Il Capo Vita nel 1939 (g.c. Mauro Millefiorini, via www.naviearmatori.net) |
Piroscafo da carico
di 5683 tsl e 3536 tsn, lungo 121,9-125,5 metri, largo 16,15 e pescante 9,8,
con velocità di 11,5 nodi. Appartenente alla Società Anonima Compagnia Genovese
di Navigazione a Vapore, con sede a Genova, ed iscritto con matricola 2227 al
Compartimento Marittimo di Genova; nominativo di chiamara IBJQ.
Breve e parziale cronologia.
1914 ca.
Impostato nel
cantiere di Howdon-on-Tyne della Northumberland Shipbuilding Company Ltd. per
conto del Lloyd Austriaco (numero di costruzione 226).
Poco dopo, tuttavia,
lo scoppio della prima guerra mondiale vede Regno Unito ed Impero
Austro-Ungarico diventare nemici, ragion per cui l’ordine del Lloyd Austriaco
viene meno.
1915
La nave, ancora in
costruzione, viene acquistata dalla Manchester Liners, che ha preso tale
decisione a seguito della perdita di uno dei propri piroscafi (il Manchester Commerce, saltato su una mina
nel 1914) ed in considerazione del prossimo forte aumento dei prezzi, legato
alla requisizione di gran parte del naviglio mercantile per le esigenze della
guerra. Il piroscafo riceve il nome di Manchester
Hero e subisce alcune modifiche, in base alle specifiche fornite dal nuovo
committente.
Gennaio 1916
Completato dal
cantiere di Howdon-on-Tyne della Northumberland Shipbuilding Company Ltd. come britannico
Manchester Hero, per la compagnia
Manchester Liners Ltd. di Manchester.
Stazza lorda e netta
originarie sono 5775 (o 5738) tsl e 3664 tsn; nominativo di chiamata GPVS,
porto di registrazione Manchester.
5 febbraio 1917
Mentre è in
navigazione nell’Atlantico, al largo della costa sudoccidentale dell’Irlanda,
il Manchester Hero (al comando del
capitano Perry) viene inseguito e cannoneggiato da un U-Boot tedesco. In sala
macchine i fuochisti, cui per l’emergenza si uniscono altri volontari
dell’equipaggio, raddoppiano gli sforzi e riescono a spremere l’apparato motore
fino a fargli raggiungere una velocità di ben 16 nodi, quattro e mezzo in più
della velocità massima di progetto, permettendo così al piroscafo di sfuggire
al suo inseguitore.
L’apparato motore del
Manchester Hero, tuttavia, non si
riprenderà mai del tutto dal terribile sforzo cui è stato sottoposto per
salvare la nave.
Ottobre 1917
Il Manchester Hero si unisce ad un
convoglio di 17 navi in navigazione da Sydney, Nuova Scozia (da non confondersi
con l’omonima città australiana), all’Inghilterra.
Il Manchester Hero in arrivo ad Eastham dopo la prima guerra mondiale (Coll. Kevin Blair via www.tynebuiltships.co.uk) |
17-18 dicembre 1919
Il Manchester Hero, in navigazione da
Manchester a St. John, rimane alla deriva nell’Atlantico a seguito della
rottura del timone, e deve chiedere aiuto via radio. Successivamente comunica
via radio di essere riuscito a riparare gli apparati di governo e di aver
ripreso la navigazione, ma più tardi il timone si guasta nuovamente, lasciando
la nave alla deriva ad un centinaio di miglia di Halifax, fuori controllo e
sospinto dalle correnti verso sud a circa tre miglia all’ora.
Risolto anche questo
problema, il piroscafo riesce infine a raggiungere St. John la sera del 18,
ormeggiandosi fuori dal porto a causa di una bufera di neve in corso, che ostruisce
la visuale.
