L’Acerbi con l’equipaggio al posto di manovra (da www.marina.difesa.it)
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Torpediniera, già
cacciatorpediniere, della classe Sirtori (790 tonnellate di dislocamento in
carico normale, 850 t a pieno carico).
Breve e parziale cronologia.
2 febbraio 1916
Impostazione nei
cantieri Odero di Sestri Ponente.
14 febbraio 1917
Varo nei cantieri
Odero di Sestri Ponente.
26 febbraio 1917
Entrata in servizio.
15 maggio 1917
Alle 5.36 l’Acerbi (capitano di corvetta Guido Vannutelli) lascia
Brindisi insieme ad un altro cacciatorpediniere, il Simone Schiaffino,
scortando l’incrociatore leggero britannico Dartmouth,
nave di bandiera del contrammiraglio italiano Alfredo Acton, comandante delle
forze navali leggere dell’Intesa dislocate a Brindisi. Alle 3.48, infatti, è
giunto a Brindisi un messaggio della stazione di vedetta dell’isola albanese di
Saseno, dicente che un convoglio italiano in navigazione lungo la costa
albanese, formato dai piroscafi Bersagliere,
Carroccio e Verità scortati dal cacciatorpediniere Borea, è stato attaccato da cacciatorpediniere austroungarici (lo Csepel ed il Balaton).
È infatti in corso
un’incursione nel canale d’Otranto da parte di una formazione navale
austroungarica: oltre a Csepel e Balaton, la cui azione – che porterà
all’affondamento di Borea e Carroccio ed al danneggiamento delle
altre due navi del convoglio – costituisce solo un diversivo, sono in mare
anche gli esploratori Saida, Helgoland e Novara, che alle 3.30 hanno attaccato i pescherecci britannici
addetti alle reti antisommergibile dello sbarramento del canale d’Otranto –
obiettivo principale dell’operazione – affondandone ben quattordici entro le
4.57.
Sul luogo
dell’attacco al convoglio italiano si sono già diretti, a seguito delle
segnalazioni giunte da Saseno e degli ordini dell’ammiraglio Acton, l’esploratore
leggero Carlo Mirabello ed i cacciatorpediniere francesi Commandant Rivière, Bisson
e Cimiterre, che si trovavano già in
mare nell’ambito del dispositivo interalleato di sorveglianza del canale
d’Otranto. Acton ha ordinato inoltre che tutte le navi pronte in 30, 60 e 90
minuti presenti a Brindisi escano in mare – il che ha portato alle 4.50 alla
partenza dell’incrociatore leggero britannico Bristol con i cacciatorpediniere italiani Antonio Mosto e Rosolino Pilo –, per poi imbarcarsi a sua volta sul Dartmouth ed uscire scortato da Acerbi
(che già alle 3.30 risultava pronto a partire in mezz’ora, avendo già le
caldaie accese) e Schiaffino. Ha così
inizio la battaglia del canale d’Otranto. Le formazioni guidate da Bristol e Dartmouth si riuniscono tra le 6.56 e le 7.12, poi ricevono
l’ordine di dirigere a 24 nodi verso il Golfo del Drin.
Alle 7.10, intanto,
il gruppo «Mirabello» ha incontrato i tre esploratori austroungarici, dando
inizio ad uno scambio di colpi cessato per l’aumentare della distanza tra i due
gruppi (le navi avversarie, infatti, avendo completato la missione, stanno
rientrando alla propria base di Cattaro, cercando quindi di sfuggire alle forze
dell’Intesa). Il contrammiraglio Acton, venuto così a sapere della posizione
delle navi nemiche, dirige per intercettarle con tutta la formazione al suo
comando (Dartmouth, Bristol, Acerbi, Schiaffino, Mosto, Pilo e l’esploratore Aquila,
partito da Brindisi alle 6 ed unitosi alla formazione alle 7.40) procedendo a
24 nodi, il massimo permesso dalla lentezza del Bristol, rallentato dalla propria carena sporca. Alle 7.30 la
formazione di Acton viene frattanto avvistata da un idrovolante austroungarico,
che ne comunica la posizione.
Alle 7.45 le navi del
gruppo «Dartmouth» avvistano a poppa dritta, con rotta 035º e velocità di 24
nodi, i fumi prodotti da due navi nemiche nemiche: sono lo Csepel ed il Balaton, che,
completato l’attacco al convoglio e sulla via del ritorno, hanno già avvistato
da dieci minuti i fumi del gruppo navale italo-franco-britannico ed hanno
conseguentemente cambiato rotta facendo rotta a 29 nodi verso Dulcigno. Le
unità di Acton, credendo che si tratti degli esploratori austroungarici e che
la posizione segnalata dall’idrovolante fosse sbagliata, accostano subito per
intercettarli, ma alle 9.01 si rendono conto che si tratta di due
cacciatorpediniere classe Tatra. Alle 8.10 inviato l’Aquila, più veloce (procede a 35-36 nodi), seguito a dritta da Mosto e Schiaffino ed a sinistra da Acerbi
e Pilo, viene inviato in testa alla
formazione italiana, all’attacco di Csepel
e Balaton; alle 8.15 l’Aquila apre il fuoco da 11.400 metri.
Intanto, Bristol e Dartmouth manovrano in modo da tagliare
ai due cacciatorpediniere nemici la via della ritirata verso Cattaro. Lo
scontro prosegue senza risultati (salvo alcuni colpi a segno sul Balaton) finché, alle 8.30, l’Aquila stesso viene immobilizzato da un
proiettile del Csepel, dopo di che le
due unità austroungariche approfittano dell’accaduto per aumentare le distanze
con i solo inseguitori, cercando di portarsi sottocosta, sotto la protezione
delle batterie costiere. L’Acerbi è
l’unico, tra i quattro cacciatorpediniere presenti, a non proseguire
nell’inseguimento: Pilo e Mosto, superato a 30 nodi
l’immobilizzato Aquila, aprono il
fuoco alle 8.40 da 10.000 metri, ed alle 9 anche lo Schiaffino, sopraggiunto, inizia a tirare sulle due unità
avversarie. Proprio alle 9, però, quando la distanza tra Mosto-Pilo e Csepel-Balaton è scesa a 7500 metri, aprono il fuoco sulle navi italiane
anche le batterie costiere, ed i due cacciatorpediniere austroungarici riescono
a porsi in salvo, cessando il fuoco alle 9.05 (le batterie costiere cesseranno
a loro volta il fuoco alle 9.10). Alle 9.18 l’ammiraglio Acton richiama Mosto, Pilo e Schiaffino, tutti
indenni, essendo ormai inutile proseguire l’azione; le tre unità dirigono verso
l’Aquila ancora fermo.
