Il varo dell’Ambra (Coll. Giuseppe Celeste via www.associazione-venus.it)
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Sommergibile di
piccola crociera della classe Perla (dislocamento di 695 tonnellate in
superficie e 855 in
immersione). Al comando di Mario Arillo, fu protagonista di alcuni brillanti
successi, che valsero il conferimento della Medaglia d’Argento al Valor
Militare alla bandiera dell’unità. Effettuò in tutto 31 missioni di guerra di
tutti i tipi (tra cui 3 di trasferimento e 3 missioni speciali), percorrendo
16.890 miglia in superficie e 2747 in immersione.
Fece parte dell’equipaggio
dell’Ambra, durante la guerra, anche
Luciano Barca, poi deputato.
Breve e parziale cronologia.
28 agosto 1935
Impostazione nei
cantieri Odero Terni Orlando del Muggiano (La Spezia).
28 maggio 1936
Varo nei cantieri
Odero Terni Orlando del Muggiano (La Spezia).
L’Ambra ed i gemelli Iride, Onice e Malachite in allestimento al Muggiano nel 1936 (sopra: dal libro “Gli squali dell’Adriatico” di Alessandro Turrini; sotto: g.c. Dante Flore)
4 agosto 1936
Entrata in servizio.
Assegnato alla XXXIV Squadriglia Sommergibili, di base a Messina (per altra
fonte, al I Gruppo Sommergibili di La Spezia). Suo primo comandante è il
tenente di vascello Cesare Corrado.
Nei primi anni di
servizio, l’Ambra svolge intensa
attività addestrativa nonché frequenti crociere di resistenza nelle acque del
Dodecaneso e lungo le coste del Nordafrica.
29 agosto 1937
Prende il mare per
effettuare una missione clandestina al largo di Alicante, nell’ambito della
guerra civile spagnola. Durante la missione inizia una manovra d’attacco contro
una nave, ma poi vi rinuncia, non essendo riuscito ad identificare il bersaglio
con certezza.
6 settembre 1937
Rientra alla base,
così concludendo la missione.
1938-1940
Trascorre lunghi
periodi dislocato al di fuori delle acque metropolitane, perlopiù a Tobruk.
1940
Lascia Tobruk e viene
trasferito a Taranto, inquadrato nel IV Gruppo Sommergibili.
10 giugno 1940
All’entrata in guerra
dell’Italia, l’Ambra (tenente di vascello Leone Monteleone) forma con i
similari Rubino e Malachite la XLVII Squadriglia
Sommergibili, di base a Taranto (IV Grupsom).
Nei mesi a seguire
verrà impiegato in agguati difensivi nel Golfo di Taranto ed in missioni
esplorative al largo di Alessandria d’Egitto.
Agosto 1940
Effettua cinque agguati
protettivi nel Golfo di Taranto.
23 settembre 1940
Inviato a sud di
Creta insieme ai sommergibili Serpente
e Goffredo Mameli.
28 settembre 1940
Partecipa, senza
successo, al contrasto dell’operazione britannica «MB. 5», consistente
nell’invio a Malta di 1200 uomini ed un carico di rifornimenti mediante erano
gli incrociatori leggeri Liverpool e Gloucester, con l’appoggio di due
corazzate (Valiant e Warspite), una portaerei (Illustrious), due incrociatori leggeri (Orion e Sydney), un incrociatore pesante (York) ed undici cacciatorpediniere.
12-21 dicembre 1940
Inviato in
pattugliamento a sudovest di Corfù, insieme al sommergibile Antonio Sciesa, a protezione del
traffico tra l’Italia e l’Albania.
16 dicembre 1940
Nelle prime ore della
notte, mentre è in missione nel Mediterraneo centrale, viene localizzato da due
unità britanniche: queste lo sottopongono a caccia per dodici ore, ma alla fine
l’Ambra riuscirà ad eludere la caccia
senza danni.
31 dicembre 1940-12 gennaio 1941
Inviato
pattugliamento nel Canale d’Otranto, insieme ai sommergibili Turchese e Filippo Corridoni, a protezione del traffico tra l’Italia e
l’Albania.
19 gennaio 1941
Assume il comando
dell’Ambra il tenente di vascello
Mario Arillo, in sostituzione del parigrado Monteleone.
L’Ambra nella primavera del 1941 (g.c. STORIA militare)
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5 marzo 1941
Inviato alla ricerca
di convogli britannici al largo di Creta, unitamente ad altri sommergibili (Ondina, Beilul, Galatea, Malachite, Smeraldo, Nereide, Ascianghi, Ambra, Dagabur and Onice), a contrasto dell’operazione
britannica «Lustre» (consistente nell’invio dall’Egitto alla Grecia di 58.000
uomini, quale rinforzo per la Grecia, con una serie di convogli – uno ogni tre
giorni, da Alessandria al Pireo –, nell’arco di un mese). Non trova nulla.
22 marzo 1941
L’Ambra (tenente di vascello Mario Arillo)
viene inviato in agguato sulla direttrice Alessandria-Capo Krio insieme ai
sommergibili Ascianghi (che deve
posizionarsi 60 miglia più a sudest) e Dagabur
(che giungerà in zona il 29 marzo, posizionandosi 60 miglia più a nordovest
dell’Ambra).
24 marzo 1941
Raggiunge l’area
assegnata. La dislocazione dei sommergibili in Mediterraneo orientale (poco
lontano ve ne sono altri due, Nereide
e Galatea) è stata programmata
nell’ambito dell’operazione «Gaudo», un’incursione in Egeo da parte di
un’importante aliquota della flotta italiana, avente lo scopo di attaccare i
convogli britannici in quel settore; i sommergibili hanno scopo esplorativo (segnalare
eventuali avvistamenti di forze navali nemiche) ma non sono avvertiti
dell’operazione in corso, e della particolare importanza di segnalare qualsiasi tipo di movimento rilevato.
27 marzo 1941
L’Ambra, unico tra i sommergibili inviati
nel Mediterraneo orientale per «Gaudo», rileva qualcosa: due volte, alle 2.45
ed alle 5.11, sente rumori di turbine agli idrofoni, ma, non avendo avvistato
nulla, non lo comunica alla base.
