Cacciatorpediniere
della prima serie della classe Soldati (dislocamento standard 1850 t, in carico
normale 2140 t, a pieno carico 2460 t). Tra il giugno 1943 ed il settembre 1943
effettuò 124 missioni di guerra, percorrendo 47.000 miglia.
Una foto aerea dell’unità (g.c. Associazione Nazionale Granatieri di Sardegna)
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Breve e parziale cronologia.
Impostazione nei
Cantieri Navali Riuniti di Palermo.
24 aprile 1938
Varo nei Cantieri
Navali Riuniti di Palermo.
1° febbraio 1939
Entrata in servizio.
15 giugno 1939
Consegna della
bandiera di combattimento, in una cerimonia collettiva a Livorno, insieme a
tutte le undici unità gemelle.
1939
Assegnato alla XIII
Squadriglia Cacciatorpediniere. Compie una crociera in Spagna.
10 giugno 1940
All’entrata
dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il Granatiere è l’unità caposquadriglia della XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere, che forma insieme ai gemelli Bersagliere, Fuciliere ed
Alpino. La XIII Squadriglia è
assegnata alla VII Divisione incrociatori (II Squadra Navale).
Il Granatiere nel 1940, sullo sfondo una corazzata classe Littorio
(tratta da Elio Andò, Erminio Bagnasco. “Marina Italiana. Le operazioni
nel Mediterraneo. Giugno 1940 - Giugno 1942.” Milano, Intergest, 1976, via
it.wikipedia.org)
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22-24 giugno 1940
Il Granatiere (caposquadriglia) ed il resto
della XIII Squadriglia compiono un’infruttuosa incursione contro il traffico
mercantile francese nel Mediterraneo occidentale insieme alla VII Divisione
incrociatori, con la copertura a distanza della II Squadra Navale (Divisioni
incrociatori I, II e III più l’incrociatore pesante Pola, Squadriglie Cacciatorpediniere IX, X e XII). Il gruppo VII
Divisione-XIII Squadriglia, dopo essersi trasferito da Napoli a Cagliari nella
notte tra il 21 ed il 22, lascia Cagliari alle 19.30 del 22, per portarsi entro
l’alba del 23 in un punto trenta miglia ad est di Porto Mahon, per poi dirigere
verso nord sino alle 8.30. Nessuna unità nemica viene trovata, e dalle 13.45
alle 16.30 la formazione viene pedinata da un ricognitore francese (che rimane
fuori dalla portata delle artiglierie contraeree), venendo poi infruttuosamente
attaccata alle 17 da un singolo bombardiere francese. Alle 19.30 del 23 le navi
fanno ritorno a Cagliari e, dopo il necessario rifornimento, ripartono per
Napoli, così sfuggendo ad un bombardamento su Cagliari effettuato nel mattino
del 24 da una dozzina di velivoli britannici con obiettivo proprio le unità
italiane, che erano state fatte subito ripartire proprio in previsione di un
attacco simile.
7-11 luglio 1940
Parte da Palermo alle
12.35 insieme al resto della XIII Squadriglia ed alla VII Divisione
(incrociatori leggeri Eugenio di Savoia,
Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli), incaricata di dare scorta indiretta ad un
convoglio diretto in Libia (motonavi da carico Marco Foscarini, Francesco
Barbaro e Vettor Pisani, motonavi
passeggeri Esperia e Calitea, con la scorta diretta dei due
incrociatori leggeri della II Divisione, dei quattro cacciatorpediniere della X
Squadriglia, delle quattro torpediniere della IV Squadriglia e delle vecchie
torpediniere Rosolino Pilo e Giuseppe Missori). Il resto della II
Squadra Navale (incrociatore pesante Pola,
I e III Divisioni incrociatori con cinque navi in tutto e IX, XI e XII
Squadriglia Cacciatorpediniere) fornisce anch’essa scorta indiretta al
convoglio, stando però 35 miglia ad est di esso. La I Squadra Navale (V
Divisione con le corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour, IV e VIII Divisione con sei incrociatori leggeri,
VII, VIII, XV e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere con 13 unità) è in mare a
sostegno dell’operazione.
Giunto il convoglio a
destinazione, la flotta italiana si avvia sulla rotta di rientro (la VII
Divisione con la XIII Squadriglia dirige perciò su Palermo), ma viene informata
che anche la Mediterranean Fleet è in mare per un’operazione simile, quindi
dirige per incontrare il nemico. Il 9 luglio la XIII Squadriglia (compreso il Granatiere che ne è il caposquadriglia),
come altre squadriglie di cacciatorpediniere, viene autorizzata a rifornirsi ad
Augusta prima di riprendere il mare per il previsto punto di riunione delle
forze navali italiane (37°40’ N e 17°20’ E, 65 miglia a sudest di Punta Stilo,
con incontro previsto per le 14 od al massimo, per i cacciatorpediniere
distaccati a rifornirsi, per le 16). Ricongiuntasi con la VII Divisione, la
XIII Squadriglia dirige insieme ad essa per riunirsi al grosso delle forze da
battaglia italiane, ma la VII Divisione (e la XIII Squadriglia) raggiunge in
ritardo, a combattimento già in corso, la squadra italiana (la VII Divisione,
proveniente da sud-sud-ovest, viene avvistata dal resto della flotta poco prima
che quest’ultima avvisti anche la Mediterranean Fleet, che si trova nella
direzione opposta, e diriga contro di essa, così ritardando il
ricongiungimento), così che non ha modo di partecipare allo scontro; terminata
la battaglia in un nulla di fatto, la VII Divisione con la XIII Squadriglia,
senza neanche riunirsi alla flotta italiana, fa rotta su Palermo, e
successivamente, attraversato lo stretto di Messina, riceve l’ordine di
dirigere su Napoli.
30 luglio-2 agosto 1940
Il Granatiere, partito da Palermo, fornisce
protezione a distanza, insieme ai gemelli Bersagliere,
Ascari e Fuciliere, agli incrociatori pesanti Pola, Zara, Fiume, Trento e Gorizia, agli
incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano,
Alberto Di Giussano, Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi, Eugenio
di Savoia, Montecuccoli ed Attendolo ed alla IX, XII e XV
Squadriglia Cacciatorpediniere (undici unità in tutto), a due convogli diretti
in Libia (partiti da Napoli e diretti l’uno a Tripoli e l’altro a Bengasi) e
comprensivi in tutto di dieci trasporti (Maria
Eugenia, Gloria Stella, Mauly, Bainsizza, Col di Lana, Francesco Barbaro, Città di Bari, Marco Polo,
Città di Napoli e Città di Palermo), quattro
cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco) e
dodici torpediniere (Orsa, Procione, Orione, Pegaso, Circe, Climene, Clio, Centauro, Airone, Alcione, Aretusa ed Ariel). L’operazione è denominata «Trasporto Veloce Lento».
Entrambi i convogli raggiungono senza danni le loro destinazioni tra il 31
luglio ed il 1° agosto.
30 agosto 1940
La XIII Squadriglia,
essendo stata dislocata a Taranto per essere assegnata alla IX Divisione (I
Squadra) a partire dal 1° settembre, lascia Palermo per raggiungere la nuova
base.
1-2 settembre 1940
Salpa da Reggio
Calabria e partecipa ad una ricognizione in forze ad ovest di Capo Matapan, a
contrasto dell’operazione britannica «Hats». La XIII Squadriglia cui appartiene
parte da Taranto alle sei del mattino del 31 agosto insieme alla IX Divisione
(corazzate Littorio e Vittorio Veneto), alla V Divisione
(corazzate Caio Duilio, Conte di Cavour e Giulio Cesare, quest’ultima aggregatasi solo il
1° settembre a causa di avarie), alla I Divisione (incrociatori pesanti Zara, Pola,
Fiume e Gorizia), all’VIII Divisione (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) ed ad altri 23 cacciatorpediniere.
Complessivamente all’alba del 31 prendono il mare da Taranto, Brindisi e
Messina 4 corazzate, 13 incrociatori della I, III, VII e VIII Divisione e 39
cacciatorpediniere. Alle 22.30 la formazione italiana riceve l’ordine di
impegnare le forze nemiche a nord della congiungente Malta-Zante, dunque deve
cambiare la propria rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere contatto
con esse), dirigendo più verso sudovest (verso Malta) e superando la
congiungente Malta-Zante. Il mattino del 1° settembre, tuttavia, il vento, già
in aumento dalla sera precedente, dà origine ad una violenta burrasca, che
costringe la flotta italiana a tornare alle basi, perché i cacciatorpediniere
non sono in grado di tenere il mare compatibilmente con le necessità operative.
Poco dopo la mezzanotte del 1° settembre le unità italiane entrano nelle
rispettive basi; tutti i cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle
sovrastrutture) dal mare mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare.
