Il Geniere (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net) |
Cacciatorpediniere
della prima serie della classe Soldati (dislocamento standard 1850 tonnellate,
in carico normale 2140 tonnellate, a pieno carico 2460 tonnellate).
Breve e parziale cronologia.
26 agosto 1937
Impostazione nei
cantieri Odero Terni Orlando di Livorno.
Inizialmente gli
viene assegnato il nome di Pontiere,
che viene però cambiato in Geniere
già prima del varo.
27 febbraio 1938
Varo nei cantieri
Odero Terni Orlando di Livorno.
Lo scafo del Geniere nei cantieri OTO di Livorno nel marzo 1938, poco tempo dopo il varo (Archivio Storico Cantiere Azimut-Benetti di Livorno, via www.associazione-venus.it) |
Il Geniere in allestimento nel giugno 1938 (Archivio Storico Cantiere Azimut-Benetti di Livorno, via www.associazione-venus.it) |
Il Geniere in allestimento nei cantieri OTO nell’ottobre 1938 (Archivio Storico Cantiere Azimut-Benetti di Livorno, via www.associazione-venus.it) |
15 dicembre 1938
Entrata in servizio.
Il Geniere il giorno dell’entrata in servizio, il 15 dicembre 1938 (Archivio Storico Cantiere Azimut-Benetti di Livorno, via www.associazione-venus.it) |
Giugno 1939
Il Geniere e gli undici gemelli ricevono, a
Livorno, le rispettive bandiere di combattimento, offerte dalle Associazioni
d’Arma delle diverse Armi di cui i vari cacciatorpediniere portano il nome.
Il Geniere va poi a formare la XI Squadriglia
Cacciatorpediniere insieme ai gemelli Aviere,
Artigliere e Camicia Nera. Tale Squadriglia viene assegnata alla scorta della
III Divisione Navale (incrociatori pesanti Trento,
Trieste e Bolzano).
Nello stesso anno Geniere, Aviere, Artigliere e Camicia Nera, insieme agli incrociatori
pesanti Trento, Trieste e Bolzano,
visitano Rapallo al comando dell’ammiraglio Wladimiro Pini.
10 giugno 1940
L’Italia entra nella
seconda guerra mondiale. Il Geniere (capitano
di fregata Marco Notarbartolo) fa parte della XI Squadriglia
Cacciatorpediniere, che forma insieme ai gemelli Aviere, Artigliere
(caposquadriglia) e Camicia
Nera.
10-11 giugno 1940
Il Geniere salpa da Messina alle 19.10
del 10 giugno unitamente alle altre unità della XI Squadriglia (Aviere, Artigliere e Camicia
Nera), all’incrociatore pesante Pola ed
alla III Divisione Navale (incrociatori pesanti Trento e Bolzano)
per fornire copertura alla X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), inviata ad effettuare una
ricognizione notturna tra Marettimo e Capo Bon.
La mattina dell’11
giugno, il gruppo che comprende il Geniere si
unisce ad un altro gruppo partito da Napoli e composto dalla VII Divisione
Navale (incrociatori leggeri Muzio
Attendolo ed Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta) e dalla XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Ascari, Lanciere, Carabiniere, Corazziere). Le navi procedono poi fino
a nord di Favignana, a protezione della X Squadriglia (e, sempre secondo il
relativo volume dell'USMM, anche del gruppo «Da Barbiano» che rientrava alla
base dopo aver posato il campo minato «L. K.»: ma in realtà tale gruppo era
tornato ad Augusta già nel pomeriggio del 10 giugno, per poi trasferirsi a
Taranto nella notte dell'11).
Tutte le navi
rientrano alle basi entro la sera dell’11 giugno.
12 giugno 1940
Alle 00.20 il Geniere, insieme al resto della XI
Squadriglia Cacciatorpediniere (Aviere,
Artigliere, Camicia Nera), alla XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Lanciere, Corazziere, Ascari, Carabiniere), all’incrociatore
pesante Pola ed alla III
Divisione Navale (incrociatori pesanti Trento e Bolzano), salpa da Messina per
intercettare due incrociatori britannici (il Caledon ed il Calypso)
avvistati da dei ricognitori a sud di Creta, diretti verso ovest (gran parte
della Mediterranean Fleet, al pari di una squadra navale francese, è infatti
uscita in mare a caccia, infruttuosa, di naviglio italiano). (Per altra fonte
le navi sarebbero uscite in mare per dare la caccia ad un convoglio britannico,
segnalato da un ricognitore al largo di Creta ed avente rotta ovest;
segnalazione che si rivela poi errata). Al contempo salpano da Taranto, per
fornire loro appoggio, la I (incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia) e VIII Divisione Navale
(incrociatori leggeri Luigi di
Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi) e la IX (Vittorio Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci) e XVI Squadriglia
Cacciatorpediniere (Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare).
Alle 9, dato che
nuovi voli di ricognizione non sono più riusciti a trovare le navi nemiche,
tutte le unità italiane ricevono ordine di tornare in porto.
A mezzogiorno il
sommergibile britannico Orpheus (capitano
di corvetta James Anthony Surtees Wise), in agguato 70 miglia a nordest di
Malta, avvista il Pola, la III Divisione
e le Squadriglie Cacciatorpediniere XI e XII (meno il Geniere, che è dovuto rientrare in porto da qualche ora), in
navigazione con rotta nord/nordovest. Forse perché troppo lontano, il
sommergibile non attacca.
19 giugno 1940
Il Geniere, insieme al resto della XI
Squadriglia (Aviere, Artigliere, Camicia Nera), salpa da Napoli alle 20.30 diretto a Bengasi, per
una missione di trasporto. A bordo dei quattro cacciatorpediniere sono stati
caricati 36 cannoni anticarro da 47 mm, 20 mitragliere da 20 mm, le relative
munizioni e 300 tra ufficiali ed artiglieri del Regio Esercito, addetti a tali
armi.
Si tratta di uno dei
primissimi carichi di rifornimenti inviati in Libia (il secondo in ordine
cronologico), a seguito di richiesta urgente da parte dell’Esercito.
21 giugno 1940
La XI Squadriglia
giunge a Bengasi alle 14, sbarcandovi il proprio carico.
7 luglio 1940
La XI Squadriglia (Geniere, Aviere, Artigliere, Camicia Nera), al comando del capitano
di vascello Carlo Margottini dell’Artigliere,
salpa da Messina alle 15.45 insieme alla III Divisione Navale (Trento e Bolzano), mentre da Augusta e Palermo prendono il mare
l’incrociatore pesante Pola (nave di
bandiera dell’ammiraglio di squadra Riccardo Paladini, comandante la 2a Squadra),
le Divisioni I (incrociatori pesanti Zara,
Fiume, Gorizia) e VII (incrociatori leggeri Eugenio di Savoia, Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta, Muzio
Attendolo, Raimondo Montecuccoli)
e le Squadriglie Cacciatorpediniere IX (Vittorio
Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci), XII (Carabiniere,
Lanciere, Ascari, Corazziere) e
XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino), che –
insieme alle unità salpate da Messina – compongono la 2a Squadra
Navale. Una volta in mare aperto, tutte le navi appartenenti alla 2a
Squadra Navale si riuniscono in un’unica formazione (eccetto la VII Divisione e
la XIII Squadriglia).
Loro compito è
scortare a distanza un convoglio salpato da Napoli alle 19.45 del 6 e diretto a
Bengasi con un carico di 232 veicoli, 10.445 tonnellate di materiali vari e
5720 tonnellate di carburante, oltre a 2190 uomini; lo formano le motonavi da
carico Marco Foscarini, Francesco Barbaro (salpata da
Catania alle 12 del 7) e Vettor
Pisani e le motonavi passeggeri Esperia e Calitea, con la scorta diretta dei due
incrociatori leggeri della II Divisione (Giovanni
delle Bande Nere e Bartolomeo
Colleoni), dei quattro cacciatorpediniere della X Squadriglia (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), delle quattro torpediniere
della IV Squadriglia (Procione, Orsa, Orione, Pegaso) e delle
vecchie torpediniere Rosolino Pilo e Giuseppe Missori.
La XI Squadriglia
Cacciatorpediniere è assegnata alla scorta della III Divisione.
La 1a Squadra
Navale (V Divisione con le corazzate Giulio
Cesare e Conte di Cavour,
IV e VIII Divisione con sei incrociatori leggeri, VII, VIII, XV e XVI
Squadriglia Cacciatorpediniere con 13 unità) esce anch’essa in mare a sostegno
dell’operazione. Comandante superiore in mare è l’ammiraglio di squadra Inigo
Campioni, con bandiera sulla Cesare.
Le unità della 1a e
della 2a Squadra salpano tra le 12.30 e le 18 del 7 luglio da
Augusta (Pola, I e II Divisione),
Messina (III Divisione), Palermo (VII Divisione) e Taranto (IV, V e VIII
Divisione).
La 2a
Squadra si pone 35 miglia ad est del convoglio, tranne la VII Divisione con la
XIII Squadriglia, che viene invece posizionata 45 miglia ad ovest.
8 luglio 1940
L’operazione va a
buon fine (il convoglio raggiunge Bengasi tra le 18 e le 22 dell’8), ed alle
14.30 le navi delle due squadra navali iniziano la navigazione di rientro.
Ma alle 15.20, a
seguito dell’avvistamento di una formazione britannica – anche la Mediterranean
Fleet, infatti, è in mare a protezione di convogli – la 1a e la
2a Squadra Navale dirigono per intercettare le navi nemiche
(che si teme dirette a bombardare Bengasi), con l’intento di impegnarle in
combattimento almeno un’ora prima del tramonto. La flotta britannica in mare,
al comando dell’ammiraglio Andrew Browne Cunningham, consiste in tre corazzate
(Warspite, Malaya e Royal Sovereign),
una portaerei (la Eagle), cinque
incrociatori leggeri (Orion, Neptune, Sydney, Liverpool, Gloucester) e 16 cacciatorpediniere (Nubian, Mohawk, Decoy, Hasty, Hero, Hereward, Stuart, Decoy, Hostile, Hyperion, Ilex, Dainty, Defender, Janus, Juno, Vampire e Voyager).
Alle 19.20, però, in
seguito ad ordini di Supermarina (il comando della Regia Marina, che, a
differenza dell’ammiraglio Campioni ha avuto modo di apprendere, tramite la
crittografia, la reale consistenza e finalità dei movimenti britannici) la
flotta italiana accosta per 330° per rientrare alle basi, con l’ordine di non
impegnare il nemico. Durante l’accostata le navi vengono attaccate da alcuni
velivoli con una dozzina di bombe, rispondendo con intenso tiro contraereo. Le
bombe cadono vicine agli incrociatori, ma non causano danni.
9 luglio 1940
Per ordine
dell’ammiraglio Paladini, la III Divisione prosegue verso nord dalle 00.45 del
9 sulla dritta di Pola e I
Divisione (ammiraglio di divisione Pellegrino Matteucci, sullo Zara), sia per evitare d’incrociarsi con
la VII Divisione che è in arrivo da sinistra (perché è in rotta verso lo
stretto di Messina), sia per non passare in una zona nella quale Supermarina,
alle 22.10, ha indicato trovarsi due sommergibili nemici.
La navigazione
notturna di rientro si svolge senza grossi inconvenienti, salvo due
fallimentari attacchi siluranti contro la III Divisione; la 2a Squadra
(eccetto la VII Divisione, che è ancora separata da essa) accosta verso nord
all’1.23.
Già dalle 22 dell’8,
però, sono arrivati nuovi ordini: Supermarina teme che la Mediterranean Fleet
intenda lanciare un attacco aeronavale contro le coste italiane, perciò ordina
alle forze in mare di riunirsi nel punto 37°40’ N e 17°20’ E, 65 miglia a
sudest di Punta Stilo, entro le 14 del 9 luglio.
Verso le quattro del
mattino del 9 luglio la III Divisione passa ad est del gruppo «Cesare»;
l’ammiraglio Campioni, che Paladini – assumendo che questi avesse intercettato
l’ordine, inviato a mezzo radiosegnalatore – non ha informato dell’ordine alla
III Divisione di proseguire verso nord (il che differisce da quanto ordinato in
precedenza da Campioni), quando alle 4.30 la XV Squadriglia Cacciatorpediniere
segnala grosse ombre su tale lato (che è quello da cui si prevede che possa
provenire il nemico), ritiene che si tratti di unità nemiche. Vengono così
inviate ad attaccarle, in rapida successione, la XV e la VIII Squadriglia
Cacciatorpediniere. In realtà si tratta appunto del Bolzano e del Trento,
che si trovano dove – secondo le originarie disposizioni di Campioni – non
dovrebbero essere: per fortuna, i due siluri lanciati dalla XV Squadriglia
mancano il bersaglio, mentre l’VIII Squadriglia riconosce la sagoma delle navi
“nemiche” per quella di due incrociatori tipo “Trento”, permettendo di interrompere l’attacco e chiarire
l’equivoco.
Alle 6.40 la III
Divisione si ricongiunge con Pola e
I Divisione, ed alle 8 viene avvistato un idroricognitore Short Sunderland che
pedina la flotta italiana, tenendosi al di fuori della portata delle
artiglierie contraeree (la caccia italiana, chiamata ad intervenire, non verrà
però inviata ad attaccarlo).
Verso le 13, dopo una
mattinata di infruttuosi voli di ricognizione, un velivolo italiano avvista la
Mediterranean Fleet 80 miglia a nordest della V Divisione, ossia molto più a
nord di quanto previsto, ed in posizione adatta ad interporsi tra la flotta
italiana e la base di Taranto: l’ammiraglio Campioni inverte allora la rotta,
ed ordina a Paladini, che si trova più a sud e sta dirigendo per
ovest-sud-ovest, di fare altrettanto, accostando ad un tempo per riunire più
rapidamente le due Squadre.
Verso le 13 la 1a e 2a Squadra, ormai riunite,
si dispongono su quattro colonne, distanziate di cinque miglia l’una
dall’altra: la XI Squadriglia Cacciatorpediniere, insieme alla XII Squadriglia,
al Pola ed alla I e III
Divisione incrociatori, va a formare la colonna destra dello schieramento
italiano, posta ad ovest della V Divisione costituita dalle corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour (la prima colonna è
costituita dalla VII Divisione, la terza dalla V Divisione – rispetto alla
quale la colonna con la III Divisione si trova tre miglia ad ovest,
cioè sulla dritta – e la quarta dalle Divisioni IV e VIII). A causa della
manovra d’inversione di rotta, il Bolzano si
viene a trovare in testa al gruppo degli incrociatori pesanti, mentre il Pola, nave ammiraglia di Paladini,
finisce in coda.
Tra le 13.15 e le
13.26, 45 miglia ad est-sud-est di Capo Spartivento, il gruppo «Pola» (di
cui la XI Squadriglia fa parte), mentre si trova a poppa dritta della Cesare e con rotta 183° – è in
corso la manovra per assumere la propria posizione nella formazione ordinata da
Campioni –, viene attaccato da nove aerosiluranti Fairey Swordfish.
Gli aerei britannici,
decollati dalla Eagle alle
11.45 con l’obiettivo di attaccare le corazzate italiane, che però non hanno
trovato, provegono da ovest (cioè da sinistra); si avvicinano con decisione da
poppavia agli incrociatori (approfittando del fatto che i cacciatorpediniere
sono invece a proravia degli stessi), scendono in picchiata fino a 20-30
metri e sganciano i loro siluri da circa mille metri di distanza. Gli
incrociatori si diradano, compiono rapide manovre evasive ed aprono subito un
violento fuoco contraereo, evitando tutti i siluri (due diretti contro il Bolzano, altrettanti contro il Trento ed uno contro lo Zara). Gli aerei si allontanano, tre di
essi danneggiati dal tiro delle navi italiane.
Alle 14.05 ha inizio
l’avvicinamento alla flotta britannica: alle 15.15 gli incrociatori aprirono il
fuoco, seguiti alle 15.23 anche dalle corazzate, che al contempo, insieme al
gruppo «Pola», accostano a un tempo di 60° a dritta e così si spostano ad
est/nordest insieme agli incrociatori pesanti per supportare gli incrociatori
leggeri, i primi ad essere impegnati in combattimento. Entro le 15.40 i sei
incrociatori pesanti della 2a Squadra si sono portati 6860
metri a proravia della corazzata Cesare,
nave ammiraglia di Campioni.
Incrociatori e
corazzate cessano poi il fuoco rispettivamente alle 15.31 ed alle 15.35, per poi
riprenderlo dalle 15.48 alle 16.04 (corazzate) e dalle 15.56 alle 16.15
(incrociatori). Alle 15.53 l’ammiraglio Campioni ordina al gruppo «Pola» di
serrare le distanze e dispiegarsi sulla linea di rilevamento 040°, per
avvicinare gli incrociatori alle corazzate nemiche abbastanza da poter usare i
cannoni da 203: l’idea è di cercare di “bilanciare” la disparità di calibro tra
i cannoni delle corazzate italiane (320 mm) e quelle britanniche (381 mm)
facendo sparare anche gli incrociatori pesanti sulle corazzate nemiche.
Tuttavia queste ultime rimangono sempre al limite della gittata dei cannoni
degli incrociatori pesanti italiani, dei quali soltanto il Trento spara tre salve contro di
esse.
Nella seconda fase,
la 2a Squadra manovra per avvicinarsi alle unità avversarie, e
tra le 15.50 e le 16 i suoi incrociatori pesanti, su ordine dell’ammiraglio
Paladini, aprono il fuoco da 20.000-25.000 metri contro gli incrociatori
leggeri britannici del viceammiraglio John Tovey (Orion, Neptune, Sydney, Liverpool e Gloucester),
che rispondono al fuoco con granata perforante e tiro raccolto ma poco
efficace.
Alle 15.59, però,
la Cesare, la nave ammiraglia,
viene danneggiata da un proiettile da 381 mm, dovendo ridurre la velocità.
A seguito di questo evento l’ammiraglio Inigo Campioni, comandante superiore in
mare delle forze italiane, decide di rompere il contatto per rientrare alle
basi, ed alle 16.05 dirama l’ordine generale per le squadriglie di
cacciatorpediniere di attaccare con il siluro le navi della Mediterranean Fleet,
in modo da facilitare lo sganciamento delle navi maggiori.
La XI Squadriglia va
all’attacco alle 16.07, all’ordine del Comando della 2a Squadra; i
quattro cacciatorpediniere attraversano la formazione della I Divisione
passando con rotta 105° tra Fiume e Gorizia, poi (alle 16.15), subito dopo
aver superato la linea degli incrociatori, avvistano le navi nemiche dritte di
prua ed accostano di circa 90° a sinistra, assumendo una rotta convergente con
la testa della formazione britannica. Il caposquadriglia Artigliere inizia subito a stendere una cortina nebbiogena,
sia per occultare gli altri cacciatorpediniere che per coprire il ripiegamento
delle navi maggiori (la nebbia artificiale va però ad ostacolare l’attacco
della XII Squadriglia, che è in posizione poco più arretrata). Durante
l’avvicinamento per l’attacco, la XI Squadriglia è continuamente sotto intenso
fuoco nemico, ma nessuna nave è colpita; giunto a 13.800 metri dalla nave
scelta come bersaglio per il proprio attacco, ritenuta essere una corazzata, l’Artigliere apre il fuco contro di
essa. Alle 16.20 Geniere, Aviere e Camicia Nera escono dalla cortina fumogena, che li ha nascosti
fino a quel momento, e lanciano in tutto dieci siluri, sette contro una
corazzata e tre contro un incrociatore, da una distanza di 11.000 metri. Dopo
il lancio le unità accostano a sinistra per disimpegnarsi, emettendo cortine
fumogene, inseguite dal tiro britannico.
Nessun siluro va a
segno; mentre si allontanano, i cacciatorpediniere della squadriglia, pur
continuando ad emettere nebbia artificiale per occultarsi, vedono salve nemiche
cadere nelle loro vicinanze, fino circa alle 16.30.
Tra le 16.19 e le
16.30 tre squadriglie di cacciatorpediniere britannici (2th, 10th
e 14th Flotilla) aprono il fuoco contro quelli italiani da
11.250-12.500 metri, appoggiati tra le 16.39 e le 16.41 dal tiro dei pezzi
secondari da 152 mm delle corazzate Warspite
e Malaya. Alle 16.49 la “mischia” tra
cacciatorpediniere, svoltasi a grande distanza, ha termine senza che nessuna
unità sia stata colpita.
Alle 16.53 il Geniere viene attaccato da un aereo che
vola a circa 50 metri di quota e reagisce con le mitragliere di sinistra,
ritenendo di aver abbattuto l’assalitore.
Terminata la
battaglia, la flotta italiana si avvia alle proprie basi con direttrice di
marcia 230°, passando a sud della Calabria; ma durante il rientro, tra le 16.20
e le 19.30, diviene oggetto anche dell'attacco da parte degli stessi
bombardieri della Regia Aeronautica (una cinquantina, su circa 126 inviati in
totale ad attaccare le forze britanniche), che le attaccano e bombardano
pesantemente per errore di identificazione e malintesi (tra il comando delle
due Squadre Navali e quello della II Squadra Aerea, cui appartengono i
bombardieri) circa la posizione della flotta italiana e di quella britannica.
Le insensate disposizioni vigenti in materia di comunicazioni tra Marina ed
Aeronautica, che non contemplano la possibilità di comunicazioni dirette tra
navi e aerei, impediranno alle prime di segnalare ai secondi l'errore; le stesse
navi, non potendo distinguere la nazionalità degli aerei attaccanti, apriranno
un intenso fuoco con proprie armi contraeree, rafforzando nei piloti
l'impressione di stare attaccando navi nemiche. Alcune delle navi ed alcuni
degli aerei, rispettivamente, cesseranno il fuoco e rinunceranno all'attacco
riconoscendo all'ultimo momento la vera nazionalità del "nemico", ma
alla fine gli attacchi ai danni delle navi italiane eguaglieranno, in
intensità, quelli condotti contemporaneamente contro la vera Mediterranean
Fleet. Nessuna nave italiana sarà, fortunatamente, colpita, mentre un
bombardiere Savoia Marchetti S. 79 della 257a Squadriglia
(XXXVI Stormo da Bombardamento Terrestre) finirà abbattuto dal "fuoco
amico" delle navi. L’ammiraglio Campioni, per tentare di chiarire
equivoco, ordina di stendere bandiere italiane sul cielo delle torri e di
emettere fumo rosso dai fumaioli poppieri, pratica convenzionale, nelle
esercitazioni in tempo di pace, per segnalare il gruppo “amico”.
L'incidente sarà poi
fonte di aspre polemiche tra Marina e Aeronautica, ma per lo meno servirà a
dare l'impulso ad un migliore sviluppo della collaborazione aeronavale, che
però raggiungerà risultati soddisfacenti solo nel 1942.
L’aliquota più
consistente delle unità italiane, compreso il Geniere, dirige su Augusta: nel pomeriggio del 9 luglio, oltre ad
esso ed al resto della XI Squadriglia, fanno il loro ingresso nella base
siciliana la corazzata Conte di
Cavour, gli incrociatori pesanti Pola, Zara, Fiume e Gorizia,
gli incrociatori leggeri Alberico Da
Barbiano, Alberto Di Giussano, Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi ed i 32
cacciatorpediniere delle Squadriglie VII, VIII, IX, XIV, XV e XVI. Poco dopo
mezzanotte, però, a seguito dell’intercettazione e decifrazione di messaggi
radio britannici che fanno presagire un imminente attacco di aerosiluranti
contro il naviglio ormeggiato ad Augusta, Supermarina ordina a tutte le navi di
lasciare la base: dopo essersi frettolosamente rifornite, le unità ripartono
per le basi di assegnazione (Napoli e Taranto). I cacciatorpediniere della
XI Squadriglia, insieme agli incrociatori leggeri Da Barbiano e Di
Giussano, partono alle 19.05 del 10 luglio, alla volta di Taranto.
12 luglio 1940
In serata il Geniere, l’Aviere ed i cacciatorpediniere Pigafetta, Malocello e Zeno lasciano Messina scortando il Bolzano e la Cesare, uniche navi maggiori italiane danneggiate nella battaglia
di Punta Stilo, in corso di trasferimento a La Spezia per i lavori di
riparazione. Durante il giorno la formazione è scortata anche da aerei antisom
della Regia Aeronautica. Le navi attraversano il Tirreno a 22-24 nodi fin quasi
all’altezza delle Bocche di Bonifacio, indi costeggiano la Corsica fino a Capo
Corso, per poi puntare su La Spezia.
13 luglio 1940
Preceduti da Aviere e Geniere che fanno dragaggio protettivo, Bolzano e Cesare passano tra l’Isola del Tino e Palmaria, e si
ormeggiano in rada a La Spezia in tarda serata.
31 agosto-2 settembre 1940
Il 31 settembre la XI
Squadriglia Cacciatorpediniere (Geniere, Aviere, Artigliere, Camicia Nera)
salpa da Messina insieme ad altri cacciatorpediniere ed alla III Divisione
Navale (incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano), per partecipare alle operazioni di contrasto
all’operazione britannica «Hats», consistente in varie sotto-operazioni:
trasferimento da Gibilterra ad Alessandria, per rinforzare la Mediterranean
Fleet, della corazzata Valiant,
della portaerei Illustrious e
degli incrociatori Calcutta e Coventry; invio di un convoglio da
Alessandria a Malta e di uno da Nauplia a Porto Said; bombardamenti su basi
italiane in Sardegna e nell’Egeo. Supermarina ha infatti saputo che sia la
Mediterranean Fleet (da Alessandria) che la Forza H (da Gibilterra) sono uscite
in mare, e si è accordata con la Regia Aeronautica per attaccare la prima con
le forze navali di superficie ed attacchi aerei e la seconda con aerei e
sommergibili.
Complessivamente,
all’alba del 31, prendono il mare da Taranto, Brindisi e Messina 4 corazzate
della V (Cesare, Duilio e Cavour) e IX (Littorio e Vittorio Veneto) Divisione, 13
incrociatori della I (Pola, Zara, Fiume, Gorizia),
III, VII (Eugenio di Savoia, Duca d’Aosta, Montecuccoli ed Attendolo)
e VIII (Duca degli Abruzzi e Garibaldi) Divisione e 39
cacciatorpediniere. La III Divisione si riunisce al grosso della squadra
italiana, partita da Brindisi e da Taranto, verso le 13 del 1° settembre.