Non sarà comunque
questo a compromettere l’operazione, quanto una grave catena di errori,
omissioni e decisioni più che discutibili da parte del comandante superiore in
mare, Iachino, e dei comandi superiori. L’operazione «Gaudo» finirà in tragedia,
con la strage di Capo Matapan.
31 marzo 1941
Conclusa la missione,
inizia la navigazione di ritorno in emersione, ma alle 2.37 avvista una grossa
nave scortata, che procede ad una velocità stimata di 10 nodi (quella reale è
di 16,5, e la rotta 131°), ad un paio di chilometri di distanza (posizione
33°10’ N e 26°20’ E). Serrate le distanze, sempre in emersione, lancia tre
siluri contro la nave avvistata alle 2.44; poi rimane ancora in superficie per
accertare i risultati. Due dei siluri lanciati raggiungono il bersaglio a
centro nave, sul lato dritto: si tratta del moderno incrociatore leggero
britannico Bonaventure, della classe
Dido (Arillo, al buio, crede invece di aver silurato una grossa nave cisterna),
in mare per scortare dalla Grecia ad Alessandria il convoglio «G.A. 8» (due
navi mercantili), insieme ai cacciatorpediniere Hereward, Griffin e Stuart (l’incrociatore procede a
poppavia dei mercantili; i cacciatorpediniere, invece, a proravia di questi
ultimi). Colpito in entrambe le sale macchine, il Bonaventure soccombe rapidamente al loro rapido allagamento che,
insieme alla mancanza di energia (legata proprio alla messa fuori uso di tali
locali), vanifica ogni tentativo di salvare la nave: nel giro di cinque o sei
minuti, l’incrociatore si capovolge ed affonda di poppa, nel punto 33°20’ N e
26°35’ E (a nord di Sollum e 90 o 125 miglia a sud-sud-est di Creta), portando
con sé 23 ufficiali e 115 tra sottufficiali e marinai. L’Ambra, dopo aver constatato il successo del lancio (avendo visto
una grande fiammata seguita da due forti esplosioni, Arillo ritiene di aver
affondato una nave e danneggiato un’altra), s’immerge e si allontana. Mentre l’Hereward recupera i 310 sopravvissuti
(tra cui il comandante, capitano di vascello Henry Jack Egerton), lo Stuart – che è stato mancato dal terzo
siluro – localizza con l’ASDIC l’Ambra,
lo insegue e gli dà la caccia per diverse ore (fino alle 6.30), effettuando in
tutto sette attacchi con cariche di profondità. In tutto lo Stuart lancia 29 bombe di profondità, l’Hereward altre 10. Il sommergibile subisce
danni a varie apparecchiature, comprese le due bussole (giroscopica e
magnetica); elusa infine la caccia e riemerso, si dovrà orientare col sole e le
stelle per raggiungere Augusta.
Il comandante Arillo
riceverà la Medaglia d’Argento al Valor Militare.
Due immagini scattate il 31
marzo 1941, al rientro dalla missione nella quale fu affondato il Bonaventure: sopra, l’avvistamento della
costa siciliana; sotto, l’arrivo nel porto di Augusta (g.c. STORIA militare)
1° maggio 1941
Salpa da Augusta per
un agguato al largo di Alessandria.
5 maggio 1941
A causa di una
perdita nel tubo lanciasiluri numero 3, il comandante Arillo decide di
interrompere la missione e tornare indietro prima di raggiungere il settore
assegnato.
7 maggio 1941
L’Ambra arriva alla base. Arillo verrà
criticato dai superiori perché questi ritengono che l’avaria non fosse così
grave da giustificare un rientro anticipato.
12-20 maggio 1941
Pattugliamento a sudest
di Malta.
23-24 settembre 1941
Effettua un
pattugliamento antisommergibili nello stretto di Messina, in cooperazione con
il cacciasommergibili Albatros.
29 settembre 1941
Nel corso di un’altra
missione, l’Ambra, mentre si trova
immerso a 55 metri di profondità, avverte lo strisciamento da prua verso poppa
di un corpo metallico.
2-3 ottobre 1941
Altro pattugliamento
antisommergibili nello stretto di Messina, sempre insieme all’Albatros.
3 ottobre 1941
Parte da Augusta per
un pattugliamento al largo di Ras Zebib (agguato sul meridiano di Capo Zebib),
a seguito di sospetti movimenti britannici verso il Canale di Sicilia.
4 ottobre 1941
Dato che la minaccia
risulta infondata, l’Ambra viene
richiamato alla base. Durante la navigazione di rientro (verso Messina), si
verifica un’avaria al motore di sinistra (rottura dell’ingranaggio dell’albero
orizzontale a camme).
Ottobre 1941 o Marzo-Aprile 1942
A seguito della
richiesta da parte del capitano di fregata Junio Valerio Borghese, nuovo
comandante (ad interim) della X Flottiglia MAS, per l’assegnazione a tale
reparto di un secondo sommergibile «avvicinatore» di mezzi d’assalto (in
aggiunta allo Scirè, già attivo in
tale ruolo), l’Ambra viene scelto per
questo ruolo. Borghese, che ha ottenuto di poter scegliere il comandante del
sommergibile, decide di lasciare Arillo, che diverrà uno dei migliori ufficiali
della X MAS.
La trasformazione in
sommergibile «avvicinatore» consiste nell’installazione sul ponte di coperta di
tre cilindri contenitori per siluri a lenta corsa (SLC), in grado di resistere
fino alla profondità di 90 metri, sistemati uno a proravia della torretta e
due, affiancati, a poppavia della stessa. Per fare spazio ai cilindri, viene
rimosso il cannone da 100/47 mm del ponte; anche la torretta viene modificata
per meglio adattarsi al nuovo impiego.
Segue un periodo di
addestramento.
L’Ambra (a destra) ed un U-Boot tipo VII C a La Spezia il 3 aprile
1942 (g.c. STORIA militare)
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11-19 aprile 1942
Effettua, al largo
della Sardegna occidentale, una missione di addestramento per la X Flottiglia
MAS, in vista del suo impiego a breve.
