La Sibilla a Venezia nell’immediato dopoguerra (g.c. Marino Miccoli) |
Corvetta della serie
Artemide della classe Gabbiano (643 tonnellate di dislocamento in carico
normale, 740 a pieno carico). Portava la sigla C 49, poi divenuta SB (o SL) nel dopoguerra ed infine F 565 dopo l’ingresso dell’Italia nella
NATO, nel 1953.
Negli anni Cinquanta/Sessanta (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net) |
Breve e parziale cronologia.
26 giugno 1942
Impostazione nei
Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Trieste (numero di costruzione 1323).
10 marzo 1943
Varo nei Cantieri
Riuniti dell’Adriatico di Trieste (Cantieri San Marco).
La Sibilla nel marzo 1943 (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net). |
5 giugno 1943
Entrata in servizio.
La cerimonia di consegna alla Regia Marina è seguita da un pranzo speciale
offerto dai Cantieri San Marco.
Una volta in
servizio, la Sibilla trascorre
un’altra ventina di giorni a Trieste, dopo di che si trasferisce a Pola per un
mese di addestramento preliminare.
La Sibilla a Trieste intorno al 10-15 giugno 1943 (g.c. Antonio Angelo Caria, via it.wipimedia.org) |
Agosto 1943
Dopo il periodo di
addestramento preliminare, svolto in Alto Adriatico, la Sibilla lascia Pola e si trasferisce ad Argostoli (Cefalonia), dove
entra a far parte della IV Squadriglia Corvette (alle dipendenze del 10°
Gruppo Antisommergibili), che forma insieme alle gemelle Fenice, Chimera e Scimitarra.
Per un mese, fino
all’inizio del settembre 1943, svolge numerose missioni di scorta convogli e
caccia antisommergibili.
22 agosto 1943
La Sibilla va a rinforzare l’anziana
torpediniera Enrico Cosenz nella
scorta di un convoglio in navigazione da Patrasso a Bari, via Corfù, e formato
dai piroscafi Hermada, Merano e Caterina M.
23 agosto 1943
Il convoglio fa scalo
a Corfù, poi prosegue per Bari.
24 agosto 1943
Alle 16.51 il
sommergibile britannico Unseen (tenente
di vascello Michael Lindsay Coulton Crawford) avvista il convoglio scortato
dalla Sibilla, a cinque miglia
per 145° di distanza. Dopo aver manovrato per avvicinarsi, alle 17.24, in
posizione 41°07’ N e 16°57’ E (a sei miglia da Bari) l’Unseen lancia tre siluri contro l’Hermada, da una distanza di 1370 metri. Nessun siluro va a segno
(l’Hermada avvista le scie dei
siluri, che ritiene essere addirittura quattro, mentre gli passano a poppavia),
ed alle 17.30 la Cosenz inizia
il contrattacco, lanciando in tutto 23 bombe di profondità. Le prime sei
esplodono molto vicine all’Unseen, ma
senza causare danni.
Poco dopo i
mercantili entrano a Bari.
5 settembre 1943
La Sibilla, insieme alla gemella Scimitarra ed alla vecchia torpediniera Giuseppe Cesare Abba, salpa da Bari per
scortare a Valona la nave cisterna Dora C.
Alle 14, in posizione
40°36’ N e 18°08’ E, il sommergibile britannico Unshaken (tenente di vascello Jack Whitton) avvista il convoglietto
italiano a 8-9 miglia di distanza, su rilevamento 320°, con rotta stimata 100°.
Alle 14.02 le navi italiane accostano per 145°, per poi cambiare rotta varie
altre volte; alle 14.42, a 9 miglia per 105° da (cioè a sudest di) Brindisi, il
sommergibile lancia quattro siluri da 2300 metri di distanza. Uno dei siluri colpisce
la Dora C., che rimane a galla e
viene rimorchiata a Brindisi.
L’Abba contrattacca con due bombe di
profondità a scopo intimidatorio, seguita dalla Sibilla che ne lancia nove, due delle quali non scoppiano; il
contrattacco si protrae fino alle 16.20, ma senza che l’Unshaken venga danneggiato.
6-7 settembre 1943
La Sibilla viene inviata nel Golfo di
Manfredonia per un pendolamento antisommergibili, dopo la segnalazione di un
peschereccio il quale, nottetempo, ha visto un sommergibile nemico emergere per
ricaricare le batterie. Per tre giorni, dal 6 all’8 settembre, la nave pendola
in tutto il golfo effettuando ascolto ecogoniometrico, ma senza trovare niente.
Alla fine, riceve ordine di dirigersi verso sud, passando nelle acque di
Barletta, Trani e Bari, continuando ad effettuare ascolto ecogoniometrico.
8 settembre 1943
Le vicende che
seguono l’armistizio sono ben descritte dalle memorie di Antonio Angelo Caria, all’epoca
imbarcato sulla Sibilla come secondo
capo stereotelemetrista. Intorno alle quattro del pomeriggio, superata da poco
Bari, un radiotelegrafista lascia il locale radio e prende a correre per tutta
la nave, da prora a poppa, gridando ripetutamente "È finita la guerra, è
finita la guerra". Il comandante, sentendo le grida, fa chiamare in
plancia il radiotelegrafista, chiedendo spiegazioni; il radiotelegrafista
risponde di aver ascoltato un comunicato radio che annuncia la firma
dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, raggiungendo che più tardi seguirà
un messaggio alla nazione del capo del governo, maresciallo Pietro Badoglio.
Dopo l’effettiva ricezione anche del messaggio di Badoglio, la Sibilla interrompe l’ascolto
ecogoniometrico e prosegue nella navigazione verso sud, mantenendosi sempre più
vicina alla costa; a Monopoli un marinaio segnalatore, senza bandierine,
dall’estremità di un molo esterno del porto comunica alla Sibilla che colonne di autocarri, autoblindo e mezzi corazzati
tedeschi stanno ripiegando verso nord. La corvetta riceve poi ordine di recarsi
incontro alla motonave Istria, nel
Canale d’Otranto, per scortarla fino a Brindisi.
Giunta nella zona
dell’incontro, la Sibilla avvista la
sagoma di una nave oscurata e si avvicina chiedendo col megafono "Come vi
chiamate?", ma viene risposto solo "È finitaaa!". Serrate
ulteriormente le distanze, la corvetta ripete la domanda, ma di nuovo la
risposta è "È finitaaa!". Siccome la guerra "è finita" e
con essa, si spera, i pericoli connessi, la Sibilla
finisce con l’abbandonare le cautele ed accendere fanali di via e proiettore,
per illuminare l’altra nave e leggerne direttamente il nome: è appunto l’Istria. A questo punto, la corvetta
segnala alla motonave col proiettore, in codice Morse, di seguirla, essendo
giunta per scortarla fino a Brindisi. Sulla Sibilla
molti marinai di leva, avendo già assolto la leva biennale obbligatoria,
preparano i bagagli, pensando ingenuamente di poter finalmente tornare a casa
l’indomani.
Verso le 23 Sibilla ed Istria entrano infine a Brindisi, dove danno fondo in rada.
Nella città pugliese
si sentono innumerevoli spari: non sono combattimenti – a Brindisi non ci sono
tedeschi né Alleati – bensì le celebrazioni per quella che si crede essere la
fine della guerra. Sulla Sibilla, il
comandante, evidentemente più sagace, fa radunare l’equipaggio sopracastello,
in assemblea generale, e spiega che la guerra contro gli Alleati è
effettivamente finita, ma che inizia una nuova guerra contro i tedeschi, per
cacciarli dall’Italia. I marinai che speravano di poter sbarcare e tornare a
casa vengono invitati a rimettere vestiario ed effetti personali nei loro
stipetti.
9 settembre 1943
La Sibilla si sposta nel porto interno di
Brindisi, ormeggiandosi davanti al castello svevo.
10 settembre 1943
Poco dopo le 16, la Sibilla ormeggiata a Brindisi assiste
all’arrivo in porto della corvetta Baionetta,
proveniente da Ortona, preceduta dall’incrociatore leggero Scipione Africano, sul quale sventola il vessillo reale. A bordo
della Baionetta trovano Vittorio
Emanuele III, la moglie Elena, il figlio Umberto, il maresciallo Badoglio ed i
vertici del governo e delle forze armate (tra cui il generale Vittorio
Ambrosio, capo di Stato Maggiore Generale, e l’ammiraglio Raffaele De Courten,
capo di Stato Maggiore della Marina), fuggiti da Roma dopo l’armistizio.