Le due Squadre Navali
italiane (la 1a Squadra è composta dalle Divisioni V, VII, VIII e IX
e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere VII, VIII, X, XIII, XV e XVI; la 2a
Squadra dal Pola, dalle
Divisioni I e III e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XI e XII),
riunite, dirigono per lo Ionio orientale con rotta 150°. Le forze navali sono
però uscite in mare troppo tardi, hanno l’ordine di evitare uno scontro
notturno ed hanno una velocità troppo bassa (20 nodi), ed hanno l’ordine di
cambiare rotta e raggiungere il centro del Golfo di Taranto se non riusciranno
ad entrare in contatto con il grosso nemico entro il tramonto. Tutto ciò
impedisce alle forze italiane di intercettare quelle britanniche; alle 16
Supermarina ordina un cambiamento di rotta, che impedisce alla 2a
Squadra, che si trova in posizione più avanzata della I, di proseguire verso le
forze nemiche (l’ammiraglio Iachino, comandante la 2a Squadra, ha
chiesto ed ottenuto alle 16.30 libertà di manovra per dirigere contro le forze
britanniche, segnalate alle 15.35 a 120 miglia di distanza, ma
alle 16.50 tale autorizzazione viene annullata; comunque la 2a
Squadra non sarebbe egualmente riuscita a raggiungere le unità avversarie).
Alle 17.27 la 2a Squadra riceve l’ordine d’invertire la rotta ed
assumere rotta 335° e velocità 20 nodi, come la 1a Squadra.
Alle 22.30 del 31 la
formazione italiana, che procede a 20 nodi, riceve l’ordine di impegnare le forze
nemiche lungo la rotta 155°, a nord della congiungente Malta-Zante, dunque deve
cambiare la propria rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere contatto
con esse), dirigendo più verso sudovest (verso Malta) e superando la
congiungente Malta-Zante. Il mattino del 1° settembre, tuttavia, il vento, già
in aumento dalla sera precedente, dà origine ad una violenta burrasca da
nordovest forza 9; le forze italiane si allontanano nuovamente dal Golfo di
Taranto per cercare di nuovo quelle avversarie lungo la rotta 155° ma con
l’ordine di non oltrepassare la congiungente Malta-Zante, il che tuttavia le
tiene lontane dalle rotte possibili da Alessandria a Malta. Verso le 13 la
burrasca costringe la flotta italiana a tornare alle basi, perché i
cacciatorpediniere non sono in grado di tenere il mare compatibilmente con le
necessità operative (non potendo restare in formazione né usare l’armamento).
Poco dopo la mezzanotte del 1° settembre le unità italiane entrano nelle
rispettive basi; tutti i cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle
sovrastrutture) dal mare mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare. Le
navi verranno tenute pronte a muovere sino al pomeriggio del 3 settembre, ma
non si concretizzerà alcuna nuova occasione.
Il Geniere in navigazione (dal Bollettino d’Archivio dell’U.S.M.M.) |
7 settembre 1940
Il Geniere lascia Taranto alle 16, insieme
al cacciatorpediniere Vittorio
Alfieri della IX Squadriglia, alla XII Squadriglia Cacciatorpediniere
(Ascari, Carabiniere e Corazziere ),
all’incrociatore pesante Pola ed
alla I (incrociatori pesanti Zara e Gorizia) e III Divisione Navale
(incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano), cioè alla 2a Squadra Navale, nonché alla
1a Squadra con la IX Divisione Navale (corazzate Littorio e Vittorio Veneto) e le Squadriglie
Cacciatorpediniere VII (Freccia, Dardo, Saetta), VIII (Folgore, Fulmine, Baleno), X (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco)
e XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino).
La flotta italiana,
che procede a 24 nodi, è diretta a sud della Sardegna (in modo da trovarsi 50
miglia a sud di Cagliari entro le 16 del giorno seguente), per intercettare la
Forza H britannica che si presume diretta verso Malta; in realtà tale
formazione, salpata da Gibilterra alle 6, ha soltanto simulato un’incursione in
Mediterraneo, per coprire il vero obiettivo per della propria uscita in mare:
dirigersi in Atlantico e raggiungere Freetown, per poi attaccare le forze
francesi a Dakar. Qualora non sia possibile ottenere il contatto con il nemico,
gli ordini prevedono di dirigere per il Basso Tirreno a levante della congiungente
Capo Carbonara-Marettimo, poi raggiungere il meridiano 8° Est per le ore 7 del
9 settembre.
8 settembre 1940
Le due squadre navali
attraversano lo stretto di Messina nella notte tra il 7 e l’8 e raggiungono il
punto prestabilito a sud della Sardegna alle 16 dell’8 settembre; però, dato
che la ricognizione non ha avvistato alcuna nave nemica (visto che la Forza H,
dopo la “finta”, si è diretta in Atlantico), la formazione italiana inverte la
rotta e, per ordine di Supermarina, raggiunge le basi del Tirreno meridionale
(Napoli per la 1a Squadra, Palermo e Messina per la I e III Divisione
rispettivamente).
9 settembre 1940
La III Divisione
giunge a Messina dopo essersi appoggiata a Napoli.
Le navi si
riforniscono di carburante e rimangono pronte a muovere, ma non ci sono
novità sul nemico.
29 settembre-2 ottobre 1940
La XI Squadriglia (Geniere, Aviere, Artigliere e Camicia Nera), insieme agli incrociatori
pesanti della III Divisione (Trento, Trieste, Bolzano), esce da Messina alle 20.28 del 29 settembre, mentre
prendono il mare da Taranto il Pola,
le divisioni I (incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia), V (corazzate Giulio
Cesare, Duilio e Conte di Cavour), VII (incrociatori
leggeri Eugenio di Savoia ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta), VIII
(incrociatori leggeri Luigi di
Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi) e IX (corazzate Littorio e Vittorio Veneto) e 19 cacciatorpediniere
(il Pola con la I Divisione
e 4 cacciatorpediniere alle 18.05 e le altre unità alle 19.30), per contrastare
un’operazione britannica in corso, la «MB. 5» (invio a Malta degli
incrociatori Liverpool e Gloucester con 1200 uomini e
rifornimenti, invio da Porto Said al Pireo del convoglio «AN. 4», il tutto con
l’uscita in mare delle corazzate Valiant e Warspite, della portaerei Illustrious, degli incrociatori York, Orion e Sydney e
di undici cacciatorpediniere a copertura dell’operazione). La III Divisione si
riunisce alle navi partite da Taranto alle 7.30 del 30 settembre. In mancanza
di elementi sufficienti ad apprezzare la composizione ed i movimenti della
Mediterranean Fleet ed in considerazione dello svilupparsi di una burrasca da scirocco
(che avrebbe reso impossibile una navigazione ad alta velocità verso sud da
parte dei cacciatorpediniere) Supermarina decide di rinunciare a contrastare
l’operazione ed ordina alle unità in mare di invertire la rotta alle 6.25 del
30 ed incrociare dapprima tra i paralleli 37° e 38°, poi (dalle 10.30) 38° e
39° ed alle 14 fare rotta verso sudovest sino a raggiungere il 37° parallelo,
poi, alle 17.20, di rientrare alle basi. Navigando nella burrasca, la flotta
italiana raggiunge le basi tra l’una e le quattro del mattino del 1° ottobre,
vi si rifornisce in fretta e rimane in attesa di un’eventuale nuova uscita per
riprendere il contrasto, ma in base alle nuove informazioni ottenute ciò
risulterà impossibile, pertanto, alle 14.00 del 2 ottobre, le navi riceveranno
l’ordine di spegnere le caldaie.
6 ottobre 1940
Il Geniere salpa da Messina in
mattinata insieme al resto della XI Squadriglia Cacciatorpediniere (Aviere, Artigliere e Camicia
Nera) ed alla III Divisione Navale (incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano),
in appoggio all’operazione «C.V.», consistente nell’invio da Taranto a Lero
delle due veloci e moderne motonavi Calitea e Sebastiano Venier, cariche di
rifornimenti destinati alle isole del Dodecaneso e scortate dalla XII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Ascari, Lanciere, Corazziere e Carabiniere).
L’operazione (il
convoglio è partito la sera del 5, mentre il 6 mattino, oltre al gruppo cui
appartiene il Geniere, sono salpate
da Taranto anche la I Divisione con gli incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia,
l’incrociatore pesante Pola –
nave ammiraglia della 2a Squadra Navale – e la IX Squadriglia
Cacciatorpediniere con Alfieri, Oriani, Gioberti e Carducci)
viene però interrotta il mattino stesso del 6 ottobre, dopo che la ricognizione
aerea dell’Egeo ha segnalato due corazzate, due incrociatori e sette
cacciatorpediniere britannici sulla rotta Alessandria-Caso, ossia dove
dovrebbero passare le navi dirette nel Dodecaneso. Tutte le unità italiane
vengono fatte rientrare alle basi; «C.V.» non si farà più.
11 ottobre 1940
Tra le 20 e le 20.30 il
Geniere (capitano di fregata Giovanni
Bonetti) salpa da Augusta insieme al resto della squadriglia (Aviere, Artigliere – caposquadriglia, capitano di vascello Carlo Margottini
– e Camicia Nera) ed alle
torpediniere della I Squadriglia Torpediniere (Alcione, Airone ed Ariel).
Entrambe le
squadriglie hanno l’ordine di svolgere una ricerca a rastrello ad est
di Malta, dove si ritiene che vi possano essere navi britanniche.
L’ordine è stato dato
dopo che, alle 8.45 dell’11 ottobre, un aereo di linea italiano ha avvistato 20
unità britanniche (15 navi da guerra e 5 di tipo imprecisato) con rotta 220° (ma
all’arrivo dell’aereo hanno virato di 90° a dritta) in posizione 35°20’ N e
15°40’ O, a 65 miglia per 115° da (ad est-sudest di) Malta. Supermarina,
informata da Superaereo un’ora più tardi, non è in grado di fare uscire in mare
le forze navali maggiori prima del giorno seguente, pertanto ha ordinato al
Comando Militare Marittimo della Sicilia (ammiraglio di divisione Pietro
Barone, con sede a Messina) di organizzare una ricerca offensiva notturna con
l’utilizzo di aerei per la ricognizione e di unità sottili (cacciatorpediniere,
torpediniere e MAS) per la ricerca del contatto e l’eventuale attacco. Sono
state quindi disposte ricognizioni con aerei, l’invio dei MAS 512, 513 e 517 in
agguato notturno al largo della Valletta, l’approntamento in tre ore delle due
squadre navali, la messa in allarme delle difese di Taranto, della Sicilia e
della Libia, e l’interruzione del traffico tra Italia e Libia; inoltre si è
deliberato di inviare numerose siluranti a verificare la presenza di navi
nemiche e, in caso affermativo, ad attaccare col favore della notte (oltre alla
XI Squadriglia Cacciatorpediniere ed alla I Squadriglia Torpediniere, deve
prendere il mare anche la VII Squadriglia Cacciatorpediniere – Freccia, Dardo, Saetta e Strale –, ma cercando sulla
congiungente Marettimo-Zembra, dove il passaggio è meno probabile). Entro
ventiquattr’ore sarebbe possibile fare uscire le forze da battaglia da Taranto,
Augusta e Messina, per appoggiare l’azione notturna delle siluranti, o
sfruttarne gli eventuali risultati positivi.
A trovarsi in mare è
l’intera Mediterranean Fleet, con le corazzate Valiant, Warspite, Ramillies e Malaya, le portaerei Eagle ed Illustrious, l’incrociatore pesante York, gli incrociatori leggeri Ajax, Orion, Sydney, Liverpool e Gloucester ed
i cacciatorpediniere Havock, Hasty, Hyperion, Hero, Hereward, Ilex, Jervis, Janus, Juno, Dainty, Defender, Decoy, Nubian, Vampire e Vendetta: tale poderosa formazione è uscita in mare l’8 ottobre per
dare scorta a distanza al convoglio «M.F. 3» diretto a Malta, ed ora, dopo che
i mercantili sono giunti a destinazione l’11 ottobre, attende di assumere la
scorta di tre piroscafi scarichi (Aphis, Plumleaf e Volo, del convoglio «M.F. 4») di ritorno
ad Alessandria d’Egitto.
L’ammiraglio Andrew
Browne Cunningham, comandante della Mediterranean Fleet, ha creato a nord del
grosso della flotta uno ‘schermo’ di incrociatori e cacciatorpediniere, con
compiti di ricognizione, l’ultimo dei quali (il più a nord) è l’incrociatore
leggero Ajax, al comando del
capitano di vascello Eward Desmond Bewley McCarthy, il quale avanza a 17 nodi
procedendo a zig zag, una settantina di miglia a nord del grosso della
Mediterranean Fleet ed ad altrettante miglia da Malta. Le altre unità dello
schermo sono l’incrociatore pesante York,
gli incrociatori leggeri Orion e Sydney (che con l’Ajax formano il 7th Cruiser
Squadron) ed i cacciatorpediniere Nubian e Mohawk; le navi procedono in linea di
rilevamento, a notevole distanza l’una dall’altra.
I primi ricognitori
italiani, degli idrovolanti CANT Z. 501 delle Squadriglie 144a (di
base a Stagnone), 184a, 186a (di base entrambe ad
Augusta) e 189a (di base a Siracusa) della Regia Aeronautica,
decollano nel primo pomeriggio dell’11 ottobre, quando il cielo – fino ad
allora coperto dalle nuvole, con scariche elettriche, forti raffiche di vento e
visibilità molto limitata, a causa di una perturbazione sul Mediterraneo
centrale iniziata il 9 ottobre – inizia a rasserenarsi, permettendo un
progressivo miglioramento della visibilità. Il CANT Z. 501 decollato per primo
da Stagnone esplora il settore più occidentale (tra il meridiano di Capo Bon ed
il 13° meridiano) ma non trova nulla; altri due idrovolanti sono decollati da
Augusta sempre nel primo pomeriggio dell’11 e conducono una ricerca
(distanziati di 30 miglia e con percorsi paralleli ed opposti) che va da Malta
al meridiano 22° E, ma di nuovo senza risultati; un quarto CANT Z. 501,
decollato da Siracusa ed assegnato all’esplorazione di un settore a sud ed ad
est di Malta, non vede nulla.
Le sette unità della
XI Squadriglia Cacciatorpediniere e della I Squadriglia Torpediniere, giunte a
mezzanotte dell’11 ottobre sul meridiano 16°40’ E (a circa cento miglia da
Malta), si irradiano sul rastrello con base 28 miglia, disponendosi, da nord
verso sud, nell’ordine Alcione, Airone, Ariel, Geniere, Aviere, Artigliere e Camicia
Nera, procedendo affiancate ad una distanza di circa quattro miglia l’una
dall’altra, con un intervallo di otto miglia tra la I Squadriglia Torpediniere
(più a nord) e la XI Squadriglia Cacciatorpediniere (più a sud).
12 ottobre 1940
All’una di notte,
terminato il posizionamento sul rastrello, le sette siluranti iniziano la
ricerca, procedendo a 12 nodi con rotta 270° e direttrice della ricerca da est
verso ovest. L’eccezionale visibilità (grazie alla luce lunare da sudovest, che
rende molto luminoso tale settore, verso il quale si sviluppa la ricerca) e la
direttrice dovrebbero consentire alle navi italiane (specie le torpediniere) di
avvistare le unità nemiche nei loro settori prodieri prima di essere viste a
loro volta. La ricerca del nemico si svolge a sud del parallelo di Malta, nella
fascia compresa tra i paralleli 35°54’ N e 35°25’ N a partire dal meridiano
16°40’ E.
Nel mentre, la
Mediterranean Fleet procede con rotta 90° (opposta a quella delle navi
italiane) e dodici nodi di velocità, circa 50 miglia a sudest di Malta; la
linea protettiva degli incrociatori è disposta in linea di rilevamento a
nordest del grosso della squadra britannica, con l’Ajax posizionato esternamente verso nord. Ancora più a nord si
trovano i tre mercantili del convoglio salpato da Malta alle 22.30, diretti
verso est e scortati dagli incrociatori antiaerei Coventry e Calcutta
e dai cacciatorpediniere Stuart, Voyager, Wryneck e Waterhen.
Il tempo è
migliorato, con vento e mare da sudest forza 2-3 in diminuzione e cielo sereno.
La luna, rispetto alla posizione delle unità italiane, si trova alle spalle
delle navi britanniche, il che dovrebbe agevolare il loro avvistamento.
Le prime ad incappare
nello ‘schermo’ del 7th Cruiser Squadron, e precisamente nell’Ajax, sono le torpediniere: all’1.37 l’Alcione avvista per prima
l’incrociatore, ed in breve anche le altre due unità della I Squadriglia
avvistano l’Ajax, che da parte sua
non si accorge invece della loro presenza; favorite dal buio, vanno
all’attacco, col siluro e col cannone. L’Ajax
si accorge però di loro all’ultimo momento, e così l’attacco, condotto con
coraggio ma con scarsa coordinazione e perizia, si tramuta in disastro: nessuno
dei sette siluri va a segno, mentre l’Ajax,
danneggiato solo leggermente dal tiro delle torpediniere, risponde al fuoco da
distanza ravvicinata, affondando l’Ariel e
riducendo l’Airone ad un relitto
galleggiante.
I cacciatorpediniere
della XI Squadriglia (che procedono col Geniere
in testa, seguito nell’ordine da Aviere,
Artigliere e Camicia Nera), avvistate le vampe del combattimento tra l’Ajax e le torpediniere, accostano a
dritta (verso nord) all’1.56, su ordine del caposquadriglia Margottini, aumentando
la velocità. Avvistano anch’essi l’Ajax,
ma da una distanza molto inferiore a quella delle torpediniere, e con la luna
al traverso a sinistra (cioè, con condizioni di luce poco favorevoli, specie
rispetto alle torpediniere); vanno all’attacco, ma commettono un grave errore:
anziché attaccare tutti insieme, creando una grande concentrazione di siluri,
affrontano l’Ajax uno alla
volta, in modo autonomo e scoordinato, stagliandosi per giunta contro la luce
lunare che li rende particolarmente ben visibili alla nave nemica, a breve
distanza.
Ormai l’Ajax, che ha accostato a sud dopo aver
immobilizzato l’Airone, è sul chi va
là, dopo l’attacco delle torpediniere: l’attacco dei cacciatorpediniere lo coglie
mentre sta accostando a dritta per portare in campo di tiro tutti i propri
cannoni da 152 mm, e questa volta l’incrociatore non esita ad aprire il fuoco
contro le ombre delle navi italiane in avvicinamento, le cui sagome – peraltro
più visibili rispetto a quelle delle torpediniere, date le maggiori dimensioni
– si proiettano contro il settore dell’orizzonte che la luna illumina
maggiormente (l’avvistamento è pressoché contemporaneo e reciproco).
L’Aviere, il primo ad andare all’attacco
(tra le 2.10 e le 2.18), viene rapidamente centrato da diversi colpi prima di
poter lanciare i siluri; seriamente danneggiato, senza luce, con parte
dell’armamento fuori uso, diversi morti e feriti a bordo ed alcuni
compartimenti allagati, deve abbandonare l’attacco ed allontanarsi verso
Augusta.
Poco dopo, alle 2.18,
il Geniere (che nella linea delle
unità italiane si trova tra l’Ariel e
l’Artigliere, ed al momento dello
scontro è molto vicino alla direttrice di marcia dell’Ajax) avvista una nave nemica – l’Ajax, che a sua volta avvista il Geniere, con rotta verso nord – distante poco più di 7 km; le
condizioni cinematiche di distanza e di Beta (largo sulla sinistra, 160°) sono
inadatte ad un attacco silurante, ragion per cui il cacciatorpediniere manovra
per cambiare tali valori in modo andare all’attacco col siluro in condizioni
più adeguate; proprio durante tale manovra, tuttavia, viene perso il contatto
con l’incrociatore, che non viene più ritrovato.
L’Artigliere avvista l’Ajax sulla dritta alle 2.29 e va
all’attacco col cannone e col siluro; riesce a colpire l’Ajax con alcune cannonate, arrecandogli qualche modesto danno, ma
viene devastato dal tiro dell’incrociatore, che uccide o ferisce più di metà
dell’equipaggio (compreso il comandante Margottini) e nel giro di poco più di
un minuto ne immobilizza l’apparato motore e scatena violenti incendi a bordo,
riducendo l’Artigliere ad un relitto
galleggiante.
Il Camicia Nera scambia qualche cannonata
con l’Ajax da grande distanza (circa
5 km), senza conseguenze per nessuno dei due, intorno alle 2.48. Il Geniere, a causa della perdita del
contatto avvenuta poco dopo l’avvistamento, come sopra detto, è l’unica nave in
assoluto, tra le sette siluranti italiane presenti, a non essere coinvolta nel
combattimento (per una fonte, il Geniere
avrebbe seguito a distanza il Camicia
Nera, senza partecipare al combattimento). Non spara dunque un singolo
colpo, né subisce alcun danno.
Alle 2.33, con l’Artigliere fuori combattimento e l’Ajax che, danneggiato in maniera
non grave e con perdite tra l’equipaggio, si allontana per sottrarsi ad altri
attacchi, il combattimento è di fatto terminato (al di là dell’inconcludente
scambio di colpi tra Ajax e Camicia Nera alle 2.48). L’Artigliere verrà finito il mattino
successivo dall’incrociatore pesante HMS York,
dopo un vano tentativo di rimorchio da parte del Camicia Nera.
Terminato lo scontro,
il Geniere rimane ad incrociare
nell’area in attesa di riunirsi con l’Aviere:
le due unità formano infatti la seconda sezione della XI Squadriglia, ed
il comandante Bonetti, avendo saputo che l’Aviere è danneggiato, intende scortare l’unità gemella nella
navigazione di rientro. Poco dopo l’alba l’Aviere, che deve procedere a non più di 14 nodi a causa dei danni
subiti, viene infatti avvistato; il Geniere assume
quindi la scorta dell’Aviere, e
le due unità dirigono per Augusta navigando di conserva. Nonostante
l’avvistamento da parte di aerei da ricognizione già dalle prime luci
dell’alba, non vi sono attacchi, ed i due cacciatorpediniere giungono ad
Augusta a mezzogiorno del 12 ottobre.
11-12 novembre 1940
Il Geniere si trova ormeggiato in Mar
Piccolo a Taranto (in banchina, insieme agli incrociatori pesanti Pola e Trento, agli incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi,
ai cacciatorpediniere Freccia, Strale, Dardo, Saetta, Maestrale, Libeccio, Grecale, Scirocco, Camicia Nera, Carabiniere, Corazziere, Ascari, Lanciere, Da Recco, Pessagno ed Usodimare,
alle torpediniere Pallade, Polluce, Partenope e Pleiadi, alla
portaidrovolanti Giuseppe Miraglia,
al posamine Vieste ed al
rimorchiatore di salvataggio Teseo),
quando la base viene attaccata da aerosiluranti britannici che affondano la
corazzata Conte di Cavour e
pongono fuori uso la Littorio e
la Duilio.
Mentre gli
aerosiluranti attaccano le corazzate, cinque bombardieri attaccano a più
riprese le unità presenti in Mar Piccolo, a scopo diversivo, sganciando
complessivamente una sessantina di bombe.
Alle 23.15 dell’11 le
navi in Mar Piccolo aprono il fuoco contro alcuni aerei che sganciano bombe da
una quota valutata in 500 metri; gli ordigni inquadrano i posti d’ormeggio dei
cacciatorpediniere, ma solo uno va a segno, senza esplodere (sul Libeccio, che riporta solo lievi danni).
Tra le 14.30 e le
16.45 del 12 novembre la XI Squadriglia Cacciatorpediniere (di cui è
caposquadriglia il Camicia Nera),
insieme alla IX Squadriglia «Alfieri», al Pola
ed alla I Divisione (incrociatori pesanti Zara,
Fiume e Gorizia), lascia Taranto, valutata ormai insicura, per trasferirsi
a Napoli.
23 febbraio 1941
Geniere, Aviere (caposcorta) e
la torpediniera Castore salpano da
Napoli per Tripoli alle 19, scortando i mercantili tedeschi Ankara, Reichenfels, Marburg e Kybfels.
25 febbraio 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 20.30. Successivamente il Geniere
viene mandato, insieme al cacciatorpediniere Saetta, a rinforzare la scorta (cacciatorpediniere Baleno e Camicia Nera – caposcorta –, torpediniera Aldebaran) di un convoglio di trasporti truppe (Esperia, Victoria, Conte Rosso, Marco Polo), partito da Napoli il 24,
che giungerà a Tripoli alle 15.45 del 26 febbraio.
27 febbraio 1941
Geniere, Aviere (caposcorta) e
Camicia Nera lasciano Tripoli a
mezzogiorno scortando Ankara, Reichenfels, Marburg e Kybfels che
ritornano scarichi a Napoli.
1° marzo 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 10.
12 marzo 1941
Geniere e Camicia Nera
(caposcorta) partono da Napoli all’1.30 per scortare a Tripoli i trasporti
truppe Victoria, Conte Rosso e Marco Polo. Il convoglio, la cui scorta
viene rinforzata da Palermo con il cacciatorpediniere Folgore, gode anche della copertura degli incrociatori
pesanti Trento, Trieste e Bolzano, dei cacciatorpediniere Aviere, Carabiniere e Corazziere, della torpediniera Giuseppe Dezza e di tre MAS.
13 marzo 1941
Il convoglio
raggiunge Tripoli alle 15.30.
14 marzo 1941
Geniere, Folgore e Camicia Nera (caposcorta) ripartono
da Tripoli alle 16 scortando Victoria, Conte Rosso e Marco Polo che ritornano in Italia.
16 marzo 1941
Il convoglio arriva a
Napoli alle 3.30.
14 aprile 1941
Il Geniere (capitano di fregata Giovanni
Bonetti), i cacciatorpediniere Aviere
(caposcorta, capitano di vascello Bigi), Grecale
e Camicia Nera e la torpediniera Pleiadi partono da Napoli per Tripoli
all’1.45, scortando un convoglio formato dai piroscafi tedeschi Maritza, Procida, Alicante e Santa Fe, con truppe e materiali
dell’Afrika Korps.