29 aprile 1942
L’Ambra, sempre al comando del capitano di
corvetta Arillo, parte da La Spezia per partecipare all’operazione «G.A. 4»
contro la base di Alessandria d’Egitto.
Dopo aver esaminato
le fotografie del porto di Alessandria scattate da aeroricognitori dell’Asse,
infatti, i vertici della X MAS si sono resi conto che le corazzate britanniche Valiant e Queen Elizabeth sono state gravemente danneggiate dall’attacco di
SLC avvenuto il 18 dicembre precedente, ma non affondate, e che la Queen Elizabeth si trova a secco in un bacino
galleggiante, per le prime riparazioni. Si è così deciso di lanciare un nuovo
attacco di SLC contro Alessandria: gli obiettivi designati sono, questa volta,
di nuovo la Queen Elizabeth (ed il
bacino stesso: il più vicino bacino di queste dimensioni è in Sudafrica) ed
inoltre la grande nave appoggio sommergibili Medway, di 18.362 tonnellate di dislocamento, carica di siluri ed
altro materiale destinato ai sommergibili operanti contro i convogli italiani
diretti in Nordafrica.
L’Ambra dovrà trasportare tre SLC, che
attaccheranno poi gli obiettivi nel porto di Alessandria (due il bacino con la Queen Elizabeth, uno la Medway). Il 28 aprile, i britannici
hanno intercettato una comunicazione italiana che richiede priorità per il
trasporto da Roma a Lero, via Rodi ed a mezzo aerei, di nove tra ufficiali e
marinai (gli uomini della X MAS); non sanno però cosa significhi, e non ne
traggono così alcun vantaggio.
5 maggio 1942
L’Ambra arriva a Lero, per imbarcare SLC e
relativi equipaggi. Questi ultimi (capitano commissario Egil Chersi e sottocapo
palombaro Rodolfo Beuck; tenente del Genio Navale Luigi Feltrinelli e sottocapo
palombaro Luciano Favale; sottotenente medico Giorgio Spaccarelli e sottocapo
palombaro Armando Memoli; più un equipaggio di riserva costituito dal
guardiamarina Giovanni Magello e dal secondo capo palombaro e Giuseppe Morbelli,
nonché un medico della X MAS, il sottotenente medico Elvio Moscatelli, ed un
ulteriore operatore di riserva, il secondo capo palombaro Ario Lazzari)
giungeranno a Lero per via aerea il giorno seguente. Vorrebbe partecipare alla
missione anche il comandante stesso della X MAS, capitano di fregata Ernesto
Forza, ma non gli è permesso, così questi si trasferirà prima ad Iraklion e poi
ad Atene.
L’Ambra dovrà sostare a Lero più a lungo
del previsto, a causa di ripetute avarie.
9 o 12 maggio 1942
Salpa da Lero,
diretto ad Alessandria.
L’Ambra a La Spezia nel 1942 (Coll. Giuseppe Celeste, via www.associazione-venus.it)
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14 maggio 1942
Arriva nei pressi di
Alessandria in serata, e verso le 19 si posiziona su un fondale di 10 metri in
prossimità del porto, a poche centinaia di metri dalla riva (precisamente, a
1,5 miglia dal faro di Ras el Tin); alle 20.50 i tre SLC vengono rilasciati e
si dirigono verso il porto. (Per una fonte, l’Ambra viene illuminato alle 20.37 da un bengala, mentre si trova in
superficie, perciò s’immerge subito e provvede al rilascio degli SLC). Il
capitano Chersi ha avuto un malore, così lui ed il suo secondo Beuck sono stati
sostituiti da Magello e Morbelli.
L’Ambra ha però rilasciato gli SLC in una
posizione diversa da quella pianificata: una corrente anomala, infatti, lo ha
fatto scarrocciare di alcuni chilometri (per altra fonte di un solo chilometro,
oppure di 800 metri) verso ovest, ed Arillo, forse incerto della reale
posizione, o forse credendo di essere nel punto giusto, non ha fornito la nuova
rotta agli operatori degli SLC.
La conseguenza è il
fallimento dell’operazione: gli SLC vagano lungo la costa alla ricerca
dell’accesso del porto, ma non riescono a trovarlo (anche perché tutti tranne
uno provengono dai corpi tecnici della Marina, non da quello di vascello, e
nessuno è esperto in navigazione). Per giunta, l’SLC di Feltrinelli e Favale è
malfunzionante, ed alla fine i due lo devono affondare per poi raggiungere la
riva a nuoto (secondo una versione, invece, Feltrinelli e Favale sono l’unica
coppia di operatori che riesce a portare il proprio SLC all’interno del porto,
nonostante i lanci di bombe di profondità proprio per impedire una simile
eventualità; si avvicinano alla Queen
Elizabeth per attaccarla, ma a questo punto il mezzo si guasta ed affonda).
Dopo aver lungamente cercato l’accesso al porto, senza risultato, anche gli
altri due equipaggi devono affondare i loro mezzi e raggiungere a nuoto la
costa, dove sono poco dopo catturati, tranne Feltrinelli e Favale (che riescono
infatti a raggiungere a piedi Alessandria ed a contattare gli agenti segreti
italiani nella città, che riescono a nasconderli per più di un mese; ma il 29
giugno saranno anch’essi scoperti ed arrestati dalla Polizia Militare
britannica).
Alle 21.05, frattanto,
l’Ambra si rimette in navigazione,
per rientrare alla base.
24 maggio 1942
L’Ambra arriva a La Spezia a mezzogiorno.
Dopo «G.A. 4» non vi saranno più tentativi, da parte della X MAS, di attaccare
Alessandria (anche perché le unità della decimata Mediterranean Fleet, a
seguito dell’avanzata italo-tedesca in Egitto, verranno tutte trasferite in
Palestina od in Mar Rosso).
L’Ambra in porto, ben visibili i contenitori per il trasporto degli SLC (da www.marina.difesa.it) |
L’impresa di Algeri
L’8 novembre 1942,
mentre le forze italo-tedesche in Egitto e Cirenaica, sconfitte nella battaglia
di El Alamein, si ritiravano verso ovest inseguite dall’8a Armata
britannica, una flotta di 350 navi da guerra e 500 trasporti sbarcava 107.000
uomini sulle coste dell’Algeria e del Marocco: iniziava così l’operazione
«Torch», che in poco più di una settimana avrebbe portato alla completa
conquista angloamericana del Nordafrica Francese, dove le forze della Francia
di Vichy, dopo un’iniziale resistenza, decisero di schierarsi con gli Alleati. Le
truppe italo-tedesche, asserragliate in Tunisia, si ritrovavano così tra due fuochi,
Montgomery ad est, Eisenhower ad ovest.
