mercoledì 6 giugno 2018

Geniere

Il Geniere (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net)

Cacciatorpediniere della prima serie della classe Soldati (dislocamento standard 1850 tonnellate, in carico normale 2140 tonnellate, a pieno carico 2460 tonnellate).

Breve e parziale cronologia.

26 agosto 1937
Impostazione nei cantieri Odero Terni Orlando di Livorno.
Inizialmente gli viene assegnato il nome di Pontiere, che viene però cambiato in Geniere già prima del varo.
27 febbraio 1938
Varo nei cantieri Odero Terni Orlando di Livorno.

Lo scafo del Geniere nei cantieri OTO di Livorno nel marzo 1938, poco tempo dopo il varo (Archivio Storico Cantiere Azimut-Benetti di Livorno, via www.associazione-venus.it)
Il Geniere in allestimento nel giugno 1938 (Archivio Storico Cantiere Azimut-Benetti di Livorno, via www.associazione-venus.it)

Il Geniere in allestimento nei cantieri OTO nell’ottobre 1938 (Archivio Storico Cantiere Azimut-Benetti di Livorno, via www.associazione-venus.it)

15 dicembre 1938
Entrata in servizio.

Il Geniere il giorno dell’entrata in servizio, il 15 dicembre 1938 (Archivio Storico Cantiere Azimut-Benetti di Livorno, via www.associazione-venus.it)

Giugno 1939
Il Geniere e gli undici gemelli ricevono, a Livorno, le rispettive bandiere di combattimento, offerte dalle Associazioni d’Arma delle diverse Armi di cui i vari cacciatorpediniere portano il nome.
Il Geniere va poi a formare la XI Squadriglia Cacciatorpediniere insieme ai gemelli Aviere, Artigliere e Camicia Nera. Tale Squadriglia viene assegnata alla scorta della III Divisione Navale (incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano).
Nello stesso anno Geniere, Aviere, Artigliere e Camicia Nera, insieme agli incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano, visitano Rapallo al comando dell’ammiraglio Wladimiro Pini.
10 giugno 1940
L’Italia entra nella seconda guerra mondiale. Il Geniere (capitano di fregata Marco Notarbartolo) fa parte della XI Squadriglia Cacciatorpediniere, che forma insieme ai gemelli AviereArtigliere (caposquadriglia) e Camicia Nera.
10-11 giugno 1940
Il Geniere salpa da Messina alle 19.10 del 10 giugno unitamente alle altre unità della XI Squadriglia (AviereArtigliere e Camicia Nera), all’incrociatore pesante Pola ed alla III Divisione Navale (incrociatori pesanti Trento e Bolzano) per fornire copertura alla X Squadriglia Cacciatorpediniere (MaestraleGrecaleLibeccioScirocco), inviata ad effettuare una ricognizione notturna tra Marettimo e Capo Bon.
La mattina dell’11 giugno, il gruppo che comprende il Geniere si unisce ad un altro gruppo partito da Napoli e composto dalla VII Divisione Navale (incrociatori leggeri Muzio Attendolo ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta) e dalla XII Squadriglia Cacciatorpediniere (AscariLanciereCarabiniereCorazziere). Le navi procedono poi fino a nord di Favignana, a protezione della X Squadriglia (e, sempre secondo il relativo volume dell'USMM, anche del gruppo «Da Barbiano» che rientrava alla base dopo aver posato il campo minato «L. K.»: ma in realtà tale gruppo era tornato ad Augusta già nel pomeriggio del 10 giugno, per poi trasferirsi a Taranto nella notte dell'11).
Tutte le navi rientrano alle basi entro la sera dell’11 giugno.
12 giugno 1940
Alle 00.20 il Geniere, insieme al resto della XI Squadriglia Cacciatorpediniere (Aviere, Artigliere, Camicia Nera), alla XII Squadriglia Cacciatorpediniere (LanciereCorazziereAscariCarabiniere), all’incrociatore pesante Pola ed alla III Divisione Navale (incrociatori pesanti Trento e Bolzano), salpa da Messina per intercettare due incrociatori britannici (il Caledon ed il Calypso) avvistati da dei ricognitori a sud di Creta, diretti verso ovest (gran parte della Mediterranean Fleet, al pari di una squadra navale francese, è infatti uscita in mare a caccia, infruttuosa, di naviglio italiano). (Per altra fonte le navi sarebbero uscite in mare per dare la caccia ad un convoglio britannico, segnalato da un ricognitore al largo di Creta ed avente rotta ovest; segnalazione che si rivela poi errata). Al contempo salpano da Taranto, per fornire loro appoggio, la I (incrociatori pesanti ZaraFiume e Gorizia) e VIII Divisione Navale (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) e la IX (Vittorio AlfieriAlfredo OrianiVincenzo GiobertiGiosuè Carducci) e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere (Nicoloso Da ReccoEmanuele PessagnoAntoniotto Usodimare).
Alle 9, dato che nuovi voli di ricognizione non sono più riusciti a trovare le navi nemiche, tutte le unità italiane ricevono ordine di tornare in porto.
A mezzogiorno il sommergibile britannico Orpheus (capitano di corvetta James Anthony Surtees Wise), in agguato 70 miglia a nordest di Malta, avvista il Pola, la III Divisione e le Squadriglie Cacciatorpediniere XI e XII (meno il Geniere, che è dovuto rientrare in porto da qualche ora), in navigazione con rotta nord/nordovest. Forse perché troppo lontano, il sommergibile non attacca.
19 giugno 1940
Il Geniere, insieme al resto della XI Squadriglia (AviereArtigliereCamicia Nera), salpa da Napoli alle 20.30 diretto a Bengasi, per una missione di trasporto. A bordo dei quattro cacciatorpediniere sono stati caricati 36 cannoni anticarro da 47 mm, 20 mitragliere da 20 mm, le relative munizioni e 300 tra ufficiali ed artiglieri del Regio Esercito, addetti a tali armi.
Si tratta di uno dei primissimi carichi di rifornimenti inviati in Libia (il secondo in ordine cronologico), a seguito di richiesta urgente da parte dell’Esercito.
21 giugno 1940
La XI Squadriglia giunge a Bengasi alle 14, sbarcandovi il proprio carico.
7 luglio 1940
La XI Squadriglia (Geniere, Aviere, Artigliere, Camicia Nera), al comando del capitano di vascello Carlo Margottini dell’Artigliere, salpa da Messina alle 15.45 insieme alla III Divisione Navale (Trento e Bolzano), mentre da Augusta e Palermo prendono il mare l’incrociatore pesante Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Riccardo Paladini, comandante la 2a Squadra), le Divisioni I (incrociatori pesanti Zara, Fiume, Gorizia) e VII (incrociatori leggeri Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, Muzio Attendolo, Raimondo Montecuccoli) e le Squadriglie Cacciatorpediniere IX (Vittorio Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci), XII (Carabiniere, Lanciere, Ascari, Corazziere) e XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino), che – insieme alle unità salpate da Messina – compongono la 2a Squadra Navale. Una volta in mare aperto, tutte le navi appartenenti alla 2a Squadra Navale si riuniscono in un’unica formazione (eccetto la VII Divisione e la XIII Squadriglia).
Loro compito è scortare a distanza un convoglio salpato da Napoli alle 19.45 del 6 e diretto a Bengasi con un carico di 232 veicoli, 10.445 tonnellate di materiali vari e 5720 tonnellate di carburante, oltre a 2190 uomini; lo formano le motonavi da carico Marco FoscariniFrancesco Barbaro (salpata da Catania alle 12 del 7) e Vettor Pisani e le motonavi passeggeri Esperia e Calitea, con la scorta diretta dei due incrociatori leggeri della II Divisione (Giovanni delle Bande Nere e Bartolomeo Colleoni), dei quattro cacciatorpediniere della X Squadriglia (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), delle quattro torpediniere della IV Squadriglia (Procione, Orsa, Orione, Pegaso) e delle vecchie torpediniere Rosolino Pilo e Giuseppe Missori
La XI Squadriglia Cacciatorpediniere è assegnata alla scorta della III Divisione.
La 1a Squadra Navale (V Divisione con le corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour, IV e VIII Divisione con sei incrociatori leggeri, VII, VIII, XV e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere con 13 unità) esce anch’essa in mare a sostegno dell’operazione. Comandante superiore in mare è l’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, con bandiera sulla Cesare.
Le unità della 1a e della 2a Squadra salpano tra le 12.30 e le 18 del 7 luglio da Augusta (Pola, I e II Divisione), Messina (III Divisione), Palermo (VII Divisione) e Taranto (IV, V e VIII Divisione).
La 2a Squadra si pone 35 miglia ad est del convoglio, tranne la VII Divisione con la XIII Squadriglia, che viene invece posizionata 45 miglia ad ovest.
8 luglio 1940
L’operazione va a buon fine (il convoglio raggiunge Bengasi tra le 18 e le 22 dell’8), ed alle 14.30 le navi delle due squadra navali iniziano la navigazione di rientro.
Ma alle 15.20, a seguito dell’avvistamento di una formazione britannica – anche la Mediterranean Fleet, infatti, è in mare a protezione di convogli – la 1a e la 2a Squadra Navale dirigono per intercettare le navi nemiche (che si teme dirette a bombardare Bengasi), con l’intento di impegnarle in combattimento almeno un’ora prima del tramonto. La flotta britannica in mare, al comando dell’ammiraglio Andrew Browne Cunningham, consiste in tre corazzate (Warspite, Malaya e Royal Sovereign), una portaerei (la Eagle), cinque incrociatori leggeri (Orion, Neptune, Sydney, Liverpool, Gloucester) e 16 cacciatorpediniere (Nubian, Mohawk, Decoy, Hasty, Hero, Hereward, Stuart, Decoy, Hostile, Hyperion, Ilex, Dainty, Defender, Janus, Juno, Vampire e Voyager).
Alle 19.20, però, in seguito ad ordini di Supermarina (il comando della Regia Marina, che, a differenza dell’ammiraglio Campioni ha avuto modo di apprendere, tramite la crittografia, la reale consistenza e finalità dei movimenti britannici) la flotta italiana accosta per 330° per rientrare alle basi, con l’ordine di non impegnare il nemico. Durante l’accostata le navi vengono attaccate da alcuni velivoli con una dozzina di bombe, rispondendo con intenso tiro contraereo. Le bombe cadono vicine agli incrociatori, ma non causano danni.
9 luglio 1940
Per ordine dell’ammiraglio Paladini, la III Divisione prosegue verso nord dalle 00.45 del 9 sulla dritta di Pola e I Divisione (ammiraglio di divisione Pellegrino Matteucci, sullo Zara), sia per evitare d’incrociarsi con la VII Divisione che è in arrivo da sinistra (perché è in rotta verso lo stretto di Messina), sia per non passare in una zona nella quale Supermarina, alle 22.10, ha indicato trovarsi due sommergibili nemici.
La navigazione notturna di rientro si svolge senza grossi inconvenienti, salvo due fallimentari attacchi siluranti contro la III Divisione; la 2a Squadra (eccetto la VII Divisione, che è ancora separata da essa) accosta verso nord all’1.23.
Già dalle 22 dell’8, però, sono arrivati nuovi ordini: Supermarina teme che la Mediterranean Fleet intenda lanciare un attacco aeronavale contro le coste italiane, perciò ordina alle forze in mare di riunirsi nel punto 37°40’ N e 17°20’ E, 65 miglia a sudest di Punta Stilo, entro le 14 del 9 luglio.
Verso le quattro del mattino del 9 luglio la III Divisione passa ad est del gruppo «Cesare»; l’ammiraglio Campioni, che Paladini – assumendo che questi avesse intercettato l’ordine, inviato a mezzo radiosegnalatore – non ha informato dell’ordine alla III Divisione di proseguire verso nord (il che differisce da quanto ordinato in precedenza da Campioni), quando alle 4.30 la XV Squadriglia Cacciatorpediniere segnala grosse ombre su tale lato (che è quello da cui si prevede che possa provenire il nemico), ritiene che si tratti di unità nemiche. Vengono così inviate ad attaccarle, in rapida successione, la XV e la VIII Squadriglia Cacciatorpediniere. In realtà si tratta appunto del Bolzano e del Trento, che si trovano dove – secondo le originarie disposizioni di Campioni – non dovrebbero essere: per fortuna, i due siluri lanciati dalla XV Squadriglia mancano il bersaglio, mentre l’VIII Squadriglia riconosce la sagoma delle navi “nemiche” per quella di due incrociatori tipo “Trento”, permettendo di interrompere l’attacco e chiarire l’equivoco.
Alle 6.40 la III Divisione si ricongiunge con Pola e I Divisione, ed alle 8 viene avvistato un idroricognitore Short Sunderland che pedina la flotta italiana, tenendosi al di fuori della portata delle artiglierie contraeree (la caccia italiana, chiamata ad intervenire, non verrà però inviata ad attaccarlo).
Verso le 13, dopo una mattinata di infruttuosi voli di ricognizione, un velivolo italiano avvista la Mediterranean Fleet 80 miglia a nordest della V Divisione, ossia molto più a nord di quanto previsto, ed in posizione adatta ad interporsi tra la flotta italiana e la base di Taranto: l’ammiraglio Campioni inverte allora la rotta, ed ordina a Paladini, che si trova più a sud e sta dirigendo per ovest-sud-ovest, di fare altrettanto, accostando ad un tempo per riunire più rapidamente le due Squadre.
Verso le 13 la 1a e 2a Squadra, ormai riunite, si dispongono su quattro colonne, distanziate di cinque miglia l’una dall’altra: la XI Squadriglia Cacciatorpediniere, insieme alla XII Squadriglia, al Pola ed alla I e III Divisione incrociatori, va a formare la colonna destra dello schieramento italiano, posta ad ovest della V Divisione costituita dalle corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour (la prima colonna è costituita dalla VII Divisione, la terza dalla V Divisione – rispetto alla quale la colonna con la III Divisione si trova tre miglia ad ovest, cioè sulla dritta – e la quarta dalle Divisioni IV e VIII). A causa della manovra d’inversione di rotta, il Bolzano si viene a trovare in testa al gruppo degli incrociatori pesanti, mentre il Pola, nave ammiraglia di Paladini, finisce in coda.
Tra le 13.15 e le 13.26, 45 miglia ad est-sud-est di Capo Spartivento, il gruppo «Pola» (di cui la XI Squadriglia fa parte), mentre si trova a poppa dritta della Cesare e con rotta 183° – è in corso la manovra per assumere la propria posizione nella formazione ordinata da Campioni –, viene attaccato da nove aerosiluranti Fairey Swordfish.
Gli aerei britannici, decollati dalla Eagle alle 11.45 con l’obiettivo di attaccare le corazzate italiane, che però non hanno trovato, provegono da ovest (cioè da sinistra); si avvicinano con decisione da poppavia agli incrociatori (approfittando del fatto che i cacciatorpediniere sono invece a proravia degli stessi), scendono in picchiata fino a 20-30 metri e sganciano i loro siluri da circa mille metri di distanza. Gli incrociatori si diradano, compiono rapide manovre evasive ed aprono subito un violento fuoco contraereo, evitando tutti i siluri (due diretti contro il Bolzano, altrettanti contro il Trento ed uno contro lo Zara). Gli aerei si allontanano, tre di essi danneggiati dal tiro delle navi italiane.
Alle 14.05 ha inizio l’avvicinamento alla flotta britannica: alle 15.15 gli incrociatori aprirono il fuoco, seguiti alle 15.23 anche dalle corazzate, che al contempo, insieme al gruppo «Pola», accostano a un tempo di 60° a dritta e così si spostano ad est/nordest insieme agli incrociatori pesanti per supportare gli incrociatori leggeri, i primi ad essere impegnati in combattimento. Entro le 15.40 i sei incrociatori pesanti della 2a Squadra si sono portati 6860 metri a proravia della corazzata Cesare, nave ammiraglia di Campioni.
Incrociatori e corazzate cessano poi il fuoco rispettivamente alle 15.31 ed alle 15.35, per poi riprenderlo dalle 15.48 alle 16.04 (corazzate) e dalle 15.56 alle 16.15 (incrociatori). Alle 15.53 l’ammiraglio Campioni ordina al gruppo «Pola» di serrare le distanze e dispiegarsi sulla linea di rilevamento 040°, per avvicinare gli incrociatori alle corazzate nemiche abbastanza da poter usare i cannoni da 203: l’idea è di cercare di “bilanciare” la disparità di calibro tra i cannoni delle corazzate italiane (320 mm) e quelle britanniche (381 mm) facendo sparare anche gli incrociatori pesanti sulle corazzate nemiche. Tuttavia queste ultime rimangono sempre al limite della gittata dei cannoni degli incrociatori pesanti italiani, dei quali soltanto il Trento spara tre salve contro di esse.
Nella seconda fase, la 2a Squadra manovra per avvicinarsi alle unità avversarie, e tra le 15.50 e le 16 i suoi incrociatori pesanti, su ordine dell’ammiraglio Paladini, aprono il fuoco da 20.000-25.000 metri contro gli incrociatori leggeri britannici del viceammiraglio John Tovey (OrionNeptuneSydneyLiverpool e Gloucester), che rispondono al fuoco con granata perforante e tiro raccolto ma poco efficace.
Alle 15.59, però, la Cesare, la nave ammiraglia, viene danneggiata da un proiettile da 381 mm, dovendo ridurre la velocità. A seguito di questo evento l’ammiraglio Inigo Campioni, comandante superiore in mare delle forze italiane, decide di rompere il contatto per rientrare alle basi, ed alle 16.05 dirama l’ordine generale per le squadriglie di cacciatorpediniere di attaccare con il siluro le navi della Mediterranean Fleet, in modo da facilitare lo sganciamento delle navi maggiori.
La XI Squadriglia va all’attacco alle 16.07, all’ordine del Comando della 2a Squadra; i quattro cacciatorpediniere attraversano la formazione della I Divisione passando con rotta 105° tra Fiume e Gorizia, poi (alle 16.15), subito dopo aver superato la linea degli incrociatori, avvistano le navi nemiche dritte di prua ed accostano di circa 90° a sinistra, assumendo una rotta convergente con la testa della formazione britannica. Il caposquadriglia Artigliere inizia subito a stendere una cortina nebbiogena, sia per occultare gli altri cacciatorpediniere che per coprire il ripiegamento delle navi maggiori (la nebbia artificiale va però ad ostacolare l’attacco della XII Squadriglia, che è in posizione poco più arretrata). Durante l’avvicinamento per l’attacco, la XI Squadriglia è continuamente sotto intenso fuoco nemico, ma nessuna nave è colpita; giunto a 13.800 metri dalla nave scelta come bersaglio per il proprio attacco, ritenuta essere una corazzata, l’Artigliere apre il fuco contro di essa. Alle 16.20 Geniere, AviereCamicia Nera escono dalla cortina fumogena, che li ha nascosti fino a quel momento, e lanciano in tutto dieci siluri, sette contro una corazzata e tre contro un incrociatore, da una distanza di 11.000 metri. Dopo il lancio le unità accostano a sinistra per disimpegnarsi, emettendo cortine fumogene, inseguite dal tiro britannico.
Nessun siluro va a segno; mentre si allontanano, i cacciatorpediniere della squadriglia, pur continuando ad emettere nebbia artificiale per occultarsi, vedono salve nemiche cadere nelle loro vicinanze, fino circa alle 16.30.
Tra le 16.19 e le 16.30 tre squadriglie di cacciatorpediniere britannici (2th, 10th e 14th Flotilla) aprono il fuoco contro quelli italiani da 11.250-12.500 metri, appoggiati tra le 16.39 e le 16.41 dal tiro dei pezzi secondari da 152 mm delle corazzate Warspite e Malaya. Alle 16.49 la “mischia” tra cacciatorpediniere, svoltasi a grande distanza, ha termine senza che nessuna unità sia stata colpita.
Alle 16.53 il Geniere viene attaccato da un aereo che vola a circa 50 metri di quota e reagisce con le mitragliere di sinistra, ritenendo di aver abbattuto l’assalitore.
Terminata la battaglia, la flotta italiana si avvia alle proprie basi con direttrice di marcia 230°, passando a sud della Calabria; ma durante il rientro, tra le 16.20 e le 19.30, diviene oggetto anche dell'attacco da parte degli stessi bombardieri della Regia Aeronautica (una cinquantina, su circa 126 inviati in totale ad attaccare le forze britanniche), che le attaccano e bombardano pesantemente per errore di identificazione e malintesi (tra il comando delle due Squadre Navali e quello della II Squadra Aerea, cui appartengono i bombardieri) circa la posizione della flotta italiana e di quella britannica. Le insensate disposizioni vigenti in materia di comunicazioni tra Marina ed Aeronautica, che non contemplano la possibilità di comunicazioni dirette tra navi e aerei, impediranno alle prime di segnalare ai secondi l'errore; le stesse navi, non potendo distinguere la nazionalità degli aerei attaccanti, apriranno un intenso fuoco con proprie armi contraeree, rafforzando nei piloti l'impressione di stare attaccando navi nemiche. Alcune delle navi ed alcuni degli aerei, rispettivamente, cesseranno il fuoco e rinunceranno all'attacco riconoscendo all'ultimo momento la vera nazionalità del "nemico", ma alla fine gli attacchi ai danni delle navi italiane eguaglieranno, in intensità, quelli condotti contemporaneamente contro la vera Mediterranean Fleet. Nessuna nave italiana sarà, fortunatamente, colpita, mentre un bombardiere Savoia Marchetti S. 79 della 257a Squadriglia (XXXVI Stormo da Bombardamento Terrestre) finirà abbattuto dal "fuoco amico" delle navi. L’ammiraglio Campioni, per tentare di chiarire equivoco, ordina di stendere bandiere italiane sul cielo delle torri e di emettere fumo rosso dai fumaioli poppieri, pratica convenzionale, nelle esercitazioni in tempo di pace, per segnalare il gruppo “amico”.
L'incidente sarà poi fonte di aspre polemiche tra Marina e Aeronautica, ma per lo meno servirà a dare l'impulso ad un migliore sviluppo della collaborazione aeronavale, che però raggiungerà risultati soddisfacenti solo nel 1942.
L’aliquota più consistente delle unità italiane, compreso il Geniere, dirige su Augusta: nel pomeriggio del 9 luglio, oltre ad esso ed al resto della XI Squadriglia, fanno il loro ingresso nella base siciliana la corazzata Conte di Cavour, gli incrociatori pesanti PolaZaraFiume e Gorizia, gli incrociatori leggeri Alberico Da BarbianoAlberto Di GiussanoLuigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi ed i 32 cacciatorpediniere delle Squadriglie VII, VIII, IX, XIV, XV e XVI. Poco dopo mezzanotte, però, a seguito dell’intercettazione e decifrazione di messaggi radio britannici che fanno presagire un imminente attacco di aerosiluranti contro il naviglio ormeggiato ad Augusta, Supermarina ordina a tutte le navi di lasciare la base: dopo essersi frettolosamente rifornite, le unità ripartono per le basi di assegnazione (Napoli e Taranto). I cacciatorpediniere della XI Squadriglia, insieme agli incrociatori leggeri Da Barbiano e Di Giussano, partono alle 19.05 del 10 luglio, alla volta di Taranto.
12 luglio 1940
In serata il Geniere, l’Aviere ed i cacciatorpediniere PigafettaMalocello e Zeno lasciano Messina scortando il Bolzano e la Cesare, uniche navi maggiori italiane danneggiate nella battaglia di Punta Stilo, in corso di trasferimento a La Spezia per i lavori di riparazione. Durante il giorno la formazione è scortata anche da aerei antisom della Regia Aeronautica. Le navi attraversano il Tirreno a 22-24 nodi fin quasi all’altezza delle Bocche di Bonifacio, indi costeggiano la Corsica fino a Capo Corso, per poi puntare su La Spezia.
13 luglio 1940
Preceduti da Aviere e Geniere che fanno dragaggio protettivo, Bolzano e Cesare passano tra l’Isola del Tino e Palmaria, e si ormeggiano in rada a La Spezia in tarda serata.
31 agosto-2 settembre 1940
Il 31 settembre la XI Squadriglia Cacciatorpediniere (GeniereAviereArtigliereCamicia Nera) salpa da Messina insieme ad altri cacciatorpediniere ed alla III Divisione Navale (incrociatori pesanti TrentoTrieste e Bolzano), per partecipare alle operazioni di contrasto all’operazione britannica «Hats», consistente in varie sotto-operazioni: trasferimento da Gibilterra ad Alessandria, per rinforzare la Mediterranean Fleet, della corazzata Valiant, della portaerei Illustrious e degli incrociatori Calcutta e Coventry; invio di un convoglio da Alessandria a Malta e di uno da Nauplia a Porto Said; bombardamenti su basi italiane in Sardegna e nell’Egeo. Supermarina ha infatti saputo che sia la Mediterranean Fleet (da Alessandria) che la Forza H (da Gibilterra) sono uscite in mare, e si è accordata con la Regia Aeronautica per attaccare la prima con le forze navali di superficie ed attacchi aerei e la seconda con aerei e sommergibili.
Complessivamente, all’alba del 31, prendono il mare da Taranto, Brindisi e Messina 4 corazzate della V (CesareDuilio e Cavour) e IX (Littorio e Vittorio Veneto) Divisione, 13 incrociatori della I (PolaZaraFiumeGorizia), III, VII (Eugenio di SavoiaDuca d’AostaMontecuccoli ed Attendolo) e VIII (Duca degli Abruzzi e Garibaldi) Divisione e 39 cacciatorpediniere. La III Divisione si riunisce al grosso della squadra italiana, partita da Brindisi e da Taranto, verso le 13 del 1° settembre.
Le due Squadre Navali italiane (la 1a Squadra è composta dalle Divisioni V, VII, VIII e IX e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere VII, VIII, X, XIII, XV e XVI; la 2a Squadra dal Pola, dalle Divisioni I e III e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XI e XII), riunite, dirigono per lo Ionio orientale con rotta 150°. Le forze navali sono però uscite in mare troppo tardi, hanno l’ordine di evitare uno scontro notturno ed hanno una velocità troppo bassa (20 nodi), ed hanno l’ordine di cambiare rotta e raggiungere il centro del Golfo di Taranto se non riusciranno ad entrare in contatto con il grosso nemico entro il tramonto. Tutto ciò impedisce alle forze italiane di intercettare quelle britanniche; alle 16 Supermarina ordina un cambiamento di rotta, che impedisce alla 2a Squadra, che si trova in posizione più avanzata della I, di proseguire verso le forze nemiche (l’ammiraglio Iachino, comandante la 2a Squadra, ha chiesto ed ottenuto alle 16.30 libertà di manovra per dirigere contro le forze britanniche, segnalate alle 15.35 a 120 miglia di distanza, ma alle 16.50 tale autorizzazione viene annullata; comunque la 2a Squadra non sarebbe egualmente riuscita a raggiungere le unità avversarie). Alle 17.27 la 2a Squadra riceve l’ordine d’invertire la rotta ed assumere rotta 335° e velocità 20 nodi, come la 1a Squadra.
Alle 22.30 del 31 la formazione italiana, che procede a 20 nodi, riceve l’ordine di impegnare le forze nemiche lungo la rotta 155°, a nord della congiungente Malta-Zante, dunque deve cambiare la propria rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere contatto con esse), dirigendo più verso sudovest (verso Malta) e superando la congiungente Malta-Zante. Il mattino del 1° settembre, tuttavia, il vento, già in aumento dalla sera precedente, dà origine ad una violenta burrasca da nordovest forza 9; le forze italiane si allontanano nuovamente dal Golfo di Taranto per cercare di nuovo quelle avversarie lungo la rotta 155° ma con l’ordine di non oltrepassare la congiungente Malta-Zante, il che tuttavia le tiene lontane dalle rotte possibili da Alessandria a Malta. Verso le 13 la burrasca costringe la flotta italiana a tornare alle basi, perché i cacciatorpediniere non sono in grado di tenere il mare compatibilmente con le necessità operative (non potendo restare in formazione né usare l’armamento). Poco dopo la mezzanotte del 1° settembre le unità italiane entrano nelle rispettive basi; tutti i cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle sovrastrutture) dal mare mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare. Le navi verranno tenute pronte a muovere sino al pomeriggio del 3 settembre, ma non si concretizzerà alcuna nuova occasione.

