Torpediniera della classe
Spica, tipo Climene (640 tonnellate di dislocamento standard, 970 in carico normale, 1010 a pieno carico). Fu una
delle torpediniere più attive sulle rotte dei convogli per il Nordafrica;
svolse in tutto 153 missioni di guerra.
Breve e parziale cronologia.
11 marzo 1936
Impostazione nei Cantieri
Navali Riuniti di Ancona (numero di costruzione 156).
24 novembre 1936
Varo nei Cantieri Navali
Riuniti di Ancona.
Il varo della Cigno (Coll. Aldo Cavallini, via www.naviearmatori.net) |
15 marzo 1937
Entrata in servizio.
La nave durante le prove in mare, svolte in Adriatico nel corso del 1937 (Coll. Aldo Cavallini, via www.naviearmatori.net).
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24 marzo 1937
La Cigno, da poco in servizio, trasporta il Ministro dei Lavori
Pubblici Giuseppe Cobolli Gigli e l’ammiraglio Ferdinando di Savoia-Genova
(comandante del Dipartimento Militare Marittimo dell’Alto Adriatico) ad inaugurare
la «Riva dell’Impero», appena ultimata. La Cigno
è la prima nave ad approdarvi.
1937
Durante la guerra civile
spagnola, la Cigno partecipa, con
altre unità (incrociatori leggeri Luigi
Cadorna ed Armando Diaz,
cacciatorpediniere Freccia, Dardo, Borea, Ostro, Espero, Zeffiro, Saetta e Strale, torpediniere Climene, Centauro, Castore, Altair, Aldebaran, Andromeda, Antares) al blocco del Canale di Sicilia,
per impedire l’invio di rifornimenti alle forze repubblicane spagnole.
La Cigno nel giugno 1939, con sottobordo il MAS 515 (Coll. N. Siracusano, via M. Brescia e www.associazione-venus.it)
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7 aprile 1939
La Cigno (capitano di corvetta Marcello Pucci Boncambi) prende parte
allo sbarco e occupazione italiana dell’Albania inquadrata nel 3° Gruppo
Navale, che la Cigno forma insieme
alle gemelle Castore, Climene e Centauro, ai cacciatorpediniere Scirocco,
Grecale, Libeccio e Saetta, alle
corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour, al posamine Azio, alla cisterna militare Isonzo ed al grosso piroscafo Sannio. Il 3° Gruppo, al comando
dell’ammiraglio di squadra Arturo Riccardi (che ha il comando generale delle
operazioni navali) ed incaricato dell’occupazione di Valona, giunge dinanzi al
proprio obiettivo nelle prime ore del 7 aprile. Lo sbarco avviene con un
ritardo di circa un’ora, e le truppe italiane – sbarcano per prime le compagnie
da sbarco di marinai, seguite poi dalla fanteria – sono accolte da quelle
albanesi, asserragliate negli edifici della gendarmeria, della dogana e del
museo archeologico, con tiro di fucili e mitragliere che viene però ridotto al
silenzio dopo un cannoneggiamento di circa dieci minuti da parte delle
torpediniere. Così spezzate le resistenze nell’area portuale, il resto della
città sarà agevolmente occupato dai reparti italiani.
10 giugno 1940
All’atto dell’entrata
dell’Italia nella seconda guerra mondiale, la Cigno forma con le gemelle Castore,
Climene e Centauro la XI Squadriglia Torpediniere, di base a Tripoli ed alle
dipendenze del Comando Marina Libia. La Cigno
è caposquadriglia della XI Squadriglia.
5-6 agosto 1940
La Cigno, con le gemelle Pleiadi, Cassiopea ed Aldebaran, scorta gli incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano ed Alberto Di Giussano ed i cacciatorpediniere Antonio Pigafetta e Nicolò Zeno in una missione di posa
di mine al largo di Pantelleria. Le quattro torpediniere partono da Augusta
insieme alle unità incaricate di posare le mine alle 16 del 5 agosto, ma già
alle 20.30 vengono lasciate libere e ritornano ad Augusta, dove arrivano
all’1.30 del 6 agosto.
La Cigno a Taranto nel 1939, in partenza per l’invasione dell’Albania (da “Le torpediniere italiane 1881-1964”, USMM, 1974, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net)
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Bengasi
La mattina del 15
settembre 1940, un idroricognitore Short Sunderland del 230th
Squadron RAF avvistò nel Golfo della Sirte un convoglio composto dai piroscafi Maria Eugenia e Gloria Stella diretti Bengasi (dove giunsero alle 19.30 del 16,
iniziando subito a scaricare rifornimenti) con rifornimenti per le truppe
italiane, scortati dalla torpediniera Fratelli
Cairoli. Dopo aver ricevuto notizia dell’avvistamento, il comandante della
Mediterranean Fleet, ammiraglio Andrew Browne Cunningham, ordinò che Bengasi,
come già Tobruk nel mese di luglio, venisse attaccata dagli antiquati ma
efficaci bombardieri ed aerosiluranti Fairey Swordfish. Gli attacchi su Tobruk,
il 5 ed il 20 luglio, avevano avuto una devastante efficacia: i siluri degli
Swordfish avevano affondato i cacciatorpediniere Nembo, Ostro e Zeffiro ed i piroscafi Manzoni e Sereno, e gravemente danneggiato il cacciatorpediniere Euro ed i piroscafi Liguria e Serenitas (questi
ultimi due non furono mai riparati, a causa dei successivi eventi bellici in
quel teatro); per questo le poche unità di valore rimaste indenni erano state
trasferite, a fine agosto, a Bengasi.
Alle 21.30 del 16
settembre i primi Swordfish, su un totale di quindici, cominciarono a levarsi
in volo dal ponte della portaerei Illustrious,
salpata da Alessandria assieme alla corazzata Valiant, agli incrociatori leggeri Orion, Kent, Liverpool e Gloucester ed a 9 cacciatorpediniere (Hereward, Hyperion, Hasty, Hero, Nubian, Mohawk, Waterhen, Jervis e Decoy). La formazione, suddivisa in tre
gruppi (Forza A, incaricata dell’attacco, con Illustrious ed Orion e 4
cacciatorpediniere, Forza B di scorta alla Forza A e composta dalla Valiant con 3 cacciatorpediniere, Forza
C di sostegno con le altre unità 20-25 miglia più a sud del resto della
formazione), era giunta alle 21 cento miglia a nordest di Bengasi, come
previsto.
Solitamente lo Swordfish
era utilizzato come aerosilurante, ma nessuno dei 15 lanciati contro Bengasi
aveva a bordo un siluro: nove di essi, appartenenti all’815th
Squadron della Fleet Air Arm (capitano di fregata R. A. Kilroy) ed a loro Volta suddivisi in due gruppi,
trasportavano bombe dirompenti da 227 e 114 kg ed incendiarie da 45 kg con le quali avrebbero
dovuto bombardare le navi presenti nel porto, mentre gli altri sei, dell’819th
Squadron, avevano il compito di posare ciascuno una mina magnetica Mk I da 680 kg all’imboccatura del
porto. Le condizioni erano favorevoli, con buona visibilità fino a 6-7 km , mare calmo e vento
debole da nordest.
La sera del 16 settembre,
la Cigno (capitano di corvetta Mariano Imperiali di Francavilla) si trovava nel porto di
Bengasi, ormeggiata di punta al Molo Sottoflutto unitamente al piroscafo Gloria Stella (alla sua sinistra), al
cacciatorpediniere Borea (alla sua
dritta) ed alla motonave Città di Livorno
(a dritta del Borea): tutte e quattro
le navi erano ormeggiate di punta ed affiancate.
In tutto erano 32 le navi
di tutte le dimensioni presenti in porto, 17 mercantili e 15 militari (comprese
quelle d’uso locale), che saturavano pressoché tutti i posti d’ormeggio, così
offrendo grandi probabilità di successo ad aerei attaccanti, e grandi rischi
per le navi ormeggiate.
Alle 21.15, a seguito di
un attacco aereo sull’aeroporto di Benina (nei pressi di Bengasi), venne dato
l’allarme, al quale però non seguì il preallarme della Difesa Contraerea
Territoriale: quest’ultima non aveva potuto far partire i motopescherecci della
vigilanza foranea, e non poté così avvistare gli Swordfish che provenivano da
nordest, dal mare.
Gli aerei attaccanti
arrivarono sopra Bengasi alle 00.30 del 17 settembre, scesero da 2000 a 200 metri di quota e –
non visti – effettuarono un ampio giro sul porto per individuare i bersagli con
maggior precisione prima di attaccare.
Alle 00.57, senza che
nessuno li avesse ancora avvistati (la contraerea aprì poi il fuoco in ritardo,
senza riuscire a colpire alcun aereo; la Cigno
aprì il fuoco contro gli aerei prima ancora che fosse dato l’allarme), gli
Swordfish lanciarono l’attacco, in due ondate. La prima attaccò alle 00.57: il
primo gruppo sorvolò il porto in direzione sudovest-nordest, sorvolò la nave
ospedale California volando a soli 50 metri di quota e poi sganciò
bombe dirompenti ed incendiarie contro le navi ormeggiate al Molo Sottoflutto.
Fu in questa primissima ondata che venne danneggiata la Cigno: la torpediniera fu colpita da una bomba dirompente che
scoppiò sul lato sinistro del copertino del castello, proprio mentre gli uomini
uscivano dai due passaggi di sottocastello (sottocastello, a prua, si trovava
il principale locale equipaggio, dove in quel momento si trovavano in branda,
per dormire, decine di uomini: per uscire in coperta si passava da due portelli
situati ai lati) per raggiungere i posti di combattimento, così provocando una
carneficina. Al contempo le bombe centrarono anche il piroscafo Gloria Stella ormeggiato accanto, e le
schegge ed i pezzi di lamiera lanciati dalle esplosioni che avvennero sul
mercantile investirono la Cigno,
provocando altri danni e vittime e scatenando un violento incendio. Ci vollero
diverse ore per estinguere le fiamme, e fu necessario allagare il deposito
munizioni prodiero per evitare che le fiamme potessero raggiungerlo e far
esplodere le munizioni.
Il bilancio della Cigno fu il più pesante tra quelli delle
navi colpite a Bengasi la sera del 17 settembre: rimasero uccisi 5
sottufficiali e 19 tra sottocapi e marinai, mentre furono feriti 6
sottufficiali e 40 tra sottocapi e marinai.
Tra le vittime vi fu il
sergente specialista in direzione del tiro Aniello Della Monica, stabiese: era
l’unico marinaio a bordo a portare la barba, ed il comandante della Cigno gli aveva imposto di radersi, ma
Della Monica aveva ottenuto di aspettare finché non si fosse potuto fotografare
in franchigia. Quando si verificò l’attacco aereo, Aniello Della Monica si
precipitò verso la stazione di direzione del tiro, ma fu tra quanti rimasero
uccisi dallo scoppio della bomba sul copertino del sottocastello. Il suo corpo
fu smembrato dall’esplosione e sparpagliato lungo il ponte: poté essere
riconosciuto solo dalla barba, ancora attaccata ad un pezzo di mandibola.
Il Gloria Stella venne affondato, così come il Maria Eugenia ed il Borea,
colpiti nelle ondate successive; il giorno seguente saltarono sulle mine posate
dagli Swordfish il cacciatorpediniere Aquilone
(che affondò) e la motonave Francesco
Barbaro (che riportò gravi danni).
I morti della Cigno vennero sepolti nel cimitero
italiano di Bengasi, da dove furono rimpatriati solo nel 1972.
Le vittime tra l’equipaggio della Cigno:
Nicola Amico, sottocapo cannoniere, deceduto a
bordo il 17.9.1940
Antonio Ferruccio Antonello, marinaio cannoniere,
deceduto a bordo il 17.9.1940
Giuseppe Barone, sergente cannoniere, deceduto a
bordo il 17.9.1940
Gaetano Breglia, secondo capo, deceduto a bordo il
17.9.1940
Giovanni Carnemolla, deceduto a bordo il 17.9.1940
Ettore De Laurentiis, marinaio cannoniere,
deceduto a bordo il 17.9.1940
Aniello Della Monica, sergente S. D. T., deceduto a
bordo il 17.9.1940
Salvatore Della Ragione, marinaio, deceduto a
bordo il 17.9.1940
Antonio Di Bella, sottocapo cannoniere, deceduto a
bordo il 17.9.1940
Ettore Francia, capo cannoniere di prima classe,
deceduto a bordo il 17.9.1940
Antonio Mastronardo, sottocapo furiere, deceduto a
bordo il 17.9.1940
Mario Mech, secondo capo meccanico, deceduto in
Libia per le ferite il 18.9.1940
Salvatore Millocca, marinaio infermiere, deceduto a
bordo il 17.9.1940
Antonio Napolano, capo meccanico di prima classe,
deceduto a bordo il 17.9.1940
Francesco Parigini, marinaio fuochista, deceduto a
bordo il 17.9.1940
Rodolfo Pignat, marinaio silurista, deceduto a
bordo il 17.9.1940
Erminio Raccis, marinaio meccanico, deceduto in
Cirenaica per le ferite il 17.9.1940
Giuseppe Ronca, marinaio elettricista, deceduto a
bordo il 17.9.1940
Giuseppe Stefanelli, marinaio cannoniere, deceduto
a bordo il 17.9.1940
Giuseppe Tricomi, marinaio cannoniere, deceduto il
5.10.1940
Rosario Valente, sottocapo cannoniere, deceduto a
bordo il 17.9.1940
Antonio Venturelli, marinaio cannoniere, deceduto a
bordo il 17.9.1940
Agostino Villa, sottocapo infermiere, deceduto a
bordo il 17.9.1940
1941
Tre delle quattro
mitragliere binate da 13,2/76 mm, di modesta efficacia, vengono rimosse e
sostituite con altrettante più efficaci armi da 20/65 mm, anch’esse binate,
modello Breda 1935. Vengono inoltre imbarcati due scaricabombe per 40 bombe di
profondità complessive.
