La Romolo (g.c. Aldo Cavallini via www.naviearmatori.net) |
Motonave mista da 9780 tsl, 6015 tsn e 11.073 (o 11.252) tpl, appartenente alla Società Anonima di Navigazione Lloyd Triestino (con sede a Trieste), iscritta con matricola 1746 al Compartimento Marittimo di Genova.
Lunga 154,5 metri
fuori tutto e 147,75 tra le perpendicolari, larga 18,9 metri e pescante 9,4-10,66,
poteva trasportare 70 passeggeri in prima classe e 330 in terza. Velocità
massima 19 nodi.
Breve e parziale cronologia.
30 giugno 1925
Impostata nel
cantiere San Marco dello Stabilimento Tecnico Triestino (numero di cantiere
748).
29 maggio 1926
Varata nel cantiere
San Marco dello Stabilimento Tecnico Triestino.
21 novembre 1926
Completata per il
Lloyd Triestino e posta in servizio sulla linea per l’Estremo Oriente (da Trieste e Venezia, via Bombay), insieme alla
gemella Remo ed alle più piccole Esquilino e Viminale.
Cartolina della Romolo di Paolo Klodic (g.c. Dante Flore
via www.naviearmatori.net)
|
Durante il servizio
su questa linea, oltre ai normali passeggeri, la Romolo si troverà spesso a trasportare anche personale e materiali
per il presidio militare italiano in Cina.
1930 (o 1931)
Noleggiata dalla
Navigazione Generale Italiana (con sede a Genova) ed impiegata sulla rotta per
l’Australia.
La Romolo con i colori della società Italia (g.c. Mauro Millefiorini
via www.naviearmatori.net)
|
1° gennaio 1932
Trasferita alla
neocostituita compagnia Italia Flotte Riunite ed impiegata insieme alla similare
Esquilino sulla rotta
Genova-Napoli-Messina-Port
Said-Aden-Colombo-Fremantle-Adelaide-Melbourne-Sydney-Brisbane.
La nave a Brisbane il 27
maggio 1933 (g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net)
|
Maggio 1935
Trasporta 1500 operai
da Genova in Africa Orientale, dove sta per scoppiare la guerra d’Etiopia.
8 luglio 1936
La comunità italiana
di Brisbane viene invitata ad una cena, a bordo della Romolo ormeggiata in porto, per festeggiare la vittoria nella
guerra d’Etiopia. Durante i festeggiamenti il console generale d’Italia Paolo
Vita-Finzi consegna a monsignor James Duhig, arcivescovo di Brisbane, il
diploma di commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia, in riconoscimento
del sostegno dato agli italiani emigrati nel Queensland; presenziano alla
cerimonia oltre 150 rappresentanti della locale comunità italiana.
1° gennaio 1937
Nuovamente trasferita
al Lloyd Triestino, rimane in servizio sulla rotta tra Genova e l’Australia.
La Romolo nella seconda metà degli anni Trenta (g.c. Mauro
Millefiorini via www.naviearmatori.net)
|
Maggio 1938
Il comandante della Romolo, capitano G. Avellino, muore
improvvisamente a bordo della nave ormeggiata nel porto di Sydney. Per
sostituirlo viene inviato dall’Italia il capitano E. Gavino, che comanderà la Romolo sino alla fine.
La nave vista da poppa (g.c.
Carlo Di Nitto)
|
26 agosto-11 settembre 1939
La Romolo, salpata da Brisbane alle 5.30
del 26 agosto alla volta di Sydney (con a bordo otto passeggeri: tre italiani,
tre greci, uno studente australiano ed un prete), dove dovrebbe giungere il 28,
“sparisce” per due settimane nell’imminenza, ed a seguito, dello scoppio della
seconda guerra mondiale, e dell’incertezza sulla posizione che l’Italia dovrà
assumere. Il 3 settembre il cacciatorpediniere australiano Vampire viene fatto partire da Fremantle ed inviato in
pattugliamento al largo di Cape Otway per intercettare la Romolo, che si trova nella zona e mantiene il silenzio radio per
disposizioni superiori, per essere pronto a catturarla nel caso in cui l’Italia
dovesse anch’essa scendere in campo a fianco della Germania. La Romolo riesce ad eludere ogni ricerca
per due settimane, ma l’11 settembre, stabilito che l’Italia resterà (per il
momento) neutrale, raggiunge essa stessa Fremantle su disposizione della
compagnia armatrice.
