L’Anfora (Coll. Utente Commis, da www.naviearmatori.net)
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Piroscafo da carico
da 5452 tsl, di proprietà della Società Anonima di Navigazione Lloyd Triestino
(avente sede a Trieste), matricola 110 al Compartimento Marittimo di Trieste.
Breve e parziale cronologia.
1922
Costruito nel
Cantiere San Rocco di Trieste per la Navigazione Libera Triestina.
1923
Temporaneamente
noleggiato, in un periodo di difficoltà economica della NLT, alla Marittima
Italiana.
Dicembre 1936
Trasferito al Lloyd
Triestino, che ha assorbito la Navigazione Libera Triestina e tutta la sua
flotta.
La nave a Capetown nella prima
metà degli anni ’30 (g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net)
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L’Operazione Longshanks e l’ultima azione del “Calcutta Light Horse”
Anche l’Anfora, come gran parte della flotta del
Lloyd Triestino, si trovava in navigazione al di fuori del Mediterraneo, e
precisamente al largo delle coste indiane, quando l’Italia entrò in guerra il
10 giugno 1940. Per evitare la cattura da parte delle forze aeronavali
britanniche, che avevano il controllo degli oceani, lo stesso 10 giugno la nave
(al comando del capitano Leopoldo Lindemann e con 46 uomini di equipaggio
nonché un carico di merci varie che comprendeva anche vino Chianti) dovette
rifugiarsi nella rada di Mormugao, vicino a Goa, nelle Indie Portoghesi,
colonie di una nazione neutrale.
A Mormugao erano già
ormeggiate, da alcune mesi, tre navi mercantili tedesche, vittime dello stesso
destino dell’Anfora nel settembre
1939: l’Ehrenfels, la Drachenfels e la Brauenfels, tutte della compagnia tedesca Hansa.
Per i tre anni
successivi, le quattro navi rimasero ormeggiate inattive nel porto di Mormugao,
come tutti i mercantili di nazioni belligeranti internati in porti neutrali. Le
quattro unità, visibili con le loro bandiere tedesche ed italiane dai piani
superiori del Grande Hotel Palace di Mormugao, divennero anzi una sorta di
attrazione turistica per i portoghesi ed anche per i cittadini britannici
residenti in India che, durante la guerra, trascorsero le loro vacanze a Goa:
avevano così l’opportunità di vedere delle navi nemiche, quietamente ormeggiate
nel porto neutrale. I marinai italiani e tedeschi passeggiavano per le vie
della città, facendo acquisti (più che altro provviste) nei negozi locali con i
pochi soldi disponibili ed attendendo, nella monotonia dell’internamento, che la
guerra passasse. Alcuni, talvolta, giocavano a calcio con la gente del luogo (o
talvolta, addirittura con personale consolare britannico, virtuale nemico);
altri avevano trovato piccole occupazioni a terra, altri andavano qualche volta
a nuotare sulla vicina spiaggia di Dona Paula.
Sull’Anfora l’equipaggio aveva allestito un
piccolo orto ed un improvvisato porcile, in modo da essere autosufficiente per
le necessità essenziali, ma doveva comunque comprare molti viveri a credito,
con la promessa di pagare in futuro. La tesoreria portoghese garantiva in parte
questi pagamenti, e dall’Italia venne inviato una sovvenzione per i mezzi di
sussistenza dell’equipaggio (da parte britannica, questa notizia venne
erroneamente interpretata come un possibile segnale che si preparasse un
tentativo di fuga); diversi uomini avevano trovato lavori “part time” a
Marmagoa, con i quali arrotondavano il poco denaro disponibile. La vita,
comunque, restava grama, una sorta di limbo in cui gli equipaggi dovevano
tirare a campare per anni lontano dalla madrepatria e dalle famiglie, tagliati
fuori dal resto del mondo, nell’inattività e con pochi soldi per andare avanti.
La guerra continuava.
Quando il Giappone
entrò in guerra contro gli Stati Uniti, il 7 dicembre 1941, il comandante
Lindemann, fascista convinto, fece issare la bandiera nipponica in segno di
sfida, e la mantenne sino a quando le autorità portoghesi non imposero di
ammainarla.