Il Geniere in navigazione a massima velocità nella primavera del 1941 (g.c. STORIA militare) |
17 aprile 1941
In seguito alla
distruzione di un altro convoglio, il «Tarigo», da parte di una squadriglia di
cacciatorpediniere britannici, il convoglio di cui fa parte il Geniere (convoglio «Alicante») viene
temporaneamente dirottato a Palermo, dove giunge alle tre.
18 aprile 1941
Il convoglio riparte
da Palermo alle 8.
20 aprile 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 5.
21 aprile 1941
Dopo alcuni attacchi
aerei (tra l’1.50 e le 3.51) da parte di bombardieri Vickers Wellington
(decollati da Malta), Fairey Albacore e Fairey Swordfish (in parte decollati da
Malta, in parte dalla portaerei Formidable),
tra le 4.03 e le 5 il porto di Tripoli viene bombardato da una nutrita
formazione navale britannica, che comprende le corazzate Warspite, Valiant e Barham, gli incrociatori leggeri Ajax, Orion, Perth e Gloucester e tredici cacciatorpediniere
(Havock, Hasty, Hero, Hereward, Havock, Hotspur, Jervis, Janus, Juno, Jaguar, Griffin, Defender, Kingston, Kimberley): si tratta dell’operazione «M.D. 3».
Il bombardamento,
protrattosi per tre quarti d’ora, colpisce duramente la città, provocando
elevate perdite tra la popolazione civile, ma arreca danni relativamente
contenuti alle attrezzature portuali ed al naviglio presente.
Il Geniere, ormeggiato al Molo di
Sottoflutto, si viene a ritrovare in una zona del porto (denominata dai
rapporti britannici “area B”) che viene battuta dal tiro della corazzata Valiant; sottoposto ad intenso e
concentrato fuoco da quest’ultima, il cacciatorpediniere risponde comunque al
fuoco con le armi di bordo, e viene colpito da un unico proiettilie
(probabilmente da 152 mm) che causa soltanto danni leggeri (mentre i britannici
ritengono, a torto, di averlo danneggiato in modo grave). Tra l’equipaggio del Geniere si devono però lamentare tre
vittime: il marinaio cannoniere Bruno Bernes, 26 anni, di Visignano d’Istria,
ed i marinai fuochisti Antonio Le Cause, 21 anni, di Scaletta Zanclea, ed
Aldino Santavenere, 21 anni, da Montesilvano. Saranno tutti decorati con la
Croce di Guerra al Valor Militare, alla memoria (per Bruno Bernes, con la motivazione
«Addetto all’armamento di una mitragliera
antiaerea di C.T. sottoposto ad un violento bombardamento aeronavale nemico,
adempiva al suo compito con serenità e coraggio, e, colpito mortalmente da una
scheggia di proiettile, immolava la sua vita nell’adempimento del dovere»;
per Antonio Le Cause ed Aldino Santovenere, con motivazione «Imbarcato su C.T. che veniva colpito nel
corso di un violento bombardamento aeronavale nemico, attendeva con calma e
coraggio al suo incarico e, rimanendo mortalmente ferito da scheggia di
proiettile, sacrificava, nell’adempimento del dovere, la propria vita»).
Il comandante Bonetti
del Geniere verrà decorato con la
Medaglia di Bronzo al Valor Militare per il suo comportamento durante il
bombardamento («Comandante di cacciatorpediniere
nel corso di violento bombardamento aeronavale, che colpiva la sua unità
causando vittime a bordo, affrontava con ardimento e decisione la difficile
situazione, infondendo ai suoi uomini serenità e audacia. Malgrado il violento
tiro avversario e la difficoltà di manovra, apriva risolutamente il fuoco
contro i mezzi attaccanti e lo continuava con ferrea determinazione fino
all’allontanamento del nemico»). Il direttore del tiro del Geniere, tenente di vascello Alberto
Cuomo, riceverà analoga decorazione con motivazione «Direttore del tiro di cacciatorpediniere, durante un violento
bombardamento aereo-navale che colpiva la nave provocando feriti a bordo,
coadiuvava con calma e perizia il comandante, prodigando la sua opera per
mantenere continua e inalterata l’efficienza delle armi contraeree e navali. Si
distingueva in tutta l’azione per elevato rendimento e capacità offensiva».
Nel corso del
bombardamento vengono affondati il piroscafo Marocchino, la motonave Assiria
e la motovedetta Cicconetti della
Guardia di Finanza, mentre subiscono danni non gravi, oltre al Geniere, la torpediniera Partenope, la cisterna militare Tanaro ed alcune unità minori. Le
perdite militari ammontano in tutto a 5 morti (compresi i tre sul Geniere) e 21 feriti.
Nonostante i lievi
danni subiti nel bombardamento, il Geniere
riparte egualmente da Tripoli alle 14.30, insieme ad Aviere (caposcorta), Camicia
Nera e Grecale, scortando Alicante, Maritza e Santa Fe che
rientrano in Italia.
22 aprile 1941
A seguito di allarme
navale, il convoglio deve rientrare a Tripoli alle 9. Da qui poi riparte alle
19, con l’aggiunta del Procida.
25 aprile 1941
Il convoglio
raggiunge Napoli alle 6.30.
8 maggio 1941
Il Geniere lascia Napoli alle tre di notte
scortando, insieme ai cacciatorpediniere Dardo, Aviere
(caposcorta), Camicia Nera e Grecale, un convoglio composto dai
piroscafi Ernesto e Tembien, dalle motonavi italiane Giulia e Col di Lana e dalle tedesche Preussen e Wachtfels.
9 maggio 1941
Il convoglio deve
rientrare a Napoli all’1.15 a seguito di allarme navale.
11 maggio 1941
Il convoglio riparte
da Napoli alle due di notte.
Per fornirgli scorta
a distanza nel Canale di Sicilia, escono in mare gli incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere e Luigi Cadorna
della IV Divisione, Luigi di Savoia
Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi dell’VIII Divisione, ed i cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare, Antonio Pigafetta (aggregati alla VIII
Divisione), Maestrale, Scirocco, Bersagliere, Fuciliere ed
Alpino (aggregati alla IV Divisione).
13 maggio 1941
Il convoglio arriva
Tripoli alle 11.40.
19 maggio 1941
Il Geniere e le torpediniere Partenope, Circe e Cassiopea
lasciano Tripoli alle 20 scortando la motonave da carico Marco Foscarini e la motonave passeggeri Calitea (avente a bordo prigionieri britannici da portare in
Italia). Per la scorta a distanza nel Canale di Sicilia è in mare la VII
Divisione (incrociatori leggeri Duca
degli Abruzzi e Garibaldi,
cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere ed Alpino).
21 maggio 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 11.
1° giugno 1941
Il Geniere salpa da Napoli alle 19.30,
insieme ai cacciatorpediniere Aviere (capitano
di vascello Luciano Bigi, caposcorta), Dardo
e Camicia Nera ed alla
torpediniera Giuseppe Missori, per
scortare a Tripoli il convoglio «Aquitania», formato dai piroscafi Beatrice C., Aquitania, Caffaro, Nirvo e Montello e dalla moderna motonave cisterna Pozarica. Essendo l’«Aquitania» uno dei
più grandi convogli sino ad allora inviati in Libia, ed in assoluto uno dei più
grandi dell’intera battaglia dei convogli nordafricani, è uscita da Palermo
anche una potente forza di copertura a distanza, consistente nell’intera VIII
Divisione Navale (ammiraglio di divisione Antonio Legnani) con i moderni
incrociatori leggeri Luigi di Savoia
Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi ed i cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino. Completa l’apparato difensivo la
scorta aerea, fornita da due caccia FIAT CR. 42.
2 giugno 1941
Il convoglio, che
procede a non più di otto nodi (non molto), viene tuttavia avvistato già il 2
giugno sia da un sommergibile britannico (la cui presenza è segnalata al
convoglio, che esegue una diversione dalla rotta proprio il 2 mattina, per
evitarlo) che da un idroricognitore Short Sunderland, che comunicano quanto
visto: poco dopo mezzogiorno decollano quindi da Malta, per attaccare le navi
italiane, cinque bombardieri Bristol Blenheim (o Martin Maryland) della RAF.
Intorno alle 14 gli
aerei britannici avvistano il convoglio, ma, avendo visto anche i due CR. 42
della scorta aerea, non attaccano subito e si tengono invece a distanza,
volando bassi sul mare, tallonando il convoglio in attesa di condizioni
favorevoli per l’attacco. Alle 14.15 anche le navi italiane avvistano i Blenheim,
molto lontani sulla dritta e bassi sul mare, con rotta quasi parallela a quella
del convoglio e direzione verso la Tripolitania; ma, dato che in questo periodo
gli attacchi aerei diurni non sono ancora divenuti molto frequenti, pensano che
siano bombardieri tedeschi Junkers Ju 88. In ogni caso, gli aerei vengono quasi
subito persi di vista.
Alle 14.30 (16.30 per
altra fonte) si avverano infine le aspettative degli attaccanti: i due CR. 42,
dovendo tornare alla base, lasciano il convoglio e vengono sostituiti da un
idrovolante antisommergibile CANT Z. 501, un velivolo lento, superato, poco
armato: inadatto a contrastare un attacco aereo (e difatti è impiegato nella
scorta antisommergibile). Il convoglio si trova in posizione 35°25’ N e 11°57’
E, circa venti miglia a nordest delle Isole Kerkennah e dodici miglia a nordest
della boa numero 1 delle secche di Kerkennah, al largo della Tunisia.
Il CANT Z. 501 si
posiziona a proravia del convoglio in funzione di ricognizione
antisommergibile, ed alle 14.45 i Blenheim passarono all’attacco: volando a 500
metri di quota, raggiungono il convoglio provenendo da poppavia e lo risalgono
dalla coda alla testa, sganciando le loro bombe.
In quel momento le
navi della scorta stanno procedendo ai lati del convoglio ed il sole è quasi
sceso sull’orizzonte; i Blenheim vengono avvistati sulla dritta (quasi
provenienti dalla direzione del sole), a circa 4 km di distanza, che si
avvicinano al convoglio volando in formazione a triangolo ad circa 50 metri di
quota. Il caposcorta dà subito l’avvistamento e chiede l’invio di aerei da
caccia; poi tutte le navi, sia i mercantili che le unità di scorta, aprono il
fuoco con le mitragliere, ma le navi scorta sul lato sinistro hanno il campo di
tiro ostruito dai mercantili stessi: dato che gli aerei volano molto bassi,
sono quasi coperti dai piroscafi. Una volta giunti in prossimità del convoglio,
gli aerei accostano leggermente alla loro sinistra, come per evitare le unità
di scorta; arrivano sopra i piroscafi di coda, risalgono la formazione e
sganciano le bombe sul convoglio, senza nemmeno tentare una minima cabrata.
Uno dei Blenheim
viene abbattuto (per una versione, dal fuoco contraereo delle navi del
convoglio, per un’altra dai CR. 42 dei tenenti Marco Marinone ed Antonio Bizio,
entrambi appartenenti alla 70a Squadriglia del 23° Gruppo
Caccia Terrestre) e precipita in fiamme, ma gli altri sganciano con precisione
le loro bombe, che vanno a segno; poi si allontanano verso est, sempre volando
bassi, vanamente inseguiti dal tiro contraereo delle navi.
Il Montello, carico di munizioni e di
benzina, si disintegra in una colossale esplosione, senza lasciare alcun
sopravvissuto; il Beatrice C. viene
anch’esso colpito ed incendiato e, dopo vani tentativi di salvataggio, dovrà
essere abbandonato dall’equipaggio e finito a cannonate dal Camicia Nera, alle sette del mattino del
giorno seguente. Geniere e Missori recuperano i naufraghi
del Beatrice C.; il Geniere recupera anche gli avieri
britannici del Blenheim abbattuto, che vengono presi prigionieri e
successivamente interrogati dal comandante in seconda del cacciatorpediniere.
4 giugno 1941
Alle 14.10 il resto
del convoglio raggiunge Tripoli.
11 giugno 1941
Geniere, Dardo ed Aviere (caposcorta) salpano da Tripoli
per Napoli alle 19.30, scortando i piroscafi Aquitania, Nita e Castelverde.
14 giugno 1941
Il convoglio arriva a
Napoli alle 9.
25 giugno 1941
Il Geniere, insieme ai
cacciatorpediniere Aviere (caposcorta,
capitano di vascello Luciano Bigi), Antonio
Da Noli e Vincenzo Gioberti
ed alla torpediniera Calliope,
salpa da Napoli alle 4.30, per scortare a Tripoli un convoglio veloce composto
dai trasporti truppe Esperia (capoconvoglio,
contrammiraglio Luigi Aiello), Marco
Polo, Neptunia ed Oceania.
Il convoglio imbocca
la rotta di levante (stretto di Messina e poi ad est di Malta), ritenuta, come
detto, la più adatta per i convogli veloci per trasporto truppe; i suoi lati
vantaggiosi sono una maggior elasticità per eventuali dirottamenti, maggior
spazio di manovra, la possibilità di tenere il convoglio al di fuori del raggio
d’azione degli aerosiluranti di Malta, la facilità di confondere il nemico
circa la rotta seguita; i lati svantaggiosi, un percorso più lungo (per questo
la si fa percorrere ai convogli più veloci), la possibilità di attacchi a
sorpresa di navi di superficie inviate da Alessandria o da Tobruk (in mano
britannica da gennaio), comunque poco probabile, e la maggior difficoltà a
garantire scorta aerea di giorno.
Dopo aver
attraversato lo stretto di Messina, la scorta del convoglio viene rinforzata
dalla XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Ascari, Lanciere, Corazziere e Carabiniere;
per altra versione il Lanciere
faceva invece parte della scorta diretta, fin dall’inizio del viaggio) e più
tardi (dal tramonto) dalla III Divisione (incrociatori pesanti Trieste e Gorizia), quest’ultima partita da Messina alle 19, quale scorta
indiretta.
Alle 18.25, mentre le
navi sono ancora a nord del parallelo di Murro di Porco (precisamente, a 32
miglia per 90° da Murro di Porco, non lontano da Siracusa), il convoglio viene
avvistato da un ricognitore; alle 20.20, poco dopo che la scorta aerea (due
bombardieri Savoia Marchetti S.M. 79 "Sparviero" e quattro caccia
Macchi MC. 200) se ne è andata, ad eccezione di un singolo caccia che è ancora
sul cielo del convoglio, vengono avvistati tre velivoli tipo Martin Maryland
che volano a 2500 metri di quota, proprio sopra il convoglio. Viene dato
l’allarme; sia i mercantili che i cacciatorpediniere aprono subito il fuoco con
le mitragliere. Gli aerei sganciano cinque bombe, ma nessuna va a
segno; si ritiene che uno degli attaccanti, colpito, sia caduto in mare in
fiamme.
Alle 20.30, terminato
il lancio, i bombardieri si allontanano, ma poco dopo un altro aereo avversario
si avvicina da sinistra, volando a 1500 metri; fatto oggetto del violento tiro
di tutte le navi del convoglio, rinuncia all’attacco e si allontana prima di
poter giungere sulla verticale del convoglio. Da poppa sopraggiunge un
altro bombardiere, ma è seguito dall’unico caccia rimasto della scorta aerea,
e lascia dietro di sé una scia di fumo; due membri del suo equipaggio si
lanciano col paracadute, poi il bombardiere precipita in mare. Alle
20.40 vengono avvistati altri due bombardieri, provenienti da dritta, anch’essi
accolti dal tiro delle navi della scorta: uno dei due spara raffiche di
mitragliera, poi accosta a sinistra e si allontana senza sganciare bombe;
l’altro giunge sul cielo del convoglio e sgancia una bomba, che cade in mare
senza fare danni. Alle 21, Supermarina “informa” il convoglio che alle 18.35
questo è stato avvistato da un ricognitore avversario.
Alle 21.10 un bengala
si accende a proravia del convoglio, a circa 3000 metri di quota (resta acceso
8-9 minuti); dato che l’esperienza precedente insegna che questo è il preludio
ad un attacco di aerosiluranti, le navi della scorta iniziano ad emettere
cortine fumogene, per occultare le navi del convoglio. Alle 21.29 gli
aerosiluranti – velivoli dell’830th Squadron della Fleet Air
Arm – attaccano: provenienti da dritta e restando in formazione, si portano a
proravia del convoglio, poi sul suo lato sinistro, indi si separano ed
attaccano dai quartieri prodieri. Le navi aprono il fuoco con le mitragliere;
vengono lanciati almeno quattro siluri, nessuno dei quali va a segno.
Mentre ancora non si
è concluso l’attacco degli aerosiluranti, alle 21.37, vengono lanciati in mezzo
al convoglio tre bengala che galleggiano sul mare (si tratta di fuochi al
cloruro di calcio, una nuova invenzione al suo primo impiego nella battaglia
dei convogli): due si spengono quasi subito, ma il terzo resta acceso per un
paio di minuti, illuminando a giorno il convoglio con la sua fortissima luce
gialla; le navi si diradano ed intanto avvistano sul loro cielo i fanalini di
navigazione di altri aerei, contro i quali sparano con tutte le mitragliere.
Gli aerei sganciano delle bombe di grosso calibro; nessuna va a segno, ma una
esplode a pochi metri dall’Esperia,
che subisce lievi danni ed alcune perdite tra il personale imbarcato.
Alle 21.45 gli aerei
se ne vanno, inseguiti dal fuoco delle mitragliere; uno di essi, un Fairey
Swordfish dell’830th Squadron F. A. A. (sottotenente D. A. R.
Holmes, Aviere J. R.
Smith), viene abbattuto.
Tanto accanimento non
è casuale. Il convoglio «Esperia» detiene infatti il dubbio onore di essere
stato il primo convoglio ad essere attaccato sulla base delle informazioni
fornite da “ULTRA”, l’organizzazione segreta britannica dedita alla
decrittazione dei messaggi in codice dell’Asse. Già il 23 giugno, due giorni
prima della partenza, i britannici sanno così che un convoglio formato da Neptunia, Oceania, Marco Polo ed Esperia (in realtà, inizialmente, i
britannici commettono un errore ed identificano la quarta nave come Victoria, ma questo viene prontamente
corretto il 24 giugno), scortato da cinque cacciatorpediniere, deve partire da
Napoli alle 3.30 diretto a Tripoli, con arrivo previsto per le 16.30 del 27,
navigando ad una velocità di 17,5 nodi. Ulteriori intercettazioni, sempre
compiute il 23 giugno, permettono ai britannici di apprendere anche che il
convoglio deve attraversare il parallelo 34°30’ N alle sette del mattino del
26, che sarà scortato anche da aerei, e che dopo aver scaricato i materiali
dovrà tornare a Napoli seguendo la rotta ad ovest della Sicilia.
26 giugno 1941
Vista la violenza
degli attacchi aerei, nel fondato timore che essi debbano proseguire per il
resto della notte ed anche la mattina successiva – mentre il convoglio è al di
fuori del raggio operativo della caccia italiana –, oltre che in seguito alla
notizia dell’avvistamento di un sommergibile in agguato lungo la rotta del
convoglio (avvistato ed attaccato da un velivolo della ricognizione marittima),
Supermarina ordina sia al convoglio che alla III Divisione di dirottare su
Taranto. Qui le navi giungono alle 17.
27 giugno 1941
Il convoglio riparte
da Taranto per Tripoli alle 17, con scorta diretta ed indiretta invariate,
seguendo una rotta che lo tenga quanto più possibile lontano da Malta. Anche
questa volta “ULTRA” intercetta e decifra i relativi messaggi, ma stavolta la
reazione britannica sarà assai meno violenta e tempestiva.
28 giugno 1941
In mattinata il
convoglio viene avvistato da un ricognitore britannico; il segnale di scoperta
da esso lanciato viene però intercettato e decifrato da Supermarina, che ne informa
il convoglio. Questi modifica allora notevolmente la rotta, ma nel pomeriggio
viene avvistato di nuovo; non si verificano però attacchi aerei durante il
giorno, né nella notte successiva.
29 giugno 1941
Intorno alle 9 il
convoglio, giunto in prossimità di Tripoli ed ormai lasciato dalla III
Divisione (che rientra a Messina, dove giunge alle 11) ma raggiunto dalla
scorta aerea (due caccia Macchi MC. 200, due S.M. 79 e due idrovolanti CANT Z.
501) viene attaccato da bombardieri britannici, i quali sganciano poche bombe
che non causano nessun danno.
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 10.30 (o 11.15).
Nemmeno con l’arrivo
in porto, però, le traversie sono finite: tra le 18.30 ed il 19.45 alcuni
ricognitori britannici sganciano delle bombe sul porto, senza colpire le navi
(i trasporti hanno comunque già sbarcato le truppe, subito allontanate dal
porto); dalle 21.48 alle 23.49 il porto viene nuovamente attaccato da un
nutrito numero di bombardieri, ma le molte bombe lanciate finiscono anch’esse
in mare (alcune, inesplose, vengono scambiate per mine magnetiche, tanto che
all’alba si inizia un’operazione di dragaggio magnetico per preparare una rotta
d’uscita di sicurezza: ma di mine non ve ne sono).
30 giugno 1941
Alle 9.15 (o 9.30)
quattro bombardieri britannici Bristol Blenheim, provenienti da ovest, arrivano
sul porto di Tripoli a motore spento, volando a bassissima quota; la fittissima
foschia, causata da forte ghibli, impedisce alle stazioni di vedetta di
avvistarli prima che giungano sul porto. In un fulmineo attacco, i Blenheim
colpiscono l’Esperia, causando danni
e vittime.
Alle 20, nel corso di
un nuovo attacco aereo sul porto, Geniere, Aviere (caposcorta), Gioberti e Da Noli ripartono per scortare a Napoli Esperia (sommariamente riparata ed in grado di riprendere a
navigare), Neptunia e Marco Polo. Nella notte si uniscono al
convoglio anche l’Oceania ed
il Lanciere, a loro volta
salpati da Tripoli alle 22. Questa volta si seguono le rotte di ponente.
2 luglio 1941
Il convoglio arriva a
Napoli alle 7.
16 luglio 1941
Geniere (caposcorta), Lanciere, Oriani, Gioberti e la torpediniera Centauro salpano da Taranto per Tripoli alle 16, scortando i
trasporti truppe Marco Polo, Neptunia ed Oceania.
Gli incrociatori
pesanti Trieste e Bolzano (III Divisione Navale) ed i
cacciatorpediniere Ascari, Corazziere e Carabiniere forniscono scorta a
distanza.
Secondo alcune fonti
il convoglio sarebbe infruttuosamente attaccato, alle 13.35 (23 miglia a
sud-sud-ovest di Messina), dal sommergibile britannico Unbeaten, ma si tratta probabilmente di
un errore.
18 luglio 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 14.30.
19 luglio 1941
Geniere (caposcorta), Aviere,
Lanciere, Oriani e Gioberti
lasciano Tripoli per Taranto alle 20.30, scortando Neptunia, Oceania e Marco Polo. La III Divisione Navale
fornisca ancora scorta indiretta.
21 luglio 1941
Il convoglio giunge a
Taranto alle 16.30.
Il Geniere nel 1941 (g.c. STORIA militare) |
27 luglio 1941
Geniere, Aviere (caposcorta), Oriani, Gioberti e Camicia
Nera salpano da Taranto per Tripoli alle 14, scortando Marco Polo, Neptunia ed Oceania diretti
a Tripoli lungo la rotta di levante. Le navi si tengono molto a levante di
Malta, per restare fuori dal raggio d’azione degli aerosiluranti ivi basati,
dirigendo all’incirca a metà strada fra Napoli e Bengasi, salvo accostare per
Tripoli la sera del 28, evitando i ricognitori nemici.
Il sommergibile
britannico Otus (tenente di
vascello Richard Molyneux Favell), inviato ad intercettare il convoglio in
posizione 34°25’ N e 19°40’ E, non riesce a trovarlo.
29 luglio 1941
Il convoglio
raggiunge Tripoli alle 13; dopo che i tre trasporti hanno sbarcato le truppe,
essi ripartono già alle 21 per tornare a Napoli, sempre scortati da Geniere, Aviere (caposcorta), Oriani, Gioberti e Camicia Nera. Rotta di ponente.
31 luglio 1941
Il convoglio arriva a
Napoli alle 4.
4 agosto 1941
Geniere, Aviere (caposcorta), Oriani, Gioberti, Camicia Nera e Calliope salpano da Napoli alle 21
diretti a Tripoli, scortando un convoglio formato dai piroscafi Castelverde, Aquitania, Nita, Nirvo ed Ernesto.
5 agosto 1941
Alle 13 si unisce al
convoglio anche la moderna motonave cisterna Panuco (per altra fonte, Pozarica), proveniente da Palermo.
6 agosto 1941
Durante il
pomeriggio, a sud di Pantelleria, il convoglio viene avvistato da ricognitori
britannici; i segnali di scoperta da questi lanciati vengono immediatamente
intercettati sia dal caposcorta che da Supermarina, il che permette di intuire
che un attacco aereo da Malta è imminente.
Alle 16.40 vengono
avvistati aerei britannici, che tuttavia non attaccano, probabilmente perché il
convoglio è ancora munito di robusta scorta aerea (due bombardieri Savoia
Marchetti S.M. 79 "Sparviero" e sei aerei da caccia). Dopo una
incerta puntata contro il convoglio, gli aerei nemici si allontanano alle
16.48.
Alle 22, quando –
calato il buio – non vi è più scorta aerea, i britannici tornano all’attacco:
l’Aviere avvista cinque aerosiluranti
(sono Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm)
di prora a sinistra, cioè nella direzione di Malta (ed anche della luna), ad un
centinaio di metri di quota.
I cacciatorpediniere
di prua aprono il fuoco per primi con le loro mitragliere, subito imitati dai
piroscafi ed in breve da tutte le navi del convoglio. Nonostante l’intenso e
serrato tiro delle navi, gli aerei britannici non demordono; tagliano la rotta
del convoglio passandogli 400 metri a proravia, indi defilano controbordo ai
piroscafi e lanciano cinque bengala, di cui tre (molto luminosi) rimangono
sospesi in aria e due si depositano sulla superficie del mare, galleggiando ed
emettendo poca luce. Viene dato l’allarme, ed i mercantili – molto ben
affiatati tra loro e con la scorta, grazie alle precedenti navigazioni compiute
insieme: si cerca di far navigare sempre insieme le stesse navi proprio per
questo scopo – accostano mettendo la prua sulla luna, così da minimizzare la
sagoma e di conseguenza il bersaglio; la Calliope ritiene di vedere un aereo precipitare in fiamme a
poppavia del convoglio.