Un’altra immagine della Romolo (da www.shipspotting.com, utente Gordy) |
Autoaffondamento
La Romolo, al pari della gemella Remo, fu anch’essa una delle duecento e
più vittime mietute tra la flotta mercantile italiana dalla dichiarazione di
guerra dell’Italia: navi mercantili sorprese dallo scoppio della guerra al di
fuori del Mediterraneo, condannate ad essere catturate, internate, affondate od
autoaffondate.
Mentre la Remo fu sorpresa dalla dichiarazione di
guerra a Fremantle, in Australia, e catturata seduta stante, l’equipaggio della
Romolo – dopo aver sperato sino alla
fine che l’Italia non entrasse in guerra – poté almeno impedire che la propria
nave cadesse in mano nemica.
La motonave, al
comando del capitano E. Gavino, era giunta a Brisbane, proveniente da Sydney,
il 30 maggio 1940, undici giorni prima della dichiarazione di guerra. Il Lloyd
Triestino comunicò ai propri uffici di Sydney che la Romolo sarebbe dovuta ripartire da Brisbane non più tardi del 31
maggio, ma le autorità australiane intercettarono il messaggio (così come altri
messaggi, genericamente diretti a tutti i mercantili italiani, affinché
accelerassero il loro rientro in Mediterraneo) e ritardarono in ogni modo la
partenza, all’apposito scopo di tenerla in porto, per catturarla subito in caso
di entrata in guerra. Le fu vietato di caricare carburante in più, venne
trasferita in un molo dove un eventuale tentativo di autoaffondamento sarebbe
stato infruttuoso, e le autorità doganali ritardarono il più a lungo possibile
la sua partenza.
Nel frattempo, già il
31 maggio, l’incrociatore ausiliario australiano Manoora (capitano di fregata Arthur Henry Spurgeon), che si trovava
ad Hervey Bay, ricevette ordine di seguire la Romolo, dopo la sua partenza da Brisbane, per catturarla qualora
l’Italia fosse entrata in guerra. (Già settimane prima, il 17 maggio,
l’incrociatore leggero HMAS Perth
aveva ricevuto analogo ordine, pedinando la Romolo
al largo del Queensland).
L’incrociatore
ausiliario assunse quindi rotta verso sud e si mise in attesa al largo di
Moreton Bay.
Il 5 giugno, non risultando
la situazione dell’Italia più chiara di prima, e non essendo possibile
rimandare la partenza all’infinito, le autorità locali dovettero consentire
alla Romolo di partire. Al tramonto
di quel giorno, infatti, la motonave salpò finalmente da Brisbane per Surabaya
(o Makassar) e Genova. Durante l’attraversamento del canale che conduceva fuori
dal porto, la nave venne sorvegliata da 18 marinai britannici, armati e con le
baionette inastate.
A bordo della Romolo vi erano 18 passeggeri, di cui 6
in prima classe – la famiglia Diacosa – e 12 in terza (tra cui due criminali
italiani, Vincenzo Silvestro e Giovanni Costa, condannati per reati commessi in
Australia ed a bordo per essere rimpatriati forzosamente), tutti italiani ad
eccezione della signora Aida S. Senac, francese, diretta a Nizza; 116 membri
dell’equipaggio ed un carico che includeva 19.000 balle di lana – 14.000
caricate nei porti dell’Australia meridionale e 5000 imbarcate a Brisbane – e
500 tonnellate di farina, pure caricate nel sud dell’Australia.