Mentre una numerosa
folla osserva da terra – la notizia dell’arrivo dei reali si è già sparsa – la Baionetta si ormeggia proprio accanto
alla Sibilla. Così l’arrivo dei reali
e del governo è descritto da Antonio Angelo Caria: "[La Baionetta] ha fatto una manovra scalcinata, che più scalcinata non poteva essere,
per attraccarsi vicino a noi, corvetta Sibilla. Mentre veniva con la poppa
in banchina, lentamente, ho visto che a poppa c'era un gruppo di persone in
abiti civili. Mi ha colpito il fatto che fra tali persone c'era uno spilungone,
e mentre la Baionetta si avvicinava sempre più alla banchina, ho intravisto che
quello spilungone altri non era che il Principe Umberto. Mi sono portato e appoggiato alla
draglia del nostro lato destro per vedere meglio tutti quei signori. Ho
visto la Regina, Vittorio Emanuele III, il
Maresciallo Badoglio, il Generale Vittorio
Ambrosio, l'Ammiraglio Raffaele De Courten e tutti gli altri
membri del Governo. Dopo che la Baionetta ha sistemato la passerella, è scesa a
terra per prima la Regina, tenuta per mano da un "Ufficiale e
gentiluomo", giacché la passerella aveva il corrimano da un lato solo. E'
sceso anche il Re col figlio Umberto. A terra, c'era un'auto pronta per
riceverli e per portarli su nel Castello svevo - di proprietà
della Regia Marina - proprio di fronte al Sibilla
e Baionetta. Del fatto si sono accorte tutte le maestranze dell'arsenale e
molte altre persone che vi si trovavano casualmente, perciò una fiumana di
gente è accorsa verso la Baionetta. Io sono sceso a terra, e subito dopo è
sceso dalla Baionetta anche il Maresciallo Badoglio, trovandosi bloccato da
tutta quella gente. Me lo sono trovato di fronte, aveva la barba rasata di
fresco - con una "bistecca" al lato sinistro della gola. La gente gli
gridava: - avete fatto bene a fare la pace, avete fatto bene a fare la pace -
in continuazione. Si è sentito in pericolo, perciò gli è venuto in soccorso il
Capo del Parco salvataggio, aprendogli il portone del parco per rifugiarvisi.
Tale parco era al di sopra del livello stradale, di un metro e forse più, per
cui il Maresciallo Badoglio doveva salire 6-7 gradini, cosa che ha cominciato a
fare. Quando era arrivato a metà, si è girato e ha rivolto a tutta quella gente
dicendo loro le seguenti testuali parole: - Noi la pace l'abbiamo fatta, però
vogliamo vedere se voi, adesso, siete pronti a menare contro i tedeschi per
buttarli fuori da casa nostra. La risposta corale è stata "Siiiii! Siiiii!".
E' scesa nuovamente la macchina dal Castello, e ha preso lui e altre quattro
persone. Tale macchina ha fatto la spola altre tre-quattro volte, cosi ha
portato tutta la carovana dei fuggiaschi nel Castello svevo."
Settembre 1943
Nei giorni successivi
all’armistizio, la Sibilla rimane
ormeggiata a Brindisi, divenuta di fatto capitale provvisoria del Regno
d’Italia, ruolo che manterrà fino al febbraio 1944. Di quando in quando
l’equipaggio della corvetta ha modo di vedere il re, la regina, il generale
Ambrosio od altri membri del governo quando si affacciano alle finestre del
Castello svevo che danno sul porto.
Nel frattempo,
iniziano anche a manifestarsi le conseguenze più nefaste dell’armistizio e del
collasso del Regio Esercito, abbandonato senza ordini proprio dal re e dal
governo scappati a Brindisi: dopo circa una settimana, infatti, iniziano ad
arrivare nel porto pugliese imbarcazioni di ogni tipo e dimensione –
pescherecci, barconi, motovelieri ed altro ancora –, stracariche di civili e
militari italiani in disperata fuga dall’altra sponda dell’Adriatico (Dalmazia,
Montenegro, Albania), dove ormai gli italiani sono alla mercé tanto dei
tedeschi quanto dei partigiani jugoslavi ed albanesi.
I profughi arrivano
da Spalato, Sebenico, Ragusa/Dubrovnik, Curzola, Meleda, Antivari ed anche
dall’Albania, fuggiti abbandonando ogni cosa. In breve il porto di Brindisi è
invaso dai natanti carichi di fuggiaschi, tanto da rendere difficile l’approdo
e la manovra alle unità della Regia Marina, tra le quali anche i grandi velieri
scuola Cristoforo Colombo ed Amerigo Vespucci, anch’essi giunti a
Brindisi dopo essere fuggiti da Trieste occupata dai tedeschi.
Un giorno si verifica
anche un allarme aereo, causato da alcuni Junkers Ju 88 tedeschi che sorvolano
la periferia di Brindisi senza sganciare bombe; un caccia Macchi italiano,
decollato in quel momento, viene fatto erroneamente oggetto del fuoco delle
mitragliere della Baionetta (sempre
ormeggiata accanto alla Sibilla) e di
altre postazioni a terra, venendo forse colpito. Nella stessa circostanza
(sempre secondo i ricordi di Caria), un mitragliere della Sibilla spara invece un intero caricatore della sua mitragliera da
20/65 verso il castello che ospita re e governo, responsabili della guerra e
del disastro seguito all’armistizio. Non vi sono conseguenze, né per
l’edificio, né per gli occupanti, né per il mitragliere della Sibilla, che non subisce alcuna
indagine.
Nella terza decade di
settembre arrivano a Brindisi anche le prime truppe angloamericane, a bordo di
alcune navi Liberty.
21 settembre 1943
La Sibilla (tenente di vascello Luigi
Vaglini), insieme alla vecchia torpediniera Francesco
Stocco (tenente di vascello Mario Trisolini), salpa da Brindisi per
scortare a Santi Quaranta (oggi Saranda), in Albania, il piroscafo Dubac e la motonave Salvore, che formano il secondo dei convogli organizzati per il
rimpatrio del personale militare italiano rimasto bloccato in Albania a seguito
dell’armistizio.
22 settembre 1943
Le quattro navi
raggiungono Santi Quaranta in serata, trovandovi una situazione già difficile; i
soldati in attesa (appartenenti al 129° Reggimento Fanteria della 151a
Divisione "Perugia" ed al 130° Reggimento Fanteria e della 49a
Divisione "Parma") sono laceri, demoralizzati, in gran parte disarmati
ed a corto di provviste. Dubac e Salvore imbarcano circa 1500 militari,
poi ripartono per Brindisi scortati da Sibilla
e Stocco.
23 settembre 1943
Il convoglio arriva a
Brindisi.
24 settembre 1943
Alle 4 (o 5.20) Sibilla e Stocco ripartono da Brindisi per scortare a Santi Quaranta Dubac, Salvore ed un terzo mercantile, la motonave Probitas, per un nuovo viaggio di rimpatrio delle truppe italiane
bloccate in Albania. Sui mercantili sono state caricate anche alcune tonnellate
di viveri da distribuire ai soldati affamati, come richiesto da alcuni
ufficiali nel viaggio precedente, e munizioni.
Durante la
navigazione, alle ore 13, la Stocco
riceve ordine di lasciare la scorta del convoglio e dirigersi verso Corfù, dove
stanno sbarcando truppe tedesche, per aiutare nella difesa dell’isola (non ci
arriverà mai, affondata con quasi tutto l’equipaggio dai bombardieri della
Luftwaffe). Il convoglio prosegue con la sola scorta della Sibilla, giungendo a Santi Quaranta alle 22.
Subito inizia
l’imbarco delle truppe, il cui numero si è ulteriormente accresciuto (sono
arrivati anche molti altri soldati, provenienti dall’Epiro ed anche dalla
Croazia, in condizioni pietose); le operazioni durano quattro ore ed avvengono
in condizioni di totale oscuramento, nella cupa atmosfera creata dalla caduta
di Cefalonia, dove è in corso il massacro della guarnigione da parte dei
tedeschi, e dalla battaglia che infuria sulla vicina Corfù.
La Probitas, la nave più grande del
convoglio (e che potrebbe imbarcare il maggior numero di uomini), entra in
porto in lieve ritardo per problemi ai motori, e tali avarie le impediscono di
ripartire, costringendo così a lasciare a terra molti uomini.