1° febbraio 1941
La Cigno e la Centauro
salpano alle 17 da Bengasi, prossima alla caduta, dirette a Tripoli, per
scortarvi i piroscafi Multedo e Giovinezza e la nave cisterna Utilitas.
Durante la navigazione
nel Golfo della Sirte, il Multedo
perde il contatto col resto del convoglio e scompare, perduto per cause ignote.
Il sommergibile britannico Truant
lancia tre siluri contro il Giovinezza
e l’Utilitas, ma senza colpirli.
16 marzo 1941
La Cigno, la torpediniera Polluce
ed i cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi
e Lanzerotto Malocello salpano da
Napoli per scortare a Tripoli i piroscafi tedeschi Marburg e Reichenfels e
la motonave italiana Calitea. Tutte
le navi giungeranno a destinazione.
29 marzo 1941
La Cigno lascia Tripoli unitamente alle torpediniere Clio, Calliope e Pegaso,
scortando un convoglio di ritorno formato dai piroscafi Aquitania, Galilea
(tedesco), Caffaro e Beatrice Costa.
31 marzo 1941
Alle 7 il sommergibile
britannico Upright (tenente di
vascello Edward Dudley Norman) avvista in posizione 33°38’ N e 12°40’ E (una
sessantina di miglia a nordovest di Tripoli) il convoglio, su rilevamento 220°
e con rotta 350°. Notato che il Galilea,
che è più arretrato degli altri, sembra parzialmente carico (a differenza degli
altri tre, che appaiono scarichi), l’Upright
lo sceglie come bersaglio e, alle 7.39, gli lancia due siluri da 915 metri . Una delle armi
colpisce il Galilea, provocando seri
danni, due vittime e tre feriti; mentre il piroscafo danneggiato viene preso a
rimorchio dalla Pegaso, che lo
riporterà a Tripoli con la scorta della Calliope,
la scorta inizia alle 7.51 il contrattacco, lanciando quattro bombe di
profondità, poi seguite da altre due alle 8.06 (che scoppiano piuttosto vicine
al sommergibile, causando alcuni danni leggeri) ed un’ultima alle 9.21, dopo
che l’Upright è tornato
temporaneamente a quota periscopica alle 9.
Il resto del convoglio
prosegue con Cigno e Clio, poi raggiunte e rinforzate dalla
torpediniera Pleiadi.
8 aprile 1941
La Cigno, insieme alle torpediniere Procione ed Orione, parte
da Napoli per scortare a Tripoli i piroscafi tedeschi Arcturus, Castellon, Leverkusen e Wachtfels e l’italiano Ernesto.
10 aprile 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli dopo un viaggio tranquillo.
16 aprile 1941
Partecipa ai soccorsi ai
superstiti del convoglio «Tarigo» (piroscafo italiano Sabaudia, piroscafi tedeschi Arta,
Adana, Aegina e Iserlohn,
cacciatorpediniere Luca Tarigo, Lampo e Baleno), annientato la notte precedente dai cacciatorpediniere
britannici Jervis, Janus, Nubian e Mohawk
(quest’ultimo affondato nello scontro). In tutto saranno tratti in salvo 1248
superstiti, mentre le vittime saranno centinaia.
5 maggio 1941
La Cigno lascia Tripoli insieme ai cacciatorpediniere Fulmine ed Euro ed alle torpediniere Procione,
Orsa, Centauro e Perseo,
scortando un convoglio formato dalla motonave italiana Rialto, dai mercantili tedeschi Reichenfels,
Marburg e Kybfels e dal trasporto truppe Marco
Polo.
Gli incrociatori leggeri Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta e Muzio Attendolo ed i cacciatorpediniere Antonio Pigafetta, Nicoloso
Da Recco, Alvise Da Mosto, Giovanni Da Verrazzano e Nicolò Zeno forniscono copertura a
distanza.
6 maggio 1941
Alle 13.25 il convoglio
viene avvistato in posizione 37°36’ N e 15°28’ E, su rilevamento 070°, dal
sommergibile britannico Unique
(tenente di vascello Anthony Foster Collett), ma questi, che dista una decina
di miglia dalle navi dell’Asse e non è nella posizione prevista a causa di un
errore di navigazione, non è in grado di attaccare.
7 maggio 1941
Il convoglio giunge a
Palermo.
25 maggio 1941
La Cigno, insieme alle torpediniere Pallade, Clio, Procione e Pegaso, ai cacciatorpediniere Lanciere
e Corazziere ed alla nave ospedale Arno, partecipa al salvataggio dei
naufraghi del trasporto truppe Conte
Rosso, silurato ed affondato dal sommergibile britannico Upholder durante la navigazione da
Napoli a Tripoli. In tutto vengono salvati 1432 uomini, su 2729 imbarcati sul Conte Rosso.
26 maggio 1941
La Cigno salpa da Napoli insieme alle torpediniere Procione e Pegaso ed ai cacciatorpediniere Ugolino
Vivaldi ed Antonio Da Noli,
scortando un convoglio diretto a Tripoli e formato dalle motonavi Rialto, Andrea Gritti, Sebastiano
Venier, Marco Foscarini, Barbarigo ed Ankara (tedesca). L’incrociatore leggero Luigi Cadorna ed i cacciatorpediniere Maestrale e Grecale
forniscono scorta a distanza.
27 maggio 1941
Verso le 13 il convoglio
viene attaccato da sei bombardieri Bristol Blenheim decollati da Malta: due
degli aerei (il V6460 del sergente E. B. Inman e lo Z6247 del capitano G. M.
Fairburn) vengono abbattuti (secondo fonti italiane, dal fuoco contraereo; per
i britannici, ambedue gli aerei sarebbero stati travolti e distrutti dallo
scoppio delle bombe sganciate dallo stesso Inman su una delle motonavi), ma le
bombe colpiscono la Venier (una sola
bomba che però non esplode, non causando così danni gravi) e la Foscarini (che viene invece incendiata).
La Cigno recupera l’unico sopravvissuto dei sei uomini componenti gli
equipaggi dei due aerei, il sergente K. P. Collins, gravemente ferito.
Si tratta del primo
attacco aereo verificatosi sulla rotta di levante per la Libia, nonché del
primo bombardamento a bassa quota contro navi nella guerra del Mediterraneo.
La Foscarini, in fiamme, verrà portata ad incagliare davanti a Tripoli
il 30 maggio, ma non sarà mai recuperata.
28 maggio 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli.
2 luglio 1941
La Cigno viene inviata a dare la caccia al sommergibile britannico Urge (tenente di vascello Edward Philip
Tomkinson), che ha infruttuosamente lanciato tre siluri contro un mercantile in
posizione 37°48' N e 15°21' E (a sud dello Stretto di Messina), ma non riesce a
trovarlo.
26 luglio 1941
Alle 10.31 la Cigno incontra, al largo di Augusta,
l’avviso veloce Diana, di ritorno dal
fallito tentativo di attacco a Malta della X Flottiglia MAS (tutti gli
incursori sono stati uccisi o catturati, e nella ritirata sono andati perduti
anche i MAS 451 e 452 e due aerei). Il Diana ordina alla Cigno di assumere la sua scorta, e le due navi entrano nel porto di
Augusta alle 11.28.
3 agosto 1941
Cigno,
Centauro, Calliope e Clio salpano
da Trapani per andare alla ricerca di una formazione britannica. Alle 4.45 le
torpediniere vengono avvistate in posizione 37°55’ N e 12°00’ E (a sudovest di
Marettimo), mentre procedono a 20 nodi su rotta 290°, dal sommergibile
britannico Talisman (tenente di
vascello Michael Willmott). Questi prepara sei tubi al lancio ma, non riuscendo
a ridurre le distanze a meno di 5670 metri , deve rinunciare all’attacco.
22 agosto 1941
Alle 10.30 la Cigno lascia Palermo insieme alla Pegaso, per scortare a Tripoli il
trasporto militare Lussin, avente a
rimorchio la piccola cisterna Alcione,
e la nave cisterna Alberto Fassio.
Alle 15.45 il convoglio
viene avvistato dal sommergibile britannico Upholder
(capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn) un paio di miglia a nordovest di
Capo San Vito Siculo. Alle 16.29 l’Upholder
lancia quattro siluri (da 3660 metri ) contro la nave che procede in testa
al convoglio: alle 16.32 la Lussin è
colpita, ed affonda in due minuti.
La Pegaso, insieme all’idrovolante CANT Z. 501 della scorta aerea, dà
la caccia all’Upholder (con 61 bombe
di profondità, lanciate tra le 16.35 e le 18.13), che viene danneggiato
lievemente, mentre la Cigno recupera gli
83 sopravvissuti della Lussin.
Il resto del convoglio
raggiunge poi Tripoli alle 22 del 23 agosto.
29 settembre 1941
Muore sulla Cigno, nel Mediterraneo centrale, il
marinaio Michele Guarino.
7 ottobre 1941
La Cigno (capitano di corvetta Nicola Riccardi) e l’incrociatore
ausiliario Adriatico ricevono il
compito di scortare i traghetti/posamine ausiliari Reggio ed Aspromonte,
incaricati della posa di tre campi minati antisommergibili a nord dello stretto
di Messina. La Cigno ha inoltre la
direzione dell’operazione. Le quattro navi salpano da Augusta per la posa dei
primi due sbarramenti il 7 ottobre.
8 ottobre 1941
Posa dei primi due
sbarramenti. Subito le navi tornano ad Augusta, dove Reggio ed Aspromonte
imbarcano le mine del terzo sbarramento.
10 ottobre 1941
Posa del terzo
sbarramento, sempre con Cigno ed Adriatico come scorta.
16 ottobre 1941
La Cigno salpa da Napoli alle 13.30 facendo parte della scorta del
convoglio «Beppe», composto dalle
motonavi Marin Sanudo e Probitas e dai piroscafi Beppe, Paolina e Caterina. Oltre
che dalla Cigno, il convoglio è
scortato dai cacciatorpediniere Folgore
(capitano di fregata Giuriati, caposcorta), Fulmine,
Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti ed Antoniotto
Usodimare.
Alle 16.50 il Probitas viene colto da un’avaria e deve
rientrare a Napoli scortato dal Fulmine.
A Trapani la Cigno lascia la scorta
del convoglio, che prosegue verso Tripoli (subirà la perdita del Caterina, affondato da aerosiluranti, ed
il danneggiamento del Beppe, silurato
dal sommergibile britannico Ursula).
12 dicembre 1941
La Cigno (capitano di corvetta Nicola Riccardi) parte da Palermo alle
17.24, scortando gli incrociatori leggeri della IV Divisione, Alberico Da Barbiano (capitano di
vascello Giorgio Rodocanacchi; nave ammiraglia dell’ammiraglio di divisione
Antonino Toscano) ed Alberto Di Giussano
(capitano di vascello Giovanni Marabotto), destinati ad una missione di
trasporto urgente di rifornimenti (100 tonnellate di benzina avio, 250 di
gasolio, 600 di nafta e 900 di vettovaglie, oltre a 135 militari del Corpo
Reali Equipaggi Marittimi) a Tripoli.
Dovrebbe esservi anche
una seconda torpediniera di scorta, la Climene
(che con la Cigno dovrebbe costituire
uno schermo protettivo avanzato), ma non può partire a causa di avarie alle
caldaie.
Onde evitare la scoperta
degli incrociatori da parte di ricognitori britannici, Supermarina dispone che
la IV Divisione passi molto a nordovest delle Egadi (circa 40 miglia a levante di Marettimo,
così da evitare il tratto di mare a sud di tale isola, dove le puntate dei
ricognitori britannici sono frequenti), poi dirigere verso Capo Bon (da
doppiare alle due di notte del 13, per poi passare davanti a Kelibia un’ora
dopo) e successivamente seguire la costa tunisina; la velocità da mantenere per
tutto il viaggio sarebbe stata di 22 (o 23) nodi. Giunte a Capo Bon alle due di
notte del 13 dicembre, le navi dovranno dirigere per l’arcipelago delle
Kerkennah, dove troveranno ad attenderle le torpediniere Calliope e Generale Antonio
Cantore, che li scorteranno a Tripoli. L’arrivo nella città libica è
previsto per le 13 del 13.