Nel frattempo, alle
8.35 sono partiti da Brindisi anche l’esploratore Marsala, l’esploratore leggero Carlo
Alberto Racchia ed i cacciatorpediniere Impavido,
Indomito ed Insidioso, che procedono prima a 25 e poi a 26,5 nodi per riunirsi
al gruppo «Dartmouth». Alle 8.45 il capitano di vascello Miklós Horty,
comandante della formazione austroungarica imbarcato sul Novara, avvista del fumo a dritta e, ritenendo essere Csepel e Balaton in avvicinamento, dirige verso di loro. Sono in realtà le
navi italiane: alle 9.05 le due formazioni avversarie si avvistano
reciprocamente, ed assumono rotta convergente. I propositi dei comandanti sono
differenti: Acton intende proteggere l’ancora immobile Aquila, che ritiene essere l’obiettivo delle navi nemiche, mentre
Horty crede di essere riuscito a tagliare fuori un gruppo di unità leggere
nemiche nei pressi di una base amica – Cattaro – ed alle 9.06 segnala rotta e
posizione, così che l’incrociatore corazzato Sankt Georg, il cacciatorpediniere Warasdiner e le torpediniere TB
84, 88, 99 e 100, appositamente
tenute pronte, escano in mare e taglino la ritirata alle navi dell’Intesa.
Per difendere l’immobilizzato
Aquila, intorno alle 9.05 Bristol, Dartmouth, Acerbi e Mosto (questi ultimi due si sono portati
a poppavia del Bristol) si
interpongono tra esso e gli esploratori nemici, riducendo le distanze. Alle
9.15 Bristol e Dartmouth vengono bombardati da due idrovolanti, senza essere
colpiti. Primo ad aprire il fuoco, alle 9.28, da 8500 metri, è l’Aquila, cui il Novara (il suo bersaglio) si è avvicinato tanto da permettergli di
usare le proprie artiglierie; alle 9.29 inizia il tiro il Dartmouth (contro il Novara)
ed alle 9.30 il Bristol (contro il Saida).
Le navi di Horty
dirigono verso nordovest, inseguite da quelle di Acton (che continuano a fare
fuoco) ad una distanza compresa tra i 4500 ed i 10.000 metri; in Dartmouth procede in testa alla linea
anglo-italiana, il Bristol è più
arretrato e sta perdendo terreno, poi viene l’Acerbi ed il Mosto è in
coda. L’Acerbi inizia il tiro da 9500
metri, e poi, per iniziativa del comandante Vannutelli, supera il Bristol e si porta a poppavia del Dartmouth. La bassa velocità del Bristol fa però incrementare le distanze
tra i gruppi nemici, dai 6000 metri delle 9.45 ai 7400 delle 10, fino agli 880
delle 10.20; si trovano così ad essere i soli Dartmouth ed Acerbi
(quest’ultimo è l’unico cacciatorpediniere a trovarsi in posizione adeguata per
fare fuoco) a dover combattere con i tre esploratori nemici.
Dopo poco tempo,
tuttavia, Saida, Helgoland e Novara
accostano verso sud, portandosi fuori tiro, ripiegando verso nordovest (verso
Cattaro) a 28 nodi e coprendosi con una cortina fumogena che alle 9.40
costringe Bristol (che ha anche
infruttuosamente lanciato un siluro) e Dartmouth
a cessare il fuoco ancora una volta, non riuscendo più a vedere i bersagli.
Proprio in quel momento, però, i tre esploratori vengono attaccati dal Mirabello, che ha tallonato la
formazione austroungarica, colpendo il Novara
ed inducendo le unità nemiche ad uscire dalla cortina e così permettendo, alle
9.45, a Bristol e Dartmouth di riaprire il fuoco. Nel
successivo scontro, l’Helgoland viene
colpito alle 9.50 (dal Bristol) ed
alle 10.04 (dal Mirabello e dal Bristol), il Novara alle 9.55 (dal Mirabello)
ed alle 10.10 (dal Dartmouth), il Dartmouth alle 10 (dal Novara, due volte). Alle 10.15 il Bristol viene attaccato da un
idrovolante che lo costringe a cessare il fuoco, ed il Mirabello viene immobilizzato da un’avaria alle caldaie. Rimane
così il Dartmouth a fronteggiare i
tre esploratori nemici; Acerbi e Mosto, al di fuori della portata delle
artiglierie, sono intenti a cercare lentamente di portarsi a proravia del Dartmouth, mentre Pilo e Schiaffino sono
rimasti a difendere l’Aquila, ancora
fermo. La distanza tra il Dartmouth e
le unità austroungariche, che procedono a più di 29 nodi, sale ancora dagli
8800 metri delle 10.20 ai 9800 delle 10.24; lo scambio di cannonate tra le due
parti è intenso, ed il Dartmouth, pur
attaccato da idrovolanti alle 10.30 ed alle 10.50 (dovendo manovrare per
evitare i mitragliamenti, così disturbando il tiro), alle 10.35, prima di
cessare momentaneamente il fuoco, colpisce il Novara un’altra volta; poco dopo il Saida, colto da avaria, deve ridurre la velocità a 25 e poi 24
nodi, divenendo il bersaglio del Bristol,
che torna a fare fuoco. Essendo Helgoland
e Novara troppo lontani – improbabile
raggiungerli – alle 10.45 il Dartmouth
riduce la velocità a 20 nodi per ricongiungersi con il Bristol, ed affondare il Saida.
Quest’ultimo viene colpito dal Bristol
alle 10.50, ma alle 11 anche il Dartmouth,
mentre accosta verso sinistra per tagliare fuori il Saida, viene attaccato da un aereo e preso sotto il tiro di tutti e
tre gli esploratori, venendo colpito e, nella confusione successiva (incendio a
bordo, equivoco che porta a fermare le macchine e subito dopo ordine di
riprendere l’andatura normale), riducendo la velocità ed infine dovendo
accostare verso sud (allontanandosi dalle navi nemiche), imitato dal Bristol, così rinunciando ad affondare
il Saida che può così allontanarsi.