25 settembre 1943
Terminato l’imbarco,
il convoglio riparte per l’Italia verso le due o le tre di notte. A Santi
Quaranta rimangono altre migliaia di soldati e ufficiali in disperata attesa,
che nessuno verrà a recuperare: Sibilla,
Salvore e Dubac sono le ultime navi italiane a lasciare l’Albania, dopo di
loro non ne verrà più inviata nessun’altra. La Probitas, impossibilitata a muovere, verrà affondata nel pomeriggio
del 25 da ripetuti attacchi aerei tedeschi. Decine di ufficiali della Divisione
"Perugia", compreso il suo comandante, generale Ernesto Chiminello,
verranno fucilati dai tedeschi dopo la cattura.
Verso le 7.30 si unisce
al convoglio, per rinforzare la scorta in sostituzione della Stocco, la torpediniera Sirio (capitano di corvetta Antonio
Cuzzaniti); questa si posiziona sulla sinistra del Dubac, che procede in testa al piccolo convoglio, seguito dalla Salvore, che è protetta dalla Sibilla sul lato di dritta. Le navi
procedono lentamente, dovendosi adeguare alla scarsa velocità del vecchio e
lento Dubac.
La Luftwaffe, però,
avvista il convoglio intorno alle sei del mattino, in mezzo al Canale d’Otranto.
Dapprima appare un ricognitore, che segnala la presenza del convoglio prima di
andarsene, dopo di che, verso le 7.45, sopraggiungono dodici bombardieri in picchiata
Junkers Ju 87 “Stuka”.
Gli Stukas attaccano
in più ondate, di tre velivoli ciascuno, scendendo in picchiata e mitragliando
per poi sganciare le bombe; le navi italiane si diradano immediatamente,
manovrando con rapide accostate per rendere più difficile il compito ai
bombardieri, e reagiscono con le loro armi contraeree, colpendo due dei velivoli
tedeschi.
Il vecchio e lento Dubac – armato con una sola mitragliera
e definito dal comandante stesso della Sibilla,
tenente di vascello Vaglini, "Bersaglio troppo facile da colpire, carretta
del mare lenta e poco manovrabile", col commento finale "Si vede che
non avevano altro da mandare" – non riesce a manovrare efficacemente, e
viene dapprima mitragliato e poi colpito da due o tre bombe.
Tra i soldati
disarmati ed ammassati sui ponti scoperti del piroscafo è una carneficina; le
vittime sono almeno un’ottantina, ma forse anche più di 200. Molti rimangono
uccisi o feriti dalle raffiche di mitragliatrice e dalle bombe, altri annegano
dopo essersi gettati in mare.
L’attacco dura circa
venti minuti. Il Dubac imbarca acqua
da varie falle e sbanda fortemente sulla sinistra, ma nonostante i gravi danni
continua a navigare, forzando le caldaie al massimo della pressione per cercare
di raggiungere la costa italiana; dietro ordine della Sirio, avvicinatasi per fornire assistenza, il piroscafo viene
infine portato ad incagliare sulla costa pugliese, un miglio a nord del faro di
Otranto. I feriti vengono trasbordati sulla Sirio,
che li porta a Brindisi; il resto dei militari e dell’equipaggio vengono
trasferiti a terra con l’ausilio di alcuni motovelieri e motopescherecci.
La Sibilla, per ordine della Sirio, prosegue invece scortando la Salvore (entrambe le navi sono rimaste
indenni, grazie alle rapide manovre ed all’efficace reazione delle loro armi
contraeree) fino a Brindisi, dove le due navi giungono alle 15.45.
Fine settembre 1943
Pochi giorni dopo
l’ultima missione di rimpatrio truppe dall’Albania, la Sibilla si trasferisce a Taranto, rimasta anch’essa in mano
italiana.
Da qui, dopo qualche
giorno, la nave viene nuovamente trasferita, stavolta a Napoli, frattanto
liberata. Il capoluogo campano versa in condizioni pietose, devastato dai
bombardamenti e piagato dalla fame; la situazione va lentamente migliorando con
l’arrivo delle truppe statunitensi, che ne fanno una base logistica, così
favorendo anche una certa rinascita delle attività commerciali. Fioriscono
anche, come spesso accade in tempo di guerra, la prostituzione ed il
contrabbando: attività quest’ultima alla quale si dedica, in piccolo
(sigarette, sale, formaggio acquistati ad Augusta e rivenduti a Napoli), anche
l’equipaggio della Sibilla,
comandante compreso.
Fine 1943-Primavera 1945
Durante la
cobelligeranza tra Italia e Alleati, la Sibilla
è adibita alla scorta del naviglio Alleato diretto in porti italiani
(principalmente della Sicilia e della costa tirrenica).
Imbarcano sulla
corvetta un tenente di vascello della Royal Navy, ufficiale di collegamento con
le forze Alleate, ed un marinaio britannico, suo attendente; dopo di che, la
nave viene adibita alla scorta di convogli Alleati (carichi di rifornimenti per
la 5a Armata statunitense) sulla rotta Augusta-Napoli e ritorno.
L’ufficiale di britannico, un professore di latino di Oxford richiamato per la
guerra, non interferisce col comando della nave, ma svolge ruolo di
collegamento e supervisione durante le navigazioni in convoglio; nel corso di
tali missioni le navi dei convogli, tanto i mercantili quanto le altre unità di
scorta, devono pertanto fare capo alla Sibilla
(scelta per l’imbarco dell’ufficiale di collegamento grazie alla buona conoscenza
dell’inglese da parte del suo ufficiale di rotta).
Nelle navigazioni in
convoglio la Sibilla assume sempre
posizione di scorta sul lato esterno rispetto alla costa, mentre il lato
opposto è protetto da unità italiane e da una nave britannica.
Con l’avanzata della
5a Armata statunitense verso nord, anche Livorno viene liberata e
diviene nuovo "capolinea" dei convogli di rifornimenti; la Sibilla passa così a scortare convogli
sulla rotta Napoli-Livorno e Livorno-Napoli. Le missioni di scorta al traffico
Alleato durante la cobelligeranza sembrano quasi delle "passeggiate"
per marinai che, prima di imbarcare sulla Sibilla,
avevano vissuto l’inferno dei convogli per il Nordafrica: la minaccia degli
U-Boote in Mediterraneo è stata ormai pressoché azzerata entro i primi mesi del
1944, le navi di superficie della Kriegsmarine (tra cui, ironia della sorte,
molte corvette gemelle della Sibilla,
catturate in costruzione a seguito dell’armistizio e completate sotto bandiera
tedesca) sono troppo poche e troppo poco potenti per tentare attacchi ai
convogli, ed anche la Luftwaffe in Italia è troppo debole per poter operare
efficacemente contro i convogli angloamericani. Marinai abituati a scortare
"convoglietti" di due o quattro vecchi piroscafi si trovano ora a
fare da "cani da pastore" per greggi di decine di nuovissime navi
Liberty (in un’occasione, dovendo prendere i nomi di tutte le navi di un
convoglio in partenza da Augusta per Napoli, ne vengono contate ben 96).
Membri dell’equipaggio della Sibilla caduti nella seconda guerra
mondiale:
Aldo Gnemmi, marinaio, disperso in territorio
metropolitano il 26 febbraio 1944
Antonio Landriscina, marinaio motorista,
deceduto in territorio metropolitano il 27 febbraio 1944
Valerio Rodenigo, secondo capo meccanico,
disperso nel Mediterraneo Centrale il 22 settembre 1943
Un’altra immagine della Sibilla durante la guerra, nel marzo 1943 (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net). |
1945
Finita la guerra, la Sibilla svolge alcune missioni di
trasporto, trasferendo personale e materiale dall’Italia meridionale a quella
settentrionale, alle dipendenze del Comando Superiore delle Siluranti.
Le missioni di
trasferimento consistono principalmente nel ricongiungimento famigliare degli
italiani del centro-nord, rimasti bloccati a sud dopo l’armistizio, e degli
italiani del meridione, rimasti parimenti bloccati a nord per il medesimo
motivo: fuori uso gran parte della rete ferroviaria, sabotata dalle truppe
tedesche in ritirata, il compito di questi ricongiungimenti ricade in parte sul
naviglio sottile della Regia Marina.
