L’Alpino (coll. Guido Alfano via Giorgio Parodi e
www.naviearmatori.net)
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Cacciatorpediniere della prima serie della classe Soldati (dislocamento standard 1850 t, in carico normale 2140 t, a pieno carico 2460 t).
Breve e parziale cronologia.
2 maggio 1937
Impostazione nei Cantieri Navali Riuniti di Ancona.
2 maggio 1937
Impostazione nei Cantieri Navali Riuniti di Ancona.
18 settembre 1938
Entrata in servizio.
15 giugno 1939
Consegna della
bandiera di combattimento, in una cerimonia collettiva a Livorno, insieme a
tutte le undici unità gemelle.
10 giugno 1940
All’entrata
dell’Italia nella seconda guerra mondiale, l’Alpino forma la XIII Squadriglia Cacciatorpediniere unitamente ai
gemelli Granatiere, Bersagliere e Fuciliere. La XIII Squadriglia è assegnata alla VII Divisione
incrociatori (II Squadra Navale).
22-24 giugno 1940
La XIII Squadriglia
compie un’infruttuosa incursione contro il traffico mercantile francese nel
Mediterraneo occidentale insieme alla VII Divisione incrociatori, con la
copertura a distanza della II Squadra Navale (Divisioni incrociatori I, II e
III più l’incrociatore pesante Pola,
Squadriglie Cacciatorpediniere IX, X e XII). Il gruppo VII Divisione-XIII
Squadriglia, dopo essersi trasferito da Napoli a Cagliari nella notte tra il 21
ed il 22, lascia Cagliari alle 19.30 del 22, per portarsi entro l’alba del 23
in un punto trenta miglia ad est di Porto Mahon, per poi dirigere verso nord
sino alle 8.30. Nessuna unità nemica viene trovata, e dalle 13.45 alle 16.30 la
formazione viene pedinata da un ricognitore francese (che rimane fuori dalla
portata delle artiglierie contraeree), venendo poi infruttuosamente attaccata
alle 17 da un singolo bombardiere francese. Alle 19.30 del 23 le navi fanno
ritorno a Cagliari e, dopo il necessario rifornimento, ripartono per Napoli,
così sfuggendo ad un bombardamento su Cagliari effettuato nel mattino del 24 da
una dozzina di velivoli britannici con obiettivo proprio le unità italiane, che
erano state fatte subito ripartire proprio in previsione di un attacco simile.
7-11 luglio 1940
Parte da Palermo alle
12.35 del 7 luglio insieme al resto della XIII Squadriglia ed alla VII
Divisione (incrociatori leggeri Eugenio
di Savoia, Emanuele Filiberto Duca
d’Aosta, Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli), incaricata di
dare scorta indiretta ad un convoglio diretto in Libia (motonavi da carico Marco Foscarini, Francesco Barbaro e Vettor
Pisani, motonavi passeggeri Esperia
e Calitea, con la scorta diretta dei
due incrociatori leggeri della II Divisione, dei quattro cacciatorpediniere
della X Squadriglia, delle quattro torpediniere della IV Squadriglia e delle
vecchie torpediniere Rosolino Pilo e Giuseppe Missori). Il resto della II
Squadra Navale (incrociatore pesante Pola,
I e III Divisioni incrociatori con cinque navi in tutto e IX, XI e XII
Squadriglia Cacciatorpediniere) fornisce anch’essa scorta indiretta al
convoglio, stando però 35 miglia ad est di esso. La I Squadra Navale (V
Divisione con le corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour, IV e VIII Divisione con sei incrociatori leggeri,
VII, VIII, XV e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere con 13 unità) è in mare a
sostegno dell’operazione.
Giunto il convoglio a
destinazione, la flotta italiana si avvia sulla rotta di rientro (la VII
Divisione con la XIII Squadriglia dirige perciò su Palermo), ma viene informata
che anche la Mediterranean Fleet è in mare per un’operazione simile, quindi
dirige per incontrare il nemico. Il 9 luglio la XIII Squadriglia (compreso l’Alpino, al comando del capitano di fregata Giuseppe
Marini), come altre squadriglie di cacciatorpediniere, viene autorizzata a
rifornirsi ad Augusta prima di riprendere il mare per il previsto punto di
riunione delle forze navali italiane (37°40’ N e 17°20’ E, 65 miglia a sudest
di Punta Stilo, con incontro previsto per le 14 od al massimo, per i
cacciatorpediniere distaccati a rifornirsi, per le 16). Ricongiuntasi con la
VII Divisione, la XIII Squadriglia dirige insieme ad essa per riunirsi al
grosso delle forze da battaglia italiane, ma la VII Divisione (e la XIII
Squadriglia) raggiunge in ritardo, a combattimento già in corso, la squadra
italiana (la VII Divisione, proveniente da sud-sud-ovest, viene avvistata dal
resto della flotta poco prima che quest’ultima avvisti anche la Mediterranean
Fleet, che si trova nella direzione opposta, e diriga contro di essa, così
ritardando il ricongiungimento), così che non ha modo di partecipare allo
scontro; terminata la battaglia in un nulla di fatto, la VII Divisione con la
XIII Squadriglia, senza neanche riunirsi alla flotta italiana, fa rotta su
Palermo, e successivamente, attraversato lo stretto di Messina, riceve l’ordine
di dirigere su Napoli.
30 luglio-1° agosto 1940
L’Alpino, momentaneamente assegnato alla
XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Lanciere,
Carabiniere e Corazziere), fornisce protezione a distanza, insieme agli
incrociatori pesanti Zara, Pola, Fiume, Trento e Gorizia, agli incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano, Alberto Di Giussano, Eugenio di Savoia, Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi, Muzio Attendolo e Raimondo
Montecuccoli ed alla IX, XII, XIII e XV Squadriglia Cacciatorpediniere (in
tutto 15 unità compreso l’Alpino), ai
due convogli (partiti da Napoli e diretti l’uno a Tripoli e l’altro a Bengasi)
in mare nell’ambito dell’operazione di rifornimento della Libia «Trasporto
Veloce Lento» (che vede in mare in tutto i trasporti Maria Eugenia, Gloria Stella, Mauly, Bainsizza, Col di Lana, Francesco Barbaro, Città di
Bari, Marco Polo, Città di Napoli e Città di Palermo, scortati dai cacciatorpediniere Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco e dalle torpediniere Orsa, Procione, Orione, Pegaso, Circe, Climene, Clio, Centauro, Airone, Alcione, Aretusa ed Ariel).
Entrambi i convogli raggiungono senza danni le loro destinazioni tra il 31
luglio ed il 1° agosto.
30 agosto 1940
La XIII Squadriglia,
essendo stata dislocata a Taranto per essere assegnata alla IX Divisione (I
Squadra) a partire dal 1° settembre, lascia Palermo per raggiungere la nuova
base.
1-2 settembre 1940
La XIII Squadriglia parte
da Taranto alle sei del mattino del 31 agosto insieme alla IX Divisione
(corazzate Littorio e Vittorio Veneto), alla V Divisione
(corazzate Caio Duilio, Conte di Cavour e Giulio Cesare, quest’ultima aggregatasi solo il
1° settembre a causa di avarie), alla I Divisione (incrociatori pesanti Zara,
Pola, Fiume e Gorizia), all’VIII Divisione (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) ed ad altri 23
cacciatorpediniere per contrastare l’operazione britannica «Hats».
Complessivamente all’alba del 31 prendono il mare da Taranto, Brindisi e
Messina 4 corazzate, 13 incrociatori della I, III, VII e VIII Divisione e 39
cacciatorpediniere. Alle 22.30 la formazione italiana riceve l’ordine di
impegnare le forze nemiche a nord della congiungente Malta-Zante, dunque deve
cambiare la propria rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere contatto
con esse), dirigendo più verso sudovest (verso Malta) e superando la
congiungente Malta-Zante. Il mattino del 1° settembre, tuttavia, il vento, già
in aumento dalla sera precedente, dà origine ad una violenta burrasca, che
costringe la flotta italiana a tornare alle basi, perché i cacciatorpediniere
non sono in grado di tenere il mare compatibilmente con le necessità operative.
Poco dopo la mezzanotte del 1° settembre le unità italiane entrano nelle
rispettive basi; tutti i cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle
sovrastrutture) dal mare mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare.
7-9 settembre 1940
La flotta italiana (5
corazzate, 6 incrociatori e 19 cacciatorpediniere) lascia Taranto alle 16 del 7
diretta a sud della Sardegna, per intercettare la Forza H britannica che si
presume diretta verso Malta. La ricognizione aerea, tuttavia, non avvista
nessuna nave nemica (la Forza H, infatti, aveva lasciato Gibilterra per
un’operazione da svolgersi non nel Mediterraneo ma nell’Atlantico), dunque alle
16 dell’8 settembre la formazione italiana, arrivata a sud della Sardegna,
inverte la rotta e raggiunge le basi del Tirreno meridionale, da dove il 10
tornerà nelle basi di dislocazione normale (Taranto e Messina).
29 settembre-2 ottobre 1940
La sera del 29
settembre escono in mare da Taranto il Pola,
le divisioni I, V, VII, VIII e IX e 19 cacciatorpediniere (il Pola con la I Divisione e 4
cacciatorpediniere alle 18.05 e le altre unità alle 19.30) e da Messina la III
Divisione con 4 cacciatorpediniere per contrastare un’operazione britannica in
corso. La formazione uscita da Taranto assume rotta 160° e velocità 18 nodi,
riunendosi con le navi provenienti da Messina alle 7.30 del 30 settembre. In
mancanza di elementi sufficienti ad apprezzare la composizione ed i movimenti
della Mediterranean Fleet ed in considerazione dello svilupparsi di una
burrasca da scirocco (che avrebbe reso impossibile una navigazione ad alta
velocità verso sud da parte dei cacciatorpediniere) Supermarina decide di
rinunciare a contrastare l’operazione ed ordina alle unità in mare di invertire
la rotta alle 6.25 del 30 ed incrociare dapprima tra i paralleli 37° e 38°, poi
(dalle 10.30) 38° e 39° ed alle 14 fare rotta verso sudovest sino a raggiungere
il 37° parallelo, poi, alle 17.20, di rientrare alle basi. Navigando nella
burrasca, la flotta italiana raggiunge le basi tra l’una e le quattro del
mattino del 1° ottobre, vi si rifornisce in fretta e rimane in attesa di
un’eventuale nuova uscita per riprendere il contrasto, ma in base alle nuove
informazioni ottenute ciò risulterà impossibile, pertanto, alle 14.00 del 2
ottobre, le navi riceveranno l’ordine di spegnere le caldaie.
11-12 novembre 1940
Nella notte tra l’11
ed il 12 novembre l’Alpino è in porto
(alla fonda in Mar Piccolo tra il Bersagliere
ed il Fuciliere, ed a poppavia del Bolzano) quando un attacco di
aerosiluranti affonda la corazzata Conte
di Cavour e danneggia gravemente
le corazzate Caio Duilio e Littorio (attacco noto come “notte di
Taranto”), ma non riporta alcun danno.
Nel pomeriggio del 12
novembre la nave, insieme al resto della XIII Squadriglia, alla X Squadriglia
ed alle corazzate Vittorio Veneto, Giulio Cesare ed Andrea Doria
(uniche uscite indenni dall’attacco) lascia Taranto, base non più sicura, e
raggiunge Napoli.
16-18 novembre 1940
Alle 10.30 del 16
prendono il mare Vittorio Veneto e Cesare, I Divisione (da Napoli) e III
Divisione (da Messina) e le Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XII, XIII e XIV
per intercettare una formazione britannica diretta verso est. Raggiunto alle
16.30 un punto prestabilito 45 miglia a nord-nord-est di Ustica, la formazione
italiana dirige poi verso ovest ed alle 17.30 arriva 35 miglia a sudovest di
Sant’Antioco. Dopo aver navigato per un po’ in direzione dell’Algeria, la
squadra italiana riceve l’ordine rientrare.
26-28 novembre 1940
Tra le 11.50 e le
12.30 del 26 l’Alpino lascia Napoli
unitamente alle altre unità della XIII Squadriglia, alla VII Squadriglia
Cacciatorpediniere (Dardo, Freccia e Saetta) ed alle corazzate Vittorio
Veneto e Giulio Cesare (prendono il mare al contempo
anche l’incrociatore pesante Pola, la
I Divisione con due unità e la IX Squadriglia Cacciatorpediniere con quattro
unità). La formazione italiana (vi sono anche la III Divisione e la XII
Squadriglia Cacciatorpediniere partite da Messina) si riunisce 70 miglia a sud
di Capri alle 18.00 del 26 novembre, assumendo poi rotta 260° e velocità 16
nodi, per intercettare un convoglio britannico diretto a Malta. XIII e VII
Squadriglia scortano le due corazzate (così formando la I Squadra). Tra le 8.30
e le 9.10 la I Squadra, rimanendo indietro rispetto agli incrociatori (che
formano la II Squadra), a poppavia dei quali sta procedendo, accelera a 17 e
poi a 18 nodi per ridurre la distanza. Alle 9.50 le corazzate avvistano un
ricognitore britannico Bristol Blenheim, contro cui aprono il fuoco alle 10.05
(il velivolo si allontana). Alle 11 la formazione inverte la rotta ed aumenta
la velocità da 16 a 18 nodi, ed alle 11.28 assume rotta 135°, per intercettare
la formazione britannica che (dalle segnalazioni dei ricognitori) risulta avere
posizione differente da quella prevista. Alle 12.07, in seguito alla
constatazione che la formazione britannica appare superiore a quella italiana
(i cui ordini sono di impegnarsi solo se in condizioni di sicura superiorità)
l’ammiraglio Inigo Campioni, al comando della flotta italiana, ordina di
assumere rotta 90° per rientrare alle basi senza ingaggiare il combattimento, e
di aumentare la velocità. Alle 12.15, tuttavia, vengono avvistate le
sopraggiungenti navi britanniche, pertanto viene ordinato di incrementare
ancora la velocità (che è di 25 nodi per la I Squadra e di 28 per la II
Squadra, che deve riunirsi alla I essendo più indietro). Alle 12.20 gli
incrociatori della II Squadra aprono il fuoco da 21.500-22.000 metri. Per
avvicinarsi rapidamente alla II Squadra, alle 12.27 la I Squadra inverte la
rotta ad un tempo sulla dritta, ed alle 12.35 inverte nuovamente la rotta,
sempre a dritta; poco dopo un gruppo di aerosiluranti britannici, decollati
dalla portaerei Ark Royal, si porta a
650 metri dalle corazzate (tra queste ed i cacciatorpediniere della scorta) e
lancia infruttuosamente i propri siluri, undici, tutti evitati con la manovra.