5 gennaio 1925
Il Manchester Hero accorre in soccorso del
piroscafo Sachem, il quale, in
navigazione da Liverpool a Boston (via St. John’s e Halifax) con passeggeri a
bordo, è rimasto alla deriva nel mare mosso a 360 miglia da Terranova, a causa
della rottura del timone (verificatasi il 4 gennaio).
Raggiunto il Sachem il mattino del 5, il Manchester Hero lo rimorchia a St.
John’s, Terranova.
Novembre 1925
Il Manchester Hero, trovandosi in un porto
statunitense, viene urtato da una chiatta ferroviaria della Western Maryland
Railway trainata dal rimorchiatore Dauntless,
riportando danni poi quantificati in 10.700 dollari. La responsabilità della
collisione verrà valutata dal tribunale come interamente riconducibile alla
sola colpa del Dauntless.
Il Manchester Hero in partenza da St. Johns (New Brunswick) il 23 aprile 1929 (Coll. Hubert Hall, via Stuart Smith e www.shipsnostalgia.com) |
1934
L’ingegnere
britannico Alfred William Tennis sperimenta sul Manchester Hero un nuovo sistema di alimentazione meccanica delle
caldaie di sua invenzione. I risultati positivi del nuovo sistema inducono la
Manchester Liners ad adottarlo su diverse altre navi della propria flotta.
1937
Acquistato dalla
Barry Shipping Company Ltd. di Newport (Galles; proprietario Richard Street di
Penarth) e ribattezzato St. Winifred;
in gestione a B & S Shipping Company Ltd.
La Barry Shipping
Company ha pagato oltre 40.000 sterline per l’acquisto del Manchester Hero: una cifra ragguardevole, notano alcuni giornali,
per una nave di seconda mano, vecchia di ventun anni, come questa, che appena
pochi anni prima non avrebbe potuto essere venduta a più di 8000 sterline.
L’incremento dei traffici marittimi è alla base di tale aumento dei prezzi
delle navi di seconda mano.
21 maggio 1938
Il St. Winifred (al comando del capitano
Ormston), trovandosi nel porto di Alicante durante la guerra civile spagnola (è
qui giunto da Newport con un carico di carbone), viene colpito e danneggiato
durante un bombardamento compiuto dall’aviazione nazionalista spagnola.
6 giugno 1938
Il St. Winifred, che si trova ancora ad
Alicante intento a scaricare un carico di provviste (di cui la città ha grande
bisogno), viene nuovamente colpito da una o più bombe – sganciate da cinque
aerei trimotori Junkers, di produzione tedesca – ed incendiato, durante una
nuova incursione aerea nazionalista svoltasi a mezzogiorno.
Dei 33 membri del suo
equipaggio, cinque rimangono uccisi (tra di essi il ragazzo di cabina John
Edward Flynn, di 17 anni, il marinaio Joseph O’Keefe, di 48, il quarto
macchinista Lancelot Shepherd Halliday ed altro marittimo, James Reardon) ed
una dozzina sono feriti. Muoiono sul St.
Winifred anche due scaricatori di porto spagnoli, mentre un osservatore del
Comitato di Non Intervento, che si trova a bordo del piroscafo, viene ferito e
tramortito (“ironicamente”, annota qualche giornale britannico che stigmatizza
l’inazione di tale Comitato dinanzi alle palesi violazioni degli accordi da
parte di Italia e Germania) dallo scoppio di una bomba.
Le fiamme avvolgono
rapidamente il piroscafo, ma l’incendio viene portato sotto controllo entro la
prima serata.
Dopo aver colpito il St. Winifred, gli aerei sganciano bombe
anche sulla città di Alicante (sia nella zona vicina al porto che sul centro
cittadino), distruggendo una dozzina di edifici e causando 17 vittime tra la
popolazione civile (7 uomini, 9 donne ed un bambino). In tutto, le vittime in
porto ed in città sono alla fine 30 (compresi i marinai del St. Winifred), ed i feriti 118.
