Una motonave della serie
Poeti, molto probabilmente la D’Annunzio
(g.c. Mauro Millefiorini)
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La D’Annunzio era una moderna motonave da
carico da 4357 tsl, di proprietà della Società Anonima di Navigazione Tirrenia
(di Napoli), ed iscritta con matricola 104 al Compartimento Marittimo di Fiume.
Impostata nei
Cantieri Navali del Quarnaro (di Fiume), il 31 luglio 1940 con numero di
costruzione 221, varata il 18 dicembre 1941 e completata nel settembre 1942, la
nave faceva parte della classe “Poeti”, una serie di undici moderne motonavi
concepite sia per il servizio commerciale per la Tirrenia (sulle rotte
dell’Europa settentrionale e lungo le coste italiane) che per l’impiego bellico
nel trasporto di rifornimenti: a questo scopo le navi della classe “Poeti” avevano
dimensioni inferiori alle altre motonavi di nuova costruzione (stazza lorda
sulle 4500 tsl invece di 6000-8000 tsl come le altre navi) ed una sagoma
studiata, al pari delle dimensioni, per ridurre la possibilità del loro
avvistamento. Robuste e dotate di buone qualità nautiche, le “Poeti”
raggiungevano la notevole velocità (per una nave mercantile) di oltre 14 nodi,
anch’essa utile per ridurre il rischio di essere intercettate e, in caso di
attacco, colpite. La lunghezza era di 117 metri e la larghezza di 15,2.
Come tutte le moderne
motonavi di nuova costruzione, appena entrata in servizio la D’Annunzio venne requisita dalla Regia
Marina (il 25 settembre 1942, a Fiume), armata con un cannone da 120/45 mm e
5-7 mitragliere contraeree Oerlikon da 20 mm, ed assegnata al trasporto di
rifornimenti sulle rotte per la Libia.
Il 12 ottobre 1942,
alle otto di sera, la D’Annunzio salpò
da Brindisi diretta in Libia, scortata dai cacciatorpediniere Folgore e Nicoloso Da Recco, dalla torpediniera di scorta Ardito e dalla torpediniera Clio. Durante la navigazione il
convoglio si unì ad un altro partito da Corfù, e composto dalla motonave Foscolo (gemella della D’Annunzio) scortata dal
cacciatorpediniere Lampo e dalla
torpediniera Partenope. La scorta
aerea raggiunse il convoglio secondo i piani e si mantenne sul suo cielo per
tutto il giorno, nonostante le condizioni meteorologiche avverse. Il convoglio
venne violentemente attaccato dal cielo nella notte tra il 13 ed il 14, ma l’intenso
tiro delle armi contraeree delle navi italiane respinse i velivoli attaccanti,
e tutte le navi raggiunsero indenni la loro destinazione alle due del
pomeriggio del 14 ottobre.
Il 2 novembre 1942 la
D’Annunzio giunse nella baia di
Potamòs, a Corfù, dove imbarcò celermente i mezzi ed i materiali del Reggimento
“Cavalleggeri di Lodi” (precisamente lo Squadrone Contraerei con otto
mitragliere contraeree da 20 mm, il 2° Squadrone Motociclisti ed il 1°
Squadrone Autoblindo con 17 autoblindo Fiat-Ansaldo AB41), trasbordati dalla
motonave Valfiorita, portata ad
incagliare a Corfù a fine settembre dopo essere stata gravemente danneggiata da
un attacco aereo nel corso di un viaggio verso la Libia. Terminato il
trasbordo, la D’Annunzio ripartì per
la Libia la notte del 4 novembre, ma dovette essere dirottata al Pireo per
sfuggire alla caccia britannica, restandovi per dieci giorni. Partita ancora
una volta con la copertura della notte ed approfittando del maltempo
(preannunciato dalle previsioni meteorologiche ed effettivamente arrivato), che
si supponeva potesse garantire una maggiore sicurezza ostacolando eventuali
attaccanti, la D’Annunzio, dopo tre
giorni di navigazione nel mare in burrasca, raggiunse Tripoli e mise subito a
terra il carico. Subito dopo lo sbarco, nel pomeriggio dello stesso giorno, la
moderna motonave fu gravemente danneggiata (il capitano Tullio Confalonieri dei
“Cavalleggeri di Lodi” annotò addirittura nel suo diario, scritto
successivamente durante la prigionia, che la D’Annunzio era stata semiaffondata) da un attacco aereo mentre si
trovava nella rada di Tripoli.