Alle 11.04 Bristol e Dartmouth cessano il fuoco e dirigono
per ricongiungersi con il gruppo «Marsala».
Alle 11.10, però, l’Acerbi, male interpretando il segnale di
riunione issato dal Dartmouth –
questi segnala di seguirlo, ma, forse per il fumo che occulta parte delle
bandiere da segnalazione, l’Acerbi
vede solo la prima, che da sola significa «attaccare la formazione nemica» –,
si lancia da solo, forzando le macchine per raggiungere una velocità di 33
nodi, all’attacco dei tre esploratori austroungarici, aprendo alle 11.15
intenso e sostenuto fuoco (definito nel rapporto dell’Helgoland “furioso”) con i due cannoni prodieri da 102/35 mm contro
il Saida, da 9500 metri di distanza
(l’intento è quello di attaccare con i siluri, cosa che sarebbe possibile con
l’appoggio dei due incrociatori britannici, che però non c’è, lasciando l’Acerbi a fronteggiare da solo i tre
esploratori). Sebbene preso a sua volta sotto violento fuoco nemico (da parte
del Saida e poi anche dell’Helgoland, mentre il Novara si è fermato a causa dei danni
subiti nel precedente scontro), l’Acerbi
riduce le distanze fino a 9000 e poi 7300 metri; uno dei suoi cannoni si guasta
dopo poco tempo, ma il cacciatorpediniere continua a sparare con non minore
animosità, tanto che il comandante del Novara,
distante 9000 metri ed intorno al quale esplodono le salve dell’Acerbi, parlerà in seguito di “un
diluvio di fuoco”. Alle 11.22 un colpo dell’Acerbi
centra il Saida tra il quarto
fumaiolo e l’albero poppiero, senza però causare molti danni, ma dalle 11.24 il
cacciatorpediniere viene inquadrato dal tiro di tutti e tre gli esploratori,
pur senza essere colpito. Colto nello stesso momento da avarie ad altri due
cannoni, l’Acerbi alle 11.25 è
costretto ad allontanarsi senza aver potuto avvicinarsi Abbastanza da poter lanciare i siluri, portandosi prima a 10 e poi
ad 11 km di distanza, senza comunque cessare di sparare, e restando in zona per
tentare di rimettere in efficienza i cannoni avariati. Allontanandosi,
comunque, il comandante Vannutelli può notare che il Novara è fermo con gravi danni e che si sta tentando di prenderlo a
rimorchio (dal Saida, contro il quale
l’Acerbi sta facendo fuoco dopo aver
manovrato in modo da portare in punteria tutti i cannoni di dritta), e lo
comunica subito in chiaro all’ammiraglio Acton, continuando poi a riferire via
radio al Dartmouth della situazione e
mantenendo sulle unità austroungariche un tiro debole (avendo tre pezzi fuori
uso) ma costante, mentre il tiro di queste ultime risulta troppo corto per
poter colpire la nave italiana, che subisce anche un attacco aereo.
I gruppi «Dartmouth»
e «Marsala» si riuniscono entro le 11.30, e, su ordine dell’ammiraglio Acton, si
riuniscono e fanno subito rotta verso nord per ritrovare gli esploratori
austroungarici, distanti 36 km; alle 11.36 Acton richiama per radio anche l’Acerbi, che alle 11.37 cessa il fuoco –
condotto ormai alla massima elevazione – e fa rotta verso sud. Frattanto, alle
11.30, le navi di Horty vengono attaccate dal Racchia e dall’Impavido,
distaccati dal loro gruppo ed inviati in avanscoperta in precedenza; questo
nuovo scambio di colpi, con distanze che si riducono da 11.000 metri iniziali
ai 6000 finali, prosegue per mezz’ora senza alcun risultato, tirando entrambi i
contendenti troppo corto.
Alle 12.05 il gruppo
italo-franco-britannico di Acton dista 17.500 metri dai tre esploratori
austroungarici, ma frattanto è sopraggiunto il Sankt Georg (insieme ai cacciatorpediniere Tatra e Warasdiner), che
dista solo 12.000 metri dall’immobilizzato Novara.
Dal momento che nessuna delle unità dell’Intesa è in grado di affrontare la
potenza di fuoco del Sankt Georg, né
di danneggiarlo, e che lo scontro avverrebbe in prossimità di una munita base
nemica, Cattaro, alle 12.05 le navi di Acton accostano verso sud per rientrare.
Nel frattempo, l’Aquila sta
rientrando a Brindisi rimorchiato dallo Schiaffino
e scortato da Pilo e Cimiterre, mentre il Mirabello ha preso a rimorchio il Commandant Rivière (anch’esso
immobilizzato da un’avaria di macchina) e lo porterà anch’esso a Brindisi
scortato dal Bisson e da un altro
cacciatorpediniere francese, il Commandant
Lucas. Entro le 12.25 italo-franco-britannici ed austroungarici non sono
più in vista l’uno dell’altro.
Durante il rientro, la
formazione dell’Intesa dovrà subire ancora un colpo: alle 13.35, infatti, il
sommergibile tedesco UC 25, camuffato
da austroungarico U 89, silura il Dartmouth mentre questi procede a 20-25
nodi insieme all’Acerbi, ai
cacciatorpediniere italiani Impavido,
Indomito ed Insidioso ed ai cacciatorpediniere francesi Faulx e Casque (questi
ultimi si sono aggregati alla formazione poco prima, alle 13). Colpito da un
siluro sotto la plancia, sul lato sinistro, il Dartmouth subirà danni tanto gravi da essere inizialmente Abbandonato dall’equipaggio (alle
14.30), subito recuperato dai cacciatorpediniere italiani e francesi (5 uomini
sono morti nel siluramento), salvo poi essere rimorchiato in salvo dal rimorchiatore
Marittimo grazie ad un gruppo di
marinai tornati a bordo, arrivando a Brindisi alle tre di notte.
