domenica 1 luglio 2018

Giovanni delle Bande Nere

Una bella immagine del Bande Nere, probabilmente in tempo di pace.

Incrociatore leggero della classe Di Giussano della serie Condottieri (dislocamento standard 5130 tonnellate, in carico normale 6571 tonnellate, a pieno carico 6954 tonnellate).
In guerra effettuò quattro missioni di ricerca del nemico, otto di scorta convogli e tre di posa di mine, percorrendo complessivamente 18.559 miglia nautiche e trascorrendo in mare 964 ore.
Il Bande Nere fu l’unico incrociatore costruito durante il periodo interbellico nei cantieri di Castellammare di Stabia, che nel trentennio 1913 (corazzata Duilio)–1943 (incrociatore leggero Giulio Germanico) non costruì nessun’altra nave maggiore. In assoluto, il Bande Nere fu il penultimo incrociatore (e la penultima nave maggiore di qualsiasi tipo) costruita a Castellammare, seguito solo dal Germanico (che però, affondato prima del completamento e poi recuperato, venne completato come cacciatorpediniere conduttore).

Il Bande Nere con colorazione mimetica, a fine 1941 o inizio 1942 (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)

Rispetto ai tre gemelli (Da Barbiano, Di Giussano, Colleoni), il Bande Nere era caratterizzato da allestimento e rifinitura "non impeccabili", al punto da essere soprannominato dagli equipaggi “Brande Nere”; non godé mai di reputazione particolarmente buona, ed è generalmente considerato qualitativamente inferiore ai gemelli (anche se, ironia della sorte, fu dei quattro quello che sopravvisse più a lungo).
Mentre Da Barbiano, Di Giussano e Colleoni, tutti e tre realizzati dal medesimo cantiere (Ansaldo di Genova) erano molto difficili da distinguere a causa della mancanza di grandi differenze tra l’uno e l’altro, il Bande Nere poteva facilmente essere riconosciuto da alcuni suoi particolari: i suoi fumaioli presentavano delle tubolature orizzontali (su quattro livelli) particolarmente vistose (tali da far apparire “rigate” le camicie dei fumaioli), e distinguibili anche a distanze moderate, ed in cima al suo torrione di comando (che in generale aveva un disegno più complesso rispetto ai gemelli) si trovava una plancia ammiraglio, destinata ad ospitare il Comando di Divisione, che Da Barbiano, Di Giussano e Colleoni non avevano (cosicché il torrione del Bande Nere era di un livello più alto rispetto a quelli dei gemelli). 


Una bella immagine del Bande Nere da prua, nella quale è possibile notare la duplice plancia che lo contraddistingueva (Coll. Guido Alfano via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)

Al momento della costruzione il Bande Nere era anche caratterizzato da un albero maestro "a palo" anziché a tripode come sugli altri tre, ma poco dopo la fine dell’allestimento anche sui gemelli l’albero a tripode venne sostituito con uno a palo, per ridurre i pesi e migliorare la stabilità. Altre peculiarità del Bande Nere includevano un alberetto più lungo rispetto ai gemelli, alcune differenze nel ponte di poppa (che includeva due complessi da 100/47 mm), alcune “finestrature” e la posizione di alcune mitragliere da 20 mm, nonché la presenza sul fumaiolo prodiero di una tubatura frontale a Y (sfiatatoio per l’emissione di cortine fumogene).

Breve e parziale cronologia.

31 ottobre 1928
Impostazione nel Regio Cantiere Navale di Castellammare di Stabia (numero di costruzione 167).
27 aprile 1930
Varo nel Regio Cantiere Navale di Castellammare di Stabia. È madrina Adelaide di Savoia-Genova.



Il Bande Nere pronto al varo (dall’alto: Gazzetta di Napoli; www.italie1935-45.com; www.liberoricercatore.it; ANMI Reggio Calabria)



In un evento cui viene dato grande rilievo dalla stampa, in occasione della celebrazione della cerimonia della "leva fascista", il 27 aprile 1930 vengono varate contemporaneamente, in diversi cantieri navali sparsi in tutta Italia, ben cinque navi da guerra (evento, secondo i giornali dell’epoca, «senza precedenti negli annali delle Marine da Guerra»), tra cui quattro incrociatori: oltre al Bande Nere, sono varati lo stesso giorno il gemello Alberto Di Giussano (a Sestri Ponente), gli incrociatori pesanti Zara (a La Spezia) e Fiume (a Trieste) ed il sommergibile Delfino (a Monfalcone).


Il varo (sopra: da www.italie1935-45.com; sotto: da www.archiviofotograficoparisio.it)



Il Bande Nere appena varato (da www.italie1935-45.com)

Successivamente, durante le prove in mare, l’apparato motore del Bande Nere sviluppa una potenza di 101.231 HP (rispetto ai 95.000 di progetto) e raggiunge la velocità di 38,18 nodi, la minore tra le quattro navi della sua classe, ma comunque ragguardevole e ben superiore a quella previsa dal contratto: tuttavia sono prestazioni raggiunte in condizioni irrealistiche, con la nave completamente scarica e forzando le macchine, come prassi durante le prove a mare degli incrociatori italiani; la velocità effettiva in condizioni operative risulterà più bassa di diversi nodi. D’altro canto, le prestazioni velocistiche di queste navi – ottenute a discapito della protezione – sono comunque notevoli, se si considera che durante la battaglia di Capo Spada (1940) il Bande Nere, nonostante i nove anni di servizio alle sue spalle ed il conseguente logorio, riuscirà a sviluppare una velocità di 32 nodi anche con una caldaia fuori uso.

"Ricordo del varo" prodotto dalla tipografia U. Fedel di Castellammare di Stabia (g.c. Giorgio Micoli via www.naviearmatori.net)

1° aprile 1931
Entrata in servizio. Assegnato alla 2a Squadra Navale; suo primo comandante è il capitano di vascello Gualtiero Gorleri, che ne ha assunto il comando prima ancora del completamento, il 16 gennaio 1931.
Nei primi anni di servizio, dopo le prove e l’addestramento iniziale, il Bande Nere svolgerà normale attività addestrativa e di squadra, compiendo visite in porti italiani e stranieri del Mediterraneo e prendendo parte alle manovre navali annuali.
1° maggio 1932
Assume il comando del Bande Nere, sostituendo il comandante Gorleri, il capitano di vascello Luigi Notarbartolo.


Il Bande Nere negli anni Trenta (da www.forummarine.forumactif.com)

8 ottobre 1932
Il comandante Notarbartolo viene avvicendato al comando del Bande Nere dal capitano di vascello Aldo Ascoli, che manterrà questo ruolo fino al maggio 1934, ricoprendo contemporaneamente anche il ruolo di capo di Stato Maggiore della 2a Squadra Navale.
1932
Subisce, al pari dei gemelli, dei lavori di modifica tesi a rinforzare le strutture dello scafo (in seguito a vari danni riportati con il maltempo) ed a ridurne l’eccessiva sensibilità ai colpi del mare, aumentando anche la corazzatura da 24 mm a 32 mm, con però un conseguente aumento del dislocamento e diminuzione della velocità.
Nello stesso periodo subisce anche una modifica all’armamento contraereo, con la sostituzione dei due cannoncini singoli da 40/39 mm Vickers-Terni 1917 con quattro mitragliere binate da 13,2/76 mm.



Il Bande Nere nel grande bacino di carenaggio di Genova nel giugno 1933, per lavori di verniciatura dello scafo (sopra: g.c. Dante Flore, via www.naviearmatori.net; sotto: da www.italie1935-45.com)


4 maggio 1934
Assume il comando del Bande Nere (nave ammiraglia della 2a Squadra Navale) il capitano di vascello Manlio Tarantini.
22 aprile 1934
Con una solenne cerimonia, alla presenza della I (Luca TarigoUgolino VivaldiAntoniotto UsodimareAlvise Da Mosto) e II Squadriglia Esploratori (Lanzerotto MalocelloGiovanni Da VerrazzanoNicoloso Da ReccoEmanuele Pessagno), della IV Squadriglia Cacciatorpediniere (Francesco CrispiQuintino SellaGiovanni NicoteraBettino RicasoliTigreFrancesco NulloDaniele Manin) e del posamine Dardanelli, il Bande Nere, i gemelli Alberico Da BarbianoAlberto Di Giussano e Bartolomeo Colleoni ed il similare Luigi Cadorna ricevono le proprie bandiere di combattimento nel bacino di San Marco a Venezia. La bandiera del Bande Nere – in seta, ricamata a mano e racchiusa in un cofano artistico in legno pregiato decorato con sculture, motti e bassorilievi, al pari delle altre – è offerta dalla città di Forlì, città natale del condottiero eponimo. In origine era previsto che la cerimonia di benedizione delle bandiere avvenisse in Piazza San Marco, ma a causa della pioggia si è infine deciso di celebrarla nell’omonima basilica.
Qualche giorno prima le navi sono state visitate da Vittorio Emanuele III, assieme al capo di Stato Maggiore della Regia Marina, ammiraglio Domenico Cavagnari, ed al comandante del Dipartimento Marittimo dell’Alto Adriatico, ammiraglio Ferdinando di Savoia.


Il Bande Nere a Venezia per la cerimonia di consegna della bandiera di combattimento (da www.italie1935-45.com)

Dicembre 1934
Il Bande Nere, insieme ai similari Bartolomeo Colleoni ed Armando Diaz ed a quattro cacciatorpediniere classe Navigatori, forma la III Divisione della 2a Squadra Navale.
11 febbraio 1935
Assume il comando del Bande Nere, sostituendo il comandante Tarantini, il capitano di vascello Ferdinando Casardi: cinque anni più tardi, come ammiraglio di divisione, avrà il Bande Nere come nave ammiraglia.


Recupero dell’idrovolante sul Bande Nere, Taranto, 10 ottobre 1935 (foto fam. Bertoglio-Paolino)

7 marzo 1936
Assume il comando del Bande Nere, avvicendando il comandante Casardi, il capitano di vascello Carlo Bergamini, capo di Stato Maggiore della 2a Squadra Navale.
4 giugno 1936
Il capitano di vascello Bergamini lascia il comando del Bande Nere, che viene nuovamente assunto dal comandante Casardi.
6 agosto 1936
Il capitano di vascello Casardi viene sostituito dal parigrado Carlo Giartosio.
1936-1938
Partecipa ancora alle operazioni navali legate alla guerra civile spagnola. I bastimenti mercantili adibiti al trasporto di truppe e rifornimenti per le forze nazionaliste spagnole partono da Napoli con a bordo i "Legionari" del Corpo Truppe Volontarie ed i rifornimenti per le forze nazionaliste spagnole, e poi, usualmente, costeggiano la Sardegna orientale, passano davanti a Cagliari e dirigono a nord verso le coste del Sulcis; al largo dell’isolotto del Toro vengono raggiunti dalle unità della scorta, che escono da Cagliari o La Maddalena, e raggiungono Cadice cinque giorni dopo la partenza.
Il Bande Nere è appunto una delle navi assegnate alla scorta di questi mercantili; ha base a La Maddalena, insieme ai gemelli Colleoni, Da Barbiano e Di Giussano, al similare Diaz ed al più moderno incrociatore leggero Eugenio di Savoia (altre navi hanno invece base a Cagliari).
Con questo sistema, che vede l’impiego complessivamente di una quarantina di navi mercantili, risulta possibile inviare in Spagna 48.000 uomini (in 66 viaggi) e 356.000 tonnellate di materiali (tra cui 488 pezzi d’artiglieria, 706 mortai, 700 velivoli e 46 carri armati).
11-14 agosto 1936
Il Bande Nere (capitano di vascello Ferdinando Casardi, e con a bordo l’ammiraglio Silvio Salsa) scorta il piroscafo Nereide (già Alicantino), diretto in Spagna con truppe e rifornimenti inviati dall’Italia alle forze nazionaliste spagnole di Francisco Franco, durante la guerra civile spagnola. Durante tale missione il Bande Nere, insieme al più moderno incrociatore leggero Muzio Attendolo ed ai cacciatorpediniere Luca Tarigo ed Antonio Da Noli, segue a distanza i piroscafi Nereide ed Aniene, partiti da Cagliari (dove sono giunti da La Spezia) e diretti l’uno a Melilla (dove arriva nella notte del 13-14 agosto) e l’altro a Vigo (dove arriva il 27 agosto), con a bordo un gruppo di aerei da caccia  FIAT CR. 32 della Regia Aeronautica (12 sul Nereide e 9 sull’Aniene) ed alcuni carri leggeri Ansaldo L. 3/35 (cinque, a bordo dell’Aniene), carburante, munizioni, parti di ricambio e gli equipaggi degli aerei (18 uomini sul Nereide e 14 sull’Aniene) e dei carri (tutti sull’Aniene). L’operazione, sotto copertura e con gran segretezza (gli aerei sono imballati in cassoni di abete, gli avieri sono in borghese e senza documenti, l’imbarco è effettuato sotto la sorveglianza della polizia), serve ad inviare tali aerei ad appoggiare le truppe nazionaliste di Francisco Franco nella guerra civile in corso in Spagna. Mentre Da Noli e Tarigo seguono i mercantili tenendosi entro il loro raggio visivo, Bande Nere ed Attendolo si tengono più distanti, pattugliando le loro rotte. I due mercantili vengono avvistati in alcune occasioni da navi spagnole repubblicane (ed anche britanniche), ma la presenza delle navi italiane impedisce loro di intercettarli ed ispezionarli.
In particolare il Bande Nere, accompagnato da Tarigo e Da Noli, scorta a distanza il Nereide, salpato da Cagliari l’11 agosto e giunto a Melilla il 14; poi, raggiunge Tangeri.
14 agosto-3 ottobre 1936
Durante la guerra civile spagnola, il Bande Nere viene dislocato a Tangeri per un mese e mezzo.

Tre foto del Bande Nere a Taranto nel 1937 (foto del marinaio Francesco Serlenga, imbarcato sulla nave dal 1937 al 1941; Coll. Fulvio Serlenga, via www.associazione-venus.it). L’idrovolante sulla catapulta nella terza foto è un idrocaccia biplano CANT 25.




23-31 gennaio 1937
Compie una crociera pendolare di pattugliamento nel Mediterraneo occidentale, per intercettare e segnalare alle forze falangiste le navi dirette in porti spagnoli controllati dalle truppe repubblicane.
18-24 febbraio 1937
Altra crociera pendolare durante la guerra civile spagnola.
1937
Il Bande Nere è nave ammiraglia dell’ammiraglio di divisione Guido Bacci di Capaci, comandante della II Divisione Navale.
11 ottobre 1937
Il capitano di vascello Giacomo Perissinotti Bisoni assume il comando del Bande Nere, rimpiazzando il comandante Giartosio.


La nave a Taranto a fine anni Trenta (da www.italie1935-45.com)

11-12 novembre 1937
Altra crociera di pattugliamento contro il traffico repubblicano nel Mediterraneo occidentale, sempre nell’ambito delle operazioni militari in Spagna.
Al termine della guerra civile spagnola, che si concluderà con la vittoria delle forze falangiste di Francisco Franco, il Bande Nere, insieme al Colleoni ed ai sommergibili Jalea, Topazio, Iride e Torricelli, presenzierà a Cagliari alla sfilata dei "Legionari" italiani di ritorno dalla Spagna.
26 gennaio 1938
Assume il comando del Bande Nere il capitano di vascello Giulio Del Guercio.
Aprile 1938
Il Bande Nere trasporta in Albania il principe Adalberto di Savoia-Genova, duca di Bergamo e cugino di Vittorio Emanuele III, mandato nel Paese balcanico per rappresentare Casa Savoia al matrimonio di Zog I, re d’Albania, con la contessa ungherese Géraldine Apponyi de Nagy-Appony.
29 aprile 1938
Il Bande Nere rientra in Italia trasportando Adalberto di Savoia, di ritorno dal matrimonio di Zog, e Galeazzo Ciano, genero di Mussolini e ministro degli Esteri, di ritorno da una visita ufficiale in Albania.



Sopra: il Bande Nere, nave più vicina, seguito dal Colleoni e dal ben più moderno Duca d’Aosta al largo di Napoli durante la rivista "H", il 5 maggio 1938; sotto, il Bande Nere con l’equipaggio schierato durante la medesima rivista navale (da www.italie1935-45.com)


5 maggio 1938
Il Bande Nere partecipa alla rivista navale «H» organizzata in occasione della visita in Italia di Adolf Hitler: nella rivista, il Bande Nere fa della Divisione dell’ammiraglio Barone (insieme ai gemelli Alberto Di GiussanoBartolomeo Colleoni), inquadrata nella I Squadra Navale (ammiraglio Vladimiro Pini), formata, oltre che da tale divisione, dagli incrociatori pesanti TrentoTrieste e Bolzano, dalle Divisioni di incrociatori leggeri degli ammiragli Minghetti (Muzio AttendoloEugenio di SavoiaEmanuele Filiberto Duca d’Aosta) e Romagna (Alberico Da BarbianoLuigi Cadorna ed Armando Diaz), da due squadriglie di esploratori classe Navigatori (Antonio Da NoliAntoniotto UsodimareUgolino VivaldiNicolò ZenoGiovanni Da VerrazzanoAlvise Da MostoAntonio Pigafetta e Luca Tarigo) e da una squadriglia di cacciatorpediniere (MaestraleGrecaleLibeccio e Scirocco).


La serie dei "cartoni animati" al completo, ormeggiata al Molo Galliera di Genova a fine maggio 1938: da sinistra a destra Bande Nere, Colleoni, Di Giussano, Cadorna, Diaz e Da Barbiano. In primo piano il panfilo Elettra di Guglielmo Marconi (da “Mussolini’s Navy” di Maurizio Brescia)

27 settembre 1938
Il comando del Bande Nere passa dal capitano di vascello Del Guercio al parigrado Arturo Solari.

Il Bande Nere in uscita da Genova il 30 maggio 1938 (da “Mussolini’s Navy” di Maurizio Brescia)

1938-1939

A seguito di nuovi lavori, l’armamento contraereo viene rinforzato con l’aggiunta di quattro moderne mitragliere binate Breda 1935 da 20/65 mm. Vengono imbarcate anche due tramogge per bombe di profondità (40 cariche).


Fotocelere Campassi, Torino, 1938 (g.c. Giorgio Micoli via www.naviearmatori.net)

1° gennaio 1939
Assume il comando del Bande Nere il capitano di vascello Manlio De Pisa, che avvicenda il comandante Solari.


Il Bande Nere a Venezia nel 1939 (sopra: g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net; sotto: ANMI Reggio Calabria)



1939
Il Bande Nere va a formare, insieme al gemello Bartolomeo Colleoni, la II Divisione Navale, al comando dell’ammiraglio di divisione Carlo Cattaneo (poi sostituito dal parigrado Ferdinando Casardi) e di base a La Spezia, facente parte della 2a Squadra.
7-9 aprile 1939
Il Bande Nere (capitano di vascello Manlio De Pisa), alzando l’insegna dell’ammiraglio di divisione Angelo Iachino, partecipa all’occupazione di San Giovanni di Medua durante le operazioni per l’invasione dell’Albania (Operazione "Oltre Mare Tirana", OMT). Il Bande Nere è nave ammiraglia del I Gruppo Navale (al comando appunto dell’ammiraglio Iachino), insieme ai cacciatorpediniere Nicoloso Da ReccoFolgore e Fulmine, alle torpediniere Polluce e Pleiadi, alla nave cisterna e da sbarco Garigliano ed al grosso piroscafo Umbria: queste navi devono sbarcare due compagnie del Reggimento "San Marco" e tre battaglioni di bersaglieri (il III Battaglione dell’8° Reggimento Bersaglieri, il VI Battaglione del 6° Bersaglieri ed il XXVIII Battaglione del 9° Bersaglieri), al comando del colonnello Arturo Scattini.
Lo sbarco, preceduto da un bombardamento navale, viene contrastato dai difensori albanesi (circa 200, secondo quanto riferito dagli informatori) con vivo fuoco di fucileria e qualche mitragliatrice, che causano qualche perdita; alcune navi intervengono coi loro cannoni in supporto delle truppe da sbarco e risolvono rapidamente la situazione in favore di queste ultime, che riescono così a sopraffare la resistenza albanese e ad occupare San Giovanni di Medua nel giro di un’ora circa. Sbarcano per primi gli uomini del "San Marco", e poi i bersaglieri; anche il Bande Nere ha a bordo dei bersaglieri, che deve trasbordare su dei pescherecci inviati da Brindisi, ma tale operazione subisce alcuni ritardi a causa dei fondali bassi e del ritardo nell’arrivo dei pescherecci stessi. Date le ridotte dimensioni e ricettività delle strutture portuali, parte delle truppe devono essere sbarcate sulla spiaggia, anziché nel porto. Molti dei bersaglieri, provenienti da un mondo contadino, vedono il mare per la prima volta in questa occasione: l’ammiraglio Iachino annoterà nel suo rapporto che, non volendo essi entrare in acqua, vengono improvvisati dei pontiletti di sbarco che permettono alle truppe di scendere sulla spiaggia con le loro biciclette e motociclette senza bagnarsi.
Il giorno seguente la colonna del colonnello Scattini, avanzando verso nord senza incontrare molta resistenza, conquista Scutari, suo obiettivo principale.
Durante le operazioni per l’occupazione dell’Albania il Bande Nere catapulta anche il suo idrovolante da ricognizione IMAM Ro. 43. Il 9 aprile si aggrega al Bande Nere anche l’incrociatore leggero Luigi Cadorna.
1° giugno 1939
Il Bande Nere (capitano di vascello Manlio De Pisa) diviene nave ammiraglia della Divisione Scuola Comando (ammiraglio di divisione Angelo Iachino, poco dopo sostituito dall’ammiraglio di divisione Carlo Cattaneo), dislocata ad Augusta ed alle dipendenze del Ministero della Marina. La Divisione Scuola Comando, impiegata nell’addestramento ma avente anche funzione di "forza silurante di immediato impiego nel Canale di Sicilia" in caso di necessità, ha alle sue dipendenze quattro squadriglie di torpediniere, una flottiglia di sommergibili, tre squadriglie di MAS ed alcune navi ausiliarie.


Il Bande Nere esce dal Mar Piccolo di Taranto il 22 giugno 1939 (da www.italie1935-45.com)

31 luglio 1939
Il comandante De Pisa lascia il comando del Bande Nere che viene assunto in via provvisoria, solo per pochi giorni (fino al 3 agosto), dal capitano di fregata Costanzo Casana.
3 agosto 1939
Assume il comando del Bande Nere il capitano di vascello Francesco Maugeri; nello stesso periodo diviene comandante in seconda dell’incrociatore il capitano di fregata Francesco Dell’Anno, futura MOVM.
Maugeri esprimerà poi, nelle sue discusse memorie pubblicate in inglese ("From the Ashes of Disgrace"), un giudizio ben poco lusinghiero nei confronti del Bande Nere (addirittura "La nave era la peggiore di tutta la Marina") che però verrà curiosamente cambiato nella versione italiana di quelle memorie ("Ricordi di un marinaio", in cui Maugeri scrive che nel novembre 1940 si separò "con grande dispiacere dal mio caro Bande Nere, che mi aveva dato molte soddisfazioni").


Il Bande Nere nel canale navigabile di Taranto, nel 1939 (da www.italie1935-45.com)

10 giugno 1940
All’ingresso in guerra dell’Italia, il Bande Nere è nave ammiraglia della II Divisione Navale (al comando dell’ammiraglio di divisione Ferdinando Casardi), che forma insieme al gemello Colleoni, dislocata a Palermo e facente parte della 2a Squadra Navale.
Alle 20 (o poco dopo) dello stesso 10 giugno, Bande Nere (capitano di vascello Franco Maugeri) e Colleoni lasciano Palermo per coprire le operazioni di posa, da parte del posamine Buccari e del posamine ausiliario (ex traghetto ferroviario) Scilla, dello sbarramento di mine «G P» (Capo Granitola-Pantelleria) nel Canale di Sicilia (altra fonte parla, erroneamente, dello sbarramento «L K», Lampedusa-Kerkennah). In mare è anche una forza d’appoggio, costituita dalle Divisioni Navali III (da Messina) e VII (da Napoli), dall’incrociatore pesante Pola (da Messina) e dalla X Squadriglia Cacciatorpediniere (da Napoli), che compie una puntata esplorativa notturna tra Marettimo e Capo Bon.
11 giugno 1940
Completata l’operazione, Bande Nere e Colleoni  fanno ritorno a Palermo.
16 giugno 1940
Bande Nere e Colleoni  si trovano nel porto di Palermo quando la città viene sorvolata da cinque aerei che lanciano manifestini; i due incrociatori aprono il fuoco contro di essi con le loro artiglierie contraeree.
22 giugno 1940

La II Divisione (Bande Nere e Colleoni ), insieme alle Divisioni incrociatori I (incrociatori pesanti ZaraFiumeGorizia) e III (incrociatori pesanti Trento e Bolzano), all’incrociatore pesante Pola (nave ammiraglia del comandante superiore in mare; è in mare tutta la 2a Squadra Navale, più la I Divisione) ed alle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, X e XII), prende il mare per fornire copertura alla VII Divisione ed alla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere, inviate a compiere un’incursione contro il traffico mercantile francese nel Mediterraneo occidentale, dopo che intercettazioni radio e ricognizioni aeree eseguite tra il 19 ed il 21 giugno hanno posto in evidenza l’esistenza di un intenso traffico convogliato dalla Provenza verso l’Algeria, scortato da forze leggere e regolato in modo da giungere all’alba presso la costa dell’Algeria dopo essere passato verso mezzogiorno del giorno precedente sul parallelo di Minorca, 50-70 miglia ad est di Port Mahon.
Bande Nere e Colleoni partono da Palermo alle 17.30 del 22 giugno ed al tramonto dello stesso giorno, a nord di Palermo, si riuniscono al Pola ed alla I e III Divisione, uscite da Augusta e Messina. La formazione fa rotta fino ad un punto situato 40 miglia ad ovest dell’isola di San Pietro (Sardegna), da dove poi tenersi pronta ad intervenire a supporto della VII Divisione in caso di necessità (la VII Divisione ha l’ordine di impegnarsi decisamente in caso d’incontro con forze nemiche non superiori, mentre nel caso di incontro con forze nettamente superiori dovrebbe ripiegare per attirarle verso il punto in cui le altre tre Divisioni devono trovarsi per darle manforte).
23 giugno 1940
In mattinata il Bande Nere catapulta un idrovolante da ricognizione; sia questo che gli altri ricognitori (tanto quelli catapultati dalle navi quanto quelli di base a terra), tuttavia, non trovano nessuna nave nemica, anche a causa delle avverse condizioni del tempo (nubi basse, piovaschi e foschia).
Bande Nere e Colleoni dirigono dunque per rientrano a Palermo.
24 giugno 1940
Bande Nere e Colleoni arrivano a Palermo alle 2.50 del 24.
28 giugno 1940
Il Bande Nere salpa da Palermo alle 22.30, seguito alle 23.15 dal Colleoni, per trasferirsi ad Augusta, seguendo la rotta che passa a nord della Sicilia.
29 giugno 1940
I due incrociatori giungono ad Augusta alle 9.30.
2 luglio 1940
Bande Nere e Colleoni salpano da Augusta tra le 20 e le 20.30, insieme alla X Squadriglia Cacciatorpediniere, per tentare l’intercettazione di un cacciatorpediniere britannico classe J, indicato come in navigazione da Gibilterra verso, probabilmente, Malta.
3 luglio 1940
Alle 5.40 il Bande Nere catapulta un aereo da ricognizione per ampliare il raggio delle ricerche, ma non si effettuano comunque avvistamenti; la visibilità sul mare, con vento fresco da Maestrale, è piuttosto contenuta, ed alla fine le navi sono costrette a rientrare ad Augusta a mani vuote, giungendovi alle 17.50 (Colleoni) ed alle 19 (Bande Nere).
4 luglio 1940
Bande Nere e Colleoni lasciano Augusta tra le 00.05 e l’1.40 per raggiungere, a 100 miglia dalla Sicilia, un convoglio di due trasporti truppe (il piroscafo Esperia e la motonave Victoria, scortati dalle torpediniere ProcioneOrsa, Orione e Pegaso) di ritorno da Tripoli (da dove sono salpati alle 13 del 2 luglio), del quale assumere la scorta per un tratto assieme agli incrociatori pesanti ZaraFiume e Gorizia della I Divisione ed ai cacciatorpediniere AlfieriOrianiGioberti e Carducci della IX Squadriglia e MaestraleGrecaleLibeccio e Scirocco della X Squadriglia. Completata la missione (il convoglio giungerà indenne a Napoli lo stesso 4 luglio, alle 23), il Bande Nere torna ad Augusta alle 9.30, seguito dal Colleoni che vi arriverà alle 19.55.
7 luglio 1940

Bande Nere (con a bordo l’ammiraglio Casardi, comandante della II Divisione) e Colleoni lasciano Augusta alle 12.55, insieme ai cacciatorpediniere della X Squadriglia (MaestraleGrecaleLibeccioScirocco), per assumere la scorta del primo convoglio di grandi dimensioni inviato in Libia (operazione «TCM», Terra, Cielo, Mare): lo compongono il piroscafo Esperia, la motonave passeggeri Calitea (usati per trasporto truppe) e le motonavi da carico Marco FoscariniFrancesco BarbaroVettor Pisani, partite da Napoli alle ore 18 del 6 luglio (tranne la Barbaro che, partita da Catania con la scorta delle torpediniere Pilo e Abba, si aggrega al convoglio il mattino del 7 luglio) e scortate dalle moderne unità della XIV Squadriglia Torpediniere (OrsaProcioneOrione e Pegaso).
Mentre il convoglio si trova in Mar Ionio, Supermarina viene informato che alle otto del mattino del 7 luglio la Forza H britannica (portaerei Ark Royal, corazzate Valiant e Resolution, incrociatore da battaglia Hood, incrociatori leggeri ArethusaDelhi ed Enterprise, cacciatorpediniere FaulknorFoxhoundFearlessDouglasActiveVeloxVortingernWrestlerEscort e Forester) è uscita in mare da Gibilterra. Scopo di tale uscita (operazione «MA 5») è attaccare gli aeroporti della Sardegna, per distogliere l’attenzione dei comandi italiani da un traffico di convogli tra Alessandria a Malta (due convogli di mercantili per l’evacuazione di civili e materiali da inviare ad Alessandria, ed uno di cacciatorpediniere con alcuni rifornimenti per Malta), con l’appoggio dell’intera Mediterranean Fleet (corazzate Warspite, Malaya e Royal Sovereign, portaerei Eagle, incrociatori leggeri OrionNeptuneSydneyGloucester e Liverpool, cacciatorpediniere DaintyDefenderDecoyHastyHeroHerewardHyperionHostileIlexNubianMohawkStuartVoyagerVampireJanus e Juno); questo, però, non è a conoscenza dei comandi italiani, che decidono di fornire protezione al convoglio diretto a Bengasi, facendo uscire in mare l’intera flotta italiana.
La scorta diretta viene così rinforzata dalla II Divisione Navale, con Bande Nere e Colleoni, e dalla X Squadriglia Cacciatorpediniere con MaestraleGrecaleLibeccio e Scirocco.
Quale scorta a distanza, escono in mare la 1a Squadra Navale con le Divisioni IV (incrociatori leggeri Alberico Da BarbianoAlberto Di GiussanoLuigi Cadorna ed Armando Diaz), V (corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour) e VIII (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi Giuseppe Garibaldi) e le Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia, DardoSaettaStrale), VIII (FolgoreFulmineLampoBaleno), XIV (Leone PancaldoUgolino VivaldiAntonio Da Noli), XV (Antonio PigafettaNicolò Zeno) e XVI (Nicoloso Da ReccoEmanuele PessagnoAntoniotto Usodimare), e la 2a Squadra Navale con l’incrociatore pesante Pola (nave ammiraglia), le Divisioni I (incrociatori pesanti ZaraFiumeGorizia), III (incrociatori pesanti Trento e Bolzano) e VII (incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’AostaEugenio di SavoiaRaimondo Montecuccoli e Muzio Attendolo) e le Squadriglie Cacciatorpediniere IX (Vittorio AlfieriAlfredo OrianiVincenzo GiobertiGiosuè Carducci), XI (AviereArtigliereGeniereCamicia Nera), XII (LanciereCarabiniereAscariCorazziere) e XIII (GranatiereBersagliereFuciliereAlpino). Pola, I e III Divisione, con le relative squadriglie di cacciatorpediniere (IX, XI e XII), si posizionano 35 miglia ad est del convoglio, per proteggerlo da un attacco navale proveniente da est, mentre la VII Divisione e la XIII Squadriglia, posizionate 45 miglia ad ovest, forniscono protezione da attacchi provenienti da Malta; il resto della flotta (IV, V e VIII Divisione, VII, VIII, XIV, XV e XVI Squadriglia) forma infine un gruppo di sostegno. Non è tutto: viene organizzata un’intensa ricognizione aerea con grandi aliquote dei velivoli della ricognizione marittima, il posamine ausiliario Barletta viene inviato a posare mine a protezione del porto di Bengasi, e vengono inviati in tutto 14 sommergibili in agguato nel Mediterraneo orientale.
L’avvistamento anche della Mediterranean Fleet, uscita da Alessandria nel pomeriggio del 7 – come si è detto – per proteggere i convogli con Malta, non fa che confermare la convinzione di Supermarina circa la necessità delle misure adottate.
Il convoglio, procedendo a 14 nodi (il gruppo che comprende la II Divisione procede a 20 nodi sino ad incontrare il convoglio a sud della Sicilia, per scortarlo nel tratto più pericoloso, fino a Bengasi), segue rotta apparente verso Tobruk fino a giungere in un punto situato 245 miglia a nordovest di Bengasi, quindi assume rotta verso quest’ultimo porto; dopo altre 100 miglia il convoglio si divide, lasciando proseguire a 18 nodi le più veloci Esperia e Calitea, mentre le motonavi da carico mantengono una velocità di 14 nodi. La II Divisione si tiene in immediato contatto con il convoglio.
8 luglio 1940
All’1.50 l’ammiraglio Inigo Campioni, comandante della flotta italiana, a seguito di avvistamenti della ricognizione che rivelano la presenza in mare della Mediterranean Fleet britannica (anch’essa uscita a tutela di convogli), ordina al convoglio ed alla II Divisione, che si trovano in rotta 147° (per Bengasi), di assumere rotta 180°, in modo da essere pronti ad essere dirottati su Tripoli in caso di necessità. Alle 7.10, appurato che la Mediterranean Fleet non può essere diretta ad intercettare il convoglio, Campioni ordina a quest’ultimo di tornare sulla rotta per Bengasi.
Il convoglio «TCM» arriva a Bengasi, dopo una navigazione tranquilla, tra le 18 e le 22; la II Divisione e la X Squadriglia, lasciati i mercantili a Bengasi, proseguono per Tripoli, dove hanno ordine di dislocarsi temporaneamente. In tutto, il convoglio porta in Libia 2190 uomini (1571 sull’Esperia e 619 sulla Calitea), 72 carri armati M11/39, 232 automezzi, 5720 tonnellate di carburante e 10.445 tonnellate di rifornimenti.
9 luglio 1940
La II Divisione e la X Squadriglia vengono dislocate a Tripoli, dove il Bande Nere dà fondo alle 10.25, seguito, alle 13.10, dal Colleoni. Queste unità non parteciperanno quindi alla battaglia di Punta Stilo, scatenatasi il giorno seguente tra la flotta italiana (1a e 2a Squadra Navale) e quella britannica e conclusasi senza vincitori né vinti.