I cacciatorpediniere rispondono con un intenso tiro delle mitragliere contraeree,
così come le corazzate (con i loro pezzi da 90 ed anche da 152 mm oltre alle mitragliere).
Alle 13.00 la Vittorio Veneto apre il
fuoco da poco meno di 29.000 metri, ma le unità britanniche subito accostano a
dritta e la distanza aumenta a 31.000 metri, costringendo la corazzata a
cessare il fuoco già alle 13.10. Alle 13.15, essendo la distanza (della II
Squadra dalle forze britanniche) salita a 26.000 metri, il tiro viene cessato
anche dagli incrociatori, viene rotto il contatto. Ha così fine l’inconclusiva
battaglia di Capo Teulada. Alle 21 del 27 novembre le navi italiane assumono
rotta nord a 15 nodi e procedono sino alle 00.30, poi dirigono verso est fino
alle 7.30 del 28, dopo di che seguono le rotte costiere, arrivando a Napoli tra
le 13.25 e le 14.40 del 28.
Intorno alle 17 la
XIII Squadriglia, le Squadriglie Cacciatorpediniere VII e IX, le corazzate Giulio Cesare e Vittorio Veneto e gli incrociatori pesanti Zara e Gorizia lasciano
Napoli diretti a La Maddalena, dove le navi sono state temporaneamente
trasferite per sottrarle ad altri attacchi aerei britannici dopo che, nelle
settimane precedenti, vari bombardamenti hanno causato vari danni. Le unità
rimangono a La Maddalena, porto non molto più al sicuro di Napoli dagli
attacchi aerei, solo per i pochi giorni necessari all’approntamento a Napoli di
adeguate contromisure contro i bombardamenti (tra cui impianti per
l’annebbiamento del porto).
20 dicembre 1940
Le navi rientrano a
Napoli.
9 gennaio 1941
In serata la XIII Squadriglia
e la VII Squadriglia lasciano Napoli e si trasferiscono a La Spezia scortando
le corazzate Vittorio Veneto e Giulio Cesare, fatte partire da Napoli
per sottrarle ad eventuali attacchi aerei (per maggior sicurezza) dopo la
scoperta che le forze navali britanniche sono impegnate nell’operazione
«Excess».
8-11 febbraio 1941
Alle 18.45 dell’8
febbraio l’Alpino ed il resto della
XIII squadriglia (meno il Bersagliere,
che è ai lavori) oltrepassano le ostruzioni della base di La Spezia, prendendo
il mare insieme alle corazzate Vittorio
Veneto, Giulio Cesare ed Andrea Doria ed alla X Squadriglia
Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco) per
intercettare l’aliquota della Forza H britannica che sta facendo rotta su
Genova con l’intento di bombardare il capoluogo ligure (ma l’obiettivo della
Forza H non è noto ai comandi italiani). Una volta in mare la XIII Squadriglia
assumono posizione di scorta ravvicinata a sinistra (la X Squadriglia assume
invece la scorta ravvicinata a dritta) delle tre navi da battaglia, che
procedono su rotta 220° ad una velocità di 16 nodi. Alle otto del mattino del 9
le unità uscite da La Spezia si riuniscono, a 40 miglia ad ovest di Capo Testa
sardo, alla III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano) partita da Messina unitamente ai cacciatorpediniere Carabiniere e Corazziere, ed alle 8.25 l’intera formazione assume rotta 230°,
dirigendo per quella che è ritenuta la probabile zona ove si trovano le navi
nemiche, nell’ipotesi, errata, che la loro azione sia diretta contro la
Sardegna.
La squadra italiana
non raggiunge così la Forza H prima che il bombardamento di Genova si compia, e
viene inviata alla sua ricerca mentre questa rientra a Gibilterra: alle 9.35 le
navi italiane assumono rotta 270° (verso ovest), ed alle dieci, in seguito alle
informazioni pervenute con nuovi messaggi, fanno rotta verso nord. Alle 12.44,
dopo vari messaggi contraddittori su rotta e posizione delle forze britanniche,
la formazione italiana assume rotta 330° in modo da poterle intercettare nel
caso stiano navigando verso ovest seguendo rotte costiere, ma alle 13.16, dopo
aver ricevuto nuovi messaggi, le corazzate accostano di 60° assumendo rotta 30°
(la III Divisione assume invece rotta 50° alle 13.07), accelerando a 24 nodi, e
la XIII Squadriglia riceve l’ordine di riunirsi e posizionarsi all’estremità
meridionale della formazione (analogamente fa la X Squadriglia, che però si
posiziona all’estremità settentrionale). Alle 13.21 viene diramato l’ordine a
tutte le unità di prepararsi al combattimento, ritenendo prossimo l’incontro
con il nemico, ed alle 15.24 e 15.38 vengono avvistate delle navi sospette, che
però si rivelano essere mercantili francesi in navigazione. Alle 15.50 la
squadra italiana accosta verso ovest e prosegue a 24 nodi per intercettare la
Forza H nel caso stia navigando verso ovest lungo la costa francese, ma alle
17.20 la velocità viene ridotta a 20 nodi, mentre vengono meno le speranze di
trovare le navi britanniche. Alle 18 le navi accostano verso nord, ed alle 19 verso
est, riducendo la velocità a 18 nodi e cessando il posto di combattimento.
Durante la notte, in seguito ad un ordine ricevuto alle 22.50, la squadra
italiana incrocia nel golfo di Genova a 15 nodi (accelerando poi a 20 nodi alle
otto del mattino del 10), venendosi così a trovare, alle nove del mattino del
10, al centro del quadratino 19-61, come ordinato. Alle 9.07 viene ricevuto
l’ordine di rientrare a Napoli (Messina per la III Divisione), dove le navi
arrivano nel mattino dell’11 febbraio.
27-29 marzo 1941
L’Alpino e le altre tre navi della XIII
Squadriglia lasciano Messina, assegnate alla scorta della corazzata Vittorio Veneto, che insieme alla I
Divisione (Zara, Pola, Fiume), alla III
Divisione (Trento, Trieste, Bolzano), alla VIII Divisione (incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi), alla IX Squadriglia
Cacciatorpediniere (Vittorio Alfieri,
Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè
Carducci), alla XVI Squadriglia (Nicoloso
Da Recco, Emanuele Pessagno) ed alla XII Squadriglia (Ascari, Corazziere, Carabiniere),
parteciperà all’operazione «Gaudo», un incursione contro il naviglio britannico
nel Mediterraneo orientale, a nord di Creta. Alle 6.15 del 27, davanti a
Messina, la XIII Squadriglia rileva la X Squadriglia (Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco) che ha scortato la Vittorio
Veneto da Napoli sino a lì, e che entra a Messina, rifornendosi e
restandovi poi pronta a muovere.
La navigazione
prosegue senza incidenti sino alle 12.25 del 27 marzo, quando il Trieste comunica che la III Divisione è
stata avvistata da un ricognitore britannico Short Sunderland; in seguito a
questo, la squadra italiana, poco dopo le 14, accosta per 150° (prima la rotta
era 134°) per trarre in inganno il velivolo, e segue questa rotta sino alle 16,
per poi riaccostare per 130°, e poi – alle 19.30 – per 98° portando la velocità
a 23 nodi, in modo da arrivare nel punto prestabilito a sud di Gaudo all’alba
del 28. Alle 22 del 27 Supermarina annulla l’attacco a nord di Creta, dato che
dalla ricognizione risulta che non vi sono convogli da attaccare.
Alle 6.35 del mattino
del 28 un idroricognitore catapultato dalla Vittorio
Veneto avvista la Forza B britannica (composta dagli incrociatori leggeri Orion, Ajax, Perth e Gloucester e dai cacciatorpediniere Vendetta, Hasty, Hereward ed Ilex), in navigazione con rotta stimata
135° e velocità 18 nodi una quarantina di miglia ad est-sud-est dall’ammiraglia
italiana. Alle 6.57, mentre la III Divisione riceve l’ordine di assumere rotta
135° e velocità 30 nodi (per raggiungere gli incrociatori britannici, poi
dirigere verso la Vittorio Veneto ed
attirarli così verso la corazzata), il resto della formazione italiana aumenta
la velocità a 28 nodi.
Alle 7.55 la III
Divisione avvista la Forza B, ma dato che anche la Forza B cerca di attirare le
navi italiane verso il grosso della Mediterranean Fleet (tra cui le corazzate Barham, Valiant e Warspite e la
portaerei Formidable, della cui
presenza in mare gli italiani sono del tutto all’oscuro), e pertanto si ritira,
la manovra pianificata dall’ammiraglio Iachino (comandante la squadra italiana)
non si concretizza, e sono invece le navi italiane ad inseguire quelle
britanniche. Ha così inizio lo scontro di Gaudo. Terminato l’infruttuoso
inseguimento e scambio di cannonate, le navi italiane alle 8.55 accostano per
270° ed assumono rotta 300° e velocità di 28 nodi, seguite a distanza dalla
Forza B, che tiene informato il resto della Mediterranean Fleet dei movimenti
delle unità italiane. Essendosene reso conto, alle 10.02 l’ammiraglio Iachino
ordina alla III Divisione di proseguire sulla sua rotta, mentre la Vittorio Veneto (scortata dalla XIII
Squadriglia) e le altre navi invertono la rotta (assumendo rotta 90°) per
sorprendere alle spalle la Forza B (portandosi ad est delle navi britanniche e
poi accostando verso sud), porla tra due fuochi (la III Divisione ed il resto
della formazione italiana) ed impedirne la ritirata. Le unità della Forza B
sono però più a nord di quanto ritenuto (e segnalato) e pertanto l’incontro
avviene alle 10.50: alle 10.56 la Vittorio
Veneto apre il fuoco da 23.000 metri, e la Forza B subito accosta verso sud
e si ritira inseguita dalle navi italiane, ma le distanze vanno aumentando ed
il tiro della Vittorio Veneto risulta
inefficace. Alle 10.57 vengono avvistati sei aerei che si rivelano poi essere
aerosiluranti britannici (decollati dalla Formidable),
che alle 11.18 attaccano: la corazzata italiana accosta sulla dritta, e la XIII
Squadriglia (compreso l’Alpino) si
porta in posizione adatta ad impedire l’attacco, aprendo intenso fuoco
contraereo; alle 11.25 gli aerosiluranti lanciano, ma sono costretti a farlo da
una distanza eccessiva, ed i siluri non vanno a segno.
Successivi messaggi e
segnalazioni, che confermano l’assenza di traffico convogliato britannico da
attaccare, fanno decidere all’ammiraglio Iachino di proseguire nella
navigazione di ritorno verso le basi italiane.
Alle 14.30, 15.01 e
15.40 la Vittorio Veneto viene
attaccata da bombardieri in quota britannici (le bombe cadono a 50-150 metri
dalle navi); anche la I e la III Divisione subiscono ripetuti attacchi aerei.
Alle 15.19 si
verifica un secondo attacco di aerosiluranti che, in tre, attaccano la
corazzata, mentre dei caccia attaccano le unità della XIII Squadriglia; anche
dei bombardieri in quota partecipano all’attacco. L’intenso tiro contraereo dei
cacciatorpediniere della XIII Squadriglia colpisce uno degli aerosiluranti
(pilotato dal capitano di corvetta John Dalyell-Stead), che però, prima di
precipitare in mare con la morte dei tre uomini di equipaggio (sarà l’unica
perdita britannica nella battaglia), riesce a ridurre le distanze con la Vittorio Veneto a meno di 1000 metri ed
a lanciare un siluro, che colpisce la nave da battaglia a poppa, in posizione
35°00’ N e 22°01’ E. Alle 15.30 la Vittorio
Veneto, che ha imbarcato 4000 tonnellate d’acqua, si immobilizza, ma dopo
sei minuti rimette in moto, sebbene a fatica: solo alle 17.13 riesce a
sviluppare una velocità di 19 nodi. La flotta italiana dirige su Taranto, ed
alle 16.38 l’ammiraglio Iachino, in previsione di altri attacchi aerei in
arrivo al tramonto, ordina che le altre unità si dispongano intorno alla
danneggiata Vittorio Veneto per
proteggerla da altri attacchi. La formazione risulterà assunta alle 18.40, con
cinque colonne di unità disposte in linea di fila: da sinistra a destra, la XII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Corazziere,
Carabiniere, Ascari), la III Divisione (Trieste,
Trento, Bolzano), la Vittorio Veneto
preceduta da Granatiere (in testa) e Fuciliere (tra il Granatiere e la corazzata) e seguita da Bersagliere (tra la nave da battaglia e l’Alpino) ed Alpino (in
coda), la I Divisione (Zara, Pola, Fiume) e la IX Squadriglia (Vittorio
Alfieri, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci, Alfredo Oriani). Alle 18.23 (nel frattempo la velocità della Vittorio Veneto è scesa a 15 nodi)
vengono avvistati nove aerosiluranti britannici, che si tengono a distanza (per
una fonte l’avvistamento avviene alle 18.30 ed è proprio l’Alpino ad avvistare per primo gli aerei), ed alle 19.15 la
formazione italiana accosta per conversione ed assume rotta 270° (in modo da
essere meno illuminate possibile dal sole che tramonta) ed i cacciatorpediniere
in coda iniziano a stendere cortine fumogene. Alle 19.28 gli aerosiluranti si
avvicinano – le navi più esterne accendono i proiettori – ed alle 19.30 l’Alpino segnala che gli aerei britannici
sono vicinissimi: di conseguenza, su ordine dell’ammiraglio Iachino, vi è una
nuova accostata per conversione (rotta assunta 300°). Sei minuti dopo tutti i
cacciatorpediniere emettono cortine fumogene ed aprono il fuoco, mentre gli
aerei passano all’attacco: intorno alle 19.50 il Pola viene colpito ed immobilizzato da un siluro. Cessato
l’attacco, e calato il buio, alle 19.50 si spengono i proiettori ed alle 20.11
cessa l’emissione di cortine fumogene. Alle 20.05 l’ammiraglio Iachino ordina
alla XIII Squadriglia di assumere posizione di scorta ravvicinata, mentre la I
e la III Divisione si posizionano 5 km rispettivamente a prua ed a poppa della
nave ammiraglia. Proprio in quei minuti si scopre che il Pola è stato immobilizzato (dapprima si era ritenuto che l’attacco
fosse stato respinto senza danni), ed alle 21.06 la I Divisione invertirà la
rotta per andare al soccorso dell’incrociatore colpito. Questa decisione, poi
molto discussa, porterà al disastro: la I Divisione verrà infatti sorpresa
mentre raggiunge il Pola dalle
corazzate britanniche Barham, Valiant e Warspite e sarà annientata, con la perdita di Zara, Pola, Fiume, Alfieri e Carducci oltre
che dello stesso Pola (e di oltre 2300
uomini), in quella che rimarrà la peggior sconfitta mai subita dall’Italia sul
mare. Dopo la separazione dalla I Divisione, il resto della squadra italiana
prosegue con rotta 323° e velocità 19 nodi alla volta di Taranto: la
navigazione prosegue senza incidenti sino alle 22.30 quando, in lontananza,
vengono avvistate le vampate di artiglierie: le navi italiane assistono alla
fine della I Divisione. I bagliori delle ultime esplosioni vengono visti alle
23.55. Il resto della formazione italiana (compreso l’Alpino), inutilmente cercato dalla Forza B (che invece trova il Pola immobilizzato, scambiandolo per la Vittorio Veneto) e da una flottiglia di
otto cacciatorpediniere britannici al comando del capitano di vascello Philip
Mack fin dopo mezzanotte, assume alle 9.08 del 29 marzo rotta 343° (mettendo la
prua su Taranto), ed arriva a Taranto poco dopo le 15.30.