L’ultima perdita
della giornata sarà quella del cacciatorpediniere francese Boutefeu, appena uscito da Brindisi, saltato su una mina pure
posata dall’UC 25. Da parte
austroungarica, il Novara potrà
infine essere rimorchiato in porto nonostante i gravi danni (è stato raggiunto
da undici proiettili, contro i tre dell’Helgoland,
uno solo del Saida e, da parte
nemica, quattro sul Dartmouth e tre
sul Bristol).
L’Acerbi durante la prima guerra mondiale (da “Il martirio di Venezia durante la Grande Guerra e l’opera di difesa della Marina italiana” di Giovanni Scarabello) |
13-14 agosto 1917
L’Acerbi parte nottetempo da Venezia
insieme ai gemelli Vincenzo Giordano Orsini, Giuseppe Sirtori e Francesco Stocco, che con l’Acerbi
formano una squadriglia, ad una seconda squadriglia di cacciatorpediniere (Ardente, Audace, Animoso e Giuseppe Cesare Abba) ed alla sezione di cacciatorpediniere Carabiniere-Pontiere, per
attaccare una formazione leggera austroungarica (cacciatorpediniere Streiter, Reka, Velebit, Scharfschutze e Dinara e 6 torpediniere) che ha fornito appoggio ad un attacco da
parte di 32 aerei contro Venezia, durante il quale è stato colpito l’ospedale
di San Giovanni e Paolo e sono rimaste uccise 14 persone, e ferita un’altra
trentina. Di tutta la formazione italiana, solo l’Orsini riesce a prendere contatto con le navi nemiche, ma, condotto
verso i campi minati nemici, deve rompere il contatto per non finire tra le
mine. Il gruppo navale austroungarico, rotto il contatto, rientra alla base
senza ulteriori complicazioni.
29 settembre 1917
L’Acerbi lascia Venezia alle 21.45 insieme
ad Abba, Stocco ed Orsini, che con
esso compongono la squadriglia «Orsini» (c.te Vaccaneo), all’esploratore Sparviero (CV Ferdinando di
Savoia-Genova, capo formazione) ed alla squadriglia cacciatorpediniere «Audace»
(Audace, Ardente, Ardito) per dare
appoggio a dieci velivoli Caproni del Regio Esercito inviati a bombardare Pola,
oltre che a seguito dell’avvertimento da parte dei servizi segreti che
un’operazione austroungarica è in corso. L’attacco italiano, infatti, è
pressoché contemporaneo ad un’analoga iniziativa austroungarica, che vede
alcuni idrovolanti effettuare un’incursione su Ferrara, nella quale viene
incendiato il dirigibile M 8 della
Regia Marina. Anche questo bombardamento fruisce di una forza navale
d’appoggio, segnatamente i cacciatorpediniere austroungarici Turul, Velebit, Huszár e Streiter e le torpediniere TB 90F, TB 94F, TB 98M e TB 99M. La formazione italiana viene
informata dell’incursione nemica su Ferrara e dirige perciò su Rovigno, con
l’intento di intercettare le navi austroungariche che, tornando alla base,
dovrebbero verosimilmente passare al largo della cittadina istriana. Alle 22.03
la previsione si rivela esatta, in quanto lo Sparviero avvista navi sconosciute ad una distanza di circa due
miglia, ed alle 22.05 entrambe le formazioni, mentre scende la sera, aprono un
intenso fuoco da 2000 metri di distanza ed iniziano il combattimento. Per la
versione italiana, alle 22.30 le due formazioni, avendo rotte divergenti,
perdono il contatto, così ponendo fine allo scontro, salvo riprendere
fugacemente contatto alle 22.45, guidati dallo Sparviero, in mezzo ai campi minati (la TB 98M viene colpita con una vittima a bordo), per poi perderlo
definitivamente dopo pochi minuti; non vi sono vincitori né vinti. Secondo la
versione austroungarica, lo Sparviero
subisce seri danni perché colpito cinque volte e lascia la linea di
combattimento, e viene colpito anche l’Orsini,
dopo di che l’Ardito, seguito da Acerbi e Stocco, taglia la scia della formazione nemica ed apre il fuoco da
1000-2000 metri (lo scontro sarebbe iniziato ad una distanza di circa 3000):
viene colpito lievemente l’Huszár,
mentre il Velebit incassa diversi
colpi, con l’inutilizzazione degli apparati di governo ed un incendio a bordo.
L’Acerbi lancia due siluri contro il Velebit mentre questi si ferma e prende
fuoco, ma le armi non vanno a segno. Poi le unità italiane cessano il fuoco e
si allontanano. Il Velebit viene poi
preso a rimorchio dallo Streiter, ma
in quel momento arrivano due cacciatorpediniere italiani che serrano le
distanze ad un chilometro; questi però si ritirano sotto il fuoco di Streiter, Velebit e delle torpediniere. (Gli orari riferiti da un’altra fonte
sono molto differenti, forse basati fu fonti austroungariche: il primo scontro
sarebbe cessato alle 00.30, il secondo sarebbe iniziato alle 00.45 protraendosi
per pochi minuti).
16 novembre 1917
Acerbi, Animoso, Ardente, Audace, Abba, Stocco ed Orsini escono da Venezia per contrastare il bombardamento navale
attuato dalle corazzate costiere austroungariche Wien e Budapest contro le
batterie d’artiglieria e posizioni italiane a Cortellazzo (Wien e Budapest, giunte
alle 10.35 davanti a Cortellazzo, hanno iniziato il tiro sulle linee italiane;
dopo l’immediata reazione delle artiglierie di terra, il contrasto è stato
affidato agli aerei, che hanno compiuto tre attacchi; Wien e Budapest cessano
il tiro alle 11.52 per non interferire con le proprie truppe di terra, poi si
riportarono a tiro alle 13.30, e riaprono il fuoco alle 13.35). I
cacciatorpediniere italiani si portano a ponente della zona attaccata e
supportarono l'attacco dei MAS 13 e 15, che, insieme agli attacchi aerei ed
a quelli effettuati dai sommergibili F 11
e F 13, contribuisce a disturbare il
bombardamento navale, sino al ritiro delle due corazzate.