Il personale
proveniente dall’estremo sud e dalla Sicilia viene concentrato presso la
Prefettura di Napoli, che, in collaborazione con l’ammiraglio comandante il
Dipartimento di Napoli, provvede a scaglionarli per poi avviarli verso Livorno,
La Spezia e Genova a seconda della destinazione (Italia centrale, Liguria,
Piemonte, Lombardia). Il personale di origine meridionale bloccato al nord,
parimenti, viene avviato alle Prefetture di Genova, La Spezia e Livorno le
quali, in accordo con l’ammiraglio comandante del Dipartimento di La Spezia, ne
organizzano le partenze verso il sud. Per evitare di intasare i porti, il
personale viene imbarcato sulla prima nave disponibile, che viene poi subito
fatta partire. La Sibilla, non avendo
molto spazio disponibile, trasporta solitamente 35 persone per volta; non solo
uomini ma anche donne e bambini (che si divertono molto a navigare e vedere
l’armamento di bordo e l’equipaggio al lavoro), usualmente con qualche
bagaglio. In questo periodo l’equipaggio della corvetta si ritrova ad essere
composto interamente di meridionali: i settentrionali, infatti, non fruendo di
licenza da più di due anni a causa dell’occupazione tedesca del Nord Italia,
hanno ricevuto tutti tre mesi di licenza.
Ottobre 1945
Entra nell’Arsenale
di Napoli per tre mesi di grandi lavori, coi quali vengono installate a bordo
le attrezzature per il dragaggio delle mine. Vengono invece sbarcati i due tubi
lanciasiluri singoli da 450 mm, gli otto lanciabombe ed i due scaricabombe per
bombe di profondità, e le due torpedini antisom da rimorchio tipo Ginocchio.
Uno dei primi
comandanti della Sibilla, nel
dopoguerra, è il tenente di vascello Emilio Legnani, Medaglia d’Oro al Valor
Militare.
La Sibilla nel giugno 1946, dopo i lavori di adattamento per essere impiegata nel dragaggio (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net). |
1946-1949
Inquadrata nella 1a
Flottiglia Corvette (alle dipendenze della III Divisione Navale), la Sibilla svolge intensa (e massacrante,
per l’equipaggio) attività di dragaggio nei mari italiani, disseminati di
decine di migliaia mine posate durante il conflitto da tutti i contendenti. La
nave effettua tale attività inizialmente in Mar Tirreno (tutta la costa da
Fiumicino a Piombino, con i divergenti e la sciabica) e sulle coste della
Sardegna e dell’Elba, e successivamente in Alto Adriatico, fino alla fine del
1949.
Sopra, il
maresciallo cannoniere stereotelemetrista di seconda classe Antonio Miccoli
fotografato a bordo della Sibilla. In
Marina dal 1929, era sopravvissuto nel 1941 all’affondamento dell’incrociatore Fiume nella battaglia di Capo Matapan;
quello sulla Sibilla, dal 16 maggio
1949 al 12 dicembre 1951, fu il suo ultimo imbarco. Di seguito, una serie di
foto della Sibilla e di altre
corvette della classe Gabbiano a Brindisi, nel periodo 1949-1951, tratte
dall’album di Antonio Miccoli (per g.c. del figlio Marino).
Gennaio 1950
Assegnata alla
Flottiglia Scuola Comando, viene adibita all’addestramento. Per i successivi
sei anni, prende parte ad attività addestrativa, crociere in Mediterraneo ed
esercitazioni combinate con la Squadra Navale, intervallate da periodici cicli
di grandi lavori.
Nei primi anni
Cinquanta subisce inoltre nuove modifiche all’armamento; vengono eliminate le
due mitragliere binate Breda 1935 da 20/65 mm, le tre mitragliere singole
Scotti-Isotta Fraschini da 20/70 mm e gli apparati per il dragaggio, mentre
vengono installati un cannone contraereo binato Bofors Mk 1 da 40/60 mm, due
mitragliere singole Oerlikon da 20/70 mm, due tubi lanciasiluri singoli da 450
mm e quattro lanciabombe per bombe di profondità.
La Sibilla, seguita da altre corvette e navi della Scuola Comando, fotografata a Taranto all’inizio del 1951 in occasione della visita del ministro della Difesa Randolfo Pacciardi (c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net). |
1952
Trasferita dalla III
Divisione Navale alla I Divisione Navale. Fa parte della VII Squadriglia
Corvette e poi della VIII Squadriglia Corvette.
Una cartolina della Sibilla in transito nel canale navigabile di Taranto (g.c. Marino Miccoli) |
Giugno 1956
Lascia la Flottiglia
Scuola Comando, dopo sei anni e mezzo, e viene posta in riserva a Taranto, alle
dipendenze del Comando della 2a Flottiglia Navi Scorta.
Sottoposta in
Arsenale a due cicli di grandi lavori di rimodernamento e trasformazione, della
durata complessiva di un anno e mezzo, durante i quali viene installata, nella
parte sinistra della prua, la catapulta per il lancio dell’aerobersaglio
radiocomandato Meteor P1. Vengono contestualmente rimossi il cannone da 100/47
mm e le due mitragliere Oerlikon da 20/70 mm, mentre vengono installati un
altro cannone contraereo binato Bofors Mk 1 da 40/60 mm, un lanciabombe antisom
Hedgehog Mk 10 (in grado di lanciare simultaneamente 24 piccole cariche di
profondità ad una distanza di 178 metri), uno scaricabombe per bombe di profondità,
un radar NSM-8 (posizionato sul tripode) ed un sonar QCU-2.
Tornata in armamento
a Taranto, la Sibilla partecipa ad
innumerevoli crociere della Squadra Navale ed esercitazioni sia a livello
nazionale che nell’ambito della NATO, sempre nel ruolo di nave addetta al
lancio del bersaglio radiocomandato.
Effettua inoltre
numerose uscite per le Scuole CEMM (Corpo Equipaggi Militari Marittimi) di
Taranto, per lancio dell’aerobersaglio o per esercitazioni degli
ecogoniometristi.
La Sibilla a Taranto nel 1956 (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net) |
1959
Trasferita dalla VIII
Squadriglia Corvette alla VI Squadriglia Corvette.
La nave in transito nel canale navigabile di Taranto negli anni Sessanta (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net) |
Primi anni ’60
Lavori di modifica:
viene realizzata una tuga a prua e sono eliminati il lanciarazzi antisom e la
mitragliera binata da 40/56 mm di prua.
Sopra, la
Sibilla nel febbraio 1965 (Coll. E.
Bagnasco, via M. Brescia e www.associazione-venus.it);
sotto, la nave a Taranto il 5 ottobre 1965 (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net)
Gennaio 1966
Trasferita alla III
Squadriglia Corvette, alle dipendenze del Gruppo Navale Costiero della III
Divisione Navale.
La Sibilla rientra a Taranto nel pomeriggio del 23 marzo 1967 (.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net) |
Due immagini della Sibilla in Mar Piccolo a Taranto, il 19 agosto 1969 (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net)
La Sibilla e la fregata Alpino entrano in Mar Piccolo a Taranto
il 6 dicembre 1969 (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net)
1° febbraio 1973
Radiazione, dopo un
periodo di disarmo. Successivamente demolita.
Due
immagini della Sibilla a Taranto nel
gennaio 1971, al termine della sua carriera (foto Giorgio Arra, via Marcello
Risolo e www.naviearmatori.net)
Ricordi di Antonio
Angelo Caria, di Cagliari, sottufficiale cannoniere, imbarcato sulla Sibilla
dal 1943 al 1948 (da it.wikipedia.org):
“Un bel giorno, é arrivato il movimento anche per me, a Marinalles
Trieste per Corvetta Sibilla. Il mio Caporeparto, non volendo perdermi, ha
fatto un dispaccio al Ministero comunicando che io ero in licenza di lavori di
gg. 30+4 (e non era vero), sperando che il Ministero ripiegasse su un altro
nominativo. Non é stato cosi. Dopo 40 giorni, il Ministero ha reiterato il
dispaccio ed io ho dovuto fare le valigie per Trieste. (…) io sono sbarcato
[dal cacciatorpediniere Corazziere, sua precedente unità, immobilizzata per
lunghi lavori di riparazione dopo essere stata gravemente danneggiata da un
bombardamento aereo] il 4 giugno '43. Arrivato a Trieste il giorno dopo, ho
assistito alla cerimonia della consegna della Corvetta Sibilla alla Regia
Marina. Pertanto, ho preso parte al pranzo speciale offerto dai Cantineri
Navali S. Marco di Monfalcone, ove é stata costruita la Corvetta. Una ventina
di giorni a Trieste, indi un mese a Pola per l'addestramento e, infine,
trasferimento a Brindisi-zona di operazione.