Durante gli anni dal
1940 al 1943, non furono pochi i messaggi che intercorsero tra le autorità del
Portogallo e quelle di nazioni belligeranti e non, riguardo quei quattro
bastimenti fermi all’ancora: il Regno Unito avvisò (13 marzo 1942) le autorità
portoghesi che vi era il rischio che quei mercantili fuggissero da Goa – come
già avevano fatto navi italiane e tedesche internate in altri porti neutrali – e
tornassero a navigare per le nazioni belligeranti, magari come rifornitrici (la
risposta portoghese fu che non vi erano prove a supporto di tali affermazioni);
alcune nazioni neutrali, specie la Turchia, s’interessarono senza successo
all’acquisto di quelle navi, mentre la Gran Bretagna propose che fosse lo
stesso Portogallo a trasferirle sotto la propria bandiera, ma la nazione
iberica rifiutò.
Sin dall’inizio della
guerra, come condizione per permettere alle quattro navi di restare a Murmugao
e così di fruire della protezione offerta dal porto neutrale, le autorità
portoghesi avevano obbligato le quattro navi a rimuovere le proprie
apparecchiature radio, in base alle norme sulla neutralità, ed avevano
provveduto a rimuovere componenti essenziali degli apparati radio di ogni nave.
Ma l’ordine in questione era stato trasgredito: una nave aveva un’altra
apparecchiatura radio nascosta.
Nel 1943 la Special
Operation Executive (SOE) Force 136 dei servizi segreti britannici, dal suo
quartier generale di Meerut (India settentrionale), individuò delle
trasmissioni radio codificate che venivano inviate nottetempo – su frequenze
differenti ed ad orari diversi – dal porto di Mormugao, e precisamente da una
delle navi tedesche lì internate: l’Ehrenfels.
Queste trasmissioni consistevano in informazioni dettagliate sui movimenti di
diverse navi alleate, quali la loro posizione in determinati momenti e la loro
destinazione, fornite da una rete di informatori nazionalisti indiani – che,
volendo abbattere il dominio britannico in India, desideravano la sconfitta del
Regno Unito nella guerra – attivi nel
porto di Bombay, organizzata dalla spia tedesca Robert Koch, detta “Trompeta”,
residente a Goa. Grazie alle informazioni trasmesse dall’Ehrenfels, gli U-Boote tedeschi attivi dell’Oceano Indiano – i
destinatari di queste trasmissioni – poterono intercettare ed affondare, in
sole sei settimane della primavera 1943, 46 navi alleate per complessive
250.000 tsl: nei primi undici giorni del marzo 1943 l’U 160, l’U 182 e l’U 506 affondarono dodici navi, per un
totale di 80.000 tsl.
Le perdite causate
dalle informazioni trasmesse da Mormugao stavano diventando notevoli, così,
dopo aver informato le autorità di Goa delle trasmissioni radio senza essere
creduti (avendo infatti dette autorità inutilizzato le radio delle navi
all’atto dell’internamento), rapito Koch senza che questo fermasse le
trasmissioni, ed aver infruttuosamente tentato di corrompere il capitano Röfer
dell’Ehrenfels, i servizi segreti
britannici decisero di eliminare la stazione trasmittente installata sull’Ehrenfels.
Dal momento che
l’attacco sarebbe stato compiuto in territorio neutrale – quello di una colonia
del Portogallo –, i comandi britannici decisero di non ricorrere ad un’unità
militare regolare, bensì di reclutare una ventina di volontari di mezz’età, che
avevano già terminato da tempo il loro servizio militare – e pertanto civili –,
tra i cittadini britannici residenti in India. Tali uomini vennero reclutati
tra i membri dei prestigiosi club di militari in congedo di Calcutta, il
Calcutta Light Horse Club (14 uomini) ed il Calcutta Scottish Higlander Club (4
uomini): nella vita civile erano uomini d’affari, funzionari ed impiegati di
compagnie britanniche operanti in India, pur facendo parte dell’Army Auxiliary
Force, ma era estremamente improbabile che sarebbero mai stati richiamati in
servizio. Il Calcutta Light Horse era stata un’unità di cavalleria
dell’esercito britannico, ma non era più attiva dai tempi della Guerra Boera.
L’incursione venne
organizzata nella massima segretezza, per essere attuata senza scontri armati e
senza che i partecipanti venissero scoperti, per evitare un incidente
diplomatico tra Regno Unito e Portogallo.