Rinforzi e
rifornimenti per le truppe Alleate affluivano ininterrottamente nei porti del
Marocco e dell’Algeria, ed i comandi italo-tedeschi richiesero da subito alla
Marina italiana di attaccare tali traffici, per rallentare l’afflusso di
rifornimenti e tentare d’indebolire la presenza navale Alleata in quel settore.
Un attacco da parte
della flotta di superficie era pressoché inattuabile, data la disparità di
forze in campo, la scarsità di carburante (riservato alle siluranti che
scortavano i convogli con vitali rifornimenti per le forze in Tunisia) e la
scarsità o mancanza di copertura aerea. Restavano i mezzi insidiosi:
sommergibili e mezzi d’assalto.
L’Ispettorato
Generale dei MAS ordinò al comando della X Flottiglia MAS (capitano di fregata
Junio Valerio Borghese) di organizzare un attacco contro la base di Algeri. I
bersagli non mancavano: corazzate, portaerei, incrociatori e grossi trasporti
riempivano il porto, mentre la rada era affollata da mercantili,
cacciatorpediniere, navi scorta ed unità minori.
Il piano messo a
punto dalla X MAS prevedeva un’operazione combinata: SLC e «uomini Gamma»
(sommozzatori d’assalto, dotati di «bauletti esplosivi» da applicare agli scafi
delle navi), i primi incaricati di penetrare nel porto ed attaccare le grandi
navi ivi presenti, i secondi di attaccare i mercantili in rada. Questi ultimi,
e non le navi maggiori, avrebbero avuto la priorità: si riteneva infatti più
importante colpire i rifornimenti destinati alle truppe angloamericane,
piuttosto che una grande nave da guerra. L’avvicinatore sarebbe stato l’Ambra del comandante Arillo.
L’operazione era denominata «N.A. 1» ed il relativo ordine d’operazione,
denominato n. 78 SRP, fu emesso il 1° dicembre 1942.
I mezzi e gli uomini
scelti per l’incursione erano tre SLC (per la prima volta dotati ciascuno di
due testate da 150 kg, giudicate sufficienti per attaccare navi mercantili,
anziché di una testata da 300 kg – come al solito –, pensata per l’attacco a
navi da guerra) con i relativi equipaggi (SLC 236, tenente di vascello Giorgio
Badessi e sottocapo palombaro Carlo Pesel; SLC 237, tenente del Genio Navale
Guido Arena e sottocapo palombaro Ferdinando Cocchi; SLC 238, guardiamarina
Giorgio Reggioli e sottocapo palombaro Colombo Pamolli) e dieci «uomini Gamma»
(il tenente Armi Navali Agostino Morelli, comandante, il secondo capo
infermiere Oreste Botti, il sottocapo palombaro Giuseppe Feroldi, il sottocapo
cannoniere Evideo Boscolo, il fuochista Rodolfo Lugano, il marinaio sommozzatore
Giovanni Lucchetti, il sergente dei Granatieri Luigi Rolfini, i sergenti dei
Bersaglieri Gaspare Ghiglione ed Alberto Evangelisti, il fante Luciano
Luciani), parte provenienti dal personale della Marina e parte dell’Esercito,
tutti comunque ottimi nuotatori. Era previsto anche un ulteriore equipaggio di
riserva: il tenente di vascello Augusto Jacobacci ed il secondo capo
torpediniere Armando Battaglia, che – a meno che la loro partecipazione in
sostituzione di qualcun altro non si fosse resa necessaria – avevano anche il
compito di portarsi in superficie e fungere da vedetta (nonché di richiamare
gli incursori al termine della missione, simulando il verso di una civetta),
mentre il sommergibile sarebbe rimasto adagiato sul fondale.
L’Ambra salpò da La Spezia nel primo
pomeriggio del 4 dicembre 1942, diretto ad Algeri. Il battello avvistò la costa
dell’Algeria la sera del 7 dicembre, con condizioni meteomarine avverse
(proibitive per l’operazione), che lo costrinsero a stazionare in zona inattivo
per due giorni, mentre il mal di mare tormentava gli incursori provenienti
dalle fila dell’Esercito, aspettando che il tempo migliorasse. Questo accadde
il 10 dicembre, e l’indomani, quando il tempo fu divenuto eccellente, l’Ambra iniziò ad avvicinarsi ad Algeri
(in immersione, per evitare i campi minati antinave che si riteneva essere
presenti nell’area). Fu notata una forte vigilanza aeronavale diretta proprio
ad impedire l’avvicinamento di sommergibili: in tali condizioni sarebbe stato
impossibile avvicinarsi a quota periscopica senza essere scoperti, e troppo
rischioso farlo a bassa profondità, così l’Ambra
si avvicinò ad Algeri restando immerso ad elevata profondità. La fortuna non
era dalla parte di Arillo e dei suoi uomini: proprio in quel frangente, infatti,
si guastò lo scandaglio ultrasonoro, senza il quale un sommergibile immerso
procedeva sostanzialmente alla cieca. Arillo ordinò egualmente di scendere in
profondità, ed alle 17 dell’11 dicembre l’Ambra
cozzò contro il fondale, profondo 90 metri, che l’avaria dello scandaglio aveva
impedito di rilevare. L’unico modo per avvicinarsi senza incorrere in altri e
più gravi incidenti consisteva nello strisciare a lento moto sul fondale, risalendo alla cieca lo
zoccolo costiero fino a risalire ad una quota idonea al rilascio dei «Gamma» e
degli SLC, stimata in 15-20 metri. Si fece così, ed il sommergibile, senza
altri infortuni, si fermò infine a 18 metri di profondità, sempre fermo sul
fondale. Erano le 19.40.