6-7-8 SETTEMBRE 1943. Noi Sibilla, in solitario, siamo
stati mandati nel golfo di Manfredonia in pendolamento antisommergibile, poichè
un nostro peschereccio aveva visto, di notte, emergere un po lontano un
sommergibile nemico, sicuramente per caricare le sue batterie, per ossigenarsi,
ecc., un posto impensabile per noi. Abbiamo pendolato (in ascolto
ecogoniometrico) in lungo e in largo tale golfo, tutto il giorno 6, 7 e parte
del giorno 8 settembre, senza trovare alcuna traccia di sommergibili nemici,
forse perchè quel sommergibile ha comunicato la sua scoperta da parte nostra.
Ci é stato ordinato di venire giù, sempre in ascolto, doppiando Barletta, Trani
e Bari. Verso le 16 del giorno 8 settembre, dopo Bari, é sbottato, dalla cabina
R.T. un radiotelegrafista che urlava come un ossesso, da poppa a prora, da
prora a poppa e sottocastello E' FINITA LA GUERRA...., E' FINITA LA GUERRA....
Io mi trovavo in controplancia, assieme al Comandante, l'Ufficiale di rotta e
le vedette a lato. Il Comandante, sentendo quelle urla, ha fatto chiamare il
suo "autore" per chiedergli il perchè del suo urlare. Questi lo ha
informato che un comunicato radio aveva trasmesso la notizia dell'armistizio,
precisando che più tardi ci sarebbe stato il messaggio del Maresciallo Badoglio
alla Nazione per informarla dell'armistizio chiesto e accettato dagli alleati.
Il messaggio del Maresciallo Badoglio c'è stato. A quel punto, abbiamo cessato
l'ascolto ecogoniometrico. Proseguendo verso sud, sempre più vicini alla costa.
A Monopoli, dall'estremità di un molo esterno del porto, un marinaio
segnalatore (forse in licenza), senza le bandierine, ci ha segnalato che le
colonne tedesche (camion, autoblinde e mezzi corazzati) stavano ripiegando
verso nord. Abbiamo ricevuto l'ordine di andare a prendere nel canale di
Otranto la motonave Istria e scortarla fino a Brindisi. Qui dimenticavo di dire
del nostro incontro con la motonave Istria. Vedendo la sagoma di una nave,
nell'oscurità del Canale d'Otranto, con i fanali di via spenti (di
prammatica)ci siamo avvicinati il più possibile per chiedere col megafono come
si chiamava. Al primo "urlo" COME VI CHIAMATE? ci é stato risposto: -
E' FINITAAAAA. Altra manovra per avvicinarla il più possibile e chiederle:-
come vi chiamate? Stessa risposta:- E' FINITAAAA. Dato che la guerra era
"finita" e le cautele erano ormai cessate, abbiamo acceso i nostri
fanali di via ed acceso il proiettore di segnalazione per illuminarla e leggere
il suo nome nella fiancata. Con lo stesso proiettore, in Morse, le abbiamo
segnalato di seguirci perchè mandati per scortarla fino a Brindisi La notizia
dell'armistizio ha fatto fare i bagagli ai marinai di leva che già avevano
assolto la loro ferma biennale prescritta, credendo che l'indomani sarebbero
tornati, finalmente-felici e contenti - a casa loro. Il sottocastello, infatti,
era invaso dai bagagli di questi marinai-poveri illusi... Verso le 23 siamo
arrivati a Brindisi, con la motonave Istria, dando fondo all'ancora in rada. A
Brindisi si sparava da tutte le parti, sembrava di essere in una vera
battaglia. In effetti, si sparava da tutte le parti in segno di gioia per la
fine della guerra. Il Comandante ha chiamato tutto l'equipaggio in assemblea
generale, sopracastello, per dire che la guerra contro gli alleati era finita,
ma ne cominciava un'altra contro i tedeschi per cacciarli dal suolo patrio. E
ha invitato i marinai (delusi) di rimettere il loro vestiario e gli altri
effetti personali nei rispettivi stipetti, giacchè non cambiava nulla. Il
giorno dopo, ci siamo ormeggiati nel porto interno di fronte al castello svevo. (...)
10 SETTEMBRE 1943. Poco
dopo le ore 16, mi trovavo a poppa sfotticchiando un collega sardo (Sottocapo
Torpediniere) mentre si stava sbrugnando (uguale, più o meno, a si
stava "sbaffando") il suo turno di Sottocapo di guardia a poppa,
16-24. Casualmente ho rivolto lo sguardo dalla parte del porto esterno e ho
visto, quasi di fronte al monumento del Marinaio, un incrociatore leggero della Classe Capitani Romani (come
l'incrociatore Attilio Regolo) che issava il vessillo
reale.
Di
fronte, a terra, c'era tanta gente sicura che vi fossero i reali e di poterli
vedere sbarcare. Per vederci meglio, ho fatto un salto in controplancia, ho
tirato fuori lo stereotelemetro portatile e sono stato in
osservazione una decina di minuti per vedere i reali, ma non li ho visti
proprio. Era lo Scipione Africano. Sono
sceso di nuovo a poppa e vedo che entrava in porto, alla chetichella, la corvetta Baionetta.
Ha
fatto una manovra scalcinata, che più scalcinata non poteva essere, per
attraccarsi vicino a noi, corvetta Sibilla. Mentre veniva con la
poppa in banchina, lentamente, ho visto che a poppa c'era un gruppo di persone
in abiti civili. Mi ha colpito il fatto che fra tali persone c'era uno
spilungone, e mentre la Baionetta si avvicinava sempre più alla banchina, ho
intravisto che quello spilungone altri non era che il Principe Umberto.
Mi
sono portato e appoggiato alla draglia del nostro lato destro per vedere
meglio tutti quei signori. Ho visto la Regina, Vittorio Emanuele III, il
Maresciallo Badoglio, il Generale Vittorio
Ambrosio, L'Ammiraglio Raffaele De Courten e tutti gli altri
membri del Governo. Dopo che la Baionetta ha sistemato la passerella, è scesa a
terra per prima la Regina, tenuta per mano da un "Ufficiale e
gentiluomo", giacché la passerella aveva il corrimano da un lato solo. E'
sceso anche il Re col figlio Umberto.
A
terra, c'era un'auto pronta per riceverli e per portarli su nel Castello svevo - di proprietà
della Regia Marina - proprio di fronte al
Sibilla e Baionetta. Del fatto si sono accorte tutte le maestranze
dell'arsenale e molte altre persone che vi si trovavano casualmente, perciò una
fiumana di gente è accorsa verso la Baionetta. Io sono sceso a terra, e subito
dopo è sceso dalla Baionetta anche il Maresciallo Badoglio, trovandosi bloccato
da tutta quella gente. Me lo sono trovato di fronte, aveva la barba rasata di
fresco - con una "bistecca" al lato sinistro della gola. La gente gli
gridava: - avete fatto bene a fare la pace, avete fatto bene a fare la pace -
in continuazione. Si è sentito in pericolo, perciò gli è venuto in soccorso il
Capo del Parco salvataggio, aprendogli il portone del parco per rifugiarvisi.
Tale parco era al di sopra del livello stradale, di un metro e forse più, per
cui il Maresciallo Badoglio doveva salire 6-7 gradini, cosa che ha cominciato a
fare. Quando era arrivato a metà, si è girato e ha rivolto a tutta quella gente
dicendo loro le seguenti testuali parole: - NOI LA PACE L'ABBIAMO FATTA, PERO'
VOGLIAMO VEDERE SE VOI, ADESSO, SIETE PRONTI A MENARE CONTRO I TEDESCHI PER
BUTTARLI FUORI DA CASA NOSTRA. La risposta corale è stata "siiiii!
siiiii!". E' scesa nuovamente la macchina dal Castello, e ha preso lui e
altre quattro persone. Tale macchina ha fatto la spola altre tre-quattro volte,
cosi ha portato tutta la carovana dei fuggiaschi nel Castello svevo.
APPENDICE A MARGINE - L'arrivo dei Savoia e
del Governo Italiano a Brindisi non ha influito più di tanto nella vita di
quella città. I Savoia e i membri del Governo Italiano, piuttosto, si sono
trovati nella condizione di una prigionia dorata nel Castello svevo della Regia
Marina. Unico diversivo, per loro, per prendere una boccata d'aria, era
affacciarsi alle finestre posteriori del Castello stesso, quelle che spaziavano
su tutto il porto interno e in parte su quello esterno. Le Corvette Sibilla e
Baionetta erano ormeggiate fianco a fianco proprio di fronte, perciò li si
vedeva casualmente durante il servizio a bordo. A me é capitato di aver visto
due volte la regina, una volta il re, il principe Umberto non l'ho mai visto,
mentre alcune volte ho visto il Generale Vittorio
Ambrosio e altri membri del Governo che non conoscevo per nome.