Durante la seconda notte di pedinamento, e precisamente alle 21 del 6 giugno, la Romolo spense tutte le luci e virò verso sudest per aggirare il Manoora ed entrare nel Pacifico attraverso un varco della Grande barriera corallina, nel tentativo di raggiungere un porto neutrale. La nave australiana, colta di sorpresa, si portò dapprima nel punto in cui le luci della Romolo erano scomparse e la cercò invano per un’ora, poi Spurgeon capì che la nave italiana aveva tentato la fuga; considerando che, se avesse costeggiato la Grande barriera corallina, sarebbe stata avvistata dagli aerei (della cui cooperazione nelle ricerche era stato preventivamente informato), decise di dirigere invece verso il mare aperto (accostando verso est a tutta forza), ed infatti, all’alba del 7 giugno, avvistò la nave italiana tre miglia a poppavia, riprendendo quindi a seguirla. La Romolo cambiò rotta, ma il Manoora continuò a seguirla. Da parte australiana non si voleva far capire al comandante italiano che era in corso un tallonamento, ma questo era ormai piuttosto evidente: di conseguenza, l’equipaggio della Romolo aveva abbattuto fuori bordo le gru per essere pronto a calare le lance in caso di autoaffondamento, non mancando di sistemare delle attrezzature radio in due delle imbarcazioni.La Romolo uscì da Moreton Bay alle 18.30, ed il Manoora prese a tallonarla a distanza, tenendosi di giorno alla massima distanza alla quale fosse possibile vedere all’orizzonte, dalla coffa, l’albero della motonave. Durante la prima notte il Manoora aveva accelerato sino a giungere in vista delle luci della Romolo (circa otto miglia di distanza), per poi lasciarsi nuovamente scadere a poppavia, a massima distanza, all’alba. La motonave, informata dell’imminente entrata in guerra, aveva abbandonato ogni scalo prestabilito ed assunto rotta verso nord a tutta forza, per cercare di raggiungere il Giappone prima che la guerra scoppiasse; il 5 giugno superò Cape Moreton, raggiungendo il mare aperto, e lo Stretto di Torres, per attraversare il quale aveva imbarcato a Brisbane un pilota: il capitano Ralph Lloyd Harry.
Il comandante Gavino
aveva intanto spiegato al pilota Harry che non avrebbe richiesto i suoi
servigi, avendo ricevuto ordine di allontanarsi dall’Australia e raggiungere un
porto neutrale, magari nell’arcipelago delle Caroline; Harry sarebbe rimasto a
bordo quale passeggero sino all’arrivo in porto, quando sarebbe stato sbarcato
e rimborsato per qualsivoglia perdita economica avesse subito con tale
diversione.
La Romolo proseguì per un po’ verso est,
poi assunse rotta nordest, sempre con l’inseguitore alle calcagna.
A mezzogiorno del 9
giugno il Manoora, dato che le
intenzioni dell’Italia erano ancora incerte, e non si poteva protrarre
l’inseguimento all’infinito, ricevette ordine di prelevare il pilota Harry dalla
Romolo (che fu trasferito sul Manoora con una motolancia),
interrompere il pedinamento e raggiungere invece Brisbane, lasciando proseguire
da sola la nave italiana.
Le due navi si
separarono quindi 300 miglia a sud di Guadalcanal, non mancando di augurarsi un
reciproco ed improbabile “buon viaggio” a mezzo di bandiere da segnalazione.
L’ordine impartito al
Manoora fu però revocato la sera
stessa, quando l’ingresso dell’Italia nel conflitto divenne pressoché certo;
poi giunse la dichiarazione di guerra dell’Italia (in Australia, dato il fuso
orario, erano le 9 dell’11 giugno), ma nel frattempo la Romolo aveva fatto in tempo ad allontanarsi (la sera del 9 giugno
era nel Mare degli Arafura, a 160 miglia di distanza), deviando dalla rotta
prestabilita verso Thursday Island, e far perdere le proprie tracce. L’idea era
di raggiungere il Giappone; per due giorni proseguì su rotta nordest, nella
speranza di farla franca e raggiungere la propria destinazione, dove sarebbe
stata internata.