Il danneggiamento del
St. Winifred desta grande impressione
a Londra; il 7 giugno lo statista britannico David Lloyd George, già primo
ministro del Regno Unito durante la prima guerra mondiale, lamenta la mancata
reazione del governo britannico ai ripetuti attacchi aerei contro le proprie
navi mercantili nei porti spagnoli, denunciando che “oggi la bandiera inglese è
la burla di tutte le nazioni”. Nella settimana precedente i bombardamenti sulla
costa mediterranea spagnola, da parte dell’aviazione nazionalista, hanno
causato oltre 400 vittime, destando vibranti, ma inutili, proteste della
comunità internazionale.
10 giugno 1938
Durante un nuovo
bombardamento di Alicante da parte di cinque aerei dell’aviazione nazionalista
(effettuato, a seconda delle fonti, alle 18 oppure durante la notte), che causa
– secondo fonti del governo repubblicano – oltre cento vittime civili e la
distruzione di numerose abitazioni, il St.
Winifred viene colpito da un’altra bomba ed ulteriormente danneggiato, così
gravemente da farlo ritenere perduto; rimane a stento a galla. Nello stesso
attacco viene anche affondato un altro piroscafo britannico, il Thorpehaven.
Lloyd George, durante
un discorso pubblico tenuto negli stessi giorni, rincara la dose e critica
aspramente la debolezza delle proteste del governo britannico dinanzi ai
ripetuti affondamenti e danneggiamenti di navi britanniche (impegnate nel
traffico di munizioni, provviste e carbone per la Repubblica spagnola) in porti
spagnoli, accusando il governo britannico di “strisciare davanti all’Italia ed
alla Germania” (che sono dietro gran parte di queste incursioni).
Tra il 15 maggio ed
il 10 giugno 1938, Alicante ha subito ben 32 bombardamenti aerei, che hanno
causato un imprecisato numero di vittime, 2000 feriti e l’affondamento in porto
di tre navi britanniche.
1938
Rimorchiato a
Marsiglia, il St. Winifred viene
dichiarato «constructive total loss», ossia danneggiato così gravemente da
rendere impossibile, o comunque economicamente non conveniente, la sua
riparazione. La Barry Shipping Company decide di metterlo in vendita.
1939
Il piroscafo viene
acquistato dalla Compagnia Genovese di Navigazione a Vapore S.A., con sede a
Genova, che lo ripara e lo ribattezza Capo
Vita.
("Navi
mercantili perdute" menziona l’ultimo armatore del Capo Vita come “Compagnia Generale
di Navigazione a Vapore”, ma sembra plausibile che si tratti meramente di un
refuso, “Generale” al posto di “Genovese”).
(archivio privato GioMar via Agenzia Bozzo) |
6 settembre 1940
Requisito a Livorno
dalla Regia Marina, senza essere iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario
dello Stato.
15 settembre 1940
Il Capo Vita ed il piroscafo Capo Orso partono da Napoli alle 23,
diretti a Tripoli con la scorta della torpediniera Orsa.
18 settembre 1940
Capo Vita, Capo Orso ed Orsa arrivano a Tripoli alle 9.30 (18.30
per altra versione).
4 ottobre 1940
Il Capo Vita lascia Tripoli per Bengasi
alle 18. Lungo la rotta diverse unità, a seconda delle giurisdizioni, si
alternano nella sua scorta.
6 ottobre 1940
Arriva a Bengasi alle
17.
14 ottobre 1940
Il Capo Vita e la piccola motonave
frigorifera Amba Alagi lasciano Bengasi alle 16 per tornare a Tripoli, scortati
dalla torpediniera Generale Achille Papa.
16 ottobre 1940
Il convoglietto
giunge a Tripoli alle 15.40.
Alle 18 il Capo Vita riparte da Tripoli in
convoglio con il piroscafo Aquitania
e la nave scorta ausiliaria F 130 Luigi
Rizzo, diretto a Palermo, con la scorta della torpediniera Sirio.
18 ottobre 1940
Il convoglio arriva a
Palermo alle 16.30.