A Taranto (Coll. Guido Alfano, via g.c. Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)

13-16 luglio 1940
Dopo che la II Divisione, al termine dell’operazione del 9 luglio, si è dislocata a Tripoli, Supermarina decide di trasferirla per un breve periodo in Egeo, e precisamente nella base navale di Portolago, a Lero, per impiegarla come forza d’attacco veloce per rapide incursioni contro il traffico britannico nell’Egeo, allo scopo di recare il maggior danno possibile («eseguire scorrerie nelle acque dell'Egeo per recare il massimo danno al traffico nemico in quelle acque, se risultasse che gli Inglesi stessero concentrando verso Creta piroscafi provenienti da porti turchi e greci»). Un’idea simile spingerà nell’ottobre 1941 la Royal Navy a dislocare a Malta la Forza K – incrociatori leggeri Aurora e Penelope e cacciatorpediniere Lance e Lively – per attaccare i convogli italiani diretti in Libia, con notevole successo. Di per sé l’idea di Supermarina era valida, ma non è stata molto azzeccata la scelta degli incrociatori da utilizzare: il principale pregio di Bande Nere e Colleoni è la velocità, e nell’Egeo, mare disseminato di isole, ci si ritrova di frequente in acque “chiuse”, dove la possibilità di manovra è limitata e la velocità, spesso, non può essere sfruttata adeguatamente. Sarebbe stato più appropriato l’invio di due incrociatori delle classi più recenti, un po’ meno veloci ma meglio protetti. (Secondo altra fonte, invece, Supermarina avrebbe scelto le navi della II Divisione proprio perché i "Di Giussano" erano stati pensati per fronteggiare i cacciatorpediniere, pareggiandoli o superandoli – almeno in teoria – in velocità e superandoli in armamento: sarebbero stati così in grado di inseguire ed ingaggiare i cacciatorpediniere nemici tenendosi al contempo fuori tiro rispetto ai loro pezzi da 120 mm, ed avrebbero avuto velocità sufficiente a sfuggire ad unità più pesantemente armate, qualora ne avessero incontrate. Altro motivo della scelta di questi incrociatori sarebbe stato il loro minore consumo di nafta rispetto a quelli delle classi successive, in considerazione delle scarse riserve di nafta disponibili nel Dodecaneso, territorio lontano dall’Italia e, in quella fase della guerra, difficile da rifornire). Altre obiezioni, a posteriori, hanno riguardato la scelta di inviare i due incrociatori in Egeo senza scorta di cacciatorpediniere: la scorta di una squadriglia di cacciatorpediniere, oppure un maggior numero di incrociatori (quattro anziché due), probabilmente, avrebbero potuto evitare l’infausto esito della battaglia di Capo Spada.
Il piano di Supermarina prevede che Bande Nere (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Ferdinando Casardi, comandante la II Divisione) e Colleoni, partiti da Tripoli senza scorta di cacciatorpediniere (li scorteranno i cacciatorpediniere di Tobruk, solo nell’ultimo tratto di avvicinamento a quella base e nella navigazione fino a Sollum e ritorno), dovranno rifornirsi rapidamente a Tobruk, poi eseguire un’azione (breve ma intensa) di bombardamento contro posizioni costiere britanniche a Sollum (o, solo secondariamente, Marsa Matruh) dopo di che dovranno dirigere inizialmente su Tobruk fino al tramonto, in modo da trarre in inganno eventuali ricognitori britannici, per poi assumere rotta per Lero, dove dovranno giungere nel primo pomeriggio del giorno da stabilire, transitando nel canale tra Rodi e Scarpanto oppure tra Cerigo e Candia.
Il bombardamento di Sollum è un’idea che Supermarina considera già da qualche tempo: si era inizialmente pianificato di farlo eseguire ad una sezione della IV Divisione (Diaz e Di Giussano) mandata da Taranto, che avrebbe raggiunto Tobruk nelle prime ore del mattino, incontrare la II Squadriglia Cacciatorpediniere (che ne avrebbe assunto la scorta), effettuare il bombardamento e poi tornare subito a Taranto. La presenza a Tripoli della II Divisione e la decisione di trasferirla in Egeo (viaggio durante il quale dovrebbe in ogni caso passare al largo delle coste egiziane), lì giunta al termine della missione di scorta del convoglio «Esperia», ha suggerito una modifica nei piani.
Il 13 luglio 1940, pertanto, Supermarina informa con telecifrato – la presenza di un cavo telegrafico dalla Sicilia a Tripoli e Bengasi permette di comunicare con i Comandi della Libia senza rischiare di essere intercettati – l’ammiraglio di divisione Bruno Brivonesi, comandante di Marina Libia (con quartier generale a Bengasi), del progettato impiego della II Divisione («Qualora interessasse Supercomando ASI sarebbe intenzione eseguire con incrociatori II Divisione bombardamento zona Sollum, ripeto Sollum e non Marsa Matruk, data sua vicinanza Alessandria alt Incrociatori sosterebbero Tobruk per rapido rifornimento proseguendo subito per zona Sollum ed dirigendo quindi Lero») e gli ordina di chiedere al Comando Superiore Africa Settentrionale Italiana quali siano gli obiettivi da colpire a Sollum, avvertendo al contempo anche l’ammiraglio Casardi della prossima missione della sua Divisione. Vengono inoltre richieste ricognizioni aeree ad est di Tobruk, con velivoli delle basi di Rodi e della Cirenaica, per accertare che non vi si trovino forze navali avversarie; e sono contattati gli Addetti Navali ad Atene ed Ankara (o Istanbul) per avere informazioni sull’eventuale concentramento, verso Creta, di piroscafi provenienti da porti della Grecia e della Turchia. L’indomani anche il Comando Superiore delle Forze Armate delle Isole Italiane dell’Egeo (Egeomil, a Rodi) viene avvisato – a mezzo di dettagliato dispaccio spedito per aereo del Comando Servizi Speciali, onde evitare intercettazioni – della prossima dislocazione della II Divisione a Portolago, dei relativi scopi e dei tempi e modalità di massima dell’arrivo. La sosta forzata dell’aereo a Bengasi (tappa intermedia del suo viaggio dall’Italia a Rodi), per “ragioni meteorologiche”, ne ritarda però l’arrivo a Rodi di ben dieci giorni, fino al 24 luglio, quindi alle 9.35 del 18 Supermarina è costretta ad inviare un telegramma, molto meno particolareggiato.
Il 14 luglio Supermarina ha inviato all’ammiraglio Casardi, sempre con aereo del Comando Servizi Aerei Speciali e con plico sigillato, anche l’ordine d’operazione Prot. 1512 – firmato dal Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Domenico Cavagnari – con obiettivi («a) Eseguire una breve intensa azione di bombardamento contro gli obiettivi costieri della zona di Sollum indicati dal Supercomando A.S.I., dopo una breve sosta a Tobruk per rifornimento. b) Trasferirsi, alla fine del bombardamento, a Portolago per compiere da quella base incursioni contro il traffico britannico nelle acque dell’Egeo.») e dettagli della missione dei due incrociatori. Le navi dovranno salpare il giorno “X” e procedere a 20 nodi (di più, a scelta di Casardi, nelle zone in cui volesse zigzagare) seguendo la rotta diretta Tripoli-Tobruk in modo da giungere, alle 5.30 del giorno seguente alla partenza, 20 miglia a nordovest del punto prestabilito «C», dove verranno raggiunte dai cacciatorpediniere di Tobruk, che le scorteranno in porto. Qui si riforniranno di acqua (il minimo possibile) e nafta, poi ripartiranno in giornata, raggiungeranno Sollum a 25 nodi ed effettueranno il bombardamento nel pomeriggio, in modo da concluderlo due ore prima del tramonto; poi faranno rotta per Tobruk a 25 nodi come se dovessero rientrare in quella base, allo scopo di ingannare il nemico, salvo, calato il buio, lasciare i cacciatorpediniere liberi di rientrare a Tobruk (per altra fonte l’azione sarebbe eseguita senza alcuna scorta di cacciatorpediniere; ma si tratta di un errore, in quanto l’ordine d’operazione menziona chiaramente che i cacciatorpediniere di Tobruk devono scortare la II Divisione «da Tobruk fino a Sollum e ritorno (limitatamente alle ore diurne)»), e dirigere da sole per Portolago, passando, a seconda degli ordini che riceveranno, tra Rodi e Scarpanto (messaggio in codice «Rimandate sosta prevista», anche cifrato per maggior sicurezza) oppure ad ovest di Creta («Pervenuto plico confidenziale», sempre in codice e cifrato), sempre a 25 nodi. Giunti a Portolago, gli incrociatori, rifornitisi delle munizioni impiegate nel bombardamento, si dovranno tenere pronti ad uscire in mare (in 6 ore fino a mezzanotte del giorno seguente a quello di arrivo, poi pronti in 2 ore salvo che nelle 24 ore successive al rientro da ciascuna incursione, quando dovranno essere pronti in 6 ore) per rapide scorrerie contro naviglio mercantile britannico od al servizio del Regno Unito, e relative scorte. Durante la navigazione, specie verso Sollum, le navi si dovranno tenere per quanto possibile sopra fondali di profondità non inferiore ai 500 metri, in modo da non rischiare di incappare in campi minati («Navigherete per quanto possibile in fondali superiori ai 500 metri, e a Tobruk assumerete le informazioni utili a stabilire se nel golfo di Sollum i Ct dovranno precederVi coi paramine. PortarVi in ogni caso nella zona da cui dovete far fuoco per bombardare, seguendo il minimo percorso in acque inferiori ai 500 metri e tenendo presente che a nord di Ras Azzas risulterebbero mine posate da un sommergibile nemico»). Per tutta la durata della missione le navi di Casardi dovranno mantenere il più rigido silenzio radio; durante il periodo trascorso nei porti di Tobruk e di Lero, per le eventuali comunicazioni Casardi non dovrà usare le radio delle sue navi, bensì quelle dei locali Comandi Marina, al fine di dissimulare la presenza della II Divisione. Anche le istruzioni più dettagliate che verranno impartite via radio a Casardi una volta a Portolago saranno comunicate non alla II Divisione, ma a Marina Lero, che poi provvederà a farle pervenire all’ammiraglio. Le istruzioni di massima per l’attività una volta giunti a destinazione prescrivono: «Di massima dovrete tenerVi pronto ad eseguire rapide puntate nelle zone che Vi saranno indicate, per affondare traffico mercantile con la bandiera inglese o al servizio degli inglesi e unità sottili di protezione a detto traffico». Terminato il proprio compito, la II Divisione rienterà successivamente in Italia, in una base che verrà comunicata da Supermarina, quando ne riceverà l’ordine.
Se l’azione contro Sollum e la sosta a Tobruk dovranno essere comprese nella missione, Casardi riceverà un telegramma cifrato con il messaggio convenzionale (anch’esso cifrato) «Sedici terreni saranno espropriati», indicante che il giorno X (inizio della missione, partenza da Tripoli) sarà il 16 luglio; se invece la II Divisione dovrà lasciare Tripoli diretta subito in Egeo, senza sostare a Tobruk e bombardare Sollum, il messaggio previsto sarà «Sedici trasmissioni errate», pure in cifra. Nessuno all’infuori di Casardi deve essere messo al corrente degli ordini d’operazione; anche i comandanti dei due incrociatori, capitani di vascello Franco Maugeri (Bande Nere) e Umberto Novaro (Colleoni), riceveranno ordini più precisi soltanto una volta in mare, aprendo plichi consegnati loro dall’ammiraglio prima della partenza ma da non aprirsi finché non saranno in mare aperto. L’ordine d’operazione è molto particolareggiato perché occorre un orario di movimenti prestabilito per permettere la necessaria coordinazione tra la II Divisione, i cacciatorpediniere che dovranno scortarla (se del caso) nel bombardamento di Sollum, la ricognizione aerea e le basi di Tobruk e Portolago, mantenendo poi il silenzio radio nel corso della missione. Copia dell’ordine d’operazione viene inviata anche al Comando della 2a Squadra Navale, dalla quale la II Divisione dipende.
L’Addetto Navale ad Istanbul, dopo che Supermarina gli ha telegrafato chiedendo notizie su eventuali movimenti di mercantili britannici in partenza per l’Egeo, comunica il 15 luglio che quel giorno, alle 18.30 ora italiana, tre motocisterne fluviali britanniche di 1500-2000 tsl, apparentemente a pieno carico, sono passate nel Bosforo dirette ai Dardanelli; il 16 aggiunge che hanno sostato a Çanakkalè, sulla sponda asiatica dei Dardanelli, per attendere altri tre piroscafi britannici, che stanno caricando merce ad Istanbul, onde poi salpare in un unico convoglio. Non manca di descrivere l’aspetto delle cisterne, così che siano riconoscibili, e poi di indicare anche i nomi di tutte e sei le navi. Al contempo, il 15, Marina Libia ha riferito al Ministero che in quel momento un bombardamento di Sollum non occorre (il Comando Superiore in Libia ha riferito che non è ritenuto utile: probabilmente perché risulterebbe difficile riconoscere gli obiettivi da bombardare); verrà chiesto in seguito, se necessario, in tempo utile.
Sulla base di queste informazioni, il 16 sera Supermarina comunica ad Egeomil quanto saputo da Istanbul e domanda se tale Comando acconsenta all’invio a Lero, direttamente da Tripoli (senza bombardamento su Sollum) di Bande Nere e Colleoni, che dovrebbero così passare presso Cerigo all’alba del 19, richiedendo inoltre ricognizione aerea sulla rotta per Lero (soprattutto, gli aerei dovrebbero perlustrare all’alba del 19 luglio il canale di Cerigotto, che separa tale isola da Creta). Egeomil dispone complessivamente delle seguenti forze aeree, di base negli aeroporti di Rodi: due Gruppi da Bombardamento con in totale una ventina di trimotori Savoia-Marchetti S.M. 81; la 163a Squadriglia Caccia Terrestre con undici biplani Fiat C.R.32 e nove Fiat C.R.42; e la 161a Squadriglia Autonoma Caccia Marittima con sette idrovolanti IMAM Ro.44.
In attesa della risposta, alle 9.30 del 17 luglio Supermarina ordina ai due incrociatori di accendere le caldaie e tenersi pronti a muovere, quindi telegrafa all’ammiraglio Casardi «diciassette trasmissioni errate» (partire da Tripoli e trasferirsi direttamente in Egeo, giorno X è appunto il 17) e poi aggiunge che la II Divisione dovrà salpare alle 21 del 17 procedendo a 20 nodi, dirigendo da Tripoli per un punto situato 30 miglia a nord di Derna, in Cirenaica (dove presumibilmente giungerà alle 21 del 18), da dove poi farà rotta 12° verso il passaggio tra Creta (più precisamente, Capo Spada, all’estremità nordoccidentale della baia di La Canea) e Cerigotto (a nord di Creta, transito previsto probabilmente per le 4.30 del 19); l’arrivo a Portolago dovrebbe presumibilmente avvenire verso le 14.30 del 19 luglio. Arrivato l’assenso da Egeomil (ma solo dopo che il Comando Supremo – Stamage, lo Stato Maggiore – ha dovuto ribadire gli ordini di Supermarina, perché il governatore dell’Egeo, il borioso megalomane Cesare De Vecchi, “accetta” direttive o “suppliche” solo dal Comando Supremo, come si curò di precisare in un telegramma delle 5.20 del 18 luglio), Supermarina informa Casardi che tale Comando provvederà alla ricognizione aerea sulla rotta che devono seguire, e che una volta in Egeo la II Divisione potrà ordini diretti anche da esso.
La segretezza sull’operazione è mantenuta, nonostante De Vecchi, che prende a mandare lunghissimi ed inutili telegrammi a Supermarina ed al Comando Supremo, finché la sera del 18 Supermarina è costretto a ricordargli che la II Divisione deve mantenere il silenzio radio, che gli aerei non potranno tentare di contattarla e, sostanzialmente, di stare zitto per non compromettere la segretezza dei codici della Regia Marina («Riferimento vostro telegramma 73632 odierno note unità hanno ordine mantenere assoluto silenzio alt Aerei non ripeto non dovranno tentare collegarsi alt Pregherei disporre siano evitati lunghi frequenti telegrammi con codici R. Marina per non comprometterne segretezza»): i comandi britannici non sanno nulla di quanto quelli italiani stiano pianificando.
Ma Supermarina non è l’unico comando a predisporre in quel momento operazioni in Mar Egeo: per contrastare l’attività dei sommergibili italiani, dislocati agli sbocchi meridionali dell’Egeo ed a settentrione di Creta, a danno dei convogli britannici in navigazione tra l’Egitto ed i Dardanelli, il comando della Mediterranean Fleet è solito predisporre, in coincidenza con il passaggio di propri convogli, dei rastrelli antisommergibile con impiego di unità leggere.
Uno di questi rastrelli, da compiersi a nord di Creta, ha inizio il 18 luglio 1940, prima della partenza dall’Egitto per i Dardanelli del convoglio «AN. 2» (Aegean North 2): in base a ordini diramati il pomeriggio del 17 luglio, la 2nd Destroyer Flotilla, con i cacciatorpediniere britannici Hasty (capitano di corvetta Lionel Rupert Knyvet Tyrwhitt), Hero (capitano di fregata Hilary Worthington Biggs), Hyperion (capitano di fregata Hugh St. Lawrence Nicolson, capoflottiglia) ed Ilex (capitano di corvetta Philip Lionel Saumarez), dovrà effettuare un rastrello antisommergibili nel canale tra Caso e Creta; al contempo l’incrociatore leggero australiano Sydney (capitano di vascello John Augustine Collins) ed il cacciatorpediniere britannico Havock (capitano di corvetta Rafe Edward Courage) forniranno appoggio a distanza a tale formazione ed effettueranno un rastrello contro il traffico italiano (tra l’Italia da una parte e Mar Nero e Dodecaneso dall’altra) nel golfo di Atene. Le sei navi salpano da Alessandria d’Egitto il 18 luglio (la 2nd Flotilla poco dopo mezzanotte, Sydney e Havock alle 4.30), poi si dividono in due gruppi, diretti ai rispettivi obiettivi. Quando avrà completato la missione, la flottiglia di Nicolson dovrà lasciare l’Egeo attraverso il canale di Cerigotto, passandovi alle 6 del 19 luglio.
Altri otto cacciatorpediniere britannici, nello stesso momento, si trovano nell’Egeo meridionale per proteggere la navigazione di un convoglio in partenza da Port Said il 19 e per riceverne un altro proveniente dai Dardanelli e diretto in Egitto, cioè proprio quello segnalato dall’addetto navale italiano ad Istanbul.
17 luglio 1940
Il Bande Nere (capitano di vascello Franco Maugeri, con a bordo l’ammiraglio di divisione Ferdinando Casardi, comandante della II Divisione) ed il Colleoni (capitano di vascello Umberto Novaro, che nel periodo interbellico, col grado di capitano di fregata, era stato anche comandante in seconda del Bande Nere) lasciano Tripoli come previsto alle 20.35 (o 21). L’arrivo a Lero è previsto per il 19 luglio. Poco prima della partenza, l’ancora del Bande Nere s’impiglia in un “corpo morto” e si rende necessario, per liberarla, l’intervento del sergente palombaro Francesco Romanelli, mandato dal Comando del Porto di Tripoli.
Supermarina, come previsto, comunica al Comando Aeronautica dell'Egeo (a Rodi) di svolgere ricognizioni sul Canale di Cerigotto, e di garantire agli incrociatori di Casardi copertura aerea durante la navigazione.
18 luglio 1940
Durante la giornata, le navi della II Divisione navigano verso est, verso il punto convenuto 30 miglia a nord di Derna. Alle 22.07 Bande Nere e Colleoni raggiungono il punto prestabilito al largo di Derna, dove accostano verso nord per dirigere verso il canale di Cerigotto, attraverso il quale entreranno in Mar Egeo.


(g.c. Giorgio Micoli via www.naviearmatori.net)

19 luglio 1940
Fino alle sei del mattino del 19 luglio la navigazione dei due incrociatori procede tranquilla, senza imprevisti. Secondo una fonte, ai due incrociatori sarebbe stato ordinato di preparare delle squadre d’abbordaggio, in previsione dell’incontro con il convoglio di navi cisterna segnalato in partenza dai Dardanelli.
Il sole sorge intorno alle cinque e un quarto. Bande Nere e Colleoni sono dotati di idrovolanti da ricognizione IMAM Ro. 43, ma l’ammiraglio Casardi non li ha fatti catapultare, perché sarebbe difficile e pericoloso, sia per le navi che per gli aerei, a causa delle condizioni meteomarine sfavorevoli, con vento teso da maestrale e mare molto agitato (per catapultare gli aerei le navi devono invertire la rotta per mettere la prua al vento – perdendo tempo –, il che in quelle condizioni comporterebbe la riduzione della velocità, esponendoli al rischio di attacchi da parte dei sommergibili che si teme siano in quelle acque), e soprattutto perché, stando a quanto gli è stato comunicato, sarà Egeomil a provvedere alla ricognizione aerea nella zona attraversata dalla II Divisione.
A questo scopo, come indicato, Egeomil ha fatto eseguire delle ricognizioni aeree con idrovolanti IMAM Ro. 44 nel pomeriggio del 18, sul Canale di Cerigotto ed a sud di Creta, ma senza che questi avvistassero nulla; il mattino del 19 tre idrovolanti CANT Z. 501 della ricognizione marittima (84° Gruppo della Regia Aeronautica) sarebbero dovuti decollare da Lero alle 4.45, ma non hanno potuto farlo per problemi tecnici (il primo, alle 4.45, ha subito il surriscaldamento del motore durante il decollo, reso difficile dal mare mosso, ed ha così dovuto interrompere il decollo; il secondo decolla alle 4.50, ma deve rientrare dopo un’ora per lo sforzo sostenuto dal motore; il terzo, decollato alle 4.55, è costretto anch’esso al rientro per problemi al motore) ed altri due velivoli dello stesso tipo (il primo della 147a Squadriglia ed il secondo della 185a Squadriglia) possono decollare solo alle 6.20 ed alle 6.50: ormai troppo tardi per influire sul corso degli eventi, che sono già in svolgimento.
Se Casardi avesse catapultato gli idrovolanti senza fare troppo affidamento sulla tempestiva ricognizione da parte di Egeomil, ha in seguito osservato il generale Giuseppe Santoro (autore della storia ufficiale dell’Aeronautica italiana nella seconda guerra mondiale), avrebbe probabilmente evitato la sorpresa tattica che seguì. Ma d’altra parte gli era stato esplicitamente promesso: «Per garantirVi da sorprese durante le traversate e le operazioni in mare, sarà tempestivamente disposto un adeguato servizio di ricognizione aerea, il cui segnale di scoperta potrete anche direttamente intercettare».
Alle 6.17 Bande Nere e Colleoni stanno procedendo a 25 nodi a zig zag su rotta 73° (o 75°) e si trovano a circa dodici miglia dal passaggio tra Creta e Cerigotto (a nordovest di Creta: in pratica sono appena entrati in Mar Egeo; per altra versione avrebbero imboccato il canale tra Creta e Cerigotto verso le sei del mattino), quando le vedette del Bande Nere avvistano di prua, a circa 18 miglia di distanza (per altra fonte a dieci miglia, per altra 17 km), i profili di quattro navi, distese in linea di fronte a circa mille metri l’una dall’altra, come lo schermo esplorativo di una formazione di navi maggiori. Pur avendo negli occhi l’accecante riverbero del sole (che è sorto proprio dietro le unità sconosciute), gli equipaggi italiani riconoscono i nuovi arrivati per altrettanti cacciatorpediniere britannici: sono infatti HastyHeroHyperion ed Ilex della 2nd Destroyer Flotilla, che – terminato il rastrello antisom e diretti ora alla loro base – si stanno anch’essi avvicinando al passaggio tra Creta e Cerigotto (Canale di Cerigotto, dal quale distano in quel momento 6 miglia) provenendo da est-nord-est (mentre la II Divisione proviene da ovest), con rotta per sudovest.
Alle 6.22 l’Hero, secondo cacciatorpediniere da nord, avvista a sua volta le navi di Casardi e dà l’allarme: subito tutti i cacciatorpediniere accostano per 60° (cioè a dritta) ed accelerano gradualmente da 18 a 31 nodi, il massimo ottenibile, ritirandosi verso nordest (ossia verso la posizione in cui sanno trovarsi il Sydney) inseguiti dagli incrociatori italiani, ed organizzandosi in sezioni attorno all’Hyperion, come da ordini precedentemente diramati. Alle 6.33 l’Hero riferisce al Sydney – che si trova 40 miglia (per altra fonte 60) più a nord-nord-est, insieme all’Havock (non hanno trovato alcuna nave da attaccare, e si stanno dirigendo verso il Golfo di Atene) – l’avvistamento di due incrociatori nemici circa dieci miglia a sudovest della propria posizione, su rilevamento 255°, diretti verso nord con rotta stimata 160°. Un minuto dopo, l’Hyperion invia al Sydney una comunicazione più dettagliata, indicando la propria rotta come 60° e quella delle navi italiane – che intanto hanno virato a sinistra – come 360°, oltre a precisare posizione (3 miglia per 340° dal faro dell’isolotto di Agria Gramvousa) e velocità. L’incontro, in una delle poche circostanze del genere nella guerra del Mediterraneo, è stato del tutto casuale: sull’Hyperion gli uomini hanno appena lasciato i posti di guardia dell’alba, e si sta preparando la colazione, quando la vedetta dell’ala dritta di plancia annuncia “Two cruisers on the starboard bow, sir” precisando poi “and they’re Italian, too”. Suonati i campanelli d’allarme, i cacciatorpediniere compiono subito una netta virata verso nordest issando le bandiere di combattimento; Hyperion ed Ilex, i più vicini alle navi italiane, aprono anche il fuoco durante la manovra (l’Hyperion con i soli cannoni poppieri, al limite della gittata), ma con tiro troppo corto, così che lo interrompono dopo poco.
(Secondo una fonte, gli incrociatori di Casardi sarebbero stati avvistati dalla RAF il giorno precedente, ma Collins non ne era stato informato. Nella storia ufficiale dell’USMM e della Royal Australian Navy e nella maggior parte dei libri scritti a riguardo, però, non si fa menzione di questo avvistamento, tanto da far dubitare della sua veridicità).
Quando riceve la comunicazione sulla situazione della 2nd Flotilla, il comandante Collins del Sydney – che si trova in quel momento a 40 miglia per 010° da Capo Spada (cioè a nord di tale Capo) – assume subito rotta verso sud a tutta forza, insieme all’Havock (a causa del rollio, il Sydney non può superare i 32 nodi), per raggiungere i cacciatorpediniere di Nicolson il prima possibile. Dapprima le due navi assumono rotta 240°, alle 6.36, ed un minuto dopo, ricevuto il secondo segnale dell’Hyperion, 190°; successivamente modificano la rotta con varie accostate verso est/sudest in base agli aggiornamenti sulla posizione del’Hyperion. Poco dopo il comando della Mediterranean Fleet, avendo intercettato i messaggi inviati dai cacciatorpediniere, ordina che Sydney ed Havock si riuniscano agli altri quattro cacciatorpediniere, per condurre un attacco congiunto. Collins, stando agli ordini che aveva ricevuto (cercare ed attaccare traffico italiano), si dovrebbe trovare in realtà circa 200 miglia più a nord di dove effettivamente è (per altra fonte, dovrebbe trovarsi a 53 miglia per 010° da Capo Spada); si è portato lì di sua iniziativa, temendo di trovarsi altrimenti troppo lontano dai cacciatorpediniere della 2nd Flotilla in caso di attacco da parte di unità nemiche (i suoi ordini sono sia di fornire appoggio alle unità di Nicolson, sia compiere il rastrello antinave nel Golfo di Atene: il comandante australiano ha giudicato i due compiti incompatibili, ed ha deciso di regolarsi in modo da assolvere al meglio il primo), ed ha visto giusto. Grazie a questa iniziativa del comandante Collins, Sydney ed Havock saranno in grado di giungere in aiuto dei cacciatorpediniere almeno mezz’ora prima che se avessero seguito alla lettera le istruzioni ricevute.
Sul Sydney l’equipaggio, consumata rapidamente la colazione, si prepara alla battaglia; alle 7.15 verrà ordinato il posto di combattimento. La foschia ed il sole mattutino rendono difficile l’avvistamento a lunghe distanze.
Da parte italiana si è completamente all’oscuro della presenza in zona di queste altre due navi, e si continua a restarne all’oscuro, perché Collins mantiene il silenzio radio per tutto il tempo, proprio per giungere loro addosso di sorpresa (ma al contempo ascolta le comunicazioni radio dei cacciatorpediniere, che lo aggiornano sull’evolversi della situazione).
Intanto la II Divisione, portata la velocità a 30 nodi, si spiega sulla sinistra (assumendo rotta 360°) per poter puntare tutti i cannoni, ed alle 6.27 apre il fuoco, da 17.400 metri, sui due cacciatorpediniere più a sinistra (i più vicini), cioè Ilex ed Hyperion. Gli incrociatori assumono una rotta verso nord, leggermente divergente da quella dei cacciatorpediniere (che è verso nordest), il che impedisce alle distanze di diminuire; ciò viene spiegato con il sospetto, da parte di Casardi, che i cacciatorpediniere siano lo schermo avanzato di una formazione più pesante, ma di fatto impedisce alla II Divisione di sfruttare la sua superiorità in armamento e (almeno teoricamente) velocità per infliggere gravi danni alla 2nd Destroyer Flotilla. Nel loro inseguimento dei cacciatorpediniere, le navi di Casardi incontrano mare mosso e forte vento.
Alle 6.32 i cacciatorpediniere rispondono al fuoco; Casardi tiene le sue navi ad una distanza tale da restare al di fuori della portata dei cannoni da 120 mm delle unità nemiche (cioè 15.550 metri, contro i 28.350 teorici, ma 24.600 reali, dei pezzi da 152 degli incrociatori di Casardi), oltre che per evitare attacchi siluranti. Pezzi di tale calibro non dovrebbero, normalmente, impensierire un incrociatore, ma la pochezza della corazzatura delle prime due classi del tipo “Condottieri” rende invece Bande Nere e Colleoni vulnerabili anche ai tiro dei pezzi da 120, se colpiti. Il problema derivante da questa decisione, come detto, è l’impossibilità, tirando a distanze tanto elevate, di mettere un sol colpo a segno sulle navi britanniche.
Il tiro dei cacciatorpediniere del comandante Nicolson appare centrato, ma corto di 700-800 metri; quello delle navi dell’ammiraglio Casardi, molto disperso (“corto e irregolare”, secondo una fonte britannica). Un marinaio di uno dei cacciatorpediniere britannici ricorderà in seguito che durante tale fase dell’azione le navi della 2nd Flotilla non potevano far altro che cercare di distanziare alla massima velocità possibile (31 nodi raggiunti alle 6.35, secondo la maggior parte delle fonti; altra fonte parla di 35 nodi) le unità avversarie, evitando i colpi che frequentemente risultavano sparati alla giusta distanza, ma sempre disallineati dai bersagli (azimut errato), che non riuscivano così mai a colpire (ciò è dovuto anche al fatto che i “Da Barbiano” erano delle piattaforme d’artiglieria piuttosto mediocri, soggetti con mare mosso – come appunto in quello scontro – a forte rollio, che disturba seriamente il tiro). Guardare le salve da 152 che esplodono tra le navi, sollevando “spruzzi verdi, gialli e rossi”, è per quegli equipaggi uno “spiacevole passatempo”. Alle 6.40 l’Hyperion, stimando che le navi italiane abbiano accostato per 170° e distino 11 miglia, ordina a tutti i cacciatorpediniere di cessare il fuoco, essendo gli incrociatori ormai fuori tiro.
La distanza tra le opposte formazioni, a causa della maggior velocità dei cacciatorpediniere e delle rotte divergenti, va gradualmente aumentando, anziché diminuire. Alle 6.43, secondo Casardi, la 2nd Flotilla cessa il tiro e lancia i propri siluri da 18.000 metri, per poi coprirsi con cortine nebbiogene che, assieme alla foschia naturale del mattino ed alla luce del sole (che si sta alzando su rilevamento 070°, ed ha un’elevazione di 11) che acceca i puntatori italiani (che devono sparare col sole in faccia), permettono loro di allontanarsi indenni verso nordest, passando a proravia delle navi di Casardi. Queste ultime cessano il fuoco alle 6.48 (in quel momento esse si trovano a sudest di Cerigotto, mentre i cacciatorpediniere sono a nord di Capo Spada), essendo i bersagli ormai occultati dalla foschia naturale e dalla nebbia artificiale, e due minuti dopo accelerano a 32 nodi (di più non è possibile fare, anche a causa del rollio causato dal mare non calmissimo) e compiono una netta accostata ad un tempo sulla dritta (per 60°, verso sudest) nel tentativo di ridurre le distanze, che sono aumentate fino a 24.000 metri, troppi anche per i pezzi da 152 di Bande Nere e Colleoni (le rotte dei due gruppi risultano infatti leggermente divergenti, mentre dopo questa manovra divengono leggermente convergenti).
Il lancio dei siluri da parte delle navi di Nicolson, ed il successivo avvistamento di due dei siluri, passati molto lontani sulla dritta degli incrociatori, è però solo il frutto di un’illusione ottica da parte italiana: la 2nd Flotilla non esegue in realtà alcun lancio di siluri in questa fase, non potendo fare altro che manovrare per evitare le salve tirate dalle navi italiane. L’emissione di fumo, invece, c’è stata davvero. Nella loro fuga, intorno alle sette i cacciatorpediniere passano a otto miglia da un vecchio mercantile greco: il suo equipaggio, temendo di essere coinvolto nella battaglia e forse attaccato per errore, ferma la nave e l’abbandona su una lancia.
Frattanto, alle 6.47 le navi di Nicolson hanno virato per 360° per tentare di riconoscere la classe degli incrociatori italiani (che in quel momento si trovano a 14 miglia di distanza su rilevamento 270°, diretti verso nord), ma alle 6.53, vedendo le navi di Casardi manovrare per ridurre le distanze, tornano su rotta 60°. Alle 6.57 Casardi ordina di virare ancora, stavolta verso est, mentre Nicolson ha virato verso nordest quattro minuti prima, nel tentativo di avvicinarsi al sopraggiungente Sydney che ancora non si vede, e di attirare verso di esso le navi italiane. Questa manovra, mantenendo ancora una rotta divergente, continua ad impedire agli incrociatori italiani di ridurre le distanze, il che consentirebbe invece loro una maggior precisione del tiro. Ormai i cacciatorpediniere britannici sono praticamente spariti nelle cortine fumogene, e gli incrociatori italiani, pur continuando ad inseguirli a 32 nodi, non riescono a ristabilire il contatto balistico.
Il fuoco viene aperto solo saltuariamente, ogniqualvolta qualche cacciatorpediniere appare fugacemente tra nebbia artificiale e foschia naturale, prima di sparire nuovamente; alle 6.58 i cacciatorpediniere ridiventano visibili, a 23.000 metri, e viene nuovamente aperto il fuoco contro di loro, ma ormai la distanza – in aggiunta alla sfavorevole posizione rispetto al sole – è tale da rendere vano il tiro (che da parte avversaria viene valutato sia corto che irregolare), ed alle 7.05, dopo poche salve, viene cessato il fuoco. Alle 7.03 Casardi ordina di virare a sinistra (verso est), con rotta pressoché analoga a quella di Nicolson: ora la rotta non è più divergente, e le distanze iniziano a calare; ma intanto i cacciatorpediniere sono passati di prora agli incrociatori, e si trovano ormai fuori tiro. Alle 7.21 la velocità della II Divisione viene nuovamente ridotta a 30 nodi, ed un minuto dopo l’ammiraglio Casardi chiede via radio ad Egeomil di inviare dei bombardieri, indicando la propria posizione e comunicando di essere «in contatto balistico con quattro cacciatorpediniere che fuggono verso est»: ma l’Aeronautica – le basi aeree di Rodi distano circa un’ora di volo dal luogo della battaglia – non si farà vedere fino a dopo la fine della battaglia (quando anzi i suoi attacchi, che danneggeranno con una bomba il cacciatorpediniere Havock intento nelle operazioni di soccorso, provocheranno l’abbandono in mare di parecchi naufraghi italiani). Alle 7.25 viene nuovamente aperto il fuoco, giudicato dai britannici come “molto corto ed irregolare”.
Intanto la 2nd Flotilla ha più volte cambiato rotta: 030° alle 7.04 (quattro minuti dopo che aver ricevuto dal comandante in capo l’ordine di riunirsi al Sydney), 060° alle 7.06 (un minuto dopo aver comunicato al Sydney che la II Divisione è in quel momento a 17 miglia per 265° dai cacciatorpediniere, con rotta 090°), 040° alle 7.14 e 030° alle 7.21.
Nel mentre, il Sydney ha assunto rotta 150° alle 7, 160° alle 7.15 e 120° alle 7.20. Secondo una fonte, in questa fase l’ammiraglio Casardi, ritenendo pericoloso il progressivo spostamento verso nord delle sue navi, ordina di accostare per 60°, obbligando le navi nemiche a tornare sulla rotta precedente.
Alle 7.30, mentre la II Divisione sta navigando a 30 nodi verso nordest con rotta leggermente convergente a quella dei cacciatorpediniere, che si sono intanto distanziati verso nord (per una versione, sono scomparsi nella foschia), il Bande Nere vede diverse salve di medio calibro, provenienti da nord/nordest (cioè da sinistra, sul lato opposto rispetto ai cacciatorpediniere), cadere sulla sua sinistra, a poca distanza. La II Divisione è stata colta completamente di sorpresa: le cannonate provengono da una zona coperta da bassa e densa foschia, l’arrivo del nemico è annunciato dalle sue cannonate che già cadono nelle immediate vicinanze degli incrociatori di Casardi. Dalle navi italiane si vedono le vampe dei cannoni, ma non si riesce a vedere quali siano le navi da cui proviene quel tiro, essendo nascoste da un banco di densa foschia («Si scorgevano soltanto le vampe degli spari, ma non si distinguevano le sagome delle navi né il numero di queste», scriverà Casardi): si tratta del Sydney, che alle 7.20 ha avvistato del fumo all’orizzonte ed alle 7.26 ha avvistato gli incrociatori italiani alle 7.26 verso sud (a 21.000 metri per 188°, cioè a 20° al traverso a dritta), con rotta stimata 090° (est-nord-est), ed ha aperto il fuoco tre minuti più tardi, da 18.000 metri di distanza (12.000 per altra fonte). Al contempo, Collins ha rotto il silenzio radio per inviare un segnale di scoperta a Nicolson ed al suo superiore, ammiraglio Cunningham. La nave australiana ha rotta sudest, rapidamente convergente con quella di Bande Nere e Colleoni, rispetto ai quali si trova al traverso a sinistra.
Il tiro del Sydney, diretto dapprima contro il Bande Nere (nave di testa della formazione italiana), è rapido e da subito ben centrato sulle due unità di Casardi; da parte loro, queste rispondono al fuoco immediatamente (alle 7.31) con tutti i cannoni, ma senza poter telemetrare, regolando il tiro sulle vampe che avvistano sulla foschia: non riescono ad osservare la caduta delle salve. Un minuto più tardi, alle 7.32, Bande Nere e Colleoni accostano a un tempo di 90° a dritta (ripiegando verso sudest, su rotta parallela al Sydney; altra fonte parla di un’accostata per 150°, mentre da parte britannica si apprezzò che le navi italiane avessero accostato di circa 40°, assumendo rotta 115°) per evitare di ridurre velocemente le distanze, trovandosi però così a poter impiegare solo le torri poppiere, sparando verso dritta.
Mentre da parte italiana non si riesce ancora a vedere le unità avversarie, il Sydney vede bene gli incrociatori di Casardi, contro i quali spara continuamente salve di sei-otto colpi da 152 mm. Il primo ad essere colpito, alle 7.30 (relazione del servizio Genio Navale; le 7.35 per altra fonte), è il Bande Nere, raggiunto sul lato sinistro da un proiettile da 152 che lo colpisce all’altezza della prima sovrastruttura circostante la cassa a fumo caldaie prodiere. Il proiettile perfora il montante (gamba) di sinistra dell’albero quadripode, aprendo uno squarcio di cinque metri per quattro, e poi prosegue nella sua corsa passando da parte a parte, in successione, la cassa nafta di servizio delle cucine sottufficiali ed equipaggio e la cassa a fumo della caldaia numero 1; infine perfora il fumaiolo prodiero, aprendo uno squarcio di sei metri per cinque e contorcendo e schiodando le lamiere. Impattando contro le lamiere del fumaiolo, il proiettile esplode, sfogando la gran parte degli effetti dirompenti all’esterno del fumaiolo, schiodando e contorcendo l’osteriggio della lavanderia e schiodando le lamiere delle mastre, che però non vengono danneggiate. L’esplosione del colpo produce danni e squarci nella zona antistante. (Per altra versione, il colpo del Sydney passa da parte a parte il fumaiolo prodiero ed esplode presso la porta poppiera dell’aviorimessa, o nell’aviorimessa, o contro gli apparati della catapulta poppiera). Nel complesso, i danni cauati da questo colpo non sono gravi; si devono però lamentare, tra l’equipaggio, quattro morti ed altrettanti feriti. Il colpo a segno viene notato dal Sydney, che concentra il suo fuoco sul Bande Nere, ma senza ottenere altri centri. (Secondo una fonte britannica, in questa fase la foschia sarebbe andata dissolvendosi; la medesima fonte parla però ancora di foschia in seguito, nella fase conclusiva della battaglia, durante l’inseguimento del Bande Nere da parte del Sydney).
Nel frattempo le salve italiane dirette sul Sydney, dapprima corte, divengono lunghe, e di tanto in tanto qualche salva “occasionale” inquadra anche l’incrociatore australiano (per una fonte, diverse salve italiane inquadrano il Sydney, ma senza colpirlo). Casardi scriverà nel rapporto che il rollio causato dal forte vento di nordovest rende molto difficile il puntamento (da parte britannica si parla invece di tempo calmo ed ideale per l’azione), ma per contro è proprio Collins a ritenere invece che il tiro italiano sia piuttosto accurato, sebbene ad un ritmo di tiro troppo lento. Il Sydney spara invece con cadenza di tiro molto superiore: l’incrociatore australiano sparerà da solo 956 colpi da 152 mm, ed in tutto più di 1300 proiettili di tutti i calibri, in due ore di azione, mentre Bande Nere e Colleoni spareranno tra tutt’e due soltanto 500 colpi in tre ore, includendo anche la fase precedente all’arrivo del Sydney. Il ritmo di fuoco della nave australiana è tanto intenso che i suoi cannoni si scaldano fino a far staccare la vernice, ed i bossoli dei proiettili espulsi dai cannoni sono anch’essi surriscaldati al punto da essere troppo caldi per essere toccati; dato che da essi cola tritolo in stato semiliquido, si decide di gettarli fuori bordo. Dato che il Sydney usa quasi esclusivamente le torri prodiere, quando le riserve di queste ultime iniziano a diminuire considerevolmente, dai depositi munizioni poppieri vengono prelevati degli altri proiettili che vengono poi portati a mano a prua.
Alle 7.36 (o 7.38) la flottiglia cacciatorpediniere di Nicolson – dopo essere precedentemente passata da rotta 020° a 240° e poi 260° – inverte la rotta di 180°, portandosi su rotta sudovest (cioè 170°), e manovra per portarsi in posizione favorevole a tentare un attacco silurante, aprendo al contempo il fuoco coi cannoni alla massima distanza contro l’incrociatore più a sinistra (ma cessando il tiro dopo cinque minuti, essendo questo troppo corto). In quel momento, gli incrociatori di Casardi distano 15.900 metri dalle unità della 2nd Destroyer Flotilla, e stanno dirigendo verso sudest ad alta velocità emettendo denso fumo nero. Solo a questo punto i cacciatorpediniere vengono avvistati dal Sydney (verso sudest, a circa sei miglia di distanza), che distacca poi l’Havock per unirsi a loro, ed alle 7.41 ordina a Nicolson di avvicinarsi ed attaccare con i siluri.
Per cercare di migliorare la propria situazione (dato che le salve nemiche continuano a cadere vicine, mentre da parte italiana non si riesce ancora a vedere l’avversario), o piuttosto peggiorare quella del nemico e così “pareggiare”, l’ammiraglio Casardi ordina di emettere per quattro minuti una cortina nebbiogena: il provvedimento si rivela efficace, e la precisione del tiro del Sydney va rapidamente calando (quando il fumo si è diradato, la distanza è salita a 19.200 metri). Smesso di far nebbia (per altra fonte, Casardi ordina di cessare l’emissione di fumo alle 7.46, quando la distanza è salita a tal punto da rendere molto impreciso il tiro britannico), il Bande Nere compie una decisa accostata di 90° a dritta (verso sudovest) ed alle 7.40 il Colleoni gli si accoda. Questa virata vanifica l’intento di Nicolson di compiere un attacco silurante, almeno per il momento; il comandante britannico porta allora le sue navi su rotta 215° e le dispone in linea di rilevamento su 350°, e si sviluppa un inseguimento alla massima velocità, 32 nodi. La manovra del Sydney (alle 7.45 accosta anch’esso per 215°), per continuare a seguire le navi italiane, lo porta a trovarsi in una sorta di “linea di fronte” con i suoi cacciatorpediniere (per altra versione, questi ultimi si accodano al Sydney).
Alle 7.46 la formazione italiana accosta di nuovo, per 215° (cioè verso sudovest), e le navi nemiche – distanti 19.000 metri – risultano infine visibili tra la foschia: viene però commesso un notevole errore di riconoscimento, dato che l’una viene correttamente riconosciuta quale incrociatore “classe Sydney”, ma l’altra – l’Havock, un cacciatorpediniere – viene scambiata per un ben più grande incrociatore leggero “classe Gloucester”, dalla sagoma molto differente. Non risulta ancora possibile telemetrare le unità avversarie. Alle 7.48, dato che il Bande Nere risulta troppo nascosto dal fumo (l’ammiraglia di Casardi, dopo il colpo che ne ha danneggiato il fumaiolo prodiero, emette fumo irregolarmente, e questo la rende meno visibile), il Sydney – che al contempo ha correttamente identificato gli incrociatori come “classe Colleoni” – sposta il tiro sul Colleoni, che impegna con le torri prodiere da 17.000 metri; anche i cacciatorpediniere si aggiungono con il loro tiro, ma soltanto per un paio di minuti (almeno fino alle 8, la distanza rimarrà troppo elevata per la gittata dei loro cannoni da 120 mm).
L’ammiraglio Casardi sa che il principale vantaggio delle sue navi è rappresentato dalla loro velocità, e, non ritenendo di poter manovrare liberamente nel tratto di mare in cui si trova (e temendo che le unità avversarie possano sfruttare la loro superiorità numerica, e le caratteristiche del bacino in cui si sta svolgendo lo scontro – così intrappolando le sue navi tra sé stesse e la costa cretese –, per impedirgli la ritirata qualora le cose si dovessero mettere al peggio), manovra per attirare la formazione britannica in acque libere. A questo scopo alle 7.46, invece che dirigere su Lero per ritirarsi a tutta forza in quella direzione, Casardi ordina un’altra netta accostata di 50° a dritta (dirigendo verso sud), con schieramento approssimativamente parallelo a quello britannico, in modo da rilevarlo nei settori di massima offesa e da combattere in posizione avanzata, idonea anche all’eventuale impiego dei siluri. (Per una fonte, le navi di Casardi non riescono a “seminare” il Sydney, a dispetto della loro maggiore velocità, perché la via di fuga più diretta sarebbe verso sud, mentre Casardi, per non restare intrappolato tra le navi nemiche e la costa di Creta, ha scelto una rotta verso sud/sudovest, il che permette al Sydney di ridurre le distanze. Altra fonte afferma che, dato che Creta preclude alla II Divisione la ritirata verso sud, Casardi deve scegliere se dirigere verso est, raggiungendo Lero con un ampio giro, oppure verso sudovest, verso il mare aperto, così da poter sfruttare la velocità per seminare gli inseguitori. Nel primo caso, le navi di Casardi dovrebbero effettuare una stretta virata, che permetterebbe alle unità nemiche di avvicinarsi di molto, aumentando l’accuratezza del proprio tiro; nel secondo caso, invece, si riuscirebbe a mantenere le distanze, dunque vi sarebbe minor probabilità di essere colpiti. Inoltre Casardi sa che verso ovest, da dove proviene, non ci sono altre navi nemiche, mentre non ha idea di cosa ci possa essere più ad est; tutto ciò lo porta, alle otto, ad ordinare di virare a sudovest).
Alle 7.50 Casardi ordina di accostare a sinistra per ridurre l’efficacia del tiro avversario (il Sydney fa subito lo stesso, così portando in punteria tutti i pezzi da 152), e per lo stesso motivo ordina invece un’accostata a dritta, di sedici gradi, alle 7.53. Secondo il rapporto britannico, la distanza tra inseguiti e inseguitori va lentamente aumentando, grazie alla maggiore velocità degli incrociatori italiani (circa 30 nodi; una fonte afferma che il Sydney avrebbe raggiunto la velocità massima di 32,5 nodi durante l’inseguimento, ma la maggior parte indica invece una velocità di circa 30 nodi da parte della nave australiana). I cacciatorpediniere di Nicolson accelerano fino ad una velocità di 32 nodi nel tentativo di serrare le distanze, ma queste rimangono costanti fino alle 8.18, quando quella del Colleoni inizierà a calare.
Alle 7.53 la II Divisione accosta a dritta per dirigere su Capo Spada (Creta), e poi accosta ancora per doppiare tale Capo, assumendo rotta 230° (verso sudovest). Queste manovre sono coperte con cortine fumogene. Il Sydney, però, vira a sua volta, dapprima verso sudest e poi verso sud-sudovest, assumendo rotta parallela alla loro.
Solo alle 8.01 risulta possibile telemetrare adeguatamente le unità avversarie, così che Bande Nere e Colleoni possono nuovamente aprire il fuoco con tutte le torri. (Fino ad allora, mentre ambedue le formazioni effettuavano ripetute accostate per variare le distanze o portare almeno momentaneamente in campo tutte le artiglierie, le navi di Casardi hanno sparato solo ad intermittenza, mentre il Sydney ha eseguito un tiro continuo, prendendo di mira ora il Bande Nere, ora il Colleoni). Alle 8.02 il Sydney, che insegue la II Divisione da circa dieci miglia di distanza (“scartando” di tanto in tanto per tirare qualche bordata con tutte le torri), torna a sparare contro il Bande Nere, da 19.200 metri di distanza; poi, dalle 8.08 (dato che il Bande Nere è nuovamente occultato dal fumo), dirige il tiro – delle sole torri prodiere – nuovamente contro il Colleoni, distante ora non più di 17.000 metri su rilevamento 210°.
Nel frattempo, però, i quattro cacciatorpediniere della 2nd Flotilla (disposti in linea di rilevamento) hanno accostato verso ovest per riunirsi al Sydney, rispetto al quale sono più arretrati, ed alle 8.10 (7.49 per altra fonte) aprono il fuoco a loro volta, sparando in tre riprese, ogni volta della durata di alcuni minuti; poco dopo si unisce a loro anche l’Havock, che ha lasciato il Sydney. La II Divisione, che dispone di 16 pezzi da 152 mm, si viene così a trovare sotto il tiro di un totale di 8 pezzi da 152 e 20 pezzi da 120 (anche se il tiro dei cacciatorpediniere risulta, per il momento, ancora corto): come accennato sopra, anche questi ultimi, se portati entro sufficiente distanza di tiro, sono in grado di danneggiare navi così poco corazzate come i “Da Barbiano”. Dato anche che il Bande Nere è spesso oscurato da cortine fumogene, il principale bersaglio del tiro britannico è il Colleoni, anche perché quest’ultimo è più vicino, essendo la nave di coda.
Alle 8.15 il Sydney accosta di 35° a dritta, in modo da mettere in punteria tutte e quattro le torri; cinque minuti dopo le vedette italiane avvistano l’isoletta di Agria Gramvousa davanti a loro: ciò significa che hanno superato Capo Spada, ma sono troppo a sud per poter doppiare Capo Busa (estremità nordoccidentale di Creta) e devono quindi virare un altro po’ più verso dritta per portarsi in acque aperte. La manovra, intanto, ha fatto scendere le distanze tra gli incrociatori italiani e quello australiano a 16.000 metri.
Il mare vivo da maestrale fa rollare tutte le navi, ostacolando la punteria da ambo le parti, ma il tiro sia italiano che britannico rimane intenso e serrato. Le unità della II Divisione, sparando con tutte le torri ed eseguendo ripetute accostate per disturbare il tiro avversario, giungono quasi al traverso di Capo Kimaros, cinque miglia oltre Capo Spada. Essendo le distanze in calo, il tiro italiano diviene via via più preciso (“piuttosto accurato” secondo il rapporto britannico), ed alle 8.21 il tiro delle navi della II Divisione ottiene l’unico centro italiano (contro cinque da parte del Sydney, due sul Bande Nere e tre sul Colleoni) di tutto lo scontro: un proiettile da 152 mm passa da parte a parte il fumaiolo prodiero del Sydney, aprendo uno squarcio quadrangolare di circa 90 cm di lato, danneggiando lievemente tre imbarcazioni ed alcune attrezzature e ferendo leggermente il marinaio D. Thompson, ma senza comunque causare danni seri. Questo colpo a segno è usualmente attribuito al tiro del Bande Nere (si è così avuto un curioso ‘scambio di colpi’ sui rispettivi fumaioli).
Alle 8.23 il Colleoni viene colpito da un proiettile che mette fuori uso il timone, rendendo la nave ingovernabile, e subito dopo da altri due, che danneggiano il torrione e l’apparato motore. Nel giro di un minuto, il Colleoni si ritrova così immobilizzato e gravemente danneggiato, con numerosi morti e feriti tra i quali, in modo grave, anche il suo comandante. Alle 8.24 la nave danneggiata segnala avaria di macchine al Bande Nere; quest’ultimo, rimasto solo contro sei navi nemiche, accosta subito verso sud (dopo aver compiuto in giro intorno all’immobilizzato Colleoni, secondo le fonti britanniche, ma ciò non risulta da quelle italiane, e fu probabilmente frutto di un’impressione errata; una fonte afferma che il Bande Nere avrebbe accostato verso sud alle 8.50) per cercare di disimpegnarsi alla massima velocità possibile, passando tra Pondiconisi e Creta. Frattanto, alle 8.40, appare sulla scena della battaglia un idrovolante italiano IMAM Ro. 44 (uno dei due decollati da Lero alle 6.20 ed alle 6.50), che potrà soltanto constatare la situazione (le unità britanniche stanno recuperando i naufraghi del Colleoni, mentre il Bande Nere si ritira verso sudest inseguito dal Sydney e da due cacciatorpediniere) e riferire alla base di Lero.