28 novembre 1917
Sirtori, Stocco, Acerbi, Orsini, Animoso, Ardente, Ardito, Abba ed Audace, unitamente agli esploratori Aquila e Sparviero, lasciano Venezia e – in cooperazione con idrovolanti
da ricognizione
– si mettono a cercare i cacciatorpediniere austroungarici Triglav,
Reka e Dinara e le torpediniere TB
78, 79, 86 e 90, che hanno
danneggiato un treno
e le linee ferroviaria
e telegrafica
alle foci del Metauro,
nonché i cacciatorpediniere Dikla, Streiter ed Huszar e quattro torpediniere che, formando un secondo gruppo, ha
attaccato dapprima Porto Corsini e poi Rimini
sebbene senza risultati. I due gruppi austroungarici, riunitisi in uno solo,
stanno rientrando alle basi, attaccati più volte da idrovolanti. Le navi
italiane arrivano in vista di quelle nemiche solo quando ormai si trovano al
largo di Capo Promontore, troppo vicino a Pola, principale base delle
k.u.k. Kriegsmarine, così che devono lasciar perdere l’inseguimento.
L’Acerbi fotografato presumibilmente nei primi anni della sua carriera (g.c. Aldo Cavallini, via www.naviearmatori.net) |
Acerbi, Sirtori, Stocco, Ardente, Ardito ed Aquila (al comando della formazione – il
1° Gruppo, su un totale di tre previsti per l’operazione –, che per alcune
fonti comprende anche il MAS 18, è il
CF Piero Lodolo) vengono inviati a Porto Levante (Porto Viro) per dare
supporto, qualora necessario, all’attacco di MAS che diverrà famoso come la
“beffa di Buccari”. Le unità, su ordine del Comando in Capo di Venezia, si
ormeggiano a Porto Levante e rimangono pronte ad intervenire (oppure incrociano
in quelle acque a protezione dei MAS), poi incrociano a scopo protettivo in due
gruppi (“Aquila” con Aquila, Ardente, Ardito, Acerbi, Sirtori e Stocco e “Animoso” con Animoso,
Abba ed Audace), ma non sarà necessario che intervengano.
26 febbraio 1918
L’Acerbi si trova a Venezia quando la
città veneta subisce il più pesante bombardamento dell’intero conflitto: 50
bombardieri austroungarici sganciano 200 bombe su Venezia e 22 su Mestre,
causando seri danni al patrimonio artistico della città, pur senza provocare
perdite umane elevate (un morto). L’Acerbi
è una delle due navi che vengono e danneggiate nell’attacco (l’altra è l’esploratore
Sparviero).
8-9 aprile 1918
L’Acerbi ed altre siluranti escono in mare
nottetempo per fornire supporto ad un tentativo di attacco della base
austroungarica di Pola mediante il “barchino saltatore” (silurante) «Grillo», ma l’operazione viene interrotta.
12-13 aprile 1918
Seconda uscita
notturna per attaccare Pola con il «Grillo»,
anch’essa abortita.
6-7 maggio 1918
Altra uscita di notte
a supporto di un nuovo tentativo di attacco di Pola con il «Grillo», pure interrotta.
9-10 maggio 1918
Nuovo tentativo
notturno d’attacco a mezzo «Grillo» a
sua volta cancellato.
11-12 maggio 1918
Ennesima uscita
notturna in appoggio ad un altro attacco abortito del «Grillo» contro Pola.
13-14 maggio 1918
Alle 17.30 del 13 Acerbi, Orsini, Sirtori, Stocco, Animoso, le torpediniere costiere 9 PN e 10 PN ed i MAS 95 e 96 (questi ultimi due con il «Grillo»
a rimorchio) salpano da Venezia per dare appoggio ad un altro tentativo di
attacco del «Grillo»: l’operazione è
affidata al CF Costanzo Ciano. I cacciatorpediniere hanno compiti di vigilanza
a distanza. Alle 2.18, arrivata la formazione nel punto prestabilito (a 1300
metri dalla diga di Pola), viene mollato il rimorchio, ed alle 3.16 inizia
l’attacco del «Grillo»: scoperto,
tuttavia, il mezzo d’assalto viene distrutto senza poter far danni, ed il suo
equipaggio catturato. I MAS si ritirano illuminati (alle 3.35 ed alle 3.40) dai
proiettori, per poi ricongiungersi ai cacciatorpediniere del gruppo di supporto
alle 5 del 14 e fare infine ritorno alla base.
1-2 luglio 1918
Acerbi, Orsini, Sirtori, Stocco, Audace ed altri
due cacciatorpediniere, il Giuseppe Missori ed il Giuseppe La Masa, danno
appoggio a distanza alle torpediniere 64
PN, 65 PN, 66 PN, 40 OS, 48 OS, Climene e Procione (le
ultime due d’alto mare, con sola funzione d’appoggio alle altre, costiere)
mentre procedono lentamente tra Cortellazzo e Caorle bombardando le linee
nemiche, simulando inoltre uno sbarco (con le torpediniere 15 OS, 18 OS e 3 PN che rimorchiano alcuni finti
pontoni da sbarco) per distogliere l’attenzione delle forze nemiche e così
favorire l’avanzata di quelle italiane. I cacciatorpediniere italiani
s’imbattono inoltre negli austroungarici Csikós
e Balaton e nelle torpediniere TB 83F e la TB 88F, partite da Pola nella tarda serata del 1° luglio per
supportare un’incursione aerea su Venezia e giunte in zona dopo aver superato
l’attacco di un MAS (che ha lanciato un siluro contro il Balaton, che ha una caldaia guasta) all’alba del 2 luglio. Le unità
italiane avvistano quelle nemiche alle 3.10 ed aprono il fuoco, dopo di che
anche le siluranti austroungariche iniziano a sparare: nel breve scambio di
colpi le unità nemiche, soprattutto il Balaton,
subiscono alcuni danni, ma anche lo Stocco
viene colpito, con alcuni morti e feriti tra l'equipaggio ed un incendio a
bordo che lo obbliga a fermarsi (dopo aver evitato due siluri con la manovra), ed
anche l'Acerbi si deve fermare per fornire
aiuto all’unità gemella. Il Balaton, centrato
più volte in coperta a prua, si porta in posizione più avanzata, mentre Missori, Audace e La Masa combattono
contro il Csikós e le due
torpediniere, rimaste indietro: da entrambe le parti si lanciano
infruttuosamente siluri, mentre il Csikós
viene colpito da un proiettile nel locale caldaie poppiero ed anche le due
torpediniere ricevono un colpo ciascuna. Dopo qualche tempo le unità italiane
si allontanano per riprendere il loro ruolo, mentre quelle austroungariche
tornano a Pola.