Gli aerosiluranti
finiscono con lo sganciare un po’ a casaccio, ma un siluro va egualmente a
segno: la vittima è il Nita,
ultimo della formazione, colpito alle 22.10. Calliope e Camicia
Nera rimangono ad assisterlo.
7 agosto 1941
Dopo ulteriori
attacchi aerei, il Nita affonda
all’1.30. Calliope e Camicia Nera recuperano tutti gli
uomini a bordo, tranne uno.
Alle 5.50 il resto
del convoglio, che prosegue verso Tripoli a 7 nodi, avvista a poppavia del
traverso, sulla sinistra, due bombardieri britannici Bristol Blenheim
(appartenenti al 105th Squadron della Royal Air Force), che si
avvicinano volando a bassa quota. È l’alba; la scorta aerea non è ancora
arrivata. Uno dei Blenheim mantiene le distanze, l’altro si avvicina con
decisione: piroscafi e navi scorta aprono il fuoco con cannoni e mitragliere.
Il Blenheim si tiene basso fino a poche centinaia di metri dal convoglio, indi
cabra e lancia quattro bombe contro l’Aquitania,
che non subisce danni seri (due bombe esplodono in mare, provocando danni da
schegge; altre due rimbalzano contro la murata, per poi cadere in mare
inesplose), per poi allontanarsi sorvolando gli altri piroscafi. Il secondo
Blenheim, compiuto un ampio giro, si porta a poppa dritta del convoglio ed
attacca a sua volta: accolto dal violentissimo fuoco delle navi, non sgancia le
bombe, ma passa tra mercantili e navi della scorta volando bassissimo sul mare,
si allontana, fa un altro giro, si porta nuovamente a poppa dritta del
convoglio e torna alla carica. Di nuovo, piroscafi e navi da guerra aprono un
furioso tiro contraereo con cannoni e mitragliere; l’aereo rinuncia di nuovo a
sganciare le bombe, passa bassissimo (2-3 metri sopra la superficie del mare)
tra i piroscafi e stavolta si allontana definitivamente verso est.
Alle 6.10, ad attacco
ancora in corso, giunge sul cielo del convoglio un idrovolante CANT Z. 1007
della Regia Aeronautica (che però non vede il Blenheim); più tardi arrivano
anche un S.M. 79 e due caccia biplani FIAT CR. 42.
Alle 6.45 il
convoglio attraversa una zona ove la sera prima è stato avvistato un
sommergibile, pertanto i mercantili zigzagano, mentre le navi scorta
evoluiscono ad alta velocità e lanciano bombe di profondità. A mezzogiorno
Tripoli comunica di essere sotto bombardamento aereo, ed alle 12.35 vengono
avvistati tre aerei sospetti in lontananza, sulla sinistra; non si verificano,
però, altri attacchi.
Il resto del
convoglio raggiunge Tripoli alle 18.
23 agosto 1941
Il Geniere, insieme all’Aviere (col quale forma la XI
Squadriglia Cacciatorpediniere), alla XIII Squadriglia (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino) ed alla IX Divisione Navale (corazzate
Littorio e Vittorio Veneto), esce da Taranto alle
16 a contrasto dell’operazione britannica «Mincemeat», consistente
nell’uscita da Gibilterra di parte della Forza H (la portaerei Ark Royal, la corazzata Nelson, l’incrociatore leggero Hermione e cinque
cacciatorpediniere) con lo scopo di bombardare gli stabilimenti industriali ed
i boschi di sughero nella Sardegna settentrionale (con gli aerei dell’Ark Royal), posare mine al largo di
Livorno (con il posamine veloce Manxman)
e dissuadere, con tale dimostrazione di forza, la Spagna dall’entrare in guerra
a fianco dell’Asse. I veri obiettivi dell’azione britannica non sono comunque
noti a Supermarina, che pensa soprattutto ad un nuovo tentativo britannico di
inviare a Malta un convoglio di rifornimenti.
Altre aliquote delle
forze navali italiane escono da Palermo (VIII Divisione con Duca degli Abruzzi, Montecuccoli ed Attendolo, VIII Squadriglia
Cacciatorpediniere con Freccia, Dardo e Strale, VII Squadriglia con Folgore
e Fulmine), Messina (III Divisione
con Trento, Trieste, Bolzano e Gorizia,
X Squadriglia con Maestrale e Scirocco, XII Squadriglia con Corazziere, Carabiniere, Ascari e Lanciere), Napoli
(cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi e Lanzerotto Malocello della XIV
Squadriglia e Nicoloso Da Recco della
XVI Squadriglia) e Trapani (cacciatorpediniere Antonio Pigafetta e Giovanni
Da Verrazzano della XV
Squadriglia).
24 agosto 1941
Poco dopo le cinque
del mattino, al largo di Capo Carbonara, si uniscono al gruppo «Littorio» anche i cacciatorpediniere Vivaldi, Da Recco, Malocello, Pigafetta e Da Verrazzano. Fanno parte della formazione anche la III Divisione
(incrociatori pesanti Trento, Trieste, Bolzano e Gorizia) e la
XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Lanciere,
Ascari, Corazziere e Carabiniere),
partite da Messina, nonché i cacciatorpediniere Maestrale e Scirocco,
inviati da Palermo.
Le navi italiane
assumono una rotta che le conduca al centro del Tirreno. Tra le 6.30 e le
6.40 Littorio, Vittorio Veneto e Trieste catapultano i loro
idrovolanti da ricognizione, che tuttavia non riescono a trovare nulla; alle
11.15 è il Bolzano a
catapultare il suo ricognitore, ma con risultati non migliori.
La formazione
italiana, al comando dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, ha l’ordine di
trovarsi per le otto del 24 trenta miglia a sud di Capo Carbonara, dato che la
Forza H è stata avvistata da un ricognitore alle 9.10 del 23, circa 90 miglia a
sud di Maiorca (il ricognitore ne ha stimato la composizione in una corazzata,
una portaerei, un incrociatore e quattro cacciatorpediniere, con rotta 270° e
velocità 14 nodi), ed alle 19.18 di quel giorno dei rilevamenti
radiogoniometrici hanno collocato la Forza H 145 miglia ad ovest di Capo
Teulada.
Intorno alle cinque
del mattino del 24, gli aerei dell’Ark
Royal attaccano la zona di Coghinas e Tempio Pausania con bombe e
spezzoni incendiari, causando però pochissimi danni (una casa distrutta ed un
soldato ucciso) nonostante la zona sia ricca di boschi di sughero, mentre alle
7.45 la squadra italiana viene avvistata a sud della Sardegna da un ricognitore
britannico, proprio mentre anche la Forza H viena a sua volta localizzata 30
miglia ad est di Minorca, con rotta 105° e velocità 20 nodi.
Sulla base di tale
avvistamento, Supermarina (che ha intercettato il segnale di scoperta del
ricognitore nemico, informando subito l’ammiraglio Iachino), ritenendo
improbabile che le forze italiane possano incontrare quelle britanniche entro
il 24, a meno di non uscire dal raggio di copertura della caccia aerea, ordina
a Iachino di tenersi ad est del meridiano 8° (salvo, per l’appunto, riuscire ad
incontrare la Forza H di giorno ed entro la zona protetta dalla caccia
italiana) e di rientrare nel Tirreno dopo aver appoggiato la ricognizione che
l’VIII Divisione è stata mandata a svolgere nelle acque di Capo Serrat e
dell’isola di La Galite; ordina poi alla III ed alla IX Divisione di trovarsi
alle dieci del mattino del 25 agosto a 28 miglia per 150° da Capo Carbonara,
per ripetere la manovra del 24. Alle 17.20 le forze britanniche vengono
avvistate da un altro ricognitore trenta miglia a sudest di Maiorca, il che
conferma che un incontro per il 24 non sarebbe possibile, mentre sarebbe
probabile il giorno seguente.
25 agosto 1941
In mattinata, dato
che la ricognizione aerea (che si spinge fino al 3° meridiano) non trova
traccia della Forza H, ed il traffico radio britannico sta tornando ai ritmi
usuali, Supermarina decide di far rientrare alle basi le proprie forze navali;
alle 13.35, di conseguenza, l’ammiraglio Iachino riceve ordine di rientrare a
Napoli. La sera del 25 si viene a sapere che all’alba la Forza H è stata
avvistata ormai già in acque spagnole, tra Sagunto e Valencia, prima con rotta
nord e poi diretta verso sud, accompagnata da numerosi velivoli. Più tardi è
stata vista a sud di Capo Sant’Antonio e si sono sentite molte cannonate,
probabilmente dovute ad esercitazioni di tiro.
1941
Lavori di modifica:
l’obice illuminante da 120/15 mm viene eliminato e sostituito con un quinto
cannone da 120/50 mm mod. Ansaldo 1940. Vengono inoltre imbarcati e due
scaricabombe per bombe di profondità.
12 novembre 1941
In mattinata Geniere, Aviere e Camicia Nera (la
XI Squadriglia) lasciano Taranto per ordine di Supemarina diretti a Messina,
dove devono andare a rinforzare la scorta della III Divisione Navale
(incrociatori pesanti Trento e Gorizia). Navigando a 20 nodi, giungono
a Messina nel tardo pomeriggio.
21 novembre 1941
Alle 8.10 il Geniere (capitano di fregata Francesco
Baslini) parte da Napoli unitamente ad Aviere
(capitano di vascello Luciano Bigi, caposquadriglia della XI Squadriglia, che
include Geniere, Aviere e Camicia Nera), Carabiniere (capitano di fregata Giacomo
Siccio), Corazziere (capitano di
vascello Paolo Melodia, caposquadriglia della XII Squadriglia
Cacciatorpediniere) e Camicia Nera (capitano
di fregata Silvio Garino) ed agli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi (capitano di
vascello Vittorio De Pace) e Luigi
di Savoia Duca degli Abruzzi (capitano di vascello Franco Zannoni; nave di
bandiera del comandante superiore in mare, ammiraglio di divisione Giuseppe
Lombardi) dell’VIII Divisione, per fornire scorta indiretta a due convogli
partiti da Napoli e diretti a Tripoli: il «C» (partito in due gruppi poi
riunitisi in mare aperto; lo compongono le motonavi Monginevro, Napoli e Vettor Pisani e la motonave
cisterna Iridio Mantovani,
scortate dai cacciatorpediniere Vivaldi,
Pessagno, Da Noli e Turbine e dalla
torpediniera Perseo) e l’«Alfa»
(salpato alle 19 e composto dalle motonavi Ankara e Sebastiano
Venier scortate dai cacciatorpediniere Maestrale, Alfredo
Oriani e Vincenzo Gioberti).
Entrambi dovranno seguire la rotta di levante, passando per lo Stretto di
Messina e tenendosi poi al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti d
Malta (190 miglia).
Sono in mare anche
due convogli diretti a Bengasi, uno (incrociatori ausiliari Città di Palermo e Città di Tunisi, scortati dal
cacciatorpediniere Nicolò Zeno e Lanzerotto Malocello) partito da Taranto
e l’altro (nave cisterna Berbera e
torpediniera Pegaso) salpato da
Brindisi. Al contempo, una motonave veloce (la Fabio Filzi) è partita anch’essa per Tripoli ma sulla rotta di
ponente (per il Canale di Sicilia), con la scorta di un paio di
cacciatorpediniere (oltre che di aerei: sia sui due convogli che sulla Filzi la scorta aerea dovrà essere
continua, nelle ore diurne, dal 20 al 23 novembre), per non dare nell’occhio. Infine,
l’incrociatore leggero Luigi Cadorna
è partito da Brindisi per trasportare a Bengasi un carico di benzina, e da
Tripoli prendono il mare le navi qui rimaste bloccate a inizio novembre, per
rientrare in Italia.
Si tratta di una
grande operazione complessa disposta per inviare in Libia, dopo la momentanea
battuta d’arresto causata dalla distruzione del convoglio «Duisburg» (9
novembre 1941), i rifornimenti necessari a contrastare l’offensiva britannica «Crusader»,
con la quale le forze del Commonwealth stanno avanzando in Africa
Settentrionale.
La VIII Divisione, insieme
alla III Divisione (uscita da Napoli alle 19.30 con gli incrociatori pesanti Trento, Trieste e Gorizia, nave
di bandiera dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona), dovranno fornire protezione
all’intera operazione.
Per evitare che il
nuovo convoglio faccia la stessa fine del «Duisburg», distrutto dalla Forza K
britannica (due incrociatori leggeri e due cacciatorpediniere) nonostante la
presenza della III Divisione a pochi chilometri, si è deciso che le due
Divisioni non debbano tenersi a qualche chilometro dal convoglio, bensì
navigare insieme al convoglio stesso, dissuadendo la Forza K dall’attaccare.
L’idea è che un tale
numero di navi in movimento contemporaneamente, divise in più convogli sparsi
su una vasta area, confonda e disorienti la ricognizione maltese; che i
convogli finiscano col coprirsi a vicenda; che la presenza in mare della III e
VIII Divisione scoraggi interventi da parte della Forza K britannica (autrice
della distruzione del convoglio «Duisburg»), notevolmente inferiore per numero
e potenza (incrociatori leggeri Aurora e Penelope e cacciatorpediniere Lance e Lively). L’Aeronautica, oltre alla scorta antiaerea ed
antisommergibile dei convogli, effettua anche azioni di ricognizione e di
bombardamento degli aeroporti di Malta. Alcuni sommergibili vengono disposti in
agguato nelle acque circostanti l’isola.
L’VIII Divisione, che parte da Napoli in leggero ritardo a causa di un attacco
aereo scatenatosi su Napoli proprio mentre gli incrociatori lasciavano gli
ormeggi (il che ha reso necessario procedere all’annebbiamento del porto),
dirige verso il convoglio «C», che è partito in precedenza. In mattinata l’VIII
Divisione viene raggiunta dagli aerei di scorta, come pianificato.
Il convoglio «Alfa» è
stato però avvistato da un ricognitore britannico poco dopo la partenza; a
seguito dell’intercettazione di un messaggio radio britannico dal quale risulta
che una forza navale britannica non è molto lontana, il convoglio viene
dirottato ad Argostoli, ponendo così fine alla sua partecipazione
nell’operazione.
Il convoglio «C»,
invece, prosegue e viene raggiunto poco dopo le 16 dalla VIII Divisione con i
relativi cacciatorpediniere, Geniere
compreso. Tale Divisione ne assume quindi la scorta diretta.
Quasi
contemporaneamente, però, mentre le navi sono ancora a nord della Sicilia,
anche il convoglio «C» e la sua scorta vengono avvistati da un aereo (un
Sunderland della RAF, decollato da Malta) e da un sommergibile avversari, che
segnalano a Malta la presenza di navi mercantili e navi da guerra italiane
dirette verso lo stretto di Messina. Supermarina intercetta e decifra entrambi
i segnali di scoperta; stante però la potente scorta di cui il convoglio gode,
sia Supermarina che l’ammiraglio Lombardi decidono di proseguire, senza neanche
modificare la rotta.
Alle 19.50 il
convoglio e la VIII Divisione imboccano lo stretto di Messina, e poco dopo vengono
raggiunti anche dalla III Divisione dell’ammiraglio Angelo Parona. (Secondo
un’altra versione, Geniere, Aviere, Corazziere e Camicia Nera
non sarebbero partiti da Napoli con l’VIII Divisione, bensì da Messina insieme
alla III Divisione ed ad un altro cacciatorpediniere, il Bersagliere).
La VIII Divisione si
posiziona in testa al convoglio, la III in coda; tutta la formazione assume
direttrice di marcia lungo la costa siciliana, a 14 nodi, come ordinato. Alle
20.45 l’ammiraglio Lombardi viene informato da Supermarina che forze di
superficie britanniche sono in mare, e provvede ad ordinare a tutte le unità
“posto di combattimento generale”, avvisandole dell’eventualità di un incontro
notturno con navi nemiche. Contemporaneamente il convoglio inizia ad essere
sorvolato da ricognitori britannici, che volano sul suo cielo con qualche luce
volutamente lasciata accesa, in modo da attirare il fuoco contraereo delle
navi, che segnalano così, involontariamente, la direttrice di marcia del
convoglio. L’ammiraglio Lombardi ordina tassativamente di non aprire il fuoco
contro i ricognitori, essendo peraltro inutile, proprio per evitare di
segnalare la propria posizione; ma durante la notte diverse navi, soprattutto
tra quelle mercantili, si lasciano sfuggire sporadiche raffiche di mitragliera
contro tali velivoli.
I ricognitori non
perdono mai di vista il convoglio, aggiornando continuamente Malta sui suoi
spostamenti: innumerevoli messaggi vengono intercettati e decifrati sia da
Supermarina che dal comando della VIII Divisione.
Alle 21.45 la
formazione assume rotta 96°, in modo da uscire prima possibile dal raggio
d’azione degli aerosiluranti, e poco dopo si dispone in ordine di marcia
notturna, con l’VIII Divisione a dritta e la III a sinistra. Tale cambiamento
di rotta e formazione viene ordinato dall’ammiraglio Lombardi per cercare di
disorientare i ricognitori; ma poco dopo ricompaiono i bengala ed i fanalini
dei ricognitori, a mostrare che il convoglio non è stato perso di vista. Non
passa molto, anzi, prima che inizi una serie di violenti attacchi aerei (da
parte di aerosiluranti Fairey Albacore dell’828th Squadron e
Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm e da
bombardieri Vickers Wellington della RAF, di base a Malta); ed anche
sommergibili britannici si avvicinano al convoglio per attaccarlo.
Alle 23.12 il
sommergibile britannico Utmost (capitano
di corvetta Richard Douglas Cayley) sente rumori di navi in posizione 37°48’ N
e 15°32’ E e poco dopo avvista tre incrociatori e tre cacciatorpediniere (le
navi della III Divisione) a cinque miglia di distanza, su rilevamento 275°,
stimandone rotta e velocità in 110° e 20 nodi. Il sommergibile va all’attacco e
lancia quattro siluri contro il Trieste,
che alle 23.12 viene colpito da una delle armi, riportando danni gravissimi:
rimane immobilizzato, e potrà rimettere in moto solo alle 00.38, scortato
da Corazziere e Carabiniere, per trascinarsi verso
Messina.
L’Utmost, mentre scoppiano le prime due
bombe di profondità, si allontana verso sudest; successivamente vengono gettate
altre 84 bombe di profondità, ma ormai il sommergibile si è allontanato.
22 novembre 1941
Poco dopo le 00.30,
diverse unità sentono rumore di aerei, e dopo pochi secondi molti bengala
iniziano ad accendersi, uno dopo l’altro, nel cielo a nord del convoglio, su
rotta ad esso parallela: l’ammiraglio Lombardi ordina subito a tutte le unità
di accostare a un tempo di 90° verso sud, per dare la poppa ai bengala. Si
prepara infatti un attacco di aerosiluranti: Duca degli Abruzzi, Garibaldi e
le quattro motonavi appaiono ben visibili nella luce dei bengala. L’ordine
viene eseguito, ma alle alle 00.38 anche il Duca degli Abruzzi viene colpito da un siluro d’aereo, e si
ferma con gravi danni.
La menomazione della
forza di scorta, insieme ai continui e violenti attacchi aerei ed alla notizia
della presenza in mare di forze di superficie britanniche, inducono
l’ammiraglio Lombardi ad ordinare che il convoglio, accompagnato da Trento e Gorizia e dalla XI Squadriglia Cacciatorpediniere (oltre alla
scorta diretta), rientri a Taranto; Supermarina conferma l’ordine. Garibaldi e XIII Squadriglia
rimangono ad assistere il Duca degli
Abruzzi, che riuscirà faticosamente a rientrare a Messina.
Sotto i violenti e
continui attacchi aerei, le motonavi si disorientano e si disperdono: soltanto
la Napoli rimane in
prossimità della III Divisione. Il Geniere
rimane assieme alla Napoli, ed
in mattinata si aggrega ad essi anche la Vettor
Pisani, rintracciata alle 9.36 dal Gorizia.
Il Geniere, scortando Pisani e Napoli, giunge a Taranto alle 17 del 22, ed è così la prima unità
della scorta a rientrare alla base.
La Mantovani vi arriverà qualche ora
più tardi, mentre la disorientata Monginevro,
che ha ricevuto gli ordini solo più tardi e mutato rotta più volte, vi arriverà
soltanto il giorno seguente.
29-30 novembre 1941
Dato che tra il 28 ed
il 30 novembre sono partiti, o devono partire, quattro convogli e cinque unità
militari in missione di trasporto verso la Libia (piroscafi Iseo e Capo Faro e torpediniera Procione, da Brindisi a Bengasi; motonave Sebastiano Venier e cacciatorpediniere Giovanni Da Verrazzano, da Taranto a Bengasi; incrociatore ausiliario Adriatico, da Argostoli a Bengasi; nave
cisterna Iridio Mantovani e
cacciatorpediniere Alvise Da Mosto,
da Trapani a Tripoli; cacciatorpediniere Antonio Da Noli, da Argostoli a Bengasi; cacciatorpediniere Nicolò Zeno, da Taranto a Bengasi;
cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi ed Emanuele Pessagno, da Argostoli a Derna;
sommergibile Pietro Micca, da Taranto a Derna) e che il rischio
di attacchi navali britannici è altissimo (la Forza K, di base a Malta, ha
distrutto due convogli il 9 ed il 24 novembre), viene deciso di fare uscire in
mare, a protezione di tale traffico da eventuali puntate offensive di
incrociatori britannici, una consistente forza di protezione consistente nella
corazzata Duilio (comandante
superiore in mare, ammiraglio di divisione Guido Porzio Giovanola), nella VII
Divisione (Attendolo, Montecuccoli e Duca d’Aosta) con la XI Squadriglia
Cacciatorpediniere (Aviere, Geniere, Camicia Nera) e nella VIII Divisione (il solo incrociatore
leggero Giuseppe Garibaldi, più
due cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, mentre il resto di tale
squadriglia accompagna la Duilio).
La VII Divisione
(ammiraglio di divisione Raffaele De Courten) e la XI Squadriglia (Geniere compreso), punta avanzata della
formazione italiana, salpano da Taranto a mezzogiorno (od alle 13) del 29, e si
dislocano a metà strada tra Taranto e Bengasi, mentre Duilio, Garibaldi e
XIII Squadriglia (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino) salpano
da Taranto nel pomeriggio dello stesso giorno, a sostegno della VII Divisione.
Nel pomeriggio dello
stesso 29 novembre, alle 17.05, il sommergibile britannico P 31 (poi Uproar, al comando del tenente di vascello John Bertram de Betham
Kershaw) sente rumore di navi in movimento a nord-nord-est mentre è immerso in
posizione 39°20’ N e 17°33’ E (nel Golfo di Taranto), si porta a quota
periscopica ed avvista la VII Divisione. Alle 17.19 il P 31 lancia quattro siluri contro
l’Attendolo, seconda unità della
fila; l’incrociatore avvista tuttavia le armi, e le evita con un’improvvisa
accostata a sinistra, subito imitata dal Montecuccoli, che lo segue in formazione (le scie dei siluri
vengono viste passare a dritta del Montecuccoli,
tra i due incrociatori). Però la formazione italiana, diretta a sud, è stata
scoperta dai britannici. Questi ultimi, d’altra parte, apprendono del cospicuo
traffico navale italiano anche mediante decrittazioni di “ULTRA” relative ai
convogli in partenza.
Da Malta, pertanto,
il mattino del 30 novembre prendono il mare con l’obiettivo di intercettare i
convogli italiani l’ormai famigerata Forza K (capitano di vascello William
Gladstone Agnew), costituita dagli incrociatori leggeri Aurora (nave di bandiera del
comandante Agnew) e Penelope e
dal cacciatorpediniere Lively, e
la Forza B (contrammiraglio Rawlings), formata dagli incrociatori leggeri Ajax e Neptune e dai cacciatorpediniere Kingston e Kimberley.
Per tutta la giornata del 30, aerei britannici tengono sott’occhio sia i
mercantili diretti a Bengasi che le navi da guerra italiane, nonostante la
scorta aerea con caccia della Regia Aeronautica.
Nemmeno l’uscita in
mare delle navi britanniche sfugge alle forze italiane, grazie al loro
avvistamento dapprima da parte del sommergibile Tricheco e poi di ricognitori dell’Aeronautica, pertanto Supermarina
ordina alla VII Divisione di tenersi ad immediato contatto con la
motonave Venier, la più
importante tra quelle in mare ad est di Malta ed esposte al pericolo
dell’incursione navale britannica. Così viene fatto, e per tutta la giornata la
Divisione si tiene tra la Venier e
le unità britanniche in avvicinamento.
Ma la sfortuna si
accanisce contro i piani italiani: nel pomeriggio del 30 il Garibaldi viene colto da una grave
avaria alle caldaie, che lo lascia immobilizzato. Dopo alcune ore, dato che il
problema non è ancora risolto (sebbene il Garibaldi abbia ripreso a navigare) e c’è rischio di un
attacco contro l’incrociatore in difficoltà, l’ammiraglio Porzio Giovanola
ripiega verso est con Duilio, Garibaldi e XIII Squadriglia. Alle
17.45 Supermarina, dato che la sola VII Divisione si troverebbe in condizioni
di inferiorità numerica alle Forze B e K qualora si dovessero riunire, ordina a
tutta la forza di copertura, compresa la VII Divisione, di rientrare a Taranto.
Qui VII Divisione e XI Squadriglia giungono alle 11.20 del 1° dicembre, non
prima di aver scampato un grave pericolo: alle 4.37, in posizione 39°08’ N e
17°31’ E (nel Golfo di Taranto), essa è stata avvistata dal sommergibile Upholder (capitano di corvetta Malcolm
David Wanklyn), mentre procedeva con rotta 030°. Immersosi alle 4.47 (due
minuti dopo che la VII Divisione, compiendo una manovra a zig zag, ha accostato
proprio nella sua direzione), il sommergibile ha lanciato quattro siluri alle
5.01 contro l’incrociatore di poppa, da 915 metri, senza colpire.