Dopo circa una settimana, sono cominciati ad arrivare a Brindisi pescherecci,
tartane, barconi e natanti di ogni genere e grandezza, stracarichi di gente che
scappava disperatamente, dopo aver abbandonato tutte le loro cose, da Spalato, Sebenico, Ragusa (oggi
Dubrovnik), dalla nostra isola Curzola (oggi
Korcula) isola di Meleda (Mljet), dal porto montenegrino di Antivari (detta
cosi perché di fronte alla nostra città di Bari - ribattezzata da Tito col
nome turco di Bar - oggi ha un altro nome che non saprei, poiché manco
dalla Jugoslavia da
pochi mesi dopo la morte di Tito). Di tali natanti ne arrivavano molti anche
dall'Albania.
Il porto di Brindisi si è riempito all'inverosimile di tutti questi mezzi,
tanto da trovare molto difficile il riparo e l'approdo della nostra nave-scuola
Amerigo Vespucci. Tutto questo avveniva, giornalmente, sotto gli occhi dei
Savoia e del Governo Italiano. Un giorno, non ricordo quale, c'è stato allarme
aereo, perciò posto di combattimento. Con lo stereotelemetro portatile ho visto
che si trattava di 6-7 aerei tedeschi Junkers Ju 88 che
hanno girato al largo in periferia senza sganciare bombe. C'è stato che un
nostro aereo da caccia Macchi è decollato raso terra, passando di traverso al
porto, per cui si è attirato il fuoco delle mitragliere della Baionetta e altre
postazioni di terra e, se non ricordo male, è stato abbattuto perché ho visto
che cominciava a fiammeggiare. Un nostro mitragliere-veneziano, invece, ha
indirizzato il tiro verso i SIGNORI che si trovavano affacciati alle finestre
del Castello, scaricando, di proposito, tutto il caricatore della sua
mitragliera binata da 20/65, cominciando, però, dallo spigolo del lato sinistro
rispetto a noi, solo che la mira, per la fretta, i colpi sono arrivati sotto le
finestre. E' ovvio che quei SIGNORI si sono messi in salvo... Non c'è stata
alcuna inchiesta e nessun provvedimento. Forse, ancora oggi, ci saranno i segni
di quei colpi sparati contro i SIGNORI citati che si "divertivano" a
guardare il tutto, dopo essere scappati da Roma pensando solo di mettersi in
salvo, senza dare indicazioni e ordini utili per rimediare a quell'immane
tragedia causata da una guerra sbagliata.
(Sarei
grato a qualche amico-utente brindisino, se mi leggerà, di farmi sapere se i
segni di quella sventagliata di mitragliera ci siano ancora, oppure se siano
stati "riparati". Lo ringrazio anticipatamente).
Continua
l'APPENDICE A MARGINE - Questo periodo si chiude con un altro evento storico
capitato a Brindisi. Non ricordo il giorno esatto della terza decade del
settembre nero degli Italiani. Con tre navi tipo Liberty, sono arrivati i
LIBERATORS, cioè il presidio degli americani e degli inglesi, accolti dalle
autorità civili e militari, in primis la folta rappresentanza della Regia
Marina con la banda musicale del Corpo (un centinaio di elementi). Ho visto
quando due Liberty hanno dato fondo all'ancora in rada, nel porto esterno, e il
terzo che si affiancava alla banchina per sbarcare i Comandanti dei due
contingenti. Prevedendo che la cerimonia sarebbe stata lunga, me ne sono andato
al cinema. Sono ritornato a cose finite. Pertanto, alle 21 in punto, la banda
musicale ha preso la via del ritorno, percorrendo tutto il Corso della città
sino al Castello svevo, suonando LA RITIRATA DELLA MARINA, seguita dal
sottoscritto e da una moltitudine di persone molte delle quali piangevano,
forse per la cocente sconfitta, o forse, più verosimilmente, per un inconscio
anelito di libertà, di pace e di ritrovato benessere con la fine dei pesanti
bombardamenti e del "duro" tesseramento di tutti i generi alimentari,
delle privazioni e della fame nera patiti a causa della guerra.
Alla
grande confusione e sbandamento generale in cui si é trovata l'Italia, dopo l'8
settembre 1943-in seguito all'armistizio, si é aggiunto il dramma delle nostre
Armate dislocate nei balcani e che andavano rimpatriate. I Comandanti di quelle
Armate non hanno trovato di meglio ove far convergere i loro soldati nel punto
più sbagliato, a Santi Quaranta-in Albania, a uno sputo da Corfù ove i tedeschi
avevano un aeroporto agibile ed efficiente. A Santi Quaranta, il Genio
Trasmissioni aveva messo su un ponte radio attraverso il quale,
insistentemente, quei Comandanti premevano presso il Comando Supremo (che
Supremo non era più), affinchè si attivasse per disporre il rimpatrio dei loro
soldati. Per tale insistenza, sono stati approntati il piroscafo Dubac e la
motonave Salvore, scortati dalla Torpediniera Sirio e dalla Corvetta Sibilla.
Arrivati a Santi Quaranta, alcuni Comandanti ci hanno chiesto se avevamo
portato dei viveri. La risposta del Comandante del Sirio é stata che non
avevamo portato dei viveri perchè non richiesti. Comunque, a presiedere
l'imbarco, ordinatamente era stato destinato un Colonello che faceva imbarcare
per primi i disarmati. Molti soldati, vedendo come si procedeva e perchè non
erano fessi, buttavano le armi un po lontano, cosi potevano imbarcarsi pure
loro. Per tale motivo, lontano, si é formata una catasta enorme di moschetti e
pistole, buttate e abbandonate.
Siamo ripartiti con i due mercantili, stipati
all'inverosimile, raggiungendo Brindisi il giorno dopo. Nel giro di pochi
giorni, é stata approntata la nuova missione per Santi Quaranta, con le stesse
navi, Dubac e Salvore (cariche di 5-6 tonnellate di viveri richiesti), e la
stessa scorta della Torpediniera Sirio e noi Corvetta Sibilla. Navigazione
tranquilla all'andata, ma all'arrivo abbiamo trovato una situazione desolante.
Desolante per quei soldati calati dalla Croazia orientale (un soldato mi disse
che proveniva dalla Slavonia, mai sentita nominare tale regione), un altro mi
disse che veniva da Giannina e molti da varie località dell'Epiro. Erano in uno
stato pietoso, poiché i partigiani titini li avevano depredati di tutto, scarpe
comprese. E' cominciato l'imbarco col solito rituale, solo che tutti quei
soldati non erano armati e la maggior parte erano scalzi e con le divise a
brandelli. Terminate le operazioni d'imbarco, siamo salpati prendendo la via
del ritorno.
Nel bel mezzo del Canale di Otranto siamo
stati attaccati da un gran numero di Stukas (decollati dalla vicinissima
Corfù). L'attacco é stato repentino, a volo radente sul livello del mare, per
cui non abbiamo avuto il tempo di brandeggiare le mitragliere perchè le cabrate
e le successive "picchiate" ci hanno costretto a salvarci con estreme
virate Il Sirio, noi Sibilla e il Salvore, manovrabilissimi, abbiamo evitato
tutte le bombe che ci sono state lanciate. Il Dubac, purtroppo, é stato
centrato da 2-3 bombe causando una carneficina fra i soldati stipati
all'inverosimile. Per questo, il Dubac ha cominciato a sbandare sul lato
sinistro per il cui sbandamento si é cercato di controbilanciarlo facendo
affluire tutti i soldati incolumi, all'interno (lato agibile) e all'esterno,
del lato destro. Al Comandante del Dubac é stato ordinato di andare avanti con
le macchine a tutta forza, fino a raggiungere la costa salentina ove potersi
arenare o incagliare, per evitare l'affondamento, cosa che é avvenuta. Alla
Torpediniera Sirio é toccato l'ingrato compito di accostarsi al Dubac per
prendere i feriti più gravi per portarli immediatamente a Brindisi (quando vi é
arrivato, aveva tutta la tolda intrisa di sangue, ma anche il Dubac aveva il
lato sinistro sporco di sangue). I feriti meno gravi sono stati soccorsi dai
mezzi sopraggiunti da Otranto e trasportati a Lecce. I morti, quasi duecento,
sono stati recuperati succesivamente. Noi Sibilla, invece, abbiamo ricevuto
l'ordine di scortare la motonave Salvore fino a Brindisi. Sono ancora convinto
che se i nostri soldati fossero stati fatti affluire verso il porto di Valona,
che é quasi di fronte a Brindisi, molto probabilmente avremmo potuto
rimpatriare molti-molti altri soldati. Non é stata progettata ed eseguita altra
missione per Santi Quaranta, visto il grande pericolo che occorreva affrontare.