Il Geniere in navigazione (dal Bollettino d’Archivio dell’U.S.M.M.)

7 settembre 1940
Il Geniere lascia Taranto alle 16, insieme al cacciatorpediniere Vittorio Alfieri della IX Squadriglia, alla XII Squadriglia Cacciatorpediniere (AscariCarabiniere e Corazziere ), all’incrociatore pesante Pola ed alla I (incrociatori pesanti Zara e Gorizia) e III Divisione Navale (incrociatori pesanti TrentoTrieste e Bolzano), cioè alla 2a Squadra Navale, nonché alla 1a Squadra con la IX Divisione Navale (corazzate Littorio e Vittorio Veneto) e le Squadriglie Cacciatorpediniere VII (FrecciaDardoSaetta), VIII (Folgore, Fulmine, Baleno), X (MaestraleGrecaleLibeccioScirocco) e XIII (GranatiereBersagliereFuciliereAlpino).
La flotta italiana, che procede a 24 nodi, è diretta a sud della Sardegna (in modo da trovarsi 50 miglia a sud di Cagliari entro le 16 del giorno seguente), per intercettare la Forza H britannica che si presume diretta verso Malta; in realtà tale formazione, salpata da Gibilterra alle 6, ha soltanto simulato un’incursione in Mediterraneo, per coprire il vero obiettivo per della propria uscita in mare: dirigersi in Atlantico e raggiungere Freetown, per poi attaccare le forze francesi a Dakar. Qualora non sia possibile ottenere il contatto con il nemico, gli ordini prevedono di dirigere per il Basso Tirreno a levante della congiungente Capo Carbonara-Marettimo, poi raggiungere il meridiano 8° Est per le ore 7 del 9 settembre.
8 settembre 1940
Le due squadre navali attraversano lo stretto di Messina nella notte tra il 7 e l’8 e raggiungono il punto prestabilito a sud della Sardegna alle 16 dell’8 settembre; però, dato che la ricognizione non ha avvistato alcuna nave nemica (visto che la Forza H, dopo la “finta”, si è diretta in Atlantico), la formazione italiana inverte la rotta e, per ordine di Supermarina, raggiunge le basi del Tirreno meridionale (Napoli per la 1a Squadra, Palermo e Messina per la I e III Divisione rispettivamente).
9 settembre 1940
La III Divisione giunge a Messina dopo essersi appoggiata a Napoli.
Le navi si riforniscono di carburante e rimangono pronte  a muovere, ma non ci sono novità sul nemico.
29 settembre-2 ottobre 1940
La XI Squadriglia (GeniereAviereArtigliereCamicia Nera), insieme agli incrociatori pesanti della III Divisione (TrentoTriesteBolzano), esce da Messina alle 20.28 del 29 settembre, mentre prendono il mare da Taranto il Pola, le divisioni I (incrociatori pesanti ZaraFiume e Gorizia), V (corazzate Giulio CesareDuilio e Conte di Cavour), VII (incrociatori leggeri Eugenio di Savoia ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta), VIII (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) e IX (corazzate Littorio e Vittorio Veneto) e 19 cacciatorpediniere (il Pola con la I Divisione e 4 cacciatorpediniere alle 18.05 e le altre unità alle 19.30), per contrastare un’operazione britannica in corso, la «MB. 5» (invio a Malta degli incrociatori Liverpool e Gloucester con 1200 uomini e rifornimenti, invio da Porto Said al Pireo del convoglio «AN. 4», il tutto con l’uscita in mare delle corazzate Valiant e Warspite, della portaerei Illustrious, degli incrociatori YorkOrion e Sydney e di undici cacciatorpediniere a copertura dell’operazione). La III Divisione si riunisce alle navi partite da Taranto alle 7.30 del 30 settembre. In mancanza di elementi sufficienti ad apprezzare la composizione ed i movimenti della Mediterranean Fleet ed in considerazione dello svilupparsi di una burrasca da scirocco (che avrebbe reso impossibile una navigazione ad alta velocità verso sud da parte dei cacciatorpediniere) Supermarina decide di rinunciare a contrastare l’operazione ed ordina alle unità in mare di invertire la rotta alle 6.25 del 30 ed incrociare dapprima tra i paralleli 37° e 38°, poi (dalle 10.30) 38° e 39° ed alle 14 fare rotta verso sudovest sino a raggiungere il 37° parallelo, poi, alle 17.20, di rientrare alle basi. Navigando nella burrasca, la flotta italiana raggiunge le basi tra l’una e le quattro del mattino del 1° ottobre, vi si rifornisce in fretta e rimane in attesa di un’eventuale nuova uscita per riprendere il contrasto, ma in base alle nuove informazioni ottenute ciò risulterà impossibile, pertanto, alle 14.00 del 2 ottobre, le navi riceveranno l’ordine di spegnere le caldaie.
6 ottobre 1940
Il Geniere salpa da Messina in mattinata insieme al resto della XI Squadriglia Cacciatorpediniere (AviereArtigliereCamicia Nera) ed alla III Divisione Navale (incrociatori pesanti TrentoTrieste e Bolzano), in appoggio all’operazione «C.V.», consistente nell’invio da Taranto a Lero delle due veloci e moderne motonavi Calitea e Sebastiano Venier, cariche di rifornimenti destinati alle isole del Dodecaneso e scortate dalla XII Squadriglia Cacciatorpediniere (AscariLanciereCorazziere e Carabiniere). 
L’operazione (il convoglio è partito la sera del 5, mentre il 6 mattino, oltre al gruppo cui appartiene il Geniere, sono salpate da Taranto anche la I Divisione con gli incrociatori pesanti ZaraFiume e Gorizia, l’incrociatore pesante Pola – nave ammiraglia della 2a Squadra Navale – e la IX Squadriglia Cacciatorpediniere con AlfieriOrianiGioberti e Carducci) viene però interrotta il mattino stesso del 6 ottobre, dopo che la ricognizione aerea dell’Egeo ha segnalato due corazzate, due incrociatori e sette cacciatorpediniere britannici sulla rotta Alessandria-Caso, ossia dove dovrebbero passare le navi dirette nel Dodecaneso. Tutte le unità italiane vengono fatte rientrare alle basi; «C.V.» non si farà più.
11 ottobre 1940
Tra le 20 e le 20.30 il Geniere (capitano di fregata Giovanni Bonetti) salpa da Augusta insieme al resto della squadriglia (AviereArtigliere – caposquadriglia, capitano di vascello Carlo Margottini – e Camicia Nera) ed alle torpediniere della I Squadriglia Torpediniere (AlcioneAirone ed Ariel).
Entrambe le squadriglie hanno l’ordine di svolgere una ricerca a rastrello ad est di Malta, dove si ritiene che vi possano essere navi britanniche.
L’ordine è stato dato dopo che, alle 8.45 dell’11 ottobre, un aereo di linea italiano ha avvistato 20 unità britanniche (15 navi da guerra e 5 di tipo imprecisato) con rotta 220° (ma all’arrivo dell’aereo hanno virato di 90° a dritta) in posizione 35°20’ N e 15°40’ O, a 65 miglia per 115° da (ad est-sudest di) Malta. Supermarina, informata da Superaereo un’ora più tardi, non è in grado di fare uscire in mare le forze navali maggiori prima del giorno seguente, pertanto ha ordinato al Comando Militare Marittimo della Sicilia (ammiraglio di divisione Pietro Barone, con sede a Messina) di organizzare una ricerca offensiva notturna con l’utilizzo di aerei per la ricognizione e di unità sottili (cacciatorpediniere, torpediniere e MAS) per la ricerca del contatto e l’eventuale attacco. Sono state quindi disposte ricognizioni con aerei, l’invio dei MAS 512513 e 517 in agguato notturno al largo della Valletta, l’approntamento in tre ore delle due squadre navali, la messa in allarme delle difese di Taranto, della Sicilia e della Libia, e l’interruzione del traffico tra Italia e Libia; inoltre si è deliberato di inviare numerose siluranti a verificare la presenza di navi nemiche e, in caso affermativo, ad attaccare col favore della notte (oltre alla XI Squadriglia Cacciatorpediniere ed alla I Squadriglia Torpediniere, deve prendere il mare anche la VII Squadriglia Cacciatorpediniere – FrecciaDardoSaetta e Strale –, ma cercando sulla congiungente Marettimo-Zembra, dove il passaggio è meno probabile). Entro ventiquattr’ore sarebbe possibile fare uscire le forze da battaglia da Taranto, Augusta e Messina, per appoggiare l’azione notturna delle siluranti, o sfruttarne gli eventuali risultati positivi.
A trovarsi in mare è l’intera Mediterranean Fleet, con le corazzate ValiantWarspiteRamillies e Malaya, le portaerei Eagle ed Illustrious, l’incrociatore pesante York, gli incrociatori leggeri AjaxOrionSydneyLiverpool e Gloucester ed i cacciatorpediniere HavockHastyHyperionHeroHerewardIlexJervisJanusJunoDaintyDefenderDecoyNubianVampire e Vendetta: tale poderosa formazione è uscita in mare l’8 ottobre per dare scorta a distanza al convoglio «M.F. 3» diretto a Malta, ed ora, dopo che i mercantili sono giunti a destinazione l’11 ottobre, attende di assumere la scorta di tre piroscafi scarichi (AphisPlumleaf e Volo, del convoglio «M.F. 4») di ritorno ad Alessandria d’Egitto.
L’ammiraglio Andrew Browne Cunningham, comandante della Mediterranean Fleet, ha creato a nord del grosso della flotta uno ‘schermo’ di incrociatori e cacciatorpediniere, con compiti di ricognizione, l’ultimo dei quali (il più a nord) è l’incrociatore leggero Ajax, al comando del capitano di vascello Eward Desmond Bewley McCarthy, il quale avanza a 17 nodi procedendo a zig zag, una settantina di miglia a nord del grosso della Mediterranean Fleet ed ad altrettante miglia da Malta. Le altre unità dello schermo sono l’incrociatore pesante York, gli incrociatori leggeri Orion e Sydney (che con l’Ajax formano il 7th Cruiser Squadron) ed i cacciatorpediniere Nubian e Mohawk; le navi procedono in linea di rilevamento, a notevole distanza l’una dall’altra.
I primi ricognitori italiani, degli idrovolanti CANT Z. 501 delle Squadriglie 144a (di base a Stagnone), 184a, 186a (di base entrambe ad Augusta) e 189a (di base a Siracusa) della Regia Aeronautica, decollano nel primo pomeriggio dell’11 ottobre, quando il cielo – fino ad allora coperto dalle nuvole, con scariche elettriche, forti raffiche di vento e visibilità molto limitata, a causa di una perturbazione sul Mediterraneo centrale iniziata il 9 ottobre – inizia a rasserenarsi, permettendo un progressivo miglioramento della visibilità. Il CANT Z. 501 decollato per primo da Stagnone esplora il settore più occidentale (tra il meridiano di Capo Bon ed il 13° meridiano) ma non trova nulla; altri due idrovolanti sono decollati da Augusta sempre nel primo pomeriggio dell’11 e conducono una ricerca (distanziati di 30 miglia e con percorsi paralleli ed opposti) che va da Malta al meridiano 22° E, ma di nuovo senza risultati; un quarto CANT Z. 501, decollato da Siracusa ed assegnato all’esplorazione di un settore a sud ed ad est di Malta, non vede nulla.
Le sette unità della XI Squadriglia Cacciatorpediniere e della I Squadriglia Torpediniere, giunte a mezzanotte dell’11 ottobre sul meridiano 16°40’ E (a circa cento miglia da Malta), si irradiano sul rastrello con base 28 miglia, disponendosi, da nord verso sud, nell’ordine AlcioneAironeArielGeniereAviereArtigliere e Camicia Nera, procedendo affiancate ad una distanza di circa quattro miglia l’una dall’altra, con un intervallo di otto miglia tra la I Squadriglia Torpediniere (più a nord) e la XI Squadriglia Cacciatorpediniere (più a sud).
12 ottobre 1940
All’una di notte, terminato il posizionamento sul rastrello, le sette siluranti iniziano la ricerca, procedendo a 12 nodi con rotta 270° e direttrice della ricerca da est verso ovest. L’eccezionale visibilità (grazie alla luce lunare da sudovest, che rende molto luminoso tale settore, verso il quale si sviluppa la ricerca) e la direttrice dovrebbero consentire alle navi italiane (specie le torpediniere) di avvistare le unità nemiche nei loro settori prodieri prima di essere viste a loro volta. La ricerca del nemico si svolge a sud del parallelo di Malta, nella fascia compresa tra i paralleli 35°54’ N e 35°25’ N a partire dal meridiano 16°40’ E.
Nel mentre, la Mediterranean Fleet procede con rotta 90° (opposta a quella delle navi italiane) e dodici nodi di velocità, circa 50 miglia a sudest di Malta; la linea protettiva degli incrociatori è disposta in linea di rilevamento a nordest del grosso della squadra britannica, con l’Ajax posizionato esternamente verso nord. Ancora più a nord si trovano i tre mercantili del convoglio salpato da Malta alle 22.30, diretti verso est e scortati dagli incrociatori antiaerei Coventry e Calcutta e dai cacciatorpediniere StuartVoyagerWryneck e Waterhen.
Il tempo è migliorato, con vento e mare da sudest forza 2-3 in diminuzione e cielo sereno. La luna, rispetto alla posizione delle unità italiane, si trova alle spalle delle navi britanniche, il che dovrebbe agevolare il loro avvistamento.
Le prime ad incappare nello ‘schermo’ del 7th Cruiser Squadron, e precisamente nell’Ajax, sono le torpediniere: all’1.37 l’Alcione avvista per prima l’incrociatore, ed in breve anche le altre due unità della I Squadriglia avvistano l’Ajax, che da parte sua non si accorge invece della loro presenza; favorite dal buio, vanno all’attacco, col siluro e col cannone. L’Ajax si accorge però di loro all’ultimo momento, e così l’attacco, condotto con coraggio ma con scarsa coordinazione e perizia, si tramuta in disastro: nessuno dei sette siluri va a segno, mentre l’Ajax, danneggiato solo leggermente dal tiro delle torpediniere, risponde al fuoco da distanza ravvicinata, affondando l’Ariel e riducendo l’Airone ad un relitto galleggiante.
I cacciatorpediniere della XI Squadriglia (che procedono col Geniere in testa, seguito nell’ordine da Aviere, Artigliere e Camicia Nera), avvistate le vampe del combattimento tra l’Ajax e le torpediniere, accostano a dritta (verso nord) all’1.56, su ordine del caposquadriglia Margottini, aumentando la velocità. Avvistano anch’essi l’Ajax, ma da una distanza molto inferiore a quella delle torpediniere, e con la luna al traverso a sinistra (cioè, con condizioni di luce poco favorevoli, specie rispetto alle torpediniere); vanno all’attacco, ma commettono un grave errore: anziché attaccare tutti insieme, creando una grande concentrazione di siluri, affrontano l’Ajax uno alla volta, in modo autonomo e scoordinato, stagliandosi per giunta contro la luce lunare che li rende particolarmente ben visibili alla nave nemica, a breve distanza.
Ormai l’Ajax, che ha accostato a sud dopo aver immobilizzato l’Airone, è sul chi va là, dopo l’attacco delle torpediniere: l’attacco dei cacciatorpediniere lo coglie mentre sta accostando a dritta per portare in campo di tiro tutti i propri cannoni da 152 mm, e questa volta l’incrociatore non esita ad aprire il fuoco contro le ombre delle navi italiane in avvicinamento, le cui sagome – peraltro più visibili rispetto a quelle delle torpediniere, date le maggiori dimensioni – si proiettano contro il settore dell’orizzonte che la luna illumina maggiormente (l’avvistamento è pressoché contemporaneo e reciproco).
L’Aviere, il primo ad andare all’attacco (tra le 2.10 e le 2.18), viene rapidamente centrato da diversi colpi prima di poter lanciare i siluri; seriamente danneggiato, senza luce, con parte dell’armamento fuori uso, diversi morti e feriti a bordo ed alcuni compartimenti allagati, deve abbandonare l’attacco ed allontanarsi verso Augusta.
Poco dopo, alle 2.18, il Geniere (che nella linea delle unità italiane si trova tra l’Ariel e l’Artigliere, ed al momento dello scontro è molto vicino alla direttrice di marcia dell’Ajax) avvista una nave nemica – l’Ajax, che a sua volta avvista il Geniere, con rotta verso nord – distante poco più di 7 km; le condizioni cinematiche di distanza e di Beta (largo sulla sinistra, 160°) sono inadatte ad un attacco silurante, ragion per cui il cacciatorpediniere manovra per cambiare tali valori in modo andare all’attacco col siluro in condizioni più adeguate; proprio durante tale manovra, tuttavia, viene perso il contatto con l’incrociatore, che non viene più ritrovato.
L’Artigliere avvista l’Ajax sulla dritta alle 2.29 e va all’attacco col cannone e col siluro; riesce a colpire l’Ajax con alcune cannonate, arrecandogli qualche modesto danno, ma viene devastato dal tiro dell’incrociatore, che uccide o ferisce più di metà dell’equipaggio (compreso il comandante Margottini) e nel giro di poco più di un minuto ne immobilizza l’apparato motore e scatena violenti incendi a bordo, riducendo l’Artigliere ad un relitto galleggiante.
Il Camicia Nera scambia qualche cannonata con l’Ajax da grande distanza (circa 5 km), senza conseguenze per nessuno dei due, intorno alle 2.48. Il Geniere, a causa della perdita del contatto avvenuta poco dopo l’avvistamento, come sopra detto, è l’unica nave in assoluto, tra le sette siluranti italiane presenti, a non essere coinvolta nel combattimento (per una fonte, il Geniere avrebbe seguito a distanza il Camicia Nera, senza partecipare al combattimento). Non spara dunque un singolo colpo, né subisce alcun danno. 
Alle 2.33, con l’Artigliere fuori combattimento e l’Ajax che, danneggiato in maniera non grave e con perdite tra l’equipaggio, si allontana per sottrarsi ad altri attacchi, il combattimento è di fatto terminato (al di là dell’inconcludente scambio di colpi tra Ajax e Camicia Nera alle 2.48). L’Artigliere verrà finito il mattino successivo dall’incrociatore pesante HMS York, dopo un vano tentativo di rimorchio da parte del Camicia Nera.
Terminato lo scontro, il Geniere rimane ad incrociare nell’area in attesa di riunirsi con l’Aviere: le due unità formano infatti la seconda sezione della XI Squadriglia, ed il comandante Bonetti, avendo saputo che l’Aviere è danneggiato, intende scortare l’unità gemella nella navigazione di rientro. Poco dopo l’alba l’Aviere, che deve procedere a non più di 14 nodi a causa dei danni subiti, viene infatti avvistato; il Geniere assume quindi la scorta dell’Aviere, e le due unità dirigono per Augusta navigando di conserva. Nonostante l’avvistamento da parte di aerei da ricognizione già dalle prime luci dell’alba, non vi sono attacchi, ed i due cacciatorpediniere giungono ad Augusta a mezzogiorno del 12 ottobre.
11-12 novembre 1940
Il Geniere si trova ormeggiato in Mar Piccolo a Taranto (in banchina, insieme agli incrociatori pesanti Pola e Trento, agli incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi, ai cacciatorpediniere FrecciaStraleDardoSaettaMaestraleLibeccioGrecaleSciroccoCamicia NeraCarabiniereCorazziereAscari, LanciereDa ReccoPessagno ed Usodimare, alle torpediniere Pallade, Polluce, Partenope e Pleiadi, alla portaidrovolanti Giuseppe Miraglia, al posamine Vieste ed al rimorchiatore di salvataggio Teseo), quando la base viene attaccata da aerosiluranti britannici che affondano la corazzata Conte di Cavour e pongono fuori uso la Littorio e la Duilio.
Mentre gli aerosiluranti attaccano le corazzate, cinque bombardieri attaccano a più riprese le unità presenti in Mar Piccolo, a scopo diversivo, sganciando complessivamente una sessantina di bombe.
Alle 23.15 dell’11 le navi in Mar Piccolo aprono il fuoco contro alcuni aerei che sganciano bombe da una quota valutata in 500 metri; gli ordigni inquadrano i posti d’ormeggio dei cacciatorpediniere, ma solo uno va a segno, senza esplodere (sul Libeccio, che riporta solo lievi danni).
Tra le 14.30 e le 16.45 del 12 novembre la XI Squadriglia Cacciatorpediniere (di cui è caposquadriglia il Camicia Nera), insieme alla IX Squadriglia «Alfieri», al Pola ed alla I Divisione (incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia), lascia Taranto, valutata ormai insicura, per trasferirsi a Napoli.
23 febbraio 1941
Geniere, Aviere (caposcorta) e la torpediniera Castore salpano da Napoli per Tripoli alle 19, scortando i mercantili tedeschi Ankara, Reichenfels, Marburg e Kybfels.
25 febbraio 1941
Il convoglio arriva a Tripoli alle 20.30. Successivamente il Geniere viene mandato, insieme al cacciatorpediniere Saetta, a rinforzare la scorta (cacciatorpediniere Baleno e Camicia Nera – caposcorta –, torpediniera Aldebaran) di un convoglio di trasporti truppe (Esperia, Victoria, Conte Rosso, Marco Polo), partito da Napoli il 24, che giungerà a Tripoli alle 15.45 del 26 febbraio.
27 febbraio 1941
Geniere, Aviere (caposcorta) e Camicia Nera lasciano Tripoli a mezzogiorno scortando Ankara, Reichenfels, Marburg e Kybfels che ritornano scarichi a Napoli.
1° marzo 1941
Il convoglio giunge a Napoli alle 10.
12 marzo 1941
Geniere e Camicia Nera (caposcorta) partono da Napoli all’1.30 per scortare a Tripoli i trasporti truppe VictoriaConte Rosso e Marco Polo. Il convoglio, la cui scorta viene rinforzata da Palermo con il cacciatorpediniere Folgore, gode anche della copertura degli incrociatori pesanti TrentoTrieste e Bolzano, dei cacciatorpediniere AviereCarabiniere e Corazziere, della torpediniera Giuseppe Dezza e di tre MAS.
13 marzo 1941
Il convoglio raggiunge Tripoli alle 15.30.
14 marzo 1941
GeniereFolgoreCamicia Nera (caposcorta) ripartono da Tripoli alle 16 scortando VictoriaConte Rosso e Marco Polo che ritornano in Italia.
16 marzo 1941
Il convoglio arriva a Napoli alle 3.30.
14 aprile 1941
Il Geniere (capitano di fregata Giovanni Bonetti), i cacciatorpediniere Aviere (caposcorta, capitano di vascello Bigi), Grecale e Camicia Nera e la torpediniera Pleiadi partono da Napoli per Tripoli all’1.45, scortando un convoglio formato dai piroscafi tedeschi Maritza, Procida, Alicante e Santa Fe, con truppe e materiali dell’Afrika Korps.