7-9 settembre 1940
Parte da Taranto,
compie una crociera di guerra nel Mediterraneo occidentale e fa ritorno a
Napoli. La flotta italiana (5 corazzate, 6 incrociatori e 19
cacciatorpediniere) lascia infatti Taranto alle 16 del 7 diretta a sud della
Sardegna, per intercettare la Forza H britannica che si presume diretta verso
Malta. La ricognizione aerea, tuttavia, non avvista nessuna nave nemica (la
Forza H, infatti, aveva lasciato Gibilterra per un’operazione da svolgersi non
nel Mediterraneo ma nell’Atlantico), dunque alle 16 dell’8 settembre la
formazione italiana, arrivata a sud della Sardegna, inverte la rotta e
raggiunge le basi del Tirreno meridionale, da dove il 10 tornerà nelle basi di
dislocazione normale (Taranto e Messina).
Partecipa ad una
ricognizione in forze nel Mar Ionio meridionale. La sera del 29 settembre sono
infatti uscite in mare da Taranto il Pola,
le divisioni I, V, VII, VIII e IX e 19 cacciatorpediniere (il Pola con la I Divisione e 4
cacciatorpediniere alle 18.05 e le altre unità alle 19.30) e da Messina la III
Divisione con 4 cacciatorpediniere per contrastare un’operazione britannica in
corso. La formazione uscita da Taranto assume rotta 160° e velocità 18 nodi,
riunendosi con le navi provenienti da Messina alle 7.30 del 30 settembre. In
mancanza di elementi sufficienti ad apprezzare la composizione ed i movimenti
della Mediterranean Fleet ed in considerazione dello svilupparsi di una
burrasca da scirocco (che avrebbe reso impossibile una navigazione ad alta
velocità verso sud da parte dei cacciatorpediniere) Supermarina decide di
rinunciare a contrastare l’operazione ed ordina alle unità in mare di invertire
la rotta alle 6.25 del 30 ed incrociare dapprima tra i paralleli 37° e 38°, poi
(dalle 10.30) 38° e 39° ed alle 14 fare rotta verso sudovest sino a raggiungere
il 37° parallelo, poi, alle 17.20, di rientrare alle basi. Navigando nella
burrasca, la flotta italiana raggiunge le basi tra l’una e le quattro del
mattino del 1° ottobre, vi si rifornisce in fretta e rimane in attesa di
un’eventuale nuova uscita per riprendere il contrasto, ma in base alle nuove
informazioni ottenute ciò risulterà impossibile, pertanto, alle 14.00 del 2
ottobre, le navi riceveranno l’ordine di spegnere le caldaie.
11-12 novembre 1940
Nella notte tra l’11
ed il 12 novembre il Granatiere è a
Taranto (alla fonda in Mar Piccolo a poppa sinistra rispetto all’incrociatore
pesante Trieste) quando un attacco di
aerosiluranti affonda la corazzata Conte
di Cavour e danneggia gravemente
le corazzate Caio Duilio e Littorio (attacco noto come “notte di
Taranto”), ma non riporta alcun danno.
Nel pomeriggio del 12
novembre la nave, insieme al resto della XIII Squadriglia, alla X Squadriglia
ed alle corazzate Vittorio Veneto, Giulio Cesare ed Andrea Doria
(uniche uscite indenni dall’attacco) lascia Taranto, base non più sicura, e
raggiunge Napoli.
16-18 novembre 1940
Lascia Napoli e
prende parte ad una crociera di guerra nel Mediterraneo occidentale per
intercettare una formazione navale nemica individuata con rotta verso est.
Complessivamente alle 10.30 del 16 prendono il mare Vittorio Veneto e Cesare,
I Divisione (da Napoli) e III Divisione (da Messina) e le Squadriglie
Cacciatorpediniere IX, XII, XIII e XIV. Raggiunto alle 16.30 un punto
prestabilito 45 miglia a nord-nord-est di Ustica, la formazione italiana dirige
poi verso ovest ed alle 17.30 arriva 35 miglia a sudovest di Sant’Antioco. Dopo
aver navigato per un po’ in direzione dell’Algeria, la squadra italiana riceve
l’ordine rientrare.
26-28 novembre 1940
Tra le 11.50 e le
12.30 del 26 il Granatiere lascia
Napoli unitamente alle altre unità della XIII Squadriglia (di cui è ancora
caposquadriglia), alla VII Squadriglia Cacciatorpediniere (Dardo, Freccia e Saetta) ed alle corazzate Vittorio Veneto e Giulio Cesare (prendono
il mare al contempo anche l’incrociatore pesante Pola, la I Divisione con due unità e la IX Squadriglia
Cacciatorpediniere con quattro unità). La formazione italiana (vi sono anche la
III Divisione e la XII Squadriglia Cacciatorpediniere partite da Messina) si
riunisce 70 miglia a sud di Capri alle 18.00 del 26 novembre, assumendo poi
rotta 260° e velocità 16 nodi, per intercettare un convoglio britannico diretto
a Malta. XIII e VII Squadriglia scortano le due corazzate (così formando la I
Squadra). Tra le 8.30 e le 9.10 la I Squadra, rimanendo indietro rispetto agli
incrociatori (che formano la II Squadra), a poppavia dei quali sta procedendo,
accelera a 17 e poi a 18 nodi per ridurre la distanza. Alle 9.50 le corazzate
avvistano un ricognitore britannico Bristol Blenheim, contro cui aprono il
fuoco alle 10.05 (il velivolo si allontana). Alle 11 la formazione inverte la rotta
ed aumenta la velocità da 16 a 18 nodi, ed alle 11.28 assume rotta 135°, per
intercettare la formazione britannica che (dalle segnalazioni dei ricognitori)
risulta avere posizione differente da quella prevista. Alle 12.07, in seguito
alla constatazione che la formazione britannica appare superiore a quella
italiana (i cui ordini sono di impegnarsi solo se in condizioni di sicura
superiorità) l’ammiraglio Inigo Campioni, al comando della flotta italiana,
ordina di assumere rotta 90° per rientrare alle basi senza ingaggiare il
combattimento, e di aumentare la velocità. Alle 12.15, tuttavia, vengono
avvistate le sopraggiungenti navi britanniche, pertanto viene ordinato di
incrementare ancora la velocità (che è di 25 nodi per la I Squadra e di 28 per
la II Squadra, che deve riunirsi alla I essendo più indietro). Alle 12.20 gli
incrociatori della II Squadra aprono il fuoco da 21.500-22.000 metri. Per
avvicinarsi rapidamente alla II Squadra, alle 12.27 la I Squadra inverte la
rotta ad un tempo sulla dritta, ed alle 12.35 inverte nuovamente la rotta,
sempre a dritta; poco dopo un gruppo di aerosiluranti britannici, decollati
dalla portaerei Ark Royal, si porta a
650 metri dalle corazzate (tra queste ed i cacciatorpediniere della scorta) e
lancia infruttuosamente i propri siluri, undici, tutti evitati con la manovra.
I cacciatorpediniere rispondono con un intenso tiro delle mitragliere
contraeree, così come le corazzate (con i loro pezzi da 90 ed anche da 152 mm
oltre alle mitragliere). Alle 13.00 la Vittorio
Veneto apre il fuoco da poco meno di 29.000 metri, ma le unità britanniche
subito accostano a dritta e la distanza aumenta a 31.000 metri, costringendo la
corazzata a cessare il fuoco già alle 13.10. Alle 13.15, essendo la distanza
(della II Squadra dalle forze britanniche) salita a 26.000 metri, il tiro viene
cessato anche dagli incrociatori, viene rotto il contatto. Ha così fine
l’inconclusiva battaglia di Capo Teulada. Alle 21 del 27 novembre le navi
italiane assumono rotta nord a 15 nodi e procedono sino alle 00.30, poi
dirigono verso est fino alle 7.30 del 28, dopo di che seguono le rotte
costiere, arrivando a Napoli tra le 13.25 e le 14.40 del 28.
15 dicembre 1940
Intorno alle 17 il Granatiere, insieme al resto della XIII
Squadriglia, alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII e IX, alle corazzate Giulio Cesare e Vittorio Veneto ed agli incrociatori pesanti Zara e Gorizia, lascia
Napoli diretto a La Maddalena, dove le navi sono state temporaneamente
trasferite per sottrarle ad altri attacchi aerei britannici dopo che, nelle
settimane precedenti, vari bombardamenti hanno causato vari danni. Le unità
rimangono a La Maddalena, porto non molto più al sicuro di Napoli dagli
attacchi aerei, solo per i pochi giorni necessari all’approntamento a Napoli di
adeguate contromisure contro i bombardamenti (tra cui impianti per
l’annebbiamento del porto).
20 dicembre 1941
Le navi rientrano a
Napoli.