Il capitano di fregata
Giuseppe Marini, comandante dell’Alpino
dallo scoppio della guerra al marzo 1941 (g.c. Walter Tross)
1° aprile 1941
Il capitano di fregata Marini,
destinato a MARISTAT, viene sostituito dal capitano di fregata Agostino Calosi.
11-14 maggio 1941
Partito da Palermo (forse
il 12 maggio), insieme agli incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere, Luigi
Cadorna, Duca degli Abruzzi e Garibaldi ed ai cacciatorpediniere Bersagliere, Fuciliere, Maestrale, Scirocco, Da Recco, Pessagno, Leone Pancaldo ed Antoniotto Usodimare, l’Alpino
fornisce protezione a distanza ad un convoglio (trasporti Ernesto, Tembien, Giulia, Col di Lana, Preussen e Wachtels, scortati dai
cacciatorpediniere Dardo, Aviere, Geniere, Grecale e Camicia Nera) in navigazione da Napoli a
Tripoli, dove arriva il 14. La nave torna poi a Palermo
19 maggio 1941
Lascia Palermo per
dare scorta indiretta, unitamente a Granatiere,
Bersagliere, Duca degli Abruzzi e Garibaldi,
ad un convoglio composto dai mercantili Preussen,
Sparta, Capo Orso, Motia e Castelverde e dalle navi cisterna Superga e Panuco (il 26.Seetransport Konvoi) partito da Napoli alle 18.30 del
16 con la scorta dei cacciatorpediniere Turbine,
Euro, Folgore, Fulmine e Strale.
20 maggio 1941
Alle 9.32 il
sommergibile britannico Urge avvista
la forza di copertura di cui fa parte l’Alpino
(una quarantina di miglia a nordovest di Lampedusa), ed alle 9.47 individua anche
il convoglio, in posizione 35°44’ N e 11°59’ E; passa all’attacco lanciando
quattro siluri contro il Capo Orso ma
non lo colpisce, e subisce poi il contrattacco della scorta, che lancia dieci
bombe di profondità.
21 maggio 1941
All’una del
pomeriggio l’Urge avvista nuovamente,
in posizione 35°42’ N e 12°24’ E (al largo di Lampedusa), la formazione cui
appartiene l’Alpino, ed alle 13.04 (o
13.10) lancia quattro siluri da 5500 metri: due delle armi passano vicino proprio
all’Alpino, ma nessuna va a segno.
Uno dei cacciatorpediniere contrattacca con tredici bombe di profondità.
Lo stesso giorno,
alle 11.00, il convoglio arriva indenne a Tripoli, ed le unità della scorta
indiretta rientrano a Palermo.
2-4 giugno 1941
Lascia Palermo
insieme Duca degli Abruzzi, Garibaldi, Granatiere, Bersagliere e Fuciliere, per dare scorta indiretta al
convoglio «Aquitania» (navi da carico Aquitania,
Caffaro, Nirvo, Montello e Beatrice Costa, motocisterna Pozarica, scortati dai
cacciatorpediniere Dardo, Aviere, Geniere e Camicia Nera e
dalla torpediniera Giuseppe Missori)
in navigazione da Napoli a Tripoli. Ad una ventina di miglia dalle isole
Kerkenah, tuttavia, il convoglio subisce un attacco aereo che provoca la
perdita di Montello (saltato in aria
con tutto l’equipaggio) e Beatrice Costa
(danneggiata in modo irrimediabile e finita dallo stesso Camicia Nera). Il 4 le unità della scorta indiretta tornano a
Palermo.
14 luglio 1941
Alle 17 (o 16) l’Alpino parte da Tripoli insieme ai
cacciatorpediniere Fuciliere e Lanzerotto Malocello ed alle
torpediniere Pegaso, Orsa e Procione, di scorta al convoglio «Barbarigo», diretto a Napoli e
formato dalle motonavi Barbarigo, Andrea Gritti, Sebastiano Venier, Rialto
ed Ankara (quest’ultima tedesca).
15 luglio 1941
Alle 14.07 il
sommergibile britannico P 33 avvista
il convoglio «Barbarigo» in posizione 36°27’ N e 11°54’ E, ed alle 14.39 lancia
quattro siluri contro la Barbarigo.
La motonave viene colpita alle 14.45 ed affonda alle 15.10, una ventina di km a
sud di Pantelleria. Subito il Fuciliere
e l’Alpino passano al contrattacco:
dapprima il Fuciliere lancia 28 bombe
di profondità, seguito dall’Alpino
che ne getta altre. I due cacciatorpediniere si riuniscono poi al convoglio,
mentre Orsa e Procione vengono
distaccate per dare la caccia al sommergibile (cui partecipano anche due
idrovolanti CANT Z. 501) e la Pegaso
per recuperare i naufraghi della Barbarigo.
Il bombardamento prosegue sino alle 16.05, con il lancio in tutto di 116 bombe
di profondità; il P 33 non viene
danneggiato gravemente, ma poco dopo la fine dell’attacco perde l’assetto e
sprofonda fino a 95 metri di profondità, subendo deformazioni dello scafo che
lo obbligano a rientrare alla base.
L’affondamento della Barbarigo rappresenta il primissimo
successo colto dal servizio di decrittazione britannico “Ultra” ai danni dei
convogli italiani: già l’11 luglio 1941, infatti, “Ultra” aveva comunicato che
un convoglio di sei navi da 5000 tonnellate, scortato da cacciatorpediniere,
avrebbe lasciato Tripoli alle 16 del 14 alla velocità di 14 nodi, passando ad
ovest delle isole Kerkennah alle 5 del 15 ed ad ovest di Pantelleria alle 14
dello stesso giorno, verosimilmente avendo Napoli come destinazione. Vi era
così stato tutto il tempo, per i comandi britannici, per disporre uno sbarramento
di sommergibili nella zona di Pantelleria per intercettare il convoglio nel
pomeriggio del 15, cosa effettivamente avvenuta. Questo episodio resterà
isolato sino all’ottobre 1941, quando con l’attacco al convoglio «Giulia» (anche
in quel caso l’Alpino sarà presente) inizierà
la serie continua dei successi colti dalle forze alleate a mezzo dell’“Ultra”.
16 luglio 1941
Alle 14.30 il
convoglio raggiunge Napoli.
21 luglio 1941
L’Alpino ed il Fuciliere vengono inviati a rinforzare la scorta del convoglio «Nicolò
Odero» (piroscafi Nicolò Odero, Maddalena Odero, Caffaro e Preussen,
quest’ultimo tedesco, scortati dai cacciatorpediniere Folgore, Fulmine, Euro e Saetta), in navigazione da Napoli a Tripoli. Al convoglio si
aggregano poi la torpediniera Pallade
(proveniente da Tripoli) e la nave cisterna Brarena,
partita da Palermo il 21 con la scorta del Fuciliere.
22 luglio 1941
Attacchi di
aerosiluranti britannici Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air
Arm affondano il Preussen (che
affondando trascina con sé 180 dei 440 uomini a bordo) ed immobilizzano la Brarena, che, dopo un inutile tentativo
dapprima di rimorchiarla verso Lampedusa (da parte del Fuciliere, assistito dal Folgore)
e poi di finirla a cannonate, viene abbandonata alla deriva in fiamme
(affonderà definitivamente dopo alcuni giorni).
27 luglio 1941
Alle 7 del mattino l’Alpino, insieme ai cacciatorpediniere Folgore, Fuciliere e Saetta,
lascia Tripoli per scortare a Napoli un convoglio di ritorno, l’«Ernesto»,
composto dai piroscafi Ernesto, Aquitania, Castelverde, Nita e Nirvo oltre che dalla cannoniera Palmaiola.
28 luglio 1941
Alle 18.15 il
cacciatorpediniere Fulmine si unisce
alla scorta del convoglio.
Alle 19.55
l’incrociatore leggero Garibaldi, in
mare insieme al Montecuccoli, al Granatiere ed al Bersagliere per fornire protezione a distanza al convoglio «Ernesto»,
viene silurato dal sommergibile HMS Upholder
in posizione 38°04’ N e 11°57’ E e seriamente danneggiato. L’Alpino ed il Fuciliere lasciano la scorta del convoglio «Ernesto» (che arriverà
indenne a Napoli il 30 dopo aver a sua volta evitato un attacco dell’Upholder) e raggiungono l’incrociatore
danneggiato alle 20.20.
29 luglio 1941
Il Garibaldi, scortato dall’Alpino e dalle altre navi, raggiunge
Palermo alle 6.30.
23 settembre 1941
Alle quattro del
mattino l’Alpino lascia Napoli
unitamente ai cacciatorpediniere Oriani,
Fulmine e Strale per scortare a Tripoli i piroscafi Perla, Castelverde ed Amsterdam.
24 settembre 1941
Al largo di
Pantelleria, all’una del pomeriggio, il convoglio avvista scie di siluri, che
non vanno a segno. Dal momento che nessun riscontro è stato trovato nei
rapporti dei sommergibili nemici, è probabile che si sia trattato di un falso
allarme.
25 settembre 1941
Alle 12.30 il
convoglio raggiunge Tripoli.
8 ottobre 1941
Alle 22.20 parte da
Napoli insieme a Granatiere, Bersagliere e Fuciliere (cui poi si aggrega l’anziana torpediniera Generale Antonio Cascino partita da
Trapani), di scorta al convoglio «Giulia» (navi da carico Giulia, Bainsizza, Zena e Casaregis, nave cisterna Proserpina)
diretto a Tripoli. Il Bainsizza deve rientrare
a Trapani per avarie, al pari del piroscafo Nirvo,
partito insieme alla Cascino e che
non è neanche riuscito ad aggregarsi al convoglio. Il convoglio procede a 9
nodi scortato, di giorno, da aerei della Regia Aeronautica.
10 ottobre 1941
Alle 22.25, a seguito
della decifrazione dei messaggi italiani da parte dell’organizzazione
britannica “Ultra” (che con intercettazioni dell’8 e del 9 ottobre, cui
seguiranno anche altre “postume” l’11 ed il 12, ha indicato orari e porti di
partenza e di arrivo, composizione e velocità del convoglio; come detto, questo
sarà il secondo attacco ad un convoglio italiano causato da “Ultra”, ed il
primo di una lunga serie protrattasi con continuità sino al 1943), il convoglio
viene attaccato da aerosiluranti britannici Fairey Swordfish dell’830th
Squadron della Fleet Air Arm: lo Zena
ed il Casaregis vengono colpiti. Lo Zena affonda poco dopo le tre di notte
dell’11 nel punto 34°52’ N e 12°22’ E; si tenta di prendere a rimorchio il Casaregis, ma il tentativo è vanificato
dall’incendio scoppiato a bordo, e la nave alla deriva dev’essere finita dalle
unità di scorta a mezzogiorno, affondando nel punto 34°02’ N e 14°42’ E (o
34°10’ N e 12°38’ E).
Le altre navi
raggiungono Tripoli alle 16.30 dell’11 ottobre.
8-9 novembre 1941
Alle 12.35 dell’8 Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed
Alpino e la III Divisione (Trento e Trieste) lasciano Messina per assumere la scorta indiretta del
convoglio «Beta» (poi divenuto più noto come convoglio «Duisburg», e composto
dalle navi da carico Duisburg, San Marco, Sagitta, Maria e Rina Corrado, navi cisterna Minatitlan e Conte di Misurata, con un carico complessivo di 34.473 t di
materiali, 389 autoveicoli e 243 militari), in navigazione alla volta di
Tripoli con la scorta diretta dei cacciatorpediniere Maestrale, Grecale, Fulmine, Euro, Libeccio ed Alfredo Oriani.
