La MZ 733 a Tobruk nel settembre 1942 (Achille Rastelli via Historisches Marinearchiv)
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La MZ 733 era una motozattera della prima
serie della classe MZ, tipo “MZ-A”, unità derivate dalle Marinefährprahme
tedesche e costruite in vista del mai attuato sbarco a Malta. Lunga 47 metri e
larga 6,5, con un pescaggio di un metro se scarica, dislocava 140 tonnellate,
che potevano salire a 239 a pieno carico (poteva caricare 65 tonnellate di
materiali). Era propulsa da tre motori diesel prodotti dalle Officine
Meccaniche di Milano, della potenza complessiva di 450 HP; raggiungeva una
velocità di undici nodi, con un’autonomia di 1450 miglia a 8 nodi. L’armamento
consisteva in un cannone da 76/40 mm ed una o due mitragliere da 20/70 mm.
La MZ 733 fu varata dai Cantieri Navali
Riuniti di Ancona il 15 giugno 1942, e completata il 29 giugno dello stesso
anno.
Dopo il
completamento, la MZ 733 partì per
l’Africa il 31 agosto 1942. Per le motozattere, il viaggio di trasferimento in
Libia avveniva in gruppi, con la scorta di una torpediniera: per la MZ 733, il gruppo era composto dalle
gemelle MZ 732, 735, 736, 737, 738,
740 e 741, e la torpediniera era la Castore,
che assunse la scorta delle motozattere, salpate da Brindisi, al Pireo (il 1°
agosto). Prima della partenza, sulle piccole unità erano state caricate in
tutto 367 tonnellate di rifornimenti: 30 tonnellate di munizioni, 25 di
materiali vari, 16 carri armati (peso totale 240 tonnellate), due autoblindo
(peso totale 14 tonnellate) e nove automezzi (peso totale 58 tonnellate), oltre
a 30 uomini del Regio Esercito diretti in Africa. Nel primo tratto, la scorta
fu più numerosa del solito; oltre alla Castore,
infatti, c’erano anche il cacciatorpediniere Lubiana e due unità ausiliarie, l’Audax e l’Instancabile.
Il convoglio fece
varie soste, ed alle 20 del 4 agosto, dopo una sosta a Suda, ripartì per Tobruk
con la scorta della sola Castore;
alle motozattere si era unito anche il piroscafo Scillin. Le unità giunsero a Tobruk alle 9 del 6 agosto, e per le
motozattere ebbe inizio l’incessante spola lungo le coste cirenaiche ed
egiziane, trasportando preziosi rifornimenti dai porti in cui venivano sbarcati
dalle grandi navi (Tobruk, appunto, e Bengasi) a porticcioli più piccoli e più
vicini alla linea del fronte, dove le navi di maggior pescaggio non potevano
arrivare. Un lavoro umile, pericoloso ed importante al tempo stesso.
Il 14 settembre 1942
la MZ 733 si trovò catapultata di
colpo nel mezzo di un’accanita battaglia anfibia: Tobruk fu presa d’assalto da
centinaia di commandos britannici, dal deserto e dal mare. Era scattata
l’operazione «Daffodil», parte della più vasta operazione «Agreement»: scopo
dei britannici era di occupare temporaneamente la piazzaforte con un colpo di
mano, per distruggere il porto e le altre installazioni tanto vitali per
l’armata italo-tedesca del deserto.
Il piano britannico
prevedeva che Tobruk fosse attaccata contemporaneamente da commandos sbarcati
dal mare e da una colonna di camionette provenienti dal deserto, quindi
occupata per 24 ore, durante le quali distruggere le infrastrutture portuali, i
mezzi navali presenti in rada, i depositi di carburante dell’Afrika Korps, le
officine per la riparazione dei carri armati ed ogni altro deposito. Le dieci
motozattere trovate in miglior efficienza nel porto, invece, sarebbero state
catturate ed inviate ad Alessandria (con a bordo prigionieri italiani,
eventuali prigionieri britannici liberati, feriti e materiale di bottino) per andare
a rinforzare la forza da sbarco britannica: sarebbe stata probabilmente questa,
in caso di successo dell’operazione, la sorte della MZ 733.