In serata il Granatiere, con il resto della XIII Squadriglia
e con la VII Squadriglia, lascia Napoli e si trasferisce a La Spezia scortando
le corazzate Vittorio Veneto e Giulio Cesare, fatte partire da Napoli
per sottrarle ad eventuali attacchi aerei (per maggior sicurezza) dopo la
scoperta che le forze navali britanniche sono impegnate nell’operazione
«Excess».
8-11 febbraio 1941
Alle 18.45 dell’8
febbraio il Granatiere ed il resto
della sua squadriglia (meno il Bersagliere,
che è ai lavori) oltrepassano le ostruzioni della base di La Spezia, prendendo
il mare insieme alle corazzate Vittorio
Veneto, Giulio Cesare ed Andrea Doria ed alla X Squadriglia
Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco) per
intercettare l’aliquota della Forza H britannica che sta facendo rotta su
Genova con l’intento di bombardare il capoluogo ligure (ma l’obiettivo della
Forza H non è noto ai comandi italiani). Una volta in mare il Granatiere ed il resto della XIII
Squadriglia assumono posizione di scorta ravvicinata a sinistra (la X
Squadriglia assume invece la scorta ravvicinata a dritta) delle tre navi da
battaglia, che procedono su rotta 220° ad una velocità di 16 nodi. Alle otto
del mattino del 9 le unità uscite da La Spezia si riuniscono, a 40 miglia ad
ovest di Capo Testa sardo, alla III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano) partita da Messina unitamente
ai cacciatorpediniere Carabiniere e Corazziere, ed alle 8.25 l’intera
formazione assume rotta 230°, dirigendo per quella che è ritenuta la probabile
zona ove si trovano le navi nemiche, nell’ipotesi, errata, che la loro azione
sia diretta contro la Sardegna.
La squadra italiana
non raggiunge così la Forza H prima che il bombardamento di Genova si compia, e
viene inviata alla sua ricerca mentre questa rientra a Gibilterra: alle 9.35 le
navi italiane assumono rotta 270° (verso ovest), ed alle dieci, in seguito alle
informazioni pervenute con nuovi messaggi, fanno rotta verso nord. Alle 12.44,
dopo vari messaggi contraddittori su rotta e posizione delle forze britanniche,
la formazione italiana assume rotta 330° in modo da poterle intercettare nel
caso stiano navigando verso ovest seguendo rotte costiere, ma alle 13.16, dopo
aver ricevuto nuovi messaggi, le corazzate accostano di 60° assumendo rotta 30°
(la III Divisione assume invece rotta 50° alle 13.07), accelerando a 24 nodi, e
la XIII Squadriglia riceve l’ordine di riunirsi e posizionarsi all’estremità
meridionale della formazione (analogamente fa la X Squadriglia, che però si
posiziona all’estremità settentrionale). Alle 13.21 viene diramato l’ordine a
tutte le unità di prepararsi al combattimento, ritenendo prossimo l’incontro
con il nemico, ed alle 15.24 e 15.38 vengono avvistate delle navi sospette, che
però si rivelano essere mercantili francesi in navigazione. Alle 15.50 la
squadra italiana accosta verso ovest e prosegue a 24 nodi per intercettare la
Forza H nel caso stia navigando verso ovest lungo la costa francese, ma alle
17.20 la velocità viene ridotta a 20 nodi, mentre vengono meno le speranze di
trovare le navi britanniche. Alle 18 le navi accostano verso nord, ed alle 19
verso est, riducendo la velocità a 18 nodi e cessando il posto di
combattimento. Durante la notte, in seguito ad un ordine ricevuto alle 22.50,
la squadra italiana incrocia nel golfo di Genova a 15 nodi (accelerando poi a
20 nodi alle otto del mattino del 10), venendosi così a trovare, alle nove del
mattino del 10, al centro del quadratino 19-61, come ordinato. Alle 9.07 viene
ricevuto l’ordine di rientrare a Napoli (Messina per la III Divisione), dove le
navi arrivano nel mattino dell’11 febbraio.
27-29 marzo 1941
Il Granatiere (CV Vittorio De Pace,
caposquadriglia) e le altre tre navi della XIII Squadriglia lasciano Messina,
assegnate alla scorta della corazzata Vittorio
Veneto, che insieme alla I Divisione (Zara,
Pola, Fiume), alla III Divisione (Trento,
Trieste, Bolzano), alla VIII Divisione (incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi), alla IX Squadriglia
Cacciatorpediniere (Vittorio Alfieri,
Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè
Carducci), alla XVI Squadriglia (Nicoloso
Da Recco, Emanuele Pessagno) ed alla XII Squadriglia (Ascari, Corazziere, Carabiniere),
parteciperà all’operazione «Gaudo», un incursione contro il naviglio britannico
nel Mediterraneo orientale, a nord di Creta. Alle 6.15 del 27, davanti a
Messina, la XIII Squadriglia rileva la X Squadriglia (Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco) che ha scortato la Vittorio
Veneto da Napoli sino a lì, e che entra a Messina, rifornendosi e
restandovi poi pronta a muovere.
La navigazione
prosegue senza incidenti sino alle 12.25 del 27 marzo, quando il Trieste comunica che la III Divisione è
stata avvistata da un ricognitore britannico Short Sunderland; in seguito a
questo, la squadra italiana, poco dopo le 14, accosta per 150° (prima la rotta
era 134°) per trarre in inganno il velivolo, e segue questa rotta sino alle 16,
per poi riaccostare per 130°, e poi – alle 19.30 – per 98° portando la velocità
a 23 nodi, in modo da arrivare nel punto prestabilito a sud di Gaudo all’alba
del 28. Alle 22 del 27 Supermarina annulla l’attacco a nord di Creta, dato che
dalla ricognizione risulta che non vi sono convogli da attaccare.
Alle 6.35 del mattino
del 28 un idroricognitore catapultato dalla Vittorio
Veneto avvista la Forza B britannica (composta dagli incrociatori leggeri Orion, Ajax, Perth e Gloucester e dai cacciatorpediniere Vendetta, Hasty, Hereward ed Ilex), in navigazione con rotta stimata
135° e velocità 18 nodi una quarantina di miglia ad est-sud-est dall’ammiraglia
italiana. Alle 6.57, mentre la III Divisione riceve l’ordine di assumere rotta
135° e velocità 30 nodi (per raggiungere gli incrociatori britannici, poi
dirigere verso la Vittorio Veneto ed
attirarli così verso la corazzata), il resto della formazione italiana aumenta
la velocità a 28 nodi.
Alle 7.55 la III
Divisione avvista la Forza B, ma dato che anche la Forza B cerca di attirare le
navi italiane verso il grosso della Mediterranean Fleet (tra cui le corazzate Barham, Valiant e Warspite e la
portaerei Formidable, della cui
presenza in mare gli italiani sono del tutto all’oscuro), e pertanto si ritira,
la manovra pianificata dall’ammiraglio Iachino (comandante la squadra italiana)
non si concretizza, e sono invece le navi italiane ad inseguire quelle
britanniche. Ha così inizio lo scontro di Gaudo. Terminato l’infruttuoso
inseguimento e scambio di cannonate, le navi italiane alle 8.55 accostano per
270° ed assumono rotta 300° e velocità di 28 nodi, seguite a distanza dalla
Forza B, che tiene informato il resto della Mediterranean Fleet dei movimenti
delle unità italiane. Essendosene reso conto, alle 10.02 l’ammiraglio Iachino
ordina alla III Divisione di proseguire sulla sua rotta, mentre la Vittorio Veneto (scortata dalla XIII
Squadriglia) e le altre navi invertono la rotta (assumendo rotta 90°) per
sorprendere alle spalle la Forza B (portandosi ad est delle navi britanniche e
poi accostando verso sud), porla tra due fuochi (la III Divisione ed il resto
della formazione italiana) ed impedirne la ritirata. Le unità della Forza B
sono però più a nord di quanto ritenuto (e segnalato) e pertanto l’incontro
avviene alle 10.50: alle 10.56 la Vittorio
Veneto apre il fuoco da 23.000 metri, e la Forza B subito accosta verso sud
e si ritira inseguita dalle navi italiane, ma le distanze vanno aumentando ed
il tiro della Vittorio Veneto risulta
inefficace. Alle 10.57 vengono avvistati sei aerei che si rivelano poi essere
aerosiluranti britannici (decollati dalla Formidable),
che alle 11.18 attaccano: la corazzata italiana accosta sulla dritta, e la XIII
Squadriglia si porta in posizione adatta ad impedire l’attacco, aprendo intenso
fuoco contraereo; alle 11.25 gli aerosiluranti lanciano, ma sono costretti a
farlo da una distanza eccessiva, ed i siluri non vanno a segno.