Nella notte tra l’8
ed il 9 novembre, circa 135 miglia a levante di Siracusa, il convoglio viene
attaccato (alle 00.57 del 9) dalla Forza K britannica (incrociatori leggerei Aurora e Penelope e cacciatorpediniere Lance
e Lively): tutti i trasporti ed il Fulmine sono affondati, il Grecale pesantemente danneggiato. La III
Divisione, con i relativi cacciatorpediniere, al momento dell’attacco sta
procedendo alla velocità di dodici nodi a poppavia ed ad est (sulla dritta) del
convoglio, ad una distanza di tre miglia (5 km), avvista la Forza K alle 00.59
ed i due incrociatori pesanti aprono il fuoco tra all’1.03, da 9800 metri; le
unità italiane accostano subito a dritta per 240°, poi assumono rotta 180°
all’1.09 ed all’1.26 invertono la rotta verso nord per intercettare la Forza K
– che sta aggirando il convoglio in senso antiorario – a poppavia del convoglio
(mantenendo per tutta la durata dell’azione un’insufficiente velocità che varia
tra i 16 ed i 20 nodi), ma tra l’1.25 e l’1.29 cessano il fuoco (dopo aver
sparato 207 colpi da 203 mm e 172 tra granate e proiettili illuminanti da 100 e
120 mm) ad una distanza che ormai è salita a 17.000 metri e, temendo un attacco
di aerosiluranti, si allontanano dall’area assumendo all’1.35 rotta verso
nordovest, rinunciando così ad intercettare la Forza K. L’Alpino non ha sostanzialmente ruolo nello scontro, e, terminata la
distruzione del convoglio, può solo partecipare al salvataggio dei 764
naufraghi insieme a Bersagliere, Fuciliere, Maestrale, Oriani, Euro e Libeccio. In mattinata il sommergibile HMS Upholder silura ed affonda il Libeccio
impegnato nel recupero dei naufraghi, e più tardi, alle 11.08, lancia tre
siluri anche contro uno dei cacciatorpediniere di scorta della III Divisione in
posizione 37°10’ N e 18°37’E, ma le armi non vanno a segno. La III Divisione
rientra a Messina alle 22.30 del 9.
21 novembre 1941
Prende il mare e scorta
a Messina, unitamente al Garibaldi,
ai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi,
Antonio Da Noli, Granatiere, Fuciliere, Carabiniere e Corazziere ed alla torpediniera Perseo,
il Duca degli Abruzzi, colpito da
aerosiluranti e pesantemente danneggiato mentre forniva scorta indiretta
nell’ambito di una fallita operazione di traffico (due convogli) verso la
Libia.
9 dicembre 1941
L’Alpino, il Granatiere, il Bersagliere ed
il Fuciliere, in navigazione di
trasferimento da Taranto a Napoli, vengono avvistati alle 5.39 (dopo che i loro
rumori sono stati rilevati dall’idrofono alle 5.30), in posizione 37°42’ N e
15°49’ E, dal sommergibile britannico Unbeaten
(cui stanno inconsapevolmente andando direttamente incontro). L’Unbeaten prepara i siluri ma, in
considerazione della distanza troppo ridotta (che potrebbe far sì che i siluri
passino sotto gli scafi senza esplodere), non attacca.
Il cacciatorpediniere in navigazione, fotografato da un’altra nave (coll. Guido Alfano via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
13-15 dicembre 1941
Alle 17.40 del 13
giorno l’Alpino lascia Taranto (per
altra fonte Napoli) insieme al resto della XIII Squadriglia, alle torpediniere Centauro e Clio ed alle corazzate Littorio
e Vittorio Veneto (alla formazione si
aggregano poi anche i cacciatorpediniere Da
Recco, Ugolino Vivaldi, Lanzerotto Malocello, Antonio Da Noli e Nicolò Zeno) per dare appoggio all’operazione «M 41», che vede
l’invio in Libia di tre convogli con in totale sei trasporti, cinque
cacciatorpediniere ed una torpediniera. L’Alpino,
insieme a Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Centauro e Clio, scorta le due navi da battaglia.
Alle 8.40 del 13 dicembre la formazione, che procede verso sud a 17 nodi
attraverso lo stretto di Messina, viene avvistata dal sommergibile HMS Urge. Alle 8.58, in posizione 37°52’ N e
15°30’ E (secondo il libro di bordo del sommergibile; per fonti italiane nel
punto 37°53’ N e 15°29’ E, comunque una decina di miglia ad ovest/sudovest di
Capo dell’Armi) l’Urge lancia quattro
siluri contro la Vittorio Veneto: la
corazzata viene colpita e riporta gravi danni, con 40 morti a bordo. Nella
successiva mezz’ora i cacciatorpediniere contrattaccano lanciando
infruttuosamente una quarantina di cariche di profondità. La corazzata deve
rientrare a Taranto, e gli attacchi subacquei provocano il fallimento
dell’operazione, con l’affondamento anche delle moderne motonavi Fabio Filzi e Carlo Del Greco (da parte dell’HMS Upright) ed il rientro in porto delle restanti navi.
16-19 dicembre 1941
Il 16 dicembre lascia
Taranto insieme ai cacciatorpediniere Granatiere,
Bersagliere, Corazziere, Fuciliere, Carabiniere, Oriani, Gioberti ed Usodimare, a Trento e Gorizia ed alle
corazzate Giulio Cesare, Andrea Doria e Littorio per fornire sostegno
all’operazione «M 42», che prevede l’invio in Libia di quattro mercantili (Vettor Pisani, Monginevro, Napoli ed Ankara, che trasportano 14.770 t di
materiali e 212 uomini) scortati da sette cacciatorpediniere (Saetta, Vivaldi, Malocello, Da Recco, Da Noli, Pessagno e Zeno) ed una torpediniera (la Pegaso), divisi in due convogli (Ankara, Saetta e Pegaso dirette a
Bengasi come convoglio “N”, le altre unità dirette a Tripoli come convoglio
“L”). L’operazione fruisce anche di scorta aerea assicurata dalla Regia
Aeronautica e dalla Luftwaffe e di una forza navale di copertura ravvicinata (Duilio, Duca d’Aosta, Attendolo, Montecuccoli, Ascari, Aviere e Camicia Nera). Nel tardo pomeriggio del
17 dicembre il gruppo «Littorio» si scontra con la scorta di un convoglio
britannico diretto a Malta in un breve ed inconclusivo scambio di colpi
chiamato prima battaglia della Sirte: le navi italiane, che procedono in linea
di fila verso sud per intercettare un convoglio britannico diretto a Malta,
avvistano al traverso quelle britanniche alle 17.23 ed accostano ad un tempo
verso ovest, aprendo il fuoco da grande distanza (le navi maggiori) mezz’ora
più tardi. Le navi britanniche (in netta inferiorità) simulano un contrattacco
con gli incrociatori leggeri Aurora, Penelope, Naiad ed Euryalus e 10
cacciatorpediniere, avvicinandosi ed aprendo il fuoco, e la X e XIII
Squadriglia Cacciatorpediniere vengono inviate al contrattacco silurante,
sparando anche sulle navi nemiche con tutti i pezzi. Calato poi il buio, le
siluranti vengono richiamate. Già alle 17.59 le navi maggiori italiane cessano
il fuoco, seguite, alle 18.10, dalle unità sottili. Lo scontro ha così termine
in un nulla di fatto, perché l’ammiraglio Iachino, temendo – a torto, in
seguito ad errate informazioni della ricognizione aerea – la presenza in mare
di almeno una corazzata britannica, decide di non portare a fondo l’attacco.
Alle 13 (o 15) del 18
dicembre sia il gruppo di copertura ravvicinata che quello di scorta a distanza
lasciano la scorta dei due convogli, che arriveranno a destinazione l’indomani
(pur subendo il leggero danneggiamento della Napoli), e fanno ritorno a
Taranto, dove giungono il 19, ma non prima che Granatiere e Corazziere,
il mattino del 18, siano entrati in collisione, distruggendosi a vicenda la
prua.
In seguito alla messa
fuori combattimento del Granatiere,
sarà l’Alpino a diventare unità
caposquadriglia della XIII Squadriglia.
1942
Lavori di
rimodernamento: l’obice illuminante da 120 mm e le dodici mitragliere
contraeree da 13,2/76 mm (quattro in impianti singoli ed otto in impianti
binati) vengono sbarcate e vengono installate quattro mitragliere contraeree Breda
1935 da 20/65 mm, due delle quali (in un impianto binato) sulla tuga centrale,
al posto dell’obice illuminante, e le altre due (in impianti singoli a
puntamento libero) a poppa. Per altra versione le mitragliere contraeree da
20/65 imbarcate sono otto, in impianti binati. Vengono imbarcati anche un ecogoniometro
e due scaricabombe di profondità.
Gennaio 1942
Il capitano di fregata Calosi viene rimpiazzato dal capitano di vascello Ferrante Capponi.
Gennaio 1942
Il capitano di fregata Calosi viene rimpiazzato dal capitano di vascello Ferrante Capponi.
3-5 gennaio 1942
Alle 18.50 del 3
gennaio l’Alpino, insieme ai
cacciatorpediniere Carabiniere, Pigafetta, Da Noli, Ascari, Aviere, Geniere e Camicia Nera,
agli incrociatori pesanti Trento e Gorizia ed alle corazzate Littorio, Giulio Cesare ed Andrea Doria,
lascia Taranto facendo parte di un gruppo d’appoggio assegnato alla copertura
dell’operazione di traffico «M 43» (che vede in mare in tutto sei mercantili,
altrettanti cacciatorpediniere e cinque torpediniere, diretti in Libia
suddivisi in tre convogli, oltre ad una poderosa forza di copertura che
comprende la maggior parte delle forze navali da battaglia). Il gruppo
d’appoggio di cui fa parte l’Alpino
si posiziona verso est rispetto ai convogli, per porsi sulla rotta da cui
proverrebbero eventuali attacchi da parte delle forze di superficie
britanniche. Non si verifica, tuttavia, alcun problema – i due gruppi navali di
copertura (l’altro è composto dalla corazzata Duilio, quattro incrociatori
leggeri e cinque cacciatorpediniere) vengono saltuariamente avvistati da
ricognitori britannici ma riescono a confondere loro le idee modificando la
rotta, impedendo che il convoglio venga avvistato. Il gruppo «Littorio» viene
localizzato da un ricognitore la mattina del 4 gennaio, poi, di nuovo, in
serata, ed in seguito a questo secondo avvistamento decollano da Malta aerei
britannici diretti ad attaccarlo, ma non riescono a trovare le navi italiane.
Il convoglio arriva indenne a Tripoli alle 12.30 del 5 gennaio, ed il gruppo
d’appoggio, cui appartiene l’Alpino,
rientra a Taranto alle 17 del giorno stesso, non prima che, alle 15.30, il
sommergibile britannico Unique, dopo
aver avvistato la formazione italiana (Littorio,
Cesare, Alpino, Carabiniere, Da Noli, Pigafetta, Ascari e Fuciliere) alle 14.53, nel punto 40°07’
N e 17°07’ E (nel golfo di Taranto), abbia infruttuosamente lanciato quattro
siluri contro la Littorio.
L’Alpino in navigazione con mare mosso (g.c. Leonardo Mestriner) |
22-25 gennaio 1942
Alle 11.00 del 22
prende il mare (da Taranto) insieme a Carabiniere,
Bersagliere, Fuciliere (che formano la XIII Squadriglia di cui l’Alpino è caposquadriglia), Attendolo, Duca d’Aosta e Montecuccoli
(gruppo «Aosta», dal nome della nave ammiraglia) per fornire copertura
ravvicinata all’operazione «T. 18» (che prevede l’invio a Tripoli di un convoglio
formato dalla motonave passeggeri Victoria
salpata da Taranto e dalle moderne motonavi da carico Ravello, Monviso, Monginevro e Vettor Pisani partite da Messina, il tutto con la scorta diretta di
Vivaldi, Malocello, Da Noli, Aviere, Geniere e Camicia Nera
nonché delle torpediniere Castore ed Orsa). Lo stesso 22 gennaio, nel golfo
di Taranto, il sommergibile britannico Torbay
lancia sei siluri contro la formazione da 7300 metri di distanza, ma nessuno va
a segno. Alle 18.00 dello stesso giorno, una quarantina di miglia ad est di
Punta Stilo, il gruppo «Aosta» prende contatto con il convoglio formato da Victoria, Monviso, Monginevro e Pisani (la Ravello è rientrata per un’avaria al timone) con le relative
scorte. Alle 15 del 23 gennaio, 190 miglia ad est-sud-est di Malta (le navi
italiane hanno seguito rotte esterne al raggio d’azione degli aerosiluranti di
Malta) la formazione è completa, con il gruppo «Aosta» a proravia del convoglio
ed il gruppo «Duilio» (corazzata Duilio,
cacciatorpediniere Oriani, Ascari, Scirocco e Pigafetta) a
poppavia dello stesso. La formazione fa rotta verso sud sino al tramonto, poi
compie un ampio giro e fa rotta su Tripoli, ma subisce due attacchi di
aerosiluranti Fairey Albacore: il primo dalle 17.20 alle 17.30, il secondo dalle
18.30 alle 19.10. La Victoria viene
immobilizzata dal primo attacco, e, mentre il convoglio prosegue verso Tripoli
lasciandole Aviere, Ascari e Camicia Nera per l’assistenza, viene nuovamente colpita ed
affondata dal secondo attacco. Alle 19.15 del 23 il gruppo «Duilio» lascia il
convoglio, che prosegue con la scorta diretta ed il gruppo «Aosta». Tra le
21.30 e le 00.30 del 24 il convoglio subisce un terzo attacco aereo, che viene
però sventato dalle navi del gruppo «Aosta», che poi lascia il convoglio alle
dieci del mattino del 24, ad una sessantina di miglia da Tripoli.
Il resto del
convoglio giunge a destinazione il 24.