Sul Manoora, intanto, Spurgeon aveva saputo
dal pilota Harry che la Romolo era
diretta a Yokohama, aveva una velocità massima di circa 12,5 nodi, disponeva
solo di una carta a grande scala (dunque poco dettagliata) dell’Oceano Pacifico
e per giunta l’impressione a bordo era che l’Italia non sarebbe entrata in
guerra prima di un altro mese. Spurgeon ipotizzò che la nave avrebbe fatto
scalo a Truk prima di raggiungere Yokohama, e che si sarebbe tenuta al centro
del canale tra le Salomone e l’isola di Santa Cruz; quindi fece portare alla
massima velocità, raggiunse le Salomone ed iniziò una ricerca al largo di
Malaita.
Durante i due giorni tra
il 10 ed il 12 giugno, l’equipaggio della Romolo
tentò anche di camuffare la nave; lo scafo bianco venne ridipinto di grigio
scuro, con l’unica eccezione dell’estrema prua e dell’estrema poppa vicino alla
linea di galleggiamento, due fasce che non era possibile verniciare in mare
aperto.
Il Manoora si pose di nuovo alla sua
ricerca, ipotizzando una probabile rotta che avrebbe seguito (il comandante
Spurgeon riteneva che la Romolo
avrebbe probabilmente diretto per gli arcipelaghi delle Marianne o delle
Marshall) ed istituendo servizi di vedetta che tenessero d’occhio ogni angolo
dell’orizzonte; il mattino del 12 giugno tentò anche d’impiegare
l’idroricognitore imbarcato, ma il tentativo – mancando una catapulta, l’aereo
dovette essere calato in mare per farlo decollare – dovette essere abbandonato
a causa del maltempo: il Manoora
versò anche dell’olio in mare per far calmare le onde, ma il mare mosso
vanificò tre tentativi di decollo (alla fine uno dei galleggianti dell’aereo
cedette) e l’unico risultato fu di aver perso un’ora, dalle 6.30 alle 7.30.
Anche l’aviazione
prese parte alle ricerche: nelle prime ore del 10 giugno un idrovolante da
ricognizione Short S. 23 “Empire” dell’11th Squadron della Royal
Australian Air Force, pilotato dal capitano E. C. Sims, decollò da Tulagi,
mentre un Curtis SOC “Seagull” decollò da Rabaul ma dovette tornare indietro a
causa del maltempo. La ricerca dell’Empire, la cui autonomia era limitata dal
danneggiamento di un serbatoio (che impediva all’aereo di volare per più di
cinque ore e mezza) e dalla mancanza di basi per il rifornimento, e che era
ulteriormente complicata dal maltempo e da errate interpretazioni, da parte dei
comandi di Port Moresby, degli ordini giunti da Melbourne (l’aereo avrebbe
dovuto esplorare un quadrante di 90 miglia per 150 ad est di San Cristobal, ma
il comando di Port Moresby gli fece esplorare anche l’aerea tra Rennell Island
e San Cristobal, durante l’avvicinamento alla zona prestabilita, così impedendo
di ispezionare completamente quest’ultima), non produsse risultati. La Romolo, alle 15 del 10 giugno, si trovò
davvero a passare al centro della zona che l’Empire avrebbe dovuto esplorare (una
sessantina di miglia ad est di San Cristobal; il Manoora distava allora soltanto una cinquantina di miglia, ad ovest
della nave italiana, su una rotta verso nord e leggermente divergente), ma
l’aereo non si trovava lì a causa degli ordini male interpretati.
A causa dei disguidi
e ritardi nelle comunicazioni (l’inoltre dei messaggi giunse a richiedere più
di cinque ore), i comandi di Melbourne appresero solo alle 22.15 del 10 giugno
che l’Empire aveva svolto solo una ricerca incompleta.