Successivi messaggi e
segnalazioni, che confermano l’assenza di traffico convogliato britannico da
attaccare, fanno decidere all’ammiraglio Iachino di proseguire nella
navigazione di ritorno verso le basi italiane.
Alle 14.30, 15.01 e
15.40 la Vittorio Veneto viene
attaccata da bombardieri in quota britannici (le bombe cadono a 50-150 metri
dalle navi); anche la I e la III Divisione subiscono ripetuti attacchi aerei.
Alle 15.19 si
verifica un secondo attacco di aerosiluranti che, in tre, attaccano la
corazzata, mentre dei caccia attaccano le unità della XIII Squadriglia; anche
dei bombardieri in quota partecipano all’attacco. Il Granatiere viene mitragliato da un caccia ed ha alcuni feriti tra
l’equipaggio, ma risponde al fuoco, ritenendo, erroneamente, di aver abbattuto
l’aereo attaccante. L’intenso tiro contraereo dei cacciatorpediniere della XIII
Squadriglia colpisce uno degli aerosiluranti (pilotato dal capitano di corvetta
John Dalyell-Stead), che però, prima di precipitare in mare con la morte dei
tre uomini di equipaggio (sarà l’unica perdita britannica nella battaglia),
riesce a ridurre le distanze con la Vittorio
Veneto a meno di 1000 metri ed a lanciare un siluro, che colpisce la nave
da battaglia a poppa, in posizione 35°00’ N e 22°01’ E. Alle 15.30 la Vittorio Veneto, che ha imbarcato 4000
tonnellate d’acqua, si immobilizza, ma dopo sei minuti rimette in moto, sebbene
a fatica: solo alle 17.13 riesce a sviluppare una velocità di 19 nodi. La
flotta italiana dirige su Taranto, ed alle 16.38 l’ammiraglio Iachino, in
previsione di altri attacchi aerei in arrivo al tramonto, ordina che le altre
unità si dispongano intorno alla danneggiata Vittorio Veneto per proteggerla da altri attacchi. La formazione
risulterà assunta alle 18.40, con cinque colonne di unità disposte in linea di
fila: da sinistra a destra, la XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Corazziere, Carabiniere, Ascari), la
III Divisione (Trieste, Trento, Bolzano), la Vittorio Veneto
preceduta da Granatiere (in testa) e Fuciliere (tra il Granatiere e la corazzata) e seguita da Bersagliere (tra la nave da battaglia e l’Alpino) ed Alpino (in
coda), la I Divisione (Zara, Pola, Fiume) e la IX Squadriglia (Vittorio
Alfieri, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci, Alfredo Oriani). Alle 18.23 (nel frattempo la velocità della Vittorio Veneto è scesa a 15 nodi)
vengono avvistati nove aerosiluranti britannici, che si tengono a distanza, ed
alle 19.15 la formazione italiana accosta per conversione ed assume rotta 270°
(in modo da essere meno illuminate possibile dal sole che tramonta) ed i
cacciatorpediniere in coda iniziano a stendere cortine fumogene. Alle 19.28 gli
aerosiluranti si avvicinano – le navi più esterne accendono i proiettori –,
alle 19.30 vi è una nuova accostata per conversione (rotta assunta 300°) e sei
minuti dopo tutti i cacciatorpediniere emettono cortine fumogene ed aprono il
fuoco, mentre gli aerei passano all’attacco: alle 19.50 il Pola viene colpito ed immobilizzato da un siluro intorno. Cessato
l’attacco, e calato il buio, alle 19.50 si spengono i proiettori ed alle 20.11
cessa l’emissione di cortine fumogene. Alle 20.05 l’ammiraglio Iachino ordina
alla XIII Squadriglia di assumere posizione di scorta ravvicinata, mentre la I
e la III Divisione si posizionano 5 km rispettivamente a prua ed a poppa della
nave ammiraglia. Proprio in quei minuti si scopre che il Pola è stato immobilizzato (dapprima si era ritenuto che l’attacco
fosse stato respinto senza danni), ed alle 21.06 la I Divisione invertirà la
rotta per andare al soccorso dell’incrociatore colpito. Questa decisione, poi
molto discussa, porterà al disastro: la I Divisione verrà infatti sorpresa mentre
raggiunge il Pola dalle corazzate
britanniche Barham, Valiant e Warspite e sarà annientata, con la perdita di Zara, Pola, Fiume, Alfieri e Carducci oltre
che dello stesso Pola (e di oltre
2300 uomini), in quella che rimarrà la peggior sconfitta mai subita dall’Italia
sul mare. Dopo la separazione dalla I Divisione, il resto della squadra
italiana prosegue con rotta 323° e velocità 19 nodi alla volta di Taranto: la
navigazione prosegue senza incidenti sino alle 22.30 quando, in lontananza,
vengono avvistate le vampate di artiglierie: le navi italiane assistono alla
fine della I Divisione. I bagliori delle ultime esplosioni vengono visti alle
23.55. Il resto della formazione italiana (compreso il Granatiere), inutilmente cercato dalla Forza B (che invece trova il
Pola immobilizzato, scambiandolo per
la Vittorio Veneto) e da una
flottiglia di otto cacciatorpediniere britannici al comando del capitano di
vascello Philip Mack fin dopo mezzanotte, assume alle 9.08 del 29 marzo rotta
343° (mettendo la prua su Taranto), ed arriva a Taranto poco dopo le 15.30.
A Taranto il Granatiere sbarca quattro uomini feriti
dal mitragliamento aereo, due in maniera lieve e due più gravi. Anche la
cagnetta di bordo, Lulù, è stata ferita da una scheggia. Quando il 1° aprile il
comandante De Pace, insieme al corrispondente di guerra Vero Roberti, visita i
feriti all’ospedale San Giorgio, la loro unica domanda è per la corazzata
colpita: “La Vittorio è salva?”.
Nella funesta
operazione il Granatiere ha dovuto
lamentare anche un morto: il marinaio fuochista Antonio Caccioppoli,
ventunenne, di Vico Equense, deceduto a bordo il 29 marzo.
23 aprile 1941
Dopo aver preso parte
all’occupazione dell’isola di Lissa, ha un’avaria e rientra a Brindisi scortato
dal gemello Bersagliere.
19 maggio 1941
Lascia Palermo per
dare scorta indiretta, unitamente a Bersagliere,
Alpino, Duca degli Abruzzi e Garibaldi,
ad un convoglio composto dai mercantili Preussen,
Sparta, Capo Orso, Motia e Castelverde e dalle navi cisterna Superga e Panuco (il 26.Seetransport Konvoi) partito da Napoli alle 18.30 del
16 con la scorta dei cacciatorpediniere Turbine,
Euro, Folgore, Fulmine e Strale.
20 maggio 1941
Alle 9.32 il
sommergibile britannico Urge avvista
la forza di copertura di cui fa parte il Granatiere
(una quarantina di miglia a nordovest di Lampedusa), ed alle 9.47 individua
anche il convoglio, in posizione 35°44’ N e 11°59’ E; passa all’attacco
lanciando quattro siluri contro il Capo Orso
ma non lo colpisce, e subisce poi il contrattacco della scorta, che lancia
dieci bombe di profondità.
21 maggio 1941
All’una del
pomeriggio l’Urge avvista nuovamente,
in posizione 35°42’ N e 12°24’ E (al largo di Lampedusa), la formazione cui
appartiene il Granatiere, ed alle
13.04 lancia quattro siluri da 5500 metri: due delle armi passano vicino all’Alpino, ma nessuna colpisce. Uno dei
cacciatorpediniere contrattacca con tredici bombe di profondità.
Lo stesso giorno,
alle 11.00, il convoglio arriva indenne a Tripoli, ed il Granatiere rientra a Palermo.
2-4 giugno 1941
Lascia Palermo
insieme Duca degli Abruzzi, Garibaldi, Bersagliere, Fuciliere ed
Alpino, per dare scorta indiretta al
convoglio «Aquitania» (navi da carico Aquitania,
Caffaro, Nirvo, Montello e Beatrice Costa, motocisterna Pozarica, scortati dai
cacciatorpediniere Dardo, Aviere, Geniere e Camicia Nera e
dalla torpediniera Giuseppe Missori)
in navigazione da Napoli a Tripoli. Ad una ventina di miglia dalle isole
Kerkenah, tuttavia, il convoglio subisce un attacco aereo che provoca la
perdita di Montello (saltato in aria
con tutto l’equipaggio) e Beatrice Costa
(danneggiata in modo irrimediabile e finita dallo stesso Camicia Nera). Il 4 il Granatiere
torna a Palermo.