Una foto scattata dal Bande Nere durante la battaglia di Capo Spada, in secondo piano il Colleoni (g.c. Carlo Di Nitto)

Alle 8.38 il Sydney, insieme ad Hasty ed Hero, cessa il tiro contro il Colleoni e si pone all’inseguimento del Bande Nere, mentre gli altri cacciatorpediniere britannici si concentrano sull’incrociatore immobilizzato per finirlo. Colpito dai loro siluri, il Colleoni affonderà alle 8.59 a 6,4 miglia da Capo Spada, portando con sé 121 dei 646 uomini del suo equipaggio. Casardi, che assiste alla tragica scena dalla plancia del Bande Nere, così la descriverà nel suo rapporto, in toni forse un po’ retorici: «Per alcuni minuti (…) le unità nemiche concentrano il tiro su di esso [il Colleoni], ad eccezione di un incrociatore [sic] che ha continuato a sparare sul BANDE NERE. Dalla plancia ammiraglio osservo gli ultimi gloriosi istanti dell’incrociatore. In brevi momenti lo si vede circondato dalle colonne d’acqua delle salve. Non si scorge nessuno in coperta; la sua estrema eroica volontà di combattere si manifesta nel ritmico implacabile succedersi delle sue bordate. Ma l’imparità della lotta è in breve dolorosamente evidente: un’esplosione ha luogo nella parte prodiera della nave per probabile scoppio delle munizioni dei depositi prodieri. Immediatamente dopo, due altissime colonne d’acqua sul fianco della nave morente indicano che i siluri dei Ct nemici, ormai vicini alla preda, hanno colpito. Una grande nuvola di fumo nero-biancastro, e la gloriosa unità immersa sin quasi all’altezza della coperta, sbandandosi sul lato sinistro, scompare…».
Il Bande Nere, intanto, continua la sua ritirata, inseguito e cannoneggiato, da Sydney, Hasty ed Hero; doppiato Capo Spada ed aggirata la costa settentrionale di Agria Gramvousa, l’incrociatore dirige a tutta forza verso sudovest, passa al traverso di Capo Kimaros, poi accosta verso sud, dirigendo verso l’isolotto di Pondiconisi, rispondendo al fuoco con le torri poppiere, in tiro autonomo. Il Sydney spara con le torri prodiere, non riuscendo a portare in punteria anche quelle poppiere, che sono state ruotate al massimo. Alle 8.45 il Bande Nere, passato tra Pondiconisi e la costa cretese, assume rotta 192°; la distanza dal Sydney è di 18.300 metri. Circa cinque minuti dopo, diverse salve da 120 e 152 mm cadono nelle immediate vicinanze dell’incrociatore italiano.
Alle 8.50 il Bande Nere viene colpito di nuovo, da un proiettile da 152 (secondo la maggior parte delle fonti ed anche la relazione del servizio Genio Navale) o da 120 mm (secondo una fonte, sparato dall’Hyperion; ma a quanto risulta questa unità stava in quel momento recuperando i naufraghi del Colleoni), che perfora il ponte di poppa (la coperta del castello). Il colpo raggiunge il Bande Nere tra le ordinate 177 e 178, producendo un foro ovale di 30 cm per 22 e rompendo il baglio del castello, dopo di che fora il termotank (apparecchio per la fornitura di acqua fresca potabile), spezza il baglio di coperta sull’ordinata 181, lacerando le lamiere del ponte e producendo un foro di 80 cm per 25, perfora una condotta d’aria, asporta un rinforzo longitudinale intercostale fra le ordinate 180 e 182 ed infine esplode contro la paratia divisoria fra la zona 1 e la zona 2, rompendo tre montanti della paratia ed asportando una porta. Lo scoppio del proiettile apre nella paratia una “lacerazione” di 110 cm per 80, provocando tutt’intorno danni da schegge (una delle quali esce dal bagnasciuga tra le ordinate 184 e 185). Anche in questo caso, il danno non è grave, ma quattro uomini perdono la vita, e dodici sono feriti.
Più o meno contemporaneamente, il malfunzionamento di una valvola di sicurezza costringe a spegnere una caldaia, che si è surriscaldata (alcune fonti attribuiscono lo spegnimento della caldaia al colpo a segno, ma questo non è quello che risulta dalla relazione del Genio Navale né da quella dell’ammiraglio Casardi), riducendo la potenza a circa 80.000 HP; la velocità cala ben presto a 29 nodi (e ben presto «si nota una sensibile diminuzione della distanza»), ma dopo circa dieci minuti, sebbene propulso da solo cinque caldaie in luogo di sei (altra fonte dice invece che la velocità aumentò di nuovo “dopo opportune riparazioni”), il Bande Nere riesce nuovamente a raggiungere i 30 nodi di velocità, ed alle 9.16 – sempre con sole cinque caldaie in funzione – vengono toccati i 32 nodi. Questa velocità, che conferma le notevoli prestazioni che le macchine del Bande Nere riescono ancora raggiungere dopo nove anni di servizio, è superiore di un paio di nodi a quella massima raggiunta dal Sydney, ed è probabilmente proprio questo a salvare il Bande Nere dalla sorte toccata al Colleoni. Al contempo, anche le salve sparate dalle torri poppiere dell’incrociatore appaiono ben centrate, grazie alla migliorata visibilità che permette di telemetrare a dovere (questo secondo fonti italiane, mentre una fonte britannica parla invece di tiro “sporadico ed inaccurato” in questa fase, mentre un’altra dice che “il Bande Nere continuava a sparare con i suoi cannoni poppieri, i cui colpi cadevano continuamente a 300 iarde dalla poppa del Sydney”). Alle 8.52 l’ammiraglio Casardi invia a Supermarina una richiesta di aiuto via radio, chiedendo l’intervento dei bombardieri.
Il Sydney, per parte sua, ha cessato il fuoco alle 8.50, dato che ormai le munizioni scarseggiano, e ricomincia a sparare contro il Bande Nere alle 8.58, quando la distanza è calata a 18.300 metri. Già alle 9.11 la nave australiana cessa nuovamente il fuoco; intanto, alle 8.55, Collins ha ribadito a Nicolson di sbrigarsi a finire il Colleoni, e di unirsi poi a lui con i rimanenti cacciatorpediniere per proseguire l’inseguimento. Le distanze non accennano a diminuire, ed anzi cominciano a crescere rapidamente (calate ad un certo punto fino a meno di 16.000 metri, sono risalite a 19.000), rendendo un “sorpasso” sempre più improbabile; con l’aumento della distanza, la visibilità del bersaglio e l’osservazione della caduta delle salve risultano sempre più vaghe. Alle 9.22 il Sydney spara le ultime due salve da 19.200 metri, ma non ha modo di osservarne la caduta; l’atmosfera densa di foschia ed il fumo emesso dal Bande Nere rendono ormai la visuale sempre più precaria. Poco dopo la nave italiana (la cui rotta e velocità sono apprezzate dai britannici in 200° e 32 nodi), distante ormai undici miglia, scompare nella foschia. Hasty ed Hero sorpassano il Sydney e cercano di proseguire l’inseguimento, avanzando a 31 nodi e sparando ad intervalli delle salve con i cannoni nella speranza che le frequenti accostate del Bande Nere riducano le distanze a sufficienza da portarlo a tiro; ma tutti i colpi sparati cadono corti. Alle 9.20 l’Hero comunica al Sydney “Mi dispiace, ma non lo sto raggiungendo”, ed alle 9.28 il Sydney ordina ad Hero ed Hasty di tornare indietro per formare uno schermo ravvicinato attorno all’incrociatore australiano. Poco prima Collins ha comunicato ai suoi superiori “One cruiser sunk. Ammunition practically gone”.
Alle 9.26 (orario italiano), subito dopo l’arrivo di una salva ben centrata del Bande Nere, il Sydney (che si trova all’estremità destra dello schieramento britannico) viene visto accostare bruscamente a destra, cessando di fare fuoco. In poco tempo la distanza sale a 19.000 metri, e tutte le navi nemiche cessano il fuoco e rompono il contatto; ciò induce l’ammiraglio Casardi a ritenere erroneamente di aver messo a segno sul Sydney, che ha correttamente identificato come “nave ammiraglia” nemica (anche se in realtà non ha a bordo un ammiraglio), un colpo che ne abbia fermato le macchine, costringendola a desistere (Casardi aggiunge anche: «certo è che il Bande Nere ha continuato a sparare quando ormai l’avversario taceva»).
In realtà, la rottura del contatto da parte del Sydney è avvenuta perché le distanze vanno aumentando, e le munizioni sono quasi finite: nelle torri prodiere gli restano soltanto dieci colpi da 152 di tipo semi-perforante (un po’ di più del tipo ad alto esplosivo, che però viene usato poco nelle azioni antinave), cioè quattro colpi per cannone nella torre A, ed un solo colpo per cannone nella torre B. Alle 9.37 (orario britannico), pertanto, il Sydney accosta sulla dritta ed abbandona l’inseguimento, allontanandosi seguito da Hasty ed Hero. Le tre navi assumono rotta 150°, per Alessandria, e riducono la velocità a 25 nodi, per permettere ad Ilex ed Hyperion di raggiungerli; l’ultima nave a perdere di vista il Bande Nere è l’Hero, che alle 9.44 vede sparire lentamente una macchia all’orizzonte, su rilevamento 177°, a 15 miglia di distanza. Da parte italiana, si vede il Sydney iniziare a scadere alle 9.30, per poi allontanarsi.
Il Bande Nere, arrivato quasi al traverso di Gaudo (che dista una quarantina di miglia), fa rotta per Tobruk a 32 nodi per circa un’ora, finché alle 10.15, quando le navi nemiche sono scomparse all’orizzonte e Casardi è certo di essere fuori vista (accorgimento che si rivelerà provvidenziale), accosta per Bengasi. Poco dopo le 13 il Bande Nere riceve un messaggio radio inviato da Supermarina alle 12.25, nel quale si avverte che due ricognitori della Cirenaica hanno avvistato incrociatori e cacciatorpediniere britannici usciti da Alessandria e diretti verso ovest. Anche per questo Casardi decide di dirigere su Bengasi, in modo da scongiurare la possibilità di incontrare tali forze navali.
Giunto a Bengasi alle otto di sera, il Bande Nere si ormeggia all’estremità del molo interno, e sbarca immediatamente i feriti, che vengono ricoverati a bordo della nave ospedale California, ormeggiata anch’essa a Bengasi.
Il comandante in capo della Mediterranean Fleet, ammiraglio Cunningham, prende intanto il mare da Alessandria con un’aliquota della sua flotta, nella speranza di riuscire ad intercettare il Bande Nere, che si presume essere diretto a Tobruk: l’ultima volta che è stato visto dai britannici, infatti –  alle 10 del mattino, prima di sparire definitivamente all’orizzonte –, il Bande Nere si trovava 40 miglia ad ovest di Gaudo ed aveva rotta 170°, cioè verso Tobruk. Da parte britannica non si sa che la nave ha poi accostato per Bengasi; l’uscita in mare del grosso della Mediterranean Fleet viene inoltre decisa nell’ipotesi che la presenza della II Divisione nelle acque dell’Egeo possa essere un preludio di movimenti di altre e più consistenti forze navali italiane (come è stato riferito da alcuni naufraghi del Colleoni, che hanno detto che la loro nave ed il Bande Nere dovevano incontrarsi con altre navi maggiori).
Alle 9.15 salpano dunque da Alessandria gli incrociatori leggeri Orion e Neptune, che fanno rotta verso Tobruk a 30 nodi nella speranza che i danni inflitti dal Sydney abbiano rallentato il Bande Nere abbastanza da permetter loro di raggiungerlo (in base alle ultime informazioni disponibili, Orion e Neptune devono percorrere 260 miglia per raggiungere Tobruk, contro le 200 del Bande Nere); alle 11 prende il mare la corazzata Warspite (nave ammiraglia di Cunningham) con relativa scorta di cacciatorpediniere, ed alle 12.30 salpano le corazzate Malaya e Ramillies e la portaerei Eagle, nonché altri cacciatorpediniere: praticamente tutta la Mediterranean Fleet tranne la vecchia e lenta corazzata Royal Sovereign. Tutte queste unità compiono un rastrello verso ovest, in cerca del Bande Nere; ma in realtà, l’incrociatore ha fatto rotta per Bengasi, troppo ad ovest per poter essere intercettato dalle navi britanniche, che infatti non lo trovano. Le navi britanniche vengono avvistate da due ricognitori italiani decollati dalle basi della Cirenaica, i quali, come detto più sopra, lo comunicano a Marina Tobruk, che lo riferisce a Supermarina, che a sua volta informa il Bande Nere alle 12.25. Dato che gli aerei non parlano dell’avvistamento di corazzate, ma soltanto di incrociatori e cacciatorpediniere, sembra probabile che avessero incontrato il primo gruppo uscito da Alessandria, con Orion e Neptune.
Alle 21, dato che per tutto il pomeriggio non sono giunte altre notizie sul Bande Nere, Cunningham dà l’ordine a tutte le sue unità di rientrare ad Alessandria, dove giungeranno il giorno seguente.
Sempre nella presunzione che l’incrociatore italiano si sia rifugiato a Tobruk, rinforzata anche dal mancato ritorno di un idroricognitore della Warspite inviato a controllare quel porto (catapultato dalla Warspite alle 17, l’aereo è stato abbattuto dalle batterie contraeree di Tobruk, ed il suo equipaggio fatto prigioniero), Cunningham chiede alla RAF di lanciare contro quel porto un attacco di bombardieri Bristol Blenheim (dodici, del 55th e 201st Squadron della Royal Air Force) e qualche ora dopo ordina un attacco di aerosiluranti Fairey Swordfish (otto, del 824th Squadron della Fleet Air Arm), appartenenti al gruppo di volo dell’Eagle ma decollati dalle basi egiziane. L’attacco dei Blenheim è infruttuoso; non trovandovi il Bande Nere, gli Swordfish attaccheranno le altre navi presenti in porto, affondandovi i cacciatorpediniere Nembo e Ostro ed il piroscafo Sereno.
Durante la battaglia di Capo Spada il Bande Nere ha anche perso il suo idrovolante da ricognizione, un IMAM Ro. 43 contrassegnato 212 MM. 27121, sfasciatosi a causa dal tiro della nave.
Vi è stato chi ha sostenuto che l’incontro tra la II Divisione e le navi britanniche non sarebbe avvenuto per caso, ed a supporto di tale supposizione è stato portato il che a comandare il Bande Nere, nello scontro di Capo Spada, fosse il capitano di vascello Francesco Maugeri, additato nel dopoguerra, da elementi perlopiù postfascisti come Antonio Trizzino (che cercavano nel "tradimento" dei capi militari, in special modo della Marina, una scusa per la sconfitta dell’Italia nella guerra) come un probabile "traditore" per via di quanto scritto nel suo libro di memorie "From the ashes of disgrace" (nel quale sosteneva, forse più che altro per opportunismo politico nel nuovo clima postbellico – il libro, peraltro, era destinato al pubblico anglosassone –, di essere giunto nel 1942-1943 a ritenere che la sconfitta militare sarebbe stata necessaria, ed anche auspicabile, per la liberazione dell’Italia) e per una decorazione conferitagli nel 1948 dagli Stati Uniti (la Legione al Merito) "Per la condotta eccezionalmente meritoria nell'esecuzione di altissimi servizi resi al governo degli Stati Uniti come capo dello spionaggio navale italiano" (tale motivazione si riferiva, con ogni probabilità, all’attività svolta da Maugeri dopo l’armistizio, quando aveva costituito nella Roma occupata dai tedeschi un "Servizio Informazioni Clandestino" che, operando con grande rischio, raccoglieva informazioni poi trasmesse agli Alleati con radio clandestine: ma naturalmente i sostenitori della tesi del "tradimento" colsero l’occasione per sostenere che invece i "servizi" in questione si riferissero ad una intelligenza pre-armistiziale con gli Alleati, mai dimostrata). In realtà, la presenza di Maugeri sul Bande Nere sembra piuttosto una conferma che tradimento non ci fu, per lo meno non da parte sua: difficile credere che sarebbe stato così stupido da agevolare l'intercettazione, da parte nemica, della propria nave, scatenando un combattimento nel quale era possibilissimo restare ucciso. Durante la battaglia, come si è visto, il Bande Nere venne colpito anch'esso dal tiro nemico, con danni e vittime tra l'equipaggio, e nulla avrebbe impedito ad uno dei colpi nemici di centrare la plancia invece di altre parti della nave uccidendo lo stesso Maugeri: se così non avvenne, ciò fu dovuto soltanto al caso. 

Peraltro si può aggiungere che tutto lo svolgimento dell'azione di Capo Spada è assai poco compatibile con un'intercettazione pre-organizzata dai britannici – in generale, quando la Royal Navy intercettò formazioni navali italiane perché disponeva informazioni su di esse, lo fece nottetempo e a colpo sicuro, con un'unica formazione che attaccò a sorpresa e nel luogo e momento più favorevole ai britannici. Invece i cacciatorpediniere britannici al largo di Creta furono sorpresi dall'arrivo degli incrociatori italiani, e corsero un grosso rischio: sarebbe stato tutt'altro che impossibile che qualcuno di essi venisse colpito dal tiro italiano prima dell'arrivo del Sydney. Ed a proposito di quest’ultimo, sarebbe stato sommamente imprudente, se si fossero voluti intercettare due incrociatori italiani, inviare contro di essi una forza navale che comprendeva un solo incrociatore. La dinamica della battaglia, insomma, non sembra proprio quella di un'imboscata preparata in precedenza.

Qualche chiosa sul “caso Maugeri”. Chi – ancora oggi – accusa questo ufficiale di tradimento, si compiace di citare ad nauseam le parole «la condotta eccezionalmente meritoria nell'esecuzione di altissimi servizi resi al governo degli Stati Uniti» contenute nella citazione del conferimento della Legione al Merito, dando ad intendere che una simile formulazione “confermi” che il conferimento fu motivato dal “tradimento” di Maugeri: e in ciò mostra la propria crassa ignoranza, giacché queste parole non sono specificamente riferite a Maugeri ma costituiscono invece una formula “standardizzata”, ripetuta con poche variazioni – quasi prestampata, si potrebbe dire – in tutte le citazioni della Legion of Merit, come può agevolmente controllare chiunque andando a cercare i testi delle citazioni dei conferimenti di detta decorazione ad altri destinatari della Legion of Merit.
Infine, bisogna precisare che le accuse rivolte a Maugeri riguardano generalmente più il periodo da questi trascorso come capo del Servizio Informazioni Segrete (il servizio segreto della Marina), dal 1941 in poi, che non quello al comando del Bande Nere. Giova ricordare che Maugeri, in qualità di capo del SIS, era tra i pochi ufficiali della Marina ad essere posti al corrente di tutte le operazioni in corso, anche quelle coperte da massimo riserbo come gli attacchi della X Flottiglia MAS: se davvero fosse stato un traditore, sarebbe bastata una sua parola per mandare in fumo, ad esempio, l’impresa di Alessandria, uno dei più duri colpi subiti dalla Mediterranean Fleet in tutta la guerra. Non risulta che ciò sia accaduto…
21 luglio 1940
Ormeggiatosi a fianco della California, il Bande Nere trasferisce su di essa i corpi degli otto uomini rimasti uccisi durante la battaglia: cinque appartenevano all’equipaggio, mentre gli altri trefacevano parte del personale della Regia Aeronautica addetto agli idrovolanti da ricognizione.