I «Gamma» si
prepararono ad uscire dal sommergibile; quelli tra di essi che provenivano
dall’Esercito erano un po’ provati, non essendo abituati agli effetti del mare
mosso e della permanenza negli angusti spazi di un sommergibile, ma ciò non li
fermò. Jacobacci e Battaglia vennero inviati in superficie, come previsto, per
verificare la situazione, ma ciò che riferirono (per telefono, collegato al
sommergibile) fu sconcertante: in vista non c’era nessun porto o nave o nemmeno
la costa, soltanto il mare.
L’Ambra dovette così riprendere
l’avvicinamento, sempre procedendo alla cieca e strisciando sul fondale, ma
provvedendo a mandare di quando in quando Jacobacci e Battaglia in superficie,
per constatare i progressi fatti e guidare il battello. Alla fine, alle 21.45
il sommergibile giunse in prossimità della costa, sino a fermarsi in mezzo ad
un gruppo di sei navi mercantili disposte a semicerchio, ad un paio di
chilometri dall’ingresso del porto: visto il ritardo frattanto accumulato, si
decise di inviare «Gamma» e SLC contro di esse. Le tre più vicine erano anche
le tre più grandi.
Gli «uomini Gamma»
uscirono in «discreto disordine» tra le 22.30 e le 23, seguiti dagli SLC tra le
23 e le 23.20.
Badessi, capogruppo
degli SLC, assegnò ai suoi compagni i bersagli da attaccare tra i mercantili
all’ancora nelle vicinanze, non essendo possibile raggiungere il porto. Le loro
sorti si divisero.
L’SLC di Badessi e
Pesel si guastò quasi subito (a causa dei danni causati dal maltempo), così i
due operatori, dopo cinque tentativi falliti di attaccare qualche nave, tentarono
di tornare verso l’Ambra,
rimorchiando un «Gamma», Lugano. Non riuscendo a trovare Jacobacci, dovettero
autodistruggere l’SLC e dovettero raggiungere la riva a nuoto. Giunti a terra,
i tre furono catturati da una pattuglia francese.
L’SLC di Arena e
Cocchi, nonostante Arena soffrisse terribilmente di mal di mare ed il mezzo
avesse i manometri fuori uso e rispondesse male ai comandi (anche in questo
caso, per via dei danni causati dalla tempesta l’8-9 dicembre), riuscì a
collocare le sue cariche esplosive sullo scafo del mercantile loro assegnato da
Badessi; nel farlo, l’SLC andò a sbattere contro il corpo di un altro
operatore, e durante l’operazione si sentirono un colpo di cannone, due sirene
d’allarme e l’esplosione di due bombe di profondità, unitamente al rumore di
imbarcazioni a motore. Nondimeno, Arena e Cocchi applicarono le cariche
esplosive alla prima nave assegnata; il tentativo di attaccare la seconda non
riuscì, e l’SLC si mise alla ricerca dell’Ambra.
Dopo un’ora di vane ricerche, non riuscendo a trovare il sommergibile, i due dovettero
raggiungere la riva, rimorchiando i «Gamma» Luciani e Ghiglione (che non erano
riusciti a piazzare le loro cariche), e poi autodistruggere il mezzo. Arrivati
a terra alle 4.05, furono catturati da soldati scozzesi alle sei del mattino.
Tra i SLC, quello di
Reggioli e Pamolli fu quello che meglio eseguì il suo compito: i due operatori,
infatti, cercarono una nave mercantile che fosse di grandi dimensioni e,
trovata quella che sembrava una nave cisterna di 9000-10.000 tsl – attorno alla
quale girava un piccolo battello della vigilanza –, si avvicinarono
nell’intervallo tra un giro di vigilanza e l’altro. A questo punto, però, l’SLC
si guastò (ancora una volta, le conseguenze della tempesta), costringendo i due
operatori a venire in affioramento, lavorando in fretta e furia per ripararlo,
nella speranza di non essere notati. Un marinaio a bordo della nave gettò in
mare un mozzicone acceso di sigaretta, che cadde sulla testa di uno dei due
italiani; ma non furono visti. Riparato il guasto, s’immersero di nuovo e piazzarono
una carica esplosiva (regolata per detonare all’1.35) sull’elica, essendo la
nave sprovvista di pinne stabilizzatrici cui attaccarla. Poi Reggioli collocò
la seconda carica esplosiva su un’altra nave mercantile (la cui stazza fu
stimata in 10.000 tsl), questa volta piazzandola al centro dello scafo,
regolata per scoppiare alle 2.15.
Mentre tornavano
verso l’Ambra, Reggioli e Pamolli
furono illuminati dal fascio di un proiettore e fatti oggetto di fuoco di
mitragliera, ma senza conseguenze. Non riuscirono però a ritrovare l’Ambra, così anche loro dovettero
autodistruggere il mezzo e raggiungere la riva. Giunti a terra alle 4.30,
furono catturati tre ore dopo da una squadra di Spahis (truppe coloniali a
cavallo) francesi.
Per quanto riguarda i
«Gamma», una volta che furono fuoriusciti dal sommergibile, Morello assegnò i
bersagli: in base agli ordini di Borghese, che prescrivevano che mercantili di
più di 10.000 tsl dovessero essere attaccati da due «Gamma» ciascuno, Morello
ordinò a Luciani e Ghiglione di attaccare la prima nave all’estremità sinistra
del semicerchio, a Rolfini ed Evangelisti di attaccare la seconda, a Lugano e
Lucchetti la terza, a Boscolo e Feroldi la quarta. L’ultima la riservò a sé
stesso e a Botti, ma poi, vedendo che era una nave particolarmente grande,
richiamò Feroldi perché si unisse a loro.
Dei «Gamma», come
detto, tre (Lugano, Luciani e Ghiglione) ebbero problemi (causati dalle forti e
fredde correnti della zona) e non riuscirono ad attaccare niente, dovendo
essere soccorsi dagli SLC. Altri sei, cioè Morelli (che fu illuminato per un
momento da un proiettore, ma non fu scoperto perché la sua testa era
mimetizzata con delle alghe), Botti, Feroldi, Rolfini, Evangelisti e Boscolo,
collocarono le loro cariche esplosive su due mercantili.