La forza navale
d’attacco britannica era suddivisa in due gruppi: la Forza A, con i
cacciatorpediniere Sikh e Zulu, che dovevano sbarcare 380 uomini
(mediante 30 barconi a fondo piatto) a nord del porto, poi entrare nel porto
per distruggere le navi italiane lì presenti e quindi reimbarcare i commandos e
prendere nuovamente il largo; e la Forza C, con le motosiluranti MTB 260, 261, 262, 265, 266, 267, 268, 307, 308, 309, 310, 311, 312, 314, 315 e 316 e le motolance ML 349, 352 e 353, che
dovevano sbarcare in tutto 200 uomini a sud del porto per agire in
coordinazione con la colonna di camionette giunta via terra (e, dopo lo sbarco,
entrare nella rada e silurare e affondare tutte le navi presenti).
Quest’ultima, denominata Forza B, era composta da 18 camionette e da 83 uomini;
proveniente dall’oasi di Cufra, doveva infiltrarsi nel perimetro difensivo di
Tobruk camuffando i suoi uomini in parte da soldati tedeschi ed in parte da
prigionieri di guerra, quindi attaccare le forze italo-tedesche e creare una
testa di sbarco per la Forza C. Lo sbarco doveva essere appoggiato da un’altra
formazione navale, la Forza D, con l’incrociatore antiaerei Coventry ed i cacciatorpediniere Belvoir, Beaufort, Aldenham, Exmoor, Dulverton, Hursley, Hurtworth e Croome.
Il gruppo navale
britannico lasciò Alessandria d’Egitto tra il 12 ed il 13 settembre. La sera
del 13 settembre gli uomini della Forza B attaccarono le posizioni loro
assegnate tra Tobruk e Marsa Sciausc (una località sulla sponda meridionale
della baia di Tobruk), sopraffacendo i capisaldi italiani e segnalando il “via
libera” alle unità della Forza C. I comandi italiani, però, insospettiti dalla
maggiore intensità, rispetto al solito, delle incursioni aeree su Tobruk
(iniziate alle 21.30 del 13 e proseguite sino alle 3.15 con l’impiego di
bombardieri B-24 Liberator – che sganciarono oltre 70 tonnellate di bombe –,
Handley Page Halifax e Vickers Wellington per un totale di 91 velivoli, che
eseguirono azioni di bombardamento e mitragliamento) avevano intensificato la
sorveglianza lungo la costa; l’intercettazione, da parte italiana, del
messaggio di uno dei cacciatorpediniere, e la telefonata al comando di un
ufficiale italiano sfuggito alla cattura da una delle batterie d’artiglieria
attaccate (alle 23.40), misero in allarme la piazzaforte. 17 motozattere e tre
torpediniere (Castore, Generale Antonino Cascino e Generale Carlo Montanari), su ordine del comandante di Marina Tobruk (capitano di
vascello D’Aloya) d’accordo con il comandante interinale del settore (colonnello
Battaglia del Regio Esercito) e con il comandante di Marina Libia (ammiraglio
di divisione Giuseppe Lombardi, avente anch’egli sede a Tobruk), vennero
schierate lungo le ostruzioni retali (in precedenza era già stato ordinato loro
di intensificare la vigilanza costiera), e furono queste unità, con il loro
fuoco, a respingere i tentativi della Forza C di entrare nella rada di Tobruk.
Grazie al bottino fatto alla caduta di Tobruk, nel giugno 1942, l’armamento
delle motozattere era stato notevolmente potenziato: i loro equipaggi erano
infatti abbondantemente forniti di fucili mitragliatori britannici, che
sarebbero ora stati impiegati contro i loro passati “proprietari”. La MZ 733 (al comando del sottotenente di
vascello Calderara), insieme alla MZ 759,
era in mare con funzioni di guardaporto; gli uomini non impegnati con la
navigazione erano armati di mitra e pronti al fuoco.