La Forza K
intercetterà ed affonderà l’Adriatico,
il Da Mosto e la Mantovani.
13 dicembre 1941
Il Geniere salpa da Taranto alle 19.40
insieme ai gemelli Carabiniere, Corazziere, Aviere, Ascari e Camicia Nera (per altra versione Geniere, Corazziere e Carabiniere
sarebbero partiti più tardi, separatamente dal resto del gruppo), agli
incrociatori leggeri Attendolo e Duca d’Aosta (nave di bandiera
dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten, comandante la VII Divisione)
ed alla corazzata Andrea Doria,
nell’ambito dell’operazione di traffico «M. 41».
Dopo le gravi perdite
subite dai convogli diretti in Libia nelle settimane precedenti, le forze
italo-tedesche in Nordafrica si trovano in situazione di grave carenza di
rifornimenti proprio mentre è in corso una nuova offensiva britannica,
l’operazione «Crusader», ed urge rifornirle.
Con la «M. 41»,
Supermarina intende inviare a Tripoli e Bengasi tutti i mercantili già carichi
presenti nei porti dell’Italia meridionale, mobilitando per la loro protezione,
diretta e indiretta, pressoché tutta la flotta in condizioni di efficienza.
Sono previsti tre
convogli: l’«A», da Messina a Tripoli, formato dalle moderne motonavi Fabio Filzi e Carlo Del Greco scortate dai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco ed Antoniotto Usodimare (poi dirottato
su Taranto per unirsi da subito all’«L» ma distrutto durante tale percorso dal
sommergibile britannico Upright);
l’«L», da Taranto per Tripoli, formato dalle motonavi Monginevro, Napoli e Vettor Pisani scortate dai
cacciatorpediniere Freccia ed Emanuele Pessagno (con a bordo il
contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone) e dalla torpediniera Pegaso; e l’«N», da Navarino ed Argostoli
per Bengasi, costituito dai piroscafi Iseo e Capo Orso e dai
cacciatorpediniere Turbine e Strale, cui si devono aggiungere la
motonave tedesca Ankara, il
cacciatorpediniere Saetta e
la torpediniera Procione provenienti
da Argostoli.
Ogni convoglio deve
fruire della protezione di una forza navale di sostegno, che di giorno si terrà
in vista dei trasporti e di notte a stretto contatto con essi. Attendolo, Duca d’Aosta e Doria,
più i relativi cacciatorpediniere, sono assegnati alla protezione del
convoglio «N», mentre gli altri due convogli saranno protetti dalla
corazzata Duilio (nave
ammiraglia dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini) e da un’eterogenea VIII
Divisione composta per l’occasione dagli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi (nave di bandiera
dell’ammiraglio Giuseppe Lombardi, comandante della VIII Divisione) e Raimondo Montecuccoli e
dall’incrociatore pesante Gorizia (con
a bordo l’ammiraglio di divisione Angelo Parona).
Infine, a tutela
dell’intera operazione contro un’eventuale uscita in mare delle corazzate della
Mediterranean Fleet, prende il mare la IX Divisione Navale (ammiraglio di
squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare) con le moderne
corazzate Littorio e Vittorio Veneto, scortate dalla XIII
Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino).
Queste navi si dovranno posizionare nel Mediterraneo centrale.
A completamento dello
schieramento, un gruppo di sommergibili viene dislocato nel Mediterraneo
centro-orientale con compiti esplorativi ed offensivi; è inoltre previsto un
imponente intervento della Regia Aeronautica.
Per via della carenza
di navi scorta e del tempo necessario a reperirne, l’operazione, inizialmente
prevista per il 12 dicembre, viene posticipata di un giorno.
Nel tardo pomeriggio
del 13, quando i convogli sono già in mare, la ricognizione aerea comunica a
supermarina che una consistente forza britannica, comprensiva di corazzate ed
incrociatori (in realtà sono solo quattro incrociatori leggeri: i ricognitori
hanno grossolanamente sovrastimato la composizione e potenza della forza
avvistata), si trova tra Tobruk e Marsa Matruh, diretta verso ovest. La somma
delle forze italiane in mare è complessivamente superiore, ma si trova divisa
in gruppi tra loro distanziati e vincolati a convogli lenti e poco manovrieri;
per questo, alle ore 20 Supermarina decide di sospendere l’operazione, ed i
convogli ricevono ordine di rientrare. Ciò non basterà ad evitare danni.
14 dicembre 1941
Alle nove del
mattino, il sommergibile britannico Urge silura
la Vittorio Veneto,
danneggiandola gravemente. Il Geniere,
insieme ad Aviere, Carabiniere e Camicia Nera, nonché a Vivaldi
e Da Noli della XIV Squadriglia
Cacciatorpediniere ed alle torpediniere Lince
ed Aretusa, viene inviato a
rafforzare la scorta della corazzata danneggiata (che è in grado di sviluppare
una velocità di 21 nodi, poi portata a 23,5).
Durante la
navigazione si verificano altri allarmi per sommergibili e si ha anche
l’erronea impressione che un gruppo di aerosiluranti si stia dirigendo verso la
IX Divisione, ma non alla fine non succede niente.
Durante la
navigazione nel Golfo di Taranto, la scorta viene ulteriormente ingrossata da
altre siluranti distaccate da Supermarina via via che si liberano dalla scorta
dei convogli e gruppi di sostegno: all’originaria XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere si aggiungono alle 10.50 i cacciatorpediniere Maestrale, Alfredo Oriani e Vincenzo
Gioberti della X Squadriglia e Corazziere, provenienti da Taranto; alle 17 raggiungono la Vittorio Veneto il Geniere, l’Aviere, il Carabiniere, il Camicia Nera, il Vivaldi
ed il Da Noli, mentre le torpediniere
Centauro e Clio lasciano la scorta e raggiungono Messina.
Vittorio Veneto e scorta raggiungono Taranto alle 23.15.
27 dicembre 1941
Il sergente
torpediniere del Geniere Loris Canova
(28 anni, da San Benedetto Po) muore in territorio metropolitano.
3 gennaio 1942
Il Geniere salpa da Taranto alle 18.50,
facendo parte del gruppo di appoggio per l’operazione di rifornimento «M. 43»,
che prevede l’invio a Tripoli di cinque grandi motonavi da carico (Gino Allegri, Lerici, Monviso, Monginevro e Nino Bixio) ed una petroliera (Giulio
Giordani), tutte veloci (almeno 14 nodi) e di recente costruzione, con
fortissima scorta. Il gruppo di appoggio (Gruppo «Littorio»), al comando
dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare,
comprende le corazzate Littorio (nave
ammiraglia di Iachino), Giulio Cesare
ed Andrea Doria (nave di bandiera
dell’ammiraglio di divisione Guido Porzio Giovanola, comandante della V
Divisione), gli incrociatori pesanti Trento
e Gorizia (nave di bandiera
dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona, comandante della III Divisione) ed
i cacciatorpediniere Geniere, Ascari, Carabiniere, Aviere, Alpino, Camicia Nera, Pigafetta e
Da Noli. Il Geniere, insieme ad Aviere
e Camicia Nera, accompagna gli
incrociatori della III Divisione (Trento
e Gorizia).
Oltre al gruppo di
appoggio, il cui compito è proteggere il convoglio da un eventuale attacco in
forze della Mediterranean Fleet, esce in mare anche una forza di «scorta
diretta incorporata nel convoglio» (ammiraglio di squadra Carlo Bergamini, con
il compito di respingere eventuali attacchi di formazioni leggere di superficie
come la Forza K), composta dalla corazzata Duilio
con gli incrociatori leggeri Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta, Raimondo
Montecuccoli, Muzio Attendolo e Giuseppe Garibaldi ed i
cacciatorpediniere Maestrale, Scirocco, Alfredo Oriani e Vincenzo
Gioberti. Alla scorta aerea concorrono la Regia Aeronautica (Armata Aerea e
Ricognizione Marittima) e la Luftwaffe (II Corpo Aereo Tedesco e X Corpo Aereo
Tedesco, di base l’uno in Sicilia e l’altro in Grecia) per effettuare
ricognizione sul porto della Valletta (Malta) e nelle acque di Alessandria,
bombardamenti preventivi sugli aeroporti maltesi e scorta di caccia,
antiaerosilurante ed antisommergibile sui cieli del convoglio nonché a
protezione delle navi impegnate nello scarico una volta giunte a Tripoli.
Completa il dispositivo di difesa la dislocazione di undici sommergibili sulle probabili
rotte che una ipotetica forza navale nemica dovrebbe percorrere per attaccare
il convoglio.
I mercantili sono
inizialmente divisi in tre convogli: il numero 1 (motonavi Monginevro, Lerici e Nino Bixio, cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi, Nicoloso Da Recco, Antoniotto
Usodimare, Bersagliere e Fuciliere) parte da Messina alle 10.15;
il 2 (motonave Monviso, motocisterna Giulio Giordani, torpediniere Orsa,
Aretusa, Castore ed Antares) salpa
da Taranto alle 15.06; il 3 (motonave Gino
Allegri, cacciatorpediniere Freccia,
torpediniera Procione) lascia
Brindisi alle 13.15.
La sera stessa del 3
la corazzata Andrea Doria deve
tornare a Taranto a causa del riscaldamento di un cuscinetto, ma l’operazione
prosegue secondo i piani.
4 gennaio 1942
Tra le 4 e le 11,
come previsto, i tre convogli si riuniscono a formare un unico grande
convoglio, il cui caposcorta è il contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone, sul Vivaldi. Mentre il convoglio «Allegri»
si unisce al Gruppo «Duilio», la III Divisione Navale (Trento e Gorizia) del
gruppo d’appoggio viene avvistata da un ricognitore britannico; da Malta
decolla una formazione aerea per attaccare, ma deve rientrare senza essere
riuscita a trovare il convoglio. Al tramonto il gruppo «Duilio» s’incorpora
nella formazione del convoglio, che durante la notte mette la prua su Tripoli.
Alle 18.45 il gruppo
«Littorio», essendo calato il buio e divenuto improbabile l’intervento di navi
di superficie britanniche, assume rotta 20° per rientrare a Taranto.
5 gennaio 1942
Tra le 14.53 e le
14.58 il sommergibile britannico Unique
(tenente di vascello Anthony Foster Collett) avverte rumori di navi su
rilevamento 140°, dopo di che avvista in successione alberature di una nave su
rilevamento 130° e poi diverse altre unità, in posizione 40°07’ N e 17°07’ E
(nel Golfo di Taranto); alle 15 vengono avvistate una corazzata, un
incrociatore ed alcuni cacciatorpediniere. Si tratta del gruppo «Littorio».
Dopo aver
temporaneamente perso l’assetto alle 15.05, mentre cercava di portarsi a quota
periscopica, l’Unique deve scendere a
15 metri perché un cacciatorpediniere appare molto vicino, ma alle 15.24
ritorna a quota periscopica, ed alle 15.30 lancia quattro siluri. La posizione
di lancio non è molto favorevole, ed infatti nessuna delle armi raggiunge il
bersaglio.
Alle 17 il gruppo «Littorio»
giunge a Taranto. Il convoglio, intanto, è arrivato a Tripoli senza aver subito
alcun attacco.
Il Geniere in navigazione ad alta velocità a inizio 1942 (Giuseppe Pianese via www.naviearmatori.net) |
22 gennaio 1942
Il Geniere salpa da Messina alle otto
insieme al resto del gruppo «Vivaldi» (formato da Geniere, Aviere e Camicia Nera, che formano la XI
Squadriglia Cacciatorpediniere, dai cacciatorpediniere Vivaldi, Da Noli e Malocello della
XIV Squadriglia e dalle torpediniere Orsa
e Castore) cui è stata assegnatala
scorta delle motonavi da carico Monviso e Vettor Pisani, dirette a Tripoli
nell’ambito dell’operazione di traffico «T. 18», consistente nell’invio in
Libia di 15.000 tonnellate di rifornimenti, 97 carri armati, 271 autoveicoli e
1467 uomini.
Nello stretto di
Messina si uniscono al convoglio altre due moderne motonavi, la Monginevro e la Ravello, provenienti da Napoli; il
gruppo «Vivaldi» (al comando del contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone)
assume la scorta diretta delle quattro navi. Da Taranto escono in mare anche la
quinta nave del convoglio, il grande trasporto truppe Victoria, ed i due gruppi di scorta indiretta: l’«Aosta»
(ammiraglio di divisione Raffaele De Courten, partito alle 11) con gli
incrociatori leggeri della VII Divisione (Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta, Raimondo Montecuccoli, Muzio Attendolo) e la XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (Bersagliere, Carabiniere, Fuciliere, Alpino) ed il «Duilio» (ammiraglio di
squadra Carlo Bergamini, partito alle 17 insieme alla Victoria) con la corazzata Duilio e
la XV Squadriglia Cacciatorpediniere (Antonio
Pigafetta, Alfredo Oriani, Ascari, Scirocco).
A protezione
dell’operazione, nove sommergibili sono dislocati ad est di Malta e tra Creta e
l’Egitto; la Regia Aeronautica e la Luftwaffe danno il loro contributo con
aerei da caccia (sempre presenti, nelle ore diurne, sul cielo del convoglio),
da ricognizione ed antisommergibile.
Poco dopo la partenza
la Ravello, colta da avaria al
timone, è costretta a tornare in porto; il resto del convoglio prosegue e si
unisce al gruppo «Aosta» nel pomeriggio del 22.
23 gennaio 1942
Alle 15, con un certo
ritardo ma approssimativamente nel punto prestabilito, il convoglio si unisce
anche al gruppo «Duilio»; le motonavi si dispongono su due colonne e la Victoria, divenuta nave capo convoglio,
si pone in testa alla colonna sinistra, mentre il gruppo «Vivaldi» si posiziona
attorno ai mercantili ed i due gruppi «Duilio» e «Aosta» si dispongono sui
fianchi del convoglio.
Le navi seguono rotte
che passano a 190 miglia da Malta, distanza che dovrebbe essere maggiore del
raggio operativo degli aerosiluranti di base a Malta ed in Cirenaica, 180
miglia; la sera del 23 dovranno poi accostare verso Tripoli, mantenendo rotta
tangente al cerchio di 190 miglia di raggio con centro Malta. In realtà, 190
miglia sono divenute una distanza insufficiente, perché l’autonomia degli
aerosiluranti britannici è aumentata rispetto al passato e perché ora gli aerei
possono decollare da nuove basi cirenaiche, più avanzate di quanto ritenuto dai
comandi italiani, conquistate dai britannici con l’operazione «Crusader».
Già dal giorno
precedente, però, i comandi britannici sono a conoscenza dei movimenti
italiani: sommergibili in agguato nel golfo di Taranto hanno infatti segnalato
il passaggio del gruppo «Aosta», e nella serata e notte successive ricognitori
hanno individuato e pedinato il gruppo «Duilio».
Dopo la riunione, il
convoglio, che procede a 14 nodi sotto la protezione di nove Junkers Ju 88
della Luftwaffe, continua ad essere tallonato dai ricognitori: alle 15.50 uno
di essi viene avvistato 20.000 metri ad est della formazione. Ai ricognitori
seguono gli attacchi aerei: il primo si verifica alle 16.16, quando la Victoria viene mancata da alcune
bombe di piccolo calibro; poco dopo altre bombe di maggior calibro sono
sganciate contro il gruppo «Aosta» ma ancora senza risultato, grazie anche alla
rabbiosa reazione contraerea delle navi.
Su richiesta
dell’ammiraglio Bergamini, la scorta aerea viene rinforzata con altri tre Ju 88
del II Corpo Aereo Tedesco.
Alle 17.25 il
convoglio viene nuovamente attaccato da tre aerosiluranti, provenienti dalla
direzione del sole: le torpediniere (che si trovano su quel lato) aprono contro
di essi un intenso tiro, così che i velivoli, giunti a circa un chilometro
dalla scorta (e tre dalla Victoria),
scaricano in mare le loro armi, cabrano ed invertono la rotta (uno di essi sarà
poi abbattuto dagli Ju 88 della scorta aerea). Dapprima le navi italiane
pensano che i velivoli fossero bombardieri: solo quando il Vivaldi avvista le scie dei siluri
ci si accorge della realtà. Alle 17.31 la Victoria viene colpita a poppa da un siluro e rimane
immobilizzata. Aviere, Ascari e Camicia Nera si fermano per dare assistenza alla nave
danneggiata, mentre il resto del convoglio prosegue sulla sua rotta. Due nuovi
attacchi di aerosiluranti, alle 18.40 ed alle 18.45, daranno il colpo di grazia
alla Victoria, che affonderà
alle 19 con la perdita di 391 dei 1455 uomini a bordo.
Il resto del
convoglio continua scortato dai gruppi «Vivaldi» ed «Aosta»; a notte fatta il
gruppo «Duilio» si sposta invece a nord del 36° parallelo ed ad est del 19°
meridiano per proteggere il convoglio da eventuali attacchi di navi di
superficie provenienti dal Mediterraneo Orientale. A partire dalle 21.44 si
scatena un crescendo di nuovi attacchi aerei sul convoglio: le navi vengono
illuminate con bengala e fuochi galleggianti al cloruro di calcio, bombardate,
fatte oggetto del lancio di siluri, ma la reazione del fuoco contraereo, le
manovre evasive e l’emissione di cortine nebbiogene permettono di evitare tutti
i siluri e sventare ogni attacco senza danni.
24 gennaio 1942
Alle 7.30 il
convoglio viene raggiunto dalle torpediniere Calliope e Perseo,
venute ad esso incontro da Tripoli; cinque minuti dopo il gruppo «Aosta» lascia
la scorta come previsto, e dopo altri cinque minuti sopraggiunge la scorta
aerea con caccia e ricognitori della Regia Aeronautica.
Alle 8.24 il
sommergibile britannico P 36 (tenente
di vascello Harry Noel Edmonds) avvista prima gli alberi e poi le navi del
convoglio in posizione 32°50’ N e 14°20’ E (a nord di Homs, sulla costa
libica); avvicinatosi ad alta velocità fino a 4110 metri, lancia una salva di
quattro siluri contro i mercantili di testa, per poi scendere a 40 metri ed
allontanarsi su rotta opposta a quella del convoglio.
Alle 9 uno dei caccia
di scorta spara delle raffiche di mitragliera contro il mare, segnalando la
presenza del sommergibile 4-5 km a dritta del convoglio: il contrammiraglio
Nomis di Pollone ordina un’accostata d’urgenza sulla sinistra, che permette
alla Monviso di evitare di
pochissimo un siluro. Geniere
(capitano di fregata Baslini), Castore
(capitano di corvetta Congedo) e Malocello
(capitano di fregata Leoni), insieme ad un ricognitore CANT Z. 501 della 196a
Squadriglia, contrattaccano con bombe di profondità (una trentina in tutto); al
termine della caccia si vedrà sulla superficie una chiazza di nafta, ma in
realtà nessuna bomba è esplosa vicina ed il sommergibile non ha subito danni.
Alle 14.15 il
convoglio entra a Tripoli; alle 18 Geniere,
Ascari, Aviere, Camicia Nera, Vivaldi e Malocello ripartono per tornare in Italia.
14 febbraio 1942
Il Geniere, insieme ad Aviere, Ascari e Camicia Nera (che col Geniere formano la XI Squadriglia
Cacciatorpediniere) ed agli incrociatori pesanti Trento e Gorizia (III
Divisione, al comando dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona, con bandiera
sul Gorizia), salpa da Messina alle
23.15 per partecipare all’operazione «M.F. 5» a contrasto dell’invio di un
convoglio britannico (convoglio «M.W. 9», formato dai piroscafi Clan Chattan, Clan Campbell e Rowallan
Castle scortati dall’incrociatore leggero Penelope e da sei cacciatorpediniere della Forza K) da Alessandria
a Malta. Qualche ora prima, sono salpati da Taranto per lo stesso motivo anche
la corazzata Duilio (nave di
bandiera dell’ammiraglio Carlo Bergamini), la VII Divisione (incrociatori
leggeri Montecuccoli e Duca d’Aosta, al comando dell’ammiraglio
Raffaele De Courten) e le Squadriglie Cacciatorpediniere VIII (Folgore, Freccia, Saetta) e XIII (Carabiniere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino).
È previsto che le due
divisioni di incrociatori si riuniscano alle otto del mattino seguente in un
punto situato 70 miglia ad est di Malta (successivamente spostato 40 miglia più
a sud, a seguito di ordine delle 20.20), seguite a dieci miglia dalla Duilio con l’VIII Squadriglia. La
formazione, che gode della scorta aerea di velivoli da caccia della Luftwaffe,
dovrebbe intercettare ed attaccare il convoglio britannico in navigazione verso
Malta. è prevista un’estesa e precisa ricognizione aerea per guidare la
formazione navale, nonché crociere d’interdizione di caccia Reggiane Re 2000
dell’Aeronautica della Sicilia dirette contro le provenienze da Malta verso
est, ed intensificazione dei bombardamenti su Malta, a copertura
dell’operazione.
Già alle 19.55,
tuttavia, la Duilio e la
VIII Squadriglia ricevono ordine di rientrare in porto. Supermarina, infatti,
ha appurato che non ci sono corazzate britanniche in mare (difatti la
Mediterranean Fleet non ha più una sola corazzata efficiente da dicembre, quando
le ultime due sono state poste fuori uso ad Alessandria dagli incursori della X
MAS), pertanto l’impiego della Duilio è
ritenuto superfluo. La III e VIII Divisione, invece, vengono fatte proseguire.
15 febbraio 1942
III e VII Divisione
si riuniscono verso le 9.20, formando un’unica formazione sotto il comando
dell’ammiraglio De Courten, che dirige su rotta 180° a 20 nodi di velocità.
I primi velivoli
della scorta aerea sono arrivati alle 7.15, e resteranno sul cielo delle navi,
senza interruzioni, fino alle 16.
Supermarina ritiene
che siano in mare non uno ma due convogli diretti verso Malta: uno, in
posizione più avanzata, di due piroscafi con 1-2 incrociatori e 5-6
cacciatorpediniere, ed un altro più arretrato con tre piroscafi (uno dei quali
in avaria) e cinque navi di scorta, compresi forse due incrociatori. In realtà
soltanto il convoglio «M.W. 9» è diretto a Malta: non esiste un secondo
convoglio.
Verso le otto del
mattino Supermarina, sulla base degli avvistamenti da parte di un gruppo di
S-Boote tedesche in agguato ad est di Malta, giunge alla conclusione che il
convoglio più avanzato non sia più intercettabile, perché ormai quasi arrivato
a destinazione (non è così); il secondo convoglio, benché intensamente cercato
dai ricognitori, non viene trovato (perché non esiste).
In realtà, il
convoglio «M.W. 9» ha già cessato di esistere a causa dei ripetuti attacchi
aerei italo-tedeschi: dei tre mercantili del convoglio, il Clan Campbell, troppo danneggiato per proseguire, si è dovuto
rifugiare a Tobruk, mentre Clan Chattan
e Rowallan Castle sono stati
affondati.
Alle 18.30 la
formazione comprendente la III e VII Divisione riceve ordine di rientrare alla
base, seguendo rotte che la tengano sempre ad almeno 180 miglia da Malta.
16 febbraio 1942
Alle 4.44 l’accensione
di alcuni bengala annuncia l’arrivo di un attacco aereo diretto contro la
formazione di De Courten, comunque già preannunciato da intercettazioni di
comunicazioni radio britanniche; viene subito iniziata l’emissione di cortine
nebbiogene. Alle 5.30 ha luogo un attacco di aerosiluranti; grazie alle cortine
nebbiogene ed alle pronte manovre di tutte le navi della formazione, che
impediscono ai piloti nemici di determinare correttamente i dati necessari al
lancio, nessuna nave viene colpita. Alle 5.57 si spengono gli ultimi bengala.
Alle 7 sopraggiungono
i primi aerei tedeschi per ricominciare la scorta aerea; alle 7.25 le due
Divisioni si separano, scambiandosi le squadriglie di cacciatorpediniere (Geniere e XI Squadriglia si trovano così
ad accompagnare la VII Divisione anziché la III).
VII Divisione e XI
Squadriglia entrano a Taranto alle 17.45, dopo una navigazione priva di eventi
di rilievo.
Durante questa
missione, il 15 febbraio, è morto a bordo del Geniere, nel Mediterraneo Centrale, il marinaio cannoniere Silvio
Margiore, di ventun anni, da Napoli.
21 febbraio 1942
Alle 16 il Geniere parte da Taranto insieme ai
gemelli Aviere (caposquadriglia), Ascari e Camicia Nera ed alla corazzata Duilio
(nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini, comandante
superiore in mare), formando il gruppo «Duilio», uno dei due gruppi di scorta
indiretta previsti nell’ambito dell’operazione di traffico «K. 7».
Tale operazione vede
l’invio in Libia di due convogli, uno salpato da Messina alle 17.30 (motonavi Monginevro, Ravello ed Unione,
cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi –
nave ammiraglia del contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone, caposcorta
–, Lanzerotto Malocello, Nicolò Zeno, Premuda e Strale e
torpediniera Pallade) e l’altro
da Corfù alle 13.30 (motonavi Lerici e Monviso, nave cisterna Giulio Giordani,
cacciatorpediniere Antonio Pigafetta –
caposcorta, capitano di vascello Enrico Mirti della Valle –, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare, Maestrale e Scirocco e torpediniera Circe). Oltre al gruppo «Duilio», c’è un
secondo gruppo di scorta indiretta, il gruppo «Gorizia», formato dagli
incrociatori pesanti Trento e Gorizia (nave di bandiera
dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona), dall’incrociatore leggero Giovanni delle Bande Nere e dai cacciatorpediniere Alpino (caposquadriglia), Alfredo
Oriani ed Antonio Da Noli.
I convogli dirigono
verso Tripoli seguendo rotte che passano a circa 190 miglia da Malta.
22 febbraio 1942
All’alba del 2 il
gruppo «Duilio» raggiunge il convoglio n. 1 (già raggiunto, alle 23.15 della
sera precedente, dal gruppo «Gorizia»), seguendolo a breve distanza.