Morello, Botti e
Feroldi, illuminati da un proiettore ma non scoperti, piazzarono alle 00.30 le
loro cariche sulla stessa nave, poi si avviarono verso l’Ambra ma, non riuscendo a trovarlo, dovettero raggiungere la riva.
Rolfini ed Evangelisti piazzarono le loro cariche sulla nave assegnata, poi
finirono anche loro col dover raggiungere la riva; Boscolo, impossibilitato
dalla corrente a raggiungere il mercantile che gli era stato assegnato, sistemò
anche lui la sua carica sulla stessa nave attaccata da Evangelisti e Rolfini.
Gravissimo fu il
comportamento del decimo «Gamma», il marinaio Lucchetti, che non solo non tentò
nemmeno di svolgere il suo compito, ma si consegnò subito prigioniero all’equipaggio
di uno dei mercantili, permettendo agli Alleati di mettere subito in allarme le
difese della base. (Questo secondo Giorgio Giorgerini, nel suo libro “Attacco
dal mare”; un’altra versione afferma invece che Lucchetti fu semplicemente
scoperto e catturato, dalla stessa nave attaccata da Morello).
Nessuno dei 16
incursori, tra «Gamma» ed operatori degli SLC, riuscì a ritrovare l’Ambra (com’era prevedibile); tutti
vennero catturati.
Ad ogni modo, le
cariche su quattro mercantili erano già state piazzate, ed esplosero come
previsto. Affondarono i piroscafi Ocean
Vanquisher (britannico, 7174 tsl) e Berto
(norvegese, 1493 tsl), mentre riportarono gravi danni i piroscafi Empire Centaur (britannico, 7041 tsl) e Harmattan (britannico, 4558 tsl, spesso
riportato come Armattan).
Il Berto, pronto a salpare con un carico di
merci varie, venne scosso alle 6.15 dall’esplosione di una carica esplosiva
collocata sul lato di dritta (l’avevano piazzata Cocchi ed Arena dell’SLC 237),
all’altezza della stiva numero 3, ed affondò in cinque minuti in cinque metri
d’acqua, nel punto 36°48’ N e 06°04’ O. Perse la vita un militare britannico,
mentre il resto dell’equipaggio (18 norvegesi, 8 britannici ed un danese, al
comando del capitano norvegese Paul Moe) abbandonò la nave sulle lance.
L’Ocean Vanquisher, che ebbe la carena
spezzata, venne successivamente riportato a galla dopo lunghi lavori, ma non fu
più utilizzabile per il resto della guerra; solo nel luglio del 1945 poté
essere rimorchiato ad Orano per le riparazioni, che però non furono effettuate.
Ironia della sorte, queste avvennero solo dopo la sua vendita, nel settembre
1946, ad una società italiana, i Cantieri Navali Riuniti di Palermo.
Ribattezzato Nereo, tornò in servizio
nel dicembre 1946 per la società Ligure di Armamento e navigò ancora per molti
anni, sotto bandiera italiana.
L’Empire Centaur venne riparato nel giro
di due mesi, tornando a navigare il 5 febbraio 1943.
L’Harmattan venne portato all’incaglio per
evitarne l’affondamento; venne successivamente riparato, riprendendo a navigare
il 6 aprile 1943.
Secondo alcune fonti,
vennero collocate cariche esplosive anche sul piroscafo britannico Pennsylvania (5191 tsl), ma la nave non
riportò danni. Ancora, una fonte non verificabile afferma che Reggioli e
Comolli applicarono una carica esplosiva anche sulla poppa del trasporto truppe
statunitense Thomas Stone, ma questa
nave si trovava incagliata dopo essere stata silurata e danneggiata, il 7
novembre, dal sommergibile tedesco U 205,
e poi ulteriormente danneggiata da attacchi aerei.
Una “fonte” Internet,
citando il volume "Frogmen First Battles" del capitano di vascello a
riposo William Schofield (US Navy), afferma che una quinta unità, la “nave da
sbarco statunitense LSM 59”, venne
danneggiata e portata ad incagliare sulla spiaggia, ma in realtà la LSM 59 venne costruita nel 1944, ben più
avanti rispetto all’incursione ad Algeri; né vi sono notizie di un’unità con un
nome simile (ad esempio una LST) che abbia subito una tale sorte. Sembra più
che probabile un errore.
Il risultato
dell’azione fu in seguito giudicato come soddisfacente, ma inferiore alle
aspettative.
L’Ambra, secondo i piani, sarebbe dovuto
restare in posizione fino all’una di notte, per poter recuperare gli incursori;
così si fece, lasciando in superficie Jacobacci che avrebbe dovuto guidare gli
operatori di ritorno segnalando loro la posizione del sommergibile immerso.
Quando però gli incursori vennero scoperti, in tutto il mare di Algeri si
scatenò un putiferio: il cielo fu percorso da razzi e fasci di riflettori che
scrutavano il mare, la notte era turbata da raffiche di mitragliere, il mare
scosso dalle esplosioni di bombe di profondità. Per l’Ambra, restarsene fermo su un fondale tanto basso (senza
possibilità di scampo, se fosse stato scoperto da un’unità antisommergibili) e
per giunta con lo scandaglio fuori uso era pericolosissimo, ma il battello
rimase lo stesso sul posto. Di quando in quando si sentivano violente
esplosioni subacquee. Arrivò e passò l’una di notte, e nessuno degli incursori
si fece vivo; Arillo decise di attendere ancora, ma alle 2.30 nessuno degli
operatori aveva ancora fatto ritorno. Proprio in quel momento Jacobacci sentì le
voci le voci lontane di alcuni dei «Gamma», ma non vide nessuno, ed anzi osservò
che la nave più vicina passava in stato di allarme; sentì tiro di mitragliera.
Navi da guerra avversarie setacciavano la rada di Algeri cercando gli
attaccanti; alle 2.54, alla fine, Arillo dovette decidere di andarsene prima
che il suo sommergibile fosse trovato e distrutto. L’allontanamento avvenne con
moto sul fondo, tra molti pericoli e difficoltà; il momento peggiore fu l’urto
con un relitto sommerso, ma l’Ambra
riuscì infine a raggiungere il largo. Emerse alle 19.45 del 12 dicembre, dopo
aver passato 36 ore in immersione; dopo tre giorni di navigazione, giunse a La
Spezia alle 11.20 del 15.