Pazienza per quelli che si trovavano molto più a sud (Peloponneso, Morea) e
quelli in Tessaglia e a nord della Grecia, compresi i Carabinieri martiri di
Cefalonia e quelli del Dodecaneso, Lero compreso-ove c'era un mio cugino. Il
destino per quei soldati, marinai, carabinieri che non si sono potuti
rimpatriare é stato di finire nei campi di concentramento (o lager) in
Germania.
Della
coobelligeranza c'é poco da dire. Dopo le quattro giornate di Napoli, noi
Corvetta Sibilla abbiamo lasciato Brindisi per Taranto e subito dopo per Napoli.
Abbiamo trovato quella città in ginocchio, presa nella morsa della fame.
L'arrivo degli americani ha contribuito ad alleviare, progressivamente, le
sorti di quella città con la loro presenza, i loro insediamenti che hanno
richiesto l'impiego di manodopera locale, oltre ad alimentare le attività
commerciali, bar e ristoranti soprattutto, e le poche industrie salvate dai
bombardamenti. Gli americani hano fatto della città di Napoli la loro grande
base di approdo e smistamento dei rifornimenti per la loro 5^ Armata che si era
dispiegata sul fronte a sud di Cassino contro i tedeschi. Il 12 o 13 ottobre
c'é stata la dichiarazione di guerra da parte dell'Italia alla Germania, perciò
l'Esercito Italiano rimasto nell'Italia libera é stato via-via riorganizzato,
ed é entrato a far parte nei servizi ausiliari dell'Allenza in ossequio alla
coobelligeranza chiesta ed accettata. Tali uomini non bastavano più perciò é
stata chiamata alle armi la classe 1925. Circa la Regia Marina, posso dire che
per quanto riguarda la Corvetta Sibilla, dopo aver imbarcato un Tenente di
Vascello della Marina inglese, come Ufficiale di collegamento, ed un marò di
carriera-suo attendente, é stata impiegata di scorta ai convogli da Augusta a
Napoli e da Napoli ad Augusta. Il Tenente di Vascello inglese (richiamato) era
un Professore di Latino all'Università di Oxford. Parlava perfettamente
l'italiano, ma con la solita cadenza strascicata degli inglesi. Tale Ufficiale
non interferiva minimamente nel comando della nostra nave, ma sovraintendeva
solamente alla missione del convoglio. Era un gentiluono, anzi, per dirla
all'inglese, era un perfetto gentleman. Con me, saputo che ero sardo, tutte le
volte che ci ritrovavamo insieme in controplancia, mi parlava della Sardegna
con i suoi nuraghi e che lui conosceva abbastanza bene, meglio di me, e non
solo della Sardegna. Aveva preso imbarco da noi poichè il nostro Ufficiale di
rotta parlava molto bene l'inglese. Tutte le navi Liberty del convoglio, come
pure le nostre navi di scorta, per qualsiasi evenienza, dovevano far capo a noi
Sibilla che ospitavamo il citato Ufficiale inglese di collegamento. Il nostro
posto in convoglio era sempre il lato esterno rispetto alla costa, mentre sul
lato opposto, oltre ad altre nostre unità, c'era sempre un natante inglese, del
quale non ricordo il nome della classe, che resisteva molto bene al mare -
molto meglio di noi - e che noi impropriamente chiamavamo sciabecco. Di
missioni di scorta ai convogli ne abbiamo fatto molte, anzi moltissime, dopo lo
sfondamento del fronte di Cassino, lo sbarco di Nettuno, l'occupazione di Roma
e la liberazione di Livorno. I convogli per i rifornimenti alla 5^ Armata
americana, pertanto, sono stati spostati da Napoli a Livorno e viceversa. Io,
come stereotelemetrista, sono rimasto pressochè disoccupato (venivo chiamato
alle occorrenze). Ammazzavo il mio tempo riparando in Segreteria Dettaglio dal
collega Sottocapo Furiere, perciò ho imparato in toto il suo servizio. Riparavo
più spesso in cabina R.T. e anche, col permesso del Comandante, a fare il
timoniere. Lo stesso dicasi degli addetti all' ecogoniometro (sonar), data la
non presenza di sommergibili tedeschi nel Mediterraneo. Le nostre scorte ai
convogli, praticamente, erano delle belle "passeggiate" in mare. Per
rendere l'idea della disparità delle forze in campo, debbo dire che i nostri
convogli per Tripoli, Bengasi e Tobruk, composti da 2-3-4 carrette del mare,
che navigavano si e no a 5-6 nodi all'ora e che per arrivarci si impiegavano
3-4-5-6 giorni,i convogli dei nostri ex nemici (leggasi soprattutto americani)
erano una cosa ben diversa. Un giorno é toccato a noi Sibilla dar fondo
all'ancora, alle sei del mattino, al di fuori degli sbarramenti nell'ingresso
della rada di Augusta, per prendere il nome di tutte le navi Liberty che
sarebbero uscite per Napoli. Siamo stati lì tutto il santo giorno fino alle
20,30 prendendo il nome di tutti quei Liberty, e alla fine ne abbiamo contato
ben 96 (ripeto: novantasei). Tutte quelle navi hanno raggiunto lo stretto di
Messina in due colonne, mentre dopo tale stretto i Liberty si sono messi in
quattro colonne. Finita la conta, abbiamo preso il mare per raggiungere la
testa del convoglio. L'abbiamo raggiunta verso mezzanotte. Io sono stato
svegliato e chiamato in controplancia, salendovi dal nostro lato di babordo
(sinistro). Arrivatovi, ancora assonnato, ho visto qualcosa in fiamme per cui
ho urlato: - Sig. Comandante, a dritta c'é una nave in fiamme. E lui,
bonariamente, mi ha risposto: - si, Caria. Quel che hai visto sarebbe stata una
nave in fiamme, se non fosse stato lo Stromboli...... (il vulcano) Finisco di
rendere l'idea delle disparità delle forze in campo dicendo che la rada di
Augusta era strapiena di navi Liberty provenienti dal nord Africa (anche da
Gibilterra), ma altrettanto lo era il golfo di Napoli strapieno di tali navi,
in attesa di entrare in porto per potervi scaricare il contenuto delle loro
stive. Nelle banchine del porto di Napoli, poi, vi era accatastato ogni ben di
Dio, in attesa delle colonne ininterrotte dei loro camion per portare tutto
nelle retrovie della 5^ Armata.
DIVAGAZIONI
A MARGINE - Inizio le mie divagazioni facendo cenno del marò inglese di
carriera accennato, per dire che con quel ragazzo ce la siamo spassata. Gliene
abbiamo dette e combinate di tutti i colori. Lui, un buon incassatore,
accettava tutto, ma anche lui, nel suo italiano stentato, era
"graffiante" all'occorenza. Le nostre battute non riguardavano
affatto la guerra vinta e persa, la Marina Inglese o la Marina Italiana, ma
erano espressioni dettate dalla esuberanza giovanile, compresi gli
"alzabandiera" della sveglia mattutina. Era oltremodo contento di
essere imbarcato da noi, poichè, lo diceva lui, da noi aveva trovato
fratellanza e vicinanza umana, cosa che negli imbarchi che aveva fatto nella
loro Marina non li aveva mai notati. Quando é sbarcato, alla fine della guerra,
quasi-quasi gli dispiaceva. Sbarcando, ha abbracciato tutti quelli che ha
trovato nel suo percorso da prora a poppa. Detto questo, passo a dire che la
vita di Napoli ha avuto un impulso notevolissimo, grazie all'intrallazzo (detto
anche contrabbando) e all'industria più vecchia del mondo. Il contrabbando lo
hanno esercitato TUTTI, anche noi marinai, ma anche il nostro Comandante.
Compravamo sigarette, sale e formaggio ad Augusta e vendevamo tutto a Napoli.