I loro nomi:

Alvaro Barbucci, sergente radiotelegrafista A.A. (Regia Aeronautica), da Lucca
Gaetano Capuano, sergente motorista A. A. (Regia Aeronautica), da Napoli
Vittoriano Crovetto, maresciallo pilota di terza classe (Regia Aeronautica), da Busalla
Carlo Luca, marinaio fuochista (Regia Marina), da Savona
Renato Rossi, sottocapo cannoniere puntatore scelto (Regia Marina), da Castel S. Nicolò
Edgardo Scigliano, secondo capo meccanico (Regia Marina), da Palermo
Antonio Simeone, allievo fuochista M.A. (Regia Marina), da Calvizzano
Giuseppe Taibi, marinaio furiere (Regia Marina), da Altofonte

Il Bande Nere, salutato alla voce dall’equipaggio della California, lascia Bengasi alle 9.15 (o 9.30) scortato dalla torpediniera Centauro, per trasferirsi a Tripoli. Nel corso del tragitto, ironia della sorte, la nave scorta si ritrova a diventare quella che di scorta ha bisogno: la Centauro, infatti, subisce un’avaria al timone ed il Bande Nere deve girarle intorno seguendo varie rotte di protezione, fino a che il guasto non è stato riparato.
22 luglio 1940
Bande Nere e Centauro arrivano a Tripoli alle 18.52 (le 2.30 per altra fonte) ed iniziano subito a rifornirsi. Il mattino seguente il Bande Nere viene sottoposto ad una verifica completa di carena, eliche, timoni, kingston e prese a mare, eseguita dal sergente palombaro Francesco Romanelli; questi provvede inoltre a turare alcune piccole falle con cunei di legno d’abete.
25 luglio 1940
Lascia Tripoli per trasferirsi a La Spezia, ma tre ore più tardi gli viene ordinato di tornare a Tripoli. Qui si ormeggia al Molo Sottoflutto (dove già si trovava prima), restandovi fino a fine mese.
31 luglio 1940
Il Bande Nere lascia Tripoli alle 12.10 diretto a La Spezia, dove dovrà ricevere le riparazioni per i danni subiti nella battaglia di Capo Spada. Alle 20 apre il fuoco contro un ricognitore nemico avvicinatosi a 12.000 metri, sparando tre salve con i pezzi da 100 mm.
I comandi britannici apprendono della partenza (presumibilmente tramite la ricognizione aerea) ed alle 21.57 comunicano al sommergibile Parthian (capitano di corvetta Richard Douglas Cayley), che ha appena iniziato il viaggio per rientrare ad Alessandria al termine di una missione nelle acque a levante della Sicilia, che un incrociatore italiano dovrebbe passare al largo di Capo Passero con rotta nord. Il Parthian inverte allora la rotta e pattuglia la zona fino all’alba, ma non riesce a trovare il Bande Nere, pertanto ritorna ad Alessandria.
2 agosto 1940
Arriva a La Spezia alle 10.15.
4 agosto 1940
Durante il mattino il Bande Nere entra in Arsenale a La Spezia; i lavori di riparazione si protrarranno fino al 29 agosto. 
21 agosto 1940
Esce dal bacino di carenaggio.
29 agosto 1940
Terminate le riparazioni, il Bande Nere esce dall’Arsenale di La Spezia e si ormeggia agli scali, dove vengono eseguiti alcuni altri lavori di minore entità, che saranno conclusi il 5 settembre.
Contestualmente, il 25 agosto la II Divisione, ridottasi al solo Bande Nere dopo la perdita del Colleoni, viene sciolta; il Bande Nere viene assegnato invece alla IV Divisione (per altra fonte, probabilmente erronea, il passaggio dalla II alla IV Divisione avvenne il 9 dicembre 1940), e ne diviene la nave ammiraglia, sostituendo in tale ruolo l’Alberico Da Barbiano, passato in riserva per un periodo di lavori. Il 25 agosto l’ammiraglio Casardi ed il suo stato maggiore sbarcano pertanto dal Bande Nere, mentre quattro giorni dopo prendono imbarco sull’incrociatore l’ammiraglio di divisione Alberto Marenco di Moriondo, comandante della IV Divisione, ed il suo capo di Stato Maggiore, capitano di fregata Franco Baslini.


Il Bande Nere in navigazione (foto Aldo Fraccaroli-USMM)

6 settembre 1940
Completati anche gli ultimi lavori, il Bande Nere esce da La Spezia per svolgere prove di macchina.
18 settembre 1940
Altra uscita da La Spezia, stavolta per esercitazioni di tiro.
28 settembre 1940
Altra breve uscita da La Spezia, nella quale il Bande Nere esegue alcune serie di tiri.
16 ottobre 1940
Il Bande Nere lascia La Spezia a mezzogiorno per trasferirsi a Napoli.
Nella stessa data, la IV Divisione passa alle dirette dipendenze di Supermarina, cessando di far parte della 2a Squadra Navale.
17 ottobre 1940
Arriva a Napoli alle 9.
19 ottobre 1940
Lascia Napoli alle 7 per trasferirsi a Palermo, dove arriva alle 17.15.
28 ottobre 1940
In coincidenza con l’invasione della Grecia, la IV Divisione (Bande Nere, Alberto Di Giussano ed Armando Diaz) lascia Palermo alle 15 per trasferirsi a Valona, in previsione di un suo impiego in appoggio al previsto sbarco a Corfù.
Tale operazione dovrebbe essere svolta dalla Forza Navale Speciale, al comando dell’ammiraglio di squadra Vittorio Tur, formata dai vecchi incrociatori leggeri Bari e Taranto, dai cacciatorpediniere Mirabello e Riboty, dalle vecchie torpediniere Bassini, Fabrizi e Medici e dalle torpediniere AltairAntaresAndromeda ed Aretusa, oltre che alle navi cisterna/da sbarco TirsoSesia e Garigliano. La forza di sbarco consiste nella 47a Divisione di fanteria "Bari" ed in un battaglione del Reggimento "San Marco" della Marina, da sbarcare in quattro punti dell’isola all’alba del giorno previsto.
Gli ordini d’operazione per l’assalto contro Corfù sono stati diramati il 22 (Supermarina, ordine generale di operazione) e 26 ottobre (Forza Navale Speciale, ordine più particolareggiato), ed in quest’ultimo giorno è stata disposta la sospensione di tutte le partenze dai porti nel Basso Adriatico a sud di Manfredonia, tranne che per le navi di Maritrafalba; lo sbarco è pianificato per il 28 ottobre, in contemporanea con l’inizio delle operazioni terrestri contro la Grecia, ma il maltempo (mare in tempesta) costringe a rimandare l’operazione dapprima al 30 e poi al 31 ottobre (anche perché i comandi militari, ritenendo che l’occupazione della Grecia dovrebbe avvenire in tempi rapidi, considerano di scarsa utilità un’invasione di Corfù dal mare).
Intanto, verso le 21 del 28 Bande Nere, Di Giussano e Diaz attraversano lo stretto di Messina, poi proseguono senza che si verifichino eventi degni di nota.
29 ottobre 1940
Bande Nere, Di Giussano e Diaz arrivano nella rada di Valona nel pomeriggio, in condizioni meteomarine pessime (vento teso e mare agitato).
Il 31 Supermarina dirama l’ordine esecutivo per lo sbarco a Corfù, da effettuarsi il 2 novembre, ma nel frattempo la situazione rivelata dai primi giorni di combattimento in Grecia, con operazioni che vanno molto più a rilento del previsto e si rivelano molto più difficili a causa del maltempo, delle interruzioni nella rete stradale e dell’accanita resistenza greca, indurrà Mussolini a rinunciare all’operazione contro Corfù, inviando invece la Divisione "Bari" in Albania come rinforzo.
1° novembre 1940
Alle 18, dato che il maltempo non accenna a diminuire, Diaz e Di Giussano non possono più restare ormeggiati, pertanto lasciano Valona e si rifugiano nella rada di Ducati. Il Bande Nere intenderebbe fare altrettanto, ma ne è impossibilitato da un’avaria alle caldaie; il Comando della IV Divisione si trasferisce temporaneamente sul Di Giussano.
Lo stesso giorno, sempre a causa del maltempo e delle pessime condizioni del mare, lo sbarco a Corfù viene rimandato a data da definirsi (sarà poi annullato del tutto), perciò Diaz e Da Barbiano lasciano Valona diretti ad Augusta. Il Bande Nere rimane invece a Valona.
2 novembre 1940
Arriva a Valona la XV Squadriglia Cacciatorpediniere «Pigafetta» con a bordo l’ammiraglio Alberto Da Zara, che si trasferisce sul Bande Nere e vi alza la sua insegna.
4 novembre 1940
Alle 8.45 Bande Nere, XV Squadriglia Cacciatorpediniere e XII Squadriglia Torpediniere, formando un unico gruppo al comando dell’ammiraglio Da Zara, lasciano Valona per trasferirsi a Brindisi.
7 novembre 1940
Il gruppo Bande Nere-XV Squadriglia Ct-XII Squadriglia Tp viene sciolto; di conseguenza, l’ammiraglio Da Zara sbarca dal Bande Nere.
12 novembre 1940
Il Bande Nere lascia Brindisi per portarsi a Palermo, dove si sono trasferiti gli altri incrociatori della IV Divisione (Di Giussano e Diaz, da Augusta), in seguito all’attacco aerosilurante britannico contro la base di Taranto (si è infatti deciso di spostare temporaneamente le navi maggiori – in attesa di potenziare le difese antiaeree delle basi principali – in porti dove l’aerosiluramento risulti più difficile).
13 novembre 1940
Arriva a Palermo.
14 novembre 1940
Il Bande Nere torna ad essere nave ammiraglia della IV Divisione: trasborda su di esso, infatti, il Comando di Divisione.
La IV Divisione rimane ferma a Palermo per un mese, tenendosi costantemente pronta a muovere in sei ore, ma senza mai uscire in mare. Nel corso di questo periodo Palermo viene ripetutamente attaccata da aerei britannici; ogni volta, le navi della IV Divisione effettuano tiro di sbarramento con il loro armamento contraereo.
25 novembre 1940
In serata, Supermarina ordina alla IV Divisione di prepararsi a partire in tre ore, in seguito alla segnalazione della partenza da Gibilterra, alle 8.25 di quel giorno, di consistenti forze navali britanniche (incrociatore da battaglia Renown, portaerei Ark Royal, quattro incrociatori leggeri e otto cacciatorpediniere) diretta verso est, ed al successivo avvistamento (alle 11.30), da parte di un aereo civile della linea Italia-Libia, dell’avvistamento di una formazione di dieci navi da guerra nemiche, tra cui una portaerei e probabilmente una corazzata, a circa 150 miglia per 110° da Malta, con rotta 330°. È infatti in corso l’operazione britannica "Collar", l’invio a Malta di un convoglio di rifornimenti con la scorta ravvicinata di forze leggere e la protezione a distanza della Forza H di Gibilterra.
26 novembre 1940
Alle 13.40 Supermarina ordina che la IV Divisione si tenga pronta a prendere il mare all’alba del 27 (l’ordine viene impartito separatamente rispetto a quelli destinati alla 1a e 2a Squadra Navale, dato che la IV Divisione non fa parte di esse, ma è invece alle dirette dipendenze di Supermarina). Le due squadre navali prenderanno il mare nelle ore successive per contrastare l’operazione britannica, dando luogo all’inconclusiva battaglia di Capo Teulada, mentre la IV Divisione rimarrà in porto (probabilmente perché i suoi incrociatori, i più anziani e meno protetti tra quelli costruiti nel dopoguerra, non sono più giudicati idonei per l’impiego di squadra con il resto delle forze da battaglia).
27 novembre 1940
Il capitano di vascello Maugeri, destinato al comando dell’incrociatore pesante Bolzano, lascia il comando del Bande Nere, che viene assunto dal capitano di vascello Roberto Carmel.
14 dicembre 1940
Bande Nere e Di Giussano lasciano Palermo alle 11, scortati dai cacciatorpediniere Ascari e Granatiere (per protezione contro i sommergibili), per fornire scorta indiretta (si teme infatti un possibile attacco di navi di superficie britanniche) ad un convoglio veloce diretto a Tripoli, composto dai trasporti truppe Esperia, Conte Rosso e Marco Polo con la scorta diretta della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (capitano di vascello Giovanni Galati; cacciatorpediniere Vivaldi, Da Noli, Tarigo e Malocello, usciti da Palermo alle 10.15 del 14 per rimpiazzare le torpediniere Cascino e Cosenz che hanno scortato il convoglio nel tratto iniziale Napoli-Palermo).
Il convoglio, partito da Napoli alle 2 del 13 dicembre, arriverà a Tripoli alle 15 del 15.
16 dicembre 1940
Completata la missione con l’arrivo a destinazione del convoglio, la IV Divisione, senza entrare a Tripoli, dirige per rientrare a Palermo, dove arriva alle 12.45.



 Due particolari del Bande Nere: l’idroricognitore sulla sua catapulta (da www.world-war.co.uk) e le torri prodiere da 152 mm (da www.regiamarinaitaliana.forumgratis.org)


8 gennaio 1941
Bande Nere e Di Giussano compiono una breve uscita da Palermo per esercitazioni di tiro e di attacco simulato da parte di aerosiluranti, tornando in porto alle 15.30.
9 gennaio 1941
In seguito ad una serie di avvistamenti aerei di forze navali britanniche nel Mediterraneo centrale (si tratta dell’operazione britannica «Excess», l’invio a Malta di un convoglio di rifornimenti), Supermarina ordina alle 13.10 alla IV Divisione di mettee a disposizione di Marina Messina la sua squadriglia cacciatorpediniere, la XIV, per l’impiego in appoggio alle torpediniere ed ai MAS che dovranno attaccare le forze britanniche nel Canale di Sicilia ed al largo di Pantelleria. Più tardi, Supermarina ordina alla IV Divisione di trasferirsi subito da Palermo a Napoli, tenendosi poi pronta a muovere.
Bande Nere e Di Giussano lasciano pertanto Palermo alle 20.30, per trasferirsi a Napoli.
10 gennaio 1941
I due incrociatori arrivano a Napoli alle sei del mattino e vengono qui sottoposti ad alcuni lavori di ridotta entità, che si protrarranno per una settimana. Durante questo periodo Napoli viene bombardata varie volte da aerei britannici, e gli incrociatori reagiscono con tiro di sbarramento da parte delle proprie armi.
13 gennaio 1941
Il grande transatlantico Lombardia, ormeggiato nel porto di Napoli accanto del Bande Nere, rompe gli ormeggi a causa di un improvviso groppo di vento e va ad urtare il Bande Nere, danneggiando l’idrovolante sulla catapulta.
17 gennaio 1941
Il capitano di vascello Carmel, comandante del Bande Nere, sbarca per malattia e viene temporaneamente sostituito dal capitano di vascello Mario Azzi, già comandante del Da Barbiano che si trova ai lavori.
5 febbraio 1941
Il Bande Nere salpa da Napoli alle 23.45 diretto a Palermo.
6 febbraio 1941
Il Bande Nere (con a bordo l’ammiraglio Alberto Marenco di Moriondo) arriva a Palermo alle 10.30 e riparte a mezzogiorno, per assumere la scorta di un convoglio veloce (trasporti truppe Conte Rosso, Marco Polo, Esperia e Calitea; capoconvoglio contrammiraglio Luigi Aiello) partito da Napoli alle 18.30 del 5 e diretto a Tripoli con truppe della 132a Divisione Corazzata "Ariete": originariamente scortato dai cacciatorpediniere Freccia, Saetta e Luca Tarigo, il convoglio si è poi ritrovato senza scorta perché il mare troppo avverso ha costretto i cacciatorpediniere a riparare a Palermo. Il Bande Nere viene dunque inviato ad assumerne la scorta, in sostituzione dei cacciatorpediniere. Da Trapani prende in mare anche un altro cacciatorpediniere, il Luca Tarigo, per unirsi al Bande Nere nella scorta del convoglio, ma anch’esso si rivela non in grado di tenere il mare e deve tornare indietro.
Il Bande Nere raggiunge il convoglio alle 17, al largo di Marettimo, e si posiziona a poppavia dei primi tre trasporti, i più veloci (Conte Rosso, Esperia e Marco Polo), mentre lascia di poppa la Calitea, più lenta.
7 febbraio 1941
Arrivati in vista di Tripoli in serata, il Bande Nere lascia il convoglio (che entra indenne in porto poco dopo, tra le 17 e le 20) e  rientra a Palermo, scortando al contempo la motonave Calino (partita da Tripoli alle 17.30 e diretta a Palermo). Le condizioni meteomarine continuano a peggiorare, tanto che il Bande Nere deve ridurre di parecchio la propria velocità.
8 febbraio 1941
Alle 11.36 Bande Nere e Calino passano al traverso del faro di Kuriat; alle 12.28, 13.24, 16.14, 16.23 e 17.10 vengono incontrati diversi convogli o navi isolate italiane (nell’ordine, prima un convoglio di tre mercantili scortati dall’incrociatore ausiliario Deffenu, poi tre piroscafi isolati, ed infine i cacciatorpediniere Freccia, Saetta, Tarigo e Malocello) ed alle 23.45 le due navi passano al traverso di Marettimo, seguendo una rotta che li tenga nelle acque più profonde della zona.
9 febbraio 1941
Arriva a Palermo alle tre di notte (o 3.30).
Lo stesso giorno il comandante del Bande Nere, capitano di vascello Mario Azzi, viene avvicendato dal parigrado Sesto Sestini.
Metà febbraio 1941
Palermo subisce vari bombardamenti aerei; il Bande Nere reagisce con il suo armamento, unendosi alla contraerea di terra nel tiro di sbarramento.
24 febbraio 1941
Alle 5.45 il Bande Nere (nave di bandiera del comandante della IV Divisione Navale, ammiraglio di divisione Alberto Marenco di Moriondo) lascia Palermo insieme all’incrociatore leggero Armando Diaz (capitano di vascello Francesco Mazzola) ed ai cacciatorpediniere Ascari e Corazziere, per una missione di scorta a distanza ai convogli che trasportano in Libia truppe e materiali dell’Afrika Korps. Sono infatti in mare tre convogli diretti in Libia: uno (partito da Napoli alle 19 del 23 facendo tappa a Palermo il 24, e diretto a Tripoli a 14 nodi) formato dalle motonavi tedesche MarburgReichenfelsAnkara e Kybfels, scortate dai cacciatorpediniere AviereGeniere e Da Noli e dalla torpediniera Castore; un secondo (salpato da Napoli a mezzogiorno del 25) composto dai trasporti tedeschi LeverkusenArcturusWachtfels ed Alikante e dall’italiano Giulia, scortati dal cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi e dalle torpediniere ProcioneOrsa e Calliope; ed un convoglio veloce (partito da Napoli alle 20 del 24 febbraio) formato dai trasporti truppe Conte RossoEsperiaMarco Polo e Victoria, scortati dai cacciatorpediniere Baleno e Camicia Nera e dalle torpediniere Orione ed Aldebaran. Sono inoltre in mare anche i piroscafi ArtaNirvo e Giovinezza di ritorno da Tripoli (che avevano lasciato alle 5.30 del 24) con la scorta della torpediniera Generale Achille Papa, ed i piroscafi Santa Paola e Honor partiti da Palermo il 25.
La IV Divisione ha avuto ordine di portarsi nel Canale di Sicilia per proteggere, tra il 25 ed il 27 febbraio, i convogli «Esperia», «Marburg» e «Alikante» in navigazione da Napoli a Tripoli, tenendosi pronta a qualsiasi evenienza. Supermarina vuole così coprire l’intenso traffico tra Italia e Libia, e proteggere i convogli da eventuali incursioni di navi di superficie provenienti da est; ma per la verità, tale provvedimento risulta pressoché inutile, in quanto la ricognizione aerea ha già mostrato che a Malta non ci sono navi di superficie britanniche, dunque dall’isola non possono partire attacchi navali, e la possibilità di un attacco a sorpresa da un incrociatore britannico proveniente da Alessandria senza essere visto risulta quasi inesistente. Le uniche minacce concrete ai convogli in mare sono costituite da aerei e sommergibili, e contro di essi gli incrociatori non possono fare nulla per proteggere i mercantili, e rischiano anzi di diventare a loro volta bersagli, come infatti accadrà. Scrive in proposito la storia ufficiale dell’USMM: «La Divisione BANDE NERE aveva pertanto solo una funzione genericamente protettiva; si ha motivo di ritenere che la sua uscita sia stata ordinata unicamente per soddisfare le richieste di alti Comandi estranei alla Marina; ma non appare giustificata da un’effettiva esigenza bellica».
Alle 11.30 la IV Divisione prende contatto con il convoglio «Marburg» (avente una velocità di 14 nodi) ed inizia il serizio di scorta; in base agli ordini, la Divisione deve mantenersi a proravia del convoglio per fornirgli, durante la notte, scorta ravvicinata.
Sino al tramonto la IV Divisione si tiene tra gli 8.000 ed i 12.000 metri a proravia del convoglio «Marburg», procedendo a zig zag, con Ascari e Corazziere in posizione di scorta ravvicinata (il Corazziere di prora al Bande Nere, l’Ascari 45° sulla sinistra dello stesso incrociatore). Tramontato il sole, i due incrociatori mantengono la velocità a 14,5 nodi sino alla boa n. 4 di Kerkennah.


Il Bande Nere entra in Mar Piccolo a Taranto (da www.italie1935-45.com)

25 febbraio 1941
La notte è senza luna, l’oscurità particolarmente profonda; ciò induce l’ammiraglio Marenco di Moriondo, intorno alle due di notte, dopo aver scapolato la zona obbligata della boa n. 4 di Kerkennah, ad interrompere lo zigzagamento ed a procedere con Bande Nere e Diaz in linea di fila, preceduti dal Corazziere e seguiti dall’Ascari, per eventuale reazione antisommergibili e per fornire scorta agli incrociatori se la IV Divisione dovesse eseguire marcate ed improvvise accostate. Alle 2.10 la formazione, passando un miglio ad ovest della boa n. 4 di Kerkennah, assume rotta 180°, ed intorno alle tre, per non allontanarsi dal convoglio, viene ridotta la velocità a 13,5 nodi, sempre mantenendo la linea di fila Corazziere-Bande Nere-Diaz-Ascari. Via via che le navi procedono verso sud, in direzione di Zuara, la già scarsa visibilità va progressivamente calando. Il mare è calmo, senza vento.
Alle 3.22 il sommergibile britannico Upright (tenente di vascello Edward Dudley Norman) avvista le navi da guerra italiane (identificate come due incrociatori scortati da un cacciatorpediniere, tutti in linea di fila) su rilevamento 315°, a circa due miglia e mezzo di distanza. L’Upright, restando in emersione, accelera e descrive parzialmente un semicerchio, manovrando per avvicinarsi ed attaccare. Il Corazziere e l’Ascari procedono rispettamene a proravia ed a poppavia dei due incrociatori, in linea di fila; il Diaz naviga nella scia del Bande Nere, ed al comandante dell’Upright (che ritiene sia la seconda nave della fila) sembra la nave più grossa: perciò è contro di esso che, alle 3.40, l’Upright lancia quattro siluri, immergendosi subito dopo. Nel buio della notte, né il Bande Nere né il Diaz avvistano le scie dei siluri od altra traccia del sommergibile.
Alle 3.43, quando il Diaz (che naviga nella scia del Bande Nere, seguendolo a 600 metri di distanza) si trova a poche miglia dalla boa numero 4 delle secche di Kerkennah, due dei siluri lo colpiscono sul lato dritto, nei pressi del deposito munizioni prodiero, provocandone la devastante esplosione. Alle detonazioni dei due siluri segue una fiammata sulla dritta e poi un’esplosione molto più rovinosa, con una colossale fiammata generata dalla combustione delle polveri. Nel giro di soli sei minuti il Diaz affonda di prua, fortemente sbandato sulla sinistra, in posizione 34°33’ N e 11°45’ E (al largo di Sfax, a 20 miglia e mezzo per 190° dalla boa n. 4 di Kerkennah), trascinando con sé i tre quarti dell’equipaggio.
Sul Bande Nere, che si trova esattamente di prora al Diaz (la posizione viene controllata dal capo di Stato Maggiore della IV Divisione, che si trova in plancia ammiraglio rivolto proprio verso il Diaz), vengono chiaramente avvertiti due scoppi e si vede una fiammata levarsi sulla dritta del Diaz, seguita da una forte esplosione con lancio di materiali incandescenti. Mentre il Bande Nere accelera ed accosta sulla sinistra per allontanarsi, zigzagando, vengono visti da bordo dei focolai d’incendio che illuminano un’alta colonna di fumo che sale dal Diaz; l’intensità dell’incendio varia nei pochi minuti in cui esso dura, fino a quando l’incociatore non s’inabissa alle 3.49. Un ufficiale del Bande Nere, il sottotenente di vascello Stefano Baccarini, descriverà poi così la scena: «Vi fu una prima esplosione, poi una seconda grande simile a un'alta fontana luminosa, dalla quale si innalzarono rottami voluminosi. Il bagliore era simile a quello prodotto dalla combustione delle polveri. Poi per quattro minuti è rimasto ancora un fuoco di colore vivo, simile a una colata d' acciaio. Infine è scomparso tutto».
Mentre Ascari e Corazziere contrattaccano e poi iniziano a recuperare i naufraghi dal mare, il Bande Nere prosegue nella scorta del convoglio, aumentando la velocità e zigzagando; si mantiene in contatto radio coi cacciatorpediniere mediante gli apparati ad onde ultracorte ed i radiosegnalatori. L’incrociatore conduce il convoglio attraverso i campi minati; all’alba aerei della Luftwaffe attaccano un altro sommergibile nemico, che si trova in agguato all’uscita degli sbarramenti.
Alle 8.44, intanto, Ascari e Corazziere, una volta appurato che non vi siano più naufraghi in mare, rimettono in moto dirigendo verso nordovest, per ricongiungersi col Bande Nere.
Giunto il convoglio a destinazione, le tre navi fanno rotta per Palermo (per altra versione, Bande Nere e Corazziere sarebbero rientrati a Palermo, mentre l’Ascari sarebbe proseguito con il convoglio).
26 febbraio 1941
Corazziere, Ascari e Bande Nere giungono a Palermo, dove vengono sbarcati i naufraghi.
Dell’equipaggio del Diaz sono morti 464 uomini, su un totale di 605 imbarcati.
Il Bande Nere resterà a Palermo fino al 20 marzo.
21 marzo 1941
Il Bande Nere esce da Palermo per compiere esercitazioni di tiro e di attacco simulato di aerosiluranti.
Al termine dell’esercitazione torna in porto e si ormeggia al Molo Piave, dove resterà per ben un mese, fino al 24 aprile.
16 aprile 1941
Secondo una fonte, in questa data il Bande Nere sarebbe partito da Palermo assieme ad altre unità per proteggere da eventuali attacchi nemici le navi impegnate nei soccorsi dei naufraghi del convoglio "Tarigo", distrutto la notte precedente da quattro cacciatorpediniere britannici (uno dei quali, il Mohawk, è stato a sua volta affondato) nelle acque delle secche di Kerkennah, al largo della Tunisia.
22 aprile 1941
Il Bande Nere (nave ammiraglia della IV Divisione Navale, al comando dell’ammiraglio di divisione Guido Porzio Giovanola) e l’incrociatore leggero Luigi Cadorna, insieme ai cacciatorpediniere Maestrale e Scirocco, prendono il mare poco dopo la mezzanotte per rinforzare nel Canale di Sicilia la scorta del convoglio «Arcturus», partito da Napoli alle 17 del 21 e diretto a Tripoli, formato dai piroscafi tedeschi Arcturus, Leverkusen, Castellon e Wachtfels (quest’ultimo partito da Palermo ed aggregatosi al convoglio in un secondo momento) e dalla motonave italiana Giulia, con la scorta diretta dei cacciatorpediniere Folgore (caposcorta), Turbine, Saetta e Strale.
Il convoglio segue la rotta di ponente, che passa al largo delle secche di Kerkennah (Tunisia); l’uscita in mare della IV Divisione per scorta indiretta è stata decisa dopo che la ricognizione aerea ha avvistato a Malta alcune unità leggere di superficie.
23 aprile 1941
La IV Divisione si unisce al convoglio «Arcturus» alle 17.44, nel Canale di Sicilia, al largo delle boe 3 e 4 delle Kerkennah (cioè ad est di quelle secche), dopo di che prosegue verso Tripoli tenendosi di poppa al convoglio e seguendo rotte varie in modo da mantenere una velocità maggiore di quella dei mercantili, ma senza allontanarsi da essi. Al momento dell’incontro lo Scirocco viene momentaneamente distaccato per contattare la scorta diretta ed accordarsi sulle rotte da seguire durante la notte, prima che cali il buio.
Tramontato il sole, la IV Divisione rimane nei settori poppieri del convoglio, seguendo rotte varie inclinate rispetto alla direttrice di marcia. Qualche minuto dopo le 22 vengono visti dei bagliori di proiettili contraerei in direzione di Tripoli, che sta venendo bombardata da aerei nemici.
24 aprile 1941
Alle 00.44 vengono chiaramente distinti dalla IV Divisione, in direzione 80° (verso est), dei proiettili illuminanti e poi le codette luminose di proiettili sparati in una vivace azione di tiro battente; dato che si distinguono i bagliori prodotti dalle artiglierie, ma non le vampate, l’ammiraglio Porzio Giovanola ne deduce che il combattimento che sta avendo luogo deve essere in corso ad almeno 30 miglia di distanza; giudica comunque che sia opportuno deviare dalla rotta e dirigere verso ovest, in modo da allontanarsi dal potenziale pericolo. Il convoglio fa lo stesso di propria iniziativa, così permettendo di evitare il ricorso alla radio.
I bagliori visti dalla IV Divisione costituiscono l’epitaffio dello sfortunato incrociatore ausiliario Egeo. Durante la notte, infatti, è partita da Malta la 14th Destroyer Flotilla britannica (cacciatorpediniere JervisJanusJaguar e Juno), proprio con lo scopo di intercettare il convoglio «Arcturus». I cacciatorpediniere britannici non riescono a trovare il convoglio, ma verso le 00.40 incontrano invece l’Egeo, che viene affondato dopo un impari combattimento. (La storia ufficiale dell’USMM annota a riguardo, riconoscendo i limiti degli incrociatori tipo Da Barbiano e quelli, più in generale, delle navi maggiori italiane nel combattimento notturno: «Particolarmente inadatti ad un combattimento notturno a distanza ravvicinata apparivano gli incrociatori tipo BANDE NERE che, completamente privi di corazzatura, erano suscettibili di essere danneggiati seriamente anche dai proiettili da 120 dei cacciatorpediniere tipo JERVIS o tipo TRIBAL (…) è difficile stabilire chi avrebbe avuto la meglio se i JERVIS avessero incontrato di notte i BANDE NERE»).
Sia il convoglio «Arcturus» che la IV Divisione, frattanto, incrociano al largo di Ras Turgoeness, del quale non si vede il faro (il che porta l’ammiraglio Porzio Giovanola a ritenere che sia spento), seguendo rotte varie in attesa del giorno, prima di procedere all’atterraggio; tutti si tengono pronti a reagire ad eventuali attacchi.
Il convoglio arriva a Tripoli alle 17. Durante tutto il viaggio, aerei della Regia Aeronautica e del X Corpo Aereo Tedesco provvedono continuamente a sorvegliare i cieli del convoglio.
Come ordinato da Supermarina, Bande Nere e Cadorna entrano a Tripoli e vi si trattengono per alcune ore, aspettando di ripartire prima del tramonto alla volta di Palermo.
Durante la navigazione di ritorno, Supermarina comunica alla IV Divisione che nella zona di Malta si trovano un incrociatore tipo Southampton e cinque cacciatorpediniere; l’ammiraglio Porzio Giovanola ordina pertanto di accelerare, in modo da ridurre la probabilità di incontrare tali forze durante la notte, anche se rimane la possibilità di un incontro tra l’una e le tre di notte del 25 aprile, nella zona tra Lampedusa e le Kerkennah. Durante la navigazione gli uomini rimangono pertanto al posto di combattimento generale; la vigilanza viene incrementata al massimo possibile e si tengono le armi pronte ad un uso immediato.
Superata Lampedusa senza aver avvistato nulla, l’ammiraglio Porzio Giovanola decide di imboccare le rotte di ponente in modo da evitare di incontrare il nemico all’alba, sulle rotte di atterraggio di Capo San Marco.
25 aprile 1941
La IV Divisione arriva a Palermo alle 16.20. A conclusione del suo rapporto, l’ammiraglio Porzio Giovanola scriverà: «Vista l’impossibilità di impedire al nemico in ore diurne l’avvistamento nella zona da Marettimo a Lampedusa dei convogli che si recano in Libia, e data la facilità con la quale forze leggere appoggiate da incrociatori possono muovere da Malta dopo il tramonto in tempo utile per intercettare le rotte Kerkennah-Zuara, sembra doversi tenere presente l’opportunità che questo ultimo tratto sia effettuato dai convogli in ore diurne con conveniente appoggio di unità navali in grado di contrastare azioni di incrociatori nemici. Ad ogni modo la precauzione di tenere la Divisione in appoggio a breve distanza dal convoglio di poppa a questo, costringe la forza navale a mantenersi a modesta velocità in zone molto insidiate. Si è creduto opportuno perciò di far seguire alla Divisione rotte varie molto inclinate rispetto alla direttrice di marcia per poter mantenere una velocità superiore a quella del convoglio senza peraltro allontanarsene. L’esperienza ha dimostrato la particolare vulnerabilità e possibilità di insidie delle rotte obbligate in prossimità delle boe du Kerkennah e pertanto sarebbe opportuno provvedere al dragaggio di dette rotte con dragamine normali e magnetici nonché con la vigilanza a.s.».



