Disegno della nave nel
manuale di riconoscimento ONI 208 della Marina statunitense (da www.lemairesoft.sytes.net)
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Piroscafo da carico
da 5387 tsl e 3272 tsn, lungo 122,8 metri e largo 16, pescaggio 8,38 m,
velocità 10 nodi.
Breve e parziale cronologia.
1927
Impostato nei
cantieri Robert Duncan & Co. Ltd. (East Yard) di Port Glasgow (numero di
cantiere 386).
21 agosto 1928
Varato nei cantieri Robert
Duncan & Co. Ltd. di Port Glasgow come Tomislav.
1928
Completato per la
compagnia Jugoslavenska Amerikanska Plovidba di Ragusa/Dubrovnik.
1929-1941
Presta servizio per
il Jugoslavenski Lloyd.
18 settembre 1935
Il Tomislav incappa in una violentissima
tempesta al largo dell’Europa nordoccidentale, perdendo un marinaio.
10-26 settembre 1940
Il Tomislav lascia Bombay il 10 settembre
diretto a Suez facendo parte del convoglio britannico «BN 5» (composto da 23
mercantili scortati da due sloops ed un incrociatore ausiliario). In Mar Rosso,
il 19 settembre, il convoglio viene attaccato da aerei della Regia Aeronautica
di base in Africa Orientale Italiana, da dove partono anche quattro
cacciatorpediniere (Leone, Pantera, Daniele Manin e Cesare
Battisti) e due sommergibili (Archimede
e Guglielmotti), che tuttavia non
riescono a trovare il convoglio, che arriva a destinazione senza perdite (solo
la motonave britannica Bhima è stata
danneggiata dagli attacchi aerei) il 26 settembre.
20-28 ottobre 1940
Riparte il 20 ottobre
da Suez con il convoglio «BN 7» (34 mercantili), che si disperde al largo di
Aden, al di fuori della zona pericolosa, il 28 ottobre.
22 aprile 1941
Il Tomislav, proveniente da Melbourne via
Manila a noleggio della Commissione Australiana per il Grano (Australian Wheat
Board), giunge sul fiume Whangpoo, a Shanghai. Nei giorni in cui è stato in
viaggio, la Jugoslavia è stata rapidamente invasa ed occupata dalle forze
dell’Asse, a partire dal 6 aprile, sino alla resa annunciata il 17 (in
Jugoslavia, tutte le navi mercantili sono state catturate e sono diventate
italiane; il Tomislav è uno dei pochi
mercantili di grande tonnellaggio della flotta mercantile jugoslava, composta
in massima parte da piroscafetti e navicelle costiere). All’arrivo del Tomislav a Shanghai, un reparto di fanti
di Marina italiani sale a bordo del piroscafo e ne decreta il sequestro,
affermando che la nave è stata acquistata dal Lloyd Triestino. Un portavoce
della Marina giapponese, tuttavia, sostiene che il trasferimento (giustificato
da parte italiana con la necessità d’impedire che la nave cada in mano
britannica, ma avversato dalle autorità nipponiche ancora intenzionate, almeno
ufficialmente, a mantenere la guerra lontana dall’Oriente) non è valido secondo
il codice marittimo cinese, a meno che non sia registrato presso il governo
cinese.
23 aprile 1941
Guardie doganali e
polizia fluviale di Shanghai tentano di salire a bordo del Tomislav per indagare sul suo sequestro, ma vengono respinti, sotto
la minaccia delle mitragliatrici, dai fanti di Marina italiani. Il comandante
del porto (cinese ma dipendente dalle autorità giapponesi) sporge una protesta
ufficiale presso il console generale italiano.
28 aprile 1941
Mentre il sequestro
del Tomislav rischia di diventare un
incidente tra Italia e Giappone, otto guardie doganali cinesi, a seguito delle
discussioni intercorse tra le due nazioni, salgono a bordo del piroscafo per
vigilare su di esso insieme ai militari italiani (a bordo vi sono 18 fanti di
Marina italiani), sino alla conclusione della controversia.
Alla fine le autorità
italiane dovranno rilasciare il Tomislav,
che tuttavia rimarrà a Shanghai sino ad ottobre, ormeggiato sul Whangpoo: la
disputa continua.
31 ottobre 1941
A Shanghai, la sera
del 31 una compagnia di fanti di Marina italiani sale nuovamente a bordo del Tomislav e lo pone sotto sequestro,
costringendone il comandante e l’equipaggio, armi alla mano, a scendere a
terra, abbandonando la nave ed anche i propri effetti personali. Al comandante
del piroscafo, capitano Rovolini, viene comunque offerta ospitalità sul
transatlantico Conte Verde, internato
a Shanghai, ma Rovolini rifiuta. Vi sono nuovi attriti tra le autorità italiane
e quelle giapponesi, che tuttavia questa volta non intervengono.