I presidi dei
capisaldi italiani, gli uomini del Reggimento «San Marco» ed una compagnia
appositamente costituita con marinai della Regia Marina passarono al
contrattacco e riuscirono a respingere la Forza B, costringendone i pochi
superstiti alla fuga; quanto all’attacco dal mare, fu proprio l’anonima,
piccola, dimessa MZ 733 a stroncare
il primo tentativo di sbarco. Soltanto verso l’alba, infatti, le altre
motozattere poterono essere dislocate in posizione adeguata ad una loro
partecipazione alla difesa; nel momento cruciale dell’azione, soltanto la MZ 733 e due delle sue gemelle, le MZ 756 e 759, si trovarono a dover respingere l’attacco nemico. All’una di
notte, dopo che la Forza B ebbe segnalato che la strada era libera, sei
motosiluranti britanniche tentarono di sbarcare i commandos sulla costa, ma
vennero arrestate e disperse dall’immediata reazione della MZ 733, che con la MZ 759
era stata dislocata quale rinforzo vicino alle ostruzioni all’ingresso della
rada di Tobruk. Proprio all’una, la MZ
733 comunicò al Comando Marina: «Motosiluranti nemiche cercavano di forzare
le ostruzioni. Vado all'attacco»; in questo scontro tra piccole unità navali, i
marinai della motozattera combatterono “come in trincea”, sparando con mitra e
moschetti e riparandosi dietro sacchetti di sabbia. Il cannone da 76, quando
ebbe finite le munizioni, sparò contro le unità avversarie persino con i proiettili
illuminanti.
Soltanto due
motosiluranti – la MTB 261 del
tenente di vascello M. Yeatman e la MTB
314 del tenente di vascello H. W. Sheldrick –, agendo indipendentemente,
riuscirono a mettere a terra una sezione di fucilieri del reggimento Royal
Northumberland; per di più, la MTB 314
s’incagliò sulla costa e non riuscì più a liberarsi, tanto da essere catturata
alcune ore dopo.
Poco dopo, un secondo
tentativo di sbarco da parte delle motosiluranti della Forza C fu anch’esso
respinto, stavolta dalla MZ 756,
dalle torpediniere e dalle batterie costiere.
Intanto, la Forza A
riuscì a sbarcare solo un quarto dei suoi uomini, ma nel punto sbagliato della
costa, così che vennero tutti uccisi o catturati dai difensori; gli altri non
poterono essere sbarcati causa il mare mosso e l’inadeguatezza dei mezzi da
sbarco, e le batterie costiere e contraeree italiane e tedesche aprirono poi il
fuoco sui cacciatorpediniere, mettendo fuori uso il Sikh, che dovette poi essere finito dal Croome dopo essere stato ulteriormente danneggiato da un
attacco aereo italiano, e danneggiando lo Zulu, che fu costretto a ritirarsi.
I caccia italiani
Macchi Mc 200, al solo costo del danneggiamento di un aereo (su 21), riuscirono
ad affondare, in una serie di attacchi, la motosilurante MTB 312 e le motolance ML 352 e ML 353; la MTB 310 venne
immobilizzata da aerei italiani e finita da aerei tedeschi. I velivoli tedeschi
(73 bombardieri Junkers Ju 87, 105 bombardieri Ju 88 e tredici caccia
Messerschmitt Bf 109) affondarono invece il Coventry, lo Zulu e
la MTB 308 (già danneggiata
da aerei italiani, fu definitivamente distrutta da uno Ju 88 che, da essa
abbattuto, vi precipitò sopra), oltre alla già citata MTB 310, subendo la perdita di cinque velivoli (due Ju 87 e tre Ju
88).
Ad attacco concluso,
cinque motozattere (quattro tedesche ed una italiana), le torpediniere Castore e Montanari e tre motodragamine tedeschi della 6a Flottiglia
vennero inviati a recuperare i naufraghi delle unità britanniche: in tutto le
unità italiane e tedesche recuperarono dal mare 476 uomini (tra cui parte
dell’equipaggio del Sikh).
L’operazione
«Daffodil» si concluse con un completo fallimento per le forze britanniche, le
cui perdite ammontarono a 779 morti (tra cui il tenente colonnello John Edward
Haselden, comandante delle forze di terra britanniche) e 576 prigionieri,
nonché la perdita di un incrociatore (il Coventry), due cacciatorpediniere (Sikh e Zulu),
quattro motosiluranti (MTB 308, 310, 312 e 314) e due motolance (ML 352 e 353), oltre ai vari improvvisati barconi della Forza A, tutti
distrutti o catturati. Le perdite dell’Asse assommarono invece a cinque aerei
tedeschi, 70 morti (69 italiani e 1 tedesco) e 79 feriti (72 italiani e 7
tedeschi).