Sono disposti agguati
protettivi di MAS tra Lampione e Pantelleria e ricognizioni aeree su vaste zone
del Mediterraneo. Nel tratto finale del viaggio, le tre navi saranno scortate
anche da caccia della 5a Squadra Aerea.
Lo stesso 12 dicembre,
tuttavia, i comandi britannici, tramite messaggi italiani decrittati da
“ULTRA”, hanno appreso che «Gli incrociatori Da Barbiano, Di Giussano
e Bande Nere debbono lasciare Palermo
alle 18.00 di oggi 12 e procedere per Tripoli a 22 nodi, arrivando a Tripoli
alle 15 del giorno 13. Essi salperanno da Tripoli nella notte del 14 per
ritornare in Italia. Il Bande Nere
rientrerà a Palermo, ma la destinazione delle altre due unità non è conosciuta»,
ed al tramonto la IV Divisione, dopo aver superato le Egadi, venne avvistata da
un ricognitore britannico Vickers Wellington dotato di radar ASV (Air to
Surface Vessel). Di conseguenza la 4th Destroyer Flotilla britannica
– cacciatorpediniere Sikh
(capoflottiglia, capitano di fregata Graham Henry Stokes), Legion (capitano di fregata Richard Frederick Jessel), Maori (capitano di fregata Rafe Edward
Courage) ed Isaac Sweers (capitano di
fregata Jacques Houtsmuller), quest’ultimo olandese –, che si trova già in
navigazione nel Mediterraneo occidentale (per trasferimento da Gibilterra ad
Alessandria d’Egitto, via Malta), accelera a 30 nodi per intercettare la
formazione italiana. Supermarina viene a sapere della presenza dei
cacciatorpediniere grazie a due avvistamenti aerei avvenuti nel pomeriggio, ma,
in considerazione della velocità riferita (20 nodi, dato che gli avvistamenti
hanno preceduto l’aumento di velocità a 30 nodi), e valutando arbitrariamente che
al massimo potrebbero accelerare a 28 nodi, conclude che essi giungerebbero al
largo di Capo Bon solo un’ora dopo che la IV Divisione sarebbe già passata in
quelle acque. Per questo, e soprattutto per l’urgente necessità dell’invio in
Libia del carburante e per non rinviare la missione un’altra Volta (era già successo pochi giorni
prima, quando la IV Divisione era tornata indietro, senza la Cigno di scorta), Supermarina fa
proseguire le navi di Toscano senza variazioni. Anche la Cigno riceve il segnale di scoperta del ricognitore italiano che ha
avvistato la flottiglia di Stokes, ritrasmesso dalla stazione radio di Cagliari
su onda 1950, quando è ancora in porto a Palermo (infatti l’avvistamento
avviene ancora prima della partenza).
Alle 23.15 l’ammiraglio Toscano
ordina il posto di combattimento, ed alle 2.10 del 13 il posto di combattimento
generale. La formazione è in linea di fila: in testa la Cigno, due chilometri più indietro il Da Barbiano e dietro di esso il Di
Giussano; tutte le navi procedono a 23 nodi. La luna è sorta, ma il fitto
annuvolamento (specie all’orizzonte) rende la notte molto buia, benché la
considerevole fosforescenza dell’acqua crei una zona di visibilità attorno alle
navi. Quando la luna “supera” le nubi, si ha un notevole rischiaramento.
La navigazione procede
tranquilla fino alle 2.45 del 13 dicembre, quando, a sette miglia da Capo Bon,
si avverte chiaramente il rumore prodotto da un aereo che sorvola la formazione
a bassa quota (si tratta di un ricognitore Vickers Wellington del 68th
Squadron della Royal Air Force, munito di radar ASV e proveniente da Malta, che
ha localizzato la formazione, sorvolandola ripetutamente, e che ne comunica la
posizione ai cacciatorpediniere, i quali si trovano in quel momento tra Zembra
e Zembretta). La Cigno comunica con
la lampada per segnalazioni Donath «Aerei sul mio cielo» (secondo alcune fonti,
tali segnali luminosi furono visti anche dai cacciatorpediniere britannici,
però l’orario dato da questi ultimi per i lampi di luce visti sparire dietro Capo
Bon è piuttosto divergente, le 3.02). Il ritardo accumulato dagli incrociatori
di Toscano, forse a causa di un giro attorno alle Egadi più ampio del previsto,
è tale che questi giungerebbero a Capo Bon alle tre di notte anziché alle due
come previsto, ma ciò non viene comunicato a Supermarina, che così non ordina
di recuperare il ritardo.
Alle 3.15 la IV
Divisione, giunta a due miglia dal faro di Capo Bon (o 3,5 miglia a nord del
Capo), accosta per 157° onde scapolare Capo Bon mantenendosi a poco più di un
miglio dalla costa, così entrando nel settore oscurato del faro (che sino a
quel momento le ha invece illuminate di quando in quando); il Da Barbiano segnala per ultracorte a Cigno e Di Giussano «Fate attenzione ai piroscafi nemici» (la cui possibile
presenza gli è stata segnalata da Supermarina alcune ore prima). A quel punto
le navi di Toscano dovrebbero proseguire per sette-otto miglia e poi tornare su
rotta 180°, seguendo la costa tunisina, ma invece – alle 3.20 – il Da Barbiano, senza preavviso, accosta a
sinistra (di 180° per contromarcia) fino ad invertire la rotta (così assumendo
rotta 337°) e mette le macchine a tutta forza, per poi comunicare l’inversione
alle altre due unità a mezzo radiosegnalatori. Il Di Giussano, che non riceve l’ordine d’invertire la rotta, imita la
nave ammiraglia per contromarcia, venendosi però a trovare, ad accostata
ultimata, piuttosto scartato a dritta rispetto al Da Barbiano; la Cigno non
riceve il messaggio sull’inversione di rotta e per qualche minuto non se ne
accorge nemmeno, così alle 3.15 assume rotta 180°, salvo accorgersi alle 3.20
che gli incrociatori stanno accostando per contromarcia a sinistra, invertendo
la rotta (Riccardi ritiene ciò sia causato dalla presenza di aerei). A questo
punto anche la Cigno inverte la rotta
ed accelera al massimo, per riassumere la sua posizione in testa alla linea di
fila; ma intanto è finita in coda alla formazione, ben lontana dagli
incrociatori.
La 4th
Destroyer Flotilla, procedendo a 30 nodi tenendosi nelle acque territoriali del
Nordafrica francese (onde evitare i campi minati italiani) in modo da
intercettare la IV Divisione (sulla base delle informazioni su rotta e velocità
fornite dal Wellington autore dell’avvistamento), è giunta in vista di Capo
Bon, e delle navi italiane intente a doppiarlo, già alle tre di notte del 13.
Alle 3.02 le unità nemiche vedono lampi di luce e le sagome di due navi che
procedono verso sud, che però scompaiono dietro la costa: per qualche minuto i
due incrociatori italiani sono nascosti dalla sagoma del Capo, poi, dopo che i
cacciatorpediniere di Stokes hanno a loro Volta
doppiato Capo Bon (restando molto sottocosta, così che le loro sagome si
confondano con il litorale mentre quelle delle navi italiane si stagliavano
contro la debole luce lunare), tornarono visibili a questi ultimi, che riducono
la velocità 20 nodi, per ridurre la formazione di onde a prua e risultare così
meno visibili. L’inversione di rotta porta la IV Divisione ad avvicinarsi
rapidamente alla 4th Destroyer Flotilla.
Serrate le distanze, i
cacciatorpediniere vanno all’attacco a tutta forza, cogliendo le navi italiane
di sorpresa: il Sikh lancia quattro
siluri contro il Da Barbiano e gli
spara contro, il Legion lancia
anch’esso tutti i suoi siluri contro il Da
Barbiano ed apre il fuoco contro di esso, il Maori lancia due siluri contro la stessa nave e le spara addosso,
mentre l’Isaac Sweers spara contro il
Di Giussano. Alle 3.22 il Da Barbiano, senza nemmeno il tempo di
rispondere al fuoco, viene colpito in rapida successione da tre siluri e
numerosi colpi di cannone e mitragliera, è subito avvolto dalle fiamme (per
incendio del carburante trasportato), si capovolge ed affonda nel giro di dieci
minuti, in posizione 37°04’ N e 11°07’ E (un miglio e mezzo ad est del faro di
Capo Bon).
Il Di Giussano viene colpito da un siluro (lanciato dal Legion contro il Da Barbiano, e che ha mancato il bersaglio prescelto) e numerosi
colpi di cannone e rimane immobilizzato, con gravi danni ed in procinto di
affondare.
La Cigno, rimasta indietro, assiste impotente al disastro: alle 3.22
vede un’altissima fiammata alzarsi dal Da
Barbiano (che si trova 1,5
miglia ad est del faro di Capo Bon, con rotta circa 340°
secondo la stima del comandante Riccardi), attaccato di controbordo a sinistra,
da un chilometro di distanza, da tre-quattro cacciatorpediniere. La
torpediniera può osservare l’incrociatore venire colpito da tre siluri, di cui
uno a poppa che scatena l’incendio della benzina presente in coperta, ed
affondare rapidamente dopo aver sparato qualche raffica di mitragliera; subito
dopo vede anche il Di Giussano venire
colpito da un siluro al centro a sinistra, dopo aver tentato un abbozzo di
contromanovra ed aver sparato tre salve con i cannoni da 152 mm ed altri colpi con i
cannoni da 100 mm
e le mitragliere.
Alle 3.25 lo scontro si è
appena concluso, quando la Cigno
avvista a 10°-15° di prora dritta una nave che si avvicina velocissima di
controbordo; sulle prime Riccardi pensa possa essere il Di Giussano, ma al calare della distanza lo riconosce come un
cacciatorpediniere nemico, quindi la Cigno
accosta nella sua direzione e gli lancia un siluro, sparandogli inoltre con
cannoni da 100 mm
e mitragliere. Mentre lo fa, tutti i cacciatorpediniere gli passano rapidamente
su entrambi i lati: la Cigno ha tagliato
la linea di fila dei cacciatorpediniere mentre questi stanno attraversando la
formazione italiana, da sinistra a dritta, tra Cigno e Di Giussano. Il
cacciatorpediniere attaccato dalla Cigno,
che non viene colpito dal siluro, viene identificato come una nave a due
fumaioli avente la sigla «H 64»; in realtà la sigla deve essere stata letta
male, dal momento che nessuna delle quattro unità di Stokes porta questa sigla
(il Sikh ha sigla F 82, il Legion G 74, il Maori F 24 e l’Isaac Sweers
nessuna sigla; secondo alcune fonti il siluro della Cigno fu lanciato contro il Legion).
Dopo aver lanciato, Riccardi ordina di brandeggiare a dritta il tubo
lanciasiluri di sinistra, cambiando angolazione da 15° a dritta a 15° a
sinistra (manovra fatta eseguire molte volte da Riccardi durante
l’addestramento); Cigno e
cacciatorpediniere si scambiano raffiche di mitragliera, che cadono corte in
entrambi i casi. La nave italiana ha l’erronea impressione di aver colpito l’«H
64» tra prua e primo fumaiolo, con tre salve da 100 mm sparate dai pezzi 2 e
3. Mentre la Cigno fa fuoco sulla
dritta, uno o due altri cacciatorpediniere le defilano vicinissimi a sinistra;
contro di essi spara la mitragliera di sinistra della torpediniera, ma anche i
cacciatorpediniere sparano con le loro mitragliere (l’Isaac Sweers anche con i suoi cannoni da 102 mm ; per altre fonti
anche il Maori sparò contro la Cigno), colpendo la nave italiana (vi
sono modesti danni nell’opera morta a poppa, ed alcuni feriti). Nessun colpo di
cannone raggiunge la Cigno, ma una
salva lunga fa cadere l’aereo della radio; l’Isaac Sweers lancia quattro siluri contro la torpediniera, ma
mancano tutti il bersaglio. Lo scontro avviene a distanza tanto ravvicinata che
Cigno ed Isaac Sweers evitano di stretta misura la collisione.
Nessuna unità britannica
od olandese ha riportato danni; la 4th Destroyer Flotilla giugerà
indenne a Malta.
Conclusa la breve
schermaglia con i cacciatorpediniere, la Cigno
si dirige poi sul luogo dello scontro per prestare soccorso. Quando alle 3.35
si ferma nei pressi del punto ove il Da
Barbiano è affondato, «non vi è a galla che la benzina in fiamme».
Subito dopo lo scontro,
la Cigno inizia a recuperare i
superstiti dal mare e dalle imbarcazioni. Poco prima che il Di Giussano affondi, la torpediniera gli
compie un giro intorno, emettendo una cortina nebbiogena e sparando contro un
aereo che lo sorvola a bassa quota; l’incrociatore affonderà, spezzandosi in
due, alle 4.20.