27-29 luglio 1941
Esce da Palermo
insieme al Bersagliere ed alla VIII
Divisione, composta da Garibaldi e Montecuccoli, come forza di sostegno per
otto convogli in mare tra Italia e Libia (in particolare del convoglio
«Ernesto», partito da Tripoli alle 7.00 del 27 e con arrivo previsto a Napoli
alle 3.10 del 30). Alle 19.40 del 28 luglio il sommergibile britannico Upholder avvista la formazione (in
navigazione a 28 nodi con rotta stimata 355°) al largo di Marettimo, ed alle
19.51, in posizione 38°04’ N e 11°57’ E, lancia quattro siluri contro il Garibaldi: alle 19.55 l’incrociatore è
colpito a prua e riporta seri danni. Alle 20.20 anche il Fuciliere e l’Alpino,
distaccati dalla scorta del convoglio «Ernesto», raggiungono il danneggiato Garibaldi. L’incrociatore, con le
siluranti della scorta, arriva a Palermo alle 6.30 del 29.
26-29 settembre 1941
Granatiere (sempre caposquadriglia), Bersagliere,
Fuciliere e Gioberti (quest’ultimo aggregato temporaneamente alla XIII
Squadriglia) prendono il mare da Napoli unitamente alle navi da battaglia Littorio e Vittorio Veneto (IX Divisione) ed alla XVI Squadriglia (Folgore, Da Recco, Pessagno) per
raggiungere ed attaccare un convoglio britannico diretto a Malta e scortato
dalla Forza H britannica con tre corazzate ed una portaerei, oltre a cinque
incrociatori e 18 cacciatorpediniere (operazione britannica «Halberd»). Partono
anche la III (Trento, Trieste, Gorizia) e la VIII Divisione (Duca
degli Abruzzi, Attendolo)
rispettivamente da Messina e La Maddalena, accompagnate rispettivamente dalla
XII (Lanciere, Carabiniere, Corazziere, Ascari) e dalla X Squadriglia
Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Scirocco). A mezzogiorno del 27 la III, la VIII e la IX Divisione,
con le rispettive squadriglie di cacciatorpediniere, si riuniscono una
cinquantina di miglia ad est di Capo Carbonara, per intercettare il convoglio,
poi dirigono verso sud a 24 nodi per l’intercettazione. Risultando però – in
seguito alle segnalazioni dei ricognitori – in inferiorità rispetto alla forza
britannica, e per giunta sprovvista di copertura aerea, la squadra italiana
alle 14.30 inverte la rotta per portarsi fuori dal raggio degli aerosiluranti
nemici. Alle 15.30 sopraggiungono tre caccia italiani FIAT CR. 42 assegnati
alla scorta aerea, ma, per via della loro somiglianza agli aerosiluranti
britannici (sono anch’essi biplani), vengono inizialmente scambiati per aerei
inglesi ed il Fuciliere ne abbatte il
capo pattuglia, mentre gli altri due si allontanano. Il pilota dell’aereo,
fortunatamente, rimane illeso e può paracadutarsi, venendo poi recuperato dal Granatiere. Alle 17.18, avendo ricevuto
comunicazioni secondo cui la squadra britannica avrebbe subito pesanti danni a
causa degli attacchi aerei, la formazione italiana dirige nuovamente verso sud
(prima stava procedendo verso nord), salvo invertire nuovamente la rotta alle
18.14, portandosi al centro del Mar Tirreno. Alle otto del mattino del 28 le
navi italiane, come ordinato, raggiungono un punto 80 miglia ad est di Capo
Carbonara, poi fa rotta per ovest-sud-ovest ma infine, alle 14.00, dato che i
ricognitori non trovano più alcuna nave nemica a sud ed ad ovest della Sardegna
(il convoglio è infatti passato) viene ordinato il rientro alle basi. Il Granatiere arriva a Napoli, con la IX
Divisione ed il resto della XIII Squadriglia, nella mattina del 29.
8 ottobre 1941
Alle 22.20 parte da
Napoli insieme a Bersagliere, Fuciliere ed Alpino (cui poi si aggrega l’anziana torpediniera Generale Antonio Cascino partita da
Trapani), di scorta al convoglio «Giulia» (navi da carico Giulia, Bainsizza, Zena e Casaregis, nave cisterna Proserpina)
diretto a Tripoli. Il Bainsizza deve
rientrare a Trapani per avarie, al pari del piroscafo Nirvo, partito insieme alla Cascino
e che non è neanche riuscito ad aggregarsi al convoglio. Il convoglio procede a
9 nodi scortato, di giorno, da aerei della Regia Aeronautica.
Il cacciatorpediniere in bacino di carenaggio (Coll. Guido Alfano via Marcello Risolo)
|
10 ottobre 1941
Alle 22.25, a seguito
della decifrazione dei messaggi italiani da parte dell’organizzazione
britannica “Ultra” (che con intercettazioni dell’8 e del 9 ottobre, cui
seguiranno anche altre “postume” l’11 ed il 12, ha indicato orari e porti di
partenza e di arrivo, composizione e velocità del convoglio; questo sarà il
secondo attacco ad un convoglio italiano causato da “Ultra”, ed il primo di una
lunga serie protrattasi con continuità sino al 1943), il convoglio viene
attaccato da aerosiluranti britannici Fairey Swordfish dell’830th
Squadron della Fleet Air Arm: lo Zena
ed il Casaregis vengono colpiti. Lo Zena affonda poco dopo le tre di notte
dell’11 nel punto 34°52’ N e 12°22’ E; si tenta di prendere a rimorchio il Casaregis, ma il tentativo è vanificato
dall’incendio scoppiato a bordo, e la nave alla deriva deve essere finita dalle
unità di scorta a mezzogiorno, affondando in posizione 34°02’ N e 14°42’ E (o
34°10’ N e 12°38’ E).
Le altre navi raggiungono
Tripoli alle 16.30 dell’11 ottobre.
8-9 novembre 1941
Alle 12.35 dell’8 Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed
Alpino e la III Divisione (Trento e Trieste) lasciano Messina per assumere la scorta indiretta del
convoglio «Beta» (poi divenuto più noto come convoglio «Duisburg», e composto
dalle navi da carico Duisburg, San Marco, Sagitta, Maria e Rina Corrado, navi cisterna Minatitlan e Conte di Misurata, con un carico complessivo di 34.473 t di
materiali, 389 autoveicoli e 243 militari), in navigazione alla volta di
Tripoli con la scorta diretta dei cacciatorpediniere Maestrale, Grecale, Fulmine, Euro, Libeccio ed Alfredo Oriani.
Nella notte tra l’8
ed il 9 novembre, circa 135 miglia a levante di Siracusa, il convoglio viene
attaccato (alle 00.57 del 9) dalla Forza K britannica (incrociatori leggerei Aurora e Penelope e cacciatorpediniere Lance
e Lively): tutti i trasporti ed il Fulmine sono affondati, il Grecale pesantemente danneggiato. La III
Divisione, con i relativi cacciatorpediniere, al momento dell’attacco sta
procedendo alla velocità di dodici nodi a poppavia ed ad est (sulla dritta) del
convoglio, ad una distanza di tre miglia (5 km), avvista la Forza K alle 00.59
ed i due incrociatori pesanti aprono il fuoco tra all’1.03, da 9800 metri; le
unità italiane accostano subito a dritta per 240°, poi assumono rotta 180°
all’1.09 ed all’1.26 invertono la rotta verso nord per intercettare la Forza K
– che sta aggirando il convoglio in senso antiorario – a poppavia del convoglio
(mantenendo per tutta la durata dell’azione un’insufficiente velocità che varia
tra i 16 ed i 20 nodi), ma tra l’1.25 e l’1.29 cessano il fuoco (dopo aver
sparato 207 colpi da 203 mm e 172 tra granate e proiettili illuminanti da 100 e
120 mm) ad una distanza che ormai è salita a 17.000 metri e, temendo un attacco
di aerosiluranti, si allontanano dall’area assumendo all’1.35 rotta verso
nordovest, rinunciando così ad intercettare la Forza K. Il Granatiere non ha sostanzialmente ruolo nello scontro. Il mattino
successivo, alle 11.08, il sommergibile HMS Upholder,
dopo aver affondato il Libeccio,
lancia tre siluri anche contro uno dei cacciatorpediniere di scorta della III
Divisione in posizione 37°10’ N e 18°37’E, ma le armi non vanno a segno. La III
Divisione rientra a Messina alle 22.30 del 9.
21 novembre 1941
Prende il mare e
scorta a Messina, unitamente al Garibaldi,
ai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi,
Antonio Da Noli, Alpino, Fuciliere, Carabiniere e Corazziere ed alla torpediniera Perseo,
il Duca degli Abruzzi, colpito da
aerosiluranti e pesantemente danneggiato mentre forniva scorta indiretta
nell’ambito di una fallita operazione di traffico (due convogli) verso la
Libia.