Intorno alle 12.45
(per altra versione, verso le dieci), 180 miglia ad est di Malta, i convogli 1
e 2 si riuniscono; il convoglio n. 2 si accoda – con una manovra piuttosto
lenta – al convoglio n. 1. La formazione (di cui è caposcorta l’ammiraglio
Nomis di Pollone) assume rotta 184° e velocità 14 nodi; sin dalla prima mattina
(e fino alle 19.45) volano sul suo cielo aerei tedeschi Junkers Ju 88 e
Messerschmitt Bf 110 decollati dalla Sicilia per la sua scorta.
Dalle prime ore del
mattino (precisamente, dalle 7.25) compaiono anche ricognitori britannici, che
segnalano il convoglio agli aerei di base a Malta; tra le 14 e le 16 si
verifica un attacco aereo, che i velivoli della Luftwaffe respingono,
abbattendo tre degli aerei attaccanti ed impedendo agli altri di portare a
fondo l’attacco (tranne un Boeing B 17 che lancia delle bombe di piccolo
calibro contro la Duilio, senza
colpirla). Quando l’ammiraglio Bergamini chiede altri aerei mediante il
collegamento radio diretto, la richiesta viene prontamente soddisfatta.
La sera del 22, in
base agli ordini ricevuti, il gruppo «Duilio» lascia i convogli, che proseguono
con la scorta diretta ed il gruppo «Gorizia», e dirige per il rientro alla
base.
23 febbraio 1942
Il gruppo «Duilio»
giunge a Taranto all’1.40.
I convogli, nel
frattempo, sono giunti indenni a Tripoli tra le 16 e le 16.40 del 23, portando
a destinazione in tutto 113 carri armati, 575 automezzi, 405 uomini e 29.517 tonnellate
di rifornimenti.
7 marzo 1942
Alle 18.30 Geniere, Aviere (caposquadriglia), Ascari,
Oriani e Scirocco salpano da Taranto insieme agli incrociatori leggeri Eugenio di Savoia, Montecuccoli e Garibaldi
(nave ammiraglia) formando il gruppo scorta dei tre convogli in mare tra Italia
e Libia nell'ambito dell'operazione di traffico «V 5».
Successivamente
lo Scirocco viene
distaccato a sostituire la torpediniera Aretusa, una delle unità di scorta al convoglio numero 1, salpato
da Brindisi per Tripoli alle 12.30 con le motonavi Nino Bixio e Reginaldo
Giuliani, il cacciatorpediniere caposcorta Antonio Pigafetta, del capitano di vascello Mirti della Valle, ed
appunto l’Aretusa.
Alle 19.20 il
convoglio 1 si riunisce con il numero 2, proveniente da Messina con la
motonave Gino Allegri scortata
di cacciatorpediniere Bersagliere ed Antonio Da Noli, formando così un unico
convoglio. Le navi seguono rotte costiere, a 15 nodi, sino a Santa Maria di
Leuca, poi proseguono per meridiano sino all’imbocco del Golfo della Sirte,
quando assumono rotta per Tripoli.
8 marzo 1942
Alle 7.30 si riunisce
al convoglio principale (che si trova in quel momento a 190 miglia da Leuca)
anche il convoglio numero 3, costituito dalla
motonave Monreale (salpata da Napoli) scortata dai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi e Fuciliere e dalle
torpediniere Circe e Castore. Caposcorta dell’intero
convoglio, che è formato alle 8.30, è il Pigafetta.
Alle 9.45 il
convoglio viene raggiunto anche dal gruppo di scorta dell’ammiraglio De
Courten, che comprende anche il Geniere.
Il convoglio procede
verso sud a 15 nodi, seguendo una rotta che lo porti a passare a circa 190
miglia da Malta; sin dalla prima mattina è presente una scorta aerea con due
bombardieri italiani CANT Z. 1007 e sei tra Junkers Ju 88 e Messerschmitt Bf
110 tedeschi. Durante la navigazione diurna il gruppo di scorta naviga di poppa
al convoglio, mentre con il crepuscolo riduce le distanze fino ad “incorporarsi”
ad esso.
9 marzo 1942
Giunte le navi al
largo di Ras Cara, a giorno fatto, il gruppo di scorta lascia il convoglio e si
posiziona in modo da coprirlo da eventuali, ancorché improbabili, attacchi di
navi di superficie.
Alle 7.30 il
convoglio ne incrocia un altro partito da Tripoli alle 21 della sera precedente
(lo compongono le motonavi Unione, Lerici e Ravello e la petroliera Giulio Giordani, con la scorta del cacciatorpediniere Strale e delle torpediniere Cigno e Procione) per tornare in Italia: come pianificato in precedenza, Pigafetta e Scirocco lasciano la scorta del convoglio diretto a Tripoli (che vi
giungerà indenne in serata) per unirsi a quella del convoglio di ritorno. Anche
il gruppo «Garibaldi» di De Courten assume la scorta di tale convoglio.
Durante la mattinata
i decrittatori imbarcati sul Garibaldi avvisano
che la formazione italiana è stata avvistata da aerei britannici, che inviano
vari messaggi sulla sua posizione; l’ammiraglio De Courten, ritenendo prossimi
degli attacchi da parte di aerei decollati da Malta, ordina al convoglio ed al
gruppo di scorta di dirottare verso est per allontanarli dall’isola.
Ma gli aerei
attaccanti, degli aerosiluranti Bristol Beaufort decollati proprio da Malta,
riescono egualmente a raggiungere il convoglio, e lo attaccano tra le 16.40 e
le 17.20, in un momento in cui la scorta aerea (presente sulle navi in maniera
pressoché continua) è molto ridotta. L’attacco fallisce però completamente:
nessuna nave è danneggiata.
Da Alessandria, in
seguito all’errata notizia che uno degli incrociatori leggeri italiani sarebbe
stato silurato e danneggiato dai Beaufort, esce per intercettarlo una
formazione al comando del viceammiraglio Philip Vian. Le navi britanniche non
solo non troveranno nulla, ma subiranno anche, durante la navigazione di
rientro, la perdita dell’incrociatore leggero Naiad, ammiraglia di Vian, affondato dal sommergibile tedesco U 565.
Nella notte seguente
il convoglio (al quale si è di nuovo “incorporato” il gruppo scorta) viene più
volte sorvolato da bengalieri che la illuminano a più riprese tra l’una e le
tre richiamando gli aerei di base nella Marmarica, ma di nuovo non si subiscono
danni: il primo gruppo di aerei inviati all’attacco non riesce a trovare, nel
buio, le navi italiane; del secondo, composto da 20 bombardieri Vickers
Wellington, solo in tre rintracciano il convoglio, ma nemmeno le loro bombe
vanno a segno.
10 marzo 1942
I ricognitori nemici
sono sempre presenti, ma non si verificano altri attacchi aerei. Alle 17.30 la
scorta è rinforzata dalla torpediniera Aretusa.
Alle 22 il gruppo
scorta di De Courten, Geniere compreso,
raggiunge Taranto, mentre i mercantili del convoglio, che si sono divisi in due
gruppi, raggiungono Brindisi e Taranto nelle ore seguenti.
22 marzo 1942
Alle 2.50 il Geniere lascia Taranto insieme al
cacciatorpediniere Scirocco per
unirsi alla squadra italiana (corazzata Littorio, incrociatori pesanti Trento e Gorizia,
incrociatore leggero Giovanni delle Bande
Nere e cacciatorpediniere Aviere, Alpino, Ascari, Bersagliere, Fuciliere, Grecale, Lanciere ed Oriani) uscita in mare da Taranto e
Messina nelle ore precedenti per intercettare un convoglio britannico diretto a
Malta (l’«MW. 10», con la cisterna militare Breconshire ed i piroscafi Clan Campbell, Pampas e Talbot scortati dagli incrociatori
leggeri Dido, Euryalus, Cleopatra e Carlisle e
dai cacciatorpediniere Hasty, Havock, Hero, Sikh, Zulu, Lively, Jervis, Kelvin, Kingston, Kipling, Avon Vale, Dulverton, Beaufort, Eridge, Southwold e Hurworth),
operazione sfociata nell’inconclusiva seconda battaglia della Sirte. Il Geniere, al pari dello Scirocco, sarebbe dovuto partire alle
00.30 insieme ad altri quattro cacciatorpediniere – Aviere, Ascari, Oriani e Grecale, della XI Squadriglia – per scortare la Littorio (gruppo «Littorio», mentre le
altre navi formano il gruppo «Gorizia», partito da Messina), ma non è potuto
salpare insieme al resto della squadra perché in ritardo sull’approntamento, a
causa di un’avaria alla trasmissione del timone. Risultando però pronto a
muovere in 24 ore, gli è stato ordinato di partire appena possibile per unirsi
alle navi già in mare; gli ordini sono di navigare insieme allo Scirocco e seguire le rotte
della Littorio a 28 nodi di
velocità.
Questo suo ritardo di
circa tre ore, insieme alla velocità moderata mantenuta per tutta la
navigazione, impedisce al Geniere di
raggiungere la formazione italiana prima che il combattimento sia terminato;
per questo, alle 18.41 (quando la battaglia volge al termine), anche il Geniere, senza neppure essersi
ricongiunto con il grosso delle forze italiane, riceve ordine dall’ammiraglio
Iachino (comandante superiore in mare) di invertire la rotta (dirigendo quindi
verso nord) e tornare a Taranto, insieme allo Scirocco: è infatti ormai evidente che le due unità non possono
fare in tempo a partecipare allo scontro. Il Geniere è capo sezione.
Quando le navi hanno
lasciato le basi c’era solo un vento debole da sudest e mare leggermente mosso,
ma il rientro avviene in condizioni estremamente avverse, con forte vento da Scirocco ed un mare molto mosso, che diviene
infine una vera e propria tempesta da sudest, con mare forza 8, di intensità
continuamente crescente. L’usura dell’apparato motore, la leggerezza della
costruzione dei cacciatorpediniere italiani e la tenuta non ottimale della
portelleria di coperta iniziano a farsi sentire.
Alle 20.45 la motrice
di sinistra dello Scirocco va
in avaria, costringendo l’unità ad abbassare la velocità a 14 nodi e procedere
con la sola motrice di dritta, ragion per cui alle 20.54 anche il Geniere deve regolarsi su tale
velocità per tenere il passo con il sezionario. Alle 21.30 i due
cacciatorpediniere, per cercare di ridurre il forte rollio, assumono rotta
verso nord (secondo il rapporto dell’ammiraglio Iachino, comandante superiore
in mare, Geniere e Scirocco assumono alle 21.30 rotta 0° e
velocità 14 nodi, di propria iniziativa).
Alle 23 è possibile
riportare la velocità a 20 nodi.
23 marzo 1942
Alle 00.07, mentre la
tempesta va incessantemente peggiorando, il Geniere deve ridurre la velocità ad appena 6-7 nodi per non
lasciare indietro lo Scirocco, colto
da ulteriori avarie.
Geniere e Scirocco si
ritrovano soli nel mare in tempesta, ancora lontani dal resto della squadra
italiana, che a sua volta sta passando momenti drammatici.
Alle 4.06 (o 4.12)
il Geniere domanda per
radio a Iachino se può accompagnare lo Scirocco ad
Augusta o Siracusa invece che verso la più lontana Taranto, stante la gravità
della situazione; la diversione viene subito autorizzata, ma è già troppo
tardi. Alle 5.39 tutte le caldaie dello Scirocco
cessano di funzionare, lasciando la nave alla deriva ed in balia del mare.
Alle 7 il Geniere riferisce di vedere
lo Scirocco in difficoltà e
sempre più lontano («Nave SCIROCCO ferma
è scaduta miglia 15 di poppa a me lat. 38° alt Non posso dirigere verso
nave SCIROCCO data mia
situazione et sicurezza nave alt Nave SCIROCCO non
risponde chiamate radiosegnalatore alt Pregasi disporre diversamente
assistenza»), spiegando inoltre di essere impossibilitato a soccorrerlo per via
della sua situazione, ma si tratta di un’illusione ottica: in realtà lo
sfortunato Scirocco è affondato già
alle 5.45. Dei 236 uomini del suo equipaggio, soltanto due verranno tratti in
salvo dopo giorni di ricerche.
Alle 10.08 il Geniere riceve ordine dall’ammiraglio
Iachino di dirigersi immediatamente verso il punto in cui un altro cacciatorpediniere,
il Lanciere, sta anch’esso affondando
a causa del mare in tempesta. Così viene fatto, ma alle 12.15 il Geniere deve comunicare che non può
proseguire verso il punto indicato dal Lanciere
nel suo S.O.S.: il mare è troppo violento e la nave ha subito a sua volta serie
avarie, che la costringono a navigare a non più di 8 nodi, velocità che
raggiunge comunque con molta fatica. Il Geniere
accosta dirige pertanto verso Augusta; alle 14.40 otterrà l’autorizzazione di
puntare invece su Messina. Del Lanciere
si salveranno soltanto 15 uomini su un equipaggio di 242.
Il Geniere raggiunge Messina tra gli
ultimi, alle 19.36. Anch’esso, come molti altri cacciatorpediniere, ha subito
danni nel corso della tempesta, ed anche diverse vittime tra l’equipaggio: hanno
perso la vita il marinaio silurista Alfonso Buccino da Pozzuoli (21 anni), il
sottocapo cannoniere Eugenio Paradiso da Serra d’Aiello (22 anni), il marinaio
s.m. Aniello Vasile da Ascea (21 anni) ed il marinaio silurista Albino Zubiani
da Sondalo (18 anni).
1942
Lavori di modifica:
vengono eliminate 12 mitragliere contraeree da 13,2/76 mm (quattro in impianti
singoli ed otto in impianti binati) ed installate invece quattro mitragliere
binate Breda 1935 da 20/65 mm.
14-15 giugno 1942
Il Geniere lascia Taranto insieme al resto
della XI Squadriglia Cacciatorpediniere (Aviere,
Corazziere, Camicia Nera), alla VII Squadriglia (Freccia, Folgore e Legionario), alla XIII Squadriglia (Mitragliere, Bersagliere ed Alpino),
alla III Divisione (Trento e Gorizia, nave di bandiera
dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona), alla VIII Divisione (Garibaldi, nave di bandiera
dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten, e Duca d’Aosta) ed alla IX Divisione (Littorio, nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Angelo
Iachino, comandante superiore in mare, e Vittorio Veneto, nave di bandiera dell’ammiraglio Giuseppe
Fioravanzo) per contrastare l’operazione britannica «Vigorous» (invio di un
convoglio di rifornimenti da Alessandria a Malta, con undici mercantili scortati
da otto incrociatori e 26 cacciatorpediniere oltre a naviglio minore ed
ausiliario) nel corso della battaglia aeronavale di Mezzo Giugno. La XI
Squadriglia è assegnata alla scorta degli incrociatori della III e VIII
Divisione.
La formazione
italiana (le cui unità sono tenute pronte ad uscire in mare entro tre ore già
dalle 18 del 13 giugno) parte da Taranto nel primo pomeriggio del 14 (la III e
la VIII Divisione oltrepassano le ostruzioni alle 13.02, la IX Divisione alle
13.49), poi (a 20 nodi) segue le rotte costiere orientali del golfo di Taranto
sino al largo di Vela di Santa Maria di Leuca (dove si uniscono ad essa i
cacciatorpediniere Saetta, che
viene aggregato alla VII Squadriglia, e Pigafetta, che viene aggregato alla XIII), dopo di che, alle 18.06,
assume rotta 180° e dirige per il punto prestabilito «Alfa» (34°00’ N e 18°20’
E) per intercettare il convoglio britannico. Alle 20.20 un aereo sospetto viene
segnalato in prossimità del gruppo degli incrociatori.
Calata la notte, i
quattro cacciatorpediniere della XI Squadriglia si dispongono attorno agli
incrociatori (che procedono in linea di fila nell’ordine Garibaldi, Duca d’Aosta, Gorizia e Trento): due a dritta (Geniere
seguito da Camicia Nera) e due a
sinistra (Aviere seguito da Corazziere).
Essendo stata
avvistata alle 17.45 da ricognitori, la squadra italiana prosegue verso sud
fino alle 22, poi, alle 22.03, accosta per 140°, riassumendo rotta 180° solo a
mezzanotte, allo scopo di disorientare le forze nemiche. Intorno alle 2.30 del
15 giugno, essendo stati rilevati aerei britannici ed essendo prossimo il loro
attacco (diretto contro il gruppo «Littorio»), la squadra italiana inizia ad
emettere cortine nebbiogene ed accosta ad un tempo di 40° a sinistra, ritenendo
l’ammiraglio Iachino che l’attacco aereo sia in arrivo da tale lato (ed in tal
caso sarebbe vantaggioso puntare la prua sugli aerei per ridurre le probabilità
di essere colpiti, ed al contempo per allontanarsi dai bengala, che usualmente
vengono sganciati dal lato opposto a quello dove si verifica l’attacco), ma
poi, dato che si sentono rumori di aerei in arrivo anche da altre direzioni,
viene ripresa la navigazione verso sud in linea di fila. Alle 2.40, appena è
stata riassunta rotta 180°, iniziano ad accendersi bengala a sinistra, quindi
la squadra italiana accosta di 40° a dritta per allontanarsi, e procede con
tale rotta sino alle 3.31, poi accosta di 30° a dritta e dopo altri cinque
minuti di 30° a sinistra (per confondere i piloti degli aerei), fino a che alle
3.56, non vedendosi più bengala, viene ripresa la rotta 180° e cessa
l’emissione di cortine fumogene. I quattro aerosiluranti Vickers Wellington,
infatti, si sono ritirati non essendo riusciti ad individuare le navi italiane
nelle cortine nebbiogene, eccetto uno che ha lanciato un siluro contro una
corazzata ma senza risultati.
Alle 4.15 la
formazione italiana, essendo andata più ad ovest della rotta prevista, accosta
per 160° dirigendo per il punto «Alfa» per non ritardare l’incontro con il
convoglio britannico (che tuttavia, all’insaputa dei comandi italiani, ha già
invertito la rotta alle 00.45 rinunciando a raggiungere Malta, in seguito sia a
danni e perdite causati dagli attacchi aerei che all’impossibilità di sostenere
uno scontro con la forza navale italiana, di molto superiore; il convoglio
dirigerà di nuovo su Malta dalle 5.30 alle 8.40, per poi invertire
definitivamente la rotta e tornare ad Alessandria).
L’orizzonte è chiaro
e luminoso verso est, e le sagome delle navi, con rotta sud, risultano fin
troppo ben delineate; verso ovest, invece, il cielo è ancora scuro, anche se la
linea dell’orizzonte è distinguibile. La formazione degli incrociatori (gruppo
«Garibaldi»), di cui il Geniere fa
parte, procede a 20 nodi nell’ordine assunto ore prima, con gli incrociatori in
linea di fila ed i quattro cacciatorpediniere in posizione di scorta laterale,
formazione notturna assunta proprio in previsione di attacchi di aerosiluranti.
(De Courten ritiene che sarebbe migliore la formazione usata comunemente di
giorno, su due colonne, perché sfrutterebbe meglio la protezione dei
cacciatorpediniere, specie quando questi ultimi – come in questo caso – sono in
numero ridotto; Iachino è invece di opposto avviso, perché tale formazione
vincolerebbe troppo la manovra delle unità, costringendole sempre ad accostare
in fuori per non entrare in collisione con quelle vicine, e renderebbe meno
libero anche il tiro contraereo, mentre la linea di fila sarebbe più agile e
più sciolta).
Poco dopo le cinque
del mattino del 15 giugno, venti minuti prima del sorgere del sole, i quattro
incrociatori (al comando dell’ammiraglio De Courten), che con la XI Squadriglia
procedono 15 miglia a poppavia del gruppo «Littorio», vengono
attaccati da nove aerosiluranti britannici Bristol Beaufort (è la prima volta
che aerei di questo tipo, più grandi e meglio protetti dei Fairey Swordfish ed
in grado di portare due siluri anziché uno, vengono usati contro la flotta da
battaglia italiana). Il primo ad avvistarli, nel gruppo degli incrociatori, è
il Corazziere, che segnala velivoli
nemici verso sudest; inizialmente viene avvistato un singolo aereo, sul lato
sinistro della formazione (verso est), che si mantiene sempre a bassa quota ed
a grande distanza (12-15 km) e si sposta verso sud e poi verso ovest (il che
indurrà l’ammiraglio De Courten a ritenere che tale aereo avesse specificamente
il compito di stabilire il contatto con le navi italiane e di guidare gli
aerosiluranti verso la posizione più favorevole per un attacco, cioè quella il
lato occidentale della formazione). Inizialmente l’aereo non viene riconosciuto
come nemico, sia perché è troppo lontano per permetterne l’identificazione, sia
perché è atteso l’arrivo di velivoli della Regia Aeronautica per la scorta
aerea, d il nuovo arrivato esegue una manovra analoga a quella normalmente
eseguita dagli aerei italiani di scorta. Soltanto quando, dopo poche decine di
secondi (verso le 5.10), vengono avvistati tre aerosiluranti che si avvicinano
alla formazione volando in gruppo e bassi sul mare, viene dato l’allarme e viene
aperto un intenso tiro contraereo, mentre le navi iniziano ad intraprendere
manovre evasive. La reazione contraerea, secondo quanto scriverà De Courten nel
suo rapporto, è molto intensa da parte degli incrociatori, ma scarsa ed
insufficiente da parte dei cacciatorpediniere: ciò perché questi ultimi sono
soltanto quattro, e muniti di un ridotto numero di mitragliere.
I nove Beaufort
attaccano in tre ondate, composte ciascuna da tre aerei: quelli della prima
ondata si separano in modo da lanciare simultaneamente ma da angolazioni
diverse ed attaccano Garibaldi e Duca d’Aosta; quelli della seconda
ondata attaccano soprattutto il Gorizia
ed il centro della formazione, mentre quelli della terza prendono di mira la
coda della formazione (Gorizia e Trento). Tutti gli aerei si avvicinano
decisamente sotto il fuoco delle navi, sganciano il proprio siluro e poi virano
rapidamente; alcuni di essi, per allontanarsi, defilano di controbordo a
pochissima distanza dalle navi italiane, venendo bersagliati dal fuoco delle
mitragliere, che è però grandemente complicato dalle forti variazioni di
brandeggio. In tutte e tre le ondate gli aerosiluranti, attaccando da direzioni
diverse, realizzano dei pericolosissimi “incroci” di siluri. Mentre gli
aerosiluranti che attaccano Garibaldi
e Duca d’Aosta sganciano i loro
siluri da circa mille metri di distanza, quelli che puntano su Trento e Gorizia li lanciano da distanze molto minori. Ciascuna nave manovra
per contro proprio per evitare i siluri, in base alle decisioni dei rispettivi
comandanti (che a loro volta decidono le manovre in base agli sganci di siluri
che possono osservare); otto delle nove armi lanciate vengono così evitate, ma
una – sganciata da non più di 200 metri, distanza troppo breve per consentire
una manovra evasiva – colpisce il Trento,
l’ultimo incrociatore della fila ed il meno protetto dai cacciatorpediniere,
che sono più vicini alla testa della formazione. L’incrociatore rimane
immobilizzato, in preda ad un violento incendio. Due dei Beaufort vengono
danneggiati dal tiro italiano.
Poco più tardi, tra
le 5.26 e le 5.51, tre degli aerosiluranti attaccano anche il gruppo «Littorio»,
ma senza successo. La formazione italiana prosegue sulla sua rotta, dopo aver
distaccato Saetta e Pigafetta per l’assistenza al Trento danneggiato. (Più tardi,
alle 9.13, il Trento verrà
nuovamente silurato dal sommergibile britannico P 35 – che alle 5.46 aveva già infruttuosamente lanciato
quattro siluri da 4500 metri contro la Vittorio Veneto, senza che le unità italiane se ne accorgessero –
ed affonderà in soli sette minuti, con la perdita di 570 dei 1151 uomini
dell’equipaggio).
Alle 6.15 il
sommergibile britannico P 34 (tenente
di vascello Peter Robert Helfrich Harrison) riesce a superare inosservato lo
schermo della scorta prodiera per attaccare gli incrociatori del gruppo «Garibaldi»,
ma proprio quando è giunto in posizione di lancio vede gli incrociatori
accostare di 90° verso di lui, passargli sopra ed assumere una rotta che
riporta fuori tiro, così vanificando il tentativo di attacco.
Alle sette vi è un
nuovo allarme in seguito all’avvistamento di nove aerei dapprima ritenuti
nemici – tutte le armi vengono puntate contro di essi –, ma che poi si rivelano
essere tedeschi, la scorta aerea sopraggiunta. Sempre alle 7,
in seguito a numerose comunicazioni che rivelano che il convoglio è molto
indietro rispetto al previsto od addirittura sta tornando ad Alessandria, la
squadra di Iachino assume rotta 140° per poterlo intercettare (nell’ipotesi che
ancora stia dirigendo su Malta). Intorno a quest’ora il Garibaldi, per ordine di Iachino, catapulta un idrovolante da
ricognizione, ma l’aereo non riesce a levarsi in volo e cade subito in mare: il
Geniere viene distaccato per
recuperarne l’equipaggio ma, quando giunge sul posto, non trova nulla.
L’idrovolante è affondato portando con sé tutto il suo equipaggio.
Poco dopo le otto
vengono avvisati due aerei britannici 30° a di prua a dritta, e viene aperto il
fuoco contro di essi, ma frattanto sopraggiunge da sinistra una formazione di
otto bombardieri statunitensi Consolidated B-24 Liberator che, tenendosi
a 4000 metri di quota, sgancia sulle corazzate, colpendo con una
bomba la Littorio, provocando modesti
danni. Subito dopo le navi italiane accostano ad un tempo di 80° a sinistra,
per poter rivolgere tutte le armi contro gli aerei, poi, essendosi questi
allontanati, riprendono la rotta 110°. Poco dopo le 8.40 vengono avvistati
cinque aerosiluranti Bristol Beaufort provenienti da prua, contro cui aprono il
fuoco sia i pezzi da 90 mm delle corazzate che quelli da 120
mm dei cacciatorpediniere (e successivamente anche le mitragliere), e le
navi accostano rapidamente sulla dritta sin quasi ad invertire la rotta,
confondendo gli attaccanti, che lanciano infruttuosamente da poppa, tre da una
distanza di circa 4000 metri e due da una distanza di 2000
metri (le prime tre armi sono evitate con piccole accostate, le ultime due
mettendo tutta la barra a sinistra). Due degli aerei vengono danneggiati dal
tiro contraereo. Poi la squadra italiana ritorna in linea di fila; viene
assunta rotta verso sud e poi, alle nove, si torna sulla rotta 110° (verso
est-sud-est) per raggiungere il nemico.