14-16 febbraio 1942
L’Alpino, insieme a Carabiniere, Bersagliere
e Fuciliere, alla VIII Squadriglia
Cacciatorpediniere (Folgore, Fulmine e Saetta), alla VII Divisione (Montecuccoli
e Duca d’Aosta) ed alla corazzata Duilio, lascia Taranto per partecipare
all’operazione «M.F. 5» a contrasto dell’invio di un convoglio britannico
(convoglio «M.W. 9») da Alessandria a Malta. L’Alpino ed il resto della XIII Squadriglia partono da Taranto alle
19.45 del 14 insieme alla VII Divisione, preceduti dalla Duilio, che viene però fatta rientrare in porto poco dopo per
l’inutilità della sua uscita in mare (non essendovi corazzate britanniche a
difesa del convoglio). VII Divisione e XIII Squadriglia, aumentata la velocità
a 28 nodi, si congiungono con III Divisione ed X Squadriglia, partite da
Messina, verso le 9.20 del 15 febbraio, procedendo poi a 20 nodi con rotta
180°. Alle 18.30, tuttavia, essendo il convoglio britannico troppo vicino a
Malta per poter essere intercettato (ma nessuno dei tre mercantili che lo
compongono riuscirà ad arrivarvi, grazie agli attacchi aerei), la formazione
italiana riceve l’ordine di rientrare alla base. Alle 4.44 del 16 febbraio le
navi italiane vengono illuminate da bengala ed alle 5.30 sono attaccate da
aerosiluranti, senza risultato grazie alle pronte contromanovre elusive delle
navi italiane, che emettono anche cortine fumogene. Alle 7.25 del 16 le due
divisioni si separano, scambiandosi però le squadriglie di cacciatorpediniere,
così che la XIII Squadriglia finisce insieme alla III Divisione, che fa rotta
su Messina. Tale Divisione, poco prima tra le 7.47 e le otto del mattino,
s’imbatte in un velivolo britannico smarrito che viene abbattuto dalla scorta
aerea tedesca (l’equipaggio superstite è salvato dal Fuciliere). Alle 11.30 la velocità viene aumentata a 24 nodi,
essendo entrati in una zona pattugliata da sommergibili britannici, e la
formazione riceve la scorta della vecchia torpediniera Giuseppe Dezza, di due MAS e di sette aerei (cinque tedeschi e due
italiani). Alle 13.45 il Carabiniere
viene silurato dal sommergibile britannico P
36 e perde la prua: 20 uomini rimangono uccisi e 40 feriti. Questi ultimi
vengono trasbordati sui MAS (i più gravi), sull’Alpino e sul Bersagliere,
mentre il Carabiniere viene
rimorchiato a Messina dalla Dezza e
poi dal rimorchiatore Instancabile. Alpino e Bersagliere raggiungono Messina alle 19 del 16 febbraio, tre ore
dopo il resto della formazione (il danneggiato Carabiniere vi arriverà l’indomani).
21-24 febbraio 1942
Alle 18.30 del 21
febbraio l’Alpino lascia Messina
unitamente ai cacciatorpediniere Oriani
e Da Noli, agli incrociatori pesanti Trento e Gorizia ed all’incrociatore leggero Bande Nere (gruppo «Gorizia»). Nell’ambito dell’operazione di
traffico «K. 7» (invio in Libia di due convogli per totali sei mercantili,
scortati da dieci cacciatorpediniere e due torpediniere, con l’appoggio oltre
al gruppo «Gorizia» di un gruppo «Duilio» formato dall’omonima corazzata
insieme a quattro cacciatorpediniere) il gruppo «Gorizia» raggiunge al largo di
Capo Spartivento Calabro il convoglio n. 1 (motonavi Monginevro, Unione, Ravello, cacciatorpediniere Vivaldi, Zeno, Malocello, Premuda e Strale, torpediniera Pallade),
uscito da Messina un’ora prima. Intorno alle 13 del 22 febbraio, 180 miglia ad
est di Malta, si accoda al convoglio n. 1 anche il convoglio n. 2 (motonavi Lerici e Monviso, nave cisterna Giulio
Giordani, cacciatorpediniere Usodimare,
Pessagno, Pigafetta, Maestrale e Scirocco, torpediniera Circe), proveniente da Corfù, e la
formazione viene completata alle 7.30 del 22 con l’arrivo del gruppo «Duilio» (Duilio e cacciatorpediniere Aviere, Geniere, Ascari e Camicia Nera) che segue il resto delle
navi italiane a breve distanza. Mentre quest’ultimo inverte la rotta alle 19.40
del 22 per tornare a Taranto, il gruppo «Gorizia» scorta i due convogli sino
all’imbocco delle rotte costiere per Tripoli, poi, alle 10.30 del 23 febbraio,
inverte la rotta a sua volta, giungendo a Messina il 24, alle 11.40 (con la
scorta aerea di bombardieri tedeschi Junkers Ju 88 il 24, così com’era stato il
21, mentre il 23 le pessime condizioni meteorologiche impediscono ai velivoli
germanici di trovare le navi italiane). Il gruppo italiano ha compiuto un largo
giro intorno a Malta, ed il maltempo ha contribuito ad impedire attacchi
(nonostante diversi avvistamenti sia dei convogli che delle forze di protezione
da parte dei ricognitori ed il lancio di bengala tra le 00.30 e le 5.30 del
23). I due convogli giungono indenni a Tripoli nel pomeriggio del 23.
22-24 marzo 1942
All’una di notte del
22 marzo Alpino, Bersagliere, Fuciliere ed
il gemello Lanciere (temporaneamente
aggregato alla XIII Squadriglia) partono da Messina insieme a Trento, Gorizia e Bande Nere
(gruppo «Gorizia», la III Divisione), per intercettare un convoglio britannico
(«M.W. 10») diretto a Malta. Il gruppo «Gorizia» procede lungo la costa
calabrese sino a Capo Spartivento, poi, alle 2.52, accosta assumendo rotta 150°
verso il punto prestabilito «B» (a 160 miglia per 95° da Malta), a 25 nodi.
Alle 10.40, su ordine dell’ammiraglio Iachino, la III Divisione accosta per
160° (più tardi per 165°) per stabilire contatto visivo con le forze
britanniche, quindi la XIII Squadriglia si porta in posizione di scorta
avanzata e poi la formazione assume una velocità di 30 nodi. A causa del mare
sempre più agitato, alle 12.12 la velocità deve essere ridotta a 28 nodi per
non causare eccessivi problemi ai cacciatorpediniere, poi, alle 13.32 (per gli
stessi motivi), la velocità viene ulteriormente ridotta a 26 nodi e si accosta
per 180°. Alle 13.40 la formazione assume rotta 210°. Alle 13.42 il gruppo «Gorizia»
si dispone perpendicolarmente alla probabile direzione di avvistamento dei
britannici, con il Gorizia al centro,
Trento e Bande Nere alla sua sinistra su rilevamento 90° e la XIII
Squadriglia alla sua dritta su rilevamento 270°, ad una distanza di 4000 metri.
Alle 14.23 vengono avvistate le navi nemiche, su rilevamento 185° (a 23.000
m)-170°-160°, ed inizia l’avvicinamento, con un’accostata per 250°. Gli
incrociatori britannici dirigono contro quelli italiani per difendere il
convoglio, e la III Divisione, come precedentemente stabilito, fa rotta verso
nord per attirarli verso il gruppo «Littorio» (corazzata Littorio, cacciatorpediniere Ascari,
Aviere, Oriani e Grecale). Inizia
lo scambio di colpi tra gli incrociatori (quelli italiani aprono il fuoco alle
14.35, quelli britannici alle 14.56), e le navi britanniche accostano prima ad
est, poi a sud e poi di nuovo ad ovest, per non allontanarsi dal convoglio; il
gruppo «Gorizia» le asseconda, continuando a sparare ed a tenere il contatto, e
quando le unità nemiche accostano di nuovo verso nord cerca di nuovo di portarle
verso il gruppo «Littorio», cui si unisce alle 15.23. Alle 15.20, frattanto,
gli incrociatori britannici accostano di nuovo verso sud per riunirsi al
convoglio.
Alle 16.31 la squadra
italiana, ora riunita, avvista di nuovo quella britannica per rilevamento 210°,
quindi accosta in successione per 90°, per 290° e per 270°, ed alle 16.43 si
apre il fuoco da entrambe le parti. Le navi italiane danneggiano l’incrociatore
britannico Cleopatra, che ripiega
coperto da cortine nebbiogene, poi sospendono il fuoco alle 16.52 e lo
riprendono alle 17.03, per poi cessarlo alle 17.11. Alle 17.18 la formazione
italiana accosta per 240° ed alle 17.25 per 250°, riducendo la velocità a 20
nodi, per accerchiare la forza nemica da ovest, poi, alle 17.31, vira verso sud
assumendo rotta 200° per ridurre le distanze. Si riprende il fuoco, ed il
cacciatorpediniere britannico Havock
è colpito; il tiro viene più volte sospeso e ripreso, anche in conseguenza
della pessima visibilità causata dal maltempo. Alle 17.56 le navi italiane, per
ridurre il violento rollio causato dalla tempesta ed al contempo evitare di
modificare l’orientamento rispetto al nemico, accostano ad un tempo per 250°,
ed alle 18.10 assumono rotta 280°, allontanandosi dalle navi britanniche. Viene
cessato il fuoco, ma le navi britanniche si avvicinano ed attaccano,
infruttuosamente, con i siluri, per poi ripiegare verso est. Alle 18.20 la
squadra italiana assume rotta 220° ed alle 18.27 rotta 180°, per avvicinarsi al
convoglio britannico ed obbligarlo ad allontanarsi da Malta; alle 18.31 le navi
italiane aprono il fuoco da 15.000 metri, cui la squadra britannica risponde
con un altro attacco silurante (ordinato alle 17.59, iniziato alle 18.27 e
terminato alle 18.41), durante il quale viene gravemente danneggiato il
cacciatorpediniere Kingston. La
flotta italiana prosegue su rotta 180° a 22 nodi, accostando ad un tempo per
295° alle 18.45 (per evitare i siluri) e riducendo la velocità a 20 nodi; alle
18.51 le navi di Iachino accostano per 330° ed accelerano a 26 nodi, per
evitare altri attacchi siluranti, anche perché la visibilità è sempre più
ridotta causa la nebbia in aumento ed il mare sempre più mosso. Il fuoco viene
cessato da entrambe le parti tra le 18.56 e le 18.58, e poco dopo si perde il
contatto: ha così termine l’inconclusiva seconda battaglia della Sirte.
Alle 19.06 la
formazione italiana accosta verso nord e poco dopo si dispone in un’unica linea
di fila (navi maggiori), con i cacciatorpediniere in posizione di scorta
laterale ravvicinata; alle 19.20 la velocità viene ridotta a 24 nodi ed alle
19.48 la XIII e la XI Squadriglia si posizionano a poppavia delle navi maggiori
in doppia colonna, XIII Squadriglia a dritta e XI a sinistra. Il maltempo,
degenerato ormai in una vera e propria tempesta, costringe però la squadra
italiana ad accostare per 25° e ridurre la velocità a 20 nodi alle 20.00, ed
alle 20.26 ad assumere rotta 10° (l’ordine di rientro in porto arriva alle
20.34). Alle 21.17 la velocità viene ridotta a 18 nodi ed alle 23.57 a 16,
sempre per lenire il travaglio dei cacciatorpediniere. Molte delle navi rollano
pericolosamente, e numerosi cacciatorpediniere iniziano a manifestare avarie:
della XIII Squadriglia, il Lanciere
rimane indietro rispetto alle altre unità sin dalle 20.30, dovendo assumere
rotta 20° e, alle 22.45, fermarsi per riparare dei guasti alle macchine.
Quando, alle 23.15, il Lanciere è
costretto a mettere alla cappa con una sola macchina, l’Alpino riceve l’ordine di dargli assistenza, ma è impossibilitato a
farlo dal buio pesto, ed anzi, alle 5.25 del 23 marzo, è l’Alpino stesso ad iniziare accusare un funzionamento irregolare del
timone. Il Lanciere affonderà poco
dopo le 10.17 del 23 marzo, lasciando solo 16 sopravvissuti (su un equipaggio
di 242 uomini), ed analoga fine subirà anche un altro cacciatorpediniere, lo Scirocco. Alle otto del mattino del 23
l’Alpino, sebbene ancora il suo
timone non funzioni al meglio, riceve dall’ammiraglio Angelo Parona (comandante
della III Divisione) l’ordine di scortare a Messina il Fuciliere, che ha subito anch’esso delle avarie ed è scaduto di
poppa rispetto alla Littorio. Alle
15.45 dello stesso 23 marzo Alpino e Fuciliere (quest’ultimo assistito da un
rimorchiatore) giungono a Messina, prime navi italiane a rientrare alla base
dopo il Gorizia che è giunto nello
stesso porto già alle 14.20.