Tutte le tracce della
proprietà jugoslava vengono rimosse, ed il fumaiolo viene riverniciato con i
colori del Lloyd Triestino. Ribattezzato Venezia
Giulia, il piroscafo entra in servizio sotto bandiera italiana (senza però
essere requisito dalla Regia Marina od iscritto nel ruolo del naviglio
ausiliario dello Stato), con un equipaggio composto da marittimi istriani e
giuliani, al comando del capitano Severi.
19 novembre 1941
Lascia Shanghai diretto
in Giappone.
1° dicembre 1941
Il Venezia Giulia viene noleggiato dalla
Teikoku Senpaku Kaisha, una compagnia totalmente controllata dal governo
giapponese, e viene ribattezzato Teian
Maru (le fonti italiane sembrano non prendere atto di questo cambio di
nome, continuando a chiamare la nave Venezia
Giulia) ed impiegato come trasporto alle dipendenze delle autorità civili,
mantenendo l’equipaggio italiano. La nave riceve il nominativo radio JDGR.
L’affondamento
Per conto delle
autorità giapponesi, il Venezia Giulia/Teian Maru era impiegato per trasportare
carbone tra le isole dell’arcipelago giapponese. Il 5 gennaio 1942 la nave
salpò da Muroran (Hokkaido) diretta a Yokohama, carica di carbone. La
navigazione procedette tranquilla: non era passato neanche un mese da Pearl
Harbor, e gli Alleati non si erano per nulla ripresi dai colpi subiti. Le forze
giapponesi continuavano la loro avanzata nell’Oceano Pacifico e nell’Oceano
Indiano, mentre le truppe statunitensi, olandesi e del Commonwealth non potevano
far altro che arretrare subendo gravi perdite, e le loro forze navali erano
decimate dagli attacchi nipponici. L’Oceano Pacifico appariva saldamente sotto
il controllo delle forze giapponesi.
Alle 00.50 del 9
gennaio 1942 le vedette del sommergibile statunitense Pollack, al comando del capitano di corvetta Stanley P. Moseley, avvistarono
ad ovest-sud-ovest una nave che procedeva con le luci di via accese, sebbene
offuscate. In quelle stesse acque, due giorni prima, il Pollack aveva affondato la carboniera giapponese Unkai Maru n. 1, ottenendo così il primo
successo dei sommergibili statunitensi nella guerra del Pacifico.
Il battello manovrò
per avvicinarsi al piroscafo, restando in superficie ed approfittando della
notte, ed all’1.30 lanciò due siluri con i tubi di prua, ma entrambe le armi
mancarono il bersaglio.
Alle 4.40 circa il Pollack lanciò altri due siluri, questa
volta dai tubi di poppa: uno (o forse tutti e due) colpì il bersaglio, che era
proprio il Teian Maru, o Venezia Giulia, che si apprestava ad
entrare a Yokohama. Il siluro (od i siluri) esplose in sala macchine, uccidendo
otto uomini e ferendone molti altri, tra cui anche il comandante Severi.
Mentre il piroscafo
iniziava ad affondare, l’equipaggio si mise in salvo sull’unica scialuppa che
fosse rimasta intatta, ma il primo ufficiale Zampagni, prima di allontanarsi,
volle tornare a bordo per cercare di recuperare la cassa di bordo. Tale
decisione gli fu fatale: mentre l’ufficiale era a bordo, il Venezia Giulia si spezzò in due ed
affondò di poppa nel punto 35°00’ N e 140°36’ E, una quarantina di miglia a
sud-sud-ovest di Inubozaki (Giappone, ad est di Tokyo ed al largo di Tateyama,
Shimoda e Nojima Zaki), portando con sé anche Zampagni.
La Teian Maru fu una delle primissime navi
di bandiera giapponese ad essere affondate da sommergibili statunitensi durante
la guerra del Pacifico, la prima in un’azione notturna; detenne anche, insieme
al piroscafo Ada (Ataka Maru sotto bandiera nipponica), il
triste primato di unica nave italiana affondata dagli Alleati nel conflitto del
Pacifico, mentre ancora l’Italia faceva parte dell’Asse.
Morirono nell’affondamento del Venezia Giulia:
Fausto De Conradi,
ufficiale di coperta, da Trieste
Arturo Duimovich, da
Lussinpiccolo
Romeo Ranzato, da
Trieste
Pietro Sepcich, da
Parenzo
Enrico Severi, da
Trieste
Matteo Sovich, da
Cherso
Luigi Usilla, da
Rovigno
… Zampagni, primo
ufficiale
Non
è noto il nome della nona vittima; è possibile che si trattasse di un militare
o civile giapponese.
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