L’Acerbi in transito nel canale navigabile di Taranto (da www.marina.difesa.it) |
3 novembre 1918
Durante l’offensiva
finale italiana, un giorno prima dell’annuncio dell’armistizio di Villa Giusti,
Acerbi, Orsini, Stocco, Pilo, Audace, Missori, La Masa ed un altro cacciatorpediniere,
il Nicola Fabrizi, entrano a Trieste
trasportando il generale Petitti di Roreto, il 7° e l’11° Reggimento
Bersaglieri ed alcuni membri di reparti speciali.
4 novembre 1918
Acerbi (capitano di corvetta Guido Po), Orsini,
Sirtori e Stocco partono in mattinata da Venezia unitamente all’anziana
corazzata Emanuele Filiberto (nave
ammiraglia del contrammiraglio Rainer, comandante del gruppo) per occupare
Fiume. Strada facendo l’Acerbi viene
distaccato con il compio di occupare Abbazia, dove arriva a mezzogiorno,
sbarcando un plotone di marinai muniti di mitragliatrice ed issando la bandiera
italiana sulla sede dell’ex Comando austroungarico, pur tra le proteste della
componente jugoslava (che in questo paese è la maggioranza), i cui rapporti con
la locale componente italiana (che invece ha accolto festosamente l’arrivo
dell’Acerbi, inviando poi una
delegazione a fare visita del comandante), che al contempo protesta contro gli jugoslavi,
sono piuttosto tesi. La presa di possesso risulta qui soprattutto un atto
formale, cui non fa seguito un’effettiva occupazione. Gli italiani di Abbazia
salgono a bordo dell’Acerbi con le
famiglie al completo per vedere la prima nave italiana lì arrivata, e farvisi
fotografare. Nel pomeriggio arriva a portare il benvenuto anche una delegazione
di Laurana.
Lo stesso 4 novembre
l’Acerbi viene inviato a Volosca,
dove inizia a constatare la situazione ed ad avviare contatti con gli abitanti
del posto (l’occupazione avverrà l’11 novembre, da parte del Sirtori).
8 novembre 1918
L’Acerbi viene mandato a Lussino, dove già
staziona l’Orsini, perché nell’isola
dalmata, abitata in prevalenza da italiani ma nella quale si trovano parecchi
militari jugoslavi, insistono gravi contrasti (il 13 novembre il capitano di
corvetta Drachslern, comandante locale della neonata Marina jugoslava, invia
sull’Acerbi una lettera di protesta
affermando che Lussino fa parte del nuovo Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, e
che i cacciatorpediniere italiani sono lì ammessi solo come unità che
rappresentano l’Intesa, oltre a protestare per la requisizione delle navi
jugoslave presenti a Lussino), che si risolveranno solo il 20 novembre con la
sua occupazione stabile, il disarmo ed il trasferimento a Fiume dei militari
jugoslavi, ed il sequestro di materiale bellico e di alcuni mercantili tra cui
un panfilo.
L’Acerbi all’inizio del 1930 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it) |
1920
Lavori di modifica
dell’armamento: i 6 pezzi singoli Schneider-Armstrong 1914-1915 da 102/35 mm
vengono sostituiti con altrettanti Scheider-Armstrong 1917 da 102/45 mm, più
moderni.
1929
L’Acerbi, con Sirtori e Stocco e con l’Ippolito Nievo della classe Pilo, forma
la X Squadriglia Cacciatorpediniere, che, insieme alla IX Squadriglia
Cacciatorpediniere (Giuseppe Cesare Abba, Giuseppe Dezza, Antonio Mosto, Giuseppe Missori, Fratelli Cairoli) ed all'esploratore Aquila, compone la 5a Flottiglia della Divisione
Speciale, che comprende anche l'esploratore Brindisi,
nave comando.
1° ottobre 1929
Declassato a
torpediniera.
1935
È comandante dell’Acerbi il tenente di vascello Adriano Foscari, futura
Medaglia d’oro al Valor Militare.
La nave fotografata nel 1937
con il Gran Pavese (g.c. STORIA militare)
|
10 giugno 1940
Alla data
dell’entrata dell’Italia nel secondo conflitto mondiale l’Acerbi, insieme all’Orsini,
si trova dislocata nella base eritrea di Massaua, sul Mar Rosso, alle dirette
dipendenze del Comando Marina di Massaua, formando il Distaccamento
Torpediniere del Comando Navale Africa Orientale Italiana.
27 giugno 1940
In mattinata l’Acerbi lascia Massaua unitamente ai
cacciatorpediniere Leone e Pantera, per andare in soccorso al
sommergibile Perla, incagliatosi dopo
che perdite di cloruro di metile hanno intossicato larga parte dell’equipaggio.
L’Acerbi dovrebbe se possibile
disincagliare e prendere a rimorchio il Perla,
mentre i due cacciatorpediniere fornirebbero appoggio e sostegno; qualora ciò
risultasse impossibile, le unità dovrebbero recuperare l’equipaggio del
sommergibile.
Il Leone deve tornare indietro quasi subito
a causa di avarie, e presto l’intera formazione si trova a dover invertire la
rotta, perché la ricognizione aerea ha avvistato una superiore formazione
nemica (incrociatore leggero Leander,
cacciatorpediniere Kandahar e Kingston) diretta verso Sciab Sciach,
vicino a dov’è incagliato il Perla,
per distruggere il sommergibile. Saranno alcuni aerei a riuscire ad allontanare
le navi britanniche dal Perla, che
potrà essere sottoposto a provvisorie riparazioni e poi rimorchiato a Massaua
il 20 luglio.
L’Acerbi a Massaua tra la fine degli anni ’30 e l’estate del 1940
(foto Giuseppe Angelini, da http://xoomer.virgilio.it/jj55/pagina_dedicata_a_mio_padre_gius.htm)
|
La fine
Erano le 18 del 6
agosto 1940 (altre fonti parlano dell’8 agosto, ma si tratta di un errore)
quando il porto di Massaua venne attaccato da due o tre bombardieri britannici Bristol
Blenheim, che sganciarono le loro bombe a bassa quota, prendendo di mira il
seno di Dachilia.