La torpediniera perlustra
la zona dello scontro per tutta la notte
ed il mattino successivo, recuperando più di 500 sopravvissuti,
soprattutto del Di Giussano (mentre
circa 150 altri hanno raggiunto la riva a nuoto o su imbarcazioni e zatterini).
I naufraghi, quando non già feriti od ustionati, sono coperti di nafta, per cui
vengono subito mandati alle docce di bordo; altri, intirizziti dal freddo, sono
mandati nei locali caldaie. Il lavoro della Cigno
è però intralciato dai velivoli britannici, che sorvolano la zona gettando
bengala, così costringendo la nave ad aprire il fuoco con il proprio armamento,
effettuare manovre ed emettere cortine fumogene; almeno uno degli aerei lancia
un siluro contro la torpediniera, e diversi superstiti racconteranno in seguito
che gli aerei hanno anche mitragliato naufraghi ed imbarcazioni in mare,
causando altre vittime.
Alla Cigno si uniscono anche la vecchia torpediniera Giuseppe Sirtori, quattro MAS e
successivamente un idrovolante CANT Z. 506 (che ammara e trae in salvo due
uomini), tutti inviati dalla Sicilia, oltre anche a pescatori tunisini. Il
comandante stesso del Di Giussano
(capitano di vascello Marabotto), una Volta
sbarcati sulla costa gli occupanti della sua imbarcazione, torna in mare e
coopera con la Cigno nel salvataggio
dei naufraghi ancora in mare, consegnandole una dozzina di superstiti da egli
recuperati. Ad ostacolare l’opera dei soccorritori ci sono, oltre al carburante
in fiamme sul mare ed alla bassa temperatura dell’acqua, anche gli squali che
infestano la zona.
L’enorme incendio che
divampa dov’è affondato il Da Barbiano
si estinguerà soltanto alle dieci del mattino. Alle 13.30 del 13 il comandante
Marabotto del Di Giussano trasborda
sulla Cigno.
Alle due del pomeriggio
del 13 dicembre non c’è ormai più nessuno in acqua, dunque la Cigno conclude le ricerche e fa rotta su
Trapani. In tutto sono stati tratti in salvo 687 naufraghi, 250 del Da Barbiano e 437 del Di Giussano, su un totale di 1504 uomini
imbarcati sulle due navi (784 sul Da
Barbiano e 720 sul Di Giussano).
I superstiti vengono portati a Trapani, dove i feriti verranno ricoverati nei
locali ospedali.
1942
La residua mitragliera
binata da 13,2/76 mm viene eliminata, mentre sono installate quattro
mitragliere singole Scotti-Isotta Fraschini 1939 da 20/70 mm.
7 gennaio 1942
La Cigno e la Calliope,
salpate da Trapani, sostituiscono presso le isole Kerkennah la vecchia
torpediniera Generale Achille Papa
nella scorta del piroscafo Delia, in
navigazione da Palermo a Tripoli. La Calliope,
nella notte tra il 7 e l’8, abbatte un aerosilurante che ha tentato di
attaccare il mercantile.
Il Delia giungerà a destinazione indenne.
25 gennaio 1942
La Cigno rileva la torpediniera Generale
Antonio Cantore nella scorta del piroscafo Ariosto, in navigazione da Trapani a Tripoli.
27 gennaio 1942
Dopo una breve sosta a
Pantelleria, Cigno ed Ariosto giungono a Tripoli alle 18.15.
23 febbraio 1942
Alle due di notte Cigno (caposcorta) e Calliope, partite da Tripoli,
sostituiscono la gemella Polluce
nella scorta del piroscafo tedesco Wachtfels,
in navigazione da Palermo a Tripoli.
Il convoglio giunge a
destinazione alle 16.30.
25 febbraio 1942
La Cigno salpa da Sfax scortando il Delia, diretto a Palermo.
26 febbraio 1942
Cigno
e Delia giungono a Palermo alle 9.30.
4 marzo 1942
Alle 19 la Cigno (capitano di corvetta Massimo
Franti) e la torpediniera di scorta Procione
(capitano di corvetta Marco Sacchi) escono da Trapani ed incrociano
nell’avamporto in attesa della motonave Marin
Sanudo, che devono scortare a Tripoli. Alle 19.50 la Marin Sanudo esce a sua Volta
dal porto, ed il convoglio si mette in moto (ne è caposcorta la Procione).
5 marzo 1942
Il convoglio procede su
rotta 169°, con la Cigno in posizione
di scorta laterale a dritta della motonave, su beta di 100° ed a 700 metri dalla motonave,
con rotta 120° (la Procione è invece
a sinistra). Le due torpediniere procedono a zig zag, alla velocità di nove
nodi; un velivolo della Luftwaffe costituisce la scorta aerea.
Alle 13.06 il
sommergibile britannico P 31 (poi Uproar, al comando del tenente di
vascello John Bertram de Betham Kershaw) avvista il convoglio a distanza di 6580 metri ed alle 13.10
decide di allontanarsi, salvo cambiare idea alle 13.20 e decidere invece di
attaccare. Dato che il mare, calmissimo, permetterebbe il facile avvistamento
del periscopio, il P 31 s’immerge a dodici
metri ed attacca usando il sonar; alle 13.23 lancia quattro siluri da 715 metri .
Alle 13.30, circa 14 miglia ad ovest di
Lampione, la Marin Sanudo viene
colpita da tre siluri. La Cigno, dopo
aver visto i siluri scoppiare sul lato sinistro della motonave, mette le
macchine alla massima forza ed accosta di 40° a sinistra mentre l’equipaggio va
al posto di combattimento. Vengono preparate le bombe di profondità, già
regolate per scoppiare a 50
metri , ed alle 13.31 la torpediniera avvista di prua la
bolla d’aria causata dal lancio dei siluri, ed il punto di origine delle scie:
lì si trova il P 31.
Intanto la Marin Sanudo si rovescia su un fianco ed
affonda in un minuto, in posizione 35°27' N e 12°12' E (una decina di miglia ad
ovest-sud-ovest di Lampedusa).
Alle 13.31.40, giunta a
circa 250 metri
dalla bolla, la Cigno lancia la prima
carica di profondità, seguita da altre sette; la terza, a differenza delle
altre (che colorano l’acqua di bianco, per la sabbia sollevata dal fondale poco
profondo) colora l’acqua di nero, e dopo il suo scoppio un ampio tratto di
superficie assume questa colorazione. La Cigno
inverte la rotta, e durante l’accostata vede affiorare parzialmente quelle che
sembrano essere la torretta e la prua del sommergibile; il direttore di tiro
porta i cannoni in punteria, ma quando la nave apre il fuoco il “sommergibile”
torna sott’acqua, leggermente appoppato. La Cigno
prosegue l’accostata e mette la prua sul battello nemico, e vede sull’acqua una
chiazza di nafta e delle bolle d’aria; lancia sul punto altre sette bombe di
profondità, poi inverte la rotta e ne lancia altre cinque, vedendo la chiazza
di nafta espandersi sino a raggiungere un’estensione di 200 metri per 300, in progressivo aumento
(ma nettamente separata dalla macchia di nafta che sale dal relitto della Marin Sanudo, distante circa 300 metri ). Ritenendo di
aver affondato il sommergibile, la Cigno
lo comunica alla Procione (che
intanto ha a sua Volta lanciato 12
bombe di profondità; la Cigno ne ha
lanciate 13 da 50 kg
e 9 da 100 kg ,
tutte regolate per 50 metri )
e poi dirige sottovento al punto di affondamento della Marin Sanudo, per recuperare i naufraghi, che vengono allontanati
dal vento.
In realtà il P 31, che subito dopo il lancio si è
ritirato a tutta forza verso nord, per eludere il contrattacco si è adagiato
sul fondo a 73 metri
e vi è rimasto immobile; non ha subito alcun danno. È probabile che il
“sommergibile” visto emergere fosse una illusione ottica (caso non infrequente
nella concitazione di una caccia antisommergibile), e che la chiazza di nafta
provenisse anch’essa dalla Marin Sanudo.
Alle 14 la Cigno ferma le macchine e mette a mare
una lancia a remi ed un battellino, mentre la chiazza di nafta del
“sommergibile”, in continua espansione, si unisce a quella della Marin Sanudo. Alle 15 la presa a mare
della macchina poppiera viene ostruita da qualche rottame (o da un paglietto),
che obbliga la Cigno a manovrare
adagio con tale macchina. Alle 16 la torpediniera recupera le proprie
imbarcazioni; hanno tratto in salvo 45 sopravvissuti, mentre quelle della Procione ne hanno recuperati altri 120,
due dei quali però morti quasi subito. Le vittime della Marin Sanudo sono 65.
Tra le 16 e le 16.30 la Cigno e la Procione incrociano tra i rottami fino ad essere certe che non vi
siano altri naufraghi in mare, dopo di che dirigono per Trapani a 18 nodi.
Alle 17.45 le due
torpediniere ricevono però ordine di proseguire per Tripoli, dunque invertono
subito la rotta.
6 marzo 1942
Alle 3.30 le due torpediniere atterrano a Zuara ed alle 9 si ormeggiano al Molo
Sottoflutto di Tripoli, dove sbarcano i naufraghi.
8 marzo 1942
Cigno,
Procione ed il cacciatorpediniere Strale partono da Tripoli alle 21,
scortando un convoglio di ritorno formato dalle moderne motonavi Unione, Lerici e Ravello (la Lerici trasporta 110 “indesiderabili”,
le altre due 470 prigionieri britannici) e dalla grossa motonave cisterna Giulio Giordani.
9 marzo 1942
Alle 7.30 il convoglio
s’incontra con un altro proveniente dall’Italia e diretto a Tripoli,
nell’ambito dell’operazione «V. 5»; i cacciatorpediniere Scirocco ed Antonio Pigafetta,
appartenenti alla scorta di quest’ultimo, lo lasciano e si uniscono alla scorta
del convoglio della Cigno (il Pigafetta, capitano di vascello Enrico
Mirti della Valle, ne diviene anzi il caposcorta). Il convoglio gode inoltre
dell’appoggio del gruppo di scorta «Garibaldi» (incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi – nave di bandiera
dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten, comandante superiore in mare
–, Eugenio di Savoia e Raimondo Montecuccoli,
cacciatorpediniere Aviere, Geniere, Oriani ed Ascari).
In mattinata l’ammiraglio
De Courten, avendo intercettato comunicazioni di aerei britannici che seguono
la formazione italiana e ne riportano la presenza (il convoglio è stato
avvistato), ordina che il convoglio ed il gruppo di scorta compiano una
deviazione verso est, per allontanarsi da Malta, da dove si presume che
arriveranno gli attacchi aerei. Ciononostante, tra le 16.40 e le 17.20, mentre
la scorta aerea è più ridotta, il convoglio viene attaccato da aerosiluranti
Bristol Beaufort, che De Courten ritiene provenire dalla Marmarica. In realtà
sono decollati da Malta; comunque, nessuna nave subisce danni.
Durante la notte, il
gruppo di scorta s’incorpora nel convoglio; per tutta la notte le navi sono
sorvolate da bengalieri che chiamano più volte altri aerei all’attacco, ma non
ci sono conseguenze (un primo gruppo di aerei non trova le navi; del secondo,
venti bombardieri Vickers Wellington decollano per attaccare il convoglio, ma
solo in tre riescono a trovarlo, e le loro bombe mancano le navi).
10 marzo 1942
Di nuovo il convoglio è
tallonato da ricognitori. Da Alessandria, in seguito all’errata notizia che un
incrociatore italiano sarebbe stato colpito durante gli attacchi di Beaufort
del pomeriggio precedente, prende il mare una formazione al comando del
viceammiraglio Philip Vian, per intercettarlo; naturalmente non troveranno
nulla e l’indomani, durante il ritorno, l’incrociatore leggero Naiad (nave ammiraglia di Vian) sarà
affondata dal sommergibile tedesco U 565,
con la perdita di 82 uomini.
Alle 17.30 la scorta è
rinforzata dall’arrivo della torpediniera Aretusa.
11 marzo 1942
Il convoglio si divide in
due gruppi. Cigno, Aretusa, Pigafetta, Scirocco, Giordani, Lerici e Ravello giungono
a Taranto alle tre di notte, mentre le altre navi raggiungono Brindisi.
2 aprile 1942
Parte da Taranto alle
12.50, insieme ai cacciatorpediniere Antonio
Pigafetta (caposcorta), Antonio Da
Noli ed Euro, per scortare a
Tripoli le motonavi Unione e Lerici, nell’ambito dell’operazione «Lupo».
A mezzanotte dello stesso giorno, tuttavia, la Cigno è sostituita dalla gemella Pallade.
8 aprile 1942
La Cigno e la vecchia torpediniera Giuseppe
Cesare Abba eseguono le operazioni preliminari alla posa della spezzata «S
5» dello sbarramento di mine «S» nel Canale di Sicilia. Non vi sono problemi
nella loro esecuzione.
27 aprile 1942
La Cigno (caposcorta) e le gemelle Castore
e Lince salpano da Palermo alle 11
scortando il convoglio «Genova», composto dalla nave cisterna Saturno e dal piroscafo San Luigi.
