dopo al largo di Lampedusa, riconosciuto tramite la piastrina che aveva nel portafoglio e tumulato in mare. Per questo gesto eroico mio nonno è stato insignito post mortem della Croce di Guerra al valore che io conservo a casa insieme al portafoglio. Tutto questo è stato raccontato alla mia bisnonna che ha tramandato la storia alla nuora e poi ai nipoti. Ci terrei se questo fatto fosse citato nel sito, grazie.

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    1. Buongiorno, la ringrazio, ho provveduto ad aggiungerlo. Avrebbe magari una fotografia di suo nonno? Con il suo permesso avrei piacere ad inserirla in questa pagina.

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  23. Buonasera. Sono il nipote del marinaio cannoniere Enrico Martarelli . Se lo crede opportuno, posso inviarle una foto di mio zio ,disperso in quella tragica notte sul da barbiano,

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    1. Buonasera,
      certamente, sarei felice di inserirla in questa pagina con il suo permesso. Può inviarmela a lorcol94@gmail.com

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