Il Geniere in navigazione a massima velocità nella primavera del 1941 (g.c. STORIA militare)

17 aprile 1941
In seguito alla distruzione di un altro convoglio, il «Tarigo», da parte di una squadriglia di cacciatorpediniere britannici, il convoglio di cui fa parte il Geniere (convoglio «Alicante») viene temporaneamente dirottato a Palermo, dove giunge alle tre.
18 aprile 1941
Il convoglio riparte da Palermo alle 8.
20 aprile 1941
Il convoglio giunge a Tripoli alle 5.
21 aprile 1941
Dopo alcuni attacchi aerei (tra l’1.50 e le 3.51) da parte di bombardieri Vickers Wellington (decollati da Malta), Fairey Albacore e Fairey Swordfish (in parte decollati da Malta, in parte dalla portaerei Formidable), tra le 4.03 e le 5 il porto di Tripoli viene bombardato da una nutrita formazione navale britannica, che comprende le corazzate Warspite, Valiant e Barham, gli incrociatori leggeri Ajax, Orion, Perth e Gloucester e tredici cacciatorpediniere (Havock, Hasty, Hero, Hereward, Havock, Hotspur, Jervis, Janus, Juno, Jaguar, Griffin, Defender, Kingston, Kimberley): si tratta dell’operazione «M.D. 3».
Il bombardamento, protrattosi per tre quarti d’ora, colpisce duramente la città, provocando elevate perdite tra la popolazione civile, ma arreca danni relativamente contenuti alle attrezzature portuali ed al naviglio presente.
Il Geniere, ormeggiato al Molo di Sottoflutto, si viene a ritrovare in una zona del porto (denominata dai rapporti britannici “area B”) che viene battuta dal tiro della corazzata Valiant; sottoposto ad intenso e concentrato fuoco da quest’ultima, il cacciatorpediniere risponde comunque al fuoco con le armi di bordo, e viene colpito da un unico proiettilie (probabilmente da 152 mm) che causa soltanto danni leggeri (mentre i britannici ritengono, a torto, di averlo danneggiato in modo grave). Tra l’equipaggio del Geniere si devono però lamentare tre vittime: il marinaio cannoniere Bruno Bernes, 26 anni, di Visignano d’Istria, ed i marinai fuochisti Antonio Le Cause, 21 anni, di Scaletta Zanclea, ed Aldino Santavenere, 21 anni, da Montesilvano. Saranno tutti decorati con la Croce di Guerra al Valor Militare, alla memoria (per Bruno Bernes, con la motivazione «Addetto all’armamento di una mitragliera antiaerea di C.T. sottoposto ad un violento bombardamento aeronavale nemico, adempiva al suo compito con serenità e coraggio, e, colpito mortalmente da una scheggia di proiettile, immolava la sua vita nell’adempimento del dovere»; per Antonio Le Cause ed Aldino Santovenere, con motivazione «Imbarcato su C.T. che veniva colpito nel corso di un violento bombardamento aeronavale nemico, attendeva con calma e coraggio al suo incarico e, rimanendo mortalmente ferito da scheggia di proiettile, sacrificava, nell’adempimento del dovere, la propria vita»).
Il comandante Bonetti del Geniere verrà decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare per il suo comportamento durante il bombardamento («Comandante di cacciatorpediniere nel corso di violento bombardamento aeronavale, che colpiva la sua unità causando vittime a bordo, affrontava con ardimento e decisione la difficile situazione, infondendo ai suoi uomini serenità e audacia. Malgrado il violento tiro avversario e la difficoltà di manovra, apriva risolutamente il fuoco contro i mezzi attaccanti e lo continuava con ferrea determinazione fino all’allontanamento del nemico»). Il direttore del tiro del Geniere, tenente di vascello Alberto Cuomo, riceverà analoga decorazione con motivazione «Direttore del tiro di cacciatorpediniere, durante un violento bombardamento aereo-navale che colpiva la nave provocando feriti a bordo, coadiuvava con calma e perizia il comandante, prodigando la sua opera per mantenere continua e inalterata l’efficienza delle armi contraeree e navali. Si distingueva in tutta l’azione per elevato rendimento e capacità offensiva».
Nel corso del bombardamento vengono affondati il piroscafo Marocchino, la motonave Assiria e la motovedetta Cicconetti della Guardia di Finanza, mentre subiscono danni non gravi, oltre al Geniere, la torpediniera Partenope, la cisterna militare Tanaro ed alcune unità minori. Le perdite militari ammontano in tutto a 5 morti (compresi i tre sul Geniere) e 21 feriti.
Nonostante i lievi danni subiti nel bombardamento, il Geniere riparte egualmente da Tripoli alle 14.30, insieme ad Aviere (caposcorta), Camicia Nera e Grecale, scortando Alicante, Maritza e Santa Fe che rientrano in Italia.
22 aprile 1941
A seguito di allarme navale, il convoglio deve rientrare a Tripoli alle 9. Da qui poi riparte alle 19, con l’aggiunta del Procida.
25 aprile 1941
Il convoglio raggiunge Napoli alle 6.30.
8 maggio 1941
Il Geniere lascia Napoli alle tre di notte scortando, insieme ai cacciatorpediniere Dardo, Aviere (caposcorta), Camicia NeraGrecale, un convoglio composto dai piroscafi Ernesto e Tembien, dalle motonavi italiane Giulia e Col di Lana e dalle tedesche Preussen e Wachtfels.
9 maggio 1941
Il convoglio deve rientrare a Napoli all’1.15 a seguito di allarme navale.
11 maggio 1941
Il convoglio riparte da Napoli alle due di notte.
Per fornirgli scorta a distanza nel Canale di Sicilia, escono in mare gli incrociatori leggeri Giovanni delle Bande NereLuigi Cadorna della IV Divisione, Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi dell’VIII Divisione, ed i cacciatorpediniere Nicoloso Da ReccoEmanuele PessagnoAntoniotto UsodimareAntonio Pigafetta (aggregati alla VIII Divisione), MaestraleSciroccoBersagliereFuciliere ed Alpino (aggregati alla IV Divisione).
13 maggio 1941
Il convoglio arriva Tripoli alle 11.40.
19 maggio 1941
Il Geniere e le torpediniere PartenopeCirce e Cassiopea lasciano Tripoli alle 20 scortando la motonave da carico Marco Foscarini e la motonave passeggeri Calitea (avente a bordo prigionieri britannici da portare in Italia). Per la scorta a distanza nel Canale di Sicilia è in mare la VII Divisione (incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi, cacciatorpediniere GranatiereBersagliere ed Alpino).
21 maggio 1941
Il convoglio giunge a Napoli alle 11.
1° giugno 1941
Il Geniere salpa da Napoli alle 19.30, insieme ai cacciatorpediniere Aviere (capitano di vascello Luciano Bigi, caposcorta), DardoCamicia Nera ed alla torpediniera Giuseppe Missori, per scortare a Tripoli il convoglio «Aquitania», formato dai piroscafi Beatrice C.AquitaniaCaffaroNirvo e Montello e dalla moderna motonave cisterna Pozarica. Essendo l’«Aquitania» uno dei più grandi convogli sino ad allora inviati in Libia, ed in assoluto uno dei più grandi dell’intera battaglia dei convogli nordafricani, è uscita da Palermo anche una potente forza di copertura a distanza, consistente nell’intera VIII Divisione Navale (ammiraglio di divisione Antonio Legnani) con i moderni incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi ed i cacciatorpediniere GranatiereBersagliereFuciliere ed Alpino. Completa l’apparato difensivo la scorta aerea, fornita da due caccia FIAT CR. 42.
2 giugno 1941
Il convoglio, che procede a non più di otto nodi (non molto), viene tuttavia avvistato già il 2 giugno sia da un sommergibile britannico (la cui presenza è segnalata al convoglio, che esegue una diversione dalla rotta proprio il 2 mattina, per evitarlo) che da un idroricognitore Short Sunderland, che comunicano quanto visto: poco dopo mezzogiorno decollano quindi da Malta, per attaccare le navi italiane, cinque bombardieri Bristol Blenheim (o Martin Maryland) della RAF.
Intorno alle 14 gli aerei britannici avvistano il convoglio, ma, avendo visto anche i due CR. 42 della scorta aerea, non attaccano subito e si tengono invece a distanza, volando bassi sul mare, tallonando il convoglio in attesa di condizioni favorevoli per l’attacco. Alle 14.15 anche le navi italiane avvistano i Blenheim, molto lontani sulla dritta e bassi sul mare, con rotta quasi parallela a quella del convoglio e direzione verso la Tripolitania; ma, dato che in questo periodo gli attacchi aerei diurni non sono ancora divenuti molto frequenti, pensano che siano bombardieri tedeschi Junkers Ju 88. In ogni caso, gli aerei vengono quasi subito persi di vista.
Alle 14.30 (16.30 per altra fonte) si avverano infine le aspettative degli attaccanti: i due CR. 42, dovendo tornare alla base, lasciano il convoglio e vengono sostituiti da un idrovolante antisommergibile CANT Z. 501, un velivolo lento, superato, poco armato: inadatto a contrastare un attacco aereo (e difatti è impiegato nella scorta antisommergibile). Il convoglio si trova in posizione 35°25’ N e 11°57’ E, circa venti miglia a nordest delle Isole Kerkennah e dodici miglia a nordest della boa numero 1 delle secche di Kerkennah, al largo della Tunisia.
Il CANT Z. 501 si posiziona a proravia del convoglio in funzione di ricognizione antisommergibile, ed alle 14.45 i Blenheim passarono all’attacco: volando a 500 metri di quota, raggiungono il convoglio provenendo da poppavia e lo risalgono dalla coda alla testa, sganciando le loro bombe.
In quel momento le navi della scorta stanno procedendo ai lati del convoglio ed il sole è quasi sceso sull’orizzonte; i Blenheim vengono avvistati sulla dritta (quasi provenienti dalla direzione del sole), a circa 4 km di distanza, che si avvicinano al convoglio volando in formazione a triangolo ad circa 50 metri di quota. Il caposcorta dà subito l’avvistamento e chiede l’invio di aerei da caccia; poi tutte le navi, sia i mercantili che le unità di scorta, aprono il fuoco con le mitragliere, ma le navi scorta sul lato sinistro hanno il campo di tiro ostruito dai mercantili stessi: dato che gli aerei volano molto bassi, sono quasi coperti dai piroscafi. Una volta giunti in prossimità del convoglio, gli aerei accostano leggermente alla loro sinistra, come per evitare le unità di scorta; arrivano sopra i piroscafi di coda, risalgono la formazione e sganciano le bombe sul convoglio, senza nemmeno tentare una minima cabrata.
Uno dei Blenheim viene abbattuto (per una versione, dal fuoco contraereo delle navi del convoglio, per un’altra dai CR. 42 dei tenenti Marco Marinone ed Antonio Bizio, entrambi appartenenti alla 70a Squadriglia del 23° Gruppo Caccia Terrestre) e precipita in fiamme, ma gli altri sganciano con precisione le loro bombe, che vanno a segno; poi si allontanano verso est, sempre volando bassi, vanamente inseguiti dal tiro contraereo delle navi.
Il Montello, carico di munizioni e di benzina, si disintegra in una colossale esplosione, senza lasciare alcun sopravvissuto; il Beatrice C. viene anch’esso colpito ed incendiato e, dopo vani tentativi di salvataggio, dovrà essere abbandonato dall’equipaggio e finito a cannonate dal Camicia Nera, alle sette del mattino del giorno seguente. Geniere e Missori  recuperano i naufraghi del Beatrice C.; il Geniere recupera anche gli avieri britannici del Blenheim abbattuto, che vengono presi prigionieri e successivamente interrogati dal comandante in seconda del cacciatorpediniere.
4 giugno 1941
Alle 14.10 il resto del convoglio raggiunge Tripoli.
11 giugno 1941
Geniere, Dardo ed Aviere (caposcorta) salpano da Tripoli per Napoli alle 19.30, scortando i piroscafi Aquitania, Nita e Castelverde.
14 giugno 1941
Il convoglio arriva a Napoli alle 9.
25 giugno 1941
Il Geniere, insieme ai cacciatorpediniere Aviere (caposcorta, capitano di vascello Luciano Bigi), Antonio Da Noli e Vincenzo Gioberti ed alla torpediniera Calliope, salpa da Napoli alle 4.30, per scortare a Tripoli un convoglio veloce composto dai trasporti truppe Esperia (capoconvoglio, contrammiraglio Luigi Aiello), Marco PoloNeptunia ed Oceania.
Il convoglio imbocca la rotta di levante (stretto di Messina e poi ad est di Malta), ritenuta, come detto, la più adatta per i convogli veloci per trasporto truppe; i suoi lati vantaggiosi sono una maggior elasticità per eventuali dirottamenti, maggior spazio di manovra, la possibilità di tenere il convoglio al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti di Malta, la facilità di confondere il nemico circa la rotta seguita; i lati svantaggiosi, un percorso più lungo (per questo la si fa percorrere ai convogli più veloci), la possibilità di attacchi a sorpresa di navi di superficie inviate da Alessandria o da Tobruk (in mano britannica da gennaio), comunque poco probabile, e la maggior difficoltà a garantire scorta aerea di giorno.
Dopo aver attraversato lo stretto di Messina, la scorta del convoglio viene rinforzata dalla XII Squadriglia Cacciatorpediniere (AscariLanciereCorazziere e Carabiniere; per altra versione il Lanciere faceva invece parte della scorta diretta, fin dall’inizio del viaggio) e più tardi (dal tramonto) dalla III Divisione (incrociatori pesanti Trieste e Gorizia), quest’ultima partita da Messina alle 19, quale scorta indiretta.
Alle 18.25, mentre le navi sono ancora a nord del parallelo di Murro di Porco (precisamente, a 32 miglia per 90° da Murro di Porco, non lontano da Siracusa), il convoglio viene avvistato da un ricognitore; alle 20.20, poco dopo che la scorta aerea (due bombardieri Savoia Marchetti S.M. 79 "Sparviero" e quattro caccia Macchi MC. 200) se ne è andata, ad eccezione di un singolo caccia che è ancora sul cielo del convoglio, vengono avvistati tre velivoli tipo Martin Maryland che volano a 2500 metri di quota, proprio sopra il convoglio. Viene dato l’allarme; sia i mercantili che i cacciatorpediniere aprono subito il fuoco con le mitragliere. Gli aerei sganciano cinque bombe, ma nessuna va a segno; si ritiene che uno degli attaccanti, colpito, sia caduto in mare in fiamme.
Alle 20.30, terminato il lancio, i bombardieri si allontanano, ma poco dopo un altro aereo avversario si avvicina da sinistra, volando a 1500 metri; fatto oggetto del violento tiro di tutte le navi del convoglio, rinuncia all’attacco e si allontana prima di poter giungere sulla verticale del convoglio. Da poppa sopraggiunge un altro bombardiere, ma è seguito dall’unico caccia rimasto della scorta aerea, e lascia dietro di sé una scia di fumo; due membri del suo equipaggio si lanciano col paracadute, poi il bombardiere precipita in mare. Alle 20.40 vengono avvistati altri due bombardieri, provenienti da dritta, anch’essi accolti dal tiro delle navi della scorta: uno dei due spara raffiche di mitragliera, poi accosta a sinistra e si allontana senza sganciare bombe; l’altro giunge sul cielo del convoglio e sgancia una bomba, che cade in mare senza fare danni. Alle 21, Supermarina “informa” il convoglio che alle 18.35 questo è stato avvistato da un ricognitore avversario.
Alle 21.10 un bengala si accende a proravia del convoglio, a circa 3000 metri di quota (resta acceso 8-9 minuti); dato che l’esperienza precedente insegna che questo è il preludio ad un attacco di aerosiluranti, le navi della scorta iniziano ad emettere cortine fumogene, per occultare le navi del convoglio. Alle 21.29 gli aerosiluranti – velivoli dell’830th Squadron della Fleet Air Arm – attaccano: provenienti da dritta e restando in formazione, si portano a proravia del convoglio, poi sul suo lato sinistro, indi si separano ed attaccano dai quartieri prodieri. Le navi aprono il fuoco con le mitragliere; vengono lanciati almeno quattro siluri, nessuno dei quali va a segno.
Mentre ancora non si è concluso l’attacco degli aerosiluranti, alle 21.37, vengono lanciati in mezzo al convoglio tre bengala che galleggiano sul mare (si tratta di fuochi al cloruro di calcio, una nuova invenzione al suo primo impiego nella battaglia dei convogli): due si spengono quasi subito, ma il terzo resta acceso per un paio di minuti, illuminando a giorno il convoglio con la sua fortissima luce gialla; le navi si diradano ed intanto avvistano sul loro cielo i fanalini di navigazione di altri aerei, contro i quali sparano con tutte le mitragliere. Gli aerei sganciano delle bombe di grosso calibro; nessuna va a segno, ma una esplode a pochi metri dall’Esperia, che subisce lievi danni ed alcune perdite tra il personale imbarcato.
Alle 21.45 gli aerei se ne vanno, inseguiti dal fuoco delle mitragliere; uno di essi, un Fairey Swordfish dell’830th Squadron F. A. A. (sottotenente D. A. R. Holmes, Aviere J. R. Smith), viene abbattuto.
Tanto accanimento non è casuale. Il convoglio «Esperia» detiene infatti il dubbio onore di essere stato il primo convoglio ad essere attaccato sulla base delle informazioni fornite da “ULTRA”, l’organizzazione segreta britannica dedita alla decrittazione dei messaggi in codice dell’Asse. Già il 23 giugno, due giorni prima della partenza, i britannici sanno così che un convoglio formato da NeptuniaOceaniaMarco Polo ed Esperia (in realtà, inizialmente, i britannici commettono un errore ed identificano la quarta nave come Victoria, ma questo viene prontamente corretto il 24 giugno), scortato da cinque cacciatorpediniere, deve partire da Napoli alle 3.30 diretto a Tripoli, con arrivo previsto per le 16.30 del 27, navigando ad una velocità di 17,5 nodi. Ulteriori intercettazioni, sempre compiute il 23 giugno, permettono ai britannici di apprendere anche che il convoglio deve attraversare il parallelo 34°30’ N alle sette del mattino del 26, che sarà scortato anche da aerei, e che dopo aver scaricato i materiali dovrà tornare a Napoli seguendo la rotta ad ovest della Sicilia.
26 giugno 1941
Vista la violenza degli attacchi aerei, nel fondato timore che essi debbano proseguire per il resto della notte ed anche la mattina successiva – mentre il convoglio è al di fuori del raggio operativo della caccia italiana –, oltre che in seguito alla notizia dell’avvistamento di un sommergibile in agguato lungo la rotta del convoglio (avvistato ed attaccato da un velivolo della ricognizione marittima), Supermarina ordina sia al convoglio che alla III Divisione di dirottare su Taranto. Qui le navi giungono alle 17.
27 giugno 1941
Il convoglio riparte da Taranto per Tripoli alle 17, con scorta diretta ed indiretta invariate, seguendo una rotta che lo tenga quanto più possibile lontano da Malta. Anche questa volta “ULTRA” intercetta e decifra i relativi messaggi, ma stavolta la reazione britannica sarà assai meno violenta e tempestiva.
28 giugno 1941
In mattinata il convoglio viene avvistato da un ricognitore britannico; il segnale di scoperta da esso lanciato viene però intercettato e decifrato da Supermarina, che ne informa il convoglio. Questi modifica allora notevolmente la rotta, ma nel pomeriggio viene avvistato di nuovo; non si verificano però attacchi aerei durante il giorno, né nella notte successiva.
29 giugno 1941
Intorno alle 9 il convoglio, giunto in prossimità di Tripoli ed ormai lasciato dalla III Divisione (che rientra a Messina, dove giunge alle 11) ma raggiunto dalla scorta aerea (due caccia Macchi MC. 200, due S.M. 79 e due idrovolanti CANT Z. 501) viene attaccato da bombardieri britannici, i quali sganciano poche bombe che non causano nessun danno.
Il convoglio giunge a Tripoli alle 10.30 (o 11.15).
Nemmeno con l’arrivo in porto, però, le traversie sono finite: tra le 18.30 ed il 19.45 alcuni ricognitori britannici sganciano delle bombe sul porto, senza colpire le navi (i trasporti hanno comunque già sbarcato le truppe, subito allontanate dal porto); dalle 21.48 alle 23.49 il porto viene nuovamente attaccato da un nutrito numero di bombardieri, ma le molte bombe lanciate finiscono anch’esse in mare (alcune, inesplose, vengono scambiate per mine magnetiche, tanto che all’alba si inizia un’operazione di dragaggio magnetico per preparare una rotta d’uscita di sicurezza: ma di mine non ve ne sono).
30 giugno 1941
Alle 9.15 (o 9.30) quattro bombardieri britannici Bristol Blenheim, provenienti da ovest, arrivano sul porto di Tripoli a motore spento, volando a bassissima quota; la fittissima foschia, causata da forte ghibli, impedisce alle stazioni di vedetta di avvistarli prima che giungano sul porto. In un fulmineo attacco, i Blenheim colpiscono l’Esperia, causando danni e vittime.
Alle 20, nel corso di un nuovo attacco aereo sul porto, GeniereAviere (caposcorta), Gioberti e Da Noli ripartono per scortare a Napoli Esperia (sommariamente riparata ed in grado di riprendere a navigare), Neptunia e Marco Polo. Nella notte si uniscono al convoglio anche l’Oceania ed il Lanciere, a loro volta salpati da Tripoli alle 22. Questa volta si seguono le rotte di ponente.
2 luglio 1941
Il convoglio arriva a Napoli alle 7.
16 luglio 1941
Geniere (caposcorta), LanciereOriani, Gioberti e la torpediniera Centauro salpano da Taranto per Tripoli alle 16, scortando i trasporti truppe Marco PoloNeptunia ed Oceania.
Gli incrociatori pesanti Trieste e Bolzano (III Divisione Navale) ed i cacciatorpediniere AscariCorazziere e Carabiniere forniscono scorta a distanza.
Secondo alcune fonti il convoglio sarebbe infruttuosamente attaccato, alle 13.35 (23 miglia a sud-sud-ovest di Messina), dal sommergibile britannico Unbeaten, ma si tratta probabilmente di un errore.
18 luglio 1941
Il convoglio giunge a Tripoli alle 14.30.
19 luglio 1941
Geniere (caposcorta), Aviere, Lanciere, Oriani e Gioberti lasciano Tripoli per Taranto alle 20.30, scortando NeptuniaOceania e Marco Polo. La III Divisione Navale fornisca ancora scorta indiretta.
21 luglio 1941
Il convoglio giunge a Taranto alle 16.30.