L’11 giugno
l’idroricognitore decollò nuovamente per cercare in un’aerea di 50 per 160
miglia ad est di Malaita, ma dovette rinunciare a causa dei venti contrari;
dato che delle stazioni radio in Australia e Nuova Zelanda avevano intercettato
e radiogoniometrato dei messaggi radio della Romolo, che ne facevano pensare che si potesse trovare
nell’Indispensable Strait (tra Malaita e Guadalcanal) o a nord di esso, l’aereo
venne inviato ad effettuare ricerche in tale area, ma i comandi di Melbourne,
non appena lo vennero a sapere (ritenevano tale posizione radiogoniometrata non
attendibile, ma il comando di Port Moresby pensava invece che fosse corretta
perché gli era stata inoltrata), ordinarono di interrompere la missione.
L’Empire dovette così tornare a Tulagi, rifornirsi e poi andare ad esplorare
un’aerea a nordest di Malaita (a nord ed est di Tulagi), come ordinato, ma
avvistò soltanto il Manoora, col
quale scambiò dei messaggi, riferendogli che nessuna nave nemica era stata
avvistata in un raggio di 160 miglia, per 70 gradi, da dove l’incrociatore
ausiliario si trovava.
Quando ebbe esaurito
le modeste riserve di benzina avio disponibili a Tulagi, l’aereo di Sims
dovette mescolare benzina per autoveicoli con il residuo carburante per aerei
rimasto e trasferirsi a Gizo, a ponente di Kolombangara. Il 12 giugno un
Seagull dell’11th Squadron, pilotato dal tenente Hampshire, compì
un’altra ricerca tra l’isola di Woodlark e lo stretto di Buka, ma di nuovo
senza successo: entro quel momento, infatti, la nave italiana era al di fuori
del raggio operativo di velivoli di base a terra.
Anche le navi
mercantili britanniche in navigazione nelle Salomone ricevettero, nella prima
mattina dell’11 giugno, l’ordine di tenere gli occhi aperti, e rompere il
silenzio radio qualora avessero avvistato la Romolo.
Fu proprio una di
queste navi a fare il primo avvistamento: alle 14 dell’11 giugno il piroscafo Trienza, della British Phospate
Commission, comunicò di aver avvistato una nave somigliante alla Romolo, e apparentemente intenta a
cambiare la propria colorazione, a sudest di San Cristobal, al centro dell’area
assegnata all’Empire per l’esplorazione da compiere il giorno precedente.
L’avvistamento risaliva infatti alle 11 del mattino del 10 giugno, e la Romolo era apparsa metà bianca e metà
grigia, “come un merlo camuffato”. La sera dell’11, questa informazione venne
comunicata dai comandi di Melbourne anche al Manoora.
Alla fine fu sempre
il Manoora a ritrovare la propria
preda: il mattino del 12 giugno, dopo il tentativo fallito di usare
l’idrovolante imbarcato, Spurgeon ordinò una rotta verso nord per recuperare il
tempo perso, intendendo riprendere la ricerca alle 11.30; ma alle 11.20 la
vedetta sulla coffa di maestra della nave australiana avvistò un scafo a prora
dritta, quindi l’unità virò in quella direzione e presto avvistò prima due
alberi e poi il resto della nave, ben lungi da ogni rotta commerciale. La Romolo era stata raggiunta al largo
delle Isole Salomone.
L’incrociatore
ausiliario si avvicinò alla nave italiana con l’intenzione di catturarla, ma questa
tentò di scappare, inseguita dall’incrociatore ausiliario; Spurgeon ordinò con
la lampada da segnalazione, e poi con la radio, di fermare le macchine ed
arrendersi, minacciando in caso contrario di aprire il fuoco ed abbandonare i
naufraghi in mare (“Stop instantly or I will fire. Do not attempt to sink ship.
Do not abandon ship because I will not pick you up.”). La Romolo accusò ricevuta e rispose “O. K.”, ma poi proseguì per la
sua rotta.