L’operazione,
denominata «Longshanks» o «Creek», scattò nelle prime ore del 9 marzo 1943. I
marinai dei mercantili internati ebbero la piacevole sorpresa di trovare un
bordello che, per quella notte, offriva gratuitamente i servigi delle proprie
‘dipendenti’, mentre gli ufficiali, insieme a funzionari portuali, vennero
invitati ad un ricevimento indetto da un notabile locale. Naturalmente, tutto
era stato organizzato dal SOE per ridurre il più possibile il numero degli
uomini che si sarebbero trovati a bordo dell’Ehrenfels e delle altre navi. Alla fine della festa, gli ufficiali
non avrebbero trovato nessun taxi disponibile per riportarli a bordo.
Il vecchio e lento
rimorchiatore Phoebe trasportò i
membri del singolare «commando» di militari a riposo nel porto di Mormugao; all’una
di notte, con il favore del buio, gli incursori britannici, al comando del
tenente colonnello Lewis Henry Pugh e del colonnello W. H. Grice, salirono
sull’Ehrenfels e distrussero la radio
trasmittente. L’originario piano britannico prevedeva che, mentre un gruppo di
incursori distruggeva la radio, altri due gruppi avrebbero tagliato le catene
delle ancore e messo in moto i motori della nave, in modo da catturarla e
portarla via, al largo, per poi diffondere la notizia che l’Ehrenfels aveva tentato la fuga diretto
in un porto in mano giapponese, ma era stato intercettato e catturato da navi
britanniche. Ma a bordo della nave tedesca, contrariamente alle previsioni
britanniche, ci si era preparati all’evenienza di un attacco e si era
predisposto l’autoaffondamento: vi fu uno scontro tra i membri dell’equipaggio,
privi di armi ma determinati a difendersi, e gli assalitori britannici, nel
quale rimasero uccisi il comandante Röfer ed alcuni marinai dell’Ehrenfels; durante la colluttazione
sorta tra britannici e tedeschi, alcuni marinai dell’Ehrenfels riuscirono a scatenare degli incendi a bordo ed ad aprire
le valvole di presa a mare, autoaffondando la nave e così impedendone la
cattura. Terminata la distruzione della radio, i commandos britannici si
ritirarono con alcuni prigionieri e si allontanarono altrettanto furtivamente,
riprendendo il largo sul Phoebe.
Non appena
s’iniziarono a sentire i rumori del combattimento a bordo dell’Ehrenfels, il comandante dell’Anfora spedì a terra un messaggio in cui
informava le autorità cittadine di quello che stava accadendo, richiedendo
l’invio della polizia e di un medico.
Sull’Ehrenfels un ufficiale, prima di essere
aggredito ed ucciso dai commandos insieme al comandante Röfer, fece in tempo ad
azionare la sirena, ed a suonarla lungamente per dare l’allarme. La sirena fu
sentita sia sulle altre navi in rada, che nel locale dove gli ufficiali
italiani e tedeschi stavano partecipando al ricevimento: era il segnale
concordato da qualche tempo, nel caso di un attacco britannico alle navi, il
cui timore era sorto dopo il rapimento di Koch ed il tentativo di corrompere
Röfer. Gli ufficiali presenti al ricevimento, dopo aver sentito la sirena e
scoperto che non c’erano taxi disponibili, si misero a correre a perdifiato,
sudando nelle loro uniformi migliori, in direzione del porto, ma vi arrivarono
troppo tardi, solo per assistere allo spettacolo delle proprie navi in fiamme.
A bordo delle altre
tre navi dell’Asse, le sirene dell’Ehrenfels
ebbero un effetto ancor più nefasto. Gli ufficiali dei quattro mercantili si
erano in precedenza accordati per autoaffondare le proprie unità in caso di
attacco nemico, segnalato appunto dal suono delle sirene delle navi. A bordo
dell’Anfora, del Drachenfels e del Brauenfels,
comunque, gli ufficiali furono inizialmente riluttanti a dare l’ordine di autoaffondamento,
sperando che la sirena dell’Ehrenfels
fosse stata suonata per equivoco: ma quando videro l’Ehrenfels in affondamento e soprattutto il Phoebe che, nell’allontanarsi dalla nave tedesca, sembrava dirigere
verso di loro, cedettero che si trattasse di un’unità che trasportava la punta
avanzata di una più grande forza d’attacco navale britannica intenzionata a
catturare le loro navi, e si persuasero ad ordinare di attivare le cariche
esplosive appositamente predisposte, ed abbandonare le navi. Su ogni nave
rimase un uomo per accertarsi che tutte le cariche si attivassero; qualora
questo non fosse successo, questi uomini avrebbero avuto l’incarico di
incendiare, con fiammiferi e fogli di giornale, del cherosene appositamente
versato sui ponti, ma non ce ne fu bisogno. Verificato che l’autoaffondamento
procedeva come previsto, anche questi ultimi si tuffarono in mare e raggiunsero
la riva. Una dopo l’altra, le navi furono scosse dalle esplosioni delle
cariche, vennero avvolte dalle fiamme, sbandarono ed affondarono, lasciando
emergere alberi e fumaioli dalle acque poco profonde.