Il Geniere nel 1941 (g.c. STORIA militare)

27 luglio 1941
Geniere, Aviere (caposcorta), OrianiGioberti e Camicia Nera salpano da Taranto per Tripoli alle 14, scortando Marco PoloNeptunia ed Oceania diretti a Tripoli lungo la rotta di levante. Le navi si tengono molto a levante di Malta, per restare fuori dal raggio d’azione degli aerosiluranti ivi basati, dirigendo all’incirca a metà strada fra Napoli e Bengasi, salvo accostare per Tripoli la sera del 28, evitando i ricognitori nemici.
Il sommergibile britannico Otus (tenente di vascello Richard Molyneux Favell), inviato ad intercettare il convoglio in posizione 34°25’ N e 19°40’ E, non riesce a trovarlo.
29 luglio 1941
Il convoglio raggiunge Tripoli alle 13; dopo che i tre trasporti hanno sbarcato le truppe, essi ripartono già alle 21 per tornare a Napoli, sempre scortati da Geniere, Aviere (caposcorta), OrianiGiobertiCamicia Nera. Rotta di ponente.
31 luglio 1941
Il convoglio arriva a Napoli alle 4.
4 agosto 1941
GeniereAviere (caposcorta), OrianiGiobertiCamicia Nera e Calliope salpano da Napoli alle 21 diretti a Tripoli, scortando un convoglio formato dai piroscafi CastelverdeAquitaniaNitaNirvo ed Ernesto.
5 agosto 1941
Alle 13 si unisce al convoglio anche la moderna motonave cisterna Panuco (per altra fonte, Pozarica), proveniente da Palermo.
6 agosto 1941
Durante il pomeriggio, a sud di Pantelleria, il convoglio viene avvistato da ricognitori britannici; i segnali di scoperta da questi lanciati vengono immediatamente intercettati sia dal caposcorta che da Supermarina, il che permette di intuire che un attacco aereo da Malta è imminente.
Alle 16.40 vengono avvistati aerei britannici, che tuttavia non attaccano, probabilmente perché il convoglio è ancora munito di robusta scorta aerea (due bombardieri Savoia Marchetti S.M. 79 "Sparviero" e sei aerei da caccia). Dopo una incerta puntata contro il convoglio, gli aerei nemici si allontanano alle 16.48.
Alle 22, quando – calato il buio – non vi è più scorta aerea, i britannici tornano all’attacco: l’Aviere avvista cinque aerosiluranti (sono Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm) di prora a sinistra, cioè nella direzione di Malta (ed anche della luna), ad un centinaio di metri di quota.
I cacciatorpediniere di prua aprono il fuoco per primi con le loro mitragliere, subito imitati dai piroscafi ed in breve da tutte le navi del convoglio. Nonostante l’intenso e serrato tiro delle navi, gli aerei britannici non demordono; tagliano la rotta del convoglio passandogli 400 metri a proravia, indi defilano controbordo ai piroscafi e lanciano cinque bengala, di cui tre (molto luminosi) rimangono sospesi in aria e due si depositano sulla superficie del mare, galleggiando ed emettendo poca luce. Viene dato l’allarme, ed i mercantili – molto ben affiatati tra loro e con la scorta, grazie alle precedenti navigazioni compiute insieme: si cerca di far navigare sempre insieme le stesse navi proprio per questo scopo – accostano mettendo la prua sulla luna, così da minimizzare la sagoma e di conseguenza il bersaglio; la Calliope ritiene di vedere un aereo precipitare in fiamme a poppavia del convoglio.
Gli aerosiluranti finiscono con lo sganciare un po’ a casaccio, ma un siluro va egualmente a segno: la vittima è il Nita, ultimo della formazione, colpito alle 22.10. Calliope e Camicia Nera rimangono ad assisterlo.
7 agosto 1941
Dopo ulteriori attacchi aerei, il Nita affonda all’1.30. Calliope e Camicia Nera recuperano tutti gli uomini a bordo, tranne uno.
Alle 5.50 il resto del convoglio, che prosegue verso Tripoli a 7 nodi, avvista a poppavia del traverso, sulla sinistra, due bombardieri britannici Bristol Blenheim (appartenenti al 105th Squadron della Royal Air Force), che si avvicinano volando a bassa quota. È l’alba; la scorta aerea non è ancora arrivata. Uno dei Blenheim mantiene le distanze, l’altro si avvicina con decisione: piroscafi e navi scorta aprono il fuoco con cannoni e mitragliere. Il Blenheim si tiene basso fino a poche centinaia di metri dal convoglio, indi cabra e lancia quattro bombe contro l’Aquitania, che non subisce danni seri (due bombe esplodono in mare, provocando danni da schegge; altre due rimbalzano contro la murata, per poi cadere in mare inesplose), per poi allontanarsi sorvolando gli altri piroscafi. Il secondo Blenheim, compiuto un ampio giro, si porta a poppa dritta del convoglio ed attacca a sua volta: accolto dal violentissimo fuoco delle navi, non sgancia le bombe, ma passa tra mercantili e navi della scorta volando bassissimo sul mare, si allontana, fa un altro giro, si porta nuovamente a poppa dritta del convoglio e torna alla carica. Di nuovo, piroscafi e navi da guerra aprono un furioso tiro contraereo con cannoni e mitragliere; l’aereo rinuncia di nuovo a sganciare le bombe, passa bassissimo (2-3 metri sopra la superficie del mare) tra i piroscafi e stavolta si allontana definitivamente verso est.
Alle 6.10, ad attacco ancora in corso, giunge sul cielo del convoglio un idrovolante CANT Z. 1007 della Regia Aeronautica (che però non vede il Blenheim); più tardi arrivano anche un S.M. 79 e due caccia biplani FIAT CR. 42.
Alle 6.45 il convoglio attraversa una zona ove la sera prima è stato avvistato un sommergibile, pertanto i mercantili zigzagano, mentre le navi scorta evoluiscono ad alta velocità e lanciano bombe di profondità. A mezzogiorno Tripoli comunica di essere sotto bombardamento aereo, ed alle 12.35 vengono avvistati tre aerei sospetti in lontananza, sulla sinistra; non si verificano, però, altri attacchi.
Il resto del convoglio raggiunge Tripoli alle 18.
23 agosto 1941
Il Geniere, insieme all’Aviere (col quale forma la XI Squadriglia Cacciatorpediniere), alla XIII Squadriglia (GranatiereBersagliereFuciliere ed Alpino) ed alla IX Divisione Navale (corazzate Littorio e Vittorio Veneto), esce da Taranto alle 16 a contrasto dell’operazione britannica «Mincemeat», consistente nell’uscita da Gibilterra di parte della Forza H (la portaerei Ark Royal, la corazzata Nelson, l’incrociatore leggero Hermione e cinque cacciatorpediniere) con lo scopo di bombardare gli stabilimenti industriali ed i boschi di sughero nella Sardegna settentrionale (con gli aerei dell’Ark Royal), posare mine al largo di Livorno (con il posamine veloce Manxman) e dissuadere, con tale dimostrazione di forza, la Spagna dall’entrare in guerra a fianco dell’Asse. I veri obiettivi dell’azione britannica non sono comunque noti a Supermarina, che pensa soprattutto ad un nuovo tentativo britannico di inviare a Malta un convoglio di rifornimenti.
Altre aliquote delle forze navali italiane escono da Palermo (VIII Divisione con Duca degli AbruzziMontecuccoli ed Attendolo, VIII Squadriglia Cacciatorpediniere con Freccia, Dardo e Strale, VII Squadriglia con Folgore e Fulmine), Messina (III Divisione con TrentoTriesteBolzano e Gorizia, X Squadriglia con Maestrale e Scirocco, XII Squadriglia con CorazziereCarabiniereAscari e Lanciere), Napoli (cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi e Lanzerotto Malocello della XIV Squadriglia e Nicoloso Da Recco della XVI Squadriglia) e Trapani (cacciatorpediniere Antonio Pigafetta e Giovanni Da Verrazzano della XV Squadriglia).
24 agosto 1941
Poco dopo le cinque del mattino, al largo di Capo Carbonara, si uniscono al gruppo «Littorio»  anche i cacciatorpediniere Vivaldi, Da Recco, Malocello, Pigafetta e Da Verrazzano. Fanno parte della formazione anche la III Divisione (incrociatori pesanti Trento, Trieste, Bolzano e Gorizia) e la XII Squadriglia Cacciatorpediniere (Lanciere, Ascari, Corazziere e Carabiniere), partite da Messina, nonché i cacciatorpediniere Maestrale e Scirocco, inviati da Palermo.
Le navi italiane assumono una rotta che le conduca al centro del Tirreno. Tra le 6.30 e le 6.40 LittorioVittorio Veneto e Trieste catapultano i loro idrovolanti da ricognizione, che tuttavia non riescono a trovare nulla; alle 11.15 è il Bolzano a catapultare il suo ricognitore, ma con risultati non migliori.
La formazione italiana, al comando dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, ha l’ordine di trovarsi per le otto del 24 trenta miglia a sud di Capo Carbonara, dato che la Forza H è stata avvistata da un ricognitore alle 9.10 del 23, circa 90 miglia a sud di Maiorca (il ricognitore ne ha stimato la composizione in una corazzata, una portaerei, un incrociatore e quattro cacciatorpediniere, con rotta 270° e velocità 14 nodi), ed alle 19.18 di quel giorno dei rilevamenti radiogoniometrici hanno collocato la Forza H 145 miglia ad ovest di Capo Teulada.
Intorno alle cinque del mattino del 24, gli aerei dell’Ark Royal attaccano la zona di Coghinas e Tempio Pausania con bombe e spezzoni incendiari, causando però pochissimi danni (una casa distrutta ed un soldato ucciso) nonostante la zona sia ricca di boschi di sughero, mentre alle 7.45 la squadra italiana viene avvistata a sud della Sardegna da un ricognitore britannico, proprio mentre anche la Forza H viena a sua volta localizzata 30 miglia ad est di Minorca, con rotta 105° e velocità 20 nodi.
Sulla base di tale avvistamento, Supermarina (che ha intercettato il segnale di scoperta del ricognitore nemico, informando subito l’ammiraglio Iachino), ritenendo improbabile che le forze italiane possano incontrare quelle britanniche entro il 24, a meno di non uscire dal raggio di copertura della caccia aerea, ordina a Iachino di tenersi ad est del meridiano 8° (salvo, per l’appunto, riuscire ad incontrare la Forza H di giorno ed entro la zona protetta dalla caccia italiana) e di rientrare nel Tirreno dopo aver appoggiato la ricognizione che l’VIII Divisione è stata mandata a svolgere nelle acque di Capo Serrat e dell’isola di La Galite; ordina poi alla III ed alla IX Divisione di trovarsi alle dieci del mattino del 25 agosto a 28 miglia per 150° da Capo Carbonara, per ripetere la manovra del 24. Alle 17.20 le forze britanniche vengono avvistate da un altro ricognitore trenta miglia a sudest di Maiorca, il che conferma che un incontro per il 24 non sarebbe possibile, mentre sarebbe probabile il giorno seguente.
25 agosto 1941
In mattinata, dato che la ricognizione aerea (che si spinge fino al 3° meridiano) non trova traccia della Forza H, ed il traffico radio britannico sta tornando ai ritmi usuali, Supermarina decide di far rientrare alle basi le proprie forze navali; alle 13.35, di conseguenza, l’ammiraglio Iachino riceve ordine di rientrare a Napoli. La sera del 25 si viene a sapere che all’alba la Forza H è stata avvistata ormai già in acque spagnole, tra Sagunto e Valencia, prima con rotta nord e poi diretta verso sud, accompagnata da numerosi velivoli. Più tardi è stata vista a sud di Capo Sant’Antonio e si sono sentite molte cannonate, probabilmente dovute ad esercitazioni di tiro.
1941
Lavori di modifica: l’obice illuminante da 120/15 mm viene eliminato e sostituito con un quinto cannone da 120/50 mm mod. Ansaldo 1940. Vengono inoltre imbarcati e due scaricabombe per bombe di profondità.
12 novembre 1941
In mattinata Geniere, Aviere e Camicia Nera (la XI Squadriglia) lasciano Taranto per ordine di Supemarina diretti a Messina, dove devono andare a rinforzare la scorta della III Divisione Navale (incrociatori pesanti Trento e Gorizia). Navigando a 20 nodi, giungono a Messina nel tardo pomeriggio.
21 novembre 1941
Alle 8.10 il Geniere (capitano di fregata Francesco Baslini) parte da Napoli unitamente ad Aviere (capitano di vascello Luciano Bigi, caposquadriglia della XI Squadriglia, che include Geniere, Aviere e Camicia Nera), Carabiniere (capitano di fregata Giacomo Siccio), Corazziere (capitano di vascello Paolo Melodia, caposquadriglia della XII Squadriglia Cacciatorpediniere) e Camicia Nera (capitano di fregata Silvio Garino) ed agli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi (capitano di vascello Vittorio De Pace) e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi (capitano di vascello Franco Zannoni; nave di bandiera del comandante superiore in mare, ammiraglio di divisione Giuseppe Lombardi) dell’VIII Divisione, per fornire scorta indiretta a due convogli partiti da Napoli e diretti a Tripoli: il «C» (partito in due gruppi poi riunitisi in mare aperto; lo compongono le motonavi MonginevroNapoli e Vettor Pisani e la motonave cisterna Iridio Mantovani, scortate dai cacciatorpediniere Vivaldi, Pessagno, Da Noli e Turbine e dalla torpediniera Perseo) e l’«Alfa» (salpato alle 19 e composto dalle motonavi Ankara e Sebastiano Venier scortate dai cacciatorpediniere MaestraleAlfredo Oriani e Vincenzo Gioberti). Entrambi dovranno seguire la rotta di levante, passando per lo Stretto di Messina e tenendosi poi al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti d Malta (190 miglia).
Sono in mare anche due convogli diretti a Bengasi, uno (incrociatori ausiliari Città di Palermo e Città di Tunisi, scortati dal cacciatorpediniere Nicolò Zeno e Lanzerotto Malocello) partito da Taranto e l’altro (nave cisterna Berbera e torpediniera Pegaso) salpato da Brindisi. Al contempo, una motonave veloce (la Fabio Filzi) è partita anch’essa per Tripoli ma sulla rotta di ponente (per il Canale di Sicilia), con la scorta di un paio di cacciatorpediniere (oltre che di aerei: sia sui due convogli che sulla Filzi la scorta aerea dovrà essere continua, nelle ore diurne, dal 20 al 23 novembre), per non dare nell’occhio. Infine, l’incrociatore leggero Luigi Cadorna è partito da Brindisi per trasportare a Bengasi un carico di benzina, e da Tripoli prendono il mare le navi qui rimaste bloccate a inizio novembre, per rientrare in Italia.
Si tratta di una grande operazione complessa disposta per inviare in Libia, dopo la momentanea battuta d’arresto causata dalla distruzione del convoglio «Duisburg» (9 novembre 1941), i rifornimenti necessari a contrastare l’offensiva britannica «Crusader», con la quale le forze del Commonwealth stanno avanzando in Africa Settentrionale.
La VIII Divisione, insieme alla III Divisione (uscita da Napoli alle 19.30 con gli incrociatori pesanti Trento, Trieste e Gorizia, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona), dovranno fornire protezione all’intera operazione.
Per evitare che il nuovo convoglio faccia la stessa fine del «Duisburg», distrutto dalla Forza K britannica (due incrociatori leggeri e due cacciatorpediniere) nonostante la presenza della III Divisione a pochi chilometri, si è deciso che le due Divisioni non debbano tenersi a qualche chilometro dal convoglio, bensì navigare insieme al convoglio stesso, dissuadendo la Forza K dall’attaccare.
L’idea è che un tale numero di navi in movimento contemporaneamente, divise in più convogli sparsi su una vasta area, confonda e disorienti la ricognizione maltese; che i convogli finiscano col coprirsi a vicenda; che la presenza in mare della III e VIII Divisione scoraggi interventi da parte della Forza K britannica (autrice della distruzione del convoglio «Duisburg»), notevolmente inferiore per numero e potenza (incrociatori leggeri Aurora e Penelope e cacciatorpediniere Lance e Lively). L’Aeronautica, oltre alla scorta antiaerea ed antisommergibile dei convogli, effettua anche azioni di ricognizione e di bombardamento degli aeroporti di Malta. Alcuni sommergibili vengono disposti in agguato nelle acque circostanti l’isola.
L’VIII Divisione, che parte da Napoli in leggero ritardo a causa di un attacco aereo scatenatosi su Napoli proprio mentre gli incrociatori lasciavano gli ormeggi (il che ha reso necessario procedere all’annebbiamento del porto), dirige verso il convoglio «C», che è partito in precedenza. In mattinata l’VIII Divisione viene raggiunta dagli aerei di scorta, come pianificato.
Il convoglio «Alfa» è stato però avvistato da un ricognitore britannico poco dopo la partenza; a seguito dell’intercettazione di un messaggio radio britannico dal quale risulta che una forza navale britannica non è molto lontana, il convoglio viene dirottato ad Argostoli, ponendo così fine alla sua partecipazione nell’operazione.
Il convoglio «C», invece, prosegue e viene raggiunto poco dopo le 16 dalla VIII Divisione con i relativi cacciatorpediniere, Geniere compreso. Tale Divisione ne assume quindi la scorta diretta.
Quasi contemporaneamente, però, mentre le navi sono ancora a nord della Sicilia, anche il convoglio «C» e la sua scorta vengono avvistati da un aereo (un Sunderland della RAF, decollato da Malta) e da un sommergibile avversari, che segnalano a Malta la presenza di navi mercantili e navi da guerra italiane dirette verso lo stretto di Messina. Supermarina intercetta e decifra entrambi i segnali di scoperta; stante però la potente scorta di cui il convoglio gode, sia Supermarina che l’ammiraglio Lombardi decidono di proseguire, senza neanche modificare la rotta.
Alle 19.50 il convoglio e la VIII Divisione imboccano lo stretto di Messina, e poco dopo vengono raggiunti anche dalla III Divisione dell’ammiraglio Angelo Parona. (Secondo un’altra versione, Geniere, Aviere, Corazziere e Camicia Nera non sarebbero partiti da Napoli con l’VIII Divisione, bensì da Messina insieme alla III Divisione ed ad un altro cacciatorpediniere, il Bersagliere).
La VIII Divisione si posiziona in testa al convoglio, la III in coda; tutta la formazione assume direttrice di marcia lungo la costa siciliana, a 14 nodi, come ordinato. Alle 20.45 l’ammiraglio Lombardi viene informato da Supermarina che forze di superficie britanniche sono in mare, e provvede ad ordinare a tutte le unità “posto di combattimento generale”, avvisandole dell’eventualità di un incontro notturno con navi nemiche. Contemporaneamente il convoglio inizia ad essere sorvolato da ricognitori britannici, che volano sul suo cielo con qualche luce volutamente lasciata accesa, in modo da attirare il fuoco contraereo delle navi, che segnalano così, involontariamente, la direttrice di marcia del convoglio. L’ammiraglio Lombardi ordina tassativamente di non aprire il fuoco contro i ricognitori, essendo peraltro inutile, proprio per evitare di segnalare la propria posizione; ma durante la notte diverse navi, soprattutto tra quelle mercantili, si lasciano sfuggire sporadiche raffiche di mitragliera contro tali velivoli.
I ricognitori non perdono mai di vista il convoglio, aggiornando continuamente Malta sui suoi spostamenti: innumerevoli messaggi vengono intercettati e decifrati sia da Supermarina che dal comando della VIII Divisione.
Alle 21.45 la formazione assume rotta 96°, in modo da uscire prima possibile dal raggio d’azione degli aerosiluranti, e poco dopo si dispone in ordine di marcia notturna, con l’VIII Divisione a dritta e la III a sinistra. Tale cambiamento di rotta e formazione viene ordinato dall’ammiraglio Lombardi per cercare di disorientare i ricognitori; ma poco dopo ricompaiono i bengala ed i fanalini dei ricognitori, a mostrare che il convoglio non è stato perso di vista. Non passa molto, anzi, prima che inizi una serie di violenti attacchi aerei (da parte di aerosiluranti Fairey Albacore dell’828th Squadron e Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm e da bombardieri Vickers Wellington della RAF, di base a Malta); ed anche sommergibili britannici si avvicinano al convoglio per attaccarlo.
Alle 23.12 il sommergibile britannico Utmost (capitano di corvetta Richard Douglas Cayley) sente rumori di navi in posizione 37°48’ N e 15°32’ E e poco dopo avvista tre incrociatori e tre cacciatorpediniere (le navi della III Divisione) a cinque miglia di distanza, su rilevamento 275°, stimandone rotta e velocità in 110° e 20 nodi. Il sommergibile va all’attacco e lancia quattro siluri contro il Trieste, che alle 23.12 viene colpito da una delle armi, riportando danni gravissimi: rimane immobilizzato, e potrà rimettere in moto solo alle 00.38, scortato da Corazziere e Carabiniere, per trascinarsi verso Messina.
L’Utmost, mentre scoppiano le prime due bombe di profondità, si allontana verso sudest; successivamente vengono gettate altre 84 bombe di profondità, ma ormai il sommergibile si è allontanato.
22 novembre 1941
Poco dopo le 00.30, diverse unità sentono rumore di aerei, e dopo pochi secondi molti bengala iniziano ad accendersi, uno dopo l’altro, nel cielo a nord del convoglio, su rotta ad esso parallela: l’ammiraglio Lombardi ordina subito a tutte le unità di accostare a un tempo di 90° verso sud, per dare la poppa ai bengala. Si prepara infatti un attacco di aerosiluranti: Duca degli AbruzziGaribaldi e le quattro motonavi appaiono ben visibili nella luce dei bengala. L’ordine viene eseguito, ma alle alle 00.38 anche il Duca degli Abruzzi viene colpito da un siluro d’aereo, e si ferma con gravi danni.
La menomazione della forza di scorta, insieme ai continui e violenti attacchi aerei ed alla notizia della presenza in mare di forze di superficie britanniche, inducono l’ammiraglio Lombardi ad ordinare che il convoglio, accompagnato da Trento e Gorizia e dalla XI Squadriglia Cacciatorpediniere (oltre alla scorta diretta), rientri a Taranto; Supermarina conferma l’ordine. Garibaldi e XIII Squadriglia rimangono ad assistere il Duca degli Abruzzi, che riuscirà faticosamente a rientrare a Messina.
Sotto i violenti e continui attacchi aerei, le motonavi si disorientano e si disperdono: soltanto la Napoli rimane in prossimità della III Divisione. Il Geniere rimane assieme alla Napoli, ed in mattinata si aggrega ad essi anche la Vettor Pisani, rintracciata alle 9.36 dal Gorizia. Il Geniere, scortando Pisani e Napoli, giunge a Taranto alle 17 del 22, ed è così la prima unità della scorta a rientrare alla base.
La Mantovani vi arriverà qualche ora più tardi, mentre la disorientata Monginevro, che ha ricevuto gli ordini solo più tardi e mutato rotta più volte, vi arriverà soltanto il giorno seguente.
29-30 novembre 1941
Dato che tra il 28 ed il 30 novembre sono partiti, o devono partire, quattro convogli e cinque unità militari in missione di trasporto verso la Libia (piroscafi Iseo e Capo Faro e torpediniera Procione, da Brindisi a Bengasi; motonave Sebastiano Venier e cacciatorpediniere Giovanni Da Verrazzano, da Taranto a Bengasi; incrociatore ausiliario Adriatico, da Argostoli a Bengasi; nave cisterna Iridio Mantovani e cacciatorpediniere Alvise Da Mosto, da Trapani a Tripoli; cacciatorpediniere Antonio Da Noli, da Argostoli a Bengasi; cacciatorpediniere Nicolò Zeno, da Taranto a Bengasi; cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi ed Emanuele Pessagno, da Argostoli a Derna; sommergibile Pietro Micca, da Taranto a Derna) e che il rischio di attacchi navali britannici è altissimo (la Forza K, di base a Malta, ha distrutto due convogli il 9 ed il 24 novembre), viene deciso di fare uscire in mare, a protezione di tale traffico da eventuali puntate offensive di incrociatori britannici, una consistente forza di protezione consistente nella corazzata Duilio (comandante superiore in mare, ammiraglio di divisione Guido Porzio Giovanola), nella VII Divisione (AttendoloMontecuccoli e Duca d’Aosta) con la XI Squadriglia Cacciatorpediniere (AviereGeniereCamicia Nera) e nella VIII Divisione (il solo incrociatore leggero Giuseppe Garibaldi, più due cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, mentre il resto di tale squadriglia accompagna la Duilio).
La VII Divisione (ammiraglio di divisione Raffaele De Courten) e la XI Squadriglia (Geniere compreso), punta avanzata della formazione italiana, salpano da Taranto a mezzogiorno (od alle 13) del 29, e si dislocano a metà strada tra Taranto e Bengasi, mentre DuilioGaribaldi e XIII Squadriglia (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino) salpano da Taranto nel pomeriggio dello stesso giorno, a sostegno della VII Divisione.
Nel pomeriggio dello stesso 29 novembre, alle 17.05, il sommergibile britannico P 31 (poi Uproar, al comando del tenente di vascello John Bertram de Betham Kershaw) sente rumore di navi in movimento a nord-nord-est mentre è immerso in posizione 39°20’ N e 17°33’ E (nel Golfo di Taranto), si porta a quota periscopica ed avvista la VII Divisione. Alle 17.19 il P 31 lancia quattro siluri contro l’Attendolo, seconda unità della fila; l’incrociatore avvista tuttavia le armi, e le evita con un’improvvisa accostata a sinistra, subito imitata dal Montecuccoli, che lo segue in formazione (le scie dei siluri vengono viste passare a dritta del Montecuccoli, tra i due incrociatori). Però la formazione italiana, diretta a sud, è stata scoperta dai britannici. Questi ultimi, d’altra parte, apprendono del cospicuo traffico navale italiano anche mediante decrittazioni di “ULTRA” relative ai convogli in partenza.
Da Malta, pertanto, il mattino del 30 novembre prendono il mare con l’obiettivo di intercettare i convogli italiani l’ormai famigerata Forza K (capitano di vascello William Gladstone Agnew), costituita dagli incrociatori leggeri Aurora (nave di bandiera del comandante Agnew) e Penelope e dal cacciatorpediniere Lively, e la Forza B (contrammiraglio Rawlings), formata dagli incrociatori leggeri Ajax e Neptune e dai cacciatorpediniere Kingston e Kimberley. Per tutta la giornata del 30, aerei britannici tengono sott’occhio sia i mercantili diretti a Bengasi che le navi da guerra italiane, nonostante la scorta aerea con caccia della Regia Aeronautica.
Nemmeno l’uscita in mare delle navi britanniche sfugge alle forze italiane, grazie al loro avvistamento dapprima da parte del sommergibile Tricheco e poi di ricognitori dell’Aeronautica, pertanto Supermarina ordina alla VII Divisione di tenersi ad immediato contatto con la motonave Venier, la più importante tra quelle in mare ad est di Malta ed esposte al pericolo dell’incursione navale britannica. Così viene fatto, e per tutta la giornata la Divisione si tiene tra la Venier e le unità britanniche in avvicinamento.
Ma la sfortuna si accanisce contro i piani italiani: nel pomeriggio del 30 il Garibaldi viene colto da una grave avaria alle caldaie, che lo lascia immobilizzato. Dopo alcune ore, dato che il problema non è ancora risolto (sebbene il Garibaldi abbia ripreso a navigare) e c’è rischio di un attacco contro l’incrociatore in difficoltà, l’ammiraglio Porzio Giovanola ripiega verso est con DuilioGaribaldi e XIII Squadriglia. Alle 17.45 Supermarina, dato che la sola VII Divisione si troverebbe in condizioni di inferiorità numerica alle Forze B e K qualora si dovessero riunire, ordina a tutta la forza di copertura, compresa la VII Divisione, di rientrare a Taranto. Qui VII Divisione e XI Squadriglia giungono alle 11.20 del 1° dicembre, non prima di aver scampato un grave pericolo: alle 4.37, in posizione 39°08’ N e 17°31’ E (nel Golfo di Taranto), essa è stata avvistata dal sommergibile Upholder (capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn), mentre procedeva con rotta 030°. Immersosi alle 4.47 (due minuti dopo che la VII Divisione, compiendo una manovra a zig zag, ha accostato proprio nella sua direzione), il sommergibile ha lanciato quattro siluri alle 5.01 contro l’incrociatore di poppa, da 915 metri, senza colpire.
La Forza K intercetterà ed affonderà l’Adriatico, il Da Mosto e la Mantovani.
13 dicembre 1941
Il Geniere salpa da Taranto alle 19.40 insieme ai gemelli Carabiniere, Corazziere, Aviere, Ascari e Camicia Nera (per altra versione Geniere, Corazziere e Carabiniere sarebbero partiti più tardi, separatamente dal resto del gruppo), agli incrociatori leggeri Attendolo e Duca d’Aosta (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten, comandante la VII Divisione) ed alla corazzata Andrea Doria, nell’ambito dell’operazione di traffico «M. 41».
Dopo le gravi perdite subite dai convogli diretti in Libia nelle settimane precedenti, le forze italo-tedesche in Nordafrica si trovano in situazione di grave carenza di rifornimenti proprio mentre è in corso una nuova offensiva britannica, l’operazione «Crusader», ed urge rifornirle.
Con la «M. 41», Supermarina intende inviare a Tripoli e Bengasi tutti i mercantili già carichi presenti nei porti dell’Italia meridionale, mobilitando per la loro protezione, diretta e indiretta, pressoché tutta la flotta in condizioni di efficienza.
Sono previsti tre convogli: l’«A», da Messina a Tripoli, formato dalle moderne motonavi Fabio FilziCarlo Del Greco scortate dai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco ed Antoniotto Usodimare (poi dirottato su Taranto per unirsi da subito all’«L» ma distrutto durante tale percorso dal sommergibile britannico Upright); l’«L», da Taranto per Tripoli, formato dalle motonavi MonginevroNapoli e Vettor Pisani scortate dai cacciatorpediniere Freccia ed Emanuele Pessagno (con a bordo il contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone) e dalla torpediniera Pegaso; e l’«N», da Navarino ed Argostoli per Bengasi, costituito dai piroscafi Iseo e Capo Orso e dai cacciatorpediniere Turbine e Strale, cui si devono aggiungere la motonave tedesca Ankara, il cacciatorpediniere Saetta e la torpediniera Procione provenienti da Argostoli.
Ogni convoglio deve fruire della protezione di una forza navale di sostegno, che di giorno si terrà in vista dei trasporti e di notte a stretto contatto con essi. AttendoloDuca d’Aosta e Doria, più i relativi cacciatorpediniere, sono assegnati alla protezione del convoglio «N», mentre gli altri due convogli saranno protetti dalla corazzata Duilio (nave ammiraglia dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini) e da un’eterogenea VIII Divisione composta per l’occasione dagli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi (nave di bandiera dell’ammiraglio Giuseppe Lombardi, comandante della VIII Divisione) e Raimondo Montecuccoli e dall’incrociatore pesante Gorizia (con a bordo l’ammiraglio di divisione Angelo Parona).
Infine, a tutela dell’intera operazione contro un’eventuale uscita in mare delle corazzate della Mediterranean Fleet, prende il mare la IX Divisione Navale (ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare) con le moderne corazzate Littorio e Vittorio Veneto, scortate dalla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (GranatiereBersagliereFuciliereAlpino). Queste navi si dovranno posizionare nel Mediterraneo centrale.
A completamento dello schieramento, un gruppo di sommergibili viene dislocato nel Mediterraneo centro-orientale con compiti esplorativi ed offensivi; è inoltre previsto un imponente intervento della Regia Aeronautica.
Per via della carenza di navi scorta e del tempo necessario a reperirne, l’operazione, inizialmente prevista per il 12 dicembre, viene posticipata di un giorno.
Nel tardo pomeriggio del 13, quando i convogli sono già in mare, la ricognizione aerea comunica a supermarina che una consistente forza britannica, comprensiva di corazzate ed incrociatori (in realtà sono solo quattro incrociatori leggeri: i ricognitori hanno grossolanamente sovrastimato la composizione e potenza della forza avvistata), si trova tra Tobruk e Marsa Matruh, diretta verso ovest. La somma delle forze italiane in mare è complessivamente superiore, ma si trova divisa in gruppi tra loro distanziati e vincolati a convogli lenti e poco manovrieri; per questo, alle ore 20 Supermarina decide di sospendere l’operazione, ed i convogli ricevono ordine di rientrare. Ciò non basterà ad evitare danni.
14 dicembre 1941
Alle nove del mattino, il sommergibile britannico Urge silura la Vittorio Veneto, danneggiandola gravemente. Il Geniere, insieme ad Aviere, Carabiniere e Camicia Nera, nonché a Vivaldi e Da Noli della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere ed alle torpediniere Lince ed Aretusa, viene inviato a rafforzare la scorta della corazzata danneggiata (che è in grado di sviluppare una velocità di 21 nodi, poi portata a 23,5).
Durante la navigazione si verificano altri allarmi per sommergibili e si ha anche l’erronea impressione che un gruppo di aerosiluranti si stia dirigendo verso la IX Divisione, ma non alla fine non succede niente.
Durante la navigazione nel Golfo di Taranto, la scorta viene ulteriormente ingrossata da altre siluranti distaccate da Supermarina via via che si liberano dalla scorta dei convogli e gruppi di sostegno: all’originaria XIII Squadriglia Cacciatorpediniere si aggiungono alle 10.50 i cacciatorpediniere MaestraleAlfredo Oriani e Vincenzo Gioberti della X Squadriglia e Corazziere, provenienti da Taranto; alle 17 raggiungono la Vittorio Veneto il Geniere, l’Aviere, il Carabiniere, il Camicia Nera, il Vivaldi ed il Da Noli, mentre le torpediniere Centauro e Clio lasciano la scorta e raggiungono Messina.
Vittorio Veneto e scorta raggiungono Taranto alle 23.15.
27 dicembre 1941
Il sergente torpediniere del Geniere Loris Canova (28 anni, da San Benedetto Po) muore in territorio metropolitano.
3 gennaio 1942
Il Geniere salpa da Taranto alle 18.50, facendo parte del gruppo di appoggio per l’operazione di rifornimento «M. 43», che prevede l’invio a Tripoli di cinque grandi motonavi da carico (Gino Allegri, Lerici, Monviso, Monginevro e Nino Bixio) ed una petroliera (Giulio Giordani), tutte veloci (almeno 14 nodi) e di recente costruzione, con fortissima scorta. Il gruppo di appoggio (Gruppo «Littorio»), al comando dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare, comprende le corazzate Littorio (nave ammiraglia di Iachino), Giulio Cesare ed Andrea Doria (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Guido Porzio Giovanola, comandante della V Divisione), gli incrociatori pesanti Trento e Gorizia (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona, comandante della III Divisione) ed i cacciatorpediniere Geniere, Ascari, Carabiniere, Aviere, Alpino, Camicia Nera, Pigafetta e Da Noli. Il Geniere, insieme ad Aviere e Camicia Nera, accompagna gli incrociatori della III Divisione (Trento e Gorizia).
Oltre al gruppo di appoggio, il cui compito è proteggere il convoglio da un eventuale attacco in forze della Mediterranean Fleet, esce in mare anche una forza di «scorta diretta incorporata nel convoglio» (ammiraglio di squadra Carlo Bergamini, con il compito di respingere eventuali attacchi di formazioni leggere di superficie come la Forza K), composta dalla corazzata Duilio con gli incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, Raimondo Montecuccoli, Muzio Attendolo e Giuseppe Garibaldi ed i cacciatorpediniere Maestrale, Scirocco, Alfredo Oriani e Vincenzo Gioberti. Alla scorta aerea concorrono la Regia Aeronautica (Armata Aerea e Ricognizione Marittima) e la Luftwaffe (II Corpo Aereo Tedesco e X Corpo Aereo Tedesco, di base l’uno in Sicilia e l’altro in Grecia) per effettuare ricognizione sul porto della Valletta (Malta) e nelle acque di Alessandria, bombardamenti preventivi sugli aeroporti maltesi e scorta di caccia, antiaerosilurante ed antisommergibile sui cieli del convoglio nonché a protezione delle navi impegnate nello scarico una volta giunte a Tripoli. Completa il dispositivo di difesa la dislocazione di undici sommergibili sulle probabili rotte che una ipotetica forza navale nemica dovrebbe percorrere per attaccare il convoglio.
I mercantili sono inizialmente divisi in tre convogli: il numero 1 (motonavi Monginevro, Lerici e Nino Bixio, cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi, Nicoloso Da Recco, Antoniotto Usodimare, Bersagliere e Fuciliere) parte da Messina alle 10.15; il 2 (motonave Monviso, motocisterna Giulio Giordani, torpediniere Orsa, Aretusa, Castore ed Antares) salpa da Taranto alle 15.06; il 3 (motonave Gino Allegri, cacciatorpediniere Freccia, torpediniera Procione) lascia Brindisi alle 13.15.
La sera stessa del 3 la corazzata Andrea Doria deve tornare a Taranto a causa del riscaldamento di un cuscinetto, ma l’operazione prosegue secondo i piani.
4 gennaio 1942
Tra le 4 e le 11, come previsto, i tre convogli si riuniscono a formare un unico grande convoglio, il cui caposcorta è il contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone, sul Vivaldi. Mentre il convoglio «Allegri» si unisce al Gruppo «Duilio», la III Divisione Navale (Trento e Gorizia) del gruppo d’appoggio viene avvistata da un ricognitore britannico; da Malta decolla una formazione aerea per attaccare, ma deve rientrare senza essere riuscita a trovare il convoglio. Al tramonto il gruppo «Duilio» s’incorpora nella formazione del convoglio, che durante la notte mette la prua su Tripoli.
Alle 18.45 il gruppo «Littorio», essendo calato il buio e divenuto improbabile l’intervento di navi di superficie britanniche, assume rotta 20° per rientrare a Taranto.
5 gennaio 1942
Tra le 14.53 e le 14.58 il sommergibile britannico Unique (tenente di vascello Anthony Foster Collett) avverte rumori di navi su rilevamento 140°, dopo di che avvista in successione alberature di una nave su rilevamento 130° e poi diverse altre unità, in posizione 40°07’ N e 17°07’ E (nel Golfo di Taranto); alle 15 vengono avvistate una corazzata, un incrociatore ed alcuni cacciatorpediniere. Si tratta del gruppo «Littorio».
Dopo aver temporaneamente perso l’assetto alle 15.05, mentre cercava di portarsi a quota periscopica, l’Unique deve scendere a 15 metri perché un cacciatorpediniere appare molto vicino, ma alle 15.24 ritorna a quota periscopica, ed alle 15.30 lancia quattro siluri. La posizione di lancio non è molto favorevole, ed infatti nessuna delle armi raggiunge il bersaglio.
Alle 17 il gruppo «Littorio» giunge a Taranto. Il convoglio, intanto, è arrivato a Tripoli senza aver subito alcun attacco.