Alle 9.17, in seguito
all’avvistamento di navi da parte di uno dei ricognitori imbarcati, la velocità
viene portata a 24 nodi. Alle 11.40 l’Aviere,
cacciatorpediniere in posizione più avanzata a sinistra del gruppo «Garibaldi»,
segnala di aver avvistato fumo ed un’alberatura in direzione 120° (quasi di
prua), e poco dopo fumo ed alberatura vengono avvistati anche dalle altre navi
del gruppo.
Alle 11.50 anche la Littorio avvista un fumo a 30° di prua
dritta; viene allora ordinato il posto di combattimento generale e la
formazione italiana accelera a 28 nodi ed assume rotta per 150° per incontrare
quelle che crede essere le navi britanniche, ma scopre invece trattarsi di un
ricognitore italiano precipitato in mare.
Alle 12.20 la
velocità viene nuovamente ridotta a 24 nodi, ed alle 14.00, essendo ormai
evidente l’impossibilità di incontrare le forze nemiche, ormai tornate alla base,
anche le unità italiane accostano per 340° e riducono la velocità a 20 nodi per
rientrare alle loro basi.
Alle 17.09 un caccia
tedesco getta in mare, a sinistra delle navi, un fumogeno, segnale concordato
per indicare l’avvistamento di un sommergibile, pertanto la formazione italiana
accosta ad un tempo a dritta, per poi tornare sulla rotta 340° alle 17.21. Al
tramonto il sommergibile britannico Thrasher
avvista il gruppo «Garibaldi», ma rinuncia ad attaccare, perché troppo lontano.
Alle 18.10 il Garibaldi avvista un
periscopio a 5000 metri di distanza, manovrando quindi per allontanarsi: si
tratta del sommergibile britannico Porpoise,
il quale manovra per attaccare ma alle 18.35 viene attaccato da bombardieri
tedeschi e costretto a sua volta ad abbandonare l’attacco, scendendo a maggiore
profondità.
Alle 22,
in seguito a nuove disposizioni (trovarsi a 60 miglia per 180°
da Nido alle cinque del mattino del 16, per un’eventuale ripresa dell’azione)
la squadra di Iachino assume rotta 250°, ma tra le 22.30 e le 23,
in seguito al rilevamento di aerei, accosta dapprima per 210° e poi (poco
prima delle 23) per 260°. Poco dopo, tuttavia, iniziano ad accendersi dei
bengala e quindi le navi italiane iniziano ad emettere cortine di nebbia, che
risultano però meno dense ed efficaci rispetto alla notte precedente. Alle
23.26 ed alle 23.55 si accendono altri bengala a dritta e verso poppavia, e la
seconda serie di bengala, a 4000 metri, vanifica l’effetto delle cortine
fumogene. Le navi accostano rapidamente di 20° a sinistra, per lasciarsi a
poppa i bengala, ma poco dopo se ne accendono altri a soli 2500 metri. I
cacciatorpediniere (cui poi si uniscono le corazzate) dirigono il tiro di tutte
le mitragliere su un aerosilurante britannico, in avvicinamento da circa 20° di
prora a dritta, che riesce ad avvicinarsi a circa 1000 metri prima di
sganciare: alle 23.40 la Littorio viene
colpita da un siluro a prua dritta. Dopo essersi fermata per evitare una
collisione con la Vittorio Veneto impegnata
in manovre evasive, la corazzata colpita può rimettere in moto a 20 nodi, e la
formazione assume rotta 340°, ma altri bengala si accendono a soli 2000
metri, quindi la formazione italiana accosta immediatamente ad un tempo a
dritta assumendo rotta 50° per lasciarsi i bengala a poppa, ma non vi sono
altri attacchi. Poco dopo mezzanotte viene ripresa rotta 350° (verso nord),
mentre le navi italiane vengono infruttuosamente cercate da altri aerei. Non si
verificano più attacchi aerei, ed all’1.18 viene fatta cessare l’emissione di
cortine e si ritorna in formazione, con rotta su Taranto.
Alle 5.06 la squadra
accosta per 315° apprestandosi ad imboccare la rotta di sicurezza, procedendo a
zig zag e poi eseguendo diverse accostate in seguito ad avvistamenti, veri o
presunti, di periscopi nemici; verso le 9 un altro caccia tedesco getta in mare
un fumogeno (così segnalando la presenza di un sommergibile) a dritta della
formazione, che accosta immediatamente a sinistra. La rotta di sicurezza viene
imboccata alle 10.35, ed alle 16.21 il gruppo «Garibaldi» attraversa le
ostruzioni, giungendo poco dopo nel porto di Taranto.
12 agosto 1942
Alle 9.40 il Geniere (capitano di fregata Marco
Notarbartolo), insieme ai cacciatorpediniere Grecale, Corsaro, Legionario, Aviere, Ascari e Camicia Nera ed agli incrociatori
pesanti Trieste (che però, secondo
alcune fonti, non sarebbe partito da Messina ma si sarebbe invece aggregato a Gorizia e Bolzano in mare aperto, provenendo da un porto dell’Alto Tirreno), Gorizia (nave di bandiera
dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona, comandante della III Divisione) e Bolzano della III Divisione, salpa da
Messina per attaccare il convoglio britannico diretto a Malta nell’ambito
dell’operazione «Pedestal», nell’ambito della battaglia aeronavale di Mezzo
Agosto.
L’intercettazione dovrebbe
avvenire sud di Pantelleria, quando la forza “pesante” di scorta (Forza Z), che
include due corazzate e tre portaerei, avrà lasciato il convoglio, affidandolo
ad una forza leggera formata da pochi incrociatori leggeri e da un decina di cacciatorpediniere
(Forza X). Nel corso delle successive ventiquattr’ore, inoltre, convoglio e
scorta saranno sottoposti ad incessanti attacchi di aerei, sommergibili e
motosiluranti, che infliggeranno loro gravi perdite.
Strada facendo, la
III Divisione deve congiungersi con la VII Divisione dell’ammiraglio di
divisione Alberto Da Zara (incrociatori
leggeri Eugenio di Savoia –
nave ammiraglia –, Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli, più i
cacciatorpediniere Maestrale, Oriani, Gioberti e Fuciliere),
proveniente da Cagliari (da dov’è partita alle 20 dell’11, tranne l’Attendolo, salpato da Napoli alle 9.30
del 12); insieme, le due Divisioni potranno agevolmente distruggere quanto che
restava del convoglio, i cui pochi mercantili superstiti arrancano in disordine
verso Malta con la sola scorta di sette cacciatorpediniere e due incrociatori
leggeri, uno dei quali danneggiato, sotto continui attacchi aerei, subacquei e
di mezzi insidiosi.
Sulle prime si è
pensato di impiegare la squadra da battaglia, ma l’idea era stata scartata per
vari motivi: la Luftwaffe non intende fornire copertura alla flotta italiana
(si ritiene più utile mandare gli aerei ad attaccare il convoglio); c’è poco
carburante; si crede che ci siano 12-15 sommergibili britannici in agguato
lungo le rotte che dalle basi italiane portano al luogo del probabile scontro
(in realtà sono poco più della metà). La conclusione, non errata, è che una
forza di soli incrociatori correrebbe meno rischi e sarebbe egualmente in grado
di distruggere il convoglio già disperso e decimato; si replicherebbe l’attacco
portato due mesi prima (battaglia di Mezzo Giugno) dalla VII Divisione contro
il convoglio britannico «Harpoon», ma contando stavolta su una forza più
potente, e facendo tesoro dell’esperienza accumulata per evitare di ripetere
gli stessi errori che, allora, avevano permesso a due dei sei mercantili di
sfuggire insieme con la loro scorta.
Memore delle perdite
subite a Mezzo Giugno per mano degli aerosiluranti di Malta (siluramento della
corazzata Littorio e
dell’incrociatore pesante Trento,
quest’ultimo poi affondato dal sommergibile HMS Umbra), Supermarina subordina l’intervento degli incrociatori alla
disponibilità di aerei da caccia, per la scorta aerea; nel Mediterraneo, però,
non vi sono che cinque gruppi di caccia moderni (tre italiani e due tedeschi)
per scortare 400 bombardieri ed aerosiluranti pronti ad attaccare il convoglio
dalle basi siciliane e sarde. Il comando del Corpo Aereo Tedesco, che dispone
soltanto di 40 caccia, si rifiuta di assegnarli alla scorta delle navi,
ritenendoli necessari alla scorta degli aerei inviati contro il convoglio;
Superarereo offre maggiore collaborazione, ma assegna i caccia migliori alla
scorta di bombardieri ed aerosiluranti, destinando il superfluo (modelli più vecchi
come i Macchi Mc 200, i Reggiane Re 2000, e persino gli obsoleti biplani FIAT
CR. 42; nonché alcuni dei pochi bimotori FIAT CR. 25 prodotti) alla scorta
delle navi. L’11 ed il 12 agosto si discute a lungo sia al Comando Supremo che
a Palazzo Venezia, finché il maresciallo Ugo Cavallero, capo di Stato Maggiore
generale delle forze armate italiane, convince il generale di squadra aerea
Rino Corso Fougier, capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, ad assegnare per
il 13 agosto un buon numero di aerei da caccia, che si dovrebbero alternare in
turni di sei per volta, alla scorta degli incrociatori; rispetto ai 60 caccia
inizialmente previsti (Supermarina ne aveva in principio chiesti 80), ne sono
ritenuti sufficienti 45.
Alle 19 del 12
agosto, la III e la VII Divisione si riuniscono nel Basso Tirreno; l’incontro
con i resti del convoglio è previsto per la mattina del 13, a sud di
Pantelleria, nel punto più stretto del Canale di Sicilia.
Alle 22 Supermarina
ordina agli incrociatori di ridurre la velocità (che è in quel momento di 20
nodi), in modo da arrivare al largo di Capo San Vito non prima di mezzanotte.
Alle 22.37, tuttavia,
la formazione viene avvistata e segnalata, mentre procede con rotta sud
un’ottantina di miglia a nord dell’estremità occidentale della Sicilia, da un
ricognitore Vickers Wellington dotato di radar (che viene a sua volta rilevato
dal radar del Legionario). Per
altra fonte, la III Divisione è stata avvistata da un aereo nemico già alle
19.22.
Il comandante delle
forze aeree di Malta, maresciallo dell’aria Keith Parks (un neozelandese che è
stato tra i protagonisti della battaglia d’Inghilterra), resosi conto del
rischio che gli incrociatori italiani rappresentano nei confronti del
convoglio, ordina prima al Wellington che li ha avvistati, e poi anche ad un
secondo Wellington da ricognizione inviato a seguire gli spostamenti della
formazione italiana (entrambi appartengono al 69th Squadron e
sono dotati di radar ASV, Air to Surface Vessel; li distinguono le lettere
identificative “O” e “Z”), di sganciare bombe e bengala, per indurre le unità
italiane a ritenere di essere sotto ripetuti attacchi aerei, così da
dissuaderle dal proseguire nella navigazione verso il convoglio. Per rafforzare
l’inganno, Parks si spinge ad ordinare ripetutamente ai ricognitori – in
chiaro, al preciso scopo di essere intercettato – di comunicare la posizione
della forza italiana per consentire alle formazioni di bombardieri B-24
“Liberator” di attaccarli: formazioni di “Liberator” che, però, non esistono
(questo è il messaggio ricevuto dal Wellington, con un certo stupore tra il suo
equipaggio, non informato dello stratagemma: «Report result your attack, latest
enemy position for Liberators, most immediate»).
Ci sono invece a
Malta reparti di aerosiluranti Bristol Beaufort, che si tengono pronti ad
attaccare le navi italiane in caso di estrema necessità; ma per il momento, vengono
tenuti a terra.
Supermarina cade
nell’inganno. A Roma infuriano discussioni sul da farsi: l’ammiraglio Arturo
Riccardi, capo di Stato Maggiore della Regia Marina, richiede al
feldmaresciallo Albert Kesselring l’invio di 80 caccia della Luftwaffe per
fornire copertura aerea alle navi, che presto – si ritiene – verranno attaccate
dai bombardieri di Malta (Supermarina, sempre prudentissima, non intende
inviare gli incrociatori più a sud di Pantelleria senza adeguata scorta aerea);
l’ammiraglio Eberhard Weichold, ufficiale di collegamento con la Marina tedesca
a Roma, appoggia il suo collega italiano nella richiesta a Kesselring, ed anche
il maresciallo Cavallero insiste in questo senso, temendo che l’operazione
britannica possa comprendere anche uno sbarco sulle coste della Libia. Ma
Kesselring risponde che non ha abbastanza caccia disponibili: quelli che ci sono
bastano solo per la scorta ai bombardieri tedeschi, oppure solo alle navi
italiane. In considerazione anche delle deludenti prove date in precedenza
dalle forze da battaglia italiane negli attacchi ai convogli britannici – il
fallimento della seconda Sirte ed il successo solo parziale a Mezzo Giugno
contro il convoglio «Harpoon» – Kesselring, poco convinto delle probabilità di
successo degli incrociatori italiani, preferisce impiegare tutti gli aerei a
sua disposizione negli attacchi diretti contro il convoglio, e quindi assegnare
i caccia alla scorta dei bombardieri. (Kesselring ha ragione di essere deluso
per i precedenti attacchi navali italiani contro convogli britannici; è però il
caso di notare che, contrariamente a quanto lui si aspettava, neppure gli aerei
della Luftwaffe si riveleranno poi in grado di annientare il convoglio
«Pedestal»).
Il comando della
Seekriegsleitung, concordando con Weichold, supporta con tutti gli argomenti
disponibili l’impiego degli incrociatori italiani, esprimendo l’opinione che,
in caso contrario, si perderebbe l’occasione di distruggere il più grande
convoglio britannico mai visto nel Mediterraneo, in condizioni di superiorità
numerica e di armamento. Ma Kesselring, cui spetta la decisione finale, non
condivide tali conclusioni.
Dopo lunghe pressioni
di Cavallero, il generale Corso Fougier acconsente a destinare 40 caccia Macchi
Mc 202 alla scorta delle navi; si tratta di un grosso sacrificio per le sue
forze, che in Sicilia dispongono già di caccia appena sufficienti a scortare
solo parte dei bombardieri e degli aerosiluranti. Ma Riccardi e Cavallero non
li ritengono comunque adeguati; i sempre ansiosi vertici di Supermarina temono
inoltre, sulla base dell’interpretazione di alcuni segnali di scoperta (quelli
dei sommergibili Bronzo ed Axum, che hanno avvistato unità navali
dirette verso est a nord della costa tunisina; e quello di un idroricognitore
CANT Z. 506, che ha segnalato “tre grandi navi” – in realtà, l’incrociatore
leggero Charybdis ed i
cacciatorpediniere Eskimo e Somali – che seguono il convoglio,
al largo dell’Isola dei Cani), che porebbe esserci anche una corazzata, o forse
più di una, quale forza di sostegno al convoglio nel Canale di Sicilia.
A rincarare la dose,
un U-Boot tedesco segnala di aver avvistato quattro incrociatori e dieci
cacciatorpediniere britannici nel Mediterraneo orientale, apparentemente
diretti verso Malta. È un altro inganno: si tratta di un convoglio “fittizio”
(composto in realtà da due incrociatori, cinque cacciatorpediniere ed alcuni
mercantili) che i britannici hanno inviato verso Malta al preciso scopo di distogliere
l’attenzione dei comandi italiani dal vero convoglio.
Le discussioni finiscono
col giungere ad un punto morto, pertanto gli alti ufficiali deliberano di
interpellare Mussolini in persona. Svegliato il dittatore, Cavallero gli spiega
per telefono, a tinte alquanto fosche (intento suo e di Riccardi – appoggiato
in questo dal suo vice, ammiraglio Luigi Sansonetti – è d’altra parte di
strappare a Mussolini il consenso per il ritiro degli incrociatori: Cavallero
dice a Mussolini che Riccardi ritiene la missione “troppo pericolosa per la
Marina” e per giunta, giudizio più che discutibile, “un rischio non pagato da
un rendimento corrispondente”), che senza copertura aerea verrebbero attaccati
dai bombardieri di Malta subendo gravi danni, aggiungendo anche la notizia
dell’avvistamento di navi britanniche nel Mediterraneo orientale; asserisce che
incaricherà l’Aeronautica di massimizzare gli sforzi contro il convoglio il
giorno seguente.
Mussolini viene
convinto da tanto eloquio: dice a Cavallero che non intende rischiare le sue
navi se i tedeschi non erano disposti a proteggerle, e si dichiara convinto che
gli aerei e le motosiluranti italiane riusciranno comunque a distruggere il
convoglio prima che raggiungesse Malta. Di conseguenza, la missione degli
incrociatori viene annullata: la più grande occasione che si sia mai presentata
alla Regia Marina per trasformare un ottimo successo tattico (colto nelle ore
precedenti da sommergibili, aerei e motosiluranti) in uno strepitoso successo
strategico va così in fumo, per l’eccessivo timore di perdite che si verificheranno
lo stesso, ma in condizioni ben più umilianti.
13 agosto 1942
Alle 00.30 Supermarina
ordina alla III e VII Divisione, che in quel momento sono ad una ventina di
miglia da Capo San Vito (ad ovest di Trapani), di virare verso est per tornare
alle basi, paventando attacchi aerei nemici sulla base dell’intercettazione dei
numerosi messaggi radio inviati da Malta ai propri ricognitori. Tre minuti più
tardi, tutti gli incrociatori evoluiscono per evitare siluri lanciati da aerei.
Supermarina decide di
inviare la III Divisione nello Ionio, anziché nel Tirreno, per unirsi all’VIII
Divisione (uscita da Navarino) allo scopo di attaccare le navi avvistate nel
Mediterraneo orientale, mentre la VII Divisione dovrà tornare in porto.
I finti attacchi
aerei e messaggi continuano ad ogni modo anche nelle ore successive, per
evitare che i comandi italiani possano cambiare idea ed ordinare agli
incrociatori di riprendere la navigazione verso ovest per attaccare il
convoglio.
Per buona parte della
navigazione, “ULTRA” tiene sotto controllo gli spostamenti degli incrociatori
italiani, decrittando le trasmissioni radio compilate con la macchina cifrante
Enigma: dapprima apprende della partenza del Trieste da un porto dell’Alto Tirreno (La Spezia) nella notte
tra 11 e 12 agosto, diretto verso sud, e poi che tra le 8.40 e le 11 del
12 Bolzano e Gorizia, con quattro cacciatorpediniere,
sono partiti da Messina diretti verso nord; ancora, che alle 9.30 del 12 l’Attendolo e due cacciatorpediniere sono
partiti da Napoli. Altre intercettazioni rivelano che una forza navale
italiana, di consistenza sconosciuta, ha ricevuto alle 18.35 del 12 l’ordine di
assumere rotta sud e velocità 20 nodi, passando 90 km a nord di Trapani, e poi
(19.45) di trovarsi entro le 5.30 del 13 dieci miglia a levante di Pantelleria.
Supermarina avvisa anche gli incrociatori che torpediniere italiane (Climene e Centauro) sono in pattugliamento a ponente della longitudine 11°40’
E, con l’ordine di lasciare tale area all’alba del 13 e dirigere per
Pantelleria.
All’1.39, “ULTRA”
intercetta l’ordine PAPA (Precedenza Assoluta sulle Precedenze Assolute) delle
23.50 in cui Supermarina ordinava «EUGENIO, MONTECUCCOLI, MAESTRALE, GIOBERTI, ORIANI dirigete
subito Napoli: 3a Divisione con ATTENDOLO e rimanenti
cacciatorpediniere dirigano Messina». All’1.56, il ripiegamento verso sudest viene
confermato anche da una comunicazione da parte del Wellington “O”, subito
riconfermato dal Wellington “Z”.
Alle 00.30, in
esecuzione dell’ordine di Supermarina, la III Divisione (cui per ordine di
Supermarina vengono aggregati Attendolo e Grecale, distaccati dalla VII Divisione)
fa rotta su Messina, mentre la VII Divisione dirige per Napoli. L’Attendolo avvista la III Divisione
alle 2.55, ma riesce ad entrare in formazione solo alle quattro del mattino, in
quanto tutte le navi hanno preso a zigzagare ad alta velocità, illuminate dalla
luce di bengala lanciati dagli aerei britannici.
Procedendo a 22 nodi,
la III Divisione supera Alicudi, dopo di che passa dalla linea di fila alla
doppia linea, con Trieste e Gorizia davanti ed Attendolo e Bolzano dietro. Due degli otto
cacciatorpediniere di scorta sono dotati di ecogoniometro; nel cielo della
formazione volano due idrovolanti CANT Z. 506 quale scorta aerea. Il mare è
calmo, la visibilità ottimale; una radiosa giornata estiva.
Tra gli equipaggi
regna una certa frustrazione, a causa dell’ordine di ritirarsi senza nemmeno
aver tentato di attaccare un nemico che già si trova alle strette.
A nord di Palermo, il
sommergibile britannico Safari
avvista la III Divisione, ma non è in grado di attaccare.
Diversamente vanno le
cose per un secondo sommergibile, l’Unbroken
(tenente di vascello Alastair Campbell Gillespie Mars), che già alle quattro
del mattino è stato informato da Malta che degli incrociatori italiani si
stanno dirigendo verso di lui. Alle 7.30, mentre si trova in posizione 38°43’ N
e 14°57’ E (al largo della costa settentrionale della Sicilia, a nordovest
dell’imbocco dello Stretto di Messina), il sommergibile britannico avverte
rumori prodotti dagli apparati motori di navi, su rilevamento 230°; alle 7.43
avvista sullo stesso rilevamento numerose navi italiane, che gli stanno proprio
venendo incontro. Mars identifica correttamente la colonna centrale come
composta da due incrociatori pesanti e probabilmente due incrociatori leggeri,
che procedono in linea di fila; li scortano otto cacciatorpediniere di tipo
moderno. La distanza è di 11.000 metri, e Mars stima la velocità delle navi
italiane in circa 25 nodi, cinque nodi in più di quella reale. Le navi stanno
passando tra Filicudi e Panarea; sono al traverso di Salina, Stromboli è otto
miglia alla loro sinistra, Panarea cinque miglia a prora dritta (cioè a
sudovest).
Iniziata la manovra
d’attacco, e penetrato lo schermo dei cacciatorpediniere (secondo Mars, tre di
essi passano vicinissimi al periscopio del sommergibile, ma senza notarlo),
alle 8.04 l’Unbroken lancia quattro
siluri contro il più vicino dei due incrociatori pesanti; al di là di questa
nave ci sono i due incrociatori “leggeri”, e Mars ritiene – a ragione – che se
i siluri dovessero mancare il bersaglio designato, avrebbero una buona
possibilità di colpire uno dei due incrociatori leggeri. Per via della
formazione italiana a due colonne affiancate (assunta proprio mentre l’Unbroken si prepara ad attaccare),
i bersagli si “sovrappongono” nel periscopio di Mars; l’incrociatore più vicino
è a 25° di prora dritta, distanza 2740 metri.
Subito dopo il
lancio, l’Unbroken scende in
profondità, virò di 90° a dritta ed aumenta la velocità per cinque minuti.
Quando sente le detonazioni, Mars stima che due siluri abbiano centrato
l’incrociatore pesante, e che forse gli altri abbiano colpito uno degli altri.
Il comandante
britannico ha apprezzato correttamente gli esiti del proprio lancio: alle 8.05,
mentre l’Unbroken sta lanciando
i siluri, gli incrociatori italiani hanno ridotto la velocità a 18 nodi, per
consentire al Gorizia di
lanciare un idrovolante; poco dopo, il cacciatorpediniere Fuciliere ha avvistato un sommergibile
sulla sinistra, ed ha aperto il fuoco con una mitragliera contro il periscopio,
distante solo 410 metri. Gorizia e Bolzano avvistano le scie dei
siluri; il Gorizia li evita
con una brusca accostata, ma il Bolzano non
fa in tempo, e viene centrato da un siluro proprio mentre sta iniziando a
virare. Poco dopo anche l’Attendolo viene
colpito, subendo l’asportazione della prua.
Mentre gli equipaggi
dei due incrociatori lottano per tenere le loro navi a galla, i
cacciatorpediniere della Squadriglia «Aviere», incaricati di dare loro assistenza
e protezione, iniziano a stendere cortine fumogene e bombardare l’attaccante
con bombe di profondità: dalle 8.09 alle 16.40 vengono lanciate ben 105 bombe
di profondità, anche se l’Unbroken,
allontanandosi lentamente alla profondità di 39 metri, riesce a far perdere le
proprie tracce già alle nove (la caccia vera e propria dura tre quarti d’ora,
dopo di che – dopo il lancio della quarantesima bomba di profondità – i
cacciatorpediniere si limitano a gettare bombe di profondità di tanto in tanto,
a scopo precauzionale, e le esplosioni si fanno sempre più sporadiche e lontane).
Il sommergibile se la cava con danni superficiali, subiti durante i primi 40
minuti di caccia, che Mars ritiene piuttosto accurata.
Il Geniere e l’Aviere cercano di prestare assistenza al Bolzano (che ha quattro comportamenti allagati ed un violento
incendio a centro nave) e di prenderlo a rimorchio; per tre volte uno di
essi lancia all’incrociatore colpito un sacchetto con cui recuperare lo spesso
cavo d’acciaio che passa al Bolzano per
rimorchiarlo, ma ogni volta il cavo si spezza. La nave è fortemente appruata, e
l’incendio divampa furioso: tra l’acqua che entra dalla grossa falla aperta dal
siluro sotto il torrione, e quella giocoforza immessa nei depositi munizioni
per scongiurarne l’esplosione, la galleggiabilità del Bolzano appare sempre più compromessa.