24 ottobre 1940
Il Capo Vita parte da Napoli alle 22
diretto a Tripoli, scortato durante la navigazione da diverse unità che si
alternano in base alla giurisdizione.
27 ottobre 1940
Arriva a Tripoli alle
11.30.
Successivamente
rientra in Italia.
8 dicembre 1940
Il Capo Vita e due altri
piroscafi, Fenicia e Castelverde, salpano da Napoli per
Tripoli alle 15, scortati dalla torpediniera Clio.
A Trapani la Clio viene rilevata dalla
torpediniera Generale Achille Papa.
11 dicembre 1940
Le navi raggiungono
Tripoli alle 14.
20 dicembre 1940
Il Capo Vita lascia Tripoli alle 21 diretto
a Bengasi, scortato dalla torpediniera Centauro.
22 dicembre 1940
Giunge a Bengasi alle
13.
4 gennaio 1941
Riparte da Bengasi
alle 17.30 per tornare a Tripoli, venendo scortato lungo la rotta dalle
torpediniere Antonio Mosto (da
Bengasi) e Centauro (da Tripoli).
7 gennaio 1941
Arriva a Tripoli alle
10.
12 gennaio 1941
Il Capo Vita lascia Tripoli alle 17.30 per
rientrare in Italia, insieme alla motonave Assiria
ed alla piccola nave cisterna Ennio.
Li scorta l’incrociatore ausiliario Caralis.
15 gennaio 1941
Il convoglio giunge a
Palermo alle 8. Successivamente prosegue per Napoli.
16 gennaio 1941
Il convoglio arriva a
Napoli alle 18.
(da www.wrecksite.eu) |
L’affondamento
Il 6 marzo 1941, alle
otto di sera, il Capo Vita, al
comando del capitano di lungo corso Santo De Micheli, partì da Palermo diretto
a Biserta (destinazione questa che risulta piuttosto strana, dato che la
Tunisia non era all’epoca ancora controllata dall’Asse: e difatti risulta poi
che le navi abbiano fatto rotta per Tripoli), con un carico di munizioni. Formava
un convoglio con altri due piroscafi, Caffaro
e Fenicia, e con la cisterna militare
Tanaro; la scorta era rappresentata dall’incrociatore
ausiliario Attilio Deffenu (capitano
di fregata Angelo Coliolo) nonché, per il primo tratto, dalla torpediniera Generale Achille Papa.
Il 7 marzo, a seguito
dell’avvistamento di navi da guerra nemiche al largo di Zuara, Supermarina
impartì a tutti i convogli in mare l’ordine di rientrare in porto: tra questi
convogli era anche quello che comprendeva il Capo Vita, che si rifugiò a Trapani (a motivo di questo
dirottamento sono addotti anche “insistenti attacchi di sommergibili”).
Quando la minaccia
navale britannica fu venuta meno, senza aver causato alcuna perdita, il
traffico con la Libia riprese regolarmente; i convogli fatti rientrare presero
nuovamente il mare verso le loro originarie destinazioni. Il convoglio che
comprendeva il Capo Vita lasciò
dunque Trapani alle 19 dell’8 marzo, riprendendo la navigazione verso Tripoli.
Poco dopo la
partenza, tuttavia, il Caffaro
s’incagliò sulla secca della Colombaia, e dovette così rinunciare al viaggio
(successivamente disincagliato, sarebbe ripartito da Trapani per Tripoli
qualche giorno dopo, insieme alla Tanaro);
il convoglio si ridusse così ai soli Capo
Vita e Fenicia, scortati dal Deffenu. Non è chiaro se la Tanaro sia rimasta a Trapani (da dove
proseguì qualche giorno dopo alla volta di Tripoli, dove giunse indenne) o se
vi abbia fatto ritorno dopo l’incaglio del Caffaro,
ma è certo che essa non proseguì insieme alle altre navi.