Il Geniere in navigazione ad alta velocità a inizio 1942 (Giuseppe Pianese via www.naviearmatori.net)

22 gennaio 1942
Il Geniere salpa da Messina alle otto insieme al resto del gruppo «Vivaldi» (formato da Geniere, Aviere e Camicia Nera, che formano la XI Squadriglia Cacciatorpediniere, dai cacciatorpediniere Vivaldi, Da Noli e Malocello della XIV Squadriglia e dalle torpediniere Orsa e Castore) cui è stata assegnatala scorta delle motonavi da carico Monviso e Vettor Pisani, dirette a Tripoli nell’ambito dell’operazione di traffico «T. 18», consistente nell’invio in Libia di 15.000 tonnellate di rifornimenti, 97 carri armati, 271 autoveicoli e 1467 uomini.
Nello stretto di Messina si uniscono al convoglio altre due moderne motonavi, la Monginevro e la Ravello, provenienti da Napoli; il gruppo «Vivaldi» (al comando del contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone) assume la scorta diretta delle quattro navi. Da Taranto escono in mare anche la quinta nave del convoglio, il grande trasporto truppe Victoria, ed i due gruppi di scorta indiretta: l’«Aosta» (ammiraglio di divisione Raffaele De Courten, partito alle 11) con gli incrociatori leggeri della VII Divisione (Emanuele Filiberto Duca d’AostaRaimondo MontecuccoliMuzio Attendolo) e la XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (BersagliereCarabiniereFuciliereAlpino) ed il «Duilio» (ammiraglio di squadra Carlo Bergamini, partito alle 17 insieme alla Victoria) con la corazzata Duilio e la XV Squadriglia Cacciatorpediniere (Antonio PigafettaAlfredo OrianiAscariScirocco).
A protezione dell’operazione, nove sommergibili sono dislocati ad est di Malta e tra Creta e l’Egitto; la Regia Aeronautica e la Luftwaffe danno il loro contributo con aerei da caccia (sempre presenti, nelle ore diurne, sul cielo del convoglio), da ricognizione ed antisommergibile.
Poco dopo la partenza la Ravello, colta da avaria al timone, è costretta a tornare in porto; il resto del convoglio prosegue e si unisce al gruppo «Aosta» nel pomeriggio del 22.
23 gennaio 1942
Alle 15, con un certo ritardo ma approssimativamente nel punto prestabilito, il convoglio si unisce anche al gruppo «Duilio»; le motonavi si dispongono su due colonne e la Victoria, divenuta nave capo convoglio, si pone in testa alla colonna sinistra, mentre il gruppo «Vivaldi» si posiziona attorno ai mercantili ed i due gruppi «Duilio» e «Aosta» si dispongono sui fianchi del convoglio.
Le navi seguono rotte che passano a 190 miglia da Malta, distanza che dovrebbe essere maggiore del raggio operativo degli aerosiluranti di base a Malta ed in Cirenaica, 180 miglia; la sera del 23 dovranno poi accostare verso Tripoli, mantenendo rotta tangente al cerchio di 190 miglia di raggio con centro Malta. In realtà, 190 miglia sono divenute una distanza insufficiente, perché l’autonomia degli aerosiluranti britannici è aumentata rispetto al passato e perché ora gli aerei possono decollare da nuove basi cirenaiche, più avanzate di quanto ritenuto dai comandi italiani, conquistate dai britannici con l’operazione «Crusader».
Già dal giorno precedente, però, i comandi britannici sono a conoscenza dei movimenti italiani: sommergibili in agguato nel golfo di Taranto hanno infatti segnalato il passaggio del gruppo «Aosta», e nella serata e notte successive ricognitori hanno individuato e pedinato il gruppo «Duilio».
Dopo la riunione, il convoglio, che procede a 14 nodi sotto la protezione di nove Junkers Ju 88 della Luftwaffe, continua ad essere tallonato dai ricognitori: alle 15.50 uno di essi viene avvistato 20.000 metri ad est della formazione. Ai ricognitori seguono gli attacchi aerei: il primo si verifica alle 16.16, quando la Victoria viene mancata da alcune bombe di piccolo calibro; poco dopo altre bombe di maggior calibro sono sganciate contro il gruppo «Aosta» ma ancora senza risultato, grazie anche alla rabbiosa reazione contraerea delle navi.
Su richiesta dell’ammiraglio Bergamini, la scorta aerea viene rinforzata con altri tre Ju 88 del II Corpo Aereo Tedesco.
Alle 17.25 il convoglio viene nuovamente attaccato da tre aerosiluranti, provenienti dalla direzione del sole: le torpediniere (che si trovano su quel lato) aprono contro di essi un intenso tiro, così che i velivoli, giunti a circa un chilometro dalla scorta (e tre dalla Victoria), scaricano in mare le loro armi, cabrano ed invertono la rotta (uno di essi sarà poi abbattuto dagli Ju 88 della scorta aerea). Dapprima le navi italiane pensano che i velivoli fossero bombardieri: solo quando il Vivaldi avvista le scie dei siluri ci si accorge della realtà. Alle 17.31 la Victoria viene colpita a poppa da un siluro e rimane immobilizzata. AviereAscari e Camicia Nera si fermano per dare assistenza alla nave danneggiata, mentre il resto del convoglio prosegue sulla sua rotta. Due nuovi attacchi di aerosiluranti, alle 18.40 ed alle 18.45, daranno il colpo di grazia alla Victoria, che affonderà alle 19 con la perdita di 391 dei 1455 uomini a bordo.
Il resto del convoglio continua scortato dai gruppi «Vivaldi» ed «Aosta»; a notte fatta il gruppo «Duilio» si sposta invece a nord del 36° parallelo ed ad est del 19° meridiano per proteggere il convoglio da eventuali attacchi di navi di superficie provenienti dal Mediterraneo Orientale. A partire dalle 21.44 si scatena un crescendo di nuovi attacchi aerei sul convoglio: le navi vengono illuminate con bengala e fuochi galleggianti al cloruro di calcio, bombardate, fatte oggetto del lancio di siluri, ma la reazione del fuoco contraereo, le manovre evasive e l’emissione di cortine nebbiogene permettono di evitare tutti i siluri e sventare ogni attacco senza danni.
24 gennaio 1942
Alle 7.30 il convoglio viene raggiunto dalle torpediniere Calliope e Perseo, venute ad esso incontro da Tripoli; cinque minuti dopo il gruppo «Aosta» lascia la scorta come previsto, e dopo altri cinque minuti sopraggiunge la scorta aerea con caccia e ricognitori della Regia Aeronautica.
Alle 8.24 il sommergibile britannico P 36 (tenente di vascello Harry Noel Edmonds) avvista prima gli alberi e poi le navi del convoglio in posizione 32°50’ N e 14°20’ E (a nord di Homs, sulla costa libica); avvicinatosi ad alta velocità fino a 4110 metri, lancia una salva di quattro siluri contro i mercantili di testa, per poi scendere a 40 metri ed allontanarsi su rotta opposta a quella del convoglio.
Alle 9 uno dei caccia di scorta spara delle raffiche di mitragliera contro il mare, segnalando la presenza del sommergibile 4-5 km a dritta del convoglio: il contrammiraglio Nomis di Pollone ordina un’accostata d’urgenza sulla sinistra, che permette alla Monviso di evitare di pochissimo un siluro. Geniere (capitano di fregata Baslini), Castore (capitano di corvetta Congedo) e Malocello (capitano di fregata Leoni), insieme ad un ricognitore CANT Z. 501 della 196a Squadriglia, contrattaccano con bombe di profondità (una trentina in tutto); al termine della caccia si vedrà sulla superficie una chiazza di nafta, ma in realtà nessuna bomba è esplosa vicina ed il sommergibile non ha subito danni.
Alle 14.15 il convoglio entra a Tripoli; alle 18 Geniere, Ascari, Aviere, Camicia Nera, Vivaldi e Malocello ripartono per tornare in Italia.
14 febbraio 1942
Il Geniere, insieme ad Aviere, Ascari e Camicia Nera (che col Geniere formano la XI Squadriglia Cacciatorpediniere) ed agli incrociatori pesanti Trento e Gorizia (III Divisione, al comando dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona, con bandiera sul Gorizia), salpa da Messina alle 23.15 per partecipare all’operazione «M.F. 5» a contrasto dell’invio di un convoglio britannico (convoglio «M.W. 9», formato dai piroscafi Clan Chattan, Clan Campbell e Rowallan Castle scortati dall’incrociatore leggero Penelope e da sei cacciatorpediniere della Forza K) da Alessandria a Malta. Qualche ora prima, sono salpati da Taranto per lo stesso motivo anche la corazzata Duilio (nave di bandiera dell’ammiraglio Carlo Bergamini), la VII Divisione (incrociatori leggeri Montecuccoli e Duca d’Aosta, al comando dell’ammiraglio Raffaele De Courten) e le Squadriglie Cacciatorpediniere VIII (Folgore, Freccia, Saetta) e XIII (CarabiniereBersagliereFuciliereAlpino).
È previsto che le due divisioni di incrociatori si riuniscano alle otto del mattino seguente in un punto situato 70 miglia ad est di Malta (successivamente spostato 40 miglia più a sud, a seguito di ordine delle 20.20), seguite a dieci miglia dalla Duilio con l’VIII Squadriglia. La formazione, che gode della scorta aerea di velivoli da caccia della Luftwaffe, dovrebbe intercettare ed attaccare il convoglio britannico in navigazione verso Malta. è prevista un’estesa e precisa ricognizione aerea per guidare la formazione navale, nonché crociere d’interdizione di caccia Reggiane Re 2000 dell’Aeronautica della Sicilia dirette contro le provenienze da Malta verso est, ed intensificazione dei bombardamenti su Malta, a copertura dell’operazione.
Già alle 19.55, tuttavia, la Duilio e la VIII Squadriglia ricevono ordine di rientrare in porto. Supermarina, infatti, ha appurato che non ci sono corazzate britanniche in mare (difatti la Mediterranean Fleet non ha più una sola corazzata efficiente da dicembre, quando le ultime due sono state poste fuori uso ad Alessandria dagli incursori della X MAS), pertanto l’impiego della Duilio è ritenuto superfluo. La III e VIII Divisione, invece, vengono fatte proseguire.
15 febbraio 1942
III e VII Divisione si riuniscono verso le 9.20, formando un’unica formazione sotto il comando dell’ammiraglio De Courten, che dirige su rotta 180° a 20 nodi di velocità.
I primi velivoli della scorta aerea sono arrivati alle 7.15, e resteranno sul cielo delle navi, senza interruzioni, fino alle 16.
Supermarina ritiene che siano in mare non uno ma due convogli diretti verso Malta: uno, in posizione più avanzata, di due piroscafi con 1-2 incrociatori e 5-6 cacciatorpediniere, ed un altro più arretrato con tre piroscafi (uno dei quali in avaria) e cinque navi di scorta, compresi forse due incrociatori. In realtà soltanto il convoglio «M.W. 9» è diretto a Malta: non esiste un secondo convoglio.
Verso le otto del mattino Supermarina, sulla base degli avvistamenti da parte di un gruppo di S-Boote tedesche in agguato ad est di Malta, giunge alla conclusione che il convoglio più avanzato non sia più intercettabile, perché ormai quasi arrivato a destinazione (non è così); il secondo convoglio, benché intensamente cercato dai ricognitori, non viene trovato (perché non esiste).
In realtà, il convoglio «M.W. 9» ha già cessato di esistere a causa dei ripetuti attacchi aerei italo-tedeschi: dei tre mercantili del convoglio, il Clan Campbell, troppo danneggiato per proseguire, si è dovuto rifugiare a Tobruk, mentre Clan Chattan e Rowallan Castle sono stati affondati.
Alle 18.30 la formazione comprendente la III e VII Divisione riceve ordine di rientrare alla base, seguendo rotte che la tengano sempre ad almeno 180 miglia da Malta.
16 febbraio 1942
Alle 4.44 l’accensione di alcuni bengala annuncia l’arrivo di un attacco aereo diretto contro la formazione di De Courten, comunque già preannunciato da intercettazioni di comunicazioni radio britanniche; viene subito iniziata l’emissione di cortine nebbiogene. Alle 5.30 ha luogo un attacco di aerosiluranti; grazie alle cortine nebbiogene ed alle pronte manovre di tutte le navi della formazione, che impediscono ai piloti nemici di determinare correttamente i dati necessari al lancio, nessuna nave viene colpita. Alle 5.57 si spengono gli ultimi bengala.
Alle 7 sopraggiungono i primi aerei tedeschi per ricominciare la scorta aerea; alle 7.25 le due Divisioni si separano, scambiandosi le squadriglie di cacciatorpediniere (Geniere e XI Squadriglia si trovano così ad accompagnare la VII Divisione anziché la III).
VII Divisione e XI Squadriglia entrano a Taranto alle 17.45, dopo una navigazione priva di eventi di rilievo.
Durante questa missione, il 15 febbraio, è morto a bordo del Geniere, nel Mediterraneo Centrale, il marinaio cannoniere Silvio Margiore, di ventun anni, da Napoli.
21 febbraio 1942
Alle 16 il Geniere parte da Taranto insieme ai gemelli Aviere (caposquadriglia), Ascari e Camicia Nera ed alla corazzata Duilio (nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini, comandante superiore in mare), formando il gruppo «Duilio», uno dei due gruppi di scorta indiretta previsti nell’ambito dell’operazione di traffico «K. 7».
Tale operazione vede l’invio in Libia di due convogli, uno salpato da Messina alle 17.30 (motonavi MonginevroRavello ed Unione, cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi – nave ammiraglia del contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone, caposcorta –, Lanzerotto MalocelloNicolò ZenoPremuda e Strale e torpediniera Pallade) e l’altro da Corfù alle 13.30 (motonavi Lerici e Monviso, nave cisterna Giulio Giordani, cacciatorpediniere Antonio Pigafetta – caposcorta, capitano di vascello Enrico Mirti della Valle –, Emanuele PessagnoAntoniotto UsodimareMaestrale e Scirocco e torpediniera Circe). Oltre al gruppo «Duilio», c’è un secondo gruppo di scorta indiretta, il gruppo «Gorizia», formato dagli incrociatori pesanti Trento e Gorizia (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona), dall’incrociatore leggero Giovanni delle Bande Nere e dai cacciatorpediniere Alpino (caposquadriglia), Alfredo Oriani ed Antonio Da Noli.
I convogli dirigono verso Tripoli seguendo rotte che passano a circa 190 miglia da Malta.
22 febbraio 1942
All’alba del 2 il gruppo «Duilio» raggiunge il convoglio n. 1 (già raggiunto, alle 23.15 della sera precedente, dal gruppo «Gorizia»), seguendolo a breve distanza.
Intorno alle 12.45 (per altra versione, verso le dieci), 180 miglia ad est di Malta, i convogli 1 e 2 si riuniscono; il convoglio n. 2 si accoda – con una manovra piuttosto lenta – al convoglio n. 1. La formazione (di cui è caposcorta l’ammiraglio Nomis di Pollone) assume rotta 184° e velocità 14 nodi; sin dalla prima mattina (e fino alle 19.45) volano sul suo cielo aerei tedeschi Junkers Ju 88 e Messerschmitt Bf 110 decollati dalla Sicilia per la sua scorta.
Dalle prime ore del mattino (precisamente, dalle 7.25) compaiono anche ricognitori britannici, che segnalano il convoglio agli aerei di base a Malta; tra le 14 e le 16 si verifica un attacco aereo, che i velivoli della Luftwaffe respingono, abbattendo tre degli aerei attaccanti ed impedendo agli altri di portare a fondo l’attacco (tranne un Boeing B 17 che lancia delle bombe di piccolo calibro contro la Duilio, senza colpirla). Quando l’ammiraglio Bergamini chiede altri aerei mediante il collegamento radio diretto, la richiesta viene prontamente soddisfatta.
La sera del 22, in base agli ordini ricevuti, il gruppo «Duilio» lascia i convogli, che proseguono con la scorta diretta ed il gruppo «Gorizia», e dirige per il rientro alla base.
23 febbraio 1942
Il gruppo «Duilio» giunge a Taranto all’1.40.
I convogli, nel frattempo, sono giunti indenni a Tripoli tra le 16 e le 16.40 del 23, portando a destinazione in tutto 113 carri armati, 575 automezzi, 405 uomini e 29.517 tonnellate di rifornimenti.
7 marzo 1942
Alle 18.30 Geniere, Aviere (caposquadriglia), Ascari, Oriani e Scirocco salpano da Taranto insieme agli incrociatori leggeri Eugenio di Savoia, Montecuccoli e Garibaldi (nave ammiraglia) formando il gruppo scorta dei tre convogli in mare tra Italia e Libia nell'ambito dell'operazione di traffico «V 5».
Successivamente lo Scirocco viene distaccato a sostituire la torpediniera Aretusa, una delle unità di scorta al convoglio numero 1, salpato da Brindisi per Tripoli alle 12.30 con le motonavi Nino BixioReginaldo Giuliani, il cacciatorpediniere caposcorta Antonio Pigafetta, del capitano di vascello Mirti della Valle, ed appunto l’Aretusa.
Alle 19.20 il convoglio 1 si riunisce con il numero 2, proveniente da Messina con la motonave Gino Allegri scortata di cacciatorpediniere Bersagliere ed Antonio Da Noli, formando così un unico convoglio. Le navi seguono rotte costiere, a 15 nodi, sino a Santa Maria di Leuca, poi proseguono per meridiano sino all’imbocco del Golfo della Sirte, quando assumono rotta per Tripoli.
8 marzo 1942
Alle 7.30 si riunisce al convoglio principale (che si trova in quel momento a 190 miglia da Leuca) anche il convoglio numero 3, costituito dalla motonave Monreale (salpata da Napoli) scortata dai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi e Fuciliere e dalle torpediniere Circe e Castore. Caposcorta dell’intero convoglio, che è formato alle 8.30, è il Pigafetta.
Alle 9.45 il convoglio viene raggiunto anche dal gruppo di scorta dell’ammiraglio De Courten, che comprende anche il Geniere.
Il convoglio procede verso sud a 15 nodi, seguendo una rotta che lo porti a passare a circa 190 miglia da Malta; sin dalla prima mattina è presente una scorta aerea con due bombardieri italiani CANT Z. 1007 e sei tra Junkers Ju 88 e Messerschmitt Bf 110 tedeschi. Durante la navigazione diurna il gruppo di scorta naviga di poppa al convoglio, mentre con il crepuscolo riduce le distanze fino ad “incorporarsi” ad esso.
9 marzo 1942
Giunte le navi al largo di Ras Cara, a giorno fatto, il gruppo di scorta lascia il convoglio e si posiziona in modo da coprirlo da eventuali, ancorché improbabili, attacchi di navi di superficie.
Alle 7.30 il convoglio ne incrocia un altro partito da Tripoli alle 21 della sera precedente (lo compongono le motonavi UnioneLerici e Ravello e la petroliera Giulio Giordani, con la scorta del cacciatorpediniere Strale e delle torpediniere Cigno e Procione) per tornare in Italia: come pianificato in precedenza, Pigafetta e Scirocco lasciano la scorta del convoglio diretto a Tripoli (che vi giungerà indenne in serata) per unirsi a quella del convoglio di ritorno. Anche il gruppo «Garibaldi» di De Courten assume la scorta di tale convoglio.
Durante la mattinata i decrittatori imbarcati sul Garibaldi avvisano che la formazione italiana è stata avvistata da aerei britannici, che inviano vari messaggi sulla sua posizione; l’ammiraglio De Courten, ritenendo prossimi degli attacchi da parte di aerei decollati da Malta, ordina al convoglio ed al gruppo di scorta di dirottare verso est per allontanarli dall’isola.
Ma gli aerei attaccanti, degli aerosiluranti Bristol Beaufort decollati proprio da Malta, riescono egualmente a raggiungere il convoglio, e lo attaccano tra le 16.40 e le 17.20, in un momento in cui la scorta aerea (presente sulle navi in maniera pressoché continua) è molto ridotta. L’attacco fallisce però completamente: nessuna nave è danneggiata.
Da Alessandria, in seguito all’errata notizia che uno degli incrociatori leggeri italiani sarebbe stato silurato e danneggiato dai Beaufort, esce per intercettarlo una formazione al comando del viceammiraglio Philip Vian. Le navi britanniche non solo non troveranno nulla, ma subiranno anche, durante la navigazione di rientro, la perdita dell’incrociatore leggero Naiad, ammiraglia di Vian, affondato dal sommergibile tedesco U 565.
Nella notte seguente il convoglio (al quale si è di nuovo “incorporato” il gruppo scorta) viene più volte sorvolato da bengalieri che la illuminano a più riprese tra l’una e le tre richiamando gli aerei di base nella Marmarica, ma di nuovo non si subiscono danni: il primo gruppo di aerei inviati all’attacco non riesce a trovare, nel buio, le navi italiane; del secondo, composto da 20 bombardieri Vickers Wellington, solo in tre rintracciano il convoglio, ma nemmeno le loro bombe vanno a segno.
10 marzo 1942
I ricognitori nemici sono sempre presenti, ma non si verificano altri attacchi aerei. Alle 17.30 la scorta è rinforzata dalla torpediniera Aretusa.
Alle 22 il gruppo scorta di De Courten, Geniere compreso, raggiunge Taranto, mentre i mercantili del convoglio, che si sono divisi in due gruppi, raggiungono Brindisi e Taranto nelle ore seguenti.
22 marzo 1942
Alle 2.50 il Geniere lascia Taranto insieme al cacciatorpediniere Scirocco per unirsi alla squadra italiana (corazzata Littorio, incrociatori pesanti Trento e Gorizia, incrociatore leggero Giovanni delle Bande Nere e cacciatorpediniere AviereAlpinoAscariBersagliereFuciliereGrecaleLanciere ed Oriani) uscita in mare da Taranto e Messina nelle ore precedenti per intercettare un convoglio britannico diretto a Malta (l’«MW. 10», con la cisterna militare Breconshire ed i piroscafi Clan CampbellPampas e Talbot scortati dagli incrociatori leggeri DidoEuryalusCleopatra e Carlisle e dai cacciatorpediniere HastyHavockHeroSikhZuluLivelyJervisKelvinKingstonKiplingAvon ValeDulvertonBeaufortEridgeSouthwold e Hurworth), operazione sfociata nell’inconclusiva seconda battaglia della Sirte. Il Geniere, al pari dello Scirocco, sarebbe dovuto partire alle 00.30 insieme ad altri quattro cacciatorpediniere – AviereAscariOriani e Grecale, della XI Squadriglia – per scortare la Littorio (gruppo «Littorio», mentre le altre navi formano il gruppo «Gorizia», partito da Messina), ma non è potuto salpare insieme al resto della squadra perché in ritardo sull’approntamento, a causa di un’avaria alla trasmissione del timone. Risultando però pronto a muovere in 24 ore, gli è stato ordinato di partire appena possibile per unirsi alle navi già in mare; gli ordini sono di navigare insieme allo Scirocco e seguire le rotte della Littorio a 28 nodi di velocità.
Questo suo ritardo di circa tre ore, insieme alla velocità moderata mantenuta per tutta la navigazione, impedisce al Geniere di raggiungere la formazione italiana prima che il combattimento sia terminato; per questo, alle 18.41 (quando la battaglia volge al termine), anche il Geniere, senza neppure essersi ricongiunto con il grosso delle forze italiane, riceve ordine dall’ammiraglio Iachino (comandante superiore in mare) di invertire la rotta (dirigendo quindi verso nord) e tornare a Taranto, insieme allo Scirocco: è infatti ormai evidente che le due unità non possono fare in tempo a partecipare allo scontro. Il Geniere è capo sezione.
Quando le navi hanno lasciato le basi c’era solo un vento debole da sudest e mare leggermente mosso, ma il rientro avviene in condizioni estremamente avverse, con forte vento da Scirocco ed un mare molto mosso, che diviene infine una vera e propria tempesta da sudest, con mare forza 8, di intensità continuamente crescente. L’usura dell’apparato motore, la leggerezza della costruzione dei cacciatorpediniere italiani e la tenuta non ottimale della portelleria di coperta iniziano a farsi sentire.
Alle 20.45 la motrice di sinistra dello Scirocco va in avaria, costringendo l’unità ad abbassare la velocità a 14 nodi e procedere con la sola motrice di dritta, ragion per cui alle 20.54 anche il Geniere deve regolarsi su tale velocità per tenere il passo con il sezionario. Alle 21.30 i due cacciatorpediniere, per cercare di ridurre il forte rollio, assumono rotta verso nord (secondo il rapporto dell’ammiraglio Iachino, comandante superiore in mare, Geniere e Scirocco assumono alle 21.30 rotta 0° e velocità 14 nodi, di propria iniziativa).
Alle 23 è possibile riportare la velocità a 20 nodi.
23 marzo 1942
Alle 00.07, mentre la tempesta va incessantemente peggiorando, il Geniere deve ridurre la velocità ad appena 6-7 nodi per non lasciare indietro lo Scirocco, colto da ulteriori avarie.
Geniere e Scirocco si ritrovano soli nel mare in tempesta, ancora lontani dal resto della squadra italiana, che a sua volta sta passando momenti drammatici.
Alle 4.06 (o 4.12) il Geniere domanda per radio a Iachino se può accompagnare lo Scirocco ad Augusta o Siracusa invece che verso la più lontana Taranto, stante la gravità della situazione; la diversione viene subito autorizzata, ma è già troppo tardi. Alle 5.39 tutte le caldaie dello Scirocco cessano di funzionare, lasciando la nave alla deriva ed in balia del mare.
Alle 7 il Geniere riferisce di vedere lo Scirocco in difficoltà e sempre più lontano («Nave SCIROCCO ferma è scaduta miglia 15 di poppa a me lat. 38° alt Non posso dirigere verso nave SCIROCCO data mia situazione et sicurezza nave alt Nave SCIROCCO non risponde chiamate radiosegnalatore alt Pregasi disporre diversamente assistenza»), spiegando inoltre di essere impossibilitato a soccorrerlo per via della sua situazione, ma si tratta di un’illusione ottica: in realtà lo sfortunato Scirocco è affondato già alle 5.45. Dei 236 uomini del suo equipaggio, soltanto due verranno tratti in salvo dopo giorni di ricerche.
Alle 10.08 il Geniere riceve ordine dall’ammiraglio Iachino di dirigersi immediatamente verso il punto in cui un altro cacciatorpediniere, il Lanciere, sta anch’esso affondando a causa del mare in tempesta. Così viene fatto, ma alle 12.15 il Geniere deve comunicare che non può proseguire verso il punto indicato dal Lanciere nel suo S.O.S.: il mare è troppo violento e la nave ha subito a sua volta serie avarie, che la costringono a navigare a non più di 8 nodi, velocità che raggiunge comunque con molta fatica. Il Geniere accosta dirige pertanto verso Augusta; alle 14.40 otterrà l’autorizzazione di puntare invece su Messina. Del Lanciere si salveranno soltanto 15 uomini su un equipaggio di 242.
Il Geniere raggiunge Messina tra gli ultimi, alle 19.36. Anch’esso, come molti altri cacciatorpediniere, ha subito danni nel corso della tempesta, ed anche diverse vittime tra l’equipaggio: hanno perso la vita il marinaio silurista Alfonso Buccino da Pozzuoli (21 anni), il sottocapo cannoniere Eugenio Paradiso da Serra d’Aiello (22 anni), il marinaio s.m. Aniello Vasile da Ascea (21 anni) ed il marinaio silurista Albino Zubiani da Sondalo (18 anni).