Altre due foto del Bande Nere a Venezia (sopra: ANMI di Reggio Calabria; sotto: foto Federico Baschetti, Venezia, via g.c. Giorgio Micoli e www.naviearmatori.net)


8 maggio 1941
Bande Nere, Cadorna (IV Divisione) e gli incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi (VIII Divisione) salpano da Palermo dopo le 20 (o alle 20.45) con la scorta dei cacciatorpediniere Bersagliere, Fuciliere, Alpino, Maestrale e Scirocco, per eseguire una crociera di vigilanza a nord della Sicilia settentrionale. È in corso l’operazione britannica «Tiger» (iniziata il 6 maggio e conclusasi il 12), consistente nell’invio da Gibilterra ad Alessandria di un convoglio di cinque piroscafi veloci carichi di rifornimenti e rinforzi per le forze britanniche operanti in Egitto (tra cui 238 carri armati e 43 aerei da caccia), e da Alessandria a Malta di due convogli (uno veloce di quattro navi da carico, ed uno lento di due navi cisterna) con rifornimenti per la guarnigione dell’isola (il primo è scortato dagli incrociatori leggeri Dido, Calcutta e Phoebe e da 4 cacciatorpediniere, il secondo dagli incrociatori antiaerei Carlisle e Coventry, da 3 cacciatorpediniere e da 2 unità minori). Al contempo, la corazzata Queen Elizabeth e tre incrociatori leggeri (Naiad, Fiji e Gloucester, più 5 cacciatorpediniere) si trasferiscono da Gibilterra ad Alessandria per rinforzare la Mediterranean Fleet, che esce in mare a copertura dell’operazione (con le corazzate Warspite, Valiant e Barham, la portaerei Formidable e 12 cacciatorpediniere), al pari della Forza H da Gibilterra (incrociatore da battaglia Renown, portaerei Ark Royal, incrociatore Sheffield e 9 cacciatorpediniere). Normalmente ai convogli con i rifornimenti per le truppe britanniche operanti in Egitto viene fatta circumnavigare l’Africa, doppiando il Capo di Buona Speranza e risalendo il Mar Rosso, rotta molto più lunga rispetto a quella di Gibilterra e del Mediterraneo, ma anche molto meno a rischio di attacchi; questa volta, però, i comandi britannici hanno deciso per un invio diretto di rifornimenti attraverso il Mediterraneo a causa dell’estrema gravità della situazione in Egitto, dove le truppe britanniche in ritirata dalla Cirenaica (con la nuova offensiva italo-tedesca seguita all’arrivo del generale Rommel) hanno perso la maggior parte dei loro mezzi corazzati, mentre anche le truppe britanniche inviate in Grecia (caduta in aprile a seguito dell’intervento tedesco) hanno perduto, nella loro frettolosa evacuazione verso l’Egitto, la quasi totalità dei loro mezzi ed equipaggiamenti.
La reazione della Marina italiana, pur messa sull’allarme dai molti avvistamenti aerei (alle 6.35, alle 7.20, alle 10.40 ed alle 16.20, però molto confusi ed incoerenti: ad esempio, non si ha idea fino ad operazione compiuta del trasferimento da Gibilterra ad Alessandria della Queen Elizabeth), non si materializza: Supermarina, disponendo soltanto di due corazzate in efficienza (Cesare e Doria; altre due, Duilio e Littorio, sono in riaddestramento dopo il completamento dei lavori di riparazione dei danni subiti nell’attacco di Taranto nel mese precedente, mentre la Vittorio Veneto è in riparazione per i danni subiti nella battaglia di Capo Matapan), decide di non tentare di intervenire contro una forza britannica che conta 5 tra corazzate ed incrociatori da battaglia (3 da Alessandria e 2 da Gibilterra) più 2 portaerei, giudicando il rapporto di forze troppo sfavorevole.
L’uscita da Palermo della formazione che comprende il Bande Nere è appunto l’unico provvedimento disposto da Supermarina in concomitanza con l’operazione nemica, ordinato per l’eventualità che la flotta britannica sia uscita in mare per lanciare un altro attacco di aerosiluranti analogo a quello del novembre precedente contro Taranto. (Secondo il libro "Struggle for the Midde Sea" di Vincent O’Hara, invece, l’uscita da Palermo della IV e VIII Divisione con i relativi cacciatorpediniere sarebbe stata ordinata da Supermarina allo scopo di tendere un’imboscata alla formazione britannica, che si riteneva diretta proprio verso Palermo per bombardare quella città; il maltempo impedì però il contatto, fortunatamente per le navi italiane, che si sarebbero trovate in condizione di netta inferiorità). Lo stesso giorno, la IV e VIII Divisione vengono avvistate e segnalate da aerei britannici a ponente di Trapani, ma senza conseguenze.
Per ogni evenienza, vengono approntate a Napoli le corazzate Cesare e Doria ed a Taranto gli incrociatori ivi presenti, ma nessuna di queste unità prenderà il mare. Il maltempo impedisce l’impiego di MAS e torpediniere nel Canale di Sicilia, cui si è fatto ricorso altre volte.
Il passaggio del convoglio britannico sarà contrastato solo dagli aerei della Regia Aeronautica, che nonostante ripetuti attacchi non riusciranno ad affondare alcuna nave, a causa sia del tempo fosco con nuvole basse che della reazione della scorta aerea britannica; una bomba danneggia gravemente il cacciatorpediniere britannico Fortune, mentre da parte italiana vengono perduti cinque aerei. Uno dei mercantili britannici, l’Empire Song, affonderà per urto contro mina, ma gli altri giungeranno tutti a destinazione.
9 maggio 1941
Le navi partite da Palermo vi fanno ritorno, dopo aver infruttuosamente percorso 296 miglia incontrando cattivo tempo per tutta la notte.
11 maggio 1941
Bande Nere e Cadorna (la IV Divisione) partono da Palermo alle 18.40, insieme ai cacciatorpediniere Maestrale, Scirocco, BersagliereFuciliere ed Alpino (altra fonte parla solo di Maestrale, Scirocco ed Alpino) per fornire protezione a distanza a due convogli: uno formato dai piroscafi italiani Ernesto e Tembien, dalle motonavi Giulia e Col di Lana e dai piroscafi tedeschi Preussen e Wachtfels (scortati dai cacciatorpediniere DardoAviere – caposcorta –, GeniereGrecale e Camicia Nera) partiti da Napoli alle due dell’11 (dopo essere salpati già l’8 salvo poi rientrare per allarme navale) e diretti a Tripoli, dove arriveranno alle 11.40 del 13; l’altro composto dalle motonavi italiane Victoria, Andrea Gritti e Barbarigo e dalla motonave tedesca Ankara (con la scorta diretta dei cacciatorpediniere Vivaldi, Malocello, Saetta e Da Noli) in navigazione in direzione opposta (partito da Tripoli alle 19.30 del 12, il convoglio arriva a Napoli alle 16.30 del 14).
Allo stesso scopo escono in mare anche gli incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi Garibaldi (la VIII Divisione) ed i cacciatorpediniere Da ReccoPessagno ed Usodimare (per altra versione Granatiere e Bersagliere).
12 maggio 1941
La IV Divisione raggiunge il convoglio in navigazione da Napoli a Tripoli alle cinque del mattino, ma nel pomeriggio dello stesso giorno il Bande Nere subisce delle infiltrazioni di acqua salata nei condensatori delle caldaie poppiere: alle 17 Supermarina autorizza il Comando della IV Divisione a trasbordare sul Cadorna, dopo di che il Bande Nere rientra a Palermo, scortato dall’Alpino.
Il resto della Divisione rientrerà a Palermo al termine dell’operazione.
14-19 maggio 1941
Lavori di riparazione dell’avaria.
21 maggio 1941
Alle 8.30 Bande Nere e Cadorna salpano da Palermo per trasferirsi ad Augusta, scortati dal Maestrale e dalla torpediniera Circe, seguendo rotte costiere. Alle 10 il Bande Nere, per insufficiente lubrificazione, deve fermare la motrice di dritta e dirigere su Messina navigando con una macchina sola, arrivandovi alle 18.20.
22 maggio 1941
Dopo alcun verifiche nell’Arsenale di Messina, che non portano a scoprire particolari avarie, in mattinata il Bande Nere compie una prova in mare nella quale tocca la velocità di 29,7 nodi; non essendovi nulla fuori posto, l’incrociatore prosegue verso Augusta, dove giunge alle 18.35, ormeggiandosi alla boa. Insieme al Bande Nere si trasferisce ad Augusta anche il Di Giussano, che si trovava a Messina da quasi un mese, con la scorta del cacciatorpediniere Gioberti.
I due incrociatori sono stati trasferiti ad Augusta in previsione della loro partecipazione alla posa di uno sbarramento di mine, il «T», da posare nelle acque di Tripoli.


Un’altra immagine del Bande Nere (La Voce del Marinaio)

1° giugno 1941
Sul Bande Nere viene celebrata messa, evento abbastanza eccezionale, da don Sergio Pignedoli, giovane prete fattosi cappellano militare dopo lo scoppio della guerra (e futuro cardinale). Don Pignedoli ha fino a quel momento prestato servizio su navi ospedale, ma la messa celebrata sul Bande Nere e l’incontro con l’equipaggio di quella nave (gli viene detto, tra l’altro, che la IV Divisione sente la mancanza di un cappellano) lo spinge a chiedere insistentemente, ed ottenere, di essere invece imbarcato su navi da guerra, per essere più vicino ai combattenti (scriverà, il 2 giugno, in una lettera ai suoi superiori: «Ieri, invitato dall’Ammiraglio di Divisione, sono andato a celebrare sul Giovanni delle Bande Nere – ove era venuto anche l’equipaggio di un altro incrociatore. Sono stati gentilissimi tutti – e io entusiasta – Ma il bello viene qui: mi hanno detto che desiderano vivamente un cappellano – che la sua mancanza si sente in tutta la Divisione – che ci sarebbe da fare tanto (erano gli stessi comandanti a dirlo) come prime comunioni ecc. Mi hanno anche detto (non faccio nomi) – l’Ordinariato Militare dimentica un po’ la Marina -. Io mi sono arrischiato a far presente ciò che Voi una volta mi avevate detto: “Non è possibile – mancherebbe persino l’alloggio per il cappellano” – Mi è stato risposto che su uno o su l’altro degli incrociatori si può trovare benissimo l’alloggio»).

2 giugno 1941
Il Bande Nere (capitano di vascello Sesto Sestini), avente a bordo l’ammiraglio di divisione Guido Porzio Giovanola (comandante della IV Divisione), ed il Di Giussano (capitano di vascello Giovanni Marabotto) salpano da Augusta alle 16 con la scorta dei cacciatorpediniere Gioberti (capitano di fregata Marc’Aurelio Raggio) e Scirocco (capitano di fregata Domenico Emiliani) allo scopo di partecipare, con altre unità, alla posa di alcune spezzate dello sbarramento minato difensivo «T» a nordest di Tripoli.
Alle 18.10 la IV Divisione giunge in vista delle altre navi incaricate dell’operazione, cioè la VII Divisione dell’ammiraglio Ferdinando Casardi, comandante superiore in mare (incrociatori leggeri Eugenio di SavoiaMuzio Attendolo ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta), la XV Squadriglia Cacciatorpediniere (Antonio Pigafetta, Alvise Da Mosto e Giovanni Da Verrazzano) e parte della XVI Squadriglia (Nicoloso Da Recco ed Antoniotto Usodimare); alle 18.30 (o 18.40) le navi assumono la loro posizione in formazione. Gli ordini prevedono di portare la velocità a 22 nodi, ma essa dev’essere tenuta sui 18 nodi a causa di un’avaria del Da Mosto; in serata sarà possibile portare la velocità a 20 nodi. Alle 22.12 è lo Scirocco ad essere colto da un’avaria, questa volta al timone, ma riesce a ripararla ed a riassumere la sua posizione alle 22.52.
3 giugno 1941
All’alba la formazione, che a causa dell’avaria del Da Mosto ha accumulato due ore di ritardo, si ritrova senza scorta aerea, perché il ghibli e la scarsa visibilità impediscono agli aerei di decollare ed individuare le navi. Alle 10.05 viene avvistato il fumo emesso dalla torpediniera Castore per segnalare la posizione della posa, ed alle 10.37, dopo aver via via ridotto la velocità, le unità ricevono l’ordine di dividersi nei gruppi stabiliti per la posa.
Alle 11.06 le unità del gruppo «Eugenio» (Eugenio di SavoiaBande NereDi GiussanoDa Mosto e Da Verrazzano; si sono separati Duca d’AostaPigafettaGioberti e Scirocco) iniziano a manovrare per assumere rotta e formazione di posa (per la linea «b», linea di fronte con, da sinistra, sul lato esterno il Bande Nere, poi il Di Giussano a 300 metri, poi l’Eugenio di Savoia a 200 metri da quest’ultimo, quindi il Da Mosto a 100 metri da esso); l’Usodimare è colto da avaria al timone, ma la risolve rapidamente. La posa della linea «b» inizia alle 11.31 e finisce alle 12.15, quella della linea «c» (posata invece dall’Attendolo e dall’Eugenio di Savoia) comincia alle 12.22 e termina alle 12.51; entrambe vengono compiute a 10 nodi. Il Bande Nere, che è la prima nave a cominciare la posa tra quelle assegnate alla linea «b», posa 139 mine, al pari del Di Giussano, mentre l’Eugenio di Savoia posa 228 boe esplosive e poi (al pari dell’Attendolo) 88 mine ad antenna per la linea «c»; il Da Mosto posa 116 boe strappanti ed il Da Verrazzano ne posa altre 95 dello stesso tipo e 17 esplosive. 
La linea «b» (311 mine italiane antinave, 259 boe esplosive e 259 boe strappanti) rappresenta il primo sbarramento di mine multiplo posato da unità italiane, essendo composto da 4 file, di cui 2 di mine antinave ad antenna (con intervallo di 100 metri tra ogni ordigno), una di boe esplosive (60 metri tra ogni boa) ed una di boe strappanti (anch’esse a 60 metri l’una dall’altra), con le armi sfalsate tra le file. Le due file di mine sono distanziate di 300 metri, quella di boe esplosive è a 200 metri dalla seconda fila di mine e la fila di boe strappanti è a 200 metri da quest’ultima. Si tratta di uno sbarramento sostanzialmente indragabile, ma la sua posa richiede grande coordinazione e precisione.
Alle 13.30 le navi del gruppo «Eugenio» giungono nel punto di riunione; il Da Mosto viene inviato a Tripoli per le riparazioni dell’avaria, mentre il Bande Nere e le altre navi eseguono evoluzioni fino a quando, alle 14.10, sopraggiunge anche il gruppo «Aosta». A questo punto Casardi ordina di assumere la rotta di rientro e velocità 22 nodi; la visibilità migliora leggermente e progressivamente con l’allontanamento dalla costa.
Alle 14.52 vengono avvistati degli aerei da caccia che si allontanano, ed alle 18 il Bande Nere comunica all’ammiraglio Casardi che il Di Giussano ha avvistato per breve tempo un ricognitore di tipo imprecisato. Da Malta decollano degli aerosiluranti, e Supermarina, debitamente informata, ne avvisa le navi in mare alle 23.15; Casardi decide di proseguire sulla rotta transitoria 45°, invece che accostare per nord come deciso precedentemente, così da mantenere la luna nei settori poppieri e permettere ai cacciatorpediniere della scorta avanzata di vegliare sul settore più pericoloso; dato che tale diversione provocherà un allungamento del percorso, l’ammiraglio fa anche aumentare la velocità a 25 nodi, in modo da trovarsi lo stesso, all’alba, sotto la protezione dei caccia della Regia Aeronautica (nonché allo scopo di incrementare la possibilità di manovra delle sue navi). Vi sono due allarmi, a poca distanza l’uno dall’altro, a seguito di presunti avvistamenti da parte dell’Usodimare (il primo) e del Bande Nere (il secondo); la formazione accosta per imitazione di manovra, ma nessuna nave apre il fuoco e non si verificano attacchi.
4 giugno 1941
All’1.14, dato che la luna più bassa mette in risalto le sagome delle navi, queste accostano per rotta 70° così da avere la luna di poppa, ma all’1.53, tramontata la luna, riassumono rotta verso nord.
Alle quattro del mattino la VII Divisione e la IV Divisione si separano; quest’ultima dirige per lo stretto di Messina. Il Di Giussano entra in quest’ultima città alle undici, mentre il Bande Nere prosegue per Palermo insieme al Cadorna, arrivandovi alle 16.20.
Sul campo minato «T» andrà distrutta, nel dicembre 1941, la temibile Forza K britannica: affonderanno sulle mine l’incrociatore leggero Neptune ed il cacciatorpediniere Kandahar, mentre subiranno danni gli incrociatori leggeri Aurora (gravi) e Penelope (lievi), ponendo fine per lungo tempo ad una gravissima minaccia britannica ai convogli italiani per l’Africa Settentrionale.
9 giugno 1941
Breve uscita da Palermo per esercitazioni di tiro, con la scorta dei cacciatorpediniere Maestrale, Grecale e Scirocco.
19 giugno 1941
Il Bande Nere esce da Palermo per recarsi incontro al Di Giussano, salpato da Messina alle 8.05 per trasferirsi nel capoluogo siciliano. I due incrociatori s’incontrano in mare aperto, eseguono congiuntamente esercitazioni di tiro e poi entrano a Palermo alle 19, per poi restarvi fermi fino al 5 luglio.
6 luglio 1941
Il Bande Nere ed il Di Giussano (IV Divisione, al comando dell’ammiraglio Porzio Giovanola) imbarcano a Palermo 130 mine ciascuno (tipo Elia, dotate di congegno antidragante) per partecipare alla posa della terza tratta («S 3», con le spezzate «S 31» e «S 32» per un totale di 292 mine e 444 boe esplosive) dello sbarramento minato «S», da posare al largo della Sicilia. Mentre i due incrociatori stanno completando il carico, ed hanno già molte mine in posizione sulle ferroguide in coperta, alcuni aerei britannici appaiono all’improvviso, cogliendoli completamente di sorpresa (tanto che non fanno neanche in tempo a reagire col loro armamento), e li mitragliano a volo radente. L’attacco nemico, che potrebbe avere esito catastrofico (basterebbe che una mina venisse colpita e scoppiasse per scatenare una catena di esplosioni), non causa nessun danno.
Alle 19.30 Bande Nere e Di Giussano salpano da Palermo con la scorta dei cacciatorpediniere Maestrale, Grecale e Scirocco (X Squadriglia Cacciatorpediniere; per altra fonte sarebbe stato presente anche il Libeccio), per prendere parte alla posa della
7 luglio 1941
Poco dopo le cinque del mattino la IV Divisione e la X Squadriglia si accodano alla VII Divisione (Attendolo e Duca d’Aosta, che ha a bordo l’ammiraglio Ferdinando Casardi, comandante della VII Divisione e comandante superiore in mare) ed ai cacciatorpediniere Da ReccoDa MostoDa VerrazzanoPigafetta e Pessagno (questi ultimi due partiti da Trapani, mentre le altre unità sono salpate da Augusta). Data la scarsa visibilità, l’ammiraglio Casardi tiene i cacciatorpediniere in posizione di scorta ravvicinata anche di notte, e fa zigzagare nelle zone dove più probabile è l’incontro con sommergibili avversari.
Alle 7 le navi (le mine saranno posate dagli incrociatori nonché da Pessagno e Pigafetta) iniziano a manovrare per assumere rotta e formazione di posa (Bande Nere, Duca d’AostaAttendoloDi Giussano, in linea di rilevamento 47°, con Pigafetta all’appoggio del Bande Nere e Pessagno all’appoggio del Di Giussano), ed alle 7.45 iniziano a posare le mine, terminando alle 8.57. Il Bande Nere posa, insieme al Pigafetta, la linea "U", la seconda da destra delle quattro: per primo il Pigafetta posa 92 mine E2 con congegno antidragante, poi il Bande Nere posa 130 E2 compiendo, dopo la posa della sua ventesima mina, un’accostata a dritta che modifica la rotta di posa da 25° a 72° (lo fanno tutte le navi, in quel momento, così che lo sbarramento cambia orientamento un po’ oltre la metà, oltre ad aumentare in larghezza: di fatto è una composizione di due sbarramenti uno attaccato all’altro, «S 31» e «S 32»). La distanza tra due mine di una stessa fila è di 100 metri (per le file "U" e "V", mentre nelle due file di sinistra, "S" e "T", è di 150), quella tra le file (le mine di file diverse sono sfalsate tra loro) è di 300 metri fino alla virata a dritta, e di 420 metri dopo la virata. L’operazione di posa, effettuata alla velocità di 10 nodi, avviene con manovre più complesse del solito, poiché sulla terza e quarta linea devono posare le torpedini prima i cacciatorpediniere e poi gli incrociatori, senza soluzione di continuità nel ritmo e nell'equidistanza; le navi danno comunque prova di buon addestramento ed affiatamento in tali operazioni di precisione, sovente effettuate con pochi elementi per la determinazione della posizione, oltre che in zone pericolose per possibili attacchi nemici.
La posa del Bande Nere viene messa a rischio da un pericoloso incidente verificatosi a bordo proprio al momento di cominciare l’operazione: quando la formazione assume la linea di rilevamento 47° e comincia il lancio delle mine, il Bande Nere lascia la sua posizione nella linea di rilevamento ordinata ed avanza fino a portarsi in linea di fronte col Duca d’Aosta, mentre del fumo esce da un locale sotto la plancia. Sul Bande Nere si infatti è verificato un cortocircuito, che ha provocato un piccolo incendio nel locale del materiale antigas, vicino al deposito munizioni di prua (per arginare l’incendio si rende necessario allagare alcuni locali, di ridotta cubatura), nonché la messa fuori uso di girobussola, radiosegnalatore ad ultracorte e contagiri di macchina (quest’ultimo problema ha impedito di mantenere la posizione in linea di rilevamento). L’accaduto viene comunicato dal Comando della IV Divisione alla VII Divisione. Il problema, tuttavia, viene risolto in tempo per poter effettuare regolarmente l’operazione: il Pigafetta, che non ha seguito il Bande Nere ma si è invece mantenuto sul rilevamento del Duca d’Aosta, posa le sue 92 mine come da ordini, ed entro quel tempo il Bande Nere è riuscito a riassumere la sua posizione in formazione, in tempo per posare le sue mine come da disposizioni.
La VII Divisione dirige poi per Taranto; alle 15.11 la IV Divisione viene lasciata libera di raggiungere Palermo, dove giunge alle 16.30.



Il Bande Nere (in primo piano), l’Attendolo (in secondo piano) ed il Duca d’Aosta (sulla destra, con colorazione mimetica) fotografati durante la missione di posa di mine del 7 luglio 1941 (sopra: USMM; sotto: g.c. STORIA militare), verso le ore 7.45. Le tre navi dovrebbero procedere in linea di rilevamento per 135° dal Duca d’Aosta, ma in queste due foto il Bande Nere sta superando l’Attendolo a causa di un’avaria al contagiri di macchina.


12 luglio 1941
L’ammiraglio di divisione Guido Porzio Giovanola, comandante della IV Divisione, trasborda con il suo stato maggiore dal Bande Nere, che cessa così di essere la nave ammiraglia della IV Divisione, al Di Giussano, che assume tale ruolo al suo posto.
16 luglio 1941
Il Bande Nere lascia Palermo alle 5.30, scortato dai cacciatorpediniere Fulmine e Strale, per trasferirsi a La Spezia per un periodo di lavori di grande manutenzione.
17 luglio 1941
Arriva a La Spezia alle 7.45.
18 luglio 1941
Entra nell’Arsenale di La Spezia, ormeggiandosi nella darsena Duca degli Abruzzi, dove iniziano i lavori, che si protrarranno per tre mesi.
Il capitano di vascello Sesto Sestini lascia il comando del Bande Nere per assumere quello della corazzata Giulio Cesare; al suo posto assume il comando dell’incrociatore il capitano di vascello Enrico Mirti della Valle (altra fonte data tale avvicendamento al 9 luglio).
13 agosto 1941
Passa formalmente in riserva, posizione nella quale resterà fino al 20 ottobre. Mentre il Bande Nere è ai lavori, si avvicendano al suo comando, in successione, il capitano di fregata Vittore Raccanelli (che rileva il comandante Mirti della Valle il 7 agosto) ed il capitano di vascello Giorgio Rodocanacchi (dal 22 settembre al 19 ottobre).
12 ottobre 1941
Compie una breve uscita nella rada di La Spezia, allo scopo di eseguire giri di bussola.
16 ottobre 1941
Altra uscita in mare, per tarare il radiogoniometro e compiere esercitazioni di tiro contro manica; scortano il Bande Nere i MAS 507 e 525.
19 ottobre 1941
Assume il comando del Bande Nere il capitano di vascello Ludovico Sitta, che sarà il suo ultimo comandante. Nello stesso giorno, la nave – che è ancora ai lavori – “lascia” la IV Divisione ed assume il ruolo di nave ammiraglia della Forza Navale Speciale, alzando l’insegna dell’ammiraglio di squadra Vittorio Tur.
26 ottobre 1941
Termine dei lavori di grande manutenzione: il Bande Nere è nuovamente operativo. A conclusione dei lavori, la nave riceve la colorazione mimetica, a due tonalità di grigio (fasce di colore grigio scuro su un fondo grigio chiaro): sono i colori rivelatisi come più efficaci per gli scopi mimetici. Quella del Bande Nere è l’ultima colorazione mimetica “sperimentale” tra le tante esaminate dalla Marina italiana nel corso del 1941 e, essendosi rivelata particolarmente riuscita, diverrà la base della colorazione standard adottata nelle Norme per la mimetizzazione delle Regie Navi emanate nel dicembre 1941. (Per altra fonte la colorazione mimetica, decisa da Maristat nel novembre 1941, sarebbe stata applicata al Bande Nere a inizio dicembre).
24 novembre 1941
Esce dalla darsena dell’Arsenale di La Spezia e si porta fino alla diga foranea per eseguire dei giri di bussola; in serata esce in mare per svolgere esercitazioni di tiro notturno.
27 novembre 1941 
Il Bande Nere compie un’altra fugace uscita da La Spezia, per esercitazioni di tiro contro bersaglio rimorchiato, fruendo della scorta delle torpediniere Libra e Giuseppe La Masa e dei MAS 510 e 515.


Il Bande Nere, con la colorazione mimetica da poco ricevuta, a Messina a inizio dicembre 1941 (da www.italie1935-45.com)

9 dicembre 1941
Il Bande Nere cessa di essere sede del Comando della Forza Navale Speciale. Lo stesso giorno, esegue dei giri di bussola presso la diga foranea di La Spezia.
10 dicembre 1941
Lascia La Spezia alle 16.25, diretto in Sicilia, dove dovrà riunirsi al resto della IV Divisione (Da Barbiano e Di Giussano).
11 dicembre 1941
Arriva a Palermo alle 15.05. In serata carica viveri e circa 500 tonnellate di benzina in fusti, che dovrà trasportare in Libia per una missione urgente di trasporto insieme a Da Barbiano e Di Giussano.
Il mese di novembre 1941, durante il quale il Bande Nere era fermo per lavori a La Spezia, si è rivelato per il traffico libico il peggiore dell’intero conflitto: le perdite tra i rifornimenti inviati in Libia hanno sfiorato il 70 %, e quelle tra i carburanti, carico più importante e di conseguenza più bersagliato, hanno toccato il 92 %, livelli mai toccati prima d’allora e mai più raggiunti in seguito.
Approfittando della carenza di rifornimenti creata da tale situazione, il 19 novembre l’VIII Armata britannica è passata all’offensiva con l’operazione "Crusader"; di conseguenza, le truppe italo-tedesche in Nordafrica hanno un disperato bisogno di carburante e munizioni. Stante la gravissima situazione dei trasporti in quel momento, Supermarina, su richiesta del Comando Supremo, ha messo a punto un piano per effettuare trasporti urgenti di essenziali rifornimenti mediante navi da guerra, ossia sommergibili, cacciatorpediniere ed incrociatori. Le quantità di rifornimenti imbarcabili su tali unità sono in realtà assai scarse, e la sistemazione di fusti e latte di benzina, stipate alla meglio nei locali interni disponibili o direttamente in coperta, pone gravi rischi alle navi stesse, che sovente si trovano impossibilitate ad usare il proprio armamento (nel caso di fusti sistemati in coperta) oltre che a rischio di essere incendiate anche solo da un banale mitragliamento, mentre nei locali interni il pericolo è rappresentato dall’accumulo di vapori. Ciononostante, il piano viene attuato, e, pur tra numerose difficoltà e perplessità, la larga maggioranza dei trasporti andrà a buon fine. Ma non sempre.
Bande Nere, Cadorna, Da Barbiano e Di Giussano (che formano la IV Divisione) sono stati scelti per questo pericoloso compito per via delle loro mediocri caratteristiche – scarsissima corazzatura, modeste qualità marine, velocità ormai ridotta dal lungo servizio –, che li rendono ormai inadatti all’impiego di squadra con le altre navi maggiori. Dovranno trasportare in Libia provviste, nafta, gasolio e benzina per aerei, carico quest’ultimo carico di vitale importanza, perché all’inizio del dicembre 1941 la disponibilità di carburante per aerei in Tripolitania è tanto ridotta che a breve non sarà più possibile fornire scorta aerea ai convogli in arrivo.
Per primi, nella notte tra il 9 ed il 10 dicembre, sono stati inviati il Da Barbiano (nave ammiraglia del comandante della IV Divisione, ammiraglio di divisione Antonino Toscano) ed il Di Giussano, trasferiti a questo scopo da Taranto a Palermo. Durante la navigazione verso Tripoli, tuttavia, i due incrociatori sono stati scoperti dalla ricognizione aerea nemica, e l’ammiraglio Toscano, vista così sfumare la sorpresa, ed in considerazione sia del ritardo accumulato sulla tabella di marcia (a causa del maltempo) sia dell’estrema vulnerabilità delle sue navi agli attacchi aerei (basterebbe un semplice mitragliamento per incendiare i fusti di benzina sistemati in coperta), ha deciso di interrompere la missione e rientrare a Palermo.
Proprio a causa di questo rinvio, si rende necessario inviare un maggiore quantitativo di benzina: ed a questo scopo, per aumentare la quantità di rifornimenti trasportati in Libia dalla IV Divisione, si è deciso di includere anche il Bande Nere (capitano di vascello Lodovico Sitta) nella successiva missione, programmata per il 12-13 dicembre, ordinando il suo trasferimento da La Spezia a Palermo per unirsi a Da Barbiano e Di Giussano. Il 13 dicembre deve infatti prendere il via un’operazione complessa di traffico, la «M. 41», con la quale devono essere inviati in Libia tre convogli per totali sei mercantili e dodici cacciatorpediniere, più una scorta indiretta di due corazzate, cinque incrociatori e nove cacciatorpediniere ed una forza d’appoggio di due corazzate, quattro cacciatorpediniere e due torpediniere. Nel tratto finale della navigazione, i convogli dovranno essere scortati dagli aerei di base in Tripolitania: questi, tuttavia, hanno ormai così poco carburante – appena 25 tonnellate in tutto – da non poter più effettuare tale servizio. Per garantire la scorta aerea ai convogli in arrivo in Libia, si è reso necessario programmare una nuova missione della IV Divisione.
Il Bande Nere dovrebbe partire insieme a Da Barbiano e Di Giussano (per altra versione la sua partenza è prevista per il 13 dicembre), ma la sua partenza dev’essere rimandata di ventiquattr’ore a causa di un’infiltrazione di acqua di mare nel condensatore principale di prua, che immobilizza la nave in porto e le impedisce di salpare. (Secondo una fonte, il carico destinato al Bande Nere viene imbarcato sugli altri due incrociatori, ma dal fascicolo della serie "Orizzonte Mare" relativa agli incrociatori tipo Di Giussano apparirebbe invece che il carico del Bande Nere sia rimasto a bordo della nave, venendo poi sbarcato il 15 dicembre, come riportato poco oltre). Da Barbiano e Di Giussano prendono invece il mare come previsto, alle 18.10 del 12 dicembre, alla volta di Tripoli, con il loro carico di benzina: ma i decrittatori britannici dell’organizzazione “ULTRA” hanno intanto intercettato e decifrato alcuni messaggi relativi alla missione, apprendendo che «Gli incrociatori Da BarbianoDi Giussano e Bande Nere debbono lasciare Palermo alle 18.00 di oggi 12 e procedere per Tripoli a 22 nodi, arrivando a Tripoli alle 15 del giorno 13. Essi salperanno da Tripoli nella notte del 14 per ritornare in Italia. Il Bande Nere rientrerà a Palermo, ma la destinazione delle altre due unità non è conosciuta» (i britannici rimarranno all’oscuro del fatto che in realtà il Bande Nere non abbia potuto partecipare alla missione, ed anche a cose fatte – il 13 dicembre – continueranno a ritenere che anche il Bande Nere fosse partito insieme ai due gemelli).
L’avaria si rivelerà provvidenziale per il Bande Nere, salvandolo da distruzione certa: durante la missione, infatti, nella notte tra il 12 ed il 13 dicembre, Da Barbiano e Di Giussano cadranno in un agguato teso da quattro cacciatorpediniere Alleati (tre britannici ed uno olandese) presso Capo Bon, e verranno incendiati e affondati con la morte dell’ammiraglio Toscano e di oltre ottocento uomini.
15 dicembre 1941
A seguito della perdita di Da Barbiano e Di Giussano, l’analoga missione del Bande Nere (che secondo le disposizioni di Supermarina sarebbe dovuto partire, una volta riparata l’avaria, 24 ore dopo gli altri due incrociatori) viene annullata.
Alle 00.10, dopo aver sbarcato la benzina che avrebbe dovuto portare in Libia, il Bande Nere lascia Palermo con la scorta della torpediniera Climene e fa rotta per Messina, dove arriva alle 8.24 seguendo rotte costiere. Ormeggiatosi al pontile Etiopia, in mattinata il Bande Nere sbarca il resto del carico di provviste, poi viene temporaneamente assegnato all’VIII Divisione Navale: ormai la IV Divisione non esiste più.
21-22 dicembre 1941
Mentre si trova a Messina, il Bande Nere riceve ordine di imbarcare viveri e poi di sbarcarli di nuovo.
26 dicembre 1941
Sempre a Messina, giunge l’ordine di imbarcare personale militare e materiali da trasportare a Tripoli, ma in serata tale ordine viene revocato.
3 gennaio 1942
A seguito dello scioglimento della IV Divisione, causato dalla battaglia di Capo Bon, il Bande Nere viene trasferito all’VIII Divisione Navale.



Marinai del Bande Nere assistono ad uno spettacolo di pupi a Messina, inizio 1942; la nave, ormeggiata nel porto, è visibile sullo sfondo (sopra: da www.italie1935-45.com; sotto: g.c. STORIA militare)


12 gennaio 1942
Facendo parte dell’VIII Divisione, il Bande Nere entra a far parte della 2a Squadra Navale.
31 gennaio 1942
Il Bande Nere viene visitato a Messina dal principe ereditario Umberto di Savoia, recatosi in visita in Sicilia insieme al maresciallo tedesco Hermann Göring, comandante della Luftwaffe. Terminata la visita, Umberto e Göring ripartono salutati dagli equipaggi schierati delle navi presenti in porto.
21 febbraio 1942
Alle 17.30 il Bande Nere salpa da Messina precedendo di un’ora gli incrociatori pesanti Trento e Gorizia (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona) ed ai cacciatorpediniere Alpino (caposquadriglia), Alfredo Oriani ed Antonio Da Noli, insieme ai quali forma il gruppo «Gorizia», uno dei due gruppi di scorta indiretta previsti nell’ambito dell’operazione di traffico «K. 7».
Tale operazione vede l’invio in Libia di due convogli, uno salpato da Messina alle 17.30 (motonavi MonginevroRavello ed Unione, cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi – nave ammiraglia del contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone, caposcorta –, Lanzerotto MalocelloNicolò ZenoPremuda e Strale e torpediniera Pallade) e l’altro da Corfù alle 13.30 (motonavi Lerici e Monviso, nave cisterna Giulio Giordani, cacciatorpediniere Antonio Pigafetta – caposcorta, capitano di vascello Enrico Mirti della Valle –, Emanuele PessagnoAntoniotto UsodimareMaestrale e Scirocco e torpediniera Circe). Oltre al gruppo «Gorizia», c’è un secondo gruppo di scorta indiretta, il gruppo «Duilio», formato dall’omonima corazzata (nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini, comandante superiore in mare) insieme a quattro cacciatorpediniere (AviereGeniereAscari e Camicia Nera).
Alle 23.15, la divisione «Gorizia» si unisce al convoglio n. 1 (quello partito da Messina), che prosegue per Tripoli seguendo rotte che passano a circa 190 miglia da Malta.


Il Bande Nere, in primo piano, ed il Gorizia in Mar Ionio durante l’operazione K. 7, il 22 febbraio 1942 (g.c. STORIA militare)

22 febbraio 1942
All’alba del 2 il convoglio n. 1 viene raggiunto anche dal gruppo «Duilio», che lo segue a breve distanza.
Intorno alle 12.45 (per altra versione, verso le dieci), 180 miglia ad est di Malta, i convogli 1 e 2 si riuniscono; il convoglio n. 2 si accoda – con una manovra piuttosto lenta – al convoglio n. 1. La formazione (di cui è caposcorta l’ammiraglio Nomis di Pollone) assume rotta 184° e velocità 14 nodi; sin dalla prima mattina (e fino alle 19.45) volano sul suo cielo aerei tedeschi Junkers Ju 88 e Messerschmitt Bf 110 decollati dalla Sicilia per la sua scorta.
Dalle prime ore del mattino (precisamente, dalle 7.25) compaiono anche ricognitori britannici, che segnalano il convoglio agli aerei di base a Malta; tra le 14 e le 16 si verifica un attacco aereo, che i velivoli della Luftwaffe respingono, abbattendo tre degli aerei attaccanti ed impedendo agli altri di portare a fondo l’attacco (tranne un Boeing B 17 che lancia delle bombe di piccolo calibro contro la Duilio, senza colpirla). La caccia tedesca si rivela particolarmente efficace durante questa operazion; quando l’ammiraglio Bergamini chiede altri aerei mediante il collegamento radio diretto, la richiesta viene prontamente soddisfatta.
La sera del 22, in base agli ordini ricevuti, il gruppo «Duilio» lascia i convogli, che proseguono con la scorta diretta ed il gruppo «Gorizia».
Nella notte seguente il convoglio, che è rimasto diviso in due gruppi (cioè i convogli 1 e 2, che procedono uno dietro l’altro ma separati), viene più volte sorvolato da dei bengalieri nemici (tra le 00.30 e le 5.30 del 23 dei bengala si accendono sul cielo dei convogli), ma non subisce danni, grazie alle manovre ed all’emissione di cortine fumogene.