Al largo di Pantelleria
il convoglio «Genova» s’incontra con il convoglio «Italia» (motonavi Reginaldo Giuliani e Reichenfels, cacciatorpediniere Folgore, torpediniere Pallade e Centauro), partito da Tripoli e diretto a Napoli, col quale ha
luogo, come previsto prima della partenza, un parziale scambio della scorta: Cigno e Lince passano al convoglio «Italia», del quale la Cigno diventa caposcorta, mentre al
convoglio «Genova» si aggregano il cacciatorpediniere Folgore (che ne diviene caposcorta) e la torpediniera Centauro.
29 aprile 1942
La Giuliani giunge a Napoli alle 22.40.
30 aprile 1942
Il Reichenfels arriva a Napoli alle 17.
5 giugno 1942
La Cigno parte da Napoli alle 18.30, accompagnando i
cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi e Lanzerotto Malocello in missione di
trasporto a Tripoli (600 uomini del Regio Esercito). A Lampedusa la Cigno è sostituita dalla Polluce, proveniente da Tripoli.
8-9 giugno 1942
La Cigno viene fatta salpare da Trapani insieme ad una squadriglia di
MAS (MAS 563 e MAS 564), per recarsi in soccorso dei naufraghi del
cacciatorpediniere Antoniotto Usodimare,
accidentalmente affondato alle 21.23 dell’8 dal sommergibile italiano Alagi. La Cigno recupera 29 naufraghi dell’Usodimare, tra cui il suo comandante (capitano di fregata Luigi
Merini), che subito assume la direzione dei soccorsi, pur avendo passato dieci
ore in acqua. In tutto vengono recuperati 165 uomini, su 306 imbarcati sull’Usodimare.
10 giugno 1942
La Cigno, la gemella Circe
ed il cacciatorpediniere Premuda
(caposcorta) partono da Palermo alle 12.05 per scortare a Tripoli le moderne
motonavi Sestriere e Vettor Pisani (facenti parte del
convoglio scortato dall’Usodimare e
temporaneamente dirottate a Palermo dopo l’incidente di due giorni prima).
11 giugno 1942
Alle due di notte il
convoglio è attaccato da aerei, che bombardano e mitragliano (soprattutto la Circe) ma non colpiscono nessuna nave.
12 giugno 1942
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 20.20.
21 giugno 1942
La Cigno e due rimorchiatori, inviati da Trapani, tentano di
disincagliare il cacciatorpediniere Strale,
incagliatosi all’una di notte su una secca presso Ras el Ahmar (sulla costa
tunisina) durante una missione di scorta. Ogni tentativo è vano, ed il
cacciatorpediniere deve essere abbandonato sul posto e considerato perduto.
30 giugno 1942
La Cigno, inviata da Trapani in sostituzione della Climene, assume a Sfax la scorta del
piroscafo Numidia, diretto a Napoli.
4 luglio 1942
Cigno
e Numidia arrivano a Napoli alle
16.20.
22 ottobre 1942
Parte da Trapani per
effettuare pattugliamento e scorta dei piroscafi Algerino (partito da Trapani alle 15.20) ed Emilio Morandi (partito da Trapani alle 17.15), in navigazione da
Trapani a Tripoli con la scorta della torpediniera Centauro (caposcorta).
25 ottobre 1942
L’Emilio Morandi giunge a Tripoli alle 21.10.
26 ottobre 1942
L’Algerino giunge a Tripoli alle tre di notte.
4 novembre 1942
La Cigno e la gemella Calliope
salpano da Palermo alle 19.50, per scortare a Tripoli i piroscafi Numidia e XXI Aprile.
7 novembre 1942
Alle sette del mattino Cigno e Calliope lasciano la scorta, sostituite dalle più moderne Groppo ed Animoso.
8 novembre 1942
La Cigno e l’Abba vengono
inviate a rinforzare la scorta dell’incrociatore leggero Attilio Regolo, che è stato silurato dal sommergibile britannico Unruffled, perdendo la prua, durante il
rientro da una missione di posa di mine nel Canale di Sicilia. Cigno ed Abba raggiungono il gruppo che comprende il Regolo (insieme ai cacciatorpediniere Ascari, Mitragliere, Corazziere, Antonio Pigafetta, Antonio Da
Noli e Nicolò Zeno, a quattro
rimorchiatori ed a due MAS) poco dopo le 13.30, ed iniziano subito ad eseguire
ricerca ecogoniometrica nell’area del siluramento. La formazione, con il Regolo a rimorchio, procede lentissima,
a soli due nodi e mezzo.
Alle 14.48 Ascari e Mitragliere lasciano la formazione, ed alle 15.30 le si unisce
invece la torpediniera Lince.
Alle 13.56, tre miglia a
nordest di Capo San Vito, un altro sommergibile britannico, l’United (tenente di vascello Thomas
Erasmus Barlow), avvista il danneggiato Regolo a 6
miglia per 126°; dopo essersi avvicinato ad alta
velocità ed a quota maggiore, torna a quota periscopica alle 14.24 e nota che
l’incrociatore è danneggiato ed a rimorchio, su rotta 070°. Giunto a 3,5 miglia alle 15.45,
quattro minuti dopo il sommergibile lancia due siluri in posizione 38°15' N e
12°47' E, ma le armi (avvistate dal Regolo
sulla dritta) mancano il bersaglio ed esplodono a fine corsa,
mentre Zeno e Da Noli contrattaccano
lanciando bombe di profondità a scopo intimidatorio.
Alle 17.30 arriva anche
un altro potente rimorchiatore, il Polifemo,
che si aggiunge agli altri due già impegnati nel rimorchio (che procede a soli
2,5 nodi, ed è ostacolato dalle lamiere contorte della prua del Regolo, che “fanno da timone” ed
intralciano il governo). La formazione prosegue così con Regolo al centro rimorchiato da tre
rimorchiatori, Da Noli a
dritta, Lince a
sinistra, Cigno a proravia
e Pigafetta a poppavia
(tutti impegnati in ampi zig zag), mentre lo Zeno effettua rastrello antisommergibile a poppavia della
formazione. Non si verificano altri problemi, e tutte le navi giungono a
Palermo all’alba del 9 novembre.
12 dicembre 1942
La Cigno (capitano di corvetta Massimo Franti) parte da Palermo alle
5.20, scortando il piroscafo tedesco Macedonia
diretto a Susa con 1000 tonnellate di carburante per i Panzer tedeschi. Alle
12.20 si unisce al convoglio la piccola motocisterna tedesca Jaedjoer, uscita da Trapani.
Nella notte la Jaedjoer subisce però un’avaria alle macchine
che la rallenta, facendole perdere il contatto col Macedonia e costringendo la Cigno
a spostarsi continuamente dalla motocisterna al piroscafo e viceversa.
13 dicembre 1942
Messaggi decrittati da
“ULTRA” permettono ai britannici di sapere che il Macedonia è partito da Palermo alle 4 del mattino del 12 e che
raggiungerà Susa alle 11.30 del 13.
Il mattino del 13 la Jaedjoer viene persa di vista, così la Cigno torna indietro e la trova alla
deriva, a seguito di una grave avaria alle macchine, che hanno smesso di
funzionare del tutto; la torpediniera prende a rimorchio la piccola cisterna e
la porta a Ras Mahmur, mentre il Macedonia
prosegue da solo.
Alle 14.49 il Macedonia, mentre si trova solo sulle
rotte prestabilite nel golfo di Hammamet, viene avvistato dal sommergibile britannico
Umbra (tenente di vascello Stephen
Lynch Conway Maydon), proprio nel breve lasso di tempo dell’avvicendamento tra
la scorta aerea che l’ha appena lasciato e l’arrivo di una nuova scorta aerea. Alle
15.22, in posizione 35°55' N e 10°38' E (a quattro miglia da Susa), l’Umbra lancia un siluro contro il Macedonia, colpendolo.
Alle 16.15 la Cigno giunge sul posto e trova il Macedonia gravemente danneggiato, ancora
galleggiante ma abbandonato dall’equipaggio, eccetto che per il comandante e
tre uomini; prende a rimorchio il piroscafo e chiede assistenza a Susa. Nel
mentre l’Umbra, avendo visto la Cigno affiancarsi al Macedonia alle 16.51, decide di lanciare
un altro siluro per finire il piroscafo e danneggiare anche la torpediniera; il
siluro viene lanciato alle 16.53 da 3750 metri , ma manca il bersaglio. Da parte
italo-tedesca si è del tutto ignari della presenza del sommergibile, perché
l’equipaggio del Macedonia non ha
visto le scie dei siluri e si pensa che la nave abbia urtato una mina.
Da Susa viene inviato il
rimorchiatore Optimiste, ma arriverà
troppo tardi: nonostante il tentativo della Cigno,
il Macedonia affonderà a solo un
miglio e mezzo dalla destinazione.
L’Umbra si ritira per ricaricare un altro siluro prima possibile;
terminata la ricarica alle 17.46, il battello pedina la Cigno, ma alle 18.12, proprio mentre sta per lanciare, la
torpediniera cambia la sua posizione. Successivi ripetuti mutamenti di
posizione impediscono all’Umbra di
lanciare, ed intanto Supermarina informa la Cigno
che il Macedonia non ha urtato una
mina, ma è stato silurato da un sommergibile, e le ordina di dargli la caccia.
Alle 19.30 la torpediniera localizza l’Umbra,
che deve rinunciare all’attacco e scendere a 27 metri ; alle 19.45 la Cigno lancia un pacchetto di nove bombe
di profondità, arrecando lievi danni al sommergibile, ma poi perde il contatto
e, ritenendo trattarsi di una falsa eco, conclude la caccia e si allontana.
14 dicembre 1942
In mattinata la Cigno riceve ordine di rimorchiare a Susa
la Jaedjoer (non più in grado di
proseguire), cosa che fa, ricevendo dalle 7 la scorta di quattro motosiluranti
tedesche.
Poi riparte assumendo la
scorta del piroscafo tedesco Lisboa
(salpato da Susa per Palermo alle 20 del 13), che tuttavia lascia già alle tre
di notte.
Alle 13.47 la Cigno (capitano di corvetta Massimo
Franti) salpa da Susa per scortare a Trapani la piccola motonave Assab, carica di materiali della
Divisione «Folgore».
15 dicembre 1942
Cigno
ed Assab arrivano a Trapani alle
11.50.
18 dicembre 1942
Nelle prime ore della
notte la Cigno, insieme alle
torpediniere Sagittario, Ardente ed Orione, eseguono un rastrello antisommergibile al largo di Biserta.
Tra le 00.30 e le due di notte, 35 miglia a nordest di Biserta, l’Orione rileva un contatto che ritiene
essere un sommergibile, e lo bombarda con 37 cariche di profondità; si tratta
in realtà del relitto del piroscafo Sant’Antioco,
affondato tre giorni prima. Il sommergibile britannico P 212, poco lontano, non viene invece rilevato.
La Cigno rientra poi in porto e parte da Tunisi alle 18, scortando il
piroscafo Numidia.
20 dicembre 1942
Le due navi arrivano a
Palermo alle 3.25.
7 gennaio 1943
La Cigno parte da Palermo alle 12.50, insieme al cacciatorpediniere Saetta (caposcorta) ed alla Calliope, scortando i piroscafi XXI Aprile e Skotfoss (tedesco) e la pirocisterna tedesca Sudest.
8 gennaio 1943
Il convoglio si divide: XXI Aprile e Skotfoss dirigono per Tunisi (dove giungeranno alle 19), la Sudest per Biserta (dove arriverà alle
7.50 del 9 gennaio).
10 gennaio 1943
Alle 17 la Cigno (capitano di corvetta Massimo
Franti), uscita da Tunisi, raggiunge il cacciatorpediniere Maestrale, che è stato preso a rimorchio dalla Calliope dopo aver perso la poppa su un campo minato, e ne assume
la scorta insieme alla vecchia torpediniera Giuseppe
Dezza, giunta da Biserta a
mezzogiorno. Giungono in soccorso anche i rimorchiatori Porto Cesareo e Vigoreux
ed il piropeschereccio Cefalo,
attrezzato per la caccia antisommergibile. Il “convoglio” procede con il Maestrale rimorchiato dapprima dalla Calliope, poi da Calliope e Vigoreux ed
infine (dalle 17.30) da Calliope e Porto Cesareo; Cigno e Dezza fungono da
scorta, il Cefalo dà protezione
antisommergibili. Dopo una faticosa navigazione, interrotta più volte da varie
rotture dei cavi, il Maestrale potrà
essere rimorchiato in salvo a Biserta, giungendovi tra le 7.30 e le 8 dell’11
gennaio.
12 gennaio 1943
Salpa da Tunisi alle 15,
scortando il piroscafo tedesco Stokfoss.
13 gennaio 1943
Le due navi giungono a
Trapani alle 18; qui la Cigno è
sostituita dalla gemella Castore per
la scorta nell’ultimo tratto della navigazione (fino a Palermo).