Per l’impresa di
Algeri, il comandante Arillo venne decorato con la Medaglia d’Oro al Valor
Militare. Dodici degli incursori che presero parte all’attacco ricevettero la
Medaglia d’Argento al Valor Militare (ma tra di essi, stranamente, anche
Lucchetti) ed un altro ebbe la Croce di Guerra al Valor Militare. Anche diversi
membri dell’equipaggio dell’Ambra
vennero decorati per il loro ruolo nell’azione: tra gli altri, il comandante in
seconda, tenente di vascello Salvatore Vassallo (Medaglia d’Argento al Valor
Militare), l’ufficiale di rotta Luciano Barca (Medaglia di Bronzo al Valor
Militare), il secondo capo motorista navale Mario Donati (Medaglia di Bronzo al
Valor Militare).
Marzo 1943
Mentre si trova
ormeggiato a La Spezia, l’Ambra viene
danneggiato da un bombardamento aereo notturno. I danni vengono riparati.
Dalla Sicilia all’8 settembre
Otto mesi dopo
l’impresa di Algeri, l’Ambra si trovò
di nuovo assegnato ad un compito simile: trasportare incursori incaricati di
attaccare in porto le navi di una soverchiante flotta d’invasione
angloamericana.
Il 10 luglio 1943 la
più grande flotta d’invasione che il mondo avesse visto (fino a quel momento,
quelle poi impiegate in Normandia e nel Pacifico furono ancora più immense),
forte di 6 corazzate, 7 portaerei, 15 incrociatori, 3 monitori, 129
cacciatorpediniere, 36 tra fregate e corvette, 55 unità minori, 243
motosiluranti e motocannoniere, 26 sommergibili, 237 trasporti, 1745 tra navi e
mezzi da sbarco e 87 unità di altro tipo (un complesso che da solo superava,
eccetto che per i sommergibili, l’intera flotta superstite della Regia Marina),
appoggiate da più di 4000 aerei (contro 1400 dell’Asse), iniziò a sbarcare
250.000 uomini, 600 carri armati, 14.000 veicoli e 1800 cannoni sulle coste
della Sicilia. Aveva inizio l’attacco all’Italia, anello debole della catena
dell’Asse, da eliminare per prima, secondo la strategia proposta da Churchill.
Travolta in breve
tempo la debole resistenza delle divisioni costiere – reparti raccogliticci
composti in gran parte da quarantenni od anche cinquantenni reclutati sul
posto, con equipaggiamento di terz’ordine, pochissime munizioni ed il morale a
terra nella grande maggioranza dei casi –, gli Alleati si scontrarono poi con
resistenza più accanita da parte di alcuni reparti italiani meglio addestrati e
motivati (soprattutto la Divisione «Livorno») e delle unità tedesche inviate a
rafforzare le difese della Sicilia, ma la situazione precipitò rapidamente. Non
appena i comandi tedeschi compresero che la Sicilia sarebbe stata persa,
iniziarono immediatamente il ritiro delle loro truppe; ciò che restava delle
forze italiane dovette fare lo stesso, mentre la popolazione siciliana, sfinita
dalla fame e dalle bombe piovute in tre anni di guerra, accoglieva
favorevolmente l’arrivo degli Alleati.
Entro il 17 agosto,
la Sicilia sarebbe stata interamente in mano Alleata. Perdite italiane: 4678
morti, 36.072 dispersi (tra cui parecchie migliaia di morti mai ritrovati ed un
imprecisato numero di disertori), 32.500 feriti evacuati prima della caduta
dell’isola, 116.681 prigionieri (tra cui un imprecisato numero di feriti). Le
forze tedesche ebbero 4325 morti, 4583 dispersi, 17.944 feriti, 5532
prigionieri; gli Alleati, 5837 tra morti e dispersi, 15.683 feriti e 3330
prigionieri.
In questo quadro, un
intervento della flotta di superficie italiana contro le forze d’invasione
Alleate sarebbe stato un suicidio; le navi, a corto sia di scorta navale (il
numero dei cacciatorpediniere disponibili era stato drammaticamente ridotto
dalle perdite e dal logorio causati da tre anni di guerra dei convogli) che di
copertura aerea, sarebbero state decimate dagli aerei e dai sommergibili
angloamericani prima ancora di giungere in vista delle flotte Alleate, che
avrebbero poi annientato quanto ne fosse rimasto.
Gli unici mezzi
impiegabili in simili circostanze, come già in Algeria, erano quelli insidiosi:
sommergibili, motosiluranti, mezzi d’assalto. Anche così, tante furono le
perdite, pochi i risultati.
L’Ambra aveva un nuovo comandante: Arillo,
infatti, era stato inviato a Danzica per assumere il comando di uno dei nuovi
sommergibili tipo VII C, di costruzione tedesca, ceduti dalla Kriegsmarine alla
Marina italiana. Al suo posto aveva assunto il comando dell’Ambra il tenente di vascello Renato
Ferrini, un altro capace ufficiale, già distintosi con il sommergibile Axum.
Come già in Algeria,
all’Ambra fu assegnato il compito di
trasportare mezzi della X MAS che avrebbero dovuto attaccare le unità Alleate:
questa volta il porto era quello di Siracusa, ed i mezzi tre barchini esplosivi
del nuovo tipo MTR (Motoscafo Turismo Ridotto), una versione ridotta del più
famoso MTM (Motoscafo Turismo Modificato, protagonista dell’impresa di Suda e
di quella tragica di Malta) pensata appositamente per essere trasportata da un
sommergibile, collocata all’interno degli stessi contenitori utilizzati per gli
SLC. Gli MTR erano al loro primo impiego operativo; il loro compito era di
attaccare le navi avversarie alla fonda davanti a Siracusa. A bordo si
trovavano i piloti dei barchini: il tenente di vascello Corrado Garutti, il
capo elettricista Amleto Tornissi, il capo elettricista di terza classe
Salvatore Guercio, il sergente Giuseppe Derin. Il 16 luglio il sommergibile
giunse a Messina, e da qui proseguì verso Siracusa.