La ripresa simultanea
della navigazione di tanti convogli, seguita alla temporanea sospensione delle
traversate causata dall’avvistamento delle navi nemiche, generò tuttavia una
considerevole concentrazione di traffico sulla rotta per Tripoli:
concentrazione che non sfuggì alla ricognizione aerea britannica. Lo stesso 8
marzo, pertanto, i comandi di Malta inviarono in quella zona tutti i
sommergibili disponibili: quattro battelli – l’Unique, l’Upholder, l’Utmost e l’Upright – si posizionarono a cavallo della rotta tra Palermo e
Tripoli, nel Golfo di Hammamet (ad una cinquantina di chilometri dalla
Tripolitania), attendendo il passaggio di qualcuno dei convogli. Uno di questi
sommergibili, l’Utmost, era appena
rientrato a Malta dopo un lungo pattugliamento: venne egualmente fatto partire
per partecipare all’agguato, dopo una sosta in porto di sole ventiquattr’ore.
Un altro, l’Unique, si vide
prolungata la missione, rimandando il rientro alla base.
Nel frattempo, Capo Vita, Fenicia e Deffenu
procedevano verso Tripoli.
La navigazione
durante la notte tra l’8 ed il 9 marzo il avvenne senza altri inconvenienti, ed
il mattino del 9 il piccolo convoglio imboccò la rotta delle Kerkennah. Capo Vita e Fenicia procedevano distanziati tra loro di circa 500 metri, mentre
il Deffenu zigzagava in testa al
convoglio, ad una distanza che variava dagli 800 ai 1200 metri. Il mare era
mosso e c’era vento fresco da nordovest. Sul cielo del convoglio volava, come
scorta aerea, un idrovolante CANT Z 501 della 144a Squadriglia
(l’aereo assisté al successivo attacco, ma non fu in grado di intervenire).
Tutto pareva
tranquillo finché a mezzogiorno del 9 marzo, nel punto 36°09' N e 11°07' E (nel
Golfo di Hammamet, 25 miglia a nord di Kuriat e 30 miglia a nordest di Susa,
Tunisia, o tra Ras Mustafà e Ras Kapudia; altra fonte indica invece le 36°10' N
e 11°12' E), il Capo Vita fischiò ed
accostò a dritta: aveva avvistato una scia di siluro sulla sua sinistra, che fu
vista anche dal Deffenu, il quale
accostò con tutta la barra a sinistra e diresse a tutta forza verso il punto in
cui stimava trovarsi il sommergibile, per contrattaccare. Il Capo Vita lanciò anche un S.O.S., che
venne intercettato dai britannici, i quali poterono così apprendere, a cose
fatte, il nome della nave attaccata.
I siluri, che erano
tre, erano stati lanciati dal sommergibile britannico Utmost (capitano di corvetta Richard Douglas Cayley), in agguato
una cinquantina di miglia a sud-sud-ovest di Pantelleria. L’Utmost aveva avvistato il convoglio alle
11.15, a cinque miglia di distanza e su rilevamento 345°, mentre quest'ultimo
procedeva con rotta 170°; dopo aver manovrato per portarsi all'attacco, lasciando
passare il Deffenu a meno di 200
metri di distanza, intorno a mezzogiorno (il giornale di bordo dell'Utmost riporta le 12.05, con leggera
discrepanza rispetto alle fonti italiane) il battello britannico aveva lanciato
tre siluri da 915 metri contro il Capo
Vita, che Cayley aveva identificato come un mercantile di circa 8000
tonnellate, a pieno carico ed anche con truppe a bordo.
La manovra intrapresa
non servì, purtroppo, a salvare il Capo
Vita: alle 12.01 (per altra fonte 12.05) il piroscafo venne colpito da uno
o due siluri e si disintegrò in una terrificante esplosione, lanciando rottami
in tutte le direzioni.