14-15 giugno 1942
Lascia Taranto
insieme al resto della XIII Squadriglia (Mitragliere,
Bersagliere e Pigafetta, alla VII Squadriglia (Freccia, Folgore, Legionario, Saetta), alla XI Squadriglia (Aviere,
Geniere, Corazziere, Camicia Nera),
alla III Divisione (Trento e Gorizia), alla VIII Divisione (Garibaldi e Duca d’Aosta) ed alla IX Divisione (Littorio e Vittorio Veneto)
per contrastare l’operazione britannica «Vigorous» (invio di un convoglio di
rifornimenti da Alessandria a Malta, con undici mercantili scortati da otto
incrociatori e 26 cacciatorpediniere oltre a naviglio minore ed ausiliario) nel
corso della battaglia aeronavale di Mezzo Giugno. La XIII Squadriglia, insieme
alla VII, è assegnata alla scorta delle due corazzate. La formazione italiana
(le cui unità sono tenute pronte ad uscire in mare entro tre ore già dalle 18
del 13 giugno) parte da Taranto nel primo pomeriggio del 14 (la III e la VIII
Divisione oltrepassano le ostruzioni alle 13.02, la IX Divisione alle 13.49),
poi (a 20 nodi) segue le rotte costiere orientali del golfo di Taranto sino al
largo di Vela di Santa Maria di Leuca, dopo di che, alle 18.06, assume rotta
180° e dirige per il punto prestabilito «Alfa» (34°00’ N e 18°20’ E) per intercettare
il convoglio britannico. Calata la notte, gli otto cacciatorpediniere della VII
e XIII Squadriglia si dispongono attorno a Littorio
e Vittorio Veneto: Alpino e Legionario procedono a proravia della formazione, il primo a
sinistra (seguito nell’ordine da Bersagliere,
Pigafetta e Mitragliere, disposti su una fila più esterna) ed il secondo a
dritta, mentre gli altri sei procedono su due colonne (VII Squadriglia a dritta
e XIII a sinistra) ai lati delle due corazzate. Essendo stata avvistata alle
17.45 da ricognitori, la squadra italiana prosegue verso sud fino alle 22, poi,
alle 22.03, accosta per 140°, riassumendo rotta 180° solo a mezzanotte, allo
scopo di disorientare le forze nemiche. Intorno alle 2.30 del 15 giugno,
essendo stati rilevati aerei britannici ed essendo prossimo il loro attacco
(diretto contro il gruppo «Littorio»), la squadra italiana inizia ad emettere
cortine nebbiogene ed accosta ad un tempo di 40° a sinistra, ritenendo
l’ammiraglio Iachino che l’attacco aereo sia in arrivo da tale lato (ed in tal
caso sarebbe vantaggioso puntare la prua sugli aerei per ridurre le probabilità
di essere colpiti, ed al contempo per allontanarsi dai bengala, che usualmente
vengono sganciati dal lato opposto a quello dove si verifica l’attacco), ma poi,
dato che si sentono rumori di aerei in arrivo anche da altre direzioni, viene
ripresa la navigazione verso sud in linea di fila. Alle 2.40, appena è stata
riassunta rotta 180°, iniziano ad accendersi bengala a sinistra, quindi la
squadra italiana accosta di 40° a dritta per allontanarsi, e procede con tale
rotta sino alle 3.31, poi accosta di 30° a dritta e dopo altri cinque minuti di
30° a sinistra (per confondere i piloti degli aerei), fino a che alle 3.56, non
vedendosi più bengala, viene ripresa la rotta 180° e cessa l’emissione di
cortine fumogene. I quattro aerosiluranti Vickers Wellington, infatti, si sono
ritirati non essendo riusciti ad individuare le navi italiane nelle cortine
nebbiogene, eccetto uno che ha lanciato un siluro contro una corazzata ma senza
risultati.
Alle 4.15 la
formazione italiana, essendo andata più ad ovest della rotta prevista, accosta
per 160° dirigendo per il punto «Alfa» per non ritardare l’incontro con il
convoglio britannico (che tuttavia, all’insaputa dei comandi italiani, ha già
invertito la rotta alle 00.45 rinunciando a raggiungere Malta, in seguito sia a
danni e perdite causati dagli attacchi aerei che all’impossibilità di sostenere
uno scontro con la forza navale italiana, di molto superiore; il convoglio
dirigerà di nuovo su Malta dalle 5.30 alle 8.40, per poi invertire
definitivamente la rotta e tornare ad Alessandria).
Poco dopo le cinque
del mattino del 15 giugno i quattro incrociatori, che con la XI Squadriglia
procedono 15 miglia a poppavia del gruppo «Littorio», vengono attaccati da nove
aerosiluranti britannici Bristol Beaufort, uno dei quali colpisce il Trento, che viene immobilizzato ed
incendiato. Poi tre degli aerosiluranti attaccano anche il gruppo «Littorio»:
le due corazzate aprono il fuoco con i cannoni da 90 mm ed i cacciatorpediniere
sparano alcune salve con i pezzi principali da 120 mm quando gli aerei sono
lontani, poi aprono il fuoco anche con le mitragliere non appena la distanza si
è sufficientemente ridotta, continuando inoltre ad eseguire accostate per
impedire il lancio simultaneo dei siluri. Il primo aereo lancia,
infruttuosamente, alle 5.26 da 4500 metri, un altro lancia da 1500 ma l’arma
viene evitata con le manovre, il terzo si allontana per poi ritornare
all’attacco e, nonostante l’intenso tiro contraereo (tutte le armi sono dirette
contro di lui), alle 5.51 riesce a sganciare da 2000 metri e poi si allontana
indenne dopo essere passato tra le due corazzate. Il siluro, diretto contro la Vittorio Veneto, non va a segno. La
formazione italiana prosegue sulla sua rotta, dopo aver distaccato Saetta e Pigafetta per l’assistenza al Trento
danneggiato. (Più tardi, alle 9.13, il Trento
verrà nuovamente silurato dal sommergibile britannico P 35 – che alle 5.46 aveva già infruttuosamente lanciato quattro
siluri da 4500 metri contro la Vittorio
Veneto, senza che le unità italiane se ne accorgessero – ed affonderà in
soli sette minuti, con la perdita di 570 dei 1151 uomini dell’equipaggio).
Alle sette vi è un
nuovo allarme in seguito all’avvistamento di nove aerei dapprima ritenuti
nemici – tutte le armi vengono puntate contro di essi –, ma che poi si rivelano
essere tedeschi, la scorta aerea sopraggiunta. Sempre alle 7, in seguito a
numerose comunicazioni che rivelano che il convoglio è molto indietro rispetto
al previsto od addirittura sta tornando ad Alessandria, la squadra di Iachino
assume rotta 140° per poterlo intercettare (nell’ipotesi che ancora stia
dirigendo su Malta). Poco dopo le otto vengono avvisati due aerei britannici
30° a di prua a dritta, e viene aperto il fuoco contro di essi, ma frattanto
sopraggiunge da sinistra una formazione di otto bombardieri statunitensi
Consolidated B-24 Liberator che, tenendosi a 4000 metri di quota, sgancia sulle
corazzate, colpendo con una bomba la Littorio,
provocando modesti danni. Subito dopo le navi italiane accostano ad un tempo di
80° a sinistra, per poter rivolgere tutte le armi contro gli aerei, poi,
essendosi questi allontanati, riprendono la rotta 110°. Poco dopo le 8.40
vengono avvistati cinque aerosiluranti Bristol Beaufort provenienti da prua,
contro cui aprono il fuoco sia i pezzi da 90 mm delle corazzate che quelli da
120 mm dei cacciatorpediniere (e successivamente anche le mitragliere), e le
navi accostano rapidamente sulla dritta sin quasi ad invertire la rotta,
confondendo gli attaccanti, che lanciano infruttuosamente da poppa, tre da una
distanza di circa 4000 metri e due da una distanza di 2000 metri (le prime tre
armi sono evitate con piccole accostate, le ultime due mettendo tutta la barra a
sinistra). Due degli aerei vengono danneggiati dal tiro contraereo. Poi la
squadra italiana ritorna in linea di fila, con la Littorio in testa ed i sei cacciatorpediniere in posizione di
scorta ravvicinata; viene assunta rotta verso sud e poi, alle nove, si torna
sulla rotta 110° (verso est-sud-est) per raggiungere il nemico. Alle 9.17, in
seguito all’avvistamento di navi da parte di uno dei ricognitori imbarcati, la
velocità viene portata a 24 nodi; alle 11.50, in seguito all’avvistamento di un
fumo a 30° di prua dritta, la formazione italiana accelera a 28 nodi ed assume
rotta per 150° per incontrare quelle che crede essere le navi britanniche, ma
scopre trattarsi di un ricognitore italiano precipitato in mare. Alle 12.20 la
velocità viene nuovamente ridotta a 24 nodi, ed alle 14.00, essendo ormai
evidente l’impossibilità di incontrare le forze nemiche, ormai tornate alla
base, anche le unità italiane accostano per 340° e riducono la velocità a 20
nodi per rientrare alle loro basi. Alle 17.09 un caccia tedesco getta in mare,
a sinistra delle navi, un fumogeno, segnale concordato per indicare
l’avvistamento di un sommergibile, pertanto la formazione italiana accosta ad
un tempo a dritta, per poi tornare sulla rotta 340° alle 17.21. Alle 22, in
seguito a nuove disposizioni (trovarsi a 60 miglia per 180° da Nido alle cinque
del mattino del 16, per un’eventuale ripresa dell’azione) la squadra di Iachino
assume rotta 250°, ma tra le 22.30 e le 23, in seguito al rilevamento di aerei,
accosta dapprima per 210° e poi (poco prima delle 23) per 260°. Poco dopo,
tuttavia, iniziano ad accendersi dei bengala e quindi le navi italiane iniziano
ad emettere cortine di nebbia, che risultano però meno dense ed efficaci
rispetto alla notte precedente. Alle 23.26 ed alle 23.55 si accendono altri
bengala a dritta e verso poppavia, e la seconda serie di bengala, a 4000 metri,
vanifica l’effetto delle cortine fumogene. Le navi accostano rapidamente di 20°
a sinistra, per lasciarsi a poppa i bengala, ma poco dopo se ne accendono altri
a soli 2500 metri. I cacciatorpediniere (cui poi si uniscono le corazzate)
dirigono il tiro di tutte le mitragliere su un aerosilurante britannico, in
avvicinamento da circa 20° di prora a dritta, che riesce ad avvicinarsi a circa
1000 metri prima di sganciare: alle 23.40 la Littorio viene colpita da un siluro a prua dritta. Dopo essersi
fermata per evitare una collisione con la Vittorio
Veneto impegnata in manovre evasive, la corazzata colpita può rimettere in
moto a 20 nodi, e la formazione assume rotta 340°, ma altri bengala si
accendono a soli 2000 metri, quindi la formazione italiana accosta
immediatamente ad un tempo a dritta assumendo rotta 50° per lasciarsi i bengala
a poppa, ma non vi sono altri attacchi. Poco dopo mezzanotte viene ripresa rotta
350° (verso nord), mentre le navi italiane vengono infruttuosamente cercate da
altri aerei. Non si verificano più attacchi aerei, ed all’1.18 viene fatta
cessare l’emissione di cortine e si ritorna in formazione, con rotta su
Taranto. Alle 5.06 la squadra accosta per 315° apprestandosi ad imboccare la
rotta di sicurezza, procedendo a zig zag e poi eseguendo diverse accostate in
seguito ad avvistamenti, veri o presunti, di periscopi nemici; verso le 9 un
altro caccia tedesco getta in mare un fumogeno (così segnalando la presenza di
un sommergibile) a dritta della formazione, che accosta immediatamente a
sinistra. La rotta di sicurezza viene imboccata alle 10.35, ed alle 16 il
gruppo «Littorio» attraversa le ostruzioni, giungendo poco dopo nel porto di
Taranto.
L’Alpino con colorazione mimetica durante la guerra (foto tratta dal sito http://www.warshipsww2.eu/shipsplus.php?language=E&id=61094).
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1-2 luglio 1942
Parte da Taranto e
viene inviato a Navarino unitamente alla VIII Divisione (Garibaldi, Duca d’Aosta e
Duca degli Abruzzi) ed ai gemelli Bersagliere, Corazziere e Mitragliere.
La formazione rimane stanziata nel porto greco per quattro mesi, pronta a
prendere il mare nel caso convogli in navigazione nel Mediterraneo
centro-orientale dovessero subire attacchi da parte di navi di superficie
partite dalle basi britanniche in Medio Oriente, ma tale necessità non si
manifesterà.
2 agosto 1942
L’Alpino ed il gemello Corazziere partono da Brindisi per
scortare a Bengasi, via Navarino, la moderna motonave Monviso.
3 agosto 1942
Alle 15.25 la Monviso viene scossa da un’esplosione ed
affonda 16 miglia a nordovest di Bengasi. Alcune fonti attribuiscono
l’affondamento a siluramento da parte del sommergibile HMS Thorn, ma questi riportò un attacco a 200 miglia di distanza, il
che fa ritenere che la perdita del Monviso
fu dovuta più probabilmente ad urto contro mina.
11 agosto 1942
Bombardamento aereo
su Navarino. Si valuta la possibilità di impiegare la VIII Divisione ed i
relativi cacciatorpediniere nella battaglia di Mezzo Agosto (11-12 agosto 1942)
nel caso dovessero intervenire forze navali britanniche da oriente, ma tale
impiego non avrà luogo.
Autunno 1942
Il capitano di vascello Capponi viene
sostituito dal capitano di vascello Candido Bigliardi, che sarà l’ultimo comandante dell’Alpino.
18-19 ottobre 1942
Prende il mare e, il
mattino del 18, si unisce alla scorta di un convoglio partito il giorno
precedente da Corfù e Brindisi, formato dalle motonavi Monginevro ed Ankara
(quest’ultima tedesca) scortate dai cacciatorpediniere Aviere, Geniere e Camicia Nera e dalle torpediniere Orsa ed Aretusa. In serata il convoglio si divide: l’Alpino dirige su Tobruk scortando l’Ankara insieme ad Orsa ed
Aretusa, mentre le altre navi fanno
rotta su Bengasi. Dopo aver superato indenne due attacchi di aerosiluranti, il
convoglio di cui fa parte l’Alpino
arriva a Tobruk il 19.
20-27 ottobre 1942
Lascia Tobruk alle
quattro del pomeriggio del 20 ottobre per scortare a Taranto, via Suda, il
piroscafo Petrarca. Poco dopo la
partenza il Petrarca viene
danneggiato da un attacco di aerosiluranti; poi, all’una di notte, il
sommergibile britannico United lancia
quattro siluri contro il piroscafo 21 miglia a sudovest di Lampedusa,
mancandolo. Il convoglio raggiunge Taranto a mezzogiorno del 27.
10 novembre 1942
Alle 6.10 ed alle
6.11 Alpino, Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed il gemello Camicia Nera, mentre scortano Garibaldi, Duca d’Aosta e Duca degli
Abruzzi in navigazione da Navarino ad Augusta, vengono avvistati dai
sommergibile britannici Una ed Utmost una quindicina di miglia ad est
di Augusta. Alle 6.33, in posizione 37°11’ N e 15°30’ E, l’Una lancia quattro siluri contro la nave in coda alla formazione,
ed alle 6.37, in posizione 37°16’ N e 15°31’ E, anche l’Utmost lancia quattro siluri contro uno degli incrociatori, ma
nessuna delle armi va a segno.