La base eritrea era
sottoposta di frequente ad incursioni aeree – ne subì più di una cinquantina
nel solo periodo dal giugno al novembre 1940 –, ma di solito non si
registravano molti danni tra le navi ormeggiate: questa volta, però, alcune
bombe (non è chiaro se una “salva” di bombe sganciate da due Blenheim oppure un
solo ordigno, a seconda delle fonti) caddero proprio sull’Acerbi, che si trovava ormeggiata al pontile. Una delle bombe, in
particolare, colpì la torpediniera nei pressi del terzo fumaiolo e scoppiò
nella sala macchine, arrecando gravi danni anche alla coperta soprastante, oltre
a far collassare il fumaiolo. Sedici membri dell’equipaggio dell’Acerbi, in maggioranza tra il personale
di macchina, persero la vita; un’altra trentina furono feriti, uno dei quali
morì alcune settimane dopo. Fu tra i morti anche il direttore di macchina,
capitano del Genio Navale Pietro Squadroni.
Il nocchiere Mario
Cassisa, che nel 1940 prestava servizio sul sommergibile Galileo Ferraris di stanza a Massaua, così ricordò quel giorno
nelle sue memorie di guerra: “[al molo]
c'erano ormeggiati di punta a 15 metri l'uno dall'altro i tre sommergibili
superstiti dalle missioni di guerra nell'Oceano Indiano, il Ferraris,
l'Archimede e il Guglielmotti (il Perla era incagliato nelle vicinanze di
Assab), nell'angolo sud del pontile c'erano i due cacciatorpediniere, l'Orsini
e l'Acerbi, altri due rimorchiatori e alcune motobarche. (…) suonò la sirena
dell'allarme aereo: già gli aerei inglesi bombardavano la nostra base navale
(…) Le bombe cadevano tutto intorno a noi, una cadde a trenta metri da noi e le
esplosioni che si sentivano erano violentissime. Una bomba cadde sulla zattera
galleggiante che era la cucina delle due torpediniere, squarciò lamiere,
distrusse 15 metri di pontile e uccise i cuochi che stavano lavorando. Io e
Zerillo eravamo passati da lì pochi secondi prima e da terra vedevo le schegge
che si allargavano dappertutto e si alzavano fino a 30 metri da terra a
ventaglio e salivano sopra di noi. Dopo l'attacco ai sommergibili e alle
torpediniere gli aerei si abbassarono fino a 20 metri sopra di noi ed io
riuscii a vedere un pilota inglese seduto nella carlinga dentro una cupola con
una fessura per la canna della grossa mitragliatrice, ma per miracolo di Dio e
della Madonna di Trapani, non spararono a nessuno. Ci alzammo e corremmo via
dalle navi da guerra e dai sommergibili che stavolta erano il loro obiettivo.
Se avessimo perso anche solo qualche istante saremmo finiti anche noi macellati
coi cuochi di cui non si trovò neanche un pezzettino di carne nel mare intorno.
E se i mitraglieri degli aerei inglesi ci avessero sparato sicuramente ci
avrebbero ucciso. Gli inglesi quel giorno avevano cambiato tattica: anziché
sorvolare alti le nostre basi ed essere intercettati dagli aerofani che
avrebbero dato l'allarme venivano da sud di Massaua e si mantenevano
bassissimi. Prendevano quota di bombardamento solo dopo essere già entrati
nelle nostre basi e sorprendevano tutti gli aerofonisti e il personale delle
batterie contraeree poi tornavano bassi così che noi non potevamo colpirli
senza rischiare di colpire noi stessi. Nel bombardamento l'Orsini [errore
di memoria: in realtà Cassisa sta certamente parlando dell’Acerbi] era rimasta parecchio
danneggiata e stava per affondare con i morti e i feriti e i dispersi di cui
non si trovò traccia dopo il bombardamento; i superstiti recuperarono i morti e
i feriti e li caricarono sulle ambulanze della croce rossa della regia marina
per portarli fino all'ospedale del comando marina militare a 500 metri dal
pontile est dove era ormeggiata la torpediniera. I due rimorchiatori che erano
ormeggiati lì vicino lo rimorchiarono in uno dei bacini galleggianti che erano
alla fonda nella nostra stessa baia porto a poche centinaia di metri ad est del
pontile, lo insellarono e lo alzarono a secco. Si ripararono la coperta, la
falla del centro poppiero e le strutture interne danneggiate. Quel pomeriggio
nell'Orsini e nell'Acerbi ci furono parecchie vite umane perdute e
fortunatamente dalla pioggia di bombe si salvarono i tre sommergibili. Ormai
gli allarmi aerei erano diventati normalità, l'allarme era continuo 24 ore su
24 e la sirena del cessate allarme non suonava mai, suonava solo l'allarme
degli aerofoni che intercettavano gli inglesi. Gli impianti di intercettazione
erano primitivi, erano formati da un grande disco in lamiera in ferro a forma
di un piatto cavato di 2 metri di diametro con un diaframma metallico nel
centro collegato con un cavo telefonico che usciva da dietro ad una cuffia e il
marinaio di guardia lo metteva sulle orecchie e stava seduto su un seggiolino
metallico con due maniglie girevoli in mano girava l'aerofono tutto intorno a
360 gradi e l'altra maniglia faceva abbassare e alzare verticalmente e
orizzontalmente da 90 a 90 gradi su e giù. Malgrado l'allarme fosse continuo si
lavorava e si operava normalmente. La città di Massaua venne evacuata ad
Asmara, nell'altopiano eritreo ma in città rimasero pochi coraggiosi che
tenevano bar e ristoranti aperti. Gli inglesi erano combattenti leali, non
bombardavano la città e non mitragliavano i civili e quando colpivano le navi
non si accanivano tornando a bombardare ad ondate successive, davano il tempo
ai sopravvissuti di raccogliere morti e feriti. Per quella notte non tornarono
e vennero il giorno dopo. Lo stesso facevano i nostri S71 e S89 quando andavano
a bombardare porto Sudan, il porto di Aden e l'aeroporto militare di Khartoum”.