20 gennaio 1943
La Cigno salpa da Trapani viene inviata a sistemare un segnale presso
lo scoglio Keith per poi posizionarsi tre miglia a sudest di esso, in modo da
facilitare la determinazione della posizione ai cacciatorpediniere (Pigafetta, Da Noli, Zeno, Ascari e Corazziere) incaricati della posa in quelle acque dello sbarramento
di mine «S 98». Prima ancora di arrivare allo Scoglio Keith, però, la Cigno manifesta proiezioni d’acqua nella
turbodinamo, a causa di infiltrazioni di acqua salata nei condensatori; di
conseguenza il comandante della torpediniera decide di incaricare la corvetta Gabbiano, che si trova in zona per
un’altra missione, di assumere il suo compito, e poi fa ritorno a Trapani. Il
disguido porterà ad un ritardo di due ore nella posa delle mine (in quanto
l’ammiraglio comandante della formazione incaricata della posa distaccherà un
cacciatorpediniere per essere sicuro che la Gabbiano
sappia bene cosa deve fare).
28 gennaio 1943
Salpa da Trapani alle
9.40, per scortare a Susa il piroscafo Orsolina
Bottiglieri.
29 gennaio 1943
Le due navi arrivano a
Susa alle 14.50.
30 gennaio 1943
La Cigno (capitano di corvetta Carlo Maccaferri) salpa da Trapani alle
11.30, per scortare a Susa il piroscafo tedesco Lisboa.
31 gennaio 1943
Il convoglio viene
attaccato da aerei per ben quattro volte, alle 4.18, alle 4.21, alle 5.10 ed
alle 11.32; nei primi tre attacchi il Lisboa
evita con la manovra vari siluri lanciati contro di esso da aerei che attaccano
senza l’ausilio dei bengala, per via dell’eccellente visibilità garantita dalla
luna all’ultimo quarto. Il quarto attacco, portato da otto velivoli, viene
anch’esso respinto, e tre aerei vengono abbattuti dal tiro della Cigno e dalla reazione dei caccia della
scorta aerea. Il convoglio procede a 7 nodi.
Alle 12.30 sopraggiungono
le motozattere MZ 713, MZ 714 e MZ 754, anch’esse dirette a Susa, alle quali Maccaferri ordina di
unirsi al convoglio per potenziare la difesa contraerea del Lisboa.
Alle 15.08, però, il Lisboa viene silurato dal sommergibile
britannico Unruffled (tenente di
vascello John Samuel Stevens) ed affonda in fiamme, rapidamente, cinque miglia a
nord del faro di Susa. La Cigno dà subito
vana caccia al sommergibile (l’ecogoniometro non dà nessuna eco; la sua
mancanza, e quella di bolle d’aria o scie di siluri, porterà Maccaferri a
ritenere che il sommergibile si sia posizionato sul fondale, profondo meno di 50 metri , ed abbia
aspettato all’idrofono il passaggio del convoglio, per poi attaccarlo da poppa),
mentre le motozattere recuperano i superstiti del Lisboa.
Su ordine di Marina Susa,
la Cigno raggiunge Trapani, dove
arriva alle nove del mattino del 1° febbraio.
22 febbraio 1943
La Cigno viene fatta partire da Napoli per andare in soccorso del
piroscafo Teramo, che alle 23.30 ha comunicato via
radio di essere sotto attacco da parte di un sommergibile (con ogni probabilità
il britannico Tigris), che la sta
cannoneggiando in posizione 41°21’ N e 12°53’ E (presso Capo Circeo). Il Teramo sfuggirà all’attacco.
6 marzo 1943
Lascia Napoli alle 2.30
del 6 marzo insieme alle torpediniere Ardito,
Groppo (caposcorta), Orione e Generale Antonino Cascino,
per scortare a Biserta e Tunisi un convoglio composto dalla motonave Ines Corrado e dai piroscafi Henry Estier e Balzac (questi ultimi diretti a Tunisi con arrivo previsto per le
15.30 del 7, mentre nel tratto finale la Ines
Corrado dovrebbe separarsi dal convoglio per raggiungere Biserta alle 16
dello stesso giorno).
“ULTRA”, il servizio di
decrittazione britannico dei messaggi in codice dell’Asse, ha intercettato le
informazioni relative a questo convoglio, preavvisando che l’arrivo dei tre
mercantili (più un quarto, il Nuoro,
poi non partito), partiti da Napoli, è previsto a Tunisi per il pomeriggio del
7: vengono pertanto organizzati degli attacchi.
Alle 7.45 del 6 marzo, l’Ardito vede un bombardiere tedesco
Junkers Ju 88 gettare una bomba di profondità a 34 miglia per 264° da
Punta Licosa (Calabria), 3 km
a dritta del convoglio; il convoglio vira a sinistra per evitare eventuali
attacchi da parte di sommergibili che si trovino in quella direzione, e l’Ardito (capitano di corvetta Silvio
Cavo) viene distaccata per attaccare il sommergibile; ottenuto un contatto alle
1300 metri ,
la torpediniera lo bombarda con due pacchetti di cariche di profondità fino a
perdere il contatto alle 9.35. Probabilmente l’Ardito ha affondato il sommergibile britannico Turbulent (capitano di corvetta John Wallace Linton).
7 marzo 1943
Il mattino del 7 marzo,
alle 9.15, otto bombardieri britannici (scortati da 14 caccia) attaccano il
convoglio 22 miglia
ad est dello scoglio Keith (34
miglia ad ovest-sudovest di Marettimo). La scorta
reagisce con un intenso fuoco contraereo ed anche i caccia della scorta aerea
(in inferiorità numerica rispetto agli aerei attaccanti) contrattaccano, ma la Ines Corrado viene colpita, incendiata
ed abbandonata dall’equipaggio 40 miglia ad ovest-sud-ovest di Marettimo (dopo
essere lungamente andata alla deriva in fiamme, affonderà infine alle tre del
mattino dell’8 marzo).
Orione,
Ardito e Cascino sono distaccate per l’esistenza; a proseguire sono la Cigno (capitano di corvetta Carlo
Maccaferri) e la Groppo (capitano di
corvetta Beniamino Farina, caposcorta) con i due residui piroscafi, l’Henry Estier ed il Balzac, ambedue ex francesi. Le quattro navi procedono in linea di
fila nell’ordine Groppo – Cigno – Balzac – Estier, a circa
nove nodi, ed alle 12.25 incontrano la torpediniera Ciclone (capitano di corvetta Luigi di Paola), partita da Biserta
alle 6.20 per pilotare il convoglio nell’ultimo tratto della navigazione (con
rotta vera 199° con prora su Zembra). Il caposcorta ordina alla Ciclone di accodarsi al convoglio, poi
assume la condotta diretta della navigazione, riducendo la velocità a 6 nodi.
Il convoglio capita però
su un campo minato posato, appena il 4 marzo, dal posamine britannico Abdiel: ben 160 ordigni. Alle 12.32 l’Estier urta una mina, s’incendia ed
affonda rapidamente; sulle altre navi non si capisce però, sul momento, se la
nave abbia appunto urtato una mina (senza però, stranamente, che le tre navi
che la precedono in linea di fila l’abbiano urtata) oppure se sia stata
silurata (ma non sono state avvistate scie di siluri). Il caposcorta ordina
alla Ciclone di soccorrere i
naufraghi con la propria motobarca.
Alle 12.40 il convoglio
viene attaccato da quattro formazioni di bombardieri statunitensi Consolidated
B-24 “Liberator” che, provenendo da diverse direzioni, sganciano sul convoglio
una pioggia di bombe prima ancora di essere avvistati, restando ad alta quota.
Sono stati inviati in base a nuove e più dettagliate informazioni fornite da
“ULTRA”, tra cui i porti ed orari di partenza e destinazione del convoglio.
Subito, mentre le bombe
cadono tutt’intorno, le navi aprono il fuoco con l’armamento contraereo; la Cigno inverte la rotta per diradare la
formazione, mentre la Groppo si
trattiene vicino al Balzac. Alle
12.42, però, il Balzac viene colpito
ed esplode (ciò porterà il comandante Farina, alle 13.09, a chiedere al
comandante della Ciclone se ritenga
che anche l’Estier sia stato colpito
da bombe). Su ordine della Groppo, Cigno e Ciclone soccorrono i superstiti, dopo di che anche la caposcorta inverte
la rotta per partecipare essa stessa; ma alle 13.10, diciotto miglia a nord di
Zembra, la Ciclone urta una mina che
le asporta la poppa. È la Cigno a
confermare al caposcorta che l’esplosione è dovuta ad una mina. Alle 13.51 la
nave urta una seconda mina, ma resta a galla; su ordine del caposcorta, dato
che ogni tentativo di soccorrere la Ciclone
potrebbe comportare ulteriori perdite sulle insidiosissime mine, la Cigno segue la Groppo, che si allontana verso Zembra. Prima, però, la Cigno lascia in mare due imbarcazioni
vicino alla Ciclone.
Le due torpediniere si
portano a nord di Zembra, dove rimangono a pendolare aspettando i mezzi di
soccorso mandati da Biserta ed ulteriori ordini da Supermarina; a seguito di
guasto alla radio della Groppo, è la Cigno a comunicare con Supermarina.
Alle 18.30 la Ciclone viene raggiunta da due MAS ed
una motosilurante inviate da Biserta, che recuperano tutti i superstiti.
8 marzo 1943
Cigno
e Groppo, dopo aver fatto un breve
scalo a Tunisi per sbarcarvi dei feriti (naufraghi dei piroscafi) recuperati
dalla Cigno, ripartono prima
dell’alba dell’8 marzo per andare a cercare la Ciclone, che, senza più anima viva a bordo, è ancora galleggiante.
Alle 10.25 raggiungono al torpediniera danneggiata, scarrocciata di molto verso
nord, e la Groppo tenta di prenderla
a rimorchio e dirigere verso Marettimo, scortata dalla Cigno, ma ormai è troppo tardi: alle 12.48 il mare grosso provoca
la rottura del cavo di rimorchio, e la Ciclone
affonda di poppa alle 13.25, nel punto 37°40’ N e 10°59’ E.
“ULTRA” intercetterà nei
giorni seguenti anche i messaggi che permetteranno ai comandi britannici di
apprendere del successo degli attacchi lanciati, e dell’affondamento delle
quattro navi.
12 marzo 1943
Alle 14.45 Cigno (capitano di corvetta Carlo
Maccaferri) ed Orione (capitano di
corvetta Luigi Colavolpe), salpate da Messina di scorta alla cisterna militare Sterope, si aggregano al convoglio «D», partito
da Napoli alle 00.30 del 12 e diretto a Tunisi con i piroscafi tedeschi Esterel e Caraibe scortati dalle torpediniere Sirio (capitano di corvetta Antonio Cuzzaniti, caposcorta capitano
di vascello Corrado Tagliamonte), Cascino
(tenente di vascello Gustavo Galliano) e Pegaso
(capitano di corvetta Mario De Petris) e dalle corvette Cicogna (tenente di vascello Augusto Migliorini) e Persefone (capitano di corvetta Oreste
Tazzari).
Alle 16.10 si unisce alla
scorta anche la torpediniera Libra,
proveniente da Palermo, e più tardi i cacciasommergibili VAS 231 e VAS 232.
Già dal 10 marzo,
tuttavia, i comandi britannici – attraverso le decrittazioni di “ULTRA” – sanno
che la Sterope e la motonave Nicolò Tommaseo devono arrivare a
Messina alle 20 del 9, provenienti da Brindisi, per poi unirsi ad Esterel, Caraibe e Manzoni
(quest’ultima motonave appartiene ad un altro convoglio, col quale la riunione
è prevista in un secondo momento) provenienti da Napoli e diretti a Messina o
Trapani, per poi fare rotta insieme verso Tunisi e Biserta, dove giungere nel
pomeriggio dell’11. Il 12 marzo “ULTRA” ha poi appreso del rinvio di 48 ore di
tale programma, con l’arrivo a Messina di Sterope
e Tommaseo alle 14 dell’11 anziché la
sera del 9; i comandi britannici deducono correttamente che la prevista riunione
in mare avverrà nella giornata del 12, e pertanto inviano numerosi aerei a
cercare il convoglio.
Lo trovano alle 20.40:
tra quell’ora e le 21.20 il convoglio viene continuamente sorvolato da
aerosiluranti, bersagliati più volte dal tiro di tutte le navi.
Alle 21.25, dodici miglia
ad ovest di Capo Gallo, la Sterope
viene silurata da un sommergibile e costretta a rifugiare a Palermo, dove
arriverà alle 4.30 dell’indomani, assistita da Pegaso e Cascino. Alle
22.15 Orione e Persefone abbattono un aerosilurante Bristol Beaufort del 39th
Squadron RAF.