Il 15 gennaio 1943 la
D’Annunzio, al comando del capitano
Vincenzo Nardo, lasciò Tripoli, ormai prossima alla caduta, con la scorta della
torpediniera Perseo (tenente di
vascello Saverio Marotta). Anche la torpediniera Calliope aveva preso il mare (a mezzogiorno, secondo un membro del
suo equipaggio) per scortare la motonave insieme alla Perseo, ma la burrasca in corso – mare grosso da tramontana – costrinse
la Calliope a rientrare a Tripoli
dopo appena 40 minuti. La D’Annunzio,
diretta a Trapani (od a Palermo), aveva a bordo circa trecento uomini, compresi
100 detenuti delle carceri di Tripoli da trasferire a Napoli, tra cui degli
antifascisti, prigionieri politici (secondo “Con la pelle appesa a un chiodo”
di Vero Roberti si trattava di 100 detenuti politici, mentre per altra versione
riportata dal sito Trentoincina – sulla scorta di quanto riportato dal
sottotenente di vascello Romualdo Balzano, ufficiale della Perseo – erano i detenuti delle carceri di Tripoli, che la D’Annunzio doveva trasferire a Napoli in
previsione della caduta della città libica; probabilmente si trattava di tutti
i detenuti, sia criminali comuni che prigionieri politici). I comandi
britannici, tuttavia, aspettandosi che le navi italiane rimaste a Tripoli
sarebbero state fatte partire in un ultimo tentativo di evacuarle prima che
andassero distrutte, disposero l’invio di forze aeree, navali e subacquee per
intercettarle e distruggerle, attaccando a colpo sicuro le poche e prevedibili
rotte rimaste. Il convoglio formato dalla D’Annunzio
e dalla Perseo venne avvistato da un
ricognitore britannico, e da Malta prese il mare la Forza Q (per altra versione
Forza K) per intercettarlo: la componevano gli incrociatori leggeri Dido ed Euryalus ed i cacciatorpediniere Nubian, Kelvin e Javelin.
Alle 3.19 del 16
gennaio, a 50 miglia per 180° da Lampedusa, la Perseo avvistò, a 4000 metri sulla sinistra del convoglio, il profilo
di una nave da guerra: era una delle navi della Forza K, che da parte sua aveva
già rilevato sul radar le navi italiane. Nel momento stesso in cui la
torpediniera italiana avvistò l’unità nemica, si ritrovò inquadrata dalla luce
di un proiettore ed al tempo stesso dalla prima salva d’artiglieria. Due minuti
dopo anche le altre unità britanniche (si trattava dei soli Nubian e Kelvin) aprirono il fuoco, anch’esse sulla Perseo; tra le 3.22 e le 3.25 la torpediniera, mentre tentava di
accostare, accelerare e rispondere al fuoco, venne colpita più volte da diversi
proiettili, subendo gravi danni e perdite tra l’equipaggio. Alle 3.26 i due
cacciatorpediniere iniziarono a convergere verso la D’Annunzio, che illuminarono con un proiettore ed immediatamente
bersagliarono con il tiro dei loro cannoni; mentre – alle 3.27 – la Perseo invertiva la rotta per
contrattaccare, la motonave venne colpita ed incendiata, ma ciononostante alle
3.29 aprì a sua volta il fuoco con il cannone e le mitragliere, in un disperato
tentativo di difendersi. Dopo essere andata due volte, inutilmente, all’attacco
silurante – neppure notato dai cacciatorpediniere britannici, concentrati a
distruggere il mercantile –, alle 3.35 ed alle 3.45, ed aver così esaurito
tutti i siluri di cui era dotata, la Perseo
dovette ritirarsi verso nord a 15 nodi: aveva un violento incendio a bordo, i
cannoni poppieri erano fuori uso (erano stati centrati dalla prima salva
britannica), parecchi uomini del suo equipaggio erano rimasti uccisi o feriti.
La D’Annunzio, ridotta ad un relitto in
fiamme dalle salve del Nubian e del Kelvin (secondo “Navi mercantili
perdute” dell’USMM dei cacciatorpediniere Paladin
e Javelin, ma per la verità
sembrerebbe che il Paladin non fosse
nemmeno presente allo scontro, mentre lo Javelin
non vi prese direttamente parte), venne finita dal Kelvin con una salva di cinque siluri, uno dei quali andò a segno:
scossa dall’esplosione del siluro, la D’Annunzio
s’inabissò intorno alle quattro del mattino, in posizione 33°44’ N e 11°30’ E,
una sessantina di miglia a sud di Lampedusa.
Il Nubian raccolse solo cinque naufraghi della
motonave, da un’imbarcazione che aveva avvistato subito dopo l’affondamento (per
altra fonte ne recuperò dieci, ma probabilmente è un errore derivante dal
numero totale dei superstiti; altra fonte ancora, di dubbia affidabilità,
afferma che le navi britanniche recuperarono in tutto nove sopravvissuti ed un
corpo senza vita, quello del terzo ufficiale Ugo Turcio). In conseguenza dei
gravi danni subiti nel combattimento, la Perseo,
giunta a Lampedusa alle otto del mattino, non poté ripartire per tornare sul
luogo dello scontro a soccorrere i sopravvissuti.