(Secondo un’altra
versione i comandi britannici, non paghi della distruzione dell’Ehrenfels, vollero approfittarne anche
per distruggere le tre altre navi nemiche internate nel porto di Mormugao: un
messaggio radio che affermava, mentendo, che le forze britanniche avrebbero a
breve attaccato il naviglio dell’Asse presente in quel porto venne
appositamente trasmesso in chiaro, e gli equipaggi dei tre bastimenti
superstiti, avendolo ricevuto, incendiarono ed affondarono le loro navi per
scongiurarne la temuta cattura. Ciò però non avrebbe avuto molto senso, visto
che la trasmissione di un simile messaggio avrebbe fatto saltare la segretezza
dell’operazione, rivelando ai portoghesi che era in corso un attacco britannico
e che la loro neutralità era stata violata).
Ultimo ad essere
autoaffondato fu l’Anfora, che venne
incendiato dal proprio equipaggio (una parte del quale era già stato frattanto
sbarcato) un’ora dopo Drachenfels e Brauenfels, e, consumato dalle fiamme, affondò
nelle acque del porto. Nell’affondare la nave italiana, trasformata in orto e
porcile per il sostentamento dell’equipaggio, diede un ultimo singolare
spettacolo: tutto l’orto-giardino, con alberi, cespugli e graticci, scivolò
obliquamente in mare, lasciando sulla superficie, insieme agli usuali rottami
di una nave affondata, anche cespugli galleggianti. I maiali del porcile,
terrorizzati e strillanti, cercarono disperatamente di nuotare verso la riva.
Al momento degli
eventi, solo 34 dei 46 membri dell’equipaggio dell’Anfora, tra cui il comandante Lindemann, si trovavano a bordo:
altri undici, infatti, erano in licenza nel villaggio di Gudem, vicino a
Chapora (Goa), mentre un altro si trovava ricoverato nell’ospedale di Margao.
Via via che approdarono sulla spiaggia, i naufraghi vennero radunati ed
arrestati da militari portoghesi, per poi essere trasportati a Nova Goa sotto
la scorta della polizia.
Tra quanti
assistettero all’affondamento dell’Anfora
e delle navi tedesche vi fu anche il tenente di vascello Camillo Milesi
Ferretti, comandante del sommergibile italiano Berillo affondato da cacciatorpediniere britannici nell’ottobre
1940, fuggito a Goa dopo essere evaso da un campo di prigionia in India.
I quotidiani dell’India britannica, per coprire l’attacco all’Ehrenfels – del quale le autorità di Goa non avevano avuto sentore –, diffusero la notizia che gli equipaggi delle navi dell’Asse, abbruttiti dai lunghi anni d’internamento, avessero incendiato le proprie navi sotto l’effetto dell’alcol e della disperazione, o durante una sorta di ammutinamento o lotta interna tra chi aveva organizzato un tentativo di fuga verso Singapore e chi intendeva restare. L’incursione britannica venne così perfettamente coperta, e la colpa di quanto accaduti ricadde interamente sugli equipaggi delle navi tedesche ed italiana.
Le autorità
portoghesi considerarono l’autoaffondamento dei mercantili italo-tedeschi come
un vero e proprio atto di guerra nel loro territorio neutrale, così arrestarono
tutti i marittimi italiani e tedeschi presenti a bordo al momento dei fatti e
li internarono come prigionieri di guerra nella fortezza di Aguada, vicino a
Panjim (Nuova Goa). Tra l’equipaggio dell’Anfora
gli arrestati furono 34, tra cui il comandante Lindemann, il primo ufficiale di
coperta Guido Visintini, il secondo ufficiale di coperta Giuseppe Ralo, il
direttore di macchina Ermanno Cassaffo, il primo ufficiale di macchina Luciano
Prinz ed il terzo ufficiale di macchina Sebastiano Leotta. Rimasero invece in
libertà gli altri dodici uomini, i quali, trovandosi a terra al momento
dell’autoaffondamento, non poterono essere accusati di nulla. I 34 uomini
arrestati rimasero prigionieri fino alla fine della guerra.