Il segnale del Manoora: “Fermatevi immediatamente o
apriremo il fuoco” (Australian War Memorial)
|
Di nuovo l’incontro
fatale fu rimandato, sebbene di poco, da un improvviso acquazzone, che nascose
la Romolo alla vista, dalle 12.30
alle 12.45.
Quando lo scroscio fu
cessato e la nave tornò visibile, Spurgeon vide con costernazione che la sua
preda era in fiamme.
L’incendio
della Romolo in una serie di foto
scattate dal Manoora (Australian War Memorial):
Nonostante le minacce,
l’equipaggio della Romolo aveva
preferito incendiare la propria nave piuttosto che farla cadere in mano nemica:
poco dopo gli ordini impartiti dal Manoora,
la motonave aveva issato la bandiera italiana sull’albero di maestra, e quasi
contemporaneamente le fiamme avevano iniziato ad erompere da centro nave.
Dopo aver appiccato
il fuoco, ed aver atteso che esso fosse rapidamente dilagato per le
sovrastrutture, l’equipaggio abbandonò disciplinatamente la nave sulle sei
lance (sulle quali aveva già fatto prima scendere i passeggeri), i cui
occupanti vennero recuperati dal Manoora
stesso. La signora Senac, unica passeggera non italiana, raccontò poi ai
giornalisti australiani che verso mezzogiorno del 12 giugno un inserviente si
precipitò nella sua cabina e le disse di indossare un giubbotto di salvataggio;
senza aver tempo per prelevare i suoi oggetti di valore, venne imbarcata su una
scialuppa che fu poi calata in mare. Le fu poi detto che in quel momento erano
già state appiccate le fiamme in sala macchine.
Analoga situazione fu
descritta da un’altra passeggera, Liliana Giacosa, nel suo diario: il capo
steward sopraggiunse e disse loro di prendere con sé tutto quello che potevano
e salire sulle lance con indosso i giubbotti salvagente, mantenendo la calma
“per la gloria dell’Italia”.
Il comandante Gavino,
profondamente addolorato dalla fine della sua nave, rimase in plancia fino a
quando l’ultima persona a bordo non ebbe preso posto sulle imbarcazioni, poi
abbandonò per ultimo la nave. La sua lancia fu l’ultima a giungere sottobordo
al Manoora.
Quando la nave
australiana giunse vicina alla Romolo,
alle 13.15, la motonave stava bruciando furiosamente, ed era visibilmente
sbandata a sinistra. Spurgeon aveva già assistito, anni prima, ad un incendio del
genere: per coincidenza si era trattato di un’altra nave italiana, la turbonave
Ausonia, bruciata nel porto di
Alessandria d’Egitto nel 1935. In base a tale esperienza, il comandante
australiano decise di non mandare i suoi uomini sulla Romolo nel tentativo di domare gli incendi, essendo troppo
pericoloso.
Le lance con i naufraghi
della Romolo si dirigono verso il Manoora (Australian War Memorial)
Il comandante Gavino (a
sinistra) ed un altro naufrago salgono sul Manoora
(Australian War Memorial)
|
I naufraghi a bordo del Manoora (Australian War Memorial)
|
Nel pomeriggio
(intorno alle 16.30), completato il salvataggio dell’equipaggio e dei
passeggeri, senza un graffio (vennero anche issate a bordo quattro delle lance,
mentre le altre due furono distrutte), il Manoora
accelerò l’affondamento della motonave con sette colpi dei suoi cannoni da 152
mm: i primi sparati da una nave australiana durante la seconda guerra mondiale.
Ciononostante – e benché il suo stesso equipaggio, oltre ad appiccare il fuoco,
avesse aperto le valvole kingston per autoaffondarla – la sua agonia si
protrasse a lungo: solo molto dopo il tramonto la nave iniziò lentamente ad
affondare di poppa, con un’improvvisa sbandata sulla dritta; si arrestò per un
momento, poi le sue paratie diedero un ultimo gemito e la motonave scivolò
sotto la superficie con un ultimo ruggito, lasciando soltanto una chiazza
d’olio, fusti di carburante e rottami in fiamme.