Alle 22.19 anche l’Esterel viene silurato, sei miglia ad
est di Capo San Vito, e deve ripiegare su Trapani rimorchiato dall’Orione e scortato dalla Persefone (vi giungerà alle 14 del
giorno seguente); la Libra
contrattacca e respinge il sommergibile attaccante, il britannico Thunderbolt. Alle 22.55 anche la Cicogna viene distaccata per dare la
caccia a quello che si ritiene essere un altro sommergibile, che ha rilevato:
in realtà è sempre il Thunderbolt,
che verrà affondato proprio dalla Cicogna
il giorno seguente.
Il convoglio, ormai
ridotto ai soli Caraibe, Sirio e Cigno, riceve ordine di riparare a Trapani, dove giungono all’una
di notte del 13 (ciò a seguito dell’avvistamento di quattro cacciatorpediniere
britannici al largo di Bona, con rotta nordest ed elevata velocità, alle 20.18
del 12, da parte di un ricognitore della Luftwaffe).
13 marzo 1943
Caraibe
e scorta, ora costituita da Sirio
(caposcorta), Cigno, Libra, Orione, Cascino e Pegaso nonché dalle VAS 231 e 232 (i quali
precedono il convoglio per effettuare dragaggio), ripartono da Trapani alle
22.45 per unirsi (dieci miglia ad est del banco di Skerki) ad un altro
convoglio formato dalle motonavi Manzoni
e Mario Roselli.
14 marzo 1943
All’1.34 aerei avversari
iniziano a sorvolare il convoglio, e tra le 2.42 e le 2.44 questi lanciano tre
siluri: la Pegaso abbatte un aereo,
ma alle 2.44 il Caraibe viene colpito
da un siluro, il terzo lanciato. Incendiato, il piroscafo viene scosso da varie
esplosioni ed affonda alle 4.35; le unità della scorta subiscono insistenti
attacchi di bombardieri ed aerosiluranti fino alle quattro del mattino, ma non
subiscono danni. Cascino e Pegaso recuperano 63 sopravvissuti del Caraibe (su un centinaio di uomini
presenti a bordo) e dirigono per Trapani.
La Cigno ed il resto della scorta (tranne Cascino e Pegaso) vengono
allora inviate a rafforzare la scorta (torpediniere Clio e Sagittario) delle
motonavi Manzoni e Mario Roselli, in navigazione verso
Biserta; raggiungono tale convoglio alle 8.15, settanta miglia a sudovest di
Trapani. In prossimità di Biserta, il convoglio viene raggiunto da tre
dragamine che lo precedono nell’ultimo tratto per eseguire dragaggio; Orione e Libra vengono distaccate per raggiungere Tunisi.
Il convoglio raggiunge
Biserta alle 16.40.
Alle 22 Cigno e Sirio (caposcorta) lasciano Biserta per scortare a Napoli un
convoglio (denominato «Volta») formato dai piroscafi italiani Volta, Teramo e Forlì (sui primi
due sono imbarcati oltre 500 prigionieri) e dalle motonavi cisterna Labor (italiana) ed Ethylene (tedesca).
15 marzo 1943
Alle 5.10 si uniscono al
convoglio, al largo di Zembretta, anche la torpediniera Libra ed il piroscafo tedesco Charles
Le Borgne, provenienti da Tunisi. Alle
12.30 giungono di rinforzo alla scorta le corvette Cicogna e Persefone,
inviate da Trapani.
Alle 17.40 il convoglio riceve
ordine di raggiungere Trapani per sostarvi alcune ore; non si verificano
attacchi nemici, ma alle 18.34, a poca distanza dalle Egadi, l’Ethylene s’incendia per autocombustione
di vapori di benzina e deve essere presa a rimorchio dalla Libra, che la condurrà a Trapani.
16 marzo 1943
Anche il resto del
convoglio raggiunge Trapani, all’una di notte, sostandovi alcune ore. Le navi
ripartono alle 4.30 (od alle 4) e dirigono per Palermo (arrivandovi alle 12.15),
dove alcune torpediniere fanno rifornimento e dove il Volta sbarca i prigionieri che trasporta, mentre il Teramo si rifornisce di provviste.
Alle 16.17 il convoglio (Cigno, Sirio, Libra, Le Borgne, Teramo e Forlì) lascia
Palermo; Volta, Persefone, Labor e Cicogna rimangono nella città siciliana,
ma al convoglio si uniscono i piroscafi Ferrara
e Potenza.
17 marzo 1943
Alle 11.10 le avvisaglie
del convoglio vengono avvistate dal sommergibile britannico Trooper (tenente di vascello John
Somerton Wraith), che avvista le navi alle 11.35, si avvicina ed alle 12.11
lancia in tutto sei siluri da 4570 metri .
Alle 12.20 il Forlì viene colpito da un siluro 18 miglia a sud di Capri,
ed affonda in pochi minuti nel punto 40°16' N e 14°15' E. Cigno (unica unità dotata di ecogoniometro) e Sirio danno la caccia al sommergibile (in tutto vengono lanciate 22
bombe di profondità), ritenendo di averlo danneggiato, avendo visto affiorare
in superficie molta nafta (in realtà il Trooper
non ha subito danni, sebbene il contrattacco gli abbia impedito di tornare a
quota periscopica per verificare gli esiti del suo attacco), mentre la Libra recupera i 16 sopravvissuti (su 26
uomini) del Forlì. Il resto del
convoglio giunge a Napoli alle 16.30.
29 marzo 1943
La Cigno (al comando del capitano di corvetta Carlo Maccaferri, ma con
a bordo il caposcorta, capitano di vascello Francesco Camicia) salpa da Napoli
alle 19.30, scortando i piroscafi Crema,
Chieti e Nuoro diretti a Biserta. Il resto della scorta è formato dalla Cassiopea (capitano di corvetta Virginio
Nasta) e dai cacciasommergibili tedeschi UJ
2203 e UJ 2210.
30 marzo 1943
Alle 16 si unisce al
convoglio la corvetta Cicogna
(tenente di vascello Augusto Migliorini), giunta da Trapani, che lo lascia dopo
qualche ora insieme al Chieti,
diretto a Palermo.
31 marzo 1943
Dall’1.45 alle tre di
notte il convoglio sosta a Trapani, per attendere il piroscafo Benevento (partito da Napoli in ritardo
per alcune avarie).
Alle 6.30 si uniscono al
convoglio, poco ad ovest delle Egadi, il piroscafo Benevento, la torpediniera Clio
(capitano di corvetta Carlo Brambilla) ed il cacciasommergibili tedesco UJ 2207, così formando un unico
convoglio denominato «GG». Alle 6.40 si unisce di nuovo al convoglio la Cicogna; le navi godono inoltre di forte
scorta aerea.
Alle 13.52, mentre il
convoglio è dieci miglia ad est del banco Skerki, il convoglio viene attaccato
da otto bombardieri Lockheed Hudson, scortati da 4-5 caccia Lockheed Lighting,
che sganciano le bombe da 2500-3000 metri di quota, senza colpire alcuna nave.
Sia i mercantili che le navi di scorta reagiscono violentemente con le proprie
mitragliere, ma non colpiscono alcun aereo; anche i caccia italiani e tedeschi
della scorta aerea, trovandosi a bassa quota al momento dell’attacco, non
riescono ad aver contatto con i velivoli avversari. Alle 14.24 si unisce alla
scorta la torpediniera Enrico Cosenz
(capitano di corvetta Emanuele Campagnoli). Alle 15.57, mentre il convoglio si
trova già in linea di fila per imboccare la rotta obbligata di Zembretta,
subisce un attacco di tre ondate di aerei, una dopo l’altra: la prima, composta
da altri otto bombardieri Hudson scortati da caccia Lighting, sgancia molte
bombe da 2500 metri ,
senza colpire nulla; la seconda, formata da otto bombardieri e quattro
aerosiluranti, sopraggiunge da ovest (direzione del sole, lato dritto del
convoglio) e sgancia molte bombe ed alcuni siluri, di nuovo senza fare danni; alle
16 la terza ondata di sei bombardieri e cinque aerosiluranti attacca il
convoglio su entrambi i lati. Stavolta – sono le 16 – il Nuoro viene colpito sul lato sinistro da un siluro, e scoppia un
incendio a bordo. Le navi abbattono due aerei, i caccia tedeschi ne abbattono
un terzo – un bombardiere quadrimotore – ma subendo la perdita di due velivoli.
Il Nuoro viene lasciato indietro con l’assistenza della Cicogna (esploderà alle 16.34, dopo
essere stato abbandonato dall’equipaggio), mentre il resto del convoglio
prosegue.
1° aprile 1943
Intorno all’una di notte,
mentre il convoglio si trova tre miglia a sud-sudovest dell’isola dei Cani ed a
dieci miglia da Biserta, si verifica un improvviso attacco di motosiluranti,
che erano rimaste ferme in agguato ed attaccano sulla dritta del convoglio: Crema e Benevento vengono silurati, e le motosiluranti, dopo breve mischia
con Cassiopea ed UJ 2203 (che proteggevano la dritta del convoglio), si dileguano
nella notte. Il Crema affonda, mentre
il Benevento può essere portato ad
incagliare presso Capo Zebib, ma andrà egualmente perduto (permettendo però di
recuperarne il carico).
14 aprile 1943
Alle 5.10 la Cigno
salpa da Napoli per scortare a Biserta, insieme alle torpediniere Groppo e Sagittario (caposcorta, capitano di fregata Marco Notarbartolo), la
motonave Marco Foscarini. Alle 10.45
si unisce alla scorta anche la torpediniera Cassiopea;
il convoglio entra a Trapani alle 21.10 e ne riparte alle 23.40.
15 aprile 1943
Tra le 00.53 e le 5.43, tra Trapani e Zembra, il convoglio
viene continuamente sorvolato da aerei isolati e subisce sei attacchi da parte
di essi, che lanciano varie bombe ed un siluro. Nel primo attacco la Foscarini viene mitragliata, con la
morte di un militare tedesco; nell’ultimo, un siluro manca la motonave di
pochissimo, passandole qualche metro a proravia. Il caposcorta Notarbartolo
osserverà poi che è stato probabilmente grazie alla notte molto buia, con
nuvole basse, se non si sono verificati attacchi da parte di formazioni aeree
più numerose.
Alle sei del mattino Cigno
e Cassiopea lasciano la scorta per
rientrare a Trapani, venendo rimpiazzate dalle gemelle Libra e Perseo.
La nave a Venezia (Coll. A. Asta, via M. Brescia e www.associazione-venus.it)
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Il canto del Cigno
All’una di notte del 16 aprile
1943 la Cigno, al comando del
capitano di corvetta Carlo Maccaferri (capo sezione della sezione Cigno-Cassiopea), salpò da Trapani insieme alla gemella Cassiopea (capitano di corvetta Virginio
Nasta) per formare lo schermo avanzato della scorta della motonave Belluno, in navigazione da Trapani
(proveniente da Livorno) a Tunisi con un carico di munizioni e la scorta
diretta delle torpediniere Tifone (caposcorta,
capitano di corvetta Stefano Baccarini) e Climene
(capitano di corvetta Mario Colussi).
Era la fase finale della
battaglia dei convogli, ed ogni giorno l’offesa angloamericana diventava più
accanita. Di lì a meno di un mese, la Tunisia sarebbe caduta e, delle cinque
navi coinvolte in questo convoglio, solo la Cassiopea
si sarebbe trovata ancora a galla.
Cigno e Cassiopea avevano il compito di
precedere il convoglio di cinque miglia, per scoprire e respingere eventuali
motosiluranti od altre unità sottili in agguato; a questo scopo, partirono
prima delle altre navi. Le due torpediniere procedevano a dodici nodi, gli
equipaggi vigili e all’erta.
Dopo poco più di un’ora e
mezza, alle 2.38 (si trovavano in quel momento una quindicina di miglia ad
ovest/sudovest di Capo Lilibeo e dieci miglia a sudovest di Punta Marsala di
Favignana), Cigno e Cassiopea videro effettivamente
qualcosa: due navi sconosciute, otto chilometri verso sudovest, con rotta verso
nord. Era una notte chiara; la luna, al primo quarto, stava per tramontare.
Subito le due
torpediniere diressero verso le due sconosciute, preparandosi a combattere; non
essendo però sicure che non si trattasse di navi italiane, alle 2.45 la Cigno effettuò il segnale di
riconoscimento.
Non ci fu risposta:
difatti le navi erano due cacciatorpediniere nemici, il Paladin (capitano di corvetta Lawrence St. George Rich) ed il Pakenham (capo sezione, capitano di
fregata Basil Jones), usciti da Malta per intercettare convogli italiani e che,
avendo rilevato il convoglio con i loro radar (Type 285, della portata di
cinque miglia), ora dirigevano a 20 nodi per attaccarlo. Le navi britanniche
avevano avvistato quelle italiane alle 2.42,.
La Cigno notò che il Pakenham
stava continuando ad avvicinarsi rapidamente (procedendo cioè verso nordest),
mentre il Paladin stava compiendo
un’accostata verso nord: i cacciatorpediniere manovravano per “avvolgere” Cigno e Cassiopea, ponendole fra due fuochi. La Cigno intanto aveva fatto segnalazioni col proiettore al convoglio,
che seguiva a distanza, per informarlo della presenza dei due
cacciatorpediniere; quando Belluno, Climene e Tifone ricevettero la segnalazione, ripiegarono verso Trapani,
mettendosi al sicuro.