Verso le dieci del
mattino, Geniere ed Aviere riescono finalmente a prendere il Bolzano a rimorchio: il Geniere da poppa, l’Aviere da prua. La nave continua
progressivamente ad appruarsi e sbandare sulla sinistra, ormai in serio
pericolo di affondamento, inducendo il suo comandante, capitano di vascello
Mario Mezzadra, a decidere di tentare di raggiungere un basso fondale e qui
portarla ad adagiarsi.
Nel tentativo di far
accostare il Bolzano, uno dei
cavi di rimorchio si spezza, e lo sbandamento dell’incrociatore aumenta ancora
di più (circa 15°): sembra allora che il Bolzano, sempre più basso sull’acqua, stia per affondare da un
momento all’altro. Alle 10.55 il comandante Mezzadra ordina di abbandonare la
nave.
Mentre l’Aviere recupera gli uomini che si
gettano in mare, il Geniere si
avvicina e – per ordine di Mezzadra – manovra per affiancarsi al Bolzano sul lato di dritta e
trasbordare il personale che è ancora a bordo: in questo modo, la maggior parte
dell’equipaggio dell’incrociatore può essere ordinatamente trasferita sul Geniere. Tra di essi vi sono il
comandante Mezzadra (ultimo a trasbordare), il comandante in seconda Andrea Fe’
d’Ostiani ed il direttore di macchina Luigi Petrillo.
Il Bolzano, intanto, arresta il suo
apparentemente affondamento, e si stabilizza, al punto che risulta nuovamente
possibile, per il Geniere,
tentare di prenderlo a rimorchio. Un ufficiale del Bolzano, il capitano del Genio Navale Armando Traetta, chiede ed
ottiene il permesso di tornare sull’incrociatore con una decina di
volontari, per filare a mare i cavi di rimorchio, in precedenza preparati a
poppa, in modo da poterli poi recuperare dal Geniere e prendere così a rimorchio il Bolzano, per portarlo all’incaglio.
Tornato sul Bolzano con una lancia,
il gruppetto guidato da Traetta risale a bordo, dove riesce finalmente a
tendere il cavo di rimorchio. Il cavo però cade in mare; a questo punto alcuni
uomini del Bolzano che si trovano sul
Geniere – il guardiamarina Pier
Giacomo Vianello, il secondo nocchiere Vieno Posa, il capo elettricista
Giuseppe Chiricozzi, il nocchiere Catello Pulzella ed il marinaio Luigi
Avellino – si tuffano in mare per recuperarlo e ristabilire il rimorchio, il
che viene fatto. L’operazione di rimorchio è diretta da Mezzadra.
Il Geniere rimorchia allora
l’incrociatore, sbandato di circa 5°-6°, verso la vicinissima isola di Panarea,
dove lo porta ad incagliare su un banco sabbioso dinanzi alla spiaggia Lisca
Bianca, presso Punta Peppemaria (sulla costa settentrionale dell’isola), alle
13.30. Qui l’acqua è profonda solo dodici metri; quando la carena del Bolzano tocca il fondale per la
prima volta, l’incrociatore sbanda paurosamente di ben 45° sulla sinistra:
sembrando che la nave stia per rovesciarsi da un momento all’altro, i volontari
saliti a bordo la devono di nuovo abbandonare. Gli uomini radunati sul Geniere, presi dalla commozione, si
levano i cappelli dinanzi a quella che pare la fine della loro nave. Successivamente,
però, lo sbandamento torna a diminuire, e ci si può finalmente mettere
all’opera per domare l’incendio. (Il Bolzano
potrà essere rimesso a galla nel giro di un mese e rimorchiato prima a Napoli e
poi a La Spezia, ma le riparazioni non verranno mai ultimate.)
Una volta che il Bolzano è incagliato a Panarea, il Geniere, insieme all’Ascari, viene inviato ad assumere la
scorta dell’Attendolo, il quale,
procedendo a cinque nodi, passa tra Panarea e gli scogli delle Formiche, con
rotta su Capo Milazzo. Tra le 14.30 e le 17.15 la scorta viene rinforzata dai
cacciatorpediniere Freccia, Corsaro e Legionario. Alle 18.45, arrivato nei pressi di Messina, l’Attendolo viene raggiunto dai
rimorchiatori, che lo conducono in porto, dove si ormeggia al Molo del Carbone.
Due
immagini del 13 agosto 1942: sopra, il Bolzano
in fiamme in una foto scattata da bordo del Geniere, che si appresta a prenderlo a rimorchio dopo che l'incrociatore, in apparente stato di affondamento, si è "stabilizzato";
sotto, il Geniere (a destra) accanto
al Bolzano che ha appena rimorchiato ad adagiarsi sui
bassifondali di Panarea (g.c. STORIA militare)
21 agosto 1942
Alle cinque del
mattino il Geniere va a rinforzare la
scorta (cacciatorpediniere Aviere,
caposcorta; torpediniere Ciclone e Climene) della nave cisterna Pozarica e del piroscafo tedesco Dora, in navigazione da Messina a
Bengasi. Quaranta minuti dopo il Geniere,
si unisce alla scorta anche la torpediniera Pegaso.
Alle 16.17, al largo
dell’isolotto di Sivota, il convoglio viene attaccato da aerosiluranti: la Pozarica viene colpita da un siluro, ma
si riesce a portarla all’incaglio nella baia di Saiada (Canale di Corfù) alle
7.20 del 22 (sarà poi possibile recuperarne il carburante ed avviarla ai lavori
di riparazione); le altre navi ricevono ordine di raggiungere Corfù, dove
arrivano alle 20.30. Un aerosilurante Bristol Beaufort ed un caccia Bristol
Beaufighter, nel corso dell’attacco, vengono abbattuti dalla Pegaso.
Il Geniere non è uscito del tutto indenne
dall’attacco aereo: mitragliato da aerei nemici, non ha riportato danni di
rilievo, ma ha subito due vittime tra l’equipaggio ed un ferito grave, morto il
giorno successivo.
Sono morti sul colpo,
falciati da una raffica nemica, il marinaio furiere Alfredo Fornaciari (19
anni, da Messina) ed il tenente di vascello Alessandro Mondello (24 anni, da
Villa San Giovanni), che stava dirigendo il tiro delle mitragliere di sinistra;
è rimasto mortalmente ferito il sergente radiotelegrafista Lanciotto Fossi (22
anni, da Empoli), che muore a Corfù il 22 agosto. Verranno tutti decorati alla
memoria, Mondello con la M.A.V.M., Fossi e Fornaciari con la C.G.V.M.
6 settembre 1942
Il Geniere salpa da Taranto alle due di
notte, insieme ai cacciatorpediniere Freccia,
Bombardiere, Fuciliere, Corsaro e Camicia Nera ed alla torpediniera Pallade, scortando il convoglio «N», formato dalle motonavi Luciano Manara e Ravello, con destinazione Bengasi.
Alle 10.40, al largo
di Capo Santa Maria di Leuca, il convoglio «N» si unisce al convoglio «P»,
proveniente da Brindisi (motonavi Ankara
e Sestriere, scortate dai
cacciatorpediniere Aviere, Lampo e Legionario e dalle torpediniere Partenope
e Pegaso), formando un unico
convoglio denominato «Lambda», che fruisce anche di nutrita scorta aerea da
parte di velivoli italiani e tedeschi. Caposcorta è il capitano di vascello
Ignazio Castrogiovanni, dell’Aviere.
In base alle
disposizioni impartite, il convoglio naviga lungo la costa della Grecia; verso
le 15.30, al largo di Corfù, si verifica un attacco di aerosiluranti decollati
da Malta. Quattro degli aerei vengono abbattuti dalle navi della scorta, ma
alle 15.40 la Manara viene colpita a
poppa da un siluro; presa a rimorchio dal Freccia
(capitano di fregata Minio Paluello), può essere portata all’incaglio nella
baia di Arilla (Corfù). Il resto del convoglio prosegue; al tramonto si scinde
nuovamente nei due gruppi originari (meno Freccia
e Manara) che navigano separati per
tutta la notte, pur seguendo entrambi la medesima rotta lungo la costa
ellenica.
7 settembre 1942
All’alba i due gruppi
si riuniscono di nuovo, assumendo una formazione con le motonavi disposte a
triangolo (Ravello a dritta, Ankara a sinistra, Sestriere di poppa) e le navi scorta disposte tutt’intorno, oltre
alla scorta aerea di 7 Junkers Ju 88 tedeschi, 5 caccia italiani Macchi Mc 200
ed un idrovolante CANT Z. 506.
Alle 8.35 il
sommergibile britannico P 34 (tenente
di vascello Peter Robert Helfrich Harrison), preavvisato del prossimo arrivo
del convoglio, avvista su rilevamento 305° le alberature ed i fumaioli delle
navi italiane. Iniziata la manovra d’attacco alle 8.40, il P 34 lancia quattro siluri alle 9.21, da 6400 metri, in posizione
36°17’ N e 21°03’ E (45 miglia a sudovest dell’isola greca di Schiza); Sestriere e Ravello, avvistati i siluri, li evitano con la manovra. Il Lampo (capitano di corvetta Antonio
Cuzzaniti) viene temporaneamente distaccato per dargli la caccia, lanciando
bombe di profondità a scopo intimidatorio, per poi riunirsi al convoglio; anche
l’Aviere, che ha avvistato le scie
dei siluri, effettua un attacco con bombe di profondità. Il contrattacco contro
il P 34 si protrae dalle 9.36 alle 13
circa (con una pausa di circa un’ora), con il lancio in tutto di 83 bombe di
profondità; gli scoppi delle bombe, oltre ad indurre il sommergibile a restare
immerso in profondità per tutto il pomeriggio, arrecano seri danni al suo
motore di sinistra (quando si cerca di metterlo in moto, scoppia un incendio),
costringendolo ad interrompere la missione e rientrare a Malta per le
riparazioni.
Per tutta la giornata
del 7, e nella notte successiva, le navi vengono ripetutamente attaccate da
bombardieri (di giorno si tratta di Consolidated B-24 “Liberator” statunitensi)
ed aerosiluranti.
Alle 19.40 il
convoglio «Lambda» si scinde nuovamente in due gruppi: Geniere, Lampo, Ankara e Partenope dirigono per Tobruk, mentre Pegaso, Pallade, Camicia Nera, Aviere, Corsaro, Legionario, Ravello e Sestriere fanno
rotta per Bengasi (dove arriveranno alle 11 dell’indomani).
Il gruppo che
comprende il Geniere, durante la
notte, viene sottoposto ad ulteriori e pesanti attacchi di bombardieri; mentre
l’Ankara rimane indenne, il Fuciliere (capitano di fregata Del
Grande) subisce alcuni allagamenti in conseguenza dell’esplosione di alcune
bombe cadute vicine, ragion per cui deve lasciare la scorta e raggiungere
Creta, scortato dal Bombardiere.
8 settembre 1942
In mattinata, si
aggregano al gruppo che comprende il Geniere
anche l’incrociatore ausiliario Brioni
(impiegato come trasporto) e la torpediniera Orione, provenienti da Suda.
Il Geniere e le altre navi del suo gruppo
entrano a Tobruk alle 14.
16 ottobre 1942
Il Geniere (capitano di fregata Marco
Notarbartolo) salpa da Taranto alle 21 insieme ai gemelli Aviere (caposcorta, capitano di vascello Ignazio Castrogiovanni) e Camicia Nera (capitano di fregata
Adriano Foscari), scortando la motonave tedesca Ankara, diretta a Tobruk.
17 ottobre 1942
Giunto presso Corfù
alle 11, il convoglietto che comprende il Geniere
si congiunge ad un secondo gruppo proveniente da Brindisi e diretto a Bengasi,
composto dalla motonave Monginevro
scortata dalle torpediniere Orsa
(tenente di vascello Enrico Bucci) ed Aretusa
(capitano di corvetta Roberto Guidotti). Formato un unico convoglio, le
motonavi lasciano Corfù alle 17.40 (o 18).
18 ottobre 1942
In mattinata si unisce
alla scorta anche il cacciatorpediniere Alpino (capitano di vascello Candido Bigliardi), proveniente
da Navarino.
Alle 20.10 il
convoglio si scinde di nuovo: Monginevro con Aviere, Geniere e Camicia
Nera per Bengasi; Ankara con Alpino, Orsa ed Aretusa a
Tobruk.
19 ottobre 1942
Monginevro e scorta, Geniere
compreso, giungono a Bengasi alle 10.30, senza essere stati attaccati (a
differenza del gruppo dell’Ankara,
che comunque supera indenne i ripetuti attacchi aerei cui è fatto oggetto).
Subito dopo Geniere, Aviere (di nuovo caposcorta) e Camicia
Nera ripartono da Bengasi per scortare a Brindisi le moderne motonavi Foscolo e D’Annunzio, che ritornano scariche.
20 ottobre 1942
Il convoglio sosta a
Corfù durante la notte tra il 20 ed il 21, poi prosegue, con l’aggiunta della
torpediniera di scorta Ardito.
21 ottobre 1942
Il convoglio arriva a
Brindisi alle tre di notte.
Il Geniere con colorazione mimetica, verosimilmente nel 1942-1943 (da navalhistory.flixco.info) |
28 ottobre 1942
Il Geniere, insieme ai gemelli Aviere (caposquadriglia) e Legionario, parte da Taranto per Tobruk
alle 18.45, in missione di trasporto. In tutto, i tre cacciatorpediniere hanno
a bordo 219 tonnellate di benzina in fusti ed in latte, nonché cinque
tonnellate di materiali d’artiglieria.
30 ottobre 1942
Geniere, Aviere e Legionario raggiungono Tobruk alle 8.30
e ripartono alle 14, dopo aver messo a terra il carico, dirigendo
rispettivamente per Brindisi (Geniere)
e Taranto (Aviere e Legionario).
1° novembre 1942
Il Geniere giunge a Brindisi alle 3.45.
4 novembre 1942
Geniere (caposcorta), Aretusa
e Camicia Nera partono da Brindisi
per Bengasi a mezzogiorno, scortando la motonave Foscolo.
5 novembre 1942
Il convoglio giunge
al Pireo alle 17.20 e vi sosta per quattro giorni.
9 novembre 1942
Alle 10 il convoglio
riparte dal Pireo alla volta di Suda, dove arriva alle 22, sostandovi fino all’indomani.
10 novembre 1942
Il convoglio riparte
da Suda alle 18 diretto a Bengasi.
12 novembre 1942
Foscolo, Geniere, Aretusa e Camicia Nera arrivano finalmente a Bengasi alle 21.45.
23 novembre 1942
Il sottocapo
elettricista Renzo Giua (22 anni, da Guasila), del Geniere, muore in territorio metropolitano.
4 dicembre 1942
Geniere ed Aviere (caposcorta)
partono da Napoli per Biserta alle 16.40, scortando la moderna motonave Caterina Costa. Dieci minuti dopo la
partenza, al largo di Capri, il convoglio viene attaccato da 16 bombardieri,
che tuttavia non causano alcun danno.
5 dicembre 1942
Geniere, Aviere e Caterina Costa entrano a Palermo alle
16.30.
6-7 dicembre 1942
Il Geniere, insieme ai
cacciatorpediniere Aviere, Corsaro e Bombardiere (coi quali forma la XI Squadriglia
Cacciatorpediniere), Maestrale, Gioberti e Legionario (X Squadriglia Cacciatorpediniere), salpa da Napoli
nella tarda serata del 6 per scortare le moderne corazzate Littorio, Vittorio Veneto e Roma (che
formano la IX Divisione Navale), delle quali è stato ordinato il trasferimento
nella più sicura base di La Spezia dopo che un bombardamento su Napoli, due
giorni prima, ha semidistrutto la VII Divisione Navale. Nell’uscire dal porto,
un’elica del Bombardiere s’impiglia
nelle ostruzioni retali ed il cacciatorpediniere rimane bloccato a Napoli,
dovendo così essere sostituito dal più anziano Freccia.
La formazione, che
fruisce anche della scorta aerea di tre idrovolanti CANT Z. 501 in funzione
antisommergibili, percorre i canali dragati occidentali del golfo di Napoli,
con le corazzate in linea di fila (nell’ordine Littorio, Vittorio
Veneto e Roma)
precedute dalla XI Squadriglia e seguite dalla X Squadriglia. Superato Capo
Miseno, la XI Squadriglia si pone in posizione di scorta ravvicinata a dritta e
la X Squadriglia fa lo stesso a sinistra. La navigazione notturna procede senza
problemi, ed al mattino successivo arrivano tre CANT Z. 501 che scortano le
navi sino a La Spezia; alle otto del mattino il Bersagliere, partito da La Spezia, si unisce alla X Squadriglia. A
partire da mezzogiorno dapprima i cacciatorpediniere e poi anche le corazzate
eseguono prove di emissione di cortine fumogene, ed alle 15.30 la formazione
entra nel canale dragato che porta a La Spezia.
19 dicembre 1942
Geniere e Gioberti lasciano
Biserta all’1.20, per scortare a Napoli gli avvisi-dragamine francesi Commandant Rivière e La Batailleuse, catturati a Biserta
dalle forze dell’Asse a seguito dell’occupazione italo-tedesca della Francia di
Vichy e della Tunisia. Su Geniere e Gioberti sono imbarcati 587
ufficiali e marinai della Marina francese, smobilitati a seguito della
soppressione delle modeste forze armate di Vichy, che devono essere
rimpatriati.
20 dicembre 1942
Le quattro navi
raggiungono Napoli alle 16.
19 dicembre 1942
Geniere (caposcorta), Gioberti ed
un altro cacciatorpediniere, il Lampo,
partono da Palermo alle due di notte, insieme alla Clio, per scortare in Tunisia un convoglio formato dalle moderne
motonavi Calino, Mario Roselli ed Alfredo Oriani.
Durante la navigazione,
il convogli si divide: Gioberti, Geniere e Roselli dirigono per Biserta, dove giungono alle 17.25, mentre
le altre navi fanno rotta per Tunisi, ove arrivano alle 18.30.
(Riportato nella
cronologia USMM, sembra incoerente con la missione citata più sopra, anch’essa
contenuta nella medesima cronologia).
22 dicembre 1942
Il Geniere (caposcorta) parte da Napoli
alle 15.30, insieme al Camicia Nera
ed alla torpediniera di scorta Ardito,
per scortare a Biserta la motonave Caterina
Costa.
23 dicembre 1942
Il Geniere lascia la scorta della Caterina Costa alle 4.30. Alle 9
sopraggiungerà da Biserta il cacciatorpediniere Bombardiere, che assumerà il ruolo di caposcorta al posto del Geniere; la Caterina Costa giungerà a destinazione alle 17 dello stesso giorno.
Epilogo
Dopo mesi di intensa
attività operativa, il Geniere venne
finalmente avviato ai lavori a Palermo, per un meritato periodo di
manutenzione. Ma destino era che non dovesse mai più tornare in servizio.
Il 1° marzo 1943,
infatti, il Geniere si trovava in
secco nel bacino di carenaggio di Palermo assieme alle motozattere MZ 741 e MZ 743 quando, alle 13.18, ebbe inizio uno degli ormai abituali
bombardamenti aerei Alleati sul capoluogo siciliano.
L’attacco fu portato
in tutto da 36 (per altra fonte 38) bombardieri Boeing B-17 "Flying
Fortress" della 12th Air Force dell’U.S.A.A.F., divisi in due
ondate: la prima consisteva in 16 B-17E del 353rd Bomber Squadron
(301st Bomber Group) decollati dalla base algerina di Ain M’lila (per altra fonte Maison Blanche, Algeri) e
privi di scorta; la seconda era formata da 20 B-17E del 97th Bomber
Group, decollati dalla base di Châteaudun du Rumel (anch’essa in Algeria) e
scortati da 41 caccia bimotori Lockheed P-38 "Lightning" del 27th
e 71st Fighter Squadron (1st Fighter Group).
Nelle due ore e mezza
che seguirono, i bombardieri statunitensi – tenendosi a quote comprese tra i
6500 ed i 6700 metri – sganciarono in tutto 94 tonnellate di bombe,
concentrandosi principalmente sul porto (che era l’obiettivo dell’attacco) e
sulla zona centrale della città, ove si trovava la stazione centrale. Vennero
sganciate anche bombe da 2000 libbre (907 kg).
I primi ad essere
colpiti, alle 14.22, furono i cantieri navali: otto bombe ad alto esplosivo
danneggiarono gravemente gli scali e spostarono anche una piccola nave che era in
costruzione.
Poco dopo, intorno
alle 14.30, cinque bombe "General Purpose" (GP) da 500 libbre (227
kg), sganciate dai bombardieri della prima ondata, caddero sulla “platea” del
bacino con effetti devastanti: le esplosioni distrussero la porta del bacino ed
aprirono diverse falle nella carena del Geniere;
distrutta la porta, l’acqua del porto si riversò immediatamente nel bacino,
riempiendolo e trascinando il cacciatorpediniere verso l’uscita. Al contempo,
l’acqua entrò nelle numerose falle aperte dalle bombe nell’opera viva del Geniere, allagandolo e facendolo
sbandare. Dopo circa un’ora, il Geniere
si abbatté sul lato di dritta (con uno sbandamento di circa 70°) ed affondò
all’interno del bacino di carenaggio, travolgendo e schiacciando sotto di sé la
MZ 741. Rimasero emergenti parte
delle sovrastrutture e della murata di sinistra ("Navi militari perdute"
dell’U.S.M.M. indica però le 14.30 come l’ora dell’affondamento, anziché
dell’impatto delle bombe, mentre le bombe sarebbero cadute sul bacino e sulla nave
alle 13.30). Affondò nel bacino, capovolgendosi, anche la MZ 743.
Il bombardamento
continuò: verso le 15 venne incendiato il piroscafo Giacomo Costa ed affondato il rimorchiatore militare Porto Adriano; alle 15.45 fu incendiata
la cisterna militare Marte ed
affondato il piccolo piroscafo Lampedusa.
Vennero affondati anche il piccolo dragamine ausiliario B 192 San Carlo (una goletta da pesca requisita), la motosilurante
tedesca S 56 ed il pontone "Siebel"
tedesco SF 54, mentre subirono danni
il motoveliero Libia, il
rimorchiatore requisito Sicilia, i piroscafi italiani Modena e Schiaffino ed il
piroscafo tedesco Charlotte.
Tra la popolazione
palermitana vi furono 10 vittime e 96 feriti, relativamente poche se
confrontati ad altri bombardamenti dello stesso periodo, che in pochi mesi
provocarono più di mille morti tra gli abitanti della città. Sette caccia
Macchi Mc 202 della 372a e 377a Squadriglia della Regia
Aeronautica decollarono per intercettare i bombardieri statunitensi; da parte
italiana si rivendicò l’abbattimento di tre B-17 (due certi, più uno probabile),
mentre da parte statunitense i P-38 ritennero di aver abbattuto un caccia
(identificato come un Macchi Mc 200) ed i mitraglieri dei B-17 rivendicarono
l’abbattimento di tre aerei italiani (due “certi” ed uno probabile) ed il
danneggiamento di altri tre (in realtà, le perdite tra i Macchi ammontarono ad
un aereo abbatuto e due danneggiati).
L’incursione ebbe
finalmente termine alle 15.45.
Persero la vita nel
bombardamento tre uomini del Geniere,
tra cui il secondo capo meccanico Salvatore Solimene, di 25 anni, da
Castellammare di Stabia.
Il relitto del Geniere poco dopo il suo affondamento, il 1° marzo 1943. In secondo piano il relitto capovolto della MZ 743 (g.c. STORIA militare) |
Il
relitto del Geniere fotografato poco
dopo l’occupazione di Palermo da parte delle forze statunitensi, tra il 23 ed
il 26 luglio 1943 (sopra: Imperial War Museum; sotto: g.c. STORIA militare). Non è più presente il relitto della MZ 743, frattanto recuperata e trasferita a Castellammare di Stabia per le riparazioni.
Il relitto del Geniere vigilato da un militare statunitense (da www.regiamarinaitaliana.forumgratis.org) |
Un’altra immagine del relitto del Geniere durante l’occupazione statunitense di Palermo (da ninobadalamenti.wordpress.com) |
Il relitto del Geniere rimase nel bacino di carenaggio
a Palermo, impedendone l’utilizzo, fino all’aprile 1944; in quel mese, durante
la co-belligeranza tra l’Italia e gli Alleati, il cacciatorpediniere venne
recuperato, rimesso in condizioni di galleggiare e rimorchiato a Taranto, dove
avrebbe dovuto essere demolito.
A Taranto, però, non
ci arrivò mai. Certi marinai dicono che le navi hanno un’anima: quella del Geniere, evidentemente, dopo aver
prestato onorato e intenso servizio per tre anni di guerra in innumerevoli
missioni nel Mediteraneo, non era intenzionata a finire la sua esistenza sotto
la fiamma ossidrica di un demolitore.
Al largo della costa
calabrese, forse per le avverse condizioni del mare (mare formato) o per
insufficienza delle riparazioni effettuate a Palermo prima del viaggio, le vie
d’acqua tamponate dopo il recupero si riaprirono, ed il cacciatorpediniere
ruppe il rimorchio ed iniziò ad affondare. Non ci fu nulla da fare: in breve
tempo il Geniere colò a picco qualche
miglio a levante di Capo Spulico, dove si trova tutt’ora.
Il relitto del Geniere, meta di subacquei, giace oggi su
un fondale fangoso a 37 metri di profondità (le strutture più elevate arrivano
fino a 27-29 metri dalla superficie). Il relitto, che appare integro, è
adagiato sul fianco di dritta, con la prua rivolta verso sud; risulta ancora
ben evidente la Stella d’Italia sul tagliamare. Il lato di dritta è semisepolto
nel fanco, mentre quello di sinistra è ricoperto da spugne gialle, ostriche e
bivalvi; una rete a strascico è impigliata nella poppa, dove si notano i resti
di quello che forse era uno scaricabombe per bombe di profondità. Le strutture
della plancia sono ancora riconoscibili, mentre non ci sono più i complessi
binati da 120 mm, probabilmente asportati ancor prima della partenza da Taranto
per Palermo; il fumaiolo giace coricato sulla sabbia.
Il Geniere nel 1941 (da Elio Andò, Erminio Bagnasco, “Marina Italiana. Le operazioni nel Mediterraneo. Giugno 1940 – Giugno 1942”, Intergest, Milano 1976, via it.wikipedia.org) |
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