La Romolo s’inabissò alle 19.15 (ora
locale) in posizione 02°30’ S e 165°30’ E (per il Manoora, invece, 02°20’ S e 163°45’ E), circa 220 miglia a sudovest
di Nauru. Tutti gli averi dei passeggeri la seguirono in fondo al mare: alcuni,
come Liliana Giacosa, ne furono soddisfatti, perché almeno non erano finiti in
mano nemica.
Appurato che in superficie
non restava nulla di dimensioni tali da costituire un pericolo per la
navigazione, il Manoora lasciò la zona per tornare in Australia.
Sopra, la Romolo consumata dalle fiamme ed in
procinto di affondare, e sotto, cannoneggiata dal Manoora (Australian War Memorial)
Gli uomini del Manoora offrirono a passeggeri ed
equipaggio della Romolo del tè; il
commissario di bordo assegnò una cabina ad ognuna delle poche donne presenti
(tre dell’equipaggio e cinque passeggere) e accomodò gli altri in altre cabine
e nelle sale. Una parte delle cucine fu assegnata ai cuochi della Romolo perché cucinassero per la loro
gente, ed i pasticcieri della nave italiana insegnarono l’arte della cottura al
forno al panettiere del Manoora.
Il comandante Gavino
spiegò che la sua intenzione era stata di raggiungere Yokohama via Ponape, e di
aver impiegato tutto l’equipaggio per verniciare la nave di grigio; spiegò che
era stato impossibilitato a raggiungere il Sudamerica, perché le autorità
australiane gli avevano impedito di imbarcare del carburante in più.
I naufraghi furono
sbarcati dal Manoora a Townsville, il
mattino del 17 giugno; secondo i giornali australiani, il comandante Gavino,
nel prendere commiato dal comandante Spurgeon, gli fece dono del proprio
cronometro, in segno di ringraziamento per il cortese ed onorevole trattamento
riservato a lui ed ai suoi ufficiali.
A Townsville, i
marittimi vennero inizialmente rinchiusi nella locale Stuart Prison: entrarono
in carcere con indosso le loro uniformi, in fila per quattro, e persino con
l’orchestra di bordo che suonava, secondo un racconto. Dato il sovraffollamento
nell’ala “B” del carcere, dov’erano stati rinchiusi, le porte delle celle
furono lasciate aperte.
Si trattava di una
sistemazione provvisoria; dopo cinque giorni gli uomini della Romolo furono caricati su un treno
sorvegliato e mandati nel campo d’internamento di Hay, nel Nuovo Galles del Sud
(alcuni furono invece internati inizialmente nel campo di Gaythorne, prima di
essere trasferiti ad Hay nel novembre 1940). Da qui, il 12 giugno 1941 – a
esattamente un anno dall’autoaffondamento – comandante ed equipaggio della
motonave vennero trasferiti nel campo di Loveday, nell’Australia Meridionale
(si trattava anzi di due campi, il Camp 9 ed il Camp 10, a mezzo miglio di
distanza l’uno dall’altro; ciascun campo era formato da 40 costruzioni, che
potevano alloggiare 1000 tra internati e prigionieri, circondati da filo
spinato). Essendo internati civili, non potevano essere costretti a lavorare, a
differenza dei prigionieri di guerra; comunque le autorità australiane
stabilirono, dal 21 luglio 1941, una paga giornaliera di uno scellino per chi
si fosse prestato volontariamente a lavorare, principalmente come taglialegna o
nelle fattorie della zona. Alcuni furono poi trasferiti nei campi di Leongatha,
Myrtleford e Wangaratta.
Le donne, al
contrario, non furono internate se non quando un’analisi dei loro trascorsi
politici ed associativi non rivelò l’esistenza di legami col fascismo; le mogli
di alcuni dei passeggeri internati si trasferirono da un luogo all’altro
dell’Australia per seguire i mariti nei trasferimenti da un campo all’altro. Le
donne dell’equipaggio trovarono lavoro nella zona di Sydney.