Il tenente di
vascello Fabio Gnetti, all’epoca imbarcato sul cacciatorpediniere Daniele Manin anch’esso di base a
Massaua, ricordò a sua volta nel suo libro “Ultima missione in Mar Rosso”: “Le due vecchie torpediniere (ambedue hanno
preso parte alla prima guerra mondiale) Acerbi e Orsini prendono parte a
missioni di carattere esplorativo prima di finire, la prima distrutta da un
bombardamento aereo in porto il 6 agosto 1940 (ricorderò sempre il seggiolino
del direttore di macchina, Cap. Squadroni di Sarzana, incastrato a sghimbescio
sull’estremità superiore di una delle «tre pipe», unico ricordo di un collega,
di cui si è ritrovata la sola spallina da capitano)…”
Deceduti nel bombardamento dell’Acerbi:
Antonio Adinolfi, marinaio fuochista, da Cava
de’ Tirreni
Giuseppe Baldassarre, capo meccanico di prima
classe, da Santeramo in Colle
Vincenzo Bellucci, marinaio cannoniere, da
Ortona
Aristide Bettiga, marinaio fuochista, da Colico
Tarcisio Brodesco, sottocapo motorista, da
Vicenza
Agostino Campora, marinaio, da Campomorone
Natale Carzaniga, marinaio furiere, da
Bernareggio
Pasquale Cassano, marinaio S.D.T., da Bari
Bernardo Gavuzzi, sergente cannoniere, da
Lusigliè
Cosimo Gemelli, marinaio fuochista, da Catania
Silvio Marangon, sottocapo meccanico, da
Donada
Alessandro Mauro, sergente meccanico, da
Taranto
Giuseppe Nocerino, marinaio fuochista, da
Portovenere
Giuseppe Simonetti, sottocapo meccanico, da
Bagnone
Umberto Spanò, secondo capo meccanico, da
Napoli (deceduto il 28/8/1940)
Pietro Squadroni, sottotenente del Genio
Navale, da Pisa
Nicola Tamburro, marinaio cannoniere, da Torre
Annunziata
La torpediniera
rimase in condizione di galleggiare, ma, rimorchiata in bacino, emerse che i
danni erano troppo gravi per renderne pratica la riparazione: l’Acerbi fu giudicata non più adatta ad
uscire in mare; ormai ridotta ad un inutilizzabile relitto galleggiante, venne
ormeggiata ad una banchina, in disarmo. In tale stato rimase fino alla caduta
dell’Eritrea. Su ordine del contrammiraglio Mario Bonetti, comandante delle
forze navali italiane in A. O. I., cinque (oppure quattro od anche tutti e sei)
dei cannoni da 102 mm e parte delle mitragliere, ormai non più utili, vennero
rimosse ed usate per rinforzare le difese contraeree di Massaua: quattro pezzi
da 102/45 furono posizionati nei pressi di Ras Cambit, sull’isola di Dahlak
Kebir, dove armarono la batteria antinave «Acerbi-Ma 314» (che, con gittata di
12 km, avrebbe dovuto proteggere il canale sud di accesso a Massaua impedendo a
navi nemiche di transitarvi); un altro cannone da 102/45, unitamente ad altri
due da 102/35 sbarcati dal posamine Ostia,
fu assegnato alla batteria antinave «Ma 370» situata presso il porto di
Massaua; alcune mitragliere da 40/39 mm furono assegnate alle difese di
Massaua.
Il relitto galleggiante dell’Acerbi fotografato nel porto di Massaua
nell’agosto 1940, accanto ad un incrociatore ausiliario tipo RAMB (RAMB I o RAMB II) (g.c. STORIA militare)
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L’ultimo capitolo della storia dell’Acerbi, scritto nell’aprile 1941, quando Massaua venne occupata dalle forze britanniche in ormai inarrestabile avanzata, è piuttosto controverso. Secondo alcune fonti, soprattutto da parte britannica, l’inutilizzata torpediniera venne colpita da bombardieri o da aerosiluranti Fairey Swordifh (questi ultimi appartenenti al gruppo di volo della portaerei HMS Eagle) l’1 od il 4 aprile 1941 (per una fonte, affondata il 4 dopo essere stata già colpita e gravemente danneggiata il 3), pochi giorni prima che Massaua fosse occupata dalle truppe del Commonwealth, ed affondò nel porto della base eritrea. Per altre, invece, nell’ambito del piano di autoaffondamento di massa (16 navi tra mercantili ed ausiliarie, due bacini galleggianti, un pontone gru e naviglio minore) ordinato dal contrammiraglio Mario Bonetti, comandante della piazza di Massaua, per distruggere tutte le navi non in grado di sfuggire alla cattura ed al contempo rendere inutilizzabile il porto al nemico, pochi giorni prima dell’occupazione di Massaua l’Acerbi venne rimorchiata fino all’imboccatura del porto militare e qui autoaffondata insieme ai piroscafi da carico Moncalieri, XXIII Marzo ed Oliva ed al piroscafetto requisito Impero, ostruendo in tal modo l’accesso al porto militare. Questa versione appare la più verosimile, in quanto suffragata dalle carte realizzate dai britannici durante l’occupazione della città ed indicanti le posizioni dei numerosi relitti presenti nel porto: l’Acerbi appare appunto affondata nell’imbocco del porto militare insieme a Moncalieri, XXIII Marzo, Impero ed Oliva, risultando l’ultima verso est di una fila di navi affondate in modo da formare una barriera che, da ovest verso est, vedeva affondati Moncalieri, XXIII Marzo, Oliva, Impero ed Acerbi. Quasi nessuna fonte indica una precisa data di autoaffondamento, salvo una, che lo data al 4 aprile 1941; per un’altra, la torpediniera, insieme ad alcuni MAS, fu una delle ultime unità ad autoaffondarsi, appena un’ora prima che le truppe nemiche arrivassero a Massaua.
Cosa ne sia stato del
relitto dell’Acerbi, a seguito delle
operazioni di recupero intraprese da parte alleata per liberare il porto di
Massaua dai relitti, non è dato sapere. Probabilmente la vecchia torpediniera
fu semplicemente riportata a galla e demolita, senza nemmeno che qualcuno si
premurasse di registrarne la fine.
Un’altra immagine della Giovanni Acerbi (Imperial War Museum,
via www.navweaps.com)
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