5 gennaio 1943
L’Alpino viene inviato a Palermo in
previsione della sua partecipazione ad operazioni di minamento.
27 febbraio 1943
All’1.45 l’Alpino, dopo aver imbarcato 50 mine tipo
P 200, lascia Trapani insieme ai cacciatorpediniere Malocello, Pigafetta, Da Noli e Zeno (aventi a bordo 86 mine magnetiche tedesche tipo EMF ciascuno)
per effettuare la posa dello sbarramento «S 101» a sud di Pantelleria, pensato
per proteggere le rotte dei convogli diretti in Tunisia dagli attacchi di forze
navali (di superficie e subacquee) nemiche. Alle 3.17 le cinque unità fanno
rotta su Pantelleria portando la velocità a 22 nodi, venendo raggiunti,
all’alba, da quattro MAS e cinque aerei della Luftwaffe assegnati alla loro
scorta. Alle 6.49 i cacciatorpediniere iniziano la posa delle mine, su linee
parallele. L’Alpino, avendo meno mine
da posare (le sue P 200 sono regolate per una profondità di 40 metri e
distanziate di 300 metri l’una dall’altra, su una lunghezza di 8,1 miglia),
termina per primo alle 7.29, poi inizia a procedere a zig zag tenendosi vicino
alle altre navi. Mezz’ora dopo anche gli altri quattro cacciatorpediniere
posano le ultime mine (in tutto dodici mine esplodono accidentalmente dopo la
posa, come talvolta accade), e mentre stanno per tornare in formazione uno degli
aerei tedeschi segnala un sommergibile, cui danno la caccia i MAS prima di
riassumere, alle 8.20, la scorta dei cacciatorpediniere, che dirigono a 22 nodi
verso Pantelleria. Alle 9.34 il Pigafetta
avvista la scia di un siluro, e tutte le navi accostano d’urgenza a sinistra.
Mentre, dopo due minuti, i cacciatorpediniere riassumono la rotta originaria, Zeno e Da Noli entrano in collisione per un guasto al timone del primo,
riportando gravi danni. Alpino, Malocello e Pigafetta girano intorno ai due cacciatorpediniere danneggiati
finché non se ne accerta la situazione (cioè che il galleggiamento non è a
rischio e che le due navi riescono ancora a sviluppare 12 nodi di velocità),
raccogliendo alcuni uomini finiti in acqua, poi l’Alpino viene lasciato libero perché deve raggiungere Palermo in
giornata, mentre Da Noli e Zeno rientrano a Trapani a 12 nodi,
scortati da Malocello e Pigafetta.
La nave esegue delle salve con il cannone prodiero (foto tratta da www.marina.difesa.it)
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La fine
Nei primi mesi del
1943, mentre la guerra dei convogli si avviava alla fine e la guerra per
l’Italia appariva ormai persa, gli Alleati, conquistato il dominio dei cieli,
martellavano ormai la flotta italiana non solo nelle sue uscite in mare, ma
anche nei porti. La XIII Squadriglia Cacciatorpediniere, che era passata attraverso
tre anni di guerra senza perdere una sola unità, venne semidistrutta sotto le
bombe, in porto, senza possibilità di difendersi dai bombardieri che
sganciavano i loro ordigni da migliaia di metri di quota, ben al di fuori della
portata delle artiglierie contraeree delle navi: per primo, il 7 gennaio 1943,
il Bersagliere venne affondato a
Palermo, poi, il 22 marzo, il Granatiere
venne messo fuori uso da un altro bombardamento, sempre a Palermo, lasciando
così in efficienza i soli Alpino e Fuciliere.
Grande fu la felicità
tra l’equipaggio dell’Alpino, quando
si venne a sapere che la nave, dovendo essere sottoposta ad un turno di lavori,
sarebbe stata tolta dalle sempre più insidiate rotte del canale di Siclia e dai
porti del sud, martellati dall’aviazione alleata, per andare a La Spezia, dove
sarebbero stati effettuati i lavori. La base ligure, apparentemente ben difesa
e fuori dal raggio d’azione dei bombardieri alleati – troppo a sud per poter
essere raggiunta dalle basi aeree del Regno Unito e troppo a nord per quelle di
Malta e dell’Egitto: vi erano infatti stati solo pochi attacchi aerei in
precedenza, da parte di pochi velivoli e con modesti danni – appariva un luogo
sicuro, dove la nave e l’equipaggio avrebbero trovato salvezza almeno
temporanea dalla falcidia sempre maggiore del residuo naviglio della Regia
Marina, dopo i continui rischi corsi sulle rotte dei convogli. Il sottocapo
mitragliere Sergio Bandone ricordò poi che proprio il 18 aprile 1943, il giorno
prima del bombardamento che avrebbe affondato l’Alpino, un sottufficiale di quella nave gli aveva detto: “Siamo a
cavallo”: ormai non c’era più niente da temere.
L’illusione
dell’inviolabilità di La Spezia, tuttavia, era destinata a sciogliersi presto
come neve al sole. In seguito all’avanzata in Nordafrica, gli Alleati potevano
ora disporre di basi aeree in Cirenaica ed Algeria, e per ridurre i problemi
legati all’autonomia avevano ideato la tattica dello “shuttle bombing”: decollo
dei bombardieri dalle basi dell’Inghilterra, bombardamento di un obiettivo in
Italia, atterraggio in una base nordafricana, rifornimento e ritorno.
La Spezia conobbe il
primo grande bombardamento britannico, ad opera di ben 211 bombardieri del
Bomber Command della Royal Air Force, nella notte tra il 13 ed il 14 aprile 1943.
Quasi quattrocento tonnellate di bombe caddero sulla città, arrecando gravi
danni tanto alle installazioni militari quanto all’abitato, ma senza colpire
nessuna delle navi presenti in porto. La fine dell’Alpino, però, era rimandata di soli cinque giorni.
Il 16 aprile, l’Alpino fu tra i sei cacciatorpediniere
che presero il mare per scortare le tre corazzate Littorio, Vittorio Veneto
e Roma, impegnate in esercitazioni e
nelle prove di tiro di quest’ultima unità, entrata in servizio da pochi mesi.
L’esercitazione, svolta anchee con la protezione di aerei antisommergibile e da
caccia, ebbe esito soddisfacente.
Nella notte tra il 18
ed il 19 aprile, altri 170 bombardieri del Bomber Command piombarono sui cieli
di La Spezia, sganciando il loro carico di morte: 329 tonnellate di bombe
dirompenti e 109 di bombe incendiarie. A differenza del precedente
bombardamento del 14 aprile, che pure aveva causato gravi danni, quello del 19
risultò molto più preciso e concentrato. 14 Avro Lancaster e 5 Handely Page
Halifax risalirono il golfo da sud verso nord, dopo aver aggirato Palmaria,
sganciando bengala e bombe “target indicator” per segnalare gli obiettivi (tali
aerei venivano chiamati “Pathfinder”), dopo di che 159 altri Lancaster
sorvolarono la città da nord verso sud sganciando le bombe (in realtà, dei 186
bombardieri decollati furono in 170 a giungere effettivamente su La Spezia,
mentre gli altri, come spesso accadeva, si persero lungo il volo di
avvicinamento). A differenza di quanto viene talvolta riportato, obiettivo
dell’incursione non erano specificamente le tre corazzate classe “Littorio” o
comunque le navi da guerra presenti nel porto: i due bombardamenti di La Spezia
del 14 e 19 aprile furono, come tutte le altre incursioni del Bomber Command su
città del Nord Italia nel 1942-1943, degli “area bombings”, in cui l’obiettivo
era devastare deliberatamente la città, senza cercare di colpire specifici
obiettivi (molto difficili da colpire, specie di notte), bensì cercando di
terrorizzare quanto più possibile la popolazione civile, in modo da indurla a
sfollare lasciando così inattive, per mancanza di manodopera, le industrie
belliche, anche se queste non fossero state colpite.
La città venne
devastata, con più di duecento edifici distrutti, compresi il municipio, il
mercato pubblico e la stazione, a fronte di un numero di vittime civili
relativamente ridotto in rapporto ai danni, tredici (oltre a 136 feriti),
soprattutto grazie alla maggior sicurezza dei rifugi antiaerei di La Spezia
(ricavati in gallerie invece che negli scantinati di edifici che avrebbero
potuto crollarvi sopra). Anche la base navale (27 edifici rasi al suolo),
l’arsenale con i bacini di carenaggio, la raffineria e le fabbriche riportarono
danni gravissimi.
Quella notte l’Alpino era all’ormeggio alla testata del
molo Italia (sul lato sinistro del molo), vicino al faro, nel lato interno del
porto, a proravia della nave posacavi Città
di Milano. Nel tratto di banchina dove il cacciatorpediniere era ormeggiato
si trovavano tre postazioni di mitragliere, a pochi metri di distanza dalla
nave. I mitraglieri, che erano sfiniti a causa del continuo stato di preallarme
causato da attacchi e falsi allarmi sulla Liguria avvenuti in precedenza,
avevano l’ordine di sparare a vista senza sprecare munizioni, disposizione la
cui esecuzione sarebbe stata però resa difficile tanto dall’effetto dei
nebbiogeni che venivano attivati per ridurre la possibilità di avvistare le
navi ormeggiate, quanto dalle schegge dei proiettili della contraerea, che,
dopo essere esplose in aria, ricadevano a terra con grave pericolo di chi vi si
trovava sotto.
L’allarme aereo suonò
intorno a mezzanotte, quando l’equipaggio dell’Alpino era già andato a dormire. Tutti furono svegliati dal suono
delle sirene, ed il comandante capitano di vascello Candido Bigliardi, per non far correre rischi inutili
ai suoi uomini – la presenza a bordo dell’intero equipaggio non sarebbe infatti
stata di nessuna utilità, dato che i bombardieri si tenevano in quota, fuori
tiro per le armi contraeree di cui erano dotati i cacciatorpediniere –, fece
immediatamente sbarcare il personale in franchigia, mandandolo nei rifugi
antiaerei a terra. Al suono delle sirene seguì il rombo dei motori di 178
quadrimotori Lancaster e cinque Halifax.
Le bombe iniziarono a
cadere all’1.36, e l’incursione, in due ondate, ebbe fine solo alle 2.40. I
nebbiogeni per l’annebbiamento del porto funzionarono abbastanza bene, la
contraerea invece lasciò molto a desiderare (un solo aereo britannico andò
perduto).
Poco dopo l’una di
notte, due bombe caddero in rapida successione a meno di una decina di metri
dalle postazioni di mitragliatrici sistemate sul molo: la prima cadde in mezzo
agli scogli che proteggevano il molo, sbriciolandoli; la seconda, subito dopo,
colpì in pieno l’Alpino, scatenando
un vasto incendio ed una serie di esplosioni. Anche parecchi spezzoni
incendiari caddero a bordo, innescando altri incendi e circondando la nave di
un mare di nafta in fiamme, fuoriuscita dai suoi stessi serbatoi colpiti.
Qualcuno gridò “La nave sta per saltare”, ed il comandante in seconda ordinò di
aprire le valvole Kingston, per allagare i depositi munizioni prima che le
fiamme li raggiungessero. Constatato
che ormai la nave era persa, il comandante Bigliardi dovette ordinare di
abbandonarla portando in salvo i feriti.
In questo drammatico frangente l'ufficiale medico dell'Alpino, sottotenente medico Carlo Carloni, benché egli stesso ferito e seriamente ustionato, riuscì a portare in salvo alcuni feriti che un'esplosione aveva gettato in un locale sottocoperta invaso dalle fiamme (per questo ricevette, in seguito, la Medaglia di Bronzo al Valor Militare).
Il maggiore del Genio Navale Bruno Galimberti, direttore di macchina dell'Alpino e capo servizio Genio Navale della XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (un incarico che aveva ottenuto dopo aver lungamente insistito per essere imbarcato su una silurante, dato che in precedenza era stato destinato a terra nel Ruolo Servizi), perse la vita mentre tentava di arginare gli incendi appiccati a bordo dagli spezzoni incendiari. Fu decorato alla memoria con la Medaglia d'Argento al Valor Militare.
Avvolto dalle fiamme e colpito da una bomba dirompente in uno dei depositi munizioni, l’Alpino, scosso da un’esplosione che fece staccare la poppa dal resto della nave (un testimone raccontò poi che il cacciatorpediniere “si aprì come una riccia”), affondò nelle acque del porto alle 2.35, lasciando emergere la parte superiore della plancia ed il fumaiolo.
In questo drammatico frangente l'ufficiale medico dell'Alpino, sottotenente medico Carlo Carloni, benché egli stesso ferito e seriamente ustionato, riuscì a portare in salvo alcuni feriti che un'esplosione aveva gettato in un locale sottocoperta invaso dalle fiamme (per questo ricevette, in seguito, la Medaglia di Bronzo al Valor Militare).
Il maggiore del Genio Navale Bruno Galimberti, direttore di macchina dell'Alpino e capo servizio Genio Navale della XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (un incarico che aveva ottenuto dopo aver lungamente insistito per essere imbarcato su una silurante, dato che in precedenza era stato destinato a terra nel Ruolo Servizi), perse la vita mentre tentava di arginare gli incendi appiccati a bordo dagli spezzoni incendiari. Fu decorato alla memoria con la Medaglia d'Argento al Valor Militare.
Avvolto dalle fiamme e colpito da una bomba dirompente in uno dei depositi munizioni, l’Alpino, scosso da un’esplosione che fece staccare la poppa dal resto della nave (un testimone raccontò poi che il cacciatorpediniere “si aprì come una riccia”), affondò nelle acque del porto alle 2.35, lasciando emergere la parte superiore della plancia ed il fumaiolo.
48 uomini dell’Alpino trovarono la morte nel
bombardamento.