Alcune delle donne,
essendo iscritte ad organizzazioni fasciste, vennero internate dopo mesi, a
seguito di discussioni sulla convenienza o meno d’internarle (in base al
rischio teorico che potevano porre, ed alla possibilità di ritorsioni sulle
donne australiane residenti in Italia); Liliana Giacosa, la sorella Rosemary e
la madre Rosina, per esempio, furono internate nel luglio 1941, a Tatura (il
marito e padre Guglielmo era invece internato ad Hay già dal giugno 1940).
Rosemary sarebbe stata rilasciata nel marzo 1943 per poter frequentare la
scuola, mentre il resto della famiglia, compreso Guglielmo, sarebbe stato
liberato solo nel novembre 1944. Elena Giovenale, infermiera dell’equipaggio,
che aveva trovato lavoro nell’ospedale Lewisham di Sydney, venne confinata
nell’ospedale stesso (dove continuò a lavorare sotto la supervisione della
madre superiora; questa scelta venne criticata perché non eliminava il
“rischio” che agisse da “quinta colonna”, ma fu probabilmente accettata per via
della necessità di manodopera del periodo) quando ammise di essere fascista e
fu scoperto il suo coinvolgimento in una corrispondenza epistolare tra il
comandante in seconda della Romolo,
Tullio Tami, ed il cecoslovacco Walter Geiringer. Quando nel luglio 1942
richiese il permesso di uscire per accompagnare altre infermiere nelle compere,
il permesso fu accordato a patto che fosse sempre accompagnata da almeno due
infermiere e non parlasse con nessuno all’infuori dei negozianti. Venne
rilasciata dopo l’armistizio, quando un cittadino tedesco naturalizzato chiese
di sposarla (il che avvenne il 27 novembre 1943), dopo di che fu a sua volta
naturalizzata.
Prigionieri della Romolo a Myrtleford, nel 1943: il secondo da sinistra (indicato dal numero “2”) è il cuoco di bordo N. Amendolia (Australian War Memorial) |
Almeno quattro membri
dell’equipaggio del Romolo morirono
durante la prigionia: il cuoco Giovanni Cabini morì il 2 febbraio 1941, il
marinaio Guglielmo Fama morì in Australia il 3 aprile 1942, il maestro di casa
Francesco Ferrari spirò il 12 novembre 1943 ed il garzone Pasquale Bottigliero si
spense l’11 gennaio 1945.
I superstiti iniziarono a tornare
in Italia nell'autunno del 1945; gli ultimi rimpatriarono soltanto nel dicembre 1946.
Mia madre racconta che mio nonno marinaio della romolo rientrò in Italia nel settembre del 1945, com'è possibile?
RispondiEliminaForse la fonte che ho usato io non era esatta. Ma lei ha qualche documento che attesti la data del rimpatrio, oppure si tratta unicamente di un ricordo?
EliminaNon ha documenti, ma mi racconta che mio nonno si è sposato poco dopo essere tornato in Italia, quindi ci sono i registri parrocchiali come testimonianza, mia madre infatti è nata l'1 gennaio del 47. Ricordo che mio nonno aveva sempre gli occhi rossi quando raccontava questa storia... Come potrei sapere in quale dei tre campi lui era rinchiuso? Conserviamo ancora in famiglia un anello fatto con uno scellino fuso dei tempi di quando si trovava in prigionia in Australia e tornò a casa solo con una tuta rossa e nient'altro...
EliminaIn tal caso immagino che i prigionieri siano rientrati in più gruppi... Per quanto riguarda le informazioni sulla sua prigionia, potrebbe contattare la Croce Rossa Internazionale, che nei suoi archivi ha informazioni su prigionieri di guerra ed internati civili: https://www.icrc.org/en/document/request-information-about-individuals-detained-during-second-world-war-or-spanish-civil-war-quota
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