Il Geniere (a sinista, con colorazione mimetica sperimentale) ormeggiato a Messina nel marzo 1942, accanto al gemello Carabiniere, dotato di prua provvisoria a seguito della distruzione di quella originaria per siluramento da parte del sommergibile HMS P 36, avvenuta il precedente 16 febbraio (Coll. N. Siracusano, via “Mussolini’s Navy” di Maurizio Brescia)

1942
Lavori di modifica: vengono eliminate 12 mitragliere contraeree da 13,2/76 mm (quattro in impianti singoli ed otto in impianti binati) ed installate invece quattro mitragliere binate Breda 1935 da 20/65 mm.
14-15 giugno 1942
Il Geniere lascia Taranto insieme al resto della XI Squadriglia Cacciatorpediniere (Aviere, Corazziere, Camicia Nera), alla VII Squadriglia (Freccia, FolgoreLegionario), alla XIII Squadriglia (MitragliereBersagliere ed Alpino), alla III Divisione (Trento e Gorizia, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona), alla VIII Divisione (Garibaldi, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten, e Duca d’Aosta) ed alla IX Divisione (Littorio, nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare, e Vittorio Veneto, nave di bandiera dell’ammiraglio Giuseppe Fioravanzo) per contrastare l’operazione britannica «Vigorous» (invio di un convoglio di rifornimenti da Alessandria a Malta, con undici mercantili scortati da otto incrociatori e 26 cacciatorpediniere oltre a naviglio minore ed ausiliario) nel corso della battaglia aeronavale di Mezzo Giugno. La XI Squadriglia è assegnata alla scorta degli incrociatori della III e VIII Divisione.
La formazione italiana (le cui unità sono tenute pronte ad uscire in mare entro tre ore già dalle 18 del 13 giugno) parte da Taranto nel primo pomeriggio del 14 (la III e la VIII Divisione oltrepassano le ostruzioni alle 13.02, la IX Divisione alle 13.49), poi (a 20 nodi) segue le rotte costiere orientali del golfo di Taranto sino al largo di Vela di Santa Maria di Leuca (dove si uniscono ad essa i cacciatorpediniere Saetta, che viene aggregato alla VII Squadriglia, e Pigafetta, che viene aggregato alla XIII), dopo di che, alle 18.06, assume rotta 180° e dirige per il punto prestabilito «Alfa» (34°00’ N e 18°20’ E) per intercettare il convoglio britannico. Alle 20.20 un aereo sospetto viene segnalato in prossimità del gruppo degli incrociatori.
Calata la notte, i quattro cacciatorpediniere della XI Squadriglia si dispongono attorno agli incrociatori (che procedono in linea di fila nell’ordine Garibaldi, Duca d’Aosta, Gorizia e Trento): due a dritta (Geniere seguito da Camicia Nera) e due a sinistra (Aviere seguito da Corazziere).
Essendo stata avvistata alle 17.45 da ricognitori, la squadra italiana prosegue verso sud fino alle 22, poi, alle 22.03, accosta per 140°, riassumendo rotta 180° solo a mezzanotte, allo scopo di disorientare le forze nemiche. Intorno alle 2.30 del 15 giugno, essendo stati rilevati aerei britannici ed essendo prossimo il loro attacco (diretto contro il gruppo «Littorio»), la squadra italiana inizia ad emettere cortine nebbiogene ed accosta ad un tempo di 40° a sinistra, ritenendo l’ammiraglio Iachino che l’attacco aereo sia in arrivo da tale lato (ed in tal caso sarebbe vantaggioso puntare la prua sugli aerei per ridurre le probabilità di essere colpiti, ed al contempo per allontanarsi dai bengala, che usualmente vengono sganciati dal lato opposto a quello dove si verifica l’attacco), ma poi, dato che si sentono rumori di aerei in arrivo anche da altre direzioni, viene ripresa la navigazione verso sud in linea di fila. Alle 2.40, appena è stata riassunta rotta 180°, iniziano ad accendersi bengala a sinistra, quindi la squadra italiana accosta di 40° a dritta per allontanarsi, e procede con tale rotta sino alle 3.31, poi accosta di 30° a dritta e dopo altri cinque minuti di 30° a sinistra (per confondere i piloti degli aerei), fino a che alle 3.56, non vedendosi più bengala, viene ripresa la rotta 180° e cessa l’emissione di cortine fumogene. I quattro aerosiluranti Vickers Wellington, infatti, si sono ritirati non essendo riusciti ad individuare le navi italiane nelle cortine nebbiogene, eccetto uno che ha lanciato un siluro contro una corazzata ma senza risultati.
Alle 4.15 la formazione italiana, essendo andata più ad ovest della rotta prevista, accosta per 160° dirigendo per il punto «Alfa» per non ritardare l’incontro con il convoglio britannico (che tuttavia, all’insaputa dei comandi italiani, ha già invertito la rotta alle 00.45 rinunciando a raggiungere Malta, in seguito sia a danni e perdite causati dagli attacchi aerei che all’impossibilità di sostenere uno scontro con la forza navale italiana, di molto superiore; il convoglio dirigerà di nuovo su Malta dalle 5.30 alle 8.40, per poi invertire definitivamente la rotta e tornare ad Alessandria).
L’orizzonte è chiaro e luminoso verso est, e le sagome delle navi, con rotta sud, risultano fin troppo ben delineate; verso ovest, invece, il cielo è ancora scuro, anche se la linea dell’orizzonte è distinguibile. La formazione degli incrociatori (gruppo «Garibaldi»), di cui il Geniere fa parte, procede a 20 nodi nell’ordine assunto ore prima, con gli incrociatori in linea di fila ed i quattro cacciatorpediniere in posizione di scorta laterale, formazione notturna assunta proprio in previsione di attacchi di aerosiluranti. (De Courten ritiene che sarebbe migliore la formazione usata comunemente di giorno, su due colonne, perché sfrutterebbe meglio la protezione dei cacciatorpediniere, specie quando questi ultimi – come in questo caso – sono in numero ridotto; Iachino è invece di opposto avviso, perché tale formazione vincolerebbe troppo la manovra delle unità, costringendole sempre ad accostare in fuori per non entrare in collisione con quelle vicine, e renderebbe meno libero anche il tiro contraereo, mentre la linea di fila sarebbe più agile e più sciolta).
Poco dopo le cinque del mattino del 15 giugno, venti minuti prima del sorgere del sole, i quattro incrociatori (al comando dell’ammiraglio De Courten), che con la XI Squadriglia procedono 15 miglia a poppavia del gruppo «Littorio», vengono attaccati da nove aerosiluranti britannici Bristol Beaufort (è la prima volta che aerei di questo tipo, più grandi e meglio protetti dei Fairey Swordfish ed in grado di portare due siluri anziché uno, vengono usati contro la flotta da battaglia italiana). Il primo ad avvistarli, nel gruppo degli incrociatori, è il Corazziere, che segnala velivoli nemici verso sudest; inizialmente viene avvistato un singolo aereo, sul lato sinistro della formazione (verso est), che si mantiene sempre a bassa quota ed a grande distanza (12-15 km) e si sposta verso sud e poi verso ovest (il che indurrà l’ammiraglio De Courten a ritenere che tale aereo avesse specificamente il compito di stabilire il contatto con le navi italiane e di guidare gli aerosiluranti verso la posizione più favorevole per un attacco, cioè quella il lato occidentale della formazione). Inizialmente l’aereo non viene riconosciuto come nemico, sia perché è troppo lontano per permetterne l’identificazione, sia perché è atteso l’arrivo di velivoli della Regia Aeronautica per la scorta aerea, d il nuovo arrivato esegue una manovra analoga a quella normalmente eseguita dagli aerei italiani di scorta. Soltanto quando, dopo poche decine di secondi (verso le 5.10), vengono avvistati tre aerosiluranti che si avvicinano alla formazione volando in gruppo e bassi sul mare, viene dato l’allarme e viene aperto un intenso tiro contraereo, mentre le navi iniziano ad intraprendere manovre evasive. La reazione contraerea, secondo quanto scriverà De Courten nel suo rapporto, è molto intensa da parte degli incrociatori, ma scarsa ed insufficiente da parte dei cacciatorpediniere: ciò perché questi ultimi sono soltanto quattro, e muniti di un ridotto numero di mitragliere.
I nove Beaufort attaccano in tre ondate, composte ciascuna da tre aerei: quelli della prima ondata si separano in modo da lanciare simultaneamente ma da angolazioni diverse ed attaccano Garibaldi e Duca d’Aosta; quelli della seconda ondata attaccano soprattutto il Gorizia ed il centro della formazione, mentre quelli della terza prendono di mira la coda della formazione (Gorizia e Trento). Tutti gli aerei si avvicinano decisamente sotto il fuoco delle navi, sganciano il proprio siluro e poi virano rapidamente; alcuni di essi, per allontanarsi, defilano di controbordo a pochissima distanza dalle navi italiane, venendo bersagliati dal fuoco delle mitragliere, che è però grandemente complicato dalle forti variazioni di brandeggio. In tutte e tre le ondate gli aerosiluranti, attaccando da direzioni diverse, realizzano dei pericolosissimi “incroci” di siluri. Mentre gli aerosiluranti che attaccano Garibaldi e Duca d’Aosta sganciano i loro siluri da circa mille metri di distanza, quelli che puntano su Trento e Gorizia li lanciano da distanze molto minori. Ciascuna nave manovra per contro proprio per evitare i siluri, in base alle decisioni dei rispettivi comandanti (che a loro volta decidono le manovre in base agli sganci di siluri che possono osservare); otto delle nove armi lanciate vengono così evitate, ma una – sganciata da non più di 200 metri, distanza troppo breve per consentire una manovra evasiva – colpisce il Trento, l’ultimo incrociatore della fila ed il meno protetto dai cacciatorpediniere, che sono più vicini alla testa della formazione. L’incrociatore rimane immobilizzato, in preda ad un violento incendio. Due dei Beaufort vengono danneggiati dal tiro italiano.
Poco più tardi, tra le 5.26 e le 5.51, tre degli aerosiluranti attaccano anche il gruppo «Littorio», ma senza successo. La formazione italiana prosegue sulla sua rotta, dopo aver distaccato Saetta e Pigafetta per l’assistenza al Trento danneggiato. (Più tardi, alle 9.13, il Trento verrà nuovamente silurato dal sommergibile britannico P 35 – che alle 5.46 aveva già infruttuosamente lanciato quattro siluri da 4500 metri contro la Vittorio Veneto, senza che le unità italiane se ne accorgessero – ed affonderà in soli sette minuti, con la perdita di 570 dei 1151 uomini dell’equipaggio).
Alle 6.15 il sommergibile britannico P 34 (tenente di vascello Peter Robert Helfrich Harrison) riesce a superare inosservato lo schermo della scorta prodiera per attaccare gli incrociatori del gruppo «Garibaldi», ma proprio quando è giunto in posizione di lancio vede gli incrociatori accostare di 90° verso di lui, passargli sopra ed assumere una rotta che riporta fuori tiro, così vanificando il tentativo di attacco.
Alle sette vi è un nuovo allarme in seguito all’avvistamento di nove aerei dapprima ritenuti nemici – tutte le armi vengono puntate contro di essi –, ma che poi si rivelano essere tedeschi, la scorta aerea sopraggiunta. Sempre alle 7, in seguito a numerose comunicazioni che rivelano che il convoglio è molto indietro rispetto al previsto od addirittura sta tornando ad Alessandria, la squadra di Iachino assume rotta 140° per poterlo intercettare (nell’ipotesi che ancora stia dirigendo su Malta). Intorno a quest’ora il Garibaldi, per ordine di Iachino, catapulta un idrovolante da ricognizione, ma l’aereo non riesce a levarsi in volo e cade subito in mare: il Geniere viene distaccato per recuperarne l’equipaggio ma, quando giunge sul posto, non trova nulla. L’idrovolante è affondato portando con sé tutto il suo equipaggio.
Poco dopo le otto vengono avvisati due aerei britannici 30° a di prua a dritta, e viene aperto il fuoco contro di essi, ma frattanto sopraggiunge da sinistra una formazione di otto bombardieri statunitensi Consolidated B-24 Liberator che, tenendosi a 4000 metri di quota, sgancia sulle corazzate, colpendo con una bomba la Littorio, provocando modesti danni. Subito dopo le navi italiane accostano ad un tempo di 80° a sinistra, per poter rivolgere tutte le armi contro gli aerei, poi, essendosi questi allontanati, riprendono la rotta 110°. Poco dopo le 8.40 vengono avvistati cinque aerosiluranti Bristol Beaufort provenienti da prua, contro cui aprono il fuoco sia i pezzi da 90 mm delle corazzate che quelli da 120 mm dei cacciatorpediniere (e successivamente anche le mitragliere), e le navi accostano rapidamente sulla dritta sin quasi ad invertire la rotta, confondendo gli attaccanti, che lanciano infruttuosamente da poppa, tre da una distanza di circa 4000 metri e due da una distanza di 2000 metri (le prime tre armi sono evitate con piccole accostate, le ultime due mettendo tutta la barra a sinistra). Due degli aerei vengono danneggiati dal tiro contraereo. Poi la squadra italiana ritorna in linea di fila; viene assunta rotta verso sud e poi, alle nove, si torna sulla rotta 110° (verso est-sud-est) per raggiungere il nemico.
Alle 9.17, in seguito all’avvistamento di navi da parte di uno dei ricognitori imbarcati, la velocità viene portata a 24 nodi. Alle 11.40 l’Aviere, cacciatorpediniere in posizione più avanzata a sinistra del gruppo «Garibaldi», segnala di aver avvistato fumo ed un’alberatura in direzione 120° (quasi di prua), e poco dopo fumo ed alberatura vengono avvistati anche dalle altre navi del gruppo.
Alle 11.50 anche la Littorio avvista un fumo a 30° di prua dritta; viene allora ordinato il posto di combattimento generale e la formazione italiana accelera a 28 nodi ed assume rotta per 150° per incontrare quelle che crede essere le navi britanniche, ma scopre invece trattarsi di un ricognitore italiano precipitato in mare.
Alle 12.20 la velocità viene nuovamente ridotta a 24 nodi, ed alle 14.00, essendo ormai evidente l’impossibilità di incontrare le forze nemiche, ormai tornate alla base, anche le unità italiane accostano per 340° e riducono la velocità a 20 nodi per rientrare alle loro basi.
Alle 17.09 un caccia tedesco getta in mare, a sinistra delle navi, un fumogeno, segnale concordato per indicare l’avvistamento di un sommergibile, pertanto la formazione italiana accosta ad un tempo a dritta, per poi tornare sulla rotta 340° alle 17.21. Al tramonto il sommergibile britannico Thrasher avvista il gruppo «Garibaldi», ma rinuncia ad attaccare, perché troppo lontano. Alle 18.10 il Garibaldi avvista un periscopio a 5000 metri di distanza, manovrando quindi per allontanarsi: si tratta del sommergibile britannico Porpoise, il quale manovra per attaccare ma alle 18.35 viene attaccato da bombardieri tedeschi e costretto a sua volta ad abbandonare l’attacco, scendendo a maggiore profondità.
Alle 22, in seguito a nuove disposizioni (trovarsi a 60 miglia per 180° da Nido alle cinque del mattino del 16, per un’eventuale ripresa dell’azione) la squadra di Iachino assume rotta 250°, ma tra le 22.30 e le 23, in seguito al rilevamento di aerei, accosta dapprima per 210° e poi (poco prima delle 23) per 260°. Poco dopo, tuttavia, iniziano ad accendersi dei bengala e quindi le navi italiane iniziano ad emettere cortine di nebbia, che risultano però meno dense ed efficaci rispetto alla notte precedente. Alle 23.26 ed alle 23.55 si accendono altri bengala a dritta e verso poppavia, e la seconda serie di bengala, a 4000 metri, vanifica l’effetto delle cortine fumogene. Le navi accostano rapidamente di 20° a sinistra, per lasciarsi a poppa i bengala, ma poco dopo se ne accendono altri a soli 2500 metri. I cacciatorpediniere (cui poi si uniscono le corazzate) dirigono il tiro di tutte le mitragliere su un aerosilurante britannico, in avvicinamento da circa 20° di prora a dritta, che riesce ad avvicinarsi a circa 1000 metri prima di sganciare: alle 23.40 la Littorio viene colpita da un siluro a prua dritta. Dopo essersi fermata per evitare una collisione con la Vittorio Veneto impegnata in manovre evasive, la corazzata colpita può rimettere in moto a 20 nodi, e la formazione assume rotta 340°, ma altri bengala si accendono a soli 2000 metri, quindi la formazione italiana accosta immediatamente ad un tempo a dritta assumendo rotta 50° per lasciarsi i bengala a poppa, ma non vi sono altri attacchi. Poco dopo mezzanotte viene ripresa rotta 350° (verso nord), mentre le navi italiane vengono infruttuosamente cercate da altri aerei. Non si verificano più attacchi aerei, ed all’1.18 viene fatta cessare l’emissione di cortine e si ritorna in formazione, con rotta su Taranto.
Alle 5.06 la squadra accosta per 315° apprestandosi ad imboccare la rotta di sicurezza, procedendo a zig zag e poi eseguendo diverse accostate in seguito ad avvistamenti, veri o presunti, di periscopi nemici; verso le 9 un altro caccia tedesco getta in mare un fumogeno (così segnalando la presenza di un sommergibile) a dritta della formazione, che accosta immediatamente a sinistra. La rotta di sicurezza viene imboccata alle 10.35, ed alle 16.21 il gruppo «Garibaldi» attraversa le ostruzioni, giungendo poco dopo nel porto di Taranto.
12 agosto 1942
Alle 9.40 il Geniere (capitano di fregata Marco Notarbartolo), insieme ai cacciatorpediniere GrecaleCorsaroLegionarioAviere, Ascari e Camicia Nera ed agli incrociatori pesanti Trieste (che però, secondo alcune fonti, non sarebbe partito da Messina ma si sarebbe invece aggregato a Gorizia e Bolzano in mare aperto, provenendo da un porto dell’Alto Tirreno), Gorizia (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona, comandante della III Divisione) e Bolzano della III Divisione, salpa da Messina per attaccare il convoglio britannico diretto a Malta nell’ambito dell’operazione «Pedestal», nell’ambito della battaglia aeronavale di Mezzo Agosto.
L’intercettazione dovrebbe avvenire sud di Pantelleria, quando la forza “pesante” di scorta (Forza Z), che include due corazzate e tre portaerei, avrà lasciato il convoglio, affidandolo ad una forza leggera formata da pochi incrociatori leggeri e da un decina di cacciatorpediniere (Forza X). Nel corso delle successive ventiquattr’ore, inoltre, convoglio e scorta saranno sottoposti ad incessanti attacchi di aerei, sommergibili e motosiluranti, che infliggeranno loro gravi perdite.
Strada facendo, la III Divisione deve congiungersi con la VII Divisione dell’ammiraglio di divisione Alberto Da Zara (incrociatori leggeri Eugenio di Savoia – nave ammiraglia –, Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli, più i cacciatorpediniere MaestraleOrianiGioberti e Fuciliere), proveniente da Cagliari (da dov’è partita alle 20 dell’11, tranne l’Attendolo, salpato da Napoli alle 9.30 del 12); insieme, le due Divisioni potranno agevolmente distruggere quanto che restava del convoglio, i cui pochi mercantili superstiti arrancano in disordine verso Malta con la sola scorta di sette cacciatorpediniere e due incrociatori leggeri, uno dei quali danneggiato, sotto continui attacchi aerei, subacquei e di mezzi insidiosi.
Sulle prime si è pensato di impiegare la squadra da battaglia, ma l’idea era stata scartata per vari motivi: la Luftwaffe non intende fornire copertura alla flotta italiana (si ritiene più utile mandare gli aerei ad attaccare il convoglio); c’è poco carburante; si crede che ci siano 12-15 sommergibili britannici in agguato lungo le rotte che dalle basi italiane portano al luogo del probabile scontro (in realtà sono poco più della metà). La conclusione, non errata, è che una forza di soli incrociatori correrebbe meno rischi e sarebbe egualmente in grado di distruggere il convoglio già disperso e decimato; si replicherebbe l’attacco portato due mesi prima (battaglia di Mezzo Giugno) dalla VII Divisione contro il convoglio britannico «Harpoon», ma contando stavolta su una forza più potente, e facendo tesoro dell’esperienza accumulata per evitare di ripetere gli stessi errori che, allora, avevano permesso a due dei sei mercantili di sfuggire insieme con la loro scorta.