Passato il suo
momento di gloria, la MZ 733 tornò
alle sue incombenze di traghetto di rifornimenti lungo la costa
libico-egiziana. L’offensiva britannica ad El Alamein, scattata il 23 ottobre
1942, costrinse le forze dell’Asse ad arretrare dall’Egitto in Cirenaica, e poi
in Tripolitania: Tobruk cadde il 13 novembre, Bengasi una settimana dopo, e
Tripoli il 23 gennaio 1943. Perduta la Libia, le armate italo-tedesche si
concentrarono in Tunisia per resistervi il più a lungo possibile; il 13 maggio
1943, 250.000 soldati italiani e tedeschi deposero le armi, ponendo fine alla
campagna d’Africa.
Veniva ora il turno
del territorio nazionale italiano: gli Alleati iniziarono i preparativi per lo
sbarco in Sicilia, ma prima occorreva neutralizzare i presidi italiani delle
isole a sud della Sicilia.
Tra di esse,
Pantelleria rappresentava indubbiamente l’obiettivo più importante: trasformata
in una fortezza, l’isola era presidiata da oltre 11.000 uomini, difesa da ventidue
batterie antinave ed antiaeree in gran parte in caverna, e disponeva di basi
aeree che sarebbero tornate utili agli Alleati per l’invasione della Sicilia.
Iniziò quindi il suo
martellamento dal cielo e dal mare (dall’8 maggio all’11 giugno, piovvero su
Pantelleria 6000 tonnellate di bombe, senza contare i bombardamenti navali); a
partire dalla notte del 10 maggio, inoltre, la flotta britannica predispose una
ferrea vigilanza attorno a Pantelleria, per impedire l’invio di qualsiasi
rifornimento. Era così iniziata l’operazione «Corkscrew».
Rifornire la
guarnigione assediata era un compito difficile e pericoloso, possibile solo ad
unità piccole – e, brutto dirlo, spendibili – che avessero qualche speranza di
passare inosservate: un lavoro per motozattere.
La MZ 733 salpò da Mazara del Vallo la sera
del 20 maggio 1943, con un carico di rifornimenti per Pantelleria; l’unità era
al comando del sottotenente di vascello Antonelli, l’equipaggio era composto da
diciannove uomini. A Pantelleria si trovava anche un impianto radar tedesco
FuMG, con un presidio di 600 uomini della Wehrmacht; prevedendo la caduta
dell’isola, i comandi tedeschi avevano deciso di smantellare la stazione radar
e ritirare il loro presidio, ad eccezione di 78 specialisti. Era previsto che,
nel viaggio di ritorno verso la Sicilia, la MZ
733 avrebbe dovuto trasportare le componenti del radar non ancora evacuate,
nonché parte dei militari tedeschi.
Il viaggio della
piccola unità si concluse la notte del 21 maggio al largo di Capo Granitola,
sotto le bombe degli aerei angloamericani. Centrata ed incendiata, la
motozattera si capovolse ed affondò con sette uomini del suo equipaggio, otto
miglia a sud/sudovest del Capo. I dodici sopravvissuti, tra cui il comandante
Antonelli, furono tratti in salvo dal MAS
544, inviato da Mazara.
Caduti nell’affondamento della MZ 733:
Antonio Bergonzini, marinaio cannoniere,
disperso
Erminio Fuggetta, sergente cannoniere,
disperso
Carlo Salvemini, sottocapo nocchiere, disperso
Adolfo Simonetti, marinaio cannoniere,
disperso
Gavino Sposito, marinaio cannoniere, disperso
Ottorino Tosoratti, marinaio cannoniere,
disperso
Giuseppe Vatteroni, sergente nocchiere,
disperso
Il
relitto della MZ 733 è stato
ritrovato nell’estate del 2017 dai subacquei del gruppo Rebreather Sicilia, ad
una profondità compresa tra i 90 ed i 98 metri.
Una serie
di immagini del relitto della MZ 733
(g.c. Massimiliano Piccolo):
Un’estremità
della MZ 733
Due bitte (?) |
Una
torretta
La prua o la poppa |
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