Un’altra immagine di Bande Nere e Gorizia durante l’operazione K. 7 (da “Mussolini’s Navy” di Maurizio Brescia)

23 febbraio 1942
Poco dopo le otto del mattino sopraggiungono due torpediniere inviate da Marilibia in rinforzo alla scorta, cui l’ammiraglio Parona ordina di unirsi al gruppo «Vivaldi». La foschia impedisce ai due convogli, distanti solo 8-9 miglia, di vedersi, ed alla scorta aerea della Luftwaffe di trovare le navi; le trovano invece, ma solo quelle del gruppo «Gorizia», i caccia italiani FIAT CR. 42 inviati anch’essi per la scorta.
Alle 10.14 del mattino, una novantina di miglia ad est di Tripoli ed al largo di Capo Misurata, la Circe localizza con l’ecogoniometro il sommergibile britannico P 38, che sta tentando di attaccare il convoglio (poco dopo ne viene avvistato anche il periscopio, che però subito scompare poiché il sommergibile, capendo di essere stato individuato, s’immerge a profondità maggiore), e, dopo aver ordinato al convoglio di virare a dritta, alle 10.32 lo bombarda con bombe di profondità, arrecandogli gravi danni. Subito dopo il P 38 affiora in superficie, per poi riaffondare subito: a questo punto si uniscono alla caccia anche l’Usodimare ed il Pessagno, che gettano altre cariche di profondità, e, insieme ad aerei della scorta, mitragliano il sommergibile. L’attacco è tanto violento e confuso che un marinaio, su una delle navi italiane, rimane ucciso dal tiro delle mitragliere, e la Circe deve richiamare le altre unità al loro posto per poter proseguire nella sua azione. Dopo questi ulteriori attacchi, la Circe effettua un nuovo attacco con bombe di profondità, ed alle 10.40 il sommergibile affiora di nuovo con la poppa, fortemente appruato, le eliche che girano all’impazzata ed i timoni orientati a salire, per poi affondare di prua con l’intero equipaggio in posizione 32°48’ N e 14°58’ E. Un’ampia chiazza di carburante, rottami e resti umani marcano la tomba dell’unità britannica.
Intanto, alle 11.25, il sommergibile P 34 (tenente di vascello Peter Robert Helfrich Harrison) avvista su rilevamento 040° il convoglio formato da Ravello, UnioneMonginevro e scortato da StraleVivaldiMalocelloZenoPallade e Premuda, che procede su rotta 250°. Alle 11.49, in posizione 32°51’ N e 13°58’ E (un’ottantina di miglia ad est di Tripoli), il P 34 lancia quattro siluri da 4150 metri di distanza; nessuna nave è colpita, e la scorta inizia alle 11.58 un contrattacco nel quale sono lanciate 57 bome di profondità, alcune delle quali esplodono molto vicine al sommergibile. Il P 34, in ogni caso, riesce ad allontanarsi.
Nel frattempo, alle 10.30, lo Scirocco, come stabilito in precedenza, lascia la scorta del convoglio numero 2 e si aggrega al gruppo «Gorizia», che a quell’ora – essendo ormai il convoglio all’inizio delle rotte costiere per Tripoli, e non presentandosi più rischi di attacchi di navi di superficie – si avvia sulla rotta di rientro.
I convogli giungono indenni a Tripoli tra le 16 e le 16.40 del 23, portando a destinazione in tutto 113 carri armati, 575 automezzi, 405 uomini e 29.517 tonnellate di rifornimenti.
24 febbraio 1942
Il gruppo «Gorizia» arriva a Messina alle 11.40; il Bande Nere giunge in porto un po’ più tardi, alle 13.05.
22 marzo 1942
All’1.05 di notte il Bande Nere (capitano di vascello Ludovico Sitta), aggregato alla III Divisione Navale (incrociatori pesanti Trento e Gorizia), salpa da Messina insieme ad essa ed alla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (Lanciere, Fuciliere, Bersagliere, Alpino), per partecipare all’intercettazione del convoglio britannico «M.W. 10», diretto a Malta. Tale convoglio, partito da Alessandria alle 7 del mattino del 20 marzo, è formato dalla cisterna militare Breconshire e dai piroscafi Clan CampbellPampas e Talbot, con la scorta diretta dell’incrociatore leggero Carlisle e dei cacciatorpediniere Avon ValeDulvertonBeaufortEridgeSouthwold e Hurworth, rinforzata per il tratto più pericoloso dagli incrociatori leggeri DidoEuryalus e Cleopatra e dai cacciatorpediniere HastyHavockHeroSikhZuluLivelyJervisKelvinKingston e Kipling. Quest’ultima forza, il 15th Cruiser Squadron della Royal Nay, è salpata da Alessandria alle 18 del 20 ed è comandata dall’ammiraglio Philip L. Vian. Da Malta si uniscono ad essi, nella giornata del 22 marzo, anche l’incrociatore leggero Penelope ed il cacciatorpediniere Legion.
Il Bande Nere lascia Messina a mezzanotte, ma deve poi aspettare quasi un’ora il Gorizia, il quale ha problemi a lasciare gli ormeggi per via del vento fortissimo. A causa di tale ritardo, Supermarina posticipa di un’ora il previsto arrivo della III Divisione nel punto Beta.
La III Divisione forma il gruppo «Gorizia» (al comando dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona, comandante la III Divisione, con bandiera sul Gorizia), uno dei due usciti in mare per tale missione; l’altro gruppo, denominato «Littorio» (corazzata Littorio, cacciatorpediniere Ascari, Aviere, Oriani e Grecale, più Geniere e Scirocco che però partono in ritardo e di fatto non si riuniranno mai al resto della formazione), parte invece da Taranto. Comandante superiore in mare è l’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, imbarcato sulla corazzata Littorio.
Il primo sentore di una possibile operazione nemica lo si è avuto il 19 marzo 1942, quando da intercettazioni radio è emerso che si trova in mare, a bordo di un incrociatore classe Dido, il comandante delle forze leggere della Mediterranean Fleet, ammiraglio Philip L. Vian. Alle 00.22 del 20 marzo è stato intercettato un telegramma di precedenza assoluta trasmesso a Malta, e da ciò è derivata l’impressione che le navi britanniche siano in movimento da Alessandria verso Malta; il mattino del 21 un ricognitore Junkers Ju 88 del X Fliegerkorps tedesco ha avvistato un convoglio di tre piroscafi e quattro cacciatorpediniere con rotta ovest, una quarantina di miglia a nord di Sidi el Barrani. Successivi ulteriori avvistamenti e decrittazioni di messaggi britannici hanno confermato che il convoglio dirige verso ovest a 14 nodi di velocità. Rilevamenti radiotelegrafici e segnalazioni di un U-Boot tedesco, nella sera e notte del 20-21 marzo, hanno confermato l’esistenza di importante traffico nemico al largo dell’Egitto, anche se si è ritenuto che il convoglio avvistato dallo Ju 88 sia diretto a Tobruk e non a Malta (per quanto anche questa possibilità non venga categoricamente esclusa), il che appare anche dalle comunicazioni intercettate, nelle quali il convoglio riferisce ad Alessandria i propri movimenti.
Quello stesso giorno un secondo convoglio, dal nome convenzionale di «Empire», è stato avvistato alle 2.21 da un U-Boot tedesco, 28 miglia a nord-nord-ovest di Sidi el Barrani, con rotta nordovest; alle 16.30 lo stesso convoglio è stato avvistato anche dal sommergibile italiano Platino (tenente di vascello Innocenzo Ragusa), il quale ha riferito che un incrociatore leggero, quattro cacciatorpediniere e tre grossi piroscafi si trovano a 48 miglia a sud-ovest di Gaudo (Creta), con rotta 320°.
Alle 16.58 un altro ricognitore Ju 88 del X Fliegerkorps ha avvistato davanti al convoglio, cento miglia a nord di Derna, un gruppo di circa 14 navi da guerra, tra cui tre di grandi dimensioni. Alle 18 Supermarina, stimando che il convoglio sia diretto a Malta, accompagnato da un gruppo leggero di scorta composto da non più di tre incrociatori ed alcuni cacciatorpediniere, oltre ad alcune altre navi partite da La Valletta nella notte tra il 21 ed il 22 marzo (nel pomeriggio ricognitori tedeschi hanno avvistato in quel porto delle bettoline di rifornimento affiancate ad un incrociatore ed un cacciatorpediniere), ha deciso di intervenire con la flotta da battaglia, ossia la Littorio e la III Divisione Navale, più le relative squadriglie di cacciatorpediniere. Per la III Divisione l’ordine operativo è: «Terza Divisione con BANDE NEREALPINOFUCILIERELANCIEREBERSAGLIERE escano appena pronti regolando navigazione modo trovarsi ore 080022 punto Beta latitudine 3540 longitudine 1740 quindi incrocino zona venti miglia attorno detto punto attesa risultati ricognizioni», mentre il gruppo «Littorio» riceve i seguenti ordini: «Nave LITTORIO et sei C.T. escano ore et dirigano vela 24 rotta 150 fino meridiano 18 quindi rotta sud fino punto Alfa latitudine 3530 longitudine 1800 dove dovrà giungere ore Terza Divisione con BANDE NERE ALPINO FUCILIERE LANCIERE BERSAGLIERE escano appena pronti regolando navigazione modo trovarsi ore punto Beta latitudine 3540 longitudine 1740 quindi incrocino zona venti miglia attorno detto punto attesa risultati ricognizioni».
Lasciata Messina, il gruppo «Gorizia» procede a 24 nodi lungo la costa calabrese sino a 4 miglia da Capo Spartivento, poi, alle 2.52, accosta assumendo rotta 150° verso il punto prestabilito «B» (a 160 miglia per 95° da Malta), a 25 nodi. Le navi vengono poi raggiunte da Junkers Ju 88 tedeschi del I./NJG.2, che ne assumono la scorta. Alle 7.30 il Gorizia catapulta un idrovolante da ricognizione, che deve però rientrare subito a Siracusa per guasto al motore; alle 8.16, pertanto, è il Bande Nere a catapultare il suo idroricognitore IMAM Ro. 43, con l’incarico di esplorare il settore compreso tra 124° e 144° (cioè verso levante, dove si presume essere il nemico) fino a 120 miglia di distanza. L’idrovolante compie esplorazione verso sudest per un centinaio di miglia, ma non avvista alcunché, dopo di che dirige per Augusta. In effetti, quando il Bande Nere ha catapultato il ricognitore la formazione britannica si trovava davvero in una direzione compresa nel settore assegnato all’aereo per l’esplorazione, ma a distanza maggiore del previsto (160 miglia) nonché con una ridotta componente di avvicinamento sulla bisettrice del settore, a causa della sua rotta verso ovest. Ad avvistare le navi britanniche sono invece aerei del II Corpo Aereo Tedesco (bombardieri ed aerosiluranti) ed un ricognitore catapultato dal Trento.
Il gruppo «Gorizia» passa all’altezza del punto «B» alle 9.11, in orario rispetto alla tabella di marcia aggiornata, e prosegue con rotta 150°, riducendo la velocità a 20 nodi, fino alle 9.48, dopo di che inverte la rotta, come ordinato da Supermarina, ed inizia ad incrociare nella zona del punto «B», aspettando che giungano notizie sul nemico (poco dopo le 10, il gruppo ha rotta 330° e velocità 20 nodi). Arriva la notizia che gli aerosiluranti di base in Libia hanno attaccato un convoglio nemico formato da almeno 15 navi, 130 miglia a nord di Bengasi.



Il Bande Nere durante un’accostata per contromarcia ad alta velocità della III Divisione in Mar Ionio, il mattino del 22 marzo 1942 (sopra: g.c. STORIA militare; sotto: g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)


Alle 10.40, per ordine dell’ammiraglio Iachino (impartito alle 10.20), la III Divisione accosta per 160° (più tardi per 165°) per stabilire contatto visivo con le forze britanniche, quindi la XIII Squadriglia si porta in posizione di scorta avanzata e poi la formazione assume una velocità di 30 nodi. A causa del mare sempre più agitato da sudest (ormai forza 5 in peggioramento, con forte vento da scirocco), alle 12.12 l’ammiraglio Parona ordina di ridurre la velocità a 28 nodi per non causare eccessivi problemi ai cacciatorpediniere; alle 13.32, per gli stessi motivi, la velocità dev’essere ulteriormente ridotta a 26 nodi, e le navi accostano per 180°. Alle 13.40 la formazione assume rotta 210°. Alle 13.42 il gruppo «Gorizia» si dispone perpendicolarmente alla probabile direzione di avvistamento dei britannici, con il Gorizia al centro, Trento e Bande Nere alla sua sinistra su rilevamento 90° e la XIII Squadriglia alla sua dritta su rilevamento 270°, ad una distanza di 4000 metri. Gli ordini per la III Divisione sono di prendere contatto visivo con il nemico senza impegnarsi prima della riunione con il gruppo «Littorio». La direzione di probabile avvistamento del nemico, determinata in base alle informazioni comunicate dagli aerei (non sempre concordi in merito alla posizione degli avvistamenti), si rivela poi essere esatta: le navi nemiche vengono avvistate verso le 14.20, su rilevamento 185° (a 23.000 m)-170°-160°. Il Bande Nere, in particolare, avvista due piroscafi ed alcune navi da guerra alle 14.22. Le navi britanniche, dal canto loro, avvistano prima dei fumi alle 14.17 (l’Euryalus) e poi (Euryalus e Legion) le navi italiane alle 14.27; l’ammiraglio Vian identifica erroneamente i tre incrociatori italiani, alle 14.34, per altrettante corazzate, distanti 12 miglia.
Dopo l’avvistamento, le navi di Parona accostano per 250° (per sudovest), come prestabilito, allo scopo di assumere rotta convergente a quella delle navi britanniche, ma restando al contempo in grado di fare fuoco con tutte le artiglierie principali. Ha così inizio l’avvicinamento al nemico; le condizioni di visibilità sono altalenanti, il cielo è parzialmente coperto da nuvole basse.
L’Avon Vale, il Carlisle e le navi della "Strike Force" di Vian iniziano ad emettere fumo. Alle 14.44, mentre il convoglio viene rapidamente nascosto da cortine nebbiogene (dopo soli 40 secondi dall’avvistamento, le navi britanniche sono completamente avvolte dalla cortina fumogena, che offusca anche una vasta zona di mare tutt’intorno; il vento spinge il fumo verso le navi italiane) ed accosta per 210° in modo da allontanarsi verso ovest-sud-ovest (scortato dal Carlisle e dai cacciatorpediniere della scorta diretta), gli incrociatori britannici (disposti in colonne, per divisione, e guidati dal Cleopatra), dirigono contro quelli italiani per difendere il convoglio, assumendo rotta ovest-nord-ovest. La III Divisione, come precedentemente ordinato, fa rotta verso nord per attirarli verso il gruppo «Littorio» (corazzata Littorio, cacciatorpediniere AscariAviereOriani e Grecale): il piano dell’ammiraglio Iachino, che si aspetta che le navi britanniche inseguano quelle italiane, è di attirare il nemico tra il gruppo «Gorizia» da una parte ed il gruppo «Littorio» dall’altra. (Per una fonte, l’accostata verso nord della III Divisione sarebbe avvenuta alle 14.29). Questo piano è stato in seguito oggetto di critiche, perché di fatto porterà ad una sospensione del combattimento per quasi un’ora e mezza (dalle 15.15 alle 16.37): tempo prezioso fatto perdere alle navi della III Divisione, che in quel lasso di tempo avrebbero potuto, anche senza l’appoggio della Littorio, infliggere gravi danni a quelle di Vian. Invece, questa perdita di un’ora e mezza contribuirà poi a far sì che il calare dell’oscurità ponga fine alla battaglia prima che le navi italiane riescano a raggiungere il convoglio od infliggere danni significativi alla scorta. Iachino negherà, in seguito, di aver dato tale ordine, registrato da Parona nel suo rapporto di missione, nonché da quest’ultimo riferito a voce nel primo rapporto telefonico fatto a Supermarina alla fine della missione e nel successivo primo breve resoconto telegrafico: probabilmente, rileva lo storico Francesco Mattesini, perché Iachino si è reso conto, a posteriori, di aver dato un ordine controproducente.
Avvicinandosi, gli incrociatori di Vian escono dalla cortina nebbiogena che i cacciatorpediniere britannici hanno steso sulla formazione, e risulta così possibile stabilire il contatto balistico: alle 14.35, mentre corrono verso nord, gli incrociatori di Parona aprono il fuoco con le torri poppiere, da 21.700 metri di distanza. Il tiro italiano risulta piuttosto intermittente, perché la visibilità dei bersagli è altalenante: le navi nemiche vengono impegnate ogni volta che escono dalla nebbia, ma questo accade solo di quando in quando; inoltre, il mare mosso fa rollare e beccheggiare fortemente le navi ed il vento soffia schiuma contro i telemetri, rendendo pressoché impossibile – insieme al fumo ed alle grandi distanze – una mira accurata. Alle 14.43 le navi di Parona interrompono il tiro e poi lo riprendono dieci minuti dopo, mentre gli incrociatori britannici descrivono un ampio semicerchio, virando a nordest alle 14.33 per diffondere ulteriormente il fumo, e poi a nordovest alle 14.56, ora in cui il Cleopatra e l’Euryalus iniziano a rispondere al fuoco (per la prima volta dall’inizio dello scontro) da una distanza di 19.000 metri, prendendo di mira il Bande Nere. Le salve sparate dalle navi di Vian risultano ben presto assai centrate, specialmente sul Bande Nere (che risulterebbe essere stato impegnato dal Cleopatra e dall’Euryalus dalle 14.56 alle 15.09, ora nella quale la distanza diviene eccessiva per la portata delle artiglierie britanniche), che viene inquadrato ma non colpito dalle salve nemiche, nonostante parecchi colpi gli cadano tutt’attorno. Parimenti, il tiro del Bande Nere inquadra il Cleopatra e l’Euryalus ma senza colpire. A causa del fumo, poche navi britanniche, eccetto Cleopatra ed Euryalus, avvistano quelle italiane; e di esse soltanto il cacciatorpediniere Lively spara qualche colpo.
Alle 15.06 Vian si rende conto di avere di fronte degli incrociatori, e non delle corazzate (anche se sbaglia ancora a quantificarne il tipo ed il numero, credendo trattarsi di un incrociatore pesante e tre incrociatori leggeri), che navigano in linea di fronte su uno schieramento ampio circa 2 miglia e rotta stimata 200°; i primi colpi italiani, che cadono molto corti, sono stati visti alle 14.36. Le navi britanniche accostano prima ad est, poi a sud e poi di nuovo ad ovest, per non allontanarsi dal convoglio; il gruppo «Gorizia» le asseconda, mantenendo il contatto balistico e variando la distanza in base alla visibilità ed agli ordini di tenere il nemico agganciato, ma senza impegnarsi a fondo. Alle 15.10 la III Divisione, che ha ridotto la velocità a 25 nodi, viene inquadrata da numerose salve d’artiglieria, molto rapide, sparate da circa 20.000 metri di distanza: esse inquadrano con particolare precisione il Bande Nere, ma nessun colpo va a segno.
Tra le 15.09 e le 15.15 uno degli incrociatori italiani inizia a centrare le sue salve su Cleopatra ed Euryalus, anche dopo che questi si sono ritirati dietro la cortina nebbiogena; il Cleopatra reagisce sparando anch’esso alcune salve contro la nave italiana, ed alle 15.15 le unità avversarie accostano entrambe in fuori. Alle 15.13 gli incrociatori italiani cessano il tiro; quando le unità nemiche accostano di nuovo verso nord, il gruppo «Gorizia» cerca di nuovo di portarle verso il gruppo «Littorio», ormai vicino, che avvista alle 15.23 ad una distanza di 15 km. La III Divisione riduce pertanto la velocità a 20 nodi ed accosta per assumere la posizione assegnata in formazione, cioè a sinistra della Littorio (durante la battaglia, la posizione relativa della III Divisione rispetto alla Littorio varierà più volte nelle diverse fasi del contatto balistico; alla fine la Divisione si ritroverà grosso modo a poppavia dritta della corazzata). La riunione avviene alle 15.30.
Mentre le unità di Parona e di Vian erano impegnate in questo primo scambio di colpi, il convoglio è stato attaccato da bombardieri tedeschi Junkers Ju 88, che sono stati respinti dal furioso tiro contraereo del Carlisle e dell’Avon Vale (che durante tale azione sono entrati in collisione tra di loro, ma senza riportare danni gravi).
Alle 15.20 gli incrociatori britannici accostano di nuovo verso sud (o sudovest) per riunirsi al convoglio (alla stessa ora, il Gorizia avvista la Littorio verso nord), e la prima fase dello scontro volge al termine. Il convoglio torna ad assumere l’originaria rotta verso ovest. Vian, non a conoscenza della manovra italiana, ritiene di aver respinto il nemico e così comunica al suo superiore, ammiraglio Cunnignham, alle 15.35. Le navi di Vian si ricongiungono col convoglio alle 16.30; dato che i cacciatorpediniere classe “Hunt” della scorta diretta hanno già consumato gran parte del proprio munizionamento contraereo, Vian ordina a due dei suoi gruppi (il primo e quello incaricato di emettere fumo) di unirsi alla scorta diretta.
Il tempo va peggiorando: il vento aumenta, fino a 30 nodi, e la schiuma delle onde genera una sorta di foschia bassa, con conseguente mediocre visibilità.
Una volta riuniti i due gruppi, la flotta italiana si dispone con la III Divisione in linea di fronte a sinistra (ad est) della Littorio, così da avere uno schieramento perpendicolare al probabile rilevamento delle forze nemiche; poi, data anche la sua eterogeneità, la III Divisione viene lasciata a 5 km di distanza dalla corazzata, per garantirle maggiore scioltezza. (Per una fonte, la squadra italiana si dispone in linea di rilevamento, con la III Divisione ad ovest-nord-ovest della Littorio). Successivamente, la III Divisione passa alla formazione in linea di fila nell’ordine Gorizia (in testa), Trento (al centro), Bande Nere (in coda).
L’ammiraglio Iachino, cui risulta che gli incrociatori nemici stiano navigando verso sud ad alta velocità, ritiene che il convoglio abbia deviato per sudovest, e decide di manovrare per tagliargli la strada; alle 16.18 giunge una comunicazione di un aereo che riferisce che il nemico si trova a 30 miglia di distanza, 10° di prora a sinistra, con rotta 255°, e Iachino ordina di accostare per 230° per intercettarlo. Altra decisione criticata è quella di Iachino di seguire, dopo la riunione dei gruppi, una rotta verso sudovest (per “tagliare il T” alla formazione nemica, secondo una fonte); rotta infatti più diretta, ma che porterà le navi italiane ad essere sottovento rispetto a quelle britanniche, col conseguente rischio di essere accecata (come poi accadrà) dal fumo e dalle cortine nebbiogene emesse dalle navi britanniche.
Alle 16.31 la squadra italiana (più precisamente, la Littorio) avvista di nuovo quella britannica per rilevamento 210° (circa dieci miglia più ad ovest di quanto previsto in base alle segnalazioni degli aerei); contestualmente, un idroricognitore catapultato dalla Littorio avvista il convoglio a 10 miglia per 240° dagli incrociatori britannici (cioè al di là di questi ultimi), su rotta 270°. In base a queste informazioni, Iachino ordina di accostare a dritta e poi di dirigere verso ponente.
Le prime navi britanniche ad avvistare quelle italiane sono lo Zulu (che vede 4 navi di tipo imprecisato a 9 miglia di distanza, verso nordest in direzione 42°) e l’Euryalus (che avvista tre incrociatori per 35°, a 15 miglia di distanza), alle 16.37 ed alle 16.40; la III Divisione avvista a sua volta il nemico alle 16.40, di prora. La squadra italiana si dispiega subito sulla dritta, accostando in successione per 90°, per 290° e per 270°, ed alle 16.43 viene aperto il fuoco da entrambe le parti; allo stesso tempo, alle 16.40, anche la formazione britannica dirige incontro a quella italiana per affrontarla (eccetto i cacciatorpediniere Jervis, Kipling, Kingston e Kelvin, che invece stendono un’altra cortina fumogena tra le navi italiane ed il convoglio), assumendo rotta nord-nord-est. Le condizioni di visibilità sono già di per sé pessime, ed a peggiorarle ulteriormente le navi britanniche emettono di nuovo copiose cortine fumogene: l’orizzonte nella direzione del nemico appare estremamente confuso; delle navi britanniche si vedono soltanto i fumi e occasionalmente qualche scafo, che appare parzialmente di quando in quando. Il Bande Nere è dotato di apparecchiature per la stabilizzazione del tiro con forte moto ondoso, ma queste non sembrano funzionare granché.
L’azione di fuoco delle navi italiane si svolge in due periodi, tra le 16.43 e le 17.16, prendendo di mira gli incrociatori britannici che emergono dalla cortina nebbiogena; nella prima fase, tra le 16.43 e le 16.52, mentre le distanze calano da 17.000 metri a 14.000 metri, il tiro italiano si concentra sugli incrociatori Dido, Penelope, Cleopatra ed Euryalus e sul cacciatorpediniere Legion. Il tiro delle navi italiane è molto intenso, ma saltuario, in quanto i bersagli appaiono e scompaiono nella nebbia artificiale.


Una foto scattata sul Bande Nere durante la seconda battaglia della Sirte (dal saggio di Francesco Mattesini su www.societalitalianastoriamilitare.org)

Alle 16.44 è proprio il Bande Nere ad ottenere un colpo a segno: un proiettile da 152 mm della seconda salva sparata da questo incrociatore colpisce infatti il Cleopatra (capitano di vascello Guy Grantham), nave ammiraglia di Vian, esplodendo nell’angolo destro poppiero della controplancia. Il colpo del Bande Nere distrugge la centrale per il tiro contraereo e la colonnina di punteria del tiro illuminante del Cleopatra, fa cadere tutte le antenne radio tranne una (ed anche i fasci di sagole, tranne uno) e provoca tra l’equipaggio dell’incrociatore britannico 15 morti, tra cui un ufficiale, e 5 feriti, tra cui un altro ufficiale; l’ammiraglio Vian, che si trova anche lui in controplancia, rimane invece illeso. (Secondo alcune fonti, il colpo del Bande Nere avrebbe danneggiato o persino distrutto le torri poppiere del Cleopatra, ma sembra trattarsi di un errore. Qualche fonte menziona che il colpo a segno avrebbe messo fuori uso, oltre alla radio, anche il radar del Cleopatra, o che avrebbe distrutto due mitragliere contraeree della nave britannica).
Occorre menzionare che secondo la stima dell’ammiraglio Iachino, a colpire il Cleopatra non sarebbe stato il Bande Nere, dato che quest’ultimo è la nave della linea di tiro più lontana da quelle nemiche, bensì i pezzi secondari da 152 mm della Littorio. Da parte britannica, tuttavia, il colpo sul Cleopatra è attribuito al Bande Nere, e questa versione è quella usualmente accreditata dalla totalità delle fonti.
Subito dopo essere stato colpito, il Cleopatra accosta verso ovest e ripiega, portandosi dietro la cortina di nebbia artificiale, cessando momentaneamente il fuoco alle 16.48. Anche dopo l’accostata, per alcuni minuti, le salve italiane continuano ad essere ben centrate; il Cleopatra non subisce altri colpi a bordo, ma una scheggia di un proiettile caduto vicino uccide un altro membro dell’equipaggio. Dido, Penelope e Legion, che hanno aperto il fuoco sugli incrociatori italiani alle 16.44 (senza riuscire ad osservarne i risultati, causa la nebbia ed i colpi di mare), imitano la manovra della loro nave ammiraglia.
Durante la prima fase del combattimento il tiro britannico è ben centrato, ed il Bande Nere stesso si ritrova inquadrato da salve dell’Euryalus e del Cleopatra, sparate da 19.000 metri, ma non viene colpito (nessuna nave italiana viene colpita dal tiro britannico; soltanto schegge di proiettili scoppiati molto vicini cadono a bordo).
Le navi italiane sospendono il fuoco alle 16.52 e lo riprendono alle 17.03, dopo una pausa di undici minuti; il tiro italiano risulta diretto contro sagome che appaiono molto vaghe, delle quali s’intravedono in mezzo alla nebbia artificiale le vampe dei cannoni. La distanza delle navi britanniche è stimata in 10.000 metri. Alle 17.11 viene nuovamente cessato il fuoco, dato che le navi di Vian sono interamente avvolte dalla nebbia e non si riesce più a vedere niente. Da parte britannica, tra le 17.01 e le 17.12 Cleopatra ed Euryalus impegnano le navi italiane, che riescono a vedere piuttosto vagamente, a distanza di circa 14.000 metri; tra le 17.03 e le 17.10 anche Dido, Legion e Penelope aprono il fuoco, concentrandosi sull’incrociatore italiano più ad ovest. Diverse salve britanniche cadono vicinissime alla III Divisione, ma nessuna va a segno. Alle 17.07 le navi italiane, ritenendo erroneamente di aver avvistato delle scie di siluri (in realtà, non risulta che siano stati lanciati siluri da parte britannica in questa fase, anche se i cacciatorpediniere Hero, Havock, Lively e Sikh manovrarono per portarsi in posizione favorevole al lancio), accostano per 290°, ma poco dopo tornano ad assumere rotta 270°.
Il mare grosso, le condizioni di visibilità in progressivo deterioramento e le cortine nebbiogene continuamente emesse dalle navi britanniche (praticamente ininterrottamente dalle 14.42 alle 19.13) per occultare sia i loro movimenti che il convoglio complicano molto il puntamento per le navi italiane. Il vento, che spira a 25 nodi, spinge la nebbia artificiale verso le navi di Iachino.
Alle 17.18 la formazione italiana accosta per 240° ed alle 17.25 per 250°, riducendo la velocità a 20 nodi, per accerchiare la forza nemica da ovest; dato però che le unità britanniche si trovano sottoposte a continui e pesanti attacchi aerei (protrattisi fino alle 19.25, e dei quali le navi italiane hanno sentore sia perché gruppi di bombardieri ed aerosiluranti passano non lontano da loro, sia perché si nota il forte tiro contraereo sopra la cortina nebbiogena che nasconde le navi), Iachino decide alle 17.31 di approfittarne e tagliare verso sud, assumendo rotta 200°, per ridurre le distanze. Le navi di Vian hanno ricominciato anche a sparare sulle unità italiane, con grande intensità e considerevole accuratezza, ma senza colpire niente.
Si riprende il fuoco, ed alle 17.20 il cacciatorpediniere britannico Havock viene colpito ed immobilizzato (riesce poi a rimettere in moto a 16 nodi, e Vian gli ordina di unirsi al convoglio, non essendo più in grado di partecipare al combattimento); il tiro viene più volte sospeso e ripreso, anche in conseguenza della pessima visibilità causata dal maltempo e della nebbia artificiale che ormai aleggia un po’ ovunque. Alcuni cacciatorpediniere britannici (Lively, Sikh, Hero) tentono di portarsi in posizione idonea a lanciare i siluri, ma rinunciano poco dopo. La battaglia si frammenta in molti episodi minori, in cui entrambe le parti commettono errori di valutazione, si avvicinano e si allontanano a più riprese. Il capoconvoglio britannico, imbarcato sulla cisterna Breconshire, vorrebbe proseguire verso Malta ed alle 17.20 fa accostare verso ovest con tale proposito, ma dieci minuti dopo Vian, intuendo che la manovra italiana mira ad aggirare il convoglio passando ad ovest della cortina nebbiogena, ordina che il convoglio diriga nuovamente verso sud. Il tira e molla continua: il capoconvoglio accosta di nuovo per sudovest alle 17.45, e Vian lo fa tornare verso sud alle 18.
Prosegue, intanto, il combattimento tra le contrapposte formazioni: alle 17.40 le navi italiane, ridotte le distanze fino a 14.000 metri, riaprono il fuoco sugli incrociatori britannici (i quali governano alternativamente verso est e verso ovest, emettendo nebbia artificiale per nascondere il convoglio), che appaiono di quando in quando in mezzo alla nebbia, continuando a loro volta un tiro serrato. Alle 17.52, anche se la distanza è calata a 13.000 metri, da parte italiana viene sospeso il tiro, per la visibilità troppo cattiva, mentre da parte britannica si continua a fare fuoco con l’ausilio del radar, ma senza colpire. Un minuto dopo la formazione italiana accosta per 220°. Lo stato del mare va sempre peggiorando, degenerando a poco a poco in una vera e propria tempesta: avendo il mare approssimativamente al traverso al sinistra, Trento e Gorizia rollano in media di 10°-12°, ed il Bande Nere di ben 24°-27° (in proposito di quest’ultimo, la storia ufficiale della Marina commenta testualmente: «Questi incrociatori leggeri, molto stretti rispetto alla lunghezza (L=169 m, l=15,5 m), alti di bordo e con cospicue sovrastrutture, erano le navi meno atte a reggere il mare di fianco che noi possedessimo»). Alle 17.56 le navi italiane, per ridurre il violento rollio causato dalla tempesta ed al contempo evitare di modificare l’orientamento dello schieramento rispetto al nemico (che si trova a circa 13 km di distanza per 160°), accostano ad un tempo per 250°, ed alle 18.10 assumono rotta 280°, allontanandosi dalle navi britanniche (che verso le 18 vengono attaccate da aerosiluranti, visti passare nelle vicinanze dalle navi italiane), che cessano così il fuoco.
Le unità britanniche si avvicinano ed attaccano, infruttuosamente, con i siluri: il Cleopatra lancia infruttuosamente tre siluri contro la Littorio; Dido, Penelope, Legion, Hasty e Zulu tentano anch’essi di lanciare i propri siluri, ma non ci riescono per via della nebbia, della scarsa visibilità, delle distanze, del vento e del mare sempre più mosso. Poi, tutte le navi britanniche ripiegano verso est, allontanandosi da quelle italiane.
Alle 18.20 la squadra italiana, i cui due gruppi procedono a poca distanza l’uno dall’altro, assume rotta 220° ed alle 18.27 rotta 180°, per avvicinarsi al convoglio britannico ed obbligarlo ad allontanarsi da Malta; i vari gruppi in cui è divisa la squadra britannica, intanto, si riuniscono verso ovest/nordovest per concentrare l’offesa contro le unità di Iachino, mentre il convoglio torna a dirigere verso ovest alle 18.25 e poi di nuovo verso sud alle 18.40.
Alle 18.31 le navi italiane, ora disposte in linea di fila con la Littorio in testa, aprono di nuovo il fuoco da 15.000 metri verso il nemico, che si trova poco a proravia del loro traverso a sinistra; le navi britanniche reagiscono concentrando il fuoco su Littorio e Gorizia. Nello stesso momento tutti i gruppi britannici convergono in un punto situato 15 miglia a sudest della Littorio, tra quest’ultima ed il convoglio (che in quel momento è 23 miglia a sudest della corazzata italiana), per poi andare all’attacco silurante. Tale attacco, deciso e ordinato fin dalle 17.59, ha inizio alle 18.27 e si conclude alle 18.41; i cacciatorpediniere britannici, divisi in gruppi, serrano le distanze, alcuni fino a soli 5500 metri (mentre tra gli incrociatori il Cleopatra, che appoggia i cacciatorpediniere con le sue artiglierie, si avvicina fino a 9000 metri), e lanciano i loro siluri, intensamente controbattuti dal tiro delle navi italiane. Nessuno dei siluri lanciati va a segno; durante l’attacco, alle 18.41, il tiro del Trento colpisce il cacciatorpediniere Kingston, che viene immobilizzato con gravi danni ed incendio a bordo, mentre alle 18.52 il Lively subisce danni e allagamenti per schegge di una salva della Littorio caduta vicinissima. Il combattimento è accanito; le navi italiane sparano con tutte le artiglierie, compresi i pezzi secondari da 100 mm degli incrociatori.
Nonostante l’attacco dei cacciatorpediniere, la flotta italiana prosegue a 22 nodi sulla rotta 180°; alle 18.45 tutte le unità accostano a un tempo per 295°, per evitare i siluri, riducendo poi la velocità a 20 nodi. Uno dei siluri passa poco a proravia della Littorio, altri cinque o sei passano in mezzo alle navi. Alle 18.51 Iachino ordina a tutte le navi di accostare per 330° ed accelerare a 26 nodi, per allontanarsi rapidamente dalla zona degli attacchi siluranti, anche perché la visibilità è sempre più ridotta causa la nebbia in aumento (il vento di Scirocco la spinge verso le navi italiane) ed il mare sempre più mosso. Proprio durante l’accostata, si verifica l’unico colpo a segno ottenuto dai britannici nel corso della battaglia: un proiettile da 120 mm, sparato da uno dei cacciatorpediniere, colpisce la Littorio a poppa, causando qualche danno di modesta entità. Più o meno in questa fase, mentre la battaglia navale volge al termine, le navi britanniche vengono attaccate senza successo da dodici aerosiluranti Savoia Marchetti S.M. 79 “Sparviero”, decollati da Catania, tre dei quali vengono abbattuti, e da alcuni bombardieri tedeschi.
Il fuoco viene cessato da entrambe le parti tra le 18.56 e le 18.58 (per altra fonte, l’ultima azione di fuoco da parte italiana sarebbe stata dalle 18.46 alle 18.48), e poco dopo si perde il contatto, mentre cala il buio: termina così, in modo inconcludente, la seconda battaglia della Sirte. Calato il buio, infatti, la flotta italiana, piagata dalla scarsa preparazione al combattimento notturno (nel quale i britannici sono invece esperti), non sarebbe in grado di dare battaglia, e per giunta i cacciatorpediniere sono ormai a corto di carburante: si torna dunque alle basi, ordine che viene confermato da Supermarina alle 20.
Bande Nere, Trento, Gorizia e Littorio hanno sparato complessivamente 1511 colpi di grosso e medio calibro (112 da 152 mm il Bande Nere; 336 da 203 mm e 20 da 100 mm il Trento; 226 da 203 e 67 da 100 il Gorizia; 181 da 381 mm, 445 da 152 mm e 21 da 90 mm la Littorio; più 84 da 120 mm il cacciatorpediniere Aviere); gli incrociatori britannici hanno sparato tra i 1600 ed i 1700 colpi, ed i loro cacciatorpediniere circa 1300. Da parte britannica sono stati danneggiati in modo serio il Cleopatra ed i cacciatorpediniere Kingston, Havock e Lively, ed in modo meno grave l’incrociatore Euryalus ed i cacciatorpediniere Sikh, Lance e Legion, mentre da parte italiana non si sono avuti danni tranne quelli, pressoché irrilevanti, causati dal colpo da 120 a segno sulla Littorio. Questi danni contribuiranno ad indebolire non poco la Mediterranean Fleet, almeno temporaneamente, per quanto concerne il numero di siluranti a disposizione (tra quelli colpiti durante la battaglia e le unità danneggiate da aerei e sommergibili negli stessi giorni, ben tredici cacciatorpediniere della Mediterranean Fleet si ritrovano danneggiati in modo più o meno grave), ma dati i rapporti di forza nella battaglia sarebbe stato lecito aspettarsi, da parte italiana, un risultato più favorevole. Il convoglio, obiettivo dell’attacco, è infatti scampato indenne alle navi italiane, anche se la perdita di tempo causata dalle deviazioni di rotta imposte dalla battaglia faciliterà gli attacchi aerei che porteranno, nelle ore successive, alla sua distruzione.
Alle 19.06 la formazione italiana accosta verso nord, per rientrare alle basi, e poco dopo si dispone in un’unica linea di fila (navi maggiori), con i cacciatorpediniere in posizione di scorta laterale ravvicinata; alle 19.20 la velocità viene ridotta a 24 nodi, ed alle 19.48, calato completamente il buio, la XIII e la XI Squadriglia vengono posizionate a poppavia delle navi maggiori in doppia colonna, XIII Squadriglia a dritta e XI a sinistra.
Alle 19.13, intanto, le navi britanniche cessano l’emissione di nebbia, ritenendo che ormai la forza italiana non si ripresenterà: il convoglio viene finalmente autorizzato a procedere verso Malta (in formazione diradata, per rendere più difficile il lavoro dei bombardieri ed aerosiluranti italo-tedeschi), mentre le navi di Vian fanno ritorno ad Alessandria (tranne Havock e Kingston, mandati a Malta con il convoglio in considerazione dei danni subiti, ed il Lively, inviato a Tobruk per lo stesso motivo). Il convoglio britannico subirà gravi perdite l’indomani, ormai praticamente sulla porta di casa: gli attacchi aerei dell’Asse affonderanno la Breconshire ed il piroscafo Clan Cambpell e metteranno fuori uso il cacciatorpediniere Legion (portato all’incaglio, e poi distrutto durante le riparazioni da altri bombardamenti su Malta, come pure il Kingston), mentre il cacciatorpediniere Southwold affonderà per urto contro una mina; i due piroscafi superstiti, Pampas e Talabot, verranno affondati in porto dai bombardamenti, così che di 25.000 tonnellate di rifornimenti portati dal convoglio meno di 5000 giungeranno a destinazione.
Il maltempo, frattanto, è ormai degenerato in una vera e propria tempesta: col mare grosso al traverso, le navi rollano fortemente, ed il Bande Nere, unità dalla stabilità non eccelsa, sbanda paurosamente, fino a 27°. A dispetto della velocità ridotta, l’incrociatore rolla così violentemente da rischiare l’ingavonamento, al punto che alle 19.48 il comandante Sitta, riferendo la gravità della situazione, chiede libertà di manovra per assumere rotta 60°, che gli permetterebbe di tenere meglio il mare.
Pochi minuti dopo, l’ammiraglio Iachino ordina a tutta la squadra, per fronteggiare meglio il mare grosso, di accostare per 25° e ridurre la velocità a 20 nodi alle 20.00 (avendo il mare grosso in poppa, per contenere il forte rollio che – nel caso di navi poco stabili come il Bande Nere – può portare ad oscillazioni di ampiezza pericolosa, è opportuno navigare a bassa velocità), ed alle 20.26 ordina di assumere rotta 10°. Alle 20.28 Iachino accorda al Bande Nere il permesso di seguire la rotta richiesta quaranta minuti prima, fino a quando – a giudizio di Sitta – le condizioni del mare lo renderanno necessario, e poi lo autorizza a dirigere su Messina per conto proprio. Alle 21.17 la velocità viene ridotta a 18 nodi ed alle 23.57 a 16, sempre per lenire il travaglio dei cacciatorpediniere, ma la situazione va peggiorando. Alle 20.34 Supermarina ordina a Iachino di rientrare in porto.
Molti cacciatorpediniere iniziano a manifestare avarie: il Lanciere, l’Aviere, l’Oriani, lo Scirocco, il Fuciliere, l’Alpino comunicano problemi alle macchine o al timone, guasti e difficoltà a tenere il mare.
Il Bande Nere, costretto dal maltempo ad uscire dalla formazione per cambiare rotta, passa tutta la notte alla cappa, su rotta 60°.