Memore delle perdite subite a Mezzo Giugno per mano degli aerosiluranti di Malta (siluramento della corazzata Littorio e dell’incrociatore pesante Trento, quest’ultimo poi affondato dal sommergibile HMS Umbra), Supermarina subordina l’intervento degli incrociatori alla disponibilità di aerei da caccia, per la scorta aerea; nel Mediterraneo, però, non vi sono che cinque gruppi di caccia moderni (tre italiani e due tedeschi) per scortare 400 bombardieri ed aerosiluranti pronti ad attaccare il convoglio dalle basi siciliane e sarde. Il comando del Corpo Aereo Tedesco, che dispone soltanto di 40 caccia, si rifiuta di assegnarli alla scorta delle navi, ritenendoli necessari alla scorta degli aerei inviati contro il convoglio; Superarereo offre maggiore collaborazione, ma assegna i caccia migliori alla scorta di bombardieri ed aerosiluranti, destinando il superfluo (modelli più vecchi come i Macchi Mc 200, i Reggiane Re 2000, e persino gli obsoleti biplani FIAT CR. 42; nonché alcuni dei pochi bimotori FIAT CR. 25 prodotti) alla scorta delle navi. L’11 ed il 12 agosto si discute a lungo sia al Comando Supremo che a Palazzo Venezia, finché il maresciallo Ugo Cavallero, capo di Stato Maggiore generale delle forze armate italiane, convince il generale di squadra aerea Rino Corso Fougier, capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, ad assegnare per il 13 agosto un buon numero di aerei da caccia, che si dovrebbero alternare in turni di sei per volta, alla scorta degli incrociatori; rispetto ai 60 caccia inizialmente previsti (Supermarina ne aveva in principio chiesti 80), ne sono ritenuti sufficienti 45.
Alle 19 del 12 agosto, la III e la VII Divisione si riuniscono nel Basso Tirreno; l’incontro con i resti del convoglio è previsto per la mattina del 13, a sud di Pantelleria, nel punto più stretto del Canale di Sicilia.
Alle 22 Supermarina ordina agli incrociatori di ridurre la velocità (che è in quel momento di 20 nodi), in modo da arrivare al largo di Capo San Vito non prima di mezzanotte.
Alle 22.37, tuttavia, la formazione viene avvistata e segnalata, mentre procede con rotta sud un’ottantina di miglia a nord dell’estremità occidentale della Sicilia, da un ricognitore Vickers Wellington dotato di radar (che viene a sua volta rilevato dal radar del Legionario). Per altra fonte, la III Divisione è stata avvistata da un aereo nemico già alle 19.22.
Il comandante delle forze aeree di Malta, maresciallo dell’aria Keith Parks (un neozelandese che è stato tra i protagonisti della battaglia d’Inghilterra), resosi conto del rischio che gli incrociatori italiani rappresentano nei confronti del convoglio, ordina prima al Wellington che li ha avvistati, e poi anche ad un secondo Wellington da ricognizione inviato a seguire gli spostamenti della formazione italiana (entrambi appartengono al 69th Squadron e sono dotati di radar ASV, Air to Surface Vessel; li distinguono le lettere identificative “O” e “Z”), di sganciare bombe e bengala, per indurre le unità italiane a ritenere di essere sotto ripetuti attacchi aerei, così da dissuaderle dal proseguire nella navigazione verso il convoglio. Per rafforzare l’inganno, Parks si spinge ad ordinare ripetutamente ai ricognitori – in chiaro, al preciso scopo di essere intercettato – di comunicare la posizione della forza italiana per consentire alle formazioni di bombardieri B-24 “Liberator” di attaccarli: formazioni di “Liberator” che, però, non esistono (questo è il messaggio ricevuto dal Wellington, con un certo stupore tra il suo equipaggio, non informato dello stratagemma: «Report result your attack, latest enemy position for Liberators, most immediate»).
Ci sono invece a Malta reparti di aerosiluranti Bristol Beaufort, che si tengono pronti ad attaccare le navi italiane in caso di estrema necessità; ma per il momento, vengono tenuti a terra.
Supermarina cade nell’inganno. A Roma infuriano discussioni sul da farsi: l’ammiraglio Arturo Riccardi, capo di Stato Maggiore della Regia Marina, richiede al feldmaresciallo Albert Kesselring l’invio di 80 caccia della Luftwaffe per fornire copertura aerea alle navi, che presto – si ritiene – verranno attaccate dai bombardieri di Malta (Supermarina, sempre prudentissima, non intende inviare gli incrociatori più a sud di Pantelleria senza adeguata scorta aerea); l’ammiraglio Eberhard Weichold, ufficiale di collegamento con la Marina tedesca a Roma, appoggia il suo collega italiano nella richiesta a Kesselring, ed anche il maresciallo Cavallero insiste in questo senso, temendo che l’operazione britannica possa comprendere anche uno sbarco sulle coste della Libia. Ma Kesselring risponde che non ha abbastanza caccia disponibili: quelli che ci sono bastano solo per la scorta ai bombardieri tedeschi, oppure solo alle navi italiane. In considerazione anche delle deludenti prove date in precedenza dalle forze da battaglia italiane negli attacchi ai convogli britannici – il fallimento della seconda Sirte ed il successo solo parziale a Mezzo Giugno contro il convoglio «Harpoon» – Kesselring, poco convinto delle probabilità di successo degli incrociatori italiani, preferisce impiegare tutti gli aerei a sua disposizione negli attacchi diretti contro il convoglio, e quindi assegnare i caccia alla scorta dei bombardieri. (Kesselring ha ragione di essere deluso per i precedenti attacchi navali italiani contro convogli britannici; è però il caso di notare che, contrariamente a quanto lui si aspettava, neppure gli aerei della Luftwaffe si riveleranno poi in grado di annientare il convoglio «Pedestal»).
Il comando della Seekriegsleitung, concordando con Weichold, supporta con tutti gli argomenti disponibili l’impiego degli incrociatori italiani, esprimendo l’opinione che, in caso contrario, si perderebbe l’occasione di distruggere il più grande convoglio britannico mai visto nel Mediterraneo, in condizioni di superiorità numerica e di armamento. Ma Kesselring, cui spetta la decisione finale, non condivide tali conclusioni.
Dopo lunghe pressioni di Cavallero, il generale Corso Fougier acconsente a destinare 40 caccia Macchi Mc 202 alla scorta delle navi; si tratta di un grosso sacrificio per le sue forze, che in Sicilia dispongono già di caccia appena sufficienti a scortare solo parte dei bombardieri e degli aerosiluranti. Ma Riccardi e Cavallero non li ritengono comunque adeguati; i sempre ansiosi vertici di Supermarina temono inoltre, sulla base dell’interpretazione di alcuni segnali di scoperta (quelli dei sommergibili Bronzo ed Axum, che hanno avvistato unità navali dirette verso est a nord della costa tunisina; e quello di un idroricognitore CANT Z. 506, che ha segnalato “tre grandi navi” – in realtà, l’incrociatore leggero Charybdis ed i cacciatorpediniere Eskimo e Somali – che seguono il convoglio, al largo dell’Isola dei Cani), che porebbe esserci anche una corazzata, o forse più di una, quale forza di sostegno al convoglio nel Canale di Sicilia.
A rincarare la dose, un U-Boot tedesco segnala di aver avvistato quattro incrociatori e dieci cacciatorpediniere britannici nel Mediterraneo orientale, apparentemente diretti verso Malta. È un altro inganno: si tratta di un convoglio “fittizio” (composto in realtà da due incrociatori, cinque cacciatorpediniere ed alcuni mercantili) che i britannici hanno inviato verso Malta al preciso scopo di distogliere l’attenzione dei comandi italiani dal vero convoglio.
Le discussioni finiscono col giungere ad un punto morto, pertanto gli alti ufficiali deliberano di interpellare Mussolini in persona. Svegliato il dittatore, Cavallero gli spiega per telefono, a tinte alquanto fosche (intento suo e di Riccardi – appoggiato in questo dal suo vice, ammiraglio Luigi Sansonetti – è d’altra parte di strappare a Mussolini il consenso per il ritiro degli incrociatori: Cavallero dice a Mussolini che Riccardi ritiene la missione “troppo pericolosa per la Marina” e per giunta, giudizio più che discutibile, “un rischio non pagato da un rendimento corrispondente”), che senza copertura aerea verrebbero attaccati dai bombardieri di Malta subendo gravi danni, aggiungendo anche la notizia dell’avvistamento di navi britanniche nel Mediterraneo orientale; asserisce che incaricherà l’Aeronautica di massimizzare gli sforzi contro il convoglio il giorno seguente.
Mussolini viene convinto da tanto eloquio: dice a Cavallero che non intende rischiare le sue navi se i tedeschi non erano disposti a proteggerle, e si dichiara convinto che gli aerei e le motosiluranti italiane riusciranno comunque a distruggere il convoglio prima che raggiungesse Malta. Di conseguenza, la missione degli incrociatori viene annullata: la più grande occasione che si sia mai presentata alla Regia Marina per trasformare un ottimo successo tattico (colto nelle ore precedenti da sommergibili, aerei e motosiluranti) in uno strepitoso successo strategico va così in fumo, per l’eccessivo timore di perdite che si verificheranno lo stesso, ma in condizioni ben più umilianti.
13 agosto 1942
Alle 00.30 Supermarina ordina alla III e VII Divisione, che in quel momento sono ad una ventina di miglia da Capo San Vito (ad ovest di Trapani), di virare verso est per tornare alle basi, paventando attacchi aerei nemici sulla base dell’intercettazione dei numerosi messaggi radio inviati da Malta ai propri ricognitori. Tre minuti più tardi, tutti gli incrociatori evoluiscono per evitare siluri lanciati da aerei.
Supermarina decide di inviare la III Divisione nello Ionio, anziché nel Tirreno, per unirsi all’VIII Divisione (uscita da Navarino) allo scopo di attaccare le navi avvistate nel Mediterraneo orientale, mentre la VII Divisione dovrà tornare in porto.
I finti attacchi aerei e messaggi continuano ad ogni modo anche nelle ore successive, per evitare che i comandi italiani possano cambiare idea ed ordinare agli incrociatori di riprendere la navigazione verso ovest per attaccare il convoglio.
Per buona parte della navigazione, “ULTRA” tiene sotto controllo gli spostamenti degli incrociatori italiani, decrittando le trasmissioni radio compilate con la macchina cifrante Enigma: dapprima apprende della partenza del Trieste da un porto dell’Alto Tirreno (La Spezia) nella notte tra 11 e 12 agosto, diretto verso sud, e poi che tra le 8.40 e le 11 del 12 Bolzano e Gorizia, con quattro cacciatorpediniere, sono partiti da Messina diretti verso nord; ancora, che alle 9.30 del 12 l’Attendolo e due cacciatorpediniere sono partiti da Napoli. Altre intercettazioni rivelano che una forza navale italiana, di consistenza sconosciuta, ha ricevuto alle 18.35 del 12 l’ordine di assumere rotta sud e velocità 20 nodi, passando 90 km a nord di Trapani, e poi (19.45) di trovarsi entro le 5.30 del 13 dieci miglia a levante di Pantelleria. Supermarina avvisa anche gli incrociatori che torpediniere italiane (Climene e Centauro) sono in pattugliamento a ponente della longitudine 11°40’ E, con l’ordine di lasciare tale area all’alba del 13 e dirigere per Pantelleria.
All’1.39, “ULTRA” intercetta l’ordine PAPA (Precedenza Assoluta sulle Precedenze Assolute) delle 23.50 in cui Supermarina ordinava «EUGENIO, MONTECUCCOLI, MAESTRALE, GIOBERTI, ORIANI dirigete subito Napoli: 3a Divisione con ATTENDOLO e rimanenti cacciatorpediniere dirigano Messina». All’1.56, il ripiegamento verso sudest viene confermato anche da una comunicazione da parte del Wellington “O”, subito riconfermato dal Wellington “Z”.
Alle 00.30, in esecuzione dell’ordine di Supermarina, la III Divisione (cui per ordine di Supermarina vengono aggregati Attendolo e Grecale, distaccati dalla VII Divisione) fa rotta su Messina, mentre la VII Divisione dirige per Napoli. L’Attendolo avvista la III Divisione alle 2.55, ma riesce ad entrare in formazione solo alle quattro del mattino, in quanto tutte le navi hanno preso a zigzagare ad alta velocità, illuminate dalla luce di bengala lanciati dagli aerei britannici.
Procedendo a 22 nodi, la III Divisione supera Alicudi, dopo di che passa dalla linea di fila alla doppia linea, con Trieste e Gorizia davanti ed Attendolo e Bolzano dietro. Due degli otto cacciatorpediniere di scorta sono dotati di ecogoniometro; nel cielo della formazione volano due idrovolanti CANT Z. 506 quale scorta aerea. Il mare è calmo, la visibilità ottimale; una radiosa giornata estiva.
Tra gli equipaggi regna una certa frustrazione, a causa dell’ordine di ritirarsi senza nemmeno aver tentato di attaccare un nemico che già si trova alle strette.
A nord di Palermo, il sommergibile britannico Safari avvista la III Divisione, ma non è in grado di attaccare.
Diversamente vanno le cose per un secondo sommergibile, l’Unbroken (tenente di vascello Alastair Campbell Gillespie Mars), che già alle quattro del mattino è stato informato da Malta che degli incrociatori italiani si stanno dirigendo verso di lui. Alle 7.30, mentre si trova in posizione 38°43’ N e 14°57’ E (al largo della costa settentrionale della Sicilia, a nordovest dell’imbocco dello Stretto di Messina), il sommergibile britannico avverte rumori prodotti dagli apparati motori di navi, su rilevamento 230°; alle 7.43 avvista sullo stesso rilevamento numerose navi italiane, che gli stanno proprio venendo incontro. Mars identifica correttamente la colonna centrale come composta da due incrociatori pesanti e probabilmente due incrociatori leggeri, che procedono in linea di fila; li scortano otto cacciatorpediniere di tipo moderno. La distanza è di 11.000 metri, e Mars stima la velocità delle navi italiane in circa 25 nodi, cinque nodi in più di quella reale. Le navi stanno passando tra Filicudi e Panarea; sono al traverso di Salina, Stromboli è otto miglia alla loro sinistra, Panarea cinque miglia a prora dritta (cioè a sudovest).
Iniziata la manovra d’attacco, e penetrato lo schermo dei cacciatorpediniere (secondo Mars, tre di essi passano vicinissimi al periscopio del sommergibile, ma senza notarlo), alle 8.04 l’Unbroken lancia quattro siluri contro il più vicino dei due incrociatori pesanti; al di là di questa nave ci sono i due incrociatori “leggeri”, e Mars ritiene – a ragione – che se i siluri dovessero mancare il bersaglio designato, avrebbero una buona possibilità di colpire uno dei due incrociatori leggeri. Per via della formazione italiana a due colonne affiancate (assunta proprio mentre l’Unbroken si prepara ad attaccare), i bersagli si “sovrappongono” nel periscopio di Mars; l’incrociatore più vicino è a 25° di prora dritta, distanza 2740 metri.
Subito dopo il lancio, l’Unbroken scende in profondità, virò di 90° a dritta ed aumenta la velocità per cinque minuti. Quando sente le detonazioni, Mars stima che due siluri abbiano centrato l’incrociatore pesante, e che forse gli altri abbiano colpito uno degli altri.
Il comandante britannico ha apprezzato correttamente gli esiti del proprio lancio: alle 8.05, mentre l’Unbroken sta lanciando i siluri, gli incrociatori italiani hanno ridotto la velocità a 18 nodi, per consentire al Gorizia di lanciare un idrovolante; poco dopo, il cacciatorpediniere Fuciliere ha avvistato un sommergibile sulla sinistra, ed ha aperto il fuoco con una mitragliera contro il periscopio, distante solo 410 metri. Gorizia e Bolzano avvistano le scie dei siluri; il Gorizia li evita con una brusca accostata, ma il Bolzano non fa in tempo, e viene centrato da un siluro proprio mentre sta iniziando a virare. Poco dopo anche l’Attendolo viene colpito, subendo l’asportazione della prua.
Mentre gli equipaggi dei due incrociatori lottano per tenere le loro navi a galla, i cacciatorpediniere della Squadriglia «Aviere», incaricati di dare loro assistenza e protezione, iniziano a stendere cortine fumogene e bombardare l’attaccante con bombe di profondità: dalle 8.09 alle 16.40 vengono lanciate ben 105 bombe di profondità, anche se l’Unbroken, allontanandosi lentamente alla profondità di 39 metri, riesce a far perdere le proprie tracce già alle nove (la caccia vera e propria dura tre quarti d’ora, dopo di che – dopo il lancio della quarantesima bomba di profondità – i cacciatorpediniere si limitano a gettare bombe di profondità di tanto in tanto, a scopo precauzionale, e le esplosioni si fanno sempre più sporadiche e lontane). Il sommergibile se la cava con danni superficiali, subiti durante i primi 40 minuti di caccia, che Mars ritiene piuttosto accurata.
Il Geniere e l’Aviere cercano di prestare assistenza al Bolzano (che ha quattro comportamenti allagati ed un violento incendio a centro nave) e di prenderlo a rimorchio; per tre volte uno di essi lancia all’incrociatore colpito un sacchetto con cui recuperare lo spesso cavo d’acciaio che passa al Bolzano per rimorchiarlo, ma ogni volta il cavo si spezza. La nave è fortemente appruata, e l’incendio divampa furioso: tra l’acqua che entra dalla grossa falla aperta dal siluro sotto il torrione, e quella giocoforza immessa nei depositi munizioni per scongiurarne l’esplosione, la galleggiabilità del Bolzano appare sempre più compromessa.
Verso le dieci del mattino, Geniere ed Aviere riescono finalmente a prendere il Bolzano a rimorchio: il Geniere da poppa, l’Aviere da prua. La nave continua progressivamente ad appruarsi e sbandare sulla sinistra, ormai in serio pericolo di affondamento, inducendo il suo comandante, capitano di vascello Mario Mezzadra, a decidere di tentare di raggiungere un basso fondale e qui portarla ad adagiarsi.
Nel tentativo di far accostare il Bolzano, uno dei cavi di rimorchio si spezza, e lo sbandamento dell’incrociatore aumenta ancora di più (circa 15°): sembra allora che il Bolzano, sempre più basso sull’acqua, stia per affondare da un momento all’altro. Alle 10.55 il comandante Mezzadra ordina di abbandonare la nave.
Mentre l’Aviere recupera gli uomini che si gettano in mare, il Geniere si avvicina e – per ordine di Mezzadra – manovra per affiancarsi al Bolzano sul lato di dritta e trasbordare il personale che è ancora a bordo: in questo modo, la maggior parte dell’equipaggio dell’incrociatore può essere ordinatamente trasferita sul Geniere. Tra di essi vi sono il comandante Mezzadra (ultimo a trasbordare), il comandante in seconda Andrea Fe’ d’Ostiani ed il direttore di macchina Luigi Petrillo.
Il Bolzano, intanto, arresta il suo apparentemente affondamento, e si stabilizza, al punto che risulta nuovamente possibile, per il Geniere, tentare di prenderlo a rimorchio. Un ufficiale del Bolzano, il capitano del Genio Navale Armando Traetta, chiede ed ottiene il permesso di tornare sull’incrociatore con una decina di volontari, per filare a mare i cavi di rimorchio, in precedenza preparati a poppa, in modo da poterli poi recuperare dal Geniere e prendere così a rimorchio il Bolzano, per portarlo all’incaglio. Tornato sul Bolzano con una lancia, il gruppetto guidato da Traetta risale a bordo, dove riesce finalmente a tendere il cavo di rimorchio. Il cavo però cade in mare; a questo punto alcuni uomini del Bolzano che si trovano sul Geniere – il guardiamarina Pier Giacomo Vianello, il secondo nocchiere Vieno Posa, il capo elettricista Giuseppe Chiricozzi, il nocchiere Catello Pulzella ed il marinaio Luigi Avellino – si tuffano in mare per recuperarlo e ristabilire il rimorchio, il che viene fatto. L’operazione di rimorchio è diretta da Mezzadra.
Il Geniere rimorchia allora l’incrociatore, sbandato di circa 5°-6°, verso la vicinissima isola di Panarea, dove lo porta ad incagliare su un banco sabbioso dinanzi alla spiaggia Lisca Bianca, presso Punta Peppemaria (sulla costa settentrionale dell’isola), alle 13.30. Qui l’acqua è profonda solo dodici metri; quando la carena del Bolzano tocca il fondale per la prima volta, l’incrociatore sbanda paurosamente di ben 45° sulla sinistra: sembrando che la nave stia per rovesciarsi da un momento all’altro, i volontari saliti a bordo la devono di nuovo abbandonare. Gli uomini radunati sul Geniere, presi dalla commozione, si levano i cappelli dinanzi a quella che pare la fine della loro nave. Successivamente, però, lo sbandamento torna a diminuire, e ci si può finalmente mettere all’opera per domare l’incendio. (Il Bolzano potrà essere rimesso a galla nel giro di un mese e rimorchiato prima a Napoli e poi a La Spezia, ma le riparazioni non verranno mai ultimate.)
Una volta che il Bolzano è incagliato a Panarea, il Geniere, insieme all’Ascari, viene inviato ad assumere la scorta dell’Attendolo, il quale, procedendo a cinque nodi, passa tra Panarea e gli scogli delle Formiche, con rotta su Capo Milazzo. Tra le 14.30 e le 17.15 la scorta viene rinforzata dai cacciatorpediniere FrecciaCorsaro e Legionario. Alle 18.45, arrivato nei pressi di Messina, l’Attendolo viene raggiunto dai rimorchiatori, che lo conducono in porto, dove si ormeggia al Molo del Carbone.