Così il comandante
Coliolo del Deffenu descrisse nel suo
rapporto la fine del Capo Vita: «Una
enorme fantastica fiammata accompagnata da denso fumo arrossato si innalza a
migliaia di metri di altezza e si diffonde per oltre mille metri, investendo
anche il piroscafo Fenicia. Il mare
tutto intorno è letteralmente coperto da colonne di acqua per rottami di ogni
genere che ricadono da enorme altezza. Riesco a stento, dirigendo per la
normale al vento, a disimpegnarmi [ossia ad allontanarsi dalla fiammata per non
esserne a sua volta investito, nda]».
L’esplosione fu così
violenta che anche un membro dell’equipaggio del Fenicia rimase ucciso, presumibilmente dall’onda d’urto e dalla
pioggia di rottami del Capo Vita, e
lo stesso Utmost, pur trovandosi
immerso, venne sollevato e scosso violentemente da prora a poppa dall’effetto
dell’onda d’urto. Cayley suppose, correttamente, che lo scoppio del siluro
avesse a sua volta provocato la detonazione di esplosivi che si trovavano a
bordo del piroscafo.
Quando il vento disperse
la nube di fumo che aveva avvolto la zona dell’esplosione, del Capo Vita non rimaneva più traccia. Il Deffenu, che non vedeva neanche traccia
del sommergibile attaccante, si diresse verso il presunto punto di lancio dei
siluri, sparandovi un colpo di cannone e lanciando cinque bombe di profondità,
che non arrecarono danni all’Utmost
(il quale, dodici minuti dopo il lancio, poté tornare a quota periscopica per
verificare il risultato dell’attacco).
Terminato questo vano
contrattacco, l’incrociatore ausiliario si portò nel punto in cui era esploso
il Capo Vita, per recuperarne i
superstiti: ma nessuno era sopravvissuto all’esplosione. Nel punto in cui era
stato il piroscafo galleggiavano molti pezzi di legno e barili, ma nessun
naufrago.
Dopo aver
attentamente setacciato la zona del siluramento senza riuscire a trovare nessun
sopravvissuto, il Deffenu si diresse
a tutta forza verso il Fenicia.
Quest’ultimo aveva subito parecchi danni per i rottami caduti a bordo dopo
l’esplosione del Capo Vita, che
avevano anche appiccato degli incendi a bordo, ed aveva perso un uomo.
Fenicia e Deffenu diressero per
Susa e poi per Tripoli, ma il giorno seguente anche il Fenicia sarebbe stato silurato ed affondato da un altro
sommergibile britannico, l’Unique,
gemello dell’Utmost.
Il Capo Vita fu la prima vittima dell’Utmost e del comandante Cayley, che
sarebbe divenuto uno dei sommergibilisti britannici più decorati nel secondo
conflitto mondiale. Alle 11.41 del 9 marzo l’Utmost ricevette dal capitano di corvetta Hubert Marsham, vice
comandante della 10th Submarine Flotilla di Malta, un messaggio che lo
informava che quel mattino «tre mercantili nemici erano passati al largo della
baia di Kelibia diretti verso sud, a 14 nodi di velocità»; Cayley segnalò il
suo successo contro tale convoglio rispondendo «One got torpedoed and then
there were two», una citazione adattata della famosa filastrocca "Dieci
piccoli indiani". Cayley sarebbe scomparso in mare col nuovo sommergibile
assegnatogli, il P 311, saltato su
una mina al largo della Maddalena nel marzo 1943.