Un’altra immagine del Bande Nere durante la seconda battaglia della Sirte (Ufficio Storico della Marina Militare)

23 marzo 1942
La violenza del mare disperde la formazione; all’alba del 23, su un totale di dieci cacciatorpediniere, soltanto uno è rimasto assieme alle navi maggiori della forza navale: altri cinque sono rimasti indietro, mentre quattro sono finiti col trovarsi in posizione molto più avanzata della Littorio. Il mare è ormai diventato forza 8 ed investe le navi nei settori poppieri, causando gravi avarie e danni alle sovrastrutture.
Due dei cacciatorpediniere, lo Scirocco ed il Lanciere, rimangono immobilizzati a causa delle avarie e soccombono alla violenza del mare: il primo affonda alle 5.45, il secondo alle 10.07. In sei giorni di ricerche, verranno trovati soltanto 15 superstiti del Lanciere e due dello Scirocco, su equipaggi composti rispettivamente da 242 e 236 uomini.
Il resto della flotta italiana rientra alle basi alla spicciolata, tra il 23 ed il 24 marzo.
La partecipazione del Bande Nere alla seconda battaglia della Sirte rappresenta l’unica occasione in cui un incrociatore classe Di Giussano sia stato impiegato con la Squadra Navale dopo la battaglia di Punta Stilo (luglio 1940): infatti queste unità, fragili e molto vulnerabili a causa della scarsa corazzatura, sono ritenute inadatte all’impiego di squadra, e per questo sono impiegate principalmente per scorta convogli, posa di mine o persino compiti addestrativi. La partecipazione del Bande Nere alla seconda Sirte è stata dettata dalle necessità del momento, e c’è chi ha criticato la decisione di farlo partecipare, sostenendo che sarebbe stato meglio inviare, al suo posto, qualcuno dei più moderni incrociatori leggeri della VII e VIII Divisione. (In generale, la scelta delle navi per l’attacco al convoglio britannico – operata dall’ammiraglio Luigi Sansonetti, sottocapo di Stato Maggiore della Marina – è stata oggetto di dubbi da parte dello stesso Iachino, e di successive critiche per via della disomogeneità delle navi impiegate; sarebbe stato meglio, si è detto, una nutrita ma omogenea formazione di incrociatori pesanti e leggeri delle classi più moderne).



 Il Bande Nere, assistito da rimorchiatori, arriva a Messina di ritorno dalla seconda battaglia della Sirte, alle 13 del 24 marzo 1942 (sopra: g.c. STORIA militare; sotto: Coll. Franco Bargoni via www.italie1935-45.com)


24 marzo 1942
Durante la notte il Bande Nere, rimasto da solo nel mare in tempesta, deve mettersi alla cappa (rotta 60°) per qualche ora, ma anche così subisce alcuni danni a causa della violenza del mare.
Dopo una estenuante navigazione notturna, il Bande Nere raggiunge Messina alle 13; è la penultima nave italiana a rientrare in porto, seguito solo dal Grecale (che, avendo subito gravi avarie a causa della tempesta, si ancora la mattina del 24 al largo di Punta Stilo e viene poi rimorchiato a Crotone in serata). A causa della leggerezza della sua costruzione (nella quale si è risparmiato sulla solidità dello scafo in favore della velocità e degli armamenti) e dell’eccezionale violenza del mare, il Bande Nere, al pari dei cacciatorpediniere, ha riportato parecchie avarie.

Un’altra immagine del Bande Nere in arrivo a Messina dopo la seconda Sirte: sarà affondato una settimana più tardi (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)

L’affondamento

Alle sei del mattino del 1° aprile 1942 il malconcio Bande Nere, al comando del capitano di vascello Ludovico Sitta, partì da Messina diretto a La Spezia, nel cui Arsenale avrebbe dovuto essere sottoposto ad un periodo di lavori di grande manutenzione e di riparazione dei molti danni causati dalla tempesta di ritorno dalla seconda battaglia della Sirte.
Supermarina aveva disposto il trasferimento già il 28 marzo, con un telegramma (ordine trasmesso il 29 marzo dalla Littorio, ammiraglia di squadra, al Gorizia, ammiraglia della III Divisione cui era aggregato il Bande Nere), stabilendo che la nave avrebbe dovuto lasciare Messina alle sette del mattino 31, regolando la navigazione in modo da passare al largo di Ponza al tramonto dello stesso giorno e da arrivare a La Spezia il mattino del 1° aprile. La partenza sarebbe dovuta avvenire “con tempo assicurato” e l’incrociatore avrebbe dovuto compiere la navigazione di trasferimento ad una velocità di 18 nodi, così da transitare presso Stromboli (punto 38°51’ N e 15°20’E) alle dieci del mattino del 31.
Al Comando della Squadra Navale (ammiraglio Iachino, sulla Littorio) era stato di conseguenza ordinato di destinare i cacciatorpediniere Aviere e Fuciliere alla scorta del Bande Nere da Messina fino ad ovest Ponza; a Marina La Spezia era stato al contempo ordinato di far partire da Portoferraio l’avviso veloce Diana, che avrebbe dovuto incontrare il Bande Nere al largo di Ponza ed assumerne la scorta fino a La Spezia, rilevando Aviere e Fuciliere (che a questo punto avrebbero dovuto raggiungere Napoli). Sia a Marina La Spezia che a Marina Messina era stato inoltre ordinato di disporre un rinforzo della scorta navale nei tratti a sud di Stromboli (Marina Messina) ed a nord della Gorgona (Marina La Spezia); i Comandi Marina di Messina, Napoli e La Spezia avrebbero inoltre dovuto emanare ordini affinché al Bande Nere fosse assicurata la scorta aerea, nelle ore diurne, nei diversi tratti della navigazione («in base previsioni movimenti che saranno comunicati da LITTORIO per F.N.»). Nell’emanare l’ordine d’operazione, il Comando della III Divisione stabilì che Bande Nere e scorta avrebbero dovuto seguire le rotte di sicurezza di Messina fino al punto convenzionale «FN», per poi dirigere verso il punto 38°51’ N e 15°20’E (al largo di Stromboli).
Le avverse condizioni del tempo, tuttavia, avevano indotto a rimandare la partenza di un giorno, così che la nave poté lasciare Messina soltanto alle sei del 1° aprile.
Scortavano il Bande Nere, come ordinato, i cacciatorpediniere Aviere e Fuciliere e la torpediniera Libra, quest’ultima solo per il primo tratto. Le unità iniziarono ad uscire dal porto di Messina alle 5.45: nell’ordine, Libra, Fuciliere, Bande Nere ed Aviere. Alle 6.36 tutte e quattro erano fuori dalle ostruzioni, e l’Aviere si portò tra Fuciliere e Libra.
Le cose iniziarono ad andare male subito dopo la partenza. Appena fuori dalle ostruzioni di Messina, alle 6.41, la Libra riferì che aveva l’ecogoniometro guasto, e poco dopo (6.55) fu il Fuciliere ad annunciare di avere la motrice di dritta bloccata, il che lo costringeva a ridurre l’andatura; il comandante Sitta, che ricopriva anche il ruolo di comandante superiore in mare, lasciò libero il Fuciliere di tornare in porto a Messina, mentre ordinò alla Libra di restare nella scorta fino a Napoli. A questo scopo, l’Aviere richiese al Comando della III Divisione (sul Gorizia) che la Libra potesse continuare il servizio di scorta fino a Ponza, al posto del Fuciliere.
Una volta usciti dalle rotte di sicurezza, Aviere e Libra assunsero posizione di scorta ravvicinata. Alle 7.10 giunse nel cielo della formazione un idrovolante CANT Z. 501 della Ricognizione Marittima (osservatore guardiamarina Bruno Antonucci), che iniziò il servizio di scorta antisommergibili.
Alle 8.30 la formazione risultava così disposta: Bande Nere al centro, Libra a dritta ed Aviere a sinistra, con un intervallo inferiore al miglio. Le navi procedevano a 18 nodi, senza zigzagare, in un mare leggermente mosso (forza 3) che rendeva più difficile avvistare eventuali scie di siluri.

Alle 8.30 del mattino, il sommergibile britannico Urge (capitano di corvetta Edward Philip Tomkinson), in agguato sugli accessi settentrionali allo stretto di Messina, avvistò un idrovolante, proveniente dalla direzione di Messina, intento a pattugliare la rotta per Napoli. Il sommergibile scese a 26 metri di profondità, ma alle 8.41, rilevando un debole rumore prodotto da motrici di navi, tornò a quota periscopica: fu allora che avvistò l’estremità superiore delle alberature di una nave da guerra. Alle 8.44 la nave era divenuta completamente visibile, e Tomkinson ritenne di trovarsi di fronte ad un incrociatore pesante, scortato da due cacciatorpediniere, che procedeva a 21 nodi su rotta 330° (quasi esatto: la rotta effettivamente seguita dal Bande Nere in quel momento era di 347°), cioè diretto verso nord. Contrariamente a quanto ritenuto dal comandante britannico, la nave avvistata non era un incrociatore pesante: si trattava del Bande Nere, scortato da Aviere e Libra, mentre il Fuciliere aveva appena da poco lasciato la formazione per rientrare alla base, a causa dell’avaria alla motrice di dritta.
L’Urge manovrò per attaccare, ed alle 8.54, in posizione 38°37'5" N e 15°22' E, lanciò quattro siluri Mk VIII da una distanza di 4570 metri. (Sembra pertanto erronea la versione, riportata da fonti italiane, secondo cui l’Urge – anche in conseguenza della mancanza del Fuciliere che, riducendo il numero di siluranti di scorta da tre a due, aveva lasciato scoperto un ampio settore – si sarebbe infiltrato internamente alla scorta, portandosi tra l’Aviere ed il Bande Nere e lanciando da ridottissima distanza, poche centinaia di metri). A causa dell’errore di identificazione – incrociatore pesante anziché incrociatore leggero –, Tomkinson fece regolare i siluri per correre a profondità comprese tra i 3,7 e 5,4 metri, anziché a 3-4,8 metri come al solito, con navi più piccole. Questo errore non ebbe, comunque, impatto negativo sull’esito dell’attacco.
Il comandante della flottiglia sommergibili di Malta osservò in seguito che siluri regolati per quelle profondità non avrebbero normalmente colpito un incrociatore leggero, ma sarebbero passati sotto il suo scafo senza esplodere; e che avevano colpito perché il Bande Nere, già danneggiato, secondo i britannici, dalle navi di Vian alla seconda Sirte, aveva un pescaggio superiore a quello solito. In realtà, gli unici danni subiti dal Bande Nere erano stati quelli causati dalla tempesta, e sembra improbabile che la nave potesse pescare di più solo per quello. Non pare, poi, che la differente regolazione della profondità dei siluri fosse tanto elevata da dire che questi non avrebbero colpito se il Bande Nere avesse avuto un pescaggio superiore al normale: il pescaggio normale di quell’incrociatore, infatti, era di 5,3 metri.

Alle nove del mattino, scoccava sul Bande Nere l’ora di colazione: «di solito un panino con la mortadella o il provolone», come ricordò il sopravvissuto Paolo Puglisi. Ma proprio a quell’ora, otto miglia a sudest di Stromboli (secondo "Navi militari perdute", invece, a undici miglia per 144° – cioè a sudest – da quell’isola), vennero avvistate delle scie di siluri: il guardiamarina Antonucci, osservatore del CANT Z. 501 della scorta aerea, che registrò l’orario delle 8.57, fu l’unico a vedere il punto di origine delle scie, sul lato sinistro della formazione. O almeno così ritenne, dal momento che nel suo rapporto esso indicò che le scie avevano origine a circa 500 metri dal Bande Nere, mentre in realtà l’Urge aveva lanciato da una distanza nove volte più grande. L’aereo avvistò tre scie di siluri, che furono viste anche da tre membri dell’equipaggio del Bande Nere; ma era ormai troppo tardi per poter tentare una manovra.
Pochi attimi più tardi, il Bande Nere venne colpito a centro nave, sul lato sinistro (nella zona 7, cioè quella delle caldaie 5 e 6), da uno dei siluri dell’Urge. Alla detonazione del siluro, che proiettò in aria numerosi rottami, seguirono l’allagamento del locale caldaie 5 e 6 (per altra fonte, 6 e 7), invasione di fumo e vapore ed infiltrazioni di acqua nei compartimenti contigui, con un leggero sbandamento dell’incrociatore sulla sinistra; saltò la corrente. La situazione non sembrava irreparabile ed il comandante Sitta ordinò di fermare le macchine, ma subito dopo – otto o forse dieci secondi dopo lo scoppio del primo siluro – il Bande Nere venne colpito anche da un secondo siluro, leggermente più a proravia del primo, tra le zone 6 e 7 (locale macchina di prua). Questa seconda esplosione spezzò in due il Bande Nere: lo sbandamento a sinistra aumentò subito dopo lo scoppio del siluro, portando il trincarino a pelo d’acqua, e la coperta a centro nave venne immediatamente sommersa, mentre la nave si insellava al centro. In brevissimo tempo i due tronconi dell’incrociatore s’impennarono verso il cielo, “come due braccia oranti”. Successivamente sarebbe stato escluso, date le vistose colonne di acqua provocate dagli scoppi e gli effetti del primo siluro, che il sommergibile attaccante avesse usato siluri con acciarino magnetico.
Il comandante Sitta ordinò di gettare in mare le zattere ed abbandonare la nave, ma la rapidità dell’affondamento fu tale che solo parte delle zattere poté essere liberata; il troncone prodiero sbandò sulla sinistra, e quando l’ala di plancia fu a tre metri dalla superficie del mare Sitta si gettò in acqua insieme ad alcuni marinai che si trovavano vicino a lui. Poco lontano caddero in mare gli apparati della direzione del tiro. Subito dopo che Sitta si fu tuffato, il troncone di prua si erse verticalmente nel cielo, girato sulla sinistra, e poi colò a picco, quasi contemporaneamente a quello di poppa, anch’esso levatosi verticalmente. Secondo un resoconto dell’epoca, “prua e poppa, emergendo dal mare quasi verticalmente, si richiusero su loro stesse come un libro, infilandosi in acqua verso il centro”.
Non erano trascorsi che due o tre minuti tra l’impatto del primo siluro e l’affondamento completo del Bande Nere.
La nave era stata affondata esattamente undici anni dopo la sua entrata in servizio, il 1° aprile 1931.

Il Bande Nere subito dopo essere stato colpito, appena prima di spezzarsi in due, e nei suoi istanti finali (da “In guerra sul mare”, di Erminio Bagnasco)

Paolo Puglisi, addetto alla torre numero 4 del Bande Nere, si trovava nei pressi dei complessi secondari da 100 mm, proprio nell’area colpita dai siluri, quando la nave venne colpita. Levatosi i vestiti che lo avrebbero intralciato una volta in acqua, Puglisi si aggrappò ai passamano ma non fece in tempo a gettarsi a mare: trascinato dal risucchio, finì sott’acqua. Tentò inutilmente di risalire, ma venne invece trascinato diversi metri sotto la superficie, forse sette od otto, al punto che aveva già abbandonato la speranza di salvarsi, quando all’improvviso vide, come in una visione, l’immagine della madre, e più o meno al contempo venne sospinto a galla da una grande bolla d’aria fuoriuscita dallo scafo della nave in affondamento. Emerse nei pressi dell’idrovolante di bordo, che galleggiava capovolto: ai galleggianti del velivolo erano aggrappate “almeno settanta persone”. L’acqua era fredda (Puglisi, nei suoi ricordi, disse anche che pioveva, ma Guido Piccinetti, altro superstite, disse invece che «era una bella giornata di sole»; non è chiaro chi avesse ragione, d’altro canto la memoria poteva tradire a distanza di decenni), molti naufraghi erano feriti anche gravemente; il mare era nero per l’immensa quantità di nafta fuoriuscita dai serbatoi del Bande Nere. Parecchi cedettero al freddo ed alla stanchezza, e si lasciarono andare, scomparendo.
Il marinaio fuochista Guido Piccinetti, ventidue anni, da Fano, era imbarcato sul Bande Nere fin dal 1940. Si era coricato per riposarsi sopra i tubi lanciasiluri, a centro nave, quando avvertì improvvisamente un grande scoppio e venne lanciato in aria, perdendo i sensi; quando si riprese – al contatto con l’acqua – era in mare, a venti o trenta metri dalla nave che stava affondando. Si guardò intorno: non vedeva altro che fumo; sentiva tutt’intorno le grida degli altri naufraghi, e percepì anche del sangue che gli colava dalla testa. Non era, comunque, una ferita grave, così come non lo era neanche un’altra ferita che aveva riportato alla gamba destra, così Piccinetti si tranquillizzò. Dopo qualche tempo – alcune ore, secondo la sua stima – Piccinetti vide il cugino Ivo, anch’egli imbarcato sul Bande Nere, in difficoltà perché sprovvisto di salvagente; nuotando vigorosamente, lo raggiunse e gli diede il suo, poi entrambi si aggrapparono ad un rottame galleggiante per tenersi a galla. Poco dopo li sorvolò un aereo italiano, che lanciò loro dei salvagente individuali.
Il fuochista ausiliario Gino Fabbri, da Serra dei Conti (Ancona), era stato chiamato alla leva nel settembre 1941, a vent’anni appena compiuti, ed era imbarcato sul Bande Nere dal novembre di quell’anno. Al momento del siluramento si trovava in una delle posizioni meno invidiabili che si potessero immaginare in una circostanza del genere: di guardia in sala macchine (precisamente in quella di poppa, vicino al centralino telefonico), nelle viscere della  nave. Improvvisamente sentì un’esplosione, e subito venne a mancare la luce; muovendosi al buio, Fabbri seguì il suo capoguardia, capo meccanico di terza classe Lino Giambastiani, che poi sorpassò lungo la scaletta. Mentre Fabbri stava per aprire la porta, intervenne un marinaio che la aprì, e Fabbri lo spinse lungo la scala di dritta. Uscì finalmente in coperta, emergendo vicino alla torre numero 3: mentre saliva la scala, Fabbri sentì la seconda esplosione (quella causata dal secondo siluro), che generò molto fumo, al punto da impedirgli di vedere attorno a sé per qualche minuto. Una volta in coperta, Fabbri aiutò un altro fuochista ausiliario, Mauro Scalabroni (che risultò poi disperso), a mettere a mare una zattera, dopo di che si gettò in mare, scivolando lungo la murata. La zattera venne immediatamente presa d’assalto e si riempì di naufraghi: Fabbri rimase in acqua per circa un quarto d’ora, sorretto dal salvagente che indossava, e si aggrappò decisamente alla zattera, che però dovette poi mollare perché afferrato da altri quattro naufraghi, che lo strapparono dal galleggiante. Poco dopo, i quattro uomini che lo aggrapparono scomparvero tra le onde. Rimasto da solo, Fabbri nuotò verso la Libra; giunto sottobordo, fu issato a bordo con una cima da due marinai.
Il capo meccanico Lino Giambastiani, 33 anni, da Capannori (Lucca), capoguardia di Fabbri, non uscì mai salla sala macchine di poppa. Quando il primo siluro esplose nell’attiguo compartimento caldaie, anche la sala macchine venne invasa dall’acqua fuoriuscita dalle tubolature danneggiate dall’esplosione, mentre si verificavano gravi principi d’allagamento; Giambastiani ordinò che tutti rimanessero ai loro posti, per eseguire gli ordini provenienti dalla plancia, e nonostante la gravità della situazione tentò di contenere le fughe d’acqua e di vapore. Mentre era intento in quest’opera, il secondo siluro colpì il Bande Nere, precludendogli la possibilità di mettersi rapidamente in salvo; rimasto in sala macchine, affondò con la nave. Alla sua memoria fu conferita la Medaglia d’Argento al Valor Militare.
Il maresciallo Gastone Lavazzolo, al momento del siluramento, si stava sottoponendo ad un’iniezione per la cura di alcuni dolori che lo affliggevano da qualche tempo; uscito in coperta, aspettò con calma che la nave si rovesciasse, poi si gettò in mare. Una volta in acqua, raccolse altri naufraghi attornò a sé.
Il maresciallo Giuseppe Piccione vide che della nafta, fuoriuscita dalla nave spezzata, aveva preso fuoco sul mare; si gettò in mare controvento, per evitare di finire in mezzo alla nafta incendiata.
Guerrino Bassa, marinaio puntatore, riuscì a gettarsi in mare insieme ad un amico; in acqua, vide l’amico venire colpito alla testa da un pezzo di legno caduto dalla nave, che lo uccise.
Il marinaio Giuseppe Gernone, di Bari, vide il tenente di vascello Marcello Sanfelice di Monteforte, secondo direttore del tiro, che si trovava in difficoltà e rischiava di annegare; gli diede il suo salvagente, salvandolo da morte certa. Anche Gernone, pur senza il salvagente, riuscì a salvarsi.
Il sottotenente di vascello Franco Rigutini, 22 anni, da Palermo, stremato dal molto tempo passato in acqua, esaurì le sue ultime forze nel soccorrere un sottufficiale in pericolo di vita, e annegò quando ormai era a un passo dal salvataggio. Il suo sacrificio venne attestato da una Medaglia di Bronzo al Valor Militare.
Anche il capo cannoniere Guido Felicetti, 35 anni, da Ascoli Piceno, addetto ai pezzi da 152, fortissimo nuotatore, annegò a causa di una grave ferita riportata alla testa dopo essersi prodigato per salvare diversi compagni, feriti o presi dal panico. Era stato colpito dall’ala dell’idroricognitore di bordo, caduto in mare durante l’affondamento. Il capo cannoniere stereotelemetrista Cosimo Menza, 30 anni, da Pulsano (Taranto), che aveva già raggiunto il relitto galleggiante l’idrovolante, sentì Felicetti chiedere aiuto e si gettò nuovamente a nuoto per salvarlo: lo raggiunse e cercò di portarlo sull’idrovolante, aiutandolo e sorreggendolo, ma esaurì le forze ed annegò insieme a lui.
Il sottocapo silurista Luigi Sassi, di 24 anni, da Caversaccio (Como), riuscì a portare un compagno fin sottobordo alla nave soccorritrice, ma questo gesto generoso gli costò la vita: come Menza e Rigutini, annegò perché sfinito dallo sforzo, ad un passo dalla salvezza.
Il comandante Sitta, in acqua, rifiutò un posto che gli veniva offerto su una zattera, per lasciare posto ai feriti; incitò i naufraghi a tener duro. Sitta riuscì resistere fino all’arrivo dei soccorsi, e venne tratto in salvo.


Il Bande Nere sbanda e si spezza in due (da www.elgrancapitan.org e da www.world-war.co.uk)


Subito dopo l’affondamento, mentre l’Aviere dava la caccia al sommergibile senza risultato (per evitare che i naufraghi in mare venissero uccisi dalle concussioni degli scoppi delle cariche di profondità, l’Aviere gettò le bombe lontano dal punto dell’affondamento), la Libra ricevette l’ordine di recuperare i sopravvissuti. Nel darvi esecuzione, la torpediniera avvistò altre due scie di siluri, il che portò a ritenere che il battello attaccante si fosse trattenuto nella zona; ma in realtà l’Urge non lanciò altri siluri dopo la salva iniziale, dunque le scie avvistate furono con ogni probabilità un falso allarme, generato da qualche vedetta che, comprensibilmente nervosa dopo il siluramento del Bande Nere, scambiò forse la cresta di un’onda, più marcata di altre, per la scia di un siluro.
L’Urge sentì le prime bombe di profondità alle 9.07, e ne contò 38 in tutto, nessuna delle quali vicina; al contempo, l’equipaggio britannico avvertì i rumori prodotti da una nave che si spezzava, a conferma del proprio successo. Terminato il contrattacco, il sommergibile tornò a quota periscopica alle 9.40, vedendo due cacciatorpediniere e tre idrovolanti, ma nessuna traccia dell’incrociatore; a quel punto Tomkinson diede ordine di scendere in profondità ed allontanarsi verso ponente.
Terminata la caccia (durante la quale aveva lanciato complessivamente 11 bombe di profondità da 100 kg, 12 da 50 kg e 13 da 30 kg), anche l’Aviere si mise a recuperare naufraghi; venne rapidamente organizzata una vasta operazione di soccorso, con l’invio sul posto della nave soccorso Capri, del piccolo incrociatore ausiliario Lago Tana e delle torpediniere Pallade e Centauro.


I due tronconi lentamente si sollevano dal mare (sopra: da www.italie1935-45.com; sotto: g.c. STORIA militare)


Molti dei naufraghi erano coperti di nafta, che impediva di vedere e bruciava gli occhi. Il maresciallo Gastone Lavazzolo, recuperato in stato di semincoscienza ed interamente coperto di nafta, venne inizialmente ritenuto morto e messo insieme ai cadaveri; quando mosse un braccio, i soccorritori si resero conto che era ancora vivo. Sarebbe passata una settimana prima che Lavazzolo riacquistasse la vista.
In condizioni anche peggiori era Paolo Puglisi: quando venne recuperato dalla Libra (dopo cinque ore trascorse in acqua, secondo il suo ricordo), era completamente ricoperto di nafta, che per la lunga immersione gli aveva anche causato lesioni e irritazione della pelle su tutto il corpo; al momento del salvataggio perse i sensi e venne deposto in mezzo alle vittime, perché sembrava morto. Si svegliò tra la sorpresa dei soccorritori; era in stato confusionale, non ricordava nulla ed era completamente accecato dalla nafta che gli era entrata negli occhi. All’arrivo a Messina, ricordò poi Puglisi, la sua infermità non venne riconosciuta ed anzi, incredibilmente, venne incarcerato, ma dopo qualche giorno venne rilasciato e mandato a casa, mentre ad essere punito fu chi aveva disposto il suo arresto. Puglisi ricominciò a vederci soltanto un mese dopo.
Guido Piccinetti ed il cugino vennero tratti in salvo (dal cacciatorpediniere Maestrale, secondo il ricordo di Piccinetti; ma non sembra in realtà che questa nave abbia partecipato ai soccorsi) dopo quelle che a lui parvero otto o nove ore trascorse in acqua. Dopo le prime cure a bordo della nave soccorritrice, Piccinetti venne portato a Messina e ricoverato nell’ospedale militare Regina Margherita, dove rimase una decina di giorni. Una volta dimesso, ebbe una breve licenza a casa e poi venne destinato alla polveriera di Malcontenta, vicino a Venezia. Piccinetti sarebbe stato catturato dai tedeschi dopo l’armistizio e deportato in Germania, ma sarebbe sopravvissuto alla guerra, morendo nel 2015 all’età di 95 anni.
Il trentenne Vincenzo Cocciani, marinaio radiotelegrafista, da Montepulciano, ebbe la ventura di essere ripescato da un concittadino, il capitano del Genio Navale Emilio Acerbi, della Libra. (Per Cozzani, questa non sarebbe stata l’ultima volta che scampava alla morte di stretta misura: trasferito sui MAS, sarebbe in seguito sopravvissuto all’affondamento di quello su cui era imbarcato; divenuto partigiano dopo l’armistizio, sarebbe stato catturato dai tedeschi ma sarebbe riuscito ad evadere prima della fucilazione).
Il fuochista Gino Fabbri, recuperato dalla Libra dopo essere riuscito a scappare in tempo dalla sala macchine, fu portato a Messina, interamente ricoperto di nafta e petrolio. Ricoverato presso il locale ospedale, vi rilasciò la sua deposizione scritta sugli avvenimenti. Fabbri sarebbe sopravvissuto anche alla guerra, ma la lunga permanenza nell’acqua fredda aveva intaccato irrimediabilmente la sua salute: qualche mese dopo avrebbe manifestato i primi segni di una affezione pleurica, che insieme ad altre concause lo avrebbe portato ad una morte prematura, all’età di 44 anni.
Tra i tanti che non si salvarono c’era Giuseppe ("Pepé") Morabito, sergente cannoniere, da Mosorrofa (Reggio Calabria): si era arruolato volontario in Marina nel 1936 ed aveva prestato servizio sul Di Giussano dal 1937 al 1940, prima di essere assegnato sul Bande Nere il 27 maggio 1940, seguendolo in tutte le sue vicissitudini belliche. Di lì a tre settimane avrebbe compiuto ventiquattro anni. La madre Francesca apprese della tragedia quasi per caso, prima ancora che le giungesse la notifica ufficiale della scomparsa del figlio: un giorno la donna chiese ad un tale di Reggio, recatosi a Mosorrofa per comprare rame, notizie della guerra, e questi rispose che "non andava affatto bene, perché avevano affondato la nave Giovanni delle Bande Nere". L’indomani la famiglia Morabito si precipitò a Messina per avere notizie: seppero così che "Pepè" era disperso. I funerali vennero celebrati senza la salma.




La fine (ANMI Reggio Calabria)

Complessivamente vennero tratti in salvo 391 dei 772 uomini che erano imbarcati sul Bande Nere; quasi esattamente la metà (le deposizioni dei superstiti, limitatamente all’equipaggio, risultarono poi di 18 ufficiali, 33 sottufficiali e 244 tra sottocapi e marinai). Morirono in 381: 16 ufficiali, 57 sottufficiali, 295 tra sottocapi e marinai, cinque militarizzati ed otto militari della Regia Aeronautica addetti agli idrovolanti di bordo.
Il comandante Sitta fu tra i superstiti (anche lui, come tanti altri, rimase per qualche tempo semiaccecato dalla nafta che gli era finita negli occhi), mentre furono tra gli scomparsi il comandante in seconda, capitano di fregata Vittore Raccanelli, il capo servizio Genio Navale, maggiore del Genio Navale Silvio Mazzucchetti, ed il direttore di macchina, capitano del Genio Navale Giuseppe Odifredi.
I naufraghi tratti in salvo vennero sbarcatia a Messina e Palermo.