Una decina di giorni
dopo l’affondamento una zattera della D’Annunzio,
spinta dalle correnti, raggiunse la terra vicino a Zuara, nella Libia ormai completamente
occupata dalle forze alleate: a bordo aveva soltanto due sopravvissuti,
stremati dai dieci giorni trascorsi alla deriva.
Anche altri tre
uomini riuscirono a salvarsi; furono pertanto dieci, in tutto, i sopravvissuti della
D’Annunzio. Del resto dei trecento
uomini imbarcati sulla sfortunata motonave, tra cui il comandante Nardo e quasi
tutti i detenuti di Tripoli, non si seppe più nulla.
Le vittime tra l'equipaggio civile della D'Annunzio:
Matteo Bacchia, secondo cuoco, da Chersano
Tommaso Barcovich, primo cuoco, da
Valsantamarina
Ferdinando Blasich, nostromo, da Abbazia
Carlo Braiuca (o Braiuta), marinaio, da Pola
Pantaleo Cassanelli, carpentiere, da Molfetta
Renato Cecchi, direttore di macchina, da
Laurana
Andrea Chersi, giovanotto di coperta, da
Cherso
Antonio Cossi, marittimo, da Albona (*)
Mario Cossi, giovanotto di coperta, da Fiume (*)
Giovanni Craizar, carpentiere, da Abbazia
Giovanni Craizar, fuochista, da Bogliuno
Giovanni Crulcich, secondo ufficiale di
macchina, da Fiume (41 anni)
Alessandro Delchiaro, primo ufficiale di
macchina, da Fiume (49 anni)
Antonio Gerdisco, marittimo, da Laurana
Albino Ghersovich, cameriere, da
Valsantamarina
Guido Grava, marinaio, da Fiume
Matteo Hlanuda, cameriere, da Abbazia
Ladislao Hlavaty, elettricista, da Trieste
Gabriele Hreglia, panettiere, da
Valsantamarina
Rodolfo Mandich, marinaio, da Fiume
Mario Micaucic, marinaio, da Valdarsa
Vincenzo Nardo, comandante, da Pola
Francesco Nitsch, primo elettricista, da Fiume
Antonio Noventa, elettricista, da Trieste
Mario Stancich, fuochista, da Brioni
Giuseppe Tomsich, primo ufficiale, da Fiume
Ugo Turcio, terzo ufficiale, da Palermo
Amedeo Uratorin, marinaio, da Fiume
Nulla è stato possibile trovare in merito al
resto dei trecento uomini imbarcati.
(*) Da altra fonte Mario ed Antonio Cossi risulterebbero essere deceduti per bombardamento aereo il 23 novembre 1942.
[Qualche tempo fa è stato pubblicato su una cosiddetta rivista
croata, che qui non si nominerà per evitare di farne accidentalmente
pubblicità, un articolo da parte di un presunto giornalista, tale Slavko Suzic,
il quale dopo una premessa arricchita da un pregevole quantitativo di inesatte
idiozie relative alla guerra dei convogli tra l’Italia e l’Africa
Settentrionale ed al ruolo che in essa ebbe la Marina Mercantile italiana, ha
descritto l’episodio dell’affondamento della D’Annunzio. Ignorando tutte le
fonti esistenti, il predetto scribacchino ha affermato nel suo “articolo” che
la Perseo fuggì al momento dell’apparire dei cacciatorpediniere britannici,
condendo il tutto con una foto di uno dei cacciatorpediniere presentata come
ritraente la Perseo stessa, a riconferma della propria incompetenza in materia.
Qualcuno potrebbe far presente al Suzic i gravi danni che la Perseo subì nella
disperata difesa della motonave, che lasciò soltanto quando questa era già
incendiata e agonizzante, e dopo essere stata a sua volta gravemente
danneggiata attaccando forze soverchianti, contrattacchi nei quali aveva
lanciato tutti i suoi siluri; qualcuno potrebbe fare i nomi dei marinai della
Perseo – Eugenio Codebo, Giovanni De Franceschi, Luigi De Rosa, Domenico La
Forgia, Gino Motta, Giuseppe Nicosia, Carmelo Raniolo, e Vincenzo Riccardi – che
morirono nell’impari combattimento. Qualcuno ha in verità scritto alla suddetta
rivista denunciando le suddette menzogne, ma gli autori si sono coraggiosamente
astenuti dal rispondere. Tutto ciò si è voluto far qui presente ad infamia del
Suzic.]
sulla m/n D'Annunzio è caduto anche il cannoniere della regia mariana Sandrini Attilio classe 1922 da Gardone val trompia (BS)
RispondiEliminaGrazie ... Ho saputo com'è stata la fine del mio nonno paterno
RispondiEliminaAnche il mio prozio Ugo Torriero, Radio telegrafista
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