Due immagini del 13 agosto 1942: sopra, il Bolzano in fiamme in una foto scattata da bordo del Geniere, che si appresta a prenderlo a rimorchio dopo che l'incrociatore, in apparente stato di affondamento, si è "stabilizzato"; sotto, il Geniere (a destra) accanto al Bolzano che ha appena rimorchiato ad adagiarsi sui bassifondali di Panarea (g.c. STORIA militare)


21 agosto 1942
Alle cinque del mattino il Geniere va a rinforzare la scorta (cacciatorpediniere Aviere, caposcorta; torpediniere Ciclone e Climene) della nave cisterna Pozarica e del piroscafo tedesco Dora, in navigazione da Messina a Bengasi. Quaranta minuti dopo il Geniere, si unisce alla scorta anche la torpediniera Pegaso.
Alle 16.17, al largo dell’isolotto di Sivota, il convoglio viene attaccato da aerosiluranti: la Pozarica viene colpita da un siluro, ma si riesce a portarla all’incaglio nella baia di Saiada (Canale di Corfù) alle 7.20 del 22 (sarà poi possibile recuperarne il carburante ed avviarla ai lavori di riparazione); le altre navi ricevono ordine di raggiungere Corfù, dove arrivano alle 20.30. Un aerosilurante Bristol Beaufort ed un caccia Bristol Beaufighter, nel corso dell’attacco, vengono abbattuti dalla Pegaso.
Il Geniere non è uscito del tutto indenne dall’attacco aereo: mitragliato da aerei nemici, non ha riportato danni di rilievo, ma ha subito due vittime tra l’equipaggio ed un ferito grave, morto il giorno successivo.
Sono morti sul colpo, falciati da una raffica nemica, il marinaio furiere Alfredo Fornaciari (19 anni, da Messina) ed il tenente di vascello Alessandro Mondello (24 anni, da Villa San Giovanni), che stava dirigendo il tiro delle mitragliere di sinistra; è rimasto mortalmente ferito il sergente radiotelegrafista Lanciotto Fossi (22 anni, da Empoli), che muore a Corfù il 22 agosto. Verranno tutti decorati alla memoria, Mondello con la M.A.V.M., Fossi e Fornaciari con la C.G.V.M.
6 settembre 1942
Il Geniere salpa da Taranto alle due di notte, insieme ai cacciatorpediniere Freccia, Bombardiere, Fuciliere, Corsaro e Camicia Nera ed alla torpediniera Pallade, scortando il convoglio «N», formato dalle motonavi Luciano Manara e Ravello, con destinazione Bengasi.
Alle 10.40, al largo di Capo Santa Maria di Leuca, il convoglio «N» si unisce al convoglio «P», proveniente da Brindisi (motonavi Ankara e Sestriere, scortate dai cacciatorpediniere Aviere, Lampo e Legionario e dalle torpediniere Partenope e Pegaso), formando un unico convoglio denominato «Lambda», che fruisce anche di nutrita scorta aerea da parte di velivoli italiani e tedeschi. Caposcorta è il capitano di vascello Ignazio Castrogiovanni, dell’Aviere.
In base alle disposizioni impartite, il convoglio naviga lungo la costa della Grecia; verso le 15.30, al largo di Corfù, si verifica un attacco di aerosiluranti decollati da Malta. Quattro degli aerei vengono abbattuti dalle navi della scorta, ma alle 15.40 la Manara viene colpita a poppa da un siluro; presa a rimorchio dal Freccia (capitano di fregata Minio Paluello), può essere portata all’incaglio nella baia di Arilla (Corfù). Il resto del convoglio prosegue; al tramonto si scinde nuovamente nei due gruppi originari (meno Freccia e Manara) che navigano separati per tutta la notte, pur seguendo entrambi la medesima rotta lungo la costa ellenica.
7 settembre 1942
All’alba i due gruppi si riuniscono di nuovo, assumendo una formazione con le motonavi disposte a triangolo (Ravello a dritta, Ankara a sinistra, Sestriere di poppa) e le navi scorta disposte tutt’intorno, oltre alla scorta aerea di 7 Junkers Ju 88 tedeschi, 5 caccia italiani Macchi Mc 200 ed un idrovolante CANT Z. 506.
Alle 8.35 il sommergibile britannico P 34 (tenente di vascello Peter Robert Helfrich Harrison), preavvisato del prossimo arrivo del convoglio, avvista su rilevamento 305° le alberature ed i fumaioli delle navi italiane. Iniziata la manovra d’attacco alle 8.40, il P 34 lancia quattro siluri alle 9.21, da 6400 metri, in posizione 36°17’ N e 21°03’ E (45 miglia a sudovest dell’isola greca di Schiza); Sestriere e Ravello, avvistati i siluri, li evitano con la manovra. Il Lampo (capitano di corvetta Antonio Cuzzaniti) viene temporaneamente distaccato per dargli la caccia, lanciando bombe di profondità a scopo intimidatorio, per poi riunirsi al convoglio; anche l’Aviere, che ha avvistato le scie dei siluri, effettua un attacco con bombe di profondità. Il contrattacco contro il P 34 si protrae dalle 9.36 alle 13 circa (con una pausa di circa un’ora), con il lancio in tutto di 83 bombe di profondità; gli scoppi delle bombe, oltre ad indurre il sommergibile a restare immerso in profondità per tutto il pomeriggio, arrecano seri danni al suo motore di sinistra (quando si cerca di metterlo in moto, scoppia un incendio), costringendolo ad interrompere la missione e rientrare a Malta per le riparazioni.
Per tutta la giornata del 7, e nella notte successiva, le navi vengono ripetutamente attaccate da bombardieri (di giorno si tratta di Consolidated B-24 “Liberator” statunitensi) ed aerosiluranti.
Alle 19.40 il convoglio «Lambda» si scinde nuovamente in due gruppi: Geniere, Lampo, Ankara e Partenope dirigono per Tobruk, mentre Pegaso, Pallade, Camicia Nera, Aviere, Corsaro, Legionario, Ravello e Sestriere fanno rotta per Bengasi (dove arriveranno alle 11 dell’indomani).
Il gruppo che comprende il Geniere, durante la notte, viene sottoposto ad ulteriori e pesanti attacchi di bombardieri; mentre l’Ankara rimane indenne, il Fuciliere (capitano di fregata Del Grande) subisce alcuni allagamenti in conseguenza dell’esplosione di alcune bombe cadute vicine, ragion per cui deve lasciare la scorta e raggiungere Creta, scortato dal Bombardiere.
8 settembre 1942
In mattinata, si aggregano al gruppo che comprende il Geniere anche l’incrociatore ausiliario Brioni (impiegato come trasporto) e la torpediniera Orione, provenienti da Suda.
Il Geniere e le altre navi del suo gruppo entrano a Tobruk alle 14.
16 ottobre 1942
Il Geniere (capitano di fregata Marco Notarbartolo) salpa da Taranto alle 21 insieme ai gemelli Aviere (caposcorta, capitano di vascello Ignazio Castrogiovanni) e Camicia Nera (capitano di fregata Adriano Foscari), scortando la motonave tedesca Ankara, diretta a Tobruk.
17 ottobre 1942
Giunto presso Corfù alle 11, il convoglietto che comprende il Geniere si congiunge ad un secondo gruppo proveniente da Brindisi e diretto a Bengasi, composto dalla motonave Monginevro scortata dalle torpediniere Orsa (tenente di vascello Enrico Bucci) ed Aretusa (capitano di corvetta Roberto Guidotti). Formato un unico convoglio, le motonavi lasciano Corfù alle 17.40 (o 18).
18 ottobre 1942
In mattinata si unisce alla scorta anche il cacciatorpediniere Alpino (capitano di vascello Candido Bigliardi), proveniente da Navarino.
Alle 20.10 il convoglio si scinde di nuovo: Monginevro con AviereGeniere e Camicia Nera per Bengasi; Ankara con AlpinoOrsa ed Aretusa a Tobruk.
19 ottobre 1942
Monginevro e scorta, Geniere compreso, giungono a Bengasi alle 10.30, senza essere stati attaccati (a differenza del gruppo dell’Ankara, che comunque supera indenne i ripetuti attacchi aerei cui è fatto oggetto).
Subito dopo Geniere, Aviere (di nuovo caposcorta) e Camicia Nera ripartono da Bengasi per scortare a Brindisi le moderne motonavi Foscolo e D’Annunzio, che ritornano scariche.
20 ottobre 1942
Il convoglio sosta a Corfù durante la notte tra il 20 ed il 21, poi prosegue, con l’aggiunta della torpediniera di scorta Ardito.
21 ottobre 1942
Il convoglio arriva a Brindisi alle tre di notte.


Il Geniere con colorazione mimetica, verosimilmente nel 1942-1943 (da navalhistory.flixco.info)

28 ottobre 1942
Il Geniere, insieme ai gemelli Aviere (caposquadriglia) e Legionario, parte da Taranto per Tobruk alle 18.45, in missione di trasporto. In tutto, i tre cacciatorpediniere hanno a bordo 219 tonnellate di benzina in fusti ed in latte, nonché cinque tonnellate di materiali d’artiglieria.
30 ottobre 1942
Geniere, Aviere e Legionario raggiungono Tobruk alle 8.30 e ripartono alle 14, dopo aver messo a terra il carico, dirigendo rispettivamente per Brindisi (Geniere) e Taranto (Aviere e Legionario).
1° novembre 1942
Il Geniere giunge a Brindisi alle 3.45.
4 novembre 1942
Geniere (caposcorta), Aretusa e Camicia Nera partono da Brindisi per Bengasi a mezzogiorno, scortando la motonave Foscolo.
5 novembre 1942
Il convoglio giunge al Pireo alle 17.20 e vi sosta per quattro giorni.
9 novembre 1942
Alle 10 il convoglio riparte dal Pireo alla volta di Suda, dove arriva alle 22, sostandovi fino all’indomani.
10 novembre 1942
Il convoglio riparte da Suda alle 18 diretto a Bengasi.
12 novembre 1942
Foscolo, Geniere, Aretusa e Camicia Nera arrivano finalmente a Bengasi alle 21.45.
23 novembre 1942
Il sottocapo elettricista Renzo Giua (22 anni, da Guasila), del Geniere, muore in territorio metropolitano.
4 dicembre 1942
Geniere ed Aviere (caposcorta) partono da Napoli per Biserta alle 16.40, scortando la moderna motonave Caterina Costa. Dieci minuti dopo la partenza, al largo di Capri, il convoglio viene attaccato da 16 bombardieri, che tuttavia non causano alcun danno.
5 dicembre 1942
Geniere, Aviere e Caterina Costa entrano a Palermo alle 16.30.
6-7 dicembre 1942
Il Geniere, insieme ai cacciatorpediniere AviereCorsaro e Bombardiere (coi quali forma la XI Squadriglia Cacciatorpediniere), MaestraleGioberti e Legionario (X Squadriglia Cacciatorpediniere), salpa da Napoli nella tarda serata del 6 per scortare le moderne corazzate LittorioVittorio Veneto e Roma (che formano la IX Divisione Navale), delle quali è stato ordinato il trasferimento nella più sicura base di La Spezia dopo che un bombardamento su Napoli, due giorni prima, ha semidistrutto la VII Divisione Navale. Nell’uscire dal porto, un’elica del Bombardiere s’impiglia nelle ostruzioni retali ed il cacciatorpediniere rimane bloccato a Napoli, dovendo così essere sostituito dal più anziano Freccia.
La formazione, che fruisce anche della scorta aerea di tre idrovolanti CANT Z. 501 in funzione antisommergibili, percorre i canali dragati occidentali del golfo di Napoli, con le corazzate in linea di fila (nell’ordine LittorioVittorio Veneto e Roma) precedute dalla XI Squadriglia e seguite dalla X Squadriglia. Superato Capo Miseno, la XI Squadriglia si pone in posizione di scorta ravvicinata a dritta e la X Squadriglia fa lo stesso a sinistra. La navigazione notturna procede senza problemi, ed al mattino successivo arrivano tre CANT Z. 501 che scortano le navi sino a La Spezia; alle otto del mattino il Bersagliere, partito da La Spezia, si unisce alla X Squadriglia. A partire da mezzogiorno dapprima i cacciatorpediniere e poi anche le corazzate eseguono prove di emissione di cortine fumogene, ed alle 15.30 la formazione entra nel canale dragato che porta a La Spezia.
19 dicembre 1942
Geniere e Gioberti lasciano Biserta all’1.20, per scortare a Napoli gli avvisi-dragamine francesi Commandant Rivière e La Batailleuse, catturati a Biserta dalle forze dell’Asse a seguito dell’occupazione italo-tedesca della Francia di Vichy e della Tunisia. Su Geniere e Gioberti sono imbarcati 587 ufficiali e marinai della Marina francese, smobilitati a seguito della soppressione delle modeste forze armate di Vichy, che devono essere rimpatriati.
20 dicembre 1942
Le quattro navi raggiungono Napoli alle 16.
19 dicembre 1942
Geniere (caposcorta), Gioberti ed un altro cacciatorpediniere, il Lampo, partono da Palermo alle due di notte, insieme alla Clio, per scortare in Tunisia un convoglio formato dalle moderne motonavi CalinoMario Roselli ed Alfredo Oriani.
Durante la navigazione, il convogli si divide: GiobertiGeniere e Roselli dirigono per Biserta, dove giungono alle 17.25, mentre le altre navi fanno rotta per Tunisi, ove arrivano alle 18.30.
(Riportato nella cronologia USMM, sembra incoerente con la missione citata più sopra, anch’essa contenuta nella medesima cronologia).
22 dicembre 1942
Il Geniere (caposcorta) parte da Napoli alle 15.30, insieme al Camicia Nera ed alla torpediniera di scorta Ardito, per scortare a Biserta la motonave Caterina Costa.
23 dicembre 1942
Il Geniere lascia la scorta della Caterina Costa alle 4.30. Alle 9 sopraggiungerà da Biserta il cacciatorpediniere Bombardiere, che assumerà il ruolo di caposcorta al posto del Geniere; la Caterina Costa giungerà a destinazione alle 17 dello stesso giorno.

Foto aerea del bombardamento di Palermo del 1° marzo 1943, scattata verso le 13.40. In primo piano una bomba da 1000 libbre (454 kg); al centro della foto si distingue il bacino di carenaggio nel quale si trova il Geniere (g.c. STORIA militare)

Epilogo

Dopo mesi di intensa attività operativa, il Geniere venne finalmente avviato ai lavori a Palermo, per un meritato periodo di manutenzione. Ma destino era che non dovesse mai più tornare in servizio.
Il 1° marzo 1943, infatti, il Geniere si trovava in secco nel bacino di carenaggio di Palermo assieme alle motozattere MZ 741 e MZ 743 quando, alle 13.18, ebbe inizio uno degli ormai abituali bombardamenti aerei Alleati sul capoluogo siciliano.
L’attacco fu portato in tutto da 36 (per altra fonte 38) bombardieri Boeing B-17 "Flying Fortress" della 12th Air Force dell’U.S.A.A.F., divisi in due ondate: la prima consisteva in 16 B-17E del 353rd Bomber Squadron (301st Bomber Group) decollati dalla base algerina di Ain M’lila (per altra fonte Maison Blanche, Algeri) e privi di scorta; la seconda era formata da 20 B-17E del 97th Bomber Group, decollati dalla base di Châteaudun du Rumel (anch’essa in Algeria) e scortati da 41 caccia bimotori Lockheed P-38 "Lightning" del 27th e 71st Fighter Squadron (1st Fighter Group).
Nelle due ore e mezza che seguirono, i bombardieri statunitensi – tenendosi a quote comprese tra i 6500 ed i 6700 metri – sganciarono in tutto 94 tonnellate di bombe, concentrandosi principalmente sul porto (che era l’obiettivo dell’attacco) e sulla zona centrale della città, ove si trovava la stazione centrale. Vennero sganciate anche bombe da 2000 libbre (907 kg).
I primi ad essere colpiti, alle 14.22, furono i cantieri navali: otto bombe ad alto esplosivo danneggiarono gravemente gli scali e spostarono anche una piccola nave che era in costruzione.
Poco dopo, intorno alle 14.30, cinque bombe "General Purpose" (GP) da 500 libbre (227 kg), sganciate dai bombardieri della prima ondata, caddero sulla “platea” del bacino con effetti devastanti: le esplosioni distrussero la porta del bacino ed aprirono diverse falle nella carena del Geniere; distrutta la porta, l’acqua del porto si riversò immediatamente nel bacino, riempiendolo e trascinando il cacciatorpediniere verso l’uscita. Al contempo, l’acqua entrò nelle numerose falle aperte dalle bombe nell’opera viva del Geniere, allagandolo e facendolo sbandare. Dopo circa un’ora, il Geniere si abbatté sul lato di dritta (con uno sbandamento di circa 70°) ed affondò all’interno del bacino di carenaggio, travolgendo e schiacciando sotto di sé la MZ 741. Rimasero emergenti parte delle sovrastrutture e della murata di sinistra ("Navi militari perdute" dell’U.S.M.M. indica però le 14.30 come l’ora dell’affondamento, anziché dell’impatto delle bombe, mentre le bombe sarebbero cadute sul bacino e sulla nave alle 13.30). Affondò nel bacino, capovolgendosi, anche la MZ 743.
Il bombardamento continuò: verso le 15 venne incendiato il piroscafo Giacomo Costa ed affondato il rimorchiatore militare Porto Adriano; alle 15.45 fu incendiata la cisterna militare Marte ed affondato il piccolo piroscafo Lampedusa. Vennero affondati anche il piccolo dragamine ausiliario B 192 San Carlo (una goletta da pesca requisita), la motosilurante tedesca S 56 ed il pontone "Siebel" tedesco SF 54, mentre subirono danni il motoveliero Libia, il rimorchiatore requisito Sicilia, i piroscafi italiani Modena e Schiaffino ed il piroscafo tedesco Charlotte.
Tra la popolazione palermitana vi furono 10 vittime e 96 feriti, relativamente poche se confrontati ad altri bombardamenti dello stesso periodo, che in pochi mesi provocarono più di mille morti tra gli abitanti della città. Sette caccia Macchi Mc 202 della 372a e 377a Squadriglia della Regia Aeronautica decollarono per intercettare i bombardieri statunitensi; da parte italiana si rivendicò l’abbattimento di tre B-17 (due certi, più uno probabile), mentre da parte statunitense i P-38 ritennero di aver abbattuto un caccia (identificato come un Macchi Mc 200) ed i mitraglieri dei B-17 rivendicarono l’abbattimento di tre aerei italiani (due “certi” ed uno probabile) ed il danneggiamento di altri tre (in realtà, le perdite tra i Macchi ammontarono ad un aereo abbatuto e due danneggiati).
L’incursione ebbe finalmente termine alle 15.45.
Persero la vita nel bombardamento tre uomini del Geniere, tra cui il secondo capo meccanico Salvatore Solimene, di 25 anni, da Castellammare di Stabia.


Il relitto del Geniere poco dopo il suo affondamento, il 1° marzo 1943. In secondo piano il relitto capovolto della MZ 743 (g.c. STORIA militare)

Il relitto del Geniere fotografato poco dopo l’occupazione di Palermo da parte delle forze statunitensi, tra il 23 ed il 26 luglio 1943 (sopra: Imperial War Museum; sotto: g.c. STORIA militare). Non è più presente il relitto della MZ 743, frattanto recuperata e trasferita a Castellammare di Stabia per le riparazioni.


Il relitto del Geniere vigilato da un militare statunitense (da www.regiamarinaitaliana.forumgratis.org)
Un’altra immagine del relitto del Geniere durante l’occupazione statunitense di Palermo (da ninobadalamenti.wordpress.com)

Il relitto del Geniere rimase nel bacino di carenaggio a Palermo, impedendone l’utilizzo, fino all’aprile 1944; in quel mese, durante la co-belligeranza tra l’Italia e gli Alleati, il cacciatorpediniere venne recuperato, rimesso in condizioni di galleggiare e rimorchiato a Taranto, dove avrebbe dovuto essere demolito.
A Taranto, però, non ci arrivò mai. Certi marinai dicono che le navi hanno un’anima: quella del Geniere, evidentemente, dopo aver prestato onorato e intenso servizio per tre anni di guerra in innumerevoli missioni nel Mediteraneo, non era intenzionata a finire la sua esistenza sotto la fiamma ossidrica di un demolitore.
Al largo della costa calabrese, forse per le avverse condizioni del mare (mare formato) o per insufficienza delle riparazioni effettuate a Palermo prima del viaggio, le vie d’acqua tamponate dopo il recupero si riaprirono, ed il cacciatorpediniere ruppe il rimorchio ed iniziò ad affondare. Non ci fu nulla da fare: in breve tempo il Geniere colò a picco qualche miglio a levante di Capo Spulico, dove si trova tutt’ora.

Il relitto del Geniere, meta di subacquei, giace oggi su un fondale fangoso a 37 metri di profondità (le strutture più elevate arrivano fino a 27-29 metri dalla superficie). Il relitto, che appare integro, è adagiato sul fianco di dritta, con la prua rivolta verso sud; risulta ancora ben evidente la Stella d’Italia sul tagliamare. Il lato di dritta è semisepolto nel fanco, mentre quello di sinistra è ricoperto da spugne gialle, ostriche e bivalvi; una rete a strascico è impigliata nella poppa, dove si notano i resti di quello che forse era uno scaricabombe per bombe di profondità. Le strutture della plancia sono ancora riconoscibili, mentre non ci sono più i complessi binati da 120 mm, probabilmente asportati ancor prima della partenza da Taranto per Palermo; il fumaiolo giace coricato sulla sabbia.

Il Geniere nel 1941 (da Elio Andò, Erminio Bagnasco, “Marina Italiana. Le operazioni nel Mediterraneo. Giugno 1940 – Giugno 1942”, Intergest, Milano 1976, via it.wikipedia.org)


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