1 dicembre 1941
Alle 4.37 del 1° dicembre
il sommergibile britannico Upholder
avvista una formazione composta dagli incrociatori Raimondo Montecuccoli, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta e Muzio
Attendolo (la VII Divisione)
scortati da Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed i gemelli Aviere
e Geniere in posizione 39°08’ N e
17°31’ E, ed alle 5.01 lancia quattro siluri contro uno degli incrociatori,
senza colpirlo. La formazione, che non ha nemmeno notato l’attacco, arriva a
Taranto alle 11.20 del 1° dicembre.
9 dicembre 1941
Il Granatiere, il Bersagliere, il Fuciliere
e l’Alpino, in navigazione di
trasferimento da Taranto a Napoli, vengono avvistati alle 5.39 (dopo che i loro
rumori sono stati rilevati dall’idrofono alle 5.30), in posizione 37°42’ N e
15°49’ E, dal sommergibile britannico Unbeaten
(cui stanno inconsapevolmente andando direttamente incontro). L’Unbeaten prepara i siluri ma, in
considerazione della distanza troppo ridotta (che potrebbe far sì che i siluri
passino sotto gli scafi senza esplodere), non attacca.
13-15 dicembre 1941
Alle 17.40 dello
stesso giorno il Granatiere lascia
Taranto (per altra fonte Napoli) insieme al resto della XIII Squadriglia, alle
torpediniere Centauro e Clio ed alle corazzate Littorio e Vittorio Veneto (alla formazione si aggregano poi anche i
cacciatorpediniere Da Recco, Ugolino Vivaldi, Lanzerotto Malocello, Antonio
Da Noli e Nicolò Zeno) per dare
appoggio all’operazione «M 41», che vede l’invio in Libia di tre convogli con
in totale sei trasporti, cinque cacciatorpediniere ed una torpediniera. Il Granatiere, insieme a Bersagliere, Fuciliere, Alpino, Centauro e Clio, scorta le due navi da battaglia. Alle 8.40 del 13 dicembre la
formazione, che procede verso sud a 17 nodi attraverso lo stretto di Messina,
viene avvistata dal sommergibile HMS Urge.
Alle 8.58, in posizione 37°52’ N e 15°30’ E (secondo il libro di bordo del
sommergibile; per fonti italiane nel punto 37°53’ N e 15°29’ E, comunque una
decina di miglia ad ovest/sudovest di Capo dell’Armi) l’Urge lancia quattro siluri contro la Vittorio Veneto: la corazzata viene colpita e riporta gravi danni,
con 40 morti a bordo. Nella successiva mezz’ora i cacciatorpediniere
contrattaccano lanciando infruttuosamente una quarantina di cariche di
profondità. La corazzata deve rientrare a Taranto, e gli attacchi subacquei
provocano il fallimento dell’operazione, con l’affondamento anche delle moderne
motonavi Fabio Filzi e Carlo Del Greco (da parte dell’HMS Upright) ed il rientro in porto delle
restanti navi.
La prima battaglia della Sirte e la collisione
con il Corazziere
Il 16
dicembre il Granatiere, al comando
del capitano di fregata Giuseppe Gregorio, lasciò Taranto insieme ai cacciatorpediniere Bersagliere, Corazziere, Fuciliere, Carabiniere, Alpino, Oriani, Gioberti ed Usodimare, a Trento e Gorizia ed alle corazzate Giulio
Cesare, Andrea Doria e Littorio
per fornire sostegno all’operazione «M 42», che prevede l’invio in Libia di
quattro mercantili (Vettor Pisani, Monginevro, Napoli ed Ankara, che
trasportano 14.770 t di materiali e 212 uomini) scortati da sette
cacciatorpediniere (Saetta, Vivaldi, Malocello, Da Recco, Da Noli, Pessagno e Zeno) ed una
torpediniera (la Pegaso), divisi in
due convogli (Ankara, Saetta e Pegaso dirette a Bengasi come convoglio “N”, le altre unità dirette
a Tripoli come convoglio “L”). L’operazione fruiva anche di scorta aerea
assicurata dalla Regia Aeronautica e dalla Luftwaffe e di una forza navale di
copertura ravvicinata (Duilio, Duca d’Aosta, Attendolo, Montecuccoli, Ascari, Aviere e Camicia Nera).
Nel tardo pomeriggio del 17 dicembre il gruppo «Littorio» si scontrò con la scorta di un convoglio britannico
diretto a Malta in un breve ed inconclusivo scambio di colpi chiamato prima
battaglia della Sirte: le navi italiane, che procedevano in linea di fila verso
sud per intercettare un convoglio britannico diretto a Malta, avvistarono al traverso
quelle britanniche alle 17.23 ed accostarono ad un tempo verso ovest, aprendo
il fuoco da grande distanza (le navi maggiori) mezz’ora più tardi. Le navi
britanniche (in netta inferiorità) simularono un contrattacco con gli
incrociatori leggeri Aurora, Penelope, Naiad ed Euryalus e 10
cacciatorpediniere, avvicinandosi ed aprendo il fuoco, e la X e XIII
Squadriglia Cacciatorpediniere vennero inviate al contrattacco silurante,
sparando anche sulle navi nemiche con tutti i pezzi. Calato poi il buio, le siluranti
vennero richiamate. Già alle 17.59 le navi maggiori italiane cessarono il
fuoco, seguite, alle 18.10, dalle unità sottili. Lo scontro ebbe così termine
in un nulla di fatto, perché l’ammiraglio Iachino, temendo – a torto, in
seguito ad errate informazioni della ricognizione aerea – la presenza in mare
di almeno una corazzata britannica, decise di non portare a fondo l’attacco.
Intorno alle sei del
mattino del 18 dicembre il Granatiere,
per un errore di manovra, entrò in collisione con il Corazziere durante una manovra ad alta velocità: le due unità si
distrussero a vicenda la prua. Il Granatiere
fu, tra i due cacciatorpediniere, quello danneggiato più gravemente: l’intera
prua venne asportata sin quasi all’altezza del paraonde.
Tre membri dell'equipaggio del cacciatorpediniere morirono nella collisione: il sergente cannoniere Salvatore Carrus (di 27 anni, da Santa Giusta), il sottocapo cannoniere Angelo Rebagliati (di 22 anni, da Borghetto di Borbera) ed il marinaio Pietro Scandurra (di 21 anni, da Acireale).
Grazie alla tenuta delle paratie, il Granatiere rimase a galla; dopo aver tagliato i pezzi di lamiera sporgenti con la fiamma ossidrica, la nave dovette essere rimorchiata a Navarino da un rimorchiatore tedesco.
Tre membri dell'equipaggio del cacciatorpediniere morirono nella collisione: il sergente cannoniere Salvatore Carrus (di 27 anni, da Santa Giusta), il sottocapo cannoniere Angelo Rebagliati (di 22 anni, da Borghetto di Borbera) ed il marinaio Pietro Scandurra (di 21 anni, da Acireale).
Grazie alla tenuta delle paratie, il Granatiere rimase a galla; dopo aver tagliato i pezzi di lamiera sporgenti con la fiamma ossidrica, la nave dovette essere rimorchiata a Navarino da un rimorchiatore tedesco.
Una rappresentazione del Granatiere con la prua asportata dopo la collisione (foto tratta da http://www.cr.piemonte.it/cms/images/stories/mostre/pdf/2013/catalogo_piemonte_marina.pdf)
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Un ex voto a Santa Rita da parte di alcuni sopravvissuti alla collisione del 18 dicembre 1941, nel Santuario di Santa Rita a Torino (foto tratta da http://www.gerenzanoforum.it/poesia/battaglia_matapan.htm)
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Alle 10.22 del 23 dicembre, durante la sosta forzata nel golfo di Navarino, il Granatiere venne attaccato dal sommergibile HMS Torbay (che si trovava a due miglia per 247° dal faro di Pilo) con il lancio di un siluro, ma fu mancato. Terminate le riparazioni provvisorie a Navarino il cacciatorpediniere raggiunse Taranto, dove il mozzicone contorto della prua venne demolito, e fu costruita una nuova prua.
In conseguenza dei
gravissimi danni, il Granatiere
rimase in riparazione per dieci mesi, non avendo così modo di partecipare a
tutte le operazioni e battaglie aeronavali del 1942. Nel corso dei lavori, la
nave venne anche ammodernata, con l’eliminazione dell’obice illuminante da 120
mm e delle 12 mitragliere contraeree da 13,2/76 mm e l’installazione di quattro
mitragliere Breda 1935 da 20/65 mm, due in un impianto binato collocato al
posto dell’obice (sulla tuga centrale) e due in impianti singoli a puntamento
libero, sistemati a poppa (nonché di due lanciabombe di profondità). I lavori
si conclusero solo nel settembre 1942.