L’equipaggio civile del Capo Vita, perito al completo:
Giosuè Afflitto, fuochista, da Resina (Napoli)
Francesco Amico, cuoco, da Trapani
Giovanni Augugliano, ingrassatore, da Trapani
Santo Bagnasco, capo fuochista, da Nervi
(Genova)
Salvatore Balzano, nostromo, da Torre del
Greco (Napoli)
Pericle Bassetti, marconista, da Sestri
Ponente (Genova)
Alfio Basso, terzo macchinista, da Acireale
(Catania)
Domenico Bonavoglia, giovanotto di coperta, da
Bari
Giuseppe Borrelli, marinaio, da Torre del
Greco (Napoli)
Franco Consales, mozzo di coperta, da Torre
del Greco (Napoli)
Pasquale De Luca, garzone, da Resina (Napoli)
Santo De Micheli, comandante, da Recco
(Genova)
Francesco Giacalone, marinaio, da Trapani
Gaetano Giuliano, cameriere, da Palermo
Ottavio Gromero, primo ufficiale, da Torre del
Greco (Napoli)
Umberto Guida, cuoco, da Torre del Greco
(Napoli)
Raffaele Guzzi, fuochista, da Catanzaro
Pasquale Idone, carpentiere, da Scilla (Reggio
Calabria)
Giovanni Maisano, secondo macchinista, da
Trapani
Antonio Marinelli, direttore di macchina, da
Mola di Bari (Bari)
Vincenzo Norfo, marinaio, da Palermo
Antonio Rito, fuochista, da Resina (Napoli)
Vincenzo Rocchetti, allievo ufficiale, da
Palermo
Ferruccio Rossi, primo macchinista, da Sestri
Ponente (Genova)
Antonio Schiano, secondo ufficiale, da Monte
di Procida (Napoli)
Mauriello Schiano, marinaio, da Monte di
Procida (Napoli)
Raffaele Simeone, marinaio, da Gaeta (Latina)
Antonio Tarantino, ingrassatore, da Palermo
Michele Tarantino, piccolo di camera, da
Palermo
Militari della Regia Marina dispersi nel
Mediterraneo centrale il 9 marzo 1941, quasi certamente nell’affondamento del Capo Vita (unica nave italiana affondata
in tale data):
Guglielmo Boscolo, marinaio cannoniere, da
Mesola (Ferrara)
Giovanni Calisi, sottocapo cannoniere, da
Montesarchio (Benevento)
Eduardo Campolo, marinaio, da Pozzuoli
(Napoli)
Pietro Citta, marinaio cannoniere, da Udine
Mario Costa, marinaio segnalatore, da Voghera
(Pavia)
Mattia De Pascalis, marinaio cannoniere, da
Parabita (Lecce)
Antonino Greco, sergente cannoniere, da
Trapani
Matteo Magliulo, marinaio, da Torre del Greco
(Napoli)
Michele Martire, marinaio cannoniere, da
Margherita di Savoia (Foggia)
Franco Pellerano, tenente del Genio Navale, da
Cassano delle Murge (Bari)
Raffaele Peltrini, marinaio cannoniere, da
Mugnano di Napoli (Napoli)
Clemente Russo, marinaio cannoniere, da Napoli
Lorenzo Terzuolo, secondo capo segnalatore, da
Asti
Francesco Zupi, marinaio, da Fuscaldo
(Cosenza)
Lapide in memoria di Antonino Greco nel cimitero di Trapani (g.c. Giuseppe Romano) |
L'affondamento del Capo Vita nel giornale di bordo dell'Utmost (da Uboat.net):
"1115 hours -
Sighted two merchant ships escorted by an armed merchant cruiser bearing 345°,
range 5 nautical miles, enemy course 170°. Started attack.
1205 hours - Fired
three torpedoes from 1000 yards. Two explosions followed. A counter attack
followed in which 6 depth charges were dropped but these did no damage. 12
Minutes later Utmost returned to periscope
depth to find the armed merchant cruiser and one of the merchants in sight. The
other one must have sunk. She had been heavily laden and was of about 8000 tons
and it was also observed that there were troops on board."
Un’altra immagine del Capo Vita come Manchester Hero (Coll. Don Ross via Gordy-www.shipspotting.com) |
Grazie per queste preziose informazioni che non mi restituiranno mio nonno ma almeno la memoria della sua fine
RispondiEliminaVincenzo Norfo era il mio nonno mai conosciuto perché morì in quella maledetta nave che portava armi a Tripoli. Povero nonno mangiato dai pesci
RispondiEliminaAntonino Greco... mio nonno!
RispondiEliminaGrazie della memoria... mia nonna lo aspettó tutta la vita ♥️