Ma le cose non
andarono come previsto: nella notte tra il 17 ed il 18 luglio l’Ambra arrivò in prossimità del porto
siciliano, ma alle 3.20, mentre procedeva in superficie a 45 miglia da Capo Spartivento
(precisamente, in posizione 37°20’ N e 16°15’ E), venne scoperto da un
bombardiere britannico tipo Vickers Wellington, l’HZ 116 «B» del 221st
Squadron della Royal Air Force, pilotato dal sergente (Petty Officer) Austin e
decollato da Malta alle 00.50 del 18. Il Wellington passò all’attacco,
sganciando sei bombe di profondità: nessuna colpì l’Ambra, ma tutte esplosero vicinissime (una proprio sotto lo scafo
del sommergibile, secondo Austin) su entrambi i lati, sotto lo scafo, causando
ingenti danni (tra l’altro, i contenitori dei barchini furono deformati dagli
scoppi, bloccando gli MTR al loro interno) ed impedendo l’immersione. L’Ambra rimase immobilizzato per mezz’ora,
poi l’equipaggio, dopo lunghi sforzi, riuscì a rimettere in funzione i motori diesel
ed il sommergibile iniziò ad allontanarsi in emersione verso Messina, seguendo
una rotta irregolare e lasciandosi alle spalle abbondanti quantità di nafta.
Giunto a Messina il
19 luglio, dovette essere preso a rimorchio dalla torpediniera Partenope, che
lo riportò mestamente a Napoli. È da notare che per decenni si è creduto,
erroneamente, che l’attacco del Wellington del sergente Austin fosse stato
diretto contro il sommergibile da trasporto Romolo,
scomparso con tutto l’equipaggio negli stessi giorni: nessuno, in sede di
Commissione d’Inchiesta Speciale, notò che l’orario dell’attacco effettuato da
Wellington e quello subito dall’Ambra
combaciavano alla perfezione.
Dopo le prime
riparazioni provvisorie nella città partenopea, l’Ambra ripartì diretto a La Spezia, dove giunse il 27 luglio, dopo
aver navigato per un tratto insieme ad un convoglio (piroscafo Saluzzo e torpediniere di scorta Ardito ed Animoso) in navigazione da Napoli a La Maddalena.
Con questo terminò,
di fatto, la vita operativa dell’Ambra.
Il sommergibile passò il successivo mese e mezzo in cantiere per i lavori di
riparazione, che non si erano ancora conclusi quando fu annunciato l’armistizio
tra l’Italia e gli Alleati, l’8 settembre 1943: impossibilitato a muovere, l’Ambra si autoaffondò a La Spezia il 9
settembre. Recuperato dai tedeschi, intenzionati a ripararlo, venne nuovamente
affondato a Genova da un violentissimo bombardamento aereo da parte di 144
bombardieri Boeing B-17 del 449th e 450th Group della 15th
Air Force USAAF (uno dei più violenti bombardamenti subiti dal capoluogo
ligure, che causò centinaia di vittime tra la popolazione genovese e fece una
vera strage tra il naviglio italiano catturato dai tedeschi: affondarono i
cacciatorpediniere Maestrale, Corazziere e Corsaro II, la torpediniera Rigel,
i sommergibili Aradam, Murena, Grongo e Sparide, la
corvetta Renna, il trasporto Vallelunga, quattro rimorchiatori, un
cacciasommergibili e ben otto KT tedeschi in varie fasi di costruzione), il 4
settembre 1944.
(Per altra fonte, l’Ambra sarebbe stato affondato da un
bombardamento del 49th Wing della RAF presso l’Arsenale di La
Spezia).
Il relitto fu
nuovamente recuperato nel maggio 1946, e demolito nel corso dello stesso anno.
Caduti in guerra tra
l’equipaggio dell’Ambra:
Leonardo Fanizza, marinaio cannoniere, 22
anni, da Fasano, disperso nel Mediterraneo Centrale il 10 febbraio 1941
Sisto Rossi, marinaio, 21 anni, da Roseto
degli Abruzzi, deceduto in territorio metropolitano l’11 dicembre 1941
La motivazione della
Medaglia d’Oro al Valor Militare conferita al capitano di corvetta Mario
Arillo, per le sue azioni al comando dell’Ambra:
“Comandante di sommergibile, già distintosi per capacità ed ardire in altre
missioni di guerra. Assegnato con la sua unità alla X Flottiglia M.A.S. si dedicava con
intelligenza, capacità e tenacia alla preparazione del sommergibile al suo
comando, forgiandone un'arma perfetta nello spirito e capacità dell'equipaggio
e nell'efficienza del materiale.
Si distingueva una prima volta, trasportando con successo un reparto d'assalto
destinato ad agire entro un porto nemico del mediterraneo Orientale.
Successivamente accoglieva con entusiasmo l'incarico di eseguire analoga
missione contro un importante porto del Mediterraneo Occidentale. Ostacolato
dal maltempo, privo di informazioni esatte, tenacemente attendeva per più
giorni nei pressi del porto nemico il momento favorevole, finché, sfuggendo
alla sorveglianza nemica, portava la sua unità fino a poche centinaia di metri
dal porto nemico e vicinissimo ad unità da guerra e mercantili ancorate in
rada. Poteva lanciare così verso il sicuro successo un grosso reparto d'assalto
che riusciva ad operare nell'interno del porto e in rada.
Animato da alto senso di umanità e di cameratismo, restava sul posto per molte
ore, in fondali bassissimi e quindi impossibilitato a difendersi in caso di
scoperta, per tentare il ricupero del reparto stesso e desisteva dal
generosissimo tentativo, solo quando il nemico, avvistati gli assaltatori di
ritorno, giunti già a pochi metri dal sommergibile, iniziava una violentissima
reazione. Con mirabile calma e con somma perizia, riusciva ad eludere la
ricerca nemica e riportava incolume alla base l'unità al suo comando.
Mediterraneo, maggio – dicembre 1942.”
Un’altra immagine dell’Ambra (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net) |
Bsera Lorenzo. Il comando dell'Ambra fu tenuto dal TV Leone Monteleone (nato il 15 luglio 1908) dal giugno 1940 al gennaio 1941. GP
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