10 novembre 1942
Alle 6.10 ed alle 6.11
Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino ed il gemello Camicia Nera, mentre scortano Garibaldi, Duca d’Aosta e Duca degli
Abruzzi in navigazione da Navarino ad Augusta, vengono avvistati dai
sommergibile britannici Una ed Utmost una quindicina di miglia ad est
di Augusta. Alle 6.33, in posizione 37°11’ N e 15°30’ E, l’Una lancia quattro siluri contro la nave in coda alla formazione,
ed alle 6.37, in posizione 37°16’ N e 15°31’ E, anche l’Utmost lancia quattro siluri contro uno degli incrociatori, ma nessuna
delle armi va a segno.
15 novembre 1942
Alle 22.15 Granatiere e Bersagliere salpano da Taranto per scortare la grossa motonave
cisterna Giulio Giordani, carica di
7400 tonnellate di carburante e 35 di lubrificanti: questa nave rappresenta
l’ultimo tentativo di inviare in Libia una nave cisterna, essendo ormai
divenute queste navi, per la natura dei loro carichi (di maggiore importanza),
bersagli (e vittime) preferiti degli attacchi nemici. (Secondo Aldo Cocchia nel
suo libro di memorie “Convogli”, alla nave, che aveva un carico tanto vitale,
era stata data una così ridotta scorta proprio per non dare nell’occhio). Ma le
forze britanniche sono già state allertate da “Ultra”, e concentrano tutti i
loro attacchi sulla Giordani.
17 novembre 1942
Alle 20 (per altra
fonte alle 22) il convoglio viene assalito da aerosiluranti britannici a nord
di Misurata. Illuminati dai bengalieri, il Bersagliere
ed il Granatiere fanno tutto il
possibile per nascondere la Giordani
stendendo cortine fumogene, aprendo inoltre il fuoco in un intenso tiro
contraereo, ma due siluri vanno a segno, e l’ultima speranza di rifornire di
carburante la Libia si trasforma in un relitto divorato dalle fiamme; inutili i
tentativi di salvataggio (gli ordini sono “Tentate con ogni mezzo salvataggio
petroliera”), il relitto della Giordani
viene finito con un siluro dal sommergibile britannico Porpoise ed affonda in posizione 32°58’ N e 15°38’ E.
Granatiere e Bersagliere non possono far altro che soccorrere i superstiti e tornare in porto. Il Granatiere raccoglie i comandanti militare e civile della Giordani (il capitano di corvetta Antonio Biondo ed il capitano Fortunato Pratovich) ed altri 34 sopravvissuti (in tutto 14 italiani, compresi i due comandanti, e 22 tedeschi), uno dei quali (un tedesco) morirà per le ferite.
Granatiere e Bersagliere non possono far altro che soccorrere i superstiti e tornare in porto. Il Granatiere raccoglie i comandanti militare e civile della Giordani (il capitano di corvetta Antonio Biondo ed il capitano Fortunato Pratovich) ed altri 34 sopravvissuti (in tutto 14 italiani, compresi i due comandanti, e 22 tedeschi), uno dei quali (un tedesco) morirà per le ferite.
Successivamente il Granatiere svolge altre missioni tra la
Sicilia ed il Nordafrica, tra cui una di trasporto da Messina a Biserta di 250
militari tedeschi, durante la quale evita di finire su quattro mine, avvistate
per tempo.
Il Granatiere ormeggiato a Messina alla fine del 1942; in secondo piano l’incrociatore pesante Gorizia (da “Le navi del re. Immagini di una flotta che fu” di Achille Rastelli, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net) |
Il bombardamento di Palermo
Dopo appena sei mesi
dal suo ritorno in servizio, il Granatiere
venne nuovamente messo fuori uso per un lungo periodo. Il 22
marzo 1943, infatti, il cacciatorpediniere, ancora al comando del capitano di
fregata Gregorio, si venne a trovare ormeggiato a Palermo quando
la città fu oggetto di un pesante bombardamento statunitense. L’incursione,
iniziata alle 15.35, fu compiuta da 24 bombardieri della 12th USAAF,
aventi come obiettivo il porto e le navi ivi ormeggiate. Alle 17.38, quando il
bombardamento ebbe fine, il porto di Palermo era diventato un cimitero: nelle
sue acque giacevano i relitti dei piroscafi da carico Volta (che saltò in aria causando danni alla città e vittime tra la
popolazione palermitana), Lanusei, Modena, Trentino e Mondovì, delle
piccole motonavi Spiga e L 12 Rosa, della motocisterna Labor, della vedetta foranea Franco M., dei rimorchiatori Z 34 Mantova e Fratelli Cichero, dei dragamine ausiliari B 471 S. Pietro II e B 152
Emanuele, dell’affondamine ausiliario M
6 San Giovanni, del motoveliero Vittoria
e dei cutter S. Antonino Padre, La Nuova Annunziata, Vittoria e Giuseppina. Altre unità (la motocisterna Baciccia, il piroscafo Todi,
la vedetta foranea V 7 Giuseppe Bertolli,
i dragamine ausiliari B 197 Madonna di
Porto Salvo, DM 41 Libia e B 526 Patriarca San Giuseppe, questi
ultimi due portati all’incaglio perché non affondassero) furono danneggiate in
modo più o meno grave. Ai 38 morti civili causati dal bombardamento tra la
popolazione di Palermo si aggiunse un imprecisato numero di marinai militari,
civili e militarizzati.
Il Granatiere non venne colpito
direttamente da nessuna bomba, ma fu investito da una pioggia di schegge e
dallo spostamento d’aria generato dagli scoppi delle bombe cadute vicine e dall’esplosione
di due trasporti carichi di munizioni, tanto violento da accartocciarne le
sovrastrutture e da spostare di una decina di metri il cacciatorpediniere
ormeggiato, che sbandò. Pesanti furono le perdite tra l’equipaggio: 39 (per altra fonte 42) uomini
del Granatiere rimasero uccisi, ed
altri 24 furono feriti. Altri, rimasti illesi, iniziavano a dare segno di
squilibrio mentale e cedimento nervoso dopo tre anni di guerra e missioni
sempre più pericolose, con ormai l’evidenza della sconfitta. Alcuni membri
dell’equipaggio, come il marinaio cannoniere travisano Carlo Bellan, di 22
anni, furono sorpresi dal bombardamento in città e trovarono riparo nei rifugi
antiaerei od in sottopassaggi, tornando alla loro nave – attraversando le
macerie della città devastata – e trovandola gravemente danneggiata.
Le vittime:
Adolfo Azzarini, marinaio fuochista, deceduto
Giovanni Bellani, marinaio nocchiere, disperso
Francesco Calamaro, marinaio, disperso
Archimede Celestini, marinaio cannoniere,
disperso
Giuseppe Civardi, marinaio silurista, disperso
Volmer Contini, marinaio cannoniere, disperso
Rino Corini, marinaio meccanico, disperso
Francesco Crespino, marinaio cannoniere,
disperso
Mario Del Monaco, marinaio cannoniere,
disperso
Veneto Descovich, sergente S.D.T., disperso
Antonio Di Domenico, marinaio nocchiere,
disperso
Ugo Eseguiti, sottocapo meccanico, disperso
Alfredo Faccini, sergente radiotelegrafista,
deceduto
Benito Falliti, marinaio fuochista, disperso
Edoardo Gagliani, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Gagliazzi, capitano del Genio Navale,
disperso
Giuseppe Garilli, marinaio cannoniere,
deceduto
Tommaso Ghiglione, marinaio cannoniere,
disperso
Raffaele Iorio, marinaio nocchiere, disperso
Giuseppe Izzo, sottocapo silurista, disperso
Vittorio Libra, marinaio meccanico, disperso
Ruggero Lionetti, sottocapo meccanico,
disperso
Mafuccio Mafucci, marinaio cannoniere,
disperso
Antonino Migliore, marinaio nocchiere,
disperso
Pietro Ottonelli, marinaio, deceduto
Luigi Passante, marinaio fuochista, deceduto
Vittorio Petrini, marinaio, deceduto
Adelmo Pozzi, sottocapo silurista, disperso
Celso Rebuzzi, sottocapo nocchiere, disperso
Temistocle Renier, marinaio, disperso
Raimondo Riitano, marinaio nocchiere, disperso
Giuliano Roselli, sottocapo cannoniere,
disperso
Luigi Salerno, marinaio cannoniere, disperso
Sigismondo Tagliavini, sergente silurista,
disperso
Mario Trentarossi, marinaio cannoniere,
disperso
Giovanni Trevisan, marinaio nocchiere,
disperso
Calogero Vaccaro, secondo capo cannoniere, disperso
Giuseppe Venturi, capo meccanico di seconda
classe, disperso Raffaele Visciano, marinaio nocchiere,
disperso
Due impressionanti immagini delle strutture del Granatiere deformate dopo il bombardamento del 22 marzo 1943: in alto il fumaiolo, in basso la stazione di direzione del tiro principale. Le foto sono state scattate a Taranto nel maggio 1943, poco prima dell’inizio dei lavori di riparazione (g.c. STORIA militare)
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Il Granatiere dovette essere nuovamente portato a Taranto per le riparazioni, arrivandovi il 15 aprile e rimanendovi sino all’ottobre 1943, dopo l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati. Nel corso di questi lavori il complesso lanciasiluri triplo da 533 mm di poppa venne eliminato e sostituito con due mitragliere contraeree da 37/54 mm Breda 1939, e venne installato anche un ecogoniometro. Vennero anche imbarcate quattro o cinque altre mitragliere singole Breda 1940 da 20/65 mm. Nell’agosto 1943, mentre ancora la nave era ai lavori, ne assunse il comando il CF Marcello Pucci Boncambi, che l’avrebbe lasciata nel dicembre 1943.