I loro nomi:
Mario Agrillo, marinaio cannoniere
Domenico Arpino, marinaio cannoniere
Mario Avvignano, capo cannoniere di terza classe
Mario Avvignano, capo cannoniere di terza classe
Cesare Azzarini, tenente commissario
Luigi Giovanni Bareschi, tenente del Genio Navale
Luigi Giovanni Bareschi, tenente del Genio Navale
Ugo Baretto, tenente del Genio Navale Direzione Macchine
Alido Bruni, marinaio fuochista
Ciro Buccheri, capo meccanico di seconda classe
Angelo Busà, marinaio motorista
Mario Campanaro, marinaio silurista
Mario Castellani, marinaio cannoniere
Orlando Esposito, marinaio
Orlando Esposito, marinaio
Cosimo Fornaro, marinaio
Bruno Galimberti, maggiore del Genio Navale
Salvatore Galleu, sottocapo cannoniere
Battista Galli, marinaio cannoniere
Giorgio Gambini, marinaio cannoniere
Giuseppe Gelosi, sottocapo nocchiere
Carlo Giorcelli, marinaio meccanico, deceduto (per ferite?) il 25/4/1943
Carlo Giorcelli, marinaio meccanico, deceduto (per ferite?) il 25/4/1943
Bartolomeo Granieri, sottocapo cannoniere
Natale Iriti, marinaio fuochista
Domenico Leonardi, marinaio cannoniere
Serafino Lovat, marinaio fuochista
Achille Mancini, marinaio cannoniere
Ciro Maraniello, marinaio cannoniere
Pellegrino Marchese, capo elettricista di prima classe
Domenico Martella, sottocapo S.D.T.
Ivo Masini, marinaio elettricista
Bramante Matteucci, capo meccanico di prima classe
Nicola Mutalipassi, marinaio cannoniere
Francesco Narciso, marinaio cannoniere
Vincenzo Nicastro, marinaio cannoniere
Menotti Palombarini, capo cannoniere di seconda classe
Nello Patrizi, marinaio cannoniere
Michele Penza, marinaio cannoniere
Giuseppe Perosa, secondo capo motorista
Vincenzo Perricone, marinaio fuochista
Luciano Pianini, marinaio fuochista
Luigi Piechele, sergente furiere
Mario Polini, marinaio fuochista
Luigi Ragghianti, capo meccanico di prima classe
Romualdo Rocchini, capo nocchiere di prima classe
Giuseppe Sigismondo, marinaio fuochista
Santo Strepparola, marinaio cannoniere
Adelfio Teolis, marinaio cannoniere
Otello Tosi, marinaio cannoniere
Mario Veronesi, marinaio
Ferdinando Vietina, marinaio
Nello Patrizi, da Albano Laziale (Roma), marinaio cannoniere, morto a 22 anni nell’affondamento dell’Alpino (si ringrazia la nipote Leticia Patrizi). |
Nello Patrizi insieme a due amici e commilitoni (per g.c. della nipote Leticia Patrizi) |
Foto di gruppo di marinai dell’Alpino. Nello Patrizi, sulla sinistra, è indicato da una crocetta rossa (g.c. Leticia Patrizi) |
La notizia della morte di Nello Patrizi in un articolo di giornale dell’epoca (per g.c. della nipote Leticia Patrizi) |
Adelfio
Teolis, da Galluccio (Caserta), marinaio cannoniere, disperso a 18 anni nell’affondamento
dell’Alpino (per g.c. del nipote Natalino
Mancini) |
Sopra, la
targa in memoria di Adelfio Teolis apposta sull’abitazione in cui nacque il 30
giugno 2019 per iniziativa del nipote Natalino Mancini e con la partecipazione
del sindaco di Galluccio; sotto, alcune immagini della cerimonia (g.c. Natalino
Mancini)
Natalino Mancini con la Croce al Merito di Guerra conferita alla memoria dello zio Adelfio Teolis |
Sopra, il marinaio Armando Mestriner (classe 1921, da Brescia), sopravvissuto all’affondamento dell’Alpino; sotto, una sua intervista del 1991 sul “Giornale di Brescia” (per g.c. del nipote Leonardo Mestriner)
La motivazione della
Medaglia di bronzo al Valor Militare conferita al comandante Bigliardi:
"Comandante di
di cacciatorpediniere sorpreso all'ormeggio da violento bombardamento aereo
notturno sulla base navale e e ripetutamente colpito da spezzoni che
provocavano incendi, attuava con prontezza i necessari provvedimenti di
emergenza. Colpita nuovamente la nave da bombe di grosso calibro che causavano
nuovo vasto incendio, accertata vana ogni misura per assicurare la
galleggiabilità, provvedeva al salvataggio dei feriti e dei superstiti ed
abbandonava la nave ormai prossima a sommergersi, esempio di serenità e
fermezza
(Acque Metropolitane, 19 aprile 1943)”
(Acque Metropolitane, 19 aprile 1943)”
Il relitto della nave
venne recuperato nell’aprile 1948 e smantellato.
L’Alpino nell’aprile 1948, appena portato in bacino nell’Arsenale di La Spezia, ancora circondato dai cilindri di sollevamento impiegati per riportarlo a galla (Foto Aldo Fraccaroli, Coll. Maurizio Brescia, via Associazione Venus)
|
Il relitto dell’Alpino visto da poppa (foto tratta da http://www.warshipsww2.eu/shipsplus.php?language=E&id=61094)
|
Nel 1950 la sezione di La Spezia dell’Associazione Nazionale Alpini pose in opera, sul Molo Italia, un piccolo monumento in memoria dei caduti della nave. I loro nomi, insieme a quelli dei caduti dell’incrociatore pesante Trieste affondato da un bombardamento a La Maddalena, sono ricordati da una lapide nel Cimitero dei Boschetti, a La Spezia. In occasione dei raduni dell’ANA a La Spezia, nel 1966 e nel 1985, sono state tenute presso il monumento delle cerimonie in ricordo dei caduti dell’Alpino. In un’occasione tre soci dell’ANA, dopo che un camion aveva urtato il monumento danneggiandolo, hanno provveduto personalmente a restaurarlo. Oggi il monumento ai marinai dell’Alpino necessita di nuovi restauri, che sono in corso di pianificazione da parte dell’ANA di La Spezia.
La cronologia
della vita operativa dell’Alpino durante
la seconda guerra mondiale (si ringrazia Leonardo Mestriner):
Lettura emozionante per me: mio padre Raffaele Romeo era imbarcato su Nave Alpino dal varo sino all'affondamento. Si salvò essendo partito per una licenza poche ore prima del bombardamento. Grazie del ricordo, Aldo Romeo.
RispondiEliminaLa ringrazio.
EliminaMio nonno (il padre di mia madre) era il CF (poi Ammiraglio Sq.) Giuseppe Marini. L'unica cosa che so è che non è perito con l'Alpino, e anzi, ha potuto dirigere le operazioni di salvataggio dei naufraghi della Roma (ed io ho potuto conoscerlo fino all'età di 7 anni). Quello che non so è se la nave spezzata in due di cui mi disse qualcosa una volta mia nonna era l'Alpino o la Roma. Ho il vaghissimo ricordo che le parole si riferissero ad una nave su cui era stato, ma l'Alpino, a giudicare dalle foto, non si spezzò veramente in due (al contrario della Roma). Per la verità non sono neanche certo che il comandante dell'Alpino al momento del bombardamento fosse ancora lui. Se era lui, come credo, apprendo solo con questa lettura che era presente alla fine della sua nave, e mi dispiace che non avesse fatto sbarcare tutto l'equipaggio, ma sicuramente c'erano ragioni più grandi di lui per questa decisione.
RispondiEliminaComunque la ringrazio tantissimo per questa incredibilmente dettagliata (non importa se incompleta) cronistoria, e per le fotografie che ancora non avevo visto altrove. Se vuole, può usare le fotografie di mio nonno che trova qui: www.waltertross.com/GiuseppeMarini/ e qui: www.waltertross.com/AmmDiSqGiuseppeMarini/. In particolare la prima, che penso sia stata scattata proprio a bordo dell'Alpino.
Ancora grazie
Walter Tross
P.S. Le sarei anche grato se mi sapesse dire dove posso reperire informazioni su mio nonno
Buongiorno, la ringrazio. Avevo a suo tempo cercato di sapere chi fosse il comandante dell'Alpino al momento del suo affondamento, ma senza risultato. Aggiungerò volentieri le foto di suo nonno alla pagina.
EliminaLe informazioni sul servizio militare di suo nonno (es. periodi di imbarco sulle diverse unità) possono essere ottenute richiedendo il foglio matricolare; le metto qualche link su come ottenerlo: http://webcache.googleusercontent.com/search?output=search&sclient=psy-ab&q=cache%3Ahttp%3A%2F%2Fwww.difesa.it%2FSGD-DNA%2FStaff%2FDG%2FPERSOMIL%2FDocumentazione%2FPagine%2FFoglimatricolariecopiedelcongedo230810.aspx&oq=cache%3Ahttp%3A%2F%2Fwww.difesa.it%2FSGD-DNA%2FStaff%2FDG%2FPERSOMIL%2FDocumentazione%2FPagine%2FFoglimatricolariecopiedelcongedo230810.aspx&gs_l=hp.3..0l10.781.4721.1.5265.7.7.0.0.0.0.278.1263.0j2j4.6.0....0...1c.1j2.54.hp..1.6.1259.Uuoa8Ooitsc&psj=1, http://www.sestosg.net/sportelli/anagrafe/elettoraleleva/scheda/,116, http://www.militariassodipro.org/news.php?item.726.8 e http://miles.forumcommunity.net/?t=47321578.
La ringrazio molto per i link, appena ne avrò il tempo farò un tentativo - ho capito che potendo è meglio andare di persona.
RispondiEliminaL'articolo di Wikipedia dice "...e, persa la poppa, si posò sui bassifondali alle 2.35, con la morte di gran parte dell’equipaggio". Dalle foto non mi sembra che perse la poppa. Inoltre, e questa cosa mi preme se è vero che c'era anche mio nonno: se è vero, come Lei scrive, che morirono 44 persone, queste non sono gran parte dell'equipaggio, che secondo Wikipedia era di 215 persone, e secondo http://www.marina.difesa.it/storiacultura/storia/almanacco/Pagine/ABCD/alpino02.aspx era di 187 persone. Se Lei mi dice la fonte, posso correggere l'articolo di Wikipedia, perlomeno sostituendo "gran parte dell'equipaggio" con "44 membri dell'equipaggio".
In effetti dalle foto sembrerebbe che la nave sia rimasta "intera". Il numero di 44 persone è quello dei nomi riportati dalla targa in memoria dei caduti dell'Alpino nel cimitero monumentale di La Spezia; che è il quindi numero dei caduti dell'Alpino. Probabilmente si tratta di gran parte di quanti, tra l'equipaggio, si trovavano a bordo al momento dell'affondamento, cioè molti meno dei 230-260 uomini che componevano l'equipaggio completo in tempo di guerra di un ct classe Soldati (considerando che tutti gli uomini non necessari erano stati mandati nei rifugi a terra; probabilmente sulla nave rimasero solo alcune decine di uomini, com'era prassi in caso di bombardamento aereo in porto).
EliminaCapisco. Grazie ancora
EliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
EliminaBuonasera di nuovo, il signor Andrea Tirondola (GM Andrea del forum di Betasom) ha appena risposto ad una richiesta che ho inviato oggi in seguito al suo commento: già il 1° aprile 1941 il CF Giuseppe Marini fu assegnato a MARISTAT (Stato Maggiore della Marina) quale responsabile della 1a Sezione Piani e Direttive del Reparto Operazioni ed Addestramento; rimase in tale incarico fino al settembre 1942, quando gli fu dato il comando della XIII Squadriglia Cacciatorpediniere con imbarco sul Mitragliere, comando che come sa ancora deteneva all'armistizio, quando con la sua Squadriglia soccorse i naufraghi della Roma.
EliminaNon era quindi lui a comandare l'Alpino quando questi venne affondato, bensì il CV Candido Bigliardi, che sopravvisse.
Le invio via e-mail l'indirizzo e-mail di Andrea Tirondola: è interessato anche lui a contattarla, e credo che possa fornirle ulteriori informazioni circa suo nonno.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaLa ringrazio, ho potuto inserire nella pagina un pezzo di testo con la sua storia.
RispondiEliminaMio nonno Cesare Azzarini si trovava sull'Alpino, dove putroppo è morto. Mi ha molto emozionato leggere l'intera storia. Grazie di cuore!
RispondiEliminaBuonasera, se possibile mi contatti per una ricerca che coinvolge suo nonno, grazie. avv.tirondola@gmail.com
Eliminabuon giorno
RispondiEliminadopo tante ricerche sono riuscito ad avere notizie di mio zio Teolis Adelfio fratello di mia madre che è deceduto nel bombardamento della Nave Alpino.
Se qualcuno interessa di pubblicare la foto di mio zio Adelfio sono contento di inviarla.
Natalino Mancini.
Natalino.mancini@gmail.com
Mio zio è sceso il 2 aprile 1943 da Ct alpino
Eliminasalve
RispondiEliminamio nonno armando mestriner sopravvisse al bombardamento riportando una scheggia nel braccio...ho 1 foto del l'intero equipaggio della nave fatta sul ponte...e l 'articolo che fu pubblicato dal giornale di brescia con il racconto di mio nonno...se le serve qualche info mandi pure un email a mestriner.leonardo@hotmail.it
Salve sono il nipote del marinaio Teolis Adelfio mi farebbe tantissimo piacere avere la foto fatta a tutto l'equipaggio dallanonimo
Eliminanatalino.mamcini@gmail.com
Grazie
Buongiorno, la foto è quella presente nella pagina.
Eliminagrazie per questo drammatico racconto, mio zio Ugo Baretto direttore macchine, perse la vita in quel bombardamento quella notte,mia mamma (sua sorella) volle chiamarmi Ugo in onore del fratello morto a 33 anni
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