Periti nell’affondamento:

Antonio Alibrandi, marinaio, deceduto
Giuseppe Ambrosoni, marinaio fuochista, disperso
Pasquale Amitrano, marinaio cannoniere, deceduto
Mino Andreani, marinaio carpentiere, disperso
Domenico Andreula, marinaio fuochista, disperso
Mario Angaroni, marinaio cannoniere, deceduto
Armando Angeletti, marinaio cannoniere, deceduto
Francesco Angioli, secondo capo cannoniere, deceduto
Sebastiano Annino, marinaio furiere, disperso
Fausto Archetti, capo cannoniere di terza classe, disperso
Antonino Armato, marinaio, disperso
Domenico Artiaco, marinaio fuochista, disperso
Emanuele Asuni, marinaio cannoniere, disperso
Serafino Azzena, sottocapo meccanico, disperso
Rino Bacco, marinaio furiere, disperso
Valentino Bannò, sottocapo radiotelegrafista, deceduto
Giuseppe Barbaglia, marinaio fuochista, deceduto
Angelo Barnato, marinaio cannoniere, deceduto
Giuseppe Barra, marinaio, disperso
Giuseppe Battaglia, marinaio, disperso
Alfio Battisti, marinaio silurista, disperso
Alberto Bellagamba, sottocapo cannoniere, disperso
Pompeo Bellina, sottocapo fuochista, disperso
Emanuele Bengala, sottocapo elettricista, deceduto
Carlo Bergamaschi, marinaio cannoniere, deceduto
Mario Berlato, marinaio fuochista, disperso
Erasmo Bertamino, tenente del Genio Navale, deceduto
Mario Bertini, secondo capo meccanico, disperso
Natalino Vittorio Bezzi, marinaio cannoniere, disperso
Angelo Bianchi, marinaio S.D.T., deceduto
Pietro Biso, secondo capo furiere, deceduto
Giuseppe Blancato, sottocapo segnalatore, deceduto
Carlo Bocchio, secondo capo segnalatore, disperso
Luigi Bologna, marinaio cannoniere, deceduto
Spiridione Bonaccorso, marinaio S.D.T., deceduto
Antonino Bonanno, marinaio, disperso
Nello Boni, marinaio fuochista, disperso
Vincenzo Bonomo, capitano del Genio Navale, disperso
Giovanni Borsarelli, secondo capo meccanico, disperso
Salvatore Borzi, sottocapo cannoniere, deceduto
Gaetano Bosco, marinaio fuochista, deceduto
Giuseppe Bovone, marinaio, deceduto
Ferruccio Braulin, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Bricuccoli, marinaio fuochista, disperso
Egino Brucci, capo motorista di seconda classe, deceduto
Vito Giuseppe Brunetti, sottocapo cannoniere, deceduto
Giuseppe Bruno, capo cannoniere di terza classe, deceduto
Antonio Bruognolo, marinaio fuochista, disperso
Ezio Bruschi, marinaio furiere, deceduto
Alvaro Bucci, marinaio, deceduto
Carlo Bugarini, sottocapo cannoniere, disperso
Giuseppe Burgio, sottocapo nocchiere, disperso
Aniello Caccavale, capo elettricista di terza classe, disperso
Aldo Calabresi, capo cannoniere di terza classe, disperso
Luigi Calio, marinaio cannoniere, deceduto
Gualtiero Canetti, marinaio, deceduto
Luigi Cantù, marinaio cannoniere, deceduto
Costante Capardoni, secondo capo cannoniere, deceduto
Mario Capponi, sergente cannoniere, deceduto
Vito Caprio, marinaio, deceduto
Carlo Carabelli, marinaio fuochista, deceduto
Eliseo Cardia, sottocapo cannoniere, deceduto
Quirino Cardini, marinaio cannoniere, disperso
Italo Carpenito, marinaio elettricista, deceduto
Mario Carrà, marinaio carpentiere, disperso
Umberto Castilletto, sottocapo cannoniere, disperso
Giuseppe Catacchio, marinaio, disperso
Angelo Cattaneo, marinaio S.D.T., deceduto
Dino Cenderelli, secondo capo furiere, disperso
Giuseppe Cerrano, capo meccanico di seconda classe, disperso
Ugo Mario Cervini, sottotenente medico, deceduto
Antonio Cesareo, sottocapo radiotelegrafista, disperso
Amedeo Cettina, marinaio cannoniere, deceduto
Pasquale Cherchi, capo S.D.T. di terza classe, disperso
Renato Ciabattini, marinaio fuochista, disperso
Carlo Cicchetti, sottocapo cannoniere, deceduto
Domenico Cipriani, sottocapo furiere, deceduto
Mario Cirene, marinaio, deceduto
Giuseppe Cirone, capo S.D.T. di terza classe, deceduto
Egidio Colao, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Colloraffi, marinaio, disperso
Giovanni Condelli, marinaio, deceduto
Giacomo Conigliaro, sottocapo cannoniere, disperso
Aurelio Corsini, marinaio cannoniere, deceduto
Ercole Corso, sottocapo nocchiere, disperso
Giuseppe Costa, marinaio, disperso
Alfio Costantini, marinaio cannoniere, deceduto
Vittorio Costantini, marinaio, disperso
Sergio Costanzi, sottotenente di vascello, deceduto
Giovanni Battista Covitti, marinaio cannoniere, disperso
Mario Cuccovillo, marinaio fuochista, disperso
Giovanni D’Adamo, marinaio cannoniere, deceduto
Antonio D’Agostino, marinaio cannoniere, deceduto
Oreste D’Agresti, marinaio, disperso
Gennaro D’Amato, marinaio, disperso
Luigi D’Ambrosio, capo meccanico di terza classe, deceduto
Marco D’Andrea, aspirante guardiamarina, deceduto
Lorenzo D’Angelo, sottocapo segnalatore, deceduto
Giuseppe D’Antoni, marinaio elettricista, disperso
Diuccio D’Attanasio, marinaio, disperso
Ottavio Da Pieve, capo cannoniere di terza classe, deceduto
Edoardo De Carolis, sottocapo cannoniere, disperso
Luigi De Cesare, sottocapo furiere, deceduto
Francesco De Crescenzo, marinaio, disperso
Silvio De Finis, capo S.D.T. di prima classe, deceduto
Francesco De Gennaro, secondo capo carpentiere, disperso
Giovanni De Gregorio, marinaio, disperso
Giovanni De Luca, secondo capo cannoniere, disperso
Vincenzo De Nicolò, sottotenente commissario, deceduto
Carmine De Nuccio, marinaio, deceduto
Pasquale De Pinto, marinaio cannoniere, disperso
Guglielmo Della Foglia, marinaio furiere, deceduto
Nicola Della Malva, marinaio, disperso
Biaso Della Morte, marinaio, disperso
Umberto Delmonte, sottocapo meccanico, disperso
Alfredo Di Blasio, marinaio fuochista, deceduto
Giovanni Di Cristo, marinaio cannoniere, disperso
Raffaele Di Donato, marinaio, disperso
Michele Di Maggio, sottocapo cannoniere, disperso
Claudio Di Nardo, sottocapo cannoniere, deceduto
Rosario Di Pino, marinaio, disperso
Alberigo Di Somma, marinaio fuochista, disperso
Biagio Di Stefano, sottocapo motorista, disperso
Antonio Di Tullo, marinaio meccanico, disperso
Alfredo Di Vincenzo, marinaio nocchiere, deceduto
Vincenzo Di Vincenzo, marinaio, disperso
Giacomo Doglietto, marinaio cannoniere, disperso
Secondino Dolla, sottocapo cannoniere, deceduto
Adriano Duce, marinaio fuochista, disperso
Orfeo Ecchia, sottocapo cannoniere, deceduto
Cosimo Elia, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Esposito, marinaio, disperso
Salvatore Eterno, marinaio, disperso
Salvatore Evola, marinaio, disperso
Leandro Facchini, marinaio, disperso
Guido Fantini, marinaio elettricista, deceduto
Francesco Fanutti, sottocapo cannoniere, deceduto
Carmelo Farrauto, secondo capo elettricista, disperso
Emilio Farris (n. 29/3/1919), marinaio cannoniere, deceduto
Emilio Farris (n. 29/5/1910), capo segnalatore di terza classe, deceduto
Guido Felicetti, capo cannoniere di prima classe, deceduto
Fortunato Ferrari, sottocapo cannoniere, disperso
Giulio Giacomo Ferraro, marinaio cannoniere, disperso
Pasquale Ferraro, sergente infermiere, disperso
Stefano Ferraro, marinaio, disperso
Giovanni Ferretti, sottocapo S.D.T., deceduto
Felis Ferri, marinaio fuochista, disperso
Luigi Festoso, marinaio cannoniere, deceduto
Michele Fevola, marinaio furiere, disperso
Demetrio Filocamo, marinaio, deceduto
Stefano Finocchiaro, marinaio fuochista, disperso
Bruno Finotti, sergente meccanico, disperso
Mario Forcina, sottocapo cannoniere, disperso
Alfredo Foresti, marinaio elettricista, disperso
Onofrio Formicola, sergente cannoniere, deceduto
Leonardo Fortunati, marinaio fuochista, deceduto
Giuseppe Frate, marinaio, deceduto
Elio Fresco, marinaio silurista, disperso
Carlo Gaibassi, marinaio fuochista, disperso
Gastone Galvan, sergente S.D.T., deceduto
Bartolomeo Gambetta, marinaio cannoniere, deceduto
Raffaele Garau, sergente elettricista, disperso
Virginio Garbi, marinaio, deceduto
Grazio Gelone, marinaio, disperso
Giuseppe Gennuso, marinaio fuochista, disperso
Siro Ghia, sergente meccanico, disperso
Bartolino Ghiotto, sottocapo meccanico, disperso
Lino Giambastiani, capo meccanico di terza classe, deceduto
Salvatore Carmelo Giannitto, marinaio, deceduto
Sebastiano Gimona, marinaio, disperso
Leopoldo Giribono, sottocapo segnalatore, deceduto
Giovanni Giussani, marinaio, disperso
Virgilio Grandis, marinaio cannoniere, deceduto
Pietro Grassano, sottocapo cannoniere, deceduto
Giuseppe Grilli, sottocapo cannoniere, deceduto
Stefano Grimaldi, sottocapo cannoniere, disperso
Agostino Guarino, capo meccanico di seconda classe, disperso
Cosimo Guarino, marinaio, disperso
Giuseppe Guarracino, marinaio, deceduto
Francesco Paolo Guarrasi, marinaio fuochista, disperso
Ambrogio Giovanni Iacono, marinaio, disperso
Salvatore Iacono, marinaio, disperso
Pietro Imperati, marinaio motorista, disperso
Santo Ingrosso, marinaio silurista, deceduto
Giuseppe Iodice, marinaio, disperso
Francesco La Maestra, sottocapo cannoniere, deceduto
Pietro La Placa, marinaio cannoniere, deceduto
Giuseppe Lamberto, secondo capo meccanico, disperso
Giuseppe Lamborizio, capo cannoniere di terza classe, deceduto
Giuseppe Larco, marinaio, disperso
Antonio Lazzarin, marinaio cannoniere, deceduto
Bruno Leghissa, marinaio fuochista, disperso
Vittorio Licausi, capo infermiere di terza classe, disperso
Antonio Lo Dico, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Lo Monaco, marinaio fuochista, deceduto
Filippo Lo Pipero, marinaio fuochista, disperso
Fiorenzo Locci, sottocapo cannoniere, deceduto
Salvatore Locci, marinaio fuochista, disperso
Renato Lodato, aspirante ufficiale del Genio Navale, disperso
Guglielmo Lonardo, marinaio, deceduto
Oscar Long, marinaio fuochista, deceduto
Enrico Lopez, sottocapo cannoniere, deceduto
Gerardo Lucarelli, capitano C.R.E.M., deceduto
Alfredo Lucchesi, secondo capo elettricista, disperso
Giorgio Macauda Ciacera, marinaio, disperso
Giovanni Magliulo, marinaio, disperso
Giovanni Maisano, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Malara, marinaio, disperso
Diego Manago, marinaio, deceduto
Ruggero Mantini, marinaio, disperso
Sanzio Maraga, sottocapo cannoniere, deceduto
Francesco Maraglino, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Maritano, sottocapo elettricista, disperso
Ambleto Marullo, marinaio cannoniere, disperso
Angelo Masia, secondo capo cannoniere, disperso
Antonio Mattana, marinaio, disperso
Filippo Mauro, secondo capo cannoniere, deceduto
Pietro Mazzucca, sottocapo cannoniere, disperso
Silvio Mazzucchetti, maggiore del Genio Navale (capo servizio Genio Navale), disperso
Giacomo Mazzullo, sottocapo meccanico, deceduto
Cosimo Menza, capo cannoniere di terza classe, deceduto
Natale Meuli, marinaio meccanico, disperso
Carlo Moggi, marinaio cannoniere, deceduto
Giuseppe Molino, marinaio, deceduto
Luigi Montanari, sottocapo S.D.T., deceduto
Giuseppe Morabito, sergente cannoniere, disperso
Giulio Morchio, marinaio, deceduto
Luigi Morelli, marinaio cannoniere, disperso
Guido Moschetti, secondo capo furiere, disperso
Mario Muntoni, marinaio cannoniere, disperso
Francesco Muro, secondo capo furiere, disperso
Francesco Napoletano, capo cannoniere di prima classe, deceduto
Franco Navoni, secondo capo cannoniere, disperso
Federico Negri, sergente cannoniere, disperso
Luigi Nenna, marinaio fuochista, disperso
Gennaro Niglio, marinaio, disperso
Antonio Noceti, sottocapo cannoniere, deceduto
Guido Nucci, secondo capo elettricista, disperso
Giuseppe Ocovich, marinaio cannoniere, deceduto
Giuseppe Oddone, capo cannoniere di terza classe, deceduto
Giuseppe Odifredi, capitano del Genio Navale (direttore di macchina), deceduto
Fausto Ongaro, sottocapo S.D.T., deceduto
Fabrizio Orlando, sergente cannoniere, disperso
Giuseppe Ortisi, marinaio, deceduto
Bruno Osbatti, marinaio fuochista, disperso
Giacinto Paciello, secondo capo nocchiere, disperso
Rizieri Padelli, secondo capo meccanico, deceduto
Iacopo Pagazzo, marinaio, deceduto
Gregorio Palamara, marinaio cannoniere, deceduto
Romeo Palamidese, marinaio fuochista, deceduto
Domenico Paolucci, capo cannoniere di seconda classe, disperso
Tommaso Paolucci, marinaio fuochista, disperso
Marcello Papini, sottotenente del Genio Navale, disperso
Giovanni Pappalardo, marinaio, deceduto
Giuseppe Pappalardo, marinaio fuochista, disperso
Giuliano Pardini, secondo capo meccanico, disperso
Mario Pascarelli, secondo capo meccanico, deceduto
Mario Pasquetti, capo cannoniere di terza classe, disperso
Walter Pastore, marinaio motorista, disperso
Teodoro Pennetta, marinaio, disperso
Carmelo Pernazza, marinaio, disperso
Francesco Perrone, marinaio, disperso
Gennaro Petrone, marinaio cannoniere, deceduto
Sabino Petruzzelli, sottocapo motorista, disperso
Luigi Picchianti, capo meccanico di prima classe, disperso
Angelo Piccinelli, marinaio fuochista, disperso
Stefano Pilagatti, marinaio fuochista, disperso
Vincenzo Pincin, marinaio motorista, disperso
Giuseppe Piombo, marinaio fuochista, disperso
Tommaso Pipitone, marinaio fuochista, deceduto
Eliseo Pirrami, marinaio cannoniere, disperso
Vittorio Pitti, marinaio cannoniere, disperso
Ugo Pizzoferrato, marinaio fuochista, disperso
Pietro Polizzi, marinaio fuochista, disperso
Quintino Pontuti, marinaio, disperso
Mario Porcile, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Prestigiacomo, marinaio, deceduto
Vittore Raccanelli, capitano di fregata (comandante in seconda), deceduto
Cosimo Ragione, marinaio meccanico, disperso
Silvio Ragni, secondo capo radiotelegrafista, disperso
Giovanni Raiola, capo furiere di terza classe, deceduto
Michele Ranaudo, sottocapo radiotelegrafista, deceduto
Alfonso Raucci, marinaio, disperso
Paolo Recchia, marinaio meccanico, disperso
Roffredo Rega, secondo capo cannoniere, deceduto
Aldo Reghezza, sottocapo meccanico, disperso
Giuseppe Ricatti, marinaio, disperso
Peppino Riccardi, marinaio cannoniere, disperso
Francesco Ricci, capo meccanico di seconda classe, deceduto
Quinto Ridolfi, sottocapo S.D.T., deceduto
Franco Rigutini, sottotenente di vascello, disperso
Giuseppe Rinaldi, marinaio, deceduto
Andrea Roic, marinaio, deceduto
Angelo Romani, sottocapo cannoniere, deceduto
Domenico Romano, sottocapo furiere, disperso
Bruno Romeo, sergente nocchiere, deceduto
Mariano Rosin, marinaio fuochista, disperso
Guerrino Rossettini, marinaio cannoniere, deceduto
Renato Rotta, capo nocchiere di seconda classe, disperso
Umberto Ruscillo, marinaio radiotelegrafista, disperso
Salvatore Russo, marinaio S.D.T., disperso
Vincenzo Rutigliano, marinaio, disperso
Alfredo Salibra, sottotenente di vascello, deceduto
Italo Salvemini, marinaio elettricista, deceduto
Vittorio Sanchini, sergente S.D.T., disperso
Giuseppe Santantonio, marinaio cannoniere, deceduto
Paolo Sanzo, marinaio, disperso
Michele Saraceni, marinaio fuochista, disperso
Angelo Sartorelli, marinaio fuochista, disperso
Attilio Sassi, marinaio, disperso
Luigi Sassi, sottocapo silurista, deceduto
Lauro Scalabroni, marinaio fuochista, disperso
Gennaro Scalercio, marinaio cannoniere, deceduto
Nicola Scarci, marinaio fuochista, disperso
Pasquale Sciacca, marinaio, deceduto
Matteo Scognamiglio, secondo capo cannoniere, deceduto
Onorio Segato, marinaio, disperso
Francesco Serena, secondo capo radiotelegrafista, disperso
Giacomo Serra, marinaio, disperso
Sante Signorelli, marinaio cannoniere, deceduto
Domenico Silletti, capo meccanico di terza classe, disperso
Cesare Simeone, aspirante guardiamarina, deceduto
Luigi Simonetti, marinaio cannoniere, deceduto
Antonio Soi, capo cannoniere di terza classe, disperso
Berislavo Soldatich, sottocapo cannoniere, deceduto
Domenico Soprano, marinaio, disperso
Elia Soriente, sottocapo palombaro, disperso
Gaetano Sottile, marinaio fuochista, disperso
Provino Sozzo, marinaio elettricista, disperso
Giuseppe Spazzafumo, marinaio fuochista, disperso
Redento Spini, marinaio, disperso
Ivar Spunton, marinaio, deceduto
Luigi Squadrilli, secondo capo furiere, disperso
Giuseppe Steri, marinaio S.D.T., deceduto
Federico Stoppani, sergente cannoniere, disperso
Francesco Stornante, marinaio cannoniere, deceduto
Virgilio Strain, marinaio fuochista, disperso
Francesco Tanese, marinaio, disperso
Vincenzo Tangorre, marinaio meccanico, disperso
Giuseppe Taranto, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Tarasco, capo elettricista di prima classe, disperso
Donato Tasco, marinaio, deceduto
Giovanni Tempesta, sergente nocchiere, deceduto
Luigi Tempesta, capo radiotelegrafista di terza classe, disperso
Ruggero Tempesta, sottocapo meccanico, disperso
Bruno Testa, capo radiotelegrafista di prima classe, disperso
Mario Tibolla, sottocapo cannoniere, deceduto
Abrano Toccagni, marinaio cannoniere, disperso
Erculiano Tofanetti, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Tomasello, marinaio fuochista, disperso
Giulio Tomberli, marinaio fuochista, disperso
Domenico Trane, marinaio, disperso
Tarcisio Valagussa, sergente radiotelegrafista, disperso
Antonio Vallone, sottocapo segnalatore, disperso
Filoteo Venturo, secondo capo furiere, disperso
Nicola Verdoliva, marinaio, disperso
Giovanni Viarengo, marinaio cannoniere, disperso
Paolo Villani, marinaio cannoniere, disperso
Luigi Visalli, sottocapo cannoniere, deceduto
Santo Viscuso, marinaio fuochista, disperso
Vincenzo Vittozzi, marinaio, disperso
Federico Vogliotti, marinaio fuochista, disperso
Biagio Volpato, marinaio cannoniere, deceduto
Luigi Volpi, sottocapo meccanico, disperso
Giuseppe Vuchi, marinaio cannoniere, deceduto
Amedeo Zamparini, marinaio meccanico, disperso
Orlando Zavan, secondo capo elettricista, deceduto
Gino Zaviglia, tenente C.R.E.M., deceduto
Altero Zelli, marinaio radiotelegrafista, deceduto
Marco Ziliucci, marinaio, deceduto

Mancano i nomi dei caduti tra i militarizzati e tra il personale della Regia Aeronautica addetti agli idrovolanti di bordo.

Deceduti in data successiva:

Tancredi Byron, secondo capo motorista, deceduto il 15/5/1944 in territorio metropolitano


(Foto Edizioni Paolo De Siati, Taranto, via Giorgio Micoli e www.naviearmatori.net)

La motivazione della Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita alla memoria del capo meccanico di terza classe Lino Giambastiani, nato a Capannoni (Lucca) il 6 gennaio 1909:

“Di guardia alle motrici su incrociatore, gravemente colpito da offesa subacquea nemica, conservava assoluta calma e presenza di spirito e, noncurante della propria salvezza, restava al proprio posto con tutto il personale dipendente, prodigandosi nell’opera intesa a contenere le fughe
d’acqua e di vapore. Con la mente e con l'animo protesi all’adempimento del compito impostosi, nonostante una seconda esplosione gli rendesse difficile la possibilità di uscire dal locale, proseguiva decisamente nell’assolvimento del dovere fino all’estremo sacrificio, condividendo eroicamente la sorte dell’unità.
Superbo esempio di fedele attaccamento alla consegna e belle qualità militari.
(Mar Tirreno, 1° aprile 1942).”

La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del sottotenente di vascello Franco Rigutini, nato a Palermo il 31 gennaio 1920:

“Imbarcato su incrociatore leggero, che affondava perché gravemente colpito da offesa subacquea nemica, rimaneva con sereno senso di disaplina e coraggio al proprio posto, dando esempio di audacia al personale dipendente. Durante la lunga permanenza in acqua, si prodigava con elevato senso di abnegazione per soccorrere un sottufficiale in pericolo di vita, nché stremato di forze, scompariva in mare, allorché era prossimo il soccorso, dimostrando vivo spirito di cameratismo e belle qualità militari.
(Mar Tirreno, 1 ° aprile 1942).”

La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del capitano di fregata Vittore Raccanelli, nato a Venezia il 4 luglio 1904:

“Comandante in 2a di incrociatore leggero, gravemente colpito da oesa subacquea nemica, coadiuvava il comandante con animo sereno ed elevato senso del dovere, cooperando agli sforzi per tentare la salvezza dell’unità e prodigandosi per il mantenimento della calma e della ducia nel personale di bordo. Reso vano ogni tentativo per lo scoppio di un secondo siluro, «si lanciava tra gli ultimi in mare, ove perdeva la vita.
Esempio di belle qualità militari e di carattere.
(Mar Tirreno, 1° aprile 1942).”

La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del maggiore del Genio Navale Silvio Mazzucchetti, nato a Milano il 30 dicembre 1904:

“Capo Servizio Genio Navale di incrociatore leggero, gravemente colpito da offesa subacquea nemica, coadiuvava con serenità e competenza il comandante negli sforzi rivolti a salvare l’unità e si prodigava per mantenere alto il morale dei dipendenti.
Riuscito vano ogni tentativo per lo scoppio di un secondo siluro, lasciava tra gli ultimi la nave e, stremato di forze, scompariva in mare nell’adempimento del dovere.
(Mare Tirreno, 1° aprile 1942).”

La motivazione della Croce di Guerra al Valor Militare conferita alla memoria del capo cannoniere stereotelemetrista di terza classe Cosimo Menza, nato a Pulsano (Taranto) il 26 maggio 1911:

“Imbarcato su incrociatore leggero, che affondava per grave offesa subacquea nemica, rimaneva con sereno coraggio al suo posto fino all’ultimo momento. In mare, raggiunto un galleggiante, se ne allontanava per offrire con elevato senso di abnegazione il suo aiuto ad un camerata in pericolo di annegare, sacrificando la sua vita nel compimento dell’atto generoso.”

La motivazione della Croce di Guerra al Valor Militare conferita alla memoria del sottocapo silurista Luigi Sassi, nato a Caversaccio (Como) il 15 luglio 1917:

“Imbarcato su incrociatore leggero, che affondava per grave offesa subacquea nemica, rimaneva no all'ultimo istante al proprio posto. Nella permanenza in mare, prodigava tutte le sue energie con elevato senso di abnegazione per il salvataggio di un camerata, che riusciva a portare presso l'unità di soccorso, ma, esaurito per l'arduo sforzo, soccombeva nel compimento dell'opera generosa.”

La motivazione della Croce di Guerra al Valor Militare conferita alla memoria del capitano del C.R.E.M. Gerardo Lucarelli, nato a La Spezia il 1° giugno 1887:

“Imbarcato su incrociatore leggero, che affondava per grave offesa subacquea nemica, prima di abbandonare l’unità radunava attorno a sé la sua gente per innalzare un vibrante saluto alla Patria, dimostrando disciplina ed elevato attaccamento alla nave. Decedeva in mare nell’adempimento del dovere.”

La motivazione della Croce di Guerra al Valor Militare conferita alla memoria del capitano del Genio Navale Direzione Macchine Giuseppe Odifredi, nato a Quarto a Mare (Genova) il 18 luglio 1908:

“Direttore di macchina di incrociatore leggero, gravemente colpito da offesa subacquea nemica, assolveva i suoi incarichi con sereno coraggio ed elevato senso di disciplina fino all’istante che precedette l’affondamento dell’unità. Perdeva la vita in mare nell’adempimento del dovere.”

La motivazione della Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita al capitano di vascello Ludovico Sitta, nato a Ferrara il 15 maggio 1899:

“Comandante di incrociatore leggero, gravemente colpito da offesa subacquea nemica, affrontava con ferma energia e prontezza d’iniziativa la difcilissima situazione, sforzandosi di contendere l'unità all’ineluttabile fatto, finché per lo scoppio di un secondo siluro, riuscito vano ogni tentativo di salvezza, ordinava all’equipaggio l'abbandono della nave, dopo elevato il fatidico saluto al Re e al Duce. Durante la lunga permanenza in mare, benché in minorate condizioni siche, ricusava decisamente di salire su una zattera per non privare di un posto i naufraghi feriti, più bisognosi di aiuto, e infondeva, come già sulla nave, sereno coraggio e fiducia alla sua gente. Tratto in salvo da una silurante di soccorso, stremato di forza e con la vista ouscata, a causa della nafta cosparsa in acqua, si soffermava, prima di ricevere le cure, per presenziare allo sbarco dei superstiti e rendere
omaggio ai caduti, facendo rifulgere anche in tale circostanza le sue superbe doti militari e di carattere.
(Mar Tirreno, 1° aprile 1942).”

(foto Terry Dickens)

L’affondamento del Bande Nere nel giornale di bordo dell’Urge (da Uboat.net):

“0830 hours - Sighted a flying boat coming up from Messina along the route to Naples. Went to 85 feet.
0841 hours - Returned to periscope depth after hearing faint HE. Sighted the fore top of a warship.
0844 hours - Identified the warship as a 8" cruiser with an escort of two destroyers steering about 330° at 21 knots. Started attack.
0854 hours - In position 38°37'5"N, 15°22'E fired four torpedoes from 5000 yards. One hit was obtained.
0907 hours - The first depth charges were dropped out of a total of 38 but none was close. Breaking up noises were heard.
0940 hours - Returned to periscope depth. Saw the two destroyers and three flying boats. There was no sign of the cruiser. Urge went deep again and withdrew to the Westward.”

Un’altra foto del Bande Nere (da www.portalestoria.net)

Un’intervista ad un fuochista del Bande Nere, rimasto anonimo per scelta (per onorare tutti i caduti del Bande Nere), realizzata a Livorno nel 2002 da Andrea Piccinotti (da www.regiamarina.net, si ringrazia Cristiano D’Adamo): 

"Quale era il suo ruolo a bordo? 

Sono stato chiamato in marina nei primi mesi del 1941 e venni distaccato all'arsenale di Messina, dove svolsi un periodo di addestramento, in verità piuttosto ridotto. Poi dopo un paio di mesi trascorsi come addetto di un magazzino di materiale mi fu ordinato di recarmi a Palermo e di imbarcarmi sull'incrociatore Giovanni dalle Bande Nere, era, se non mi ricordo male il giugno del 1941; il mio ruolo era fuochista. Non era poi un ruolo così malvagio come si potrebbe pensare, a differenza di molti miei compagni avevo la possibilità di riposare abbastanza frequentemente, infatti nei pressi di ogni caldaia vi era una piccola stanzina dove, nei momenti di calma potevamo a turno riposare: ovviamente era vietato, ma per fortuna questa norma non fu applicata in maniera troppo rigida. 

Un fuochista, sta nell'interno della nave e non sa che cosa sta succedendo o sbaglio? 

Beh le voci correvano anche da noi, certamente non potevamo sapere tutto, noi dovevamo semplicemente ubbidire agli ordini ricevuti, ma più volte mi è capitato di poter salire sul ponte per vedere cosa stesse succedendo. 

Com'era il rapporto con gli ufficiali? 

Eh, rapporto: non c'era alcun rapporto con loro, erano come una casta a se stante che si rifiutava di parlare con un semplice marinaio se non per dargli un ordine; pensi che una volta mentre stavo fumando una sigaretta sul ponte passò un ufficiale, e io cercai di iniziare un discorso ma questo fece finta di niente e rimase lì a due passi da me in silenzio, quando finii la sigaretta feci per gettarla in mare ma il vento la riportò sul ponte e quest'ufficiale mi affibbiò un nota di demerito perché avevo sporcato il ponte! 

In marina si mangiava bene anche a quei tempi? 

Ma guardi mi dispiace deluderla ma si mangiava proprio male, fu sempre uno dei motivi principali delle nostre proteste: quando non ne potevamo più di mangiare certe schifezze due o tre rappresentanti dell'equipaggio andavano dal comandante a protestare, il più delle volte non succedeva niente ma un paio di volte che la protesta fu più energica per due o tre giorni ci dettero pastasciutta col pomodoro o una buona minestra per poi tornare al rancio di sempre. Un po' meglio andava per dormire, ognuno aveva la propria branda che poteva attaccare su dei grossi pali muniti di numerosi ganci a diverse altezze appositamente costruiti nei locali dove dovevamo riposare, la cosa noiosa era che ogni volta che smettevamo di dormire dovevamo smontare la branda, ripiegarla e metterla in degli appositi armadi ai lati delle camerate; la stessa cosa dovevamo fare se suonavo il posto di combattimento: tutti quelli che in quel momento stavano dormendo dovevano smontare la propria branda perché in combattimento tutti i locali dovevano essere perfettamente agibili. 

Che tipo di missioni eseguivate? 

Le missioni che eseguivamo più spesso era di posa di campi minati: partivamo la notte e duravano circa due giorni; la cosa impressionante era vedere sei o sette navi di diverso tipo che navigavano una a fianco all'altra lasciando cadere ogni tanto una mina in mare; un altro tipo di missione che in verità eseguimmo poche volte fu quella di scorta a convogli che erano molto faticose: eravamo sempre sotto attacco aereo e così i nostri cannoni antiaerei erano sempre in funzione, poiché i proiettili venivano portati dalla santabarbara a mano dopo un po' gli addetti a tale ruolo era sfiniti e così a turno noi fuochisti dovevamo aiutarli. Non era certo un lavoro piacevole soprattutto dopo 4 ore di lavoro in caldaia, infatti in teoria i turni erano di 4 ore di lavoro e di 4 di riposo ma in realtà nelle ore di riposo c'era sempre qualcosa da fare. Le nostre missioni erano comunque abbastanza corte, e comunque passavamo più tempo in porto che in mare. Per fortuna non partecipammo mai a missioni di trasporto benzina come fecero il da Giussano e il Da Barbiano: se penso a quanti amici ho perso…! Infine partecipammo alla seconda battaglia delle Sirte. 

Fu una brutta esperienza perché perdemmo un caccia per il mare molto mosso, lo Scirocco: avevo molti amici a bordo [in realtà furono due i cacciatorpediniere persi a causa del mare mosso: Scirocco e Lanciere]. Pensi che il mare era così mosso che ad un certo punto non potevamo più sparare e ci ritirammo, in quel momento ero sul ponte per dei lavori da fare e vidi le vampate della Littorio fu allora che seppi che con noi c'era anche una corazzata, ma nella burrasca non riuscì a vederla potevo vedere solo il fuoco dei grossi cannoni. Durante il viaggio di ritorno subimmo delle avarie molto gravi così appena giunti a Taranto ci venne ordinato di raggiungere La Spezia per lavori. Eravamo tutti contenti perché avrebbe voluto significare una licenza: quando la nave era in bacino noi alloggiavamo in delle palazzine lì vicino e a turni andavamo il licenza; l'unica cosa negativa dei lavori in bacino era che tutte le cose superflue della nave, cioè quelle cose che noi mettevamo per migliorare un po' la vita a bordo, venivano tolte e così ogni volta dovevamo riadattare la nave alle nostre esigenze. Purtroppo a La Spezia non arrivammo mai. 
Se la sente di parlarci del siluramento? 
Fu un esperienza tragica, era il primo di aprile ed io ero di servizio nella caldaia di mia competenza quando verso le nove del mattino fummo scossi da una tremenda esplosione e tutta la sala caldaie fu invasa dal fumo [si trovava evidentemente in un locale caldaia di poppa perché quelli di prora furono sventrati dal siluro – ndr] così dissi subito ad un mio amico che dovevamo uscire alla svelta, e ci precipitammo alla scaletta per salire in coperta: la scaletta di norma era verticale ma mi accorsi subito che ora non lo era più e cercai di fare ancora più in fretta, nella confusione il mio amico che era sotto di me mi tolse una scarpa….! Per fortuna la nostra nave non aveva i boccaporti stagni che avevano le navi più moderne così fu possibile arrivare sul ponte, qui mi resi subito conto che la situazione era gravissima e mi misi a cercare un salvagente, ma poi mi decisi a buttarmi senza indossarlo perché avevo paura di mettermelo male e di peggiorare le cose. Mentre mi buttavo in mare udii il comandante urlare “Viva il duce, viva il re, viva l'Italia” e mi venne quasi da ridere. In acqua cominciai a nuotare per allontanarmi dalla nave, che ormai con la poppa sollevata dall'acqua stava affondando: fu un bruttissimo momento, era stata la mia casa per nove mesi e ormai mi ci ero affezionato. Restai in acqua per parecchio tempo fino a quando i caccia di scorta, dopo aver buttato delle bombe di profondità contro il sommergibile che ci aveva silurato, ci vennero a prendere: fui raccolto dall'Aviere e subito per il gran freddo che avevo mi gettai in sala caldaie e mi abbraccia ad un tubo di vapore caldo: qualcuno cercò di staccarmi da lì ma io resistetti e fu quello probabilmente che mi ha salvato; poi fui portato in infermeria dove mi si cerco di pulire al meglio da tutta la nafta che avevo addosso e che soprattutto negli occhi faceva molto male. Fummo sbarcati a Messina, mentre gli altri superstiti furono portati a Palermo: tutt'oggi ignoro chi si è salvato e chi no tranne i pochi che erano con me sull'Aviere. Dopo l'affondamento fui distaccato a La Spezia, dove prestai servizio nella batteria a protezione della diga del Varignano: cercai più volte di riavere un incarico a bordo di una nave perché nonostante tutto si viveva molto meglio che a terra ma invano, la cosa strana è che prendevo più a terra che in nave: sul Bande Nere 180 lire, a La Spezia 200.”


(foto tratta da it.wikipedia.org)

Il 9 marzo 2019 la Marina Militare ha annunciato il ritrovamento del relitto del Giovanni delle Bande Nere undici miglia a sud di Stromboli. Il ritrovamento è avvenuto per opera del cacciamine Vieste, nel corso di un’operazione di “verifica tecnica e sorveglianza dei fondali del mar Tirreno”, mediante l’utilizzo di due veicoli subacquei in dotazione a questa unità: il veicolo filoguidato Multipluto 03, prodotto dalla GAY Marine, ed il veicolo autonomo subacqueo (Autonomous Underwater Vehicle – AUV) Hugin 1000, prodotto dalla ditta Kongsberg. Dopo aver circoscritto l’area delle ricerche in base alle coordinate registrate all’epoca dell’affondamento, il Vieste ha mappato il fondale con il veicolo Hugin, individuando diversi contatti che potevano corrispondere al relitto, che sono stati poi identificati e filmati mediante il Multipluto. Il relitto del Bande Nere si presenta spezzato in tre tronconi, che giacciono a profondità comprese tra i 1460 ed i 1730 metri.

Alcune immagini del relitto del Bande Nere, diffuse dalla Marina Militare dopo il ritrovamento:

La corona sabauda sulla poppa

Un’elica

La campana di bordo

I cannoni di poppa
Un impianto lanciasiluri


1 commento:

  1. Buonasera, grazie per il bellissimo articolo che ha scritto sulla nave Giovanni delle Bande Nere,sulla quale era imbarcato mio nonno Giuseppe Cerrano da Morano sul Po (AL). Ho letto tutto d'un fiato l'articolo. Molto bello e ricco di particolari che fino ad oggi ignoravo, nonostante abbia fatto diverse ricerche. Grazie ancora.
    Giuseppe Cerrano

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