Solo il 15 ottobre
1943 i lavori ebbero termine e solo nel novembre 1943 il Granatiere poté ritornare operativo, prendendo poi parte alla
cobelligeranza con gli Alleati, durante la quale (e/o nell’immediato
dopoguerra) venne adibito all’addestramento al bombardamento controcosta ed in
compiti di trasporto truppe e scorta verso l’Africa Settentrionale ed il Mar
Rosso.
Gennaio 1944
In previsione di un
forzamento della baia di Suda da parte di Mariassalto, il nuovo comando dei
mezzi d’assalto della Regia Marina, il Granatiere
viene frettolosamente modificato da Maricost per poter trasportare e mettere a
mare in dieci minuti al massimo due Motoscafi da Turismo Siluranti Modificati e
tre Motoscafi da Turismo Modificati (barchini esplosivi).
19 gennaio 1944
Alle 21.30 lascia
Taranto diretto a Tobruk, dove dovrà attendere le circostanze favorevoli per il
forzamento di Suda. A bordo sono il capitano di vascello Ernesto Forza,
comandante di Mariassalto, e personale tecnico (due sottufficiali e sei
sottocapi e marinai). Gli operatori incaricati del forzamento sono il TV
Edoardo Longobardi, il STV Mameli Rattizzi, il secondo capo meccanico Italo
Mazzoni, il secondo nocchiere Pietro Castelli, il secondo capo nocchiere
Demetrio Raffa, il sergente nocchiere Gino Padovan ed il sergente motorista
navale Pietro Testini.
21 gennaio 1944
Alle 14 il Granatiere entra a Tobruk. Le previsioni
meteo prevedono circostanze avverse al forzamento di Suda, dunque la nave
rimase in attesa sino al 30 gennaio, ma non vi sono miglioramenti delle condizioni
meteomarine. L’operazione viene rinviata a data da definirsi; non sarà più
tentata.
2 maggio 1944
Il Granatiere ed il cacciatorpediniere Alfredo Oriani attaccano, al largo di
Antivari, le motosiluranti tedesche S 30
e S 61 ed i motodragamine R 38, R 178, R 185 e R 190. Le sei unità tedesche, dirette in
Mar Egeo, sono costrette al rientro.
Dicembre 1944
Rileva il
sommergibile Zoea nel rimorchio del
sommergibile jugoslavo Nebojsa, colto
da un’avaria, durante la navigazione di trasferimento da Haifa a Taranto.
Rimorchia il Nebojsa a Tobruk.
Ormeggiato ad Augusta
per una pausa tra le numerose missioni, il Granatiere
viene informato dell’SOS inviato dal piroscafo jugoslavo Kumanov, in procinto di affondare in una tempesta nel canale di
Sicilia, e viene inviato al suo soccorso. All’imbrunire, con mare forza 8 in
aumento e vento a 140 km/h, il Granatiere
avvista il Kumanov sbandato, con
zattere e scialuppe in mare. Il forte rollio e beccheggio causato dalla
tempesta, le cui onde impediscono persino di aprire i boccaporti, costringono
gli stessi uomini del Granatiere,
assegnati al gruppo di salvataggio, a legarsi saldamente alla nave (dopo essere
usciti in coperta a poppa nei momenti in cui questa viene alzata dalle onde,
aggrappandosi alle colonnine di ferro) per non essere trascinati in mare. Il
cacciatorpediniere riesce a trarre in salvo 30 naufraghi, mentre il comandante
del Kumanov segue la sorte della sua
nave. Il Granatiere riceve l’ordine
di rientrare a Siracusa (ad Augusta vi è infatti il pericolo di urtare delle
mine), dove viene accolto dalle sirene suonate dalle navi in rada, e dagli
applausi per il salvataggio compiuto.
1946
Lavori di grande
rimodernamento. Il complesso binato prodiero da 120 mm viene sostituito con un
pezzo singolo dello stesso calibro, per ridurre il peso.
9 maggio 1946
Alle 19.40 il Granatiere, insieme all’Artigliere (ex Camicia Nera), lascia Posillipo scortando l’incrociatore Duca degli Abruzzi, avente a bordo
Vittorio Emanuele III (nonché la moglie Elena del Montenegro e cinque persone
del seguito), diretto in esilio dopo l’abdicazione. Il Granatiere è stata la prima nave a portarsi davanti a Posillipo,
alle 18, un’ora prima del Duca degli
Abruzzi, e lascia il porto per primo. Le navi raggiungono Alessandria
d’Egitto, scelta da Vittorio Emanuele III per l’esilio.
1947
Il Granatiere è una delle poche navi
lasciate alla Marina Militare italiana (non più regia) dal trattato di pace.
1948-1949
Lavori di
rimodernamento.
Il Granatiere in uscita dal Mar Piccolo
Taranto nell’estate del 1949, seguito dal Grecale
e dalla torpediniera Orsa (Foto De
Pace di Taranto, Collezione Maurizio Brescia, via Associazione Venus)
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Lavori di
rimodernamento e trasformazione in nave scorta veloce antisommergibile. Il
nuovo armamento risulterà composto da un impianto binato scudato da 120/50 mm
Ansaldo 1936 (sulla tuga di poppa), un impianto scudato singolo da 120/50 mm
Ansaldo 1940 (sul castello), tre mitragliere binate da 40/56 mm Bofors Mk 1
(sistemate sul casotto centrale ed a poppavia del fumaiolo), due mitragliere
singole da 20/65 mm Breda 1940, un impianto lanciasiluri trinato da 533 mm, un
lanciatore antisommergibili Hedgehog a 24 canne e due lanciabombe di profondità
modello “M” (a poppavia dell’alberetto di poppa). Lo scafo viene allungato di
tredici metri verso poppa (il ponte di castello), la murata rialzata nella
stessa area, vengono ricostruite le sovrastrutture (con plancia, stazione di direzione
del tiro e C.O.C., Centrale Operativa di Combattimento, con T.T.N. – tavolo
tattico navale – e T.S.A.G. dove vengono raccolte e riunite le informazioni
provenienti da radar, sonar ed altri sensori, nonché Tactical Range Recorder ed
Anti Submarine Atack Plotter, strumentazioni elettroniche per la ricerca e
caccia antisom). Vengono installati un ecogoniometro di fabbricazione
statunitense tipo “QGB”, un radar per la navigazione e la scoperta di
superficie e un radar per la scoperta aeronavale tipo “AN/SPS 6”. La velocità (rispetto ai 34-35 nodi effettivi
di prima della guerra) è diventata di 31 nodi. (Altre fonti datano questi
lavori al 1953-1954).
Il Granatiere dopo i lavori del 1950-1952, ma ancora sprovvisto del radar AN/SPS-6 (da “Le nostre navi” dell’Ufficio Documentazione della Marina Militare, gennaio 1958, via Marcello Risolo).
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Marzo 1953
Marzo 1953
Con l’ingresso
dell’Italia nella NATO, la vecchia sigla identificativa GN viene sostituita con
D 550.
26 ottobre 1954
Il Granatiere, insieme ai
cacciatorpediniere Artigliere (non
l’ex Camicia Nera bensì un
cacciatorpediniere ceduto all’Italia dell’US Navy) e Grecale ed all’incrociatore Duca
degli Abruzzi, è tra le navi da guerra inviate a Trieste per celebrare il
ritorno della città giuliana all’Italia dopo gli anni incerti del “territorio
libero”. La folla euforica sciama a bordo delle quattro navi per festeggiare.
Posto in riserva a
Taranto.
Aprile 1957
Riclassificato come
fregata.
Ancora un’immagine della nave dopo i lavori di trasformazione (tratta da http://fotonavimilitari.blogspot.it/2012/05/cacciatorpediniere-d550-granatiere.html). |
1958
Messo in disarmo.
1° luglio 1958
Radiazione.
1960
Demolito.
Il Granatiere in demolizione nel 1959 (Coll. Giorgio Arra, via www.naviearmatori.net) |
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