Il terzo ufficiale di
macchina, Sebastiano Leotta, morì di febbre tifoidea il 23 aprile 1945, poco
prima della cessazione delle ostilità.
Il procedimento
penale aperto dalle autorità portoghesi contro i marittimi italiani e tedeschi,
rei dell’autoaffondamento delle proprie navi in acque neutrali, fu lungo e
travagliato: il dittatore portoghese Oliveira Salazar, infatti, fece pressione
sull’autorità giudiziaria perché la colpa dell’accaduto fosse interamente
addossata agli equipaggi italo-tedeschi, sostenendo che avessero affondato le
navi nel mero timore di un attacco britannico oppure a causa di dissidi
interni, e negando quindi – nonostante la denuncia della legazione italiana a
Lisbona, il 9 aprile 1943, che una nave britannica fosse entrata nel porto di
Mormugao il 9 marzo ed avesse attaccato una delle navi tedesche lì presenti,
segnalazione rigettata come fantasia dopo aspre discussioni anche all’interno
delle stesse autorità portoghesi – che commandos britannici avessero davvero
compiuto un’incursione nel porto (Salazar, infatti, voleva a tutti i costi
evitare un incidente diplomatico con il Regno Unito, alleato di vecchia data
del Portogallo, benché quest’ultimo fosse neutrale in quella guerra); ma volle
anche, al contempo, che i marittimi dell’Asse (Salazar, fascista, restava
simpatizzante verso Italia e Germania), già provati dall’accaduto e dalla
prigionia, ricevessero le minori pene possibili tra quelle previste per i
reati, sostituendo per quanto possibile la libertà vigilata alla detenzione. Inizialmente
le autorità portoghesi (che dapprima erano effettivamente all’oscuro
dell’attacco britannico, ma che anche successivamente, dopo aver ricevuto
informazioni sull’accaduto, negarono che esso avesse davvero avuto luogo)
ipotizzarono persino che l’incendio delle quattro navi fosse stato dovuto
all’azione di un singolo ufficiale di Marina italiano, fuggito da un campo di
prigionia dell’India (è forse possibile che avessero saputo della presenza a
Goa, al momento dei fatti, del comandante Milesi Ferretti, che tuttavia nulla
aveva a che fare con quanto successo).
Il processo ebbe
inizio solo nel settembre 1945, a guerra finita: quella che gli equipaggi
avevano dovuto sopportare dal 9 aprile 1943 era solo «carcerazione preventiva».
Il 16 ottobre 1945 fu letta la sentenza: per l’equipaggio dell’Anfora, l’unica condanna fu per il primo
ufficiale Visintini, condannato a tre anni di carcere (poi commutati in
esilio). Tutti gli altri marittimi italiani furono rilasciati, ad eccezione del
capitano Lindemann, che si trovava in carcere in precario stato di salute e non
era ancora stato processato per via di un appello pendente, sul suo caso, al
tribunale di Lisbona. Il comandante dell’Anfora
venne infine processato nel settembre 1946, ricevendo anch’egli una condanna a
tre anni di esilio. Il rimpatrio ebbe infine luogo all’inizio del 1947.
Il relitto dell’Anfora venne recuperato nel 1948 e
demolito a Bombay nel 1949.
La verità
sull’operazione Creek venne svelata solo nel 1978, quando ormai non c’era più
remoto pericolo di destare le ire del Portogallo o creare un incidente
internazionale. Due anni dopo, nel 1980, fu girato anche un film liberamente
ispirato ai fatti di Murmugao, “The Sea Wolves” (in italiano “L’oca selvaggia
colpisce ancora”), con attori che comprendevano Gregory Peck (nel ruolo del
colonnello Pugh), Roger Moore, Trevor Howard e David Niven (nel ruolo del
colonnello Grice).
O Espião Alemão em Goa
Un’altra immagine dell’Anfora (Coll. Pietro Berti, da www.naviearmatori.net)
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O Espião Alemão em Goa
Salve, La ringrazio per aver fatto conosere la storia di quell'evento, io sono il nipote del secondo ufficiale di coperta Giuseppe Rallo, da cui prendo il nome. Mio nonno mi raccontava di quell'evento, a grazie a questo articolo ora tutti i tasselli vanno al loro posto, Grazie
RispondiEliminaI wrote a book concerning all this episode based on Portuguese and British documents. Many of the informations I gathered are mentioned in my blog 24Land. I will be happy to share some of the data. Best regards
RispondiEliminaJosé António Barreiros
joseantoniobarreiros@gmail.com