Generalemente, davamo fondo all'ancora in rada, nel borgo marinaro-di fronte a
Piazza Vittoria. Ad attenderci un mugolo di barche che "compravano" e
pagavano a pronta cassa, fidandosi del peso dichiarato da noi, sicuri della
nostra onestà. Un giorno, c'é stato un furbo napoletano che, dopo aver preso la
merce, con quatro colpi di remi se la stava squagliando senza pagare. Il
marinaio "gabbato" era il mitragliere veneziano citato nel mio
Racconto dell'arrivo dei Savoia a Brindisi. Egli cosa fa? Va su, inforca la sua
mitragliera e gli scarica tutto il caricatore dei traccianti bianchi, rossi,
verdi, ecc. facendoglieli fischiare nelle orecchie, costringendolo a tornare
indietro e a pagare. Gli ha detto: - ti ti son napoletan, mi son venessian, e
un napoletan non fregherà mai un venessian. Dopo gli spari, é salito in coperta
il Comandante per chiedere cosa erano quegli spari. Gli ha risposto lo stesso
veneziano: - Sior Comandante, go taccao la mitragliera, non ghe s'era la sicura
ed é partio tutto il caricatore... Qualcuno di bordo aveva racimolato il
milioncino, tutti gli altri il mezzo milioncino (o quasi) che ci permetteva di
divertirci. Dell'industria più vecchia del mondo ne ha parlato diffusamente
Curzio Malaparte nel suo libro "La Pelle". Una quindicina di episodi
narrati da lui, io ne ho avuto conoscenza diretta e qualcun'altra per sentito
dire, come quella del soldato negro americano che aveva portato in dono un
carro armato alla sua bella napoletana. La famiglia di costei, contenta del
dono ricevuto, ha smontato pezzo per pezzo il carro armato e ha venduto tutto
ai ferri vecchi ricavandone una bella sommetta. Ho assistito adf altri episodi
che Malaparte non poteva vedere nè sapere.... Giornalmente, passavo in Via
Chiatamone ove c'era la caserma dei marocchini. Immancabilmente, c'era sempre
una fila di mamme che portavano per mano i loro bambini. Leggendo Malaparte, ho
saputo il perchè di quella fila...... Per quel libro, Malaparte si é attirato
le ire dei napoletani, per aver narrato tutte le loro sozzerie al riguardo
dell'industria più vecchia del mondo. Perciò, guai se fosse passato per Napoli
perchè, come minimo,l'avrebbero linciato. Raggiungeva la sua villa a Capri con
l'elicottero. Mi sfuggiva di dire che con il contrabbando, l'industria
accennata e i tanti modi di arrangiarsi, più o meno leciti, i napoletani
avevano "acquisito" il benessere della sapravvivenza e il capitone
natalizio. Tuttavia, erano rimaste sacche di estrema indigenza e di fame. Un
giorno sono passato nell'angiporto della Galleria Umberto, e, uscendo, ho
trovato a terra un ragqazzo che si contorceva in convulsioni. Sono saltato
subito su Via S.Carlo per chiedere aiuto. Meno male che é passata una
camionetta americana con la croce rossa che ho bloccato sbarrandole la strada.
Ai due occupanti, occhialuti, ho fatto cenno di seguirmi indicando loro quel
ragazzo. Erano due Ufficiali medici. Uno di loro, in italiano stentato mi ha
detto: - ragazzo morendo di fame. E se lo sono portato via a sirena spiegata.
Quasi la metà del personale dell'equipaggio era settentrionale, perciò il loro
moralismo feroce contro i meridionali era di prammatica. Tuttavia, saliti su a
Piombino, Porto Ferraio e Livorno non c'era affatto tutto quel
"bordello" di Napoli. Liberata Genova, vi siamo arrivati subito e...
cosa troviamo e vediamo? Le "segnorine" genovesi sedute in grembo
delle sentinelle indiane dentro le loro garitte sistemate nel porto. Si può
immaginare la rivalsa moralistica feroce dei meridionali verso i colleghi del settentrione.
Finisco queste divagazioni, che mi hanno permesso di "illustrare"
l'Italia di quei tempi, facendo cenno ad un fatto raccontatomi dal proprietario
del Ristorante Savoia di Piombino, ove andavo sempre a cena. L'ala della
5^Armata americana, nel litorale tirrenico, era formata da soldati della
Francia Libera, tutti nordafricani. Il loro Comando (francese), per vendicare
la "pugnalata alla schiena" decantata dai francesi, aveva dato loro
carta bianca, e cioè di penetrare nelle case, armi alla mano, e di prelevare le
ragazze per violentarle. Se i famigliari si opponevano, cosa sempre accaduta,
sparavano e... ci é scappato anche qualche morto. Un caso era accaduto a
Piombino, un altro a Cecina ed un altro ancora in un paese che non ricordo.
Persa la guerra e liberata
l'Italia dall'occupazione tedesca, é rimasto il problema dei ricongiungimenti
famigliari degli italiani del centro-nord, rimasti bloccati al sud e i
meridionali rimasti bloccati al nord a seguito dell'armistizio dell' 8 settembre
'43. I tedeschi man mano che indietreggiavano verso nord, sotto l'incalzare
delle offensive alleate, facevano saltare i binari delle ferrovie con cariche
esplosive sistemandole a venti metri una dall'altra, cosi le tratte
Roma-Livorno-Genova, come la tratta Roma-Firenze-Bologna non erano percorribili
da alcun treno. Non so se nella tratta Roma-Ancona-Venezia sia successa la
stessa cosa. Io ho visto questo "scempio" nella tratta
Roma-Livorno-Genova e la Roma-Firenze-Bologna. Il problema dei ricongiungimenti
famigliari é stato demandato alla Regia Marina, con le sue navi del naviglio
sottile, e tra queste c'era anche la Corvetta Sibilla. Gli interessati
affluivano dall'estremo sud e dalla Sicilia, alla Prefettura di Napoli che, di
concerto con l'Ammiragliato di Napoli, organizzava gli scaglioni di persone
dirette all'Italia centrale e quelli diretti in Liguria, Piemonte e Lombardia,
verso Livorno, La Spezia e Genova. Per i meridionali bloccati a nord, il
compito era demandato alle Prefetture di Genova, La Spezia e Livorno che, di
concerto con l'Ammiragliato di La Spezia, venivano organizzate le partenze
degli stessi verso sud. Le partenze delle navi avvenivano alla spicciolata,
cioè in solitario, per non creare problemi e ingorghi nei porti di Livorno, La
Spezia e Genova. Noi Sibilla portavamo 35 persone alla volta (uomini, donne e
bambini-con pochi bagagli). I più contenti erano i bambini che assaporavano
l'ebbrezza del mare, il vedere cannoni e mitragliere e noi marinai al lavoro,
molto cortesi con loro. Nel Sibilla, come del resto nelle altre navi, si era
creato un vuoto per la concessione di tre mesi di licenza ai militari del
settentrione imbarcati, dato che erano due-tre anni che non fruivano di
licenze. E cosi, allo scrivente é toccato fare tre mesi di timoniere, di
segnalatore ed altro, finchè, per un disturbo-settembre '45, é stato ricoverato
in ospedale e sbarcato al Deposito della Regia Marina di Napoli. Lì é stato
destinato al Servizio di Rappresentanza (a far niente - ha fatto solo due
servizi di rappresentanza e tre missioni all'estero) e, infine, incastrato di
servizio alla Segreteria Comando. Nel Giugno '46, e' stato fatto reimbarcare a
viva forza nella Corvetta Sibilla, destinata al dragaggio delle mine
(considerato a tutti gli effetti operazioni di guerra), insieme ad altre undici
Corvette, a partire dal litorale di Fiumicino fino Piombino (tutto minato). E'
stato un lavoro massacrante, SOPRATTUTTO PER GLI STEREOTELEMETRISTI (i quali,
per il diuturno superlavoro, sono crollati uno dopo l'altro, come birilli),
prima con i divergenti e dopo con la sciabica. Per tale lavoro, lo scrivente é
crollato e sbarcato (febbraio 1948) con destinazione Maridist Napoli (leggasi
Distaccamento Marina Militare). Infine, (novembre '48)si é ammalato di brutto,
perciò riformato perchè non più idoneo al servizio militare marittimo e,
quindi, congedato (col grado di 2°Capo) e a casa (giugno '50). Pertanto,
spiacente, ha dovuto dire ADDIO ALLE ARMI e alla carriera. Tuttavia, nonostante
TUTTO, é ancora qui, la pelle c'é ancora.......”
Bsera Lorenzo. Il gruppo antisom di rgostoli (CC compl. Gerolamo Delfino) er il 10°, non l'11°. Vi è un errore nel libro dell'USMM sugli esploratori, avvisi e corvette. GP
RispondiEliminaGrazie per la segnalazione, provvedo a correggere.
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