Ai dieci cannoni da 102 mm , otto mitragliere da 40 mm , sei da 20 mm e quattro tubi
lanciasiluri da 533 mm ,
di cui disponevano in tutto i due cacciatorpediniere, Cigno e Cassiopea
potevano opporre complessivamente 6 cannoni da 100 mm , 20 mitragliere da 20 mm e quattro tubi
lanciasiluri da 450 mm .
Macccaferri credeva però di trovarsi in una situazione ancor peggiore, in
quanto aveva erroneamente identificato i due avversari come cacciatorpediniere
della classe J (armati con 6 cannoni da 120 mm anziché 5 da 102 come la classe P cui
appartenevano Paladin e Pakenham.
Sebbene meno armate dei
cacciatorpediniere, le torpediniere italiane aprirono il fuoco per prime, alle
2.48: la Cigno contro il Pakenham, la Cassiopea (che aveva anch’essa accostato verso nord, su ordine di
Maccaferri) contro il Paladin. I
cacciatorpediniere risposero subito al fuoco, con tiro diretto dal radar (utilizzati
per determinare la distanza, ed impiegando i proiettori solo per accertare che
i colpi andassero a segno).
Lo scontro fu
estremamente cruento. La Cigno riuscì
a colpire il Pakenham fin dalla prima
salva: un proiettile da 100
mm della torpediniera colpì una bomba di profondità a
poppa ed esplose nella sovrastruttura, devastando la stazione di governo
poppiera, mettendo fuori uso l’impianto lanciasiluri di poppa e scatenando un
incendio (che l’equipaggio britannico si precipitò ad arginare); la seconda
salva della Cigno, sparata mentre le
distanze continuavano a calare, distrusse una cabina situata sul lato sinistro
del Pakenham e ne pose fuori uso la
seconda sala radio, appiccando un nuovo e violento incendio che costrinse
l’equipaggio del cacciatorpediniere ad allagare, a scopo precauzionale, il deposito
munizioni poppiero.
Alle 2.53, però, anche la
Cigno venne centrata da almeno un
proiettile del Pakenham, che scoppiò
nel locale caldaia di prua, poco a poppavia della plancia. Dalla caldaia
colpita si sprigionò una grossa nube di fumo e vapore, che avvolse tutta la
zona centrale della nave, togliendo ogni visibilità esterna alla plancia e
rendendo molto difficile anche soltanto spostarsi tra due punti della nave; le
macchine si fermarono ed il timone smise di funzionare, mentre schegge e
proiettili di mitragliera uccidevano o ferivano decine di uomini. La distanza
era scesa a meno di 1800
metri .
Non per questo la Cigno si dette per vinta; colpita ancora
da diversi proiettili, con ulteriori danni, seguitò a rispondere al fuoco coi
propri cannoni, e lanciò anche i propri siluri, che non andarono a segno. Alle 2.58
il Pakenham lanciò quattro siluri
contro la Cigno. Alle tre di notte,
dopo soli dodici minuti dall’inizio del combattimento, la torpediniera venne
colpita da un siluro a centro nave e spezzata in due da una violenta esplosione.
Il troncone poppiero
affondò subito, portando con sé oltre metà dell’equipaggio. Il troncone
prodiero, invece, rimase a galla ancora per due o tre minuti; durante questo
lasso di tempo il cannone prodiero da 100 mm continuò a sparare sotto la direzione
del sottocapo cannoniere Tullio Botteon, e riuscì a colpire il Pakenham ancora: fu proprio quando già
era spacciata, che la Cigno riuscì a
ferire a morte il proprio avversario. Uno o due proiettili della Cigno raggiunsero il cacciatorpediniere
britannico in corrispondenza della linea di galleggiamento, e le schegge
perforarono le tubolature principali del vapore; la sala macchine venne
allagata, facendo sbandare il Pakenham
di 10 gradi (poi divenuti 15 nel giro di qualche minuto) sulla sinistra. Il
vapore sfuggito dalle tubature perforate ustionò diversi membri
dell’equipaggio, e costrinse il personale di macchina ad abbandonare la sala
macchine ed anche la centrale elettrica principale, lasciando il Pakenham privo di corrente e
momentaneamente immobilizzato.
Sulla Cigno il guardiamarina Piero Ceriana
(ufficiale di rotta), sceso in coperta, raggiunse la radio e – mentre la nave
affondava – avvertì le navi del
convoglio, che seguivano ad alcuni chilometri, dell’attacco in corso, trasmettendo
loro l’ordine di porsi in salvo. Non sopravvisse; alla sua memoria fu conferita
la Medaglia d’Argento al Valor Militare. La stessa decorazione venne decretata
alla memoria del sottotenente di vascello Antonio Badoni, lecchese, direttore
del tiro; due anni prima era stato uno dei soli nove uomini dell’incrociatore San Giorgio che, dopo l’autoaffondamento
della nave a Tobruk, erano riusciti a sfuggire alla cattura rientrando
fortunosamente in Italia. Assegnato alla piazzaforte di Taranto, aveva chiesto
di poter essere nuovamente imbarcato, e così era stato assegnato alla Cigno. Gravemente ferito, Badoni aveva
proseguito la sua opera fino all’affondamento della Cigno, poi era finito in acqua insieme al suo attendente Lorefice,
ed avevano pregato insieme su sua richiesta. Baldoni, che aveva l’addome
squarciato, era poi scomparso; non essendo mai stato ritrovato il suo corpo,
per anni il padre avrebbe cercato di sapere se qualcuno avesse forse recuperato
“un naufrago vagante nel mare”. Si sarebbe dovuto sposare il 3 maggio 1943.
Il cannone prodiero della
torpediniera cessò il fuoco solo quando l’acqua inondò il ponte di prua.
103 dei 150 uomini che
componevano l’equipaggio della Cigno morirono
nel combattimento, affondarono con la nave o scomparvero in mare prima
dell’arrivo dei soccorsi. Il comandante Maccaferri fu tra i 47 sopravvissuti;
essendo salito in controplancia nel tentativo – risultato vano – di vedere
qualcosa da un’altezza maggiore, era finito in mare illeso al momento
dell’affondamento.
Tra i morti vi fu anche
il marinaio pratese Rolando Bulletti, il cui corpo venne trovato il 27 aprile
nei pressi di Pantelleria: indossava però il giubbotto salvagente del sergente
Athos D’Orazi, e questo fu il nome che venne scritto sulla croce della sua
tomba, mentre Bulletti fu dichiarato disperso. Il sergente D’Orazi, tuttavia,
era tra i sopravvissuti della Cigno;
solo anni dopo poté spiegare di aver dato il suo salvagente, al momento
dell’affondamento, a Rolando Bulletti, la cui famiglia poté così avere una
tomba su cui piangere.
Il sacrificio della Cigno non fu vano: la Cassiopea continuò a combattere da sola
contro i due cacciatorpediniere (frattanto anche il Pakenham aveva rimesso in moto) e, benché anch’essa fosse stata
colpita e devastata a sua volta (ebbe 56 vittime a bordo), la reazione delle
due torpediniere ed i danni subiti – insieme all’erronea impressione di avere a
che fare con un incrociatore leggero della classe Capitani Romani, data dalle
dimensioni delle colonne d’acqua sollevate dai proiettili che finivano in mare
– indussero Paladin e Pakenham a spegnere i proiettori, cessare
il fuoco (rispettivamente alle 3.08 ed alle 3.15) e ritirarsi, rinunciando a
portare a fondo l’attacco. La Belluno
era salva.
La malridottissima Cassiopea, presa a rimorchio dalla Climene (poi rimpiazzata dal
rimorchiatore Tifeo), giunse a Trapani alle 10.45. La Belluno, dopo aver sostato temporaneamente davanti a Trapani,
riprese la navigazione e giunse a Tunisi senza un graffio alle 17.15 di quello
stesso giorno.
Quello della Cigno e della Cassiopea fu l’unico caso, nella battaglia dei convogli, nel quale
la scorta di un convoglio italiano – per giunta in condizioni di inferiorità –
riuscì a respingere un attacco di navi di superficie e salvare il convoglio.
Il Pakenham, colpito quattro volte dalle navi italiane (sul lato
sinistro), ebbe un incendio a poppa, un proiettore ed alcune mitragliere da 40 mm messe fuori uso ed alle
4.30 rimase nuovamente immobilizzato (aveva esaurito l’acqua per le caldaie) e
dovette essere preso a rimorchio dal Paladin
(che aveva invece subito solo alcuni danni da schegge). I due
cacciatorpediniere diressero verso Malta alla bassissima velocità di cinque
nodi, e verso le 6.30, dopo che erano stati attaccati anche da aerei (da Malta
furono impiegati 29 caccia Spitfire per proteggerli), il Comando di Malta
ordinò al Paladin di affondare il
gemello, non essendo possibile fornire alle due unità copertura aerea
sufficiente lungo tutta la navigazione di rientro (a quella velocità, ci
avrebbero messo 27 ore per arrivare a Malta). Dopo aver lasciato il rimorchio e
recuperato l’equipaggio del sezionario, il Paladin
lo affondò con due siluri in posizione 37°26’ N e 12°30’ E (11 miglia a sudovest di
Capo Granitola). Finì così il Pakenham,
venti miglia a sud di Marsala; il suo equipaggio aveva perduto nove uomini, ed
un decimo sarebbe morto due giorni dopo.
Da parte britannica si
ritenne, a torto, che Paladin e Pakenham avessero incontrato due
cacciatorpediniere di squadra, affondandoli entrambi. Il risultato dello
scontro fu attribuito all’inesperienza degli equipaggi britannici: Paladin e Pakenham, infatti, erano stati trasferiti in Mediterraneo da pochi
mesi, provenendo dall’Oceano Indiano, dove non avevano mai partecipato ad
operazioni del genere (il solo Paladin
aveva affondato, insieme a due altri cacciatorpediniere, un minuscolo trasporto
militare italiano, lo Stromboli, ma
quella nave era sola e quasi disarmata); gli equipaggi di Cigno e Cassiopea, al
contrario, avevano l’esperienza accumulata in tre anni di scorte sulle rotte
dei convogli.
I morti tra l’equipaggio della Cigno:
(mancano quattordici nomi, forse
appartenenti a caduti tra eventuale personale imbarcato di passaggio)
Carmelo Aliberti, sottocapo cannoniere, disperso
Giuseppe Anastasi, sottocapo meccanico, disperso
Michele Angrisani, sergente silurista, disperso
Pasquale Arena, capo segnalatore di terza classe,
deceduto
Antonio Badoni, sottotenente di vascello, disperso
Ottorino Barbieri, sottocapo radiotelegrafista,
deceduto
Paolo Barbusca, sottocapo radiotelegrafista,
deceduto
Bruno Barozzi, sergente cannoniere, disperso
Vincenzo Bevilacqua, marinaio motorista, deceduto
Giovanni Bianchessi, secondo capo furiere,
disperso
Renato Bignone, marinaio silurista, deceduto
Vincenzo Boccanfusa, marinaio cannoniere, disperso
Francesco Bonati, marinaio torpediniere, disperso
Ettore Brolli, sergente furiere, deceduto
Rolando Bulletti, marinaio cannoniere, deceduto
Francesco Buscoglione, sottocapo cannoniere,
disperso
Carmelo Butera, marinaio cannoniere, disperso
Dario Calabrese, marinaio fuochista, disperso
Franco Campesi, sottocapo nocchiere, deceduto
Antonio Capuano, marinaio, disperso
Domenico Casaletti, sergente silurista, disperso
Fabiano Castellini, marinaio cannoniere, disperso
Francesco Catania, marinaio radiotelegrafista,
disperso
Nicola Cavo, marinaio elettricista, disperso
Osvaldo Cazzola, marinaio fuochista, disperso
Pietro Ceriana, guardiamarina, disperso
Mario Ciampi, marinaio torpediniere, disperso
Accursio Cirafisi, marinaio cannoniere, disperso
Fausto Coccia, capo meccanico di seconda classe,
deceduto
Ubaldo Corvaglia, marinaio nocchiere, disperso
Gennaro D’Andria, marinaio, deceduto
Francesco Dagnello, marinaio fuochista, disperso
Otello De Carolis, sottocapo nochiere, deceduto
Sergio De Iudicibus, marinaio motorista, disperso
Vittorio De Martin, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Del Gaudio, marinaio silurista, disperso
Maggiorino Della Valle, marinaio cannoniere,
disperso
Michele Di Bello, sottocapo cannoniere, disperso
Enrico Di Salvo, marinaio fuochista, deceduto
Alberto Dicosolo, sottocapo radiotelegrafista,
deceduto
Antonio Fago, sottocapo meccanico, disperso
Anselmo Ferrarese, marinaio fuochista, disperso
Aurelio Fravolini, sergente cannoniere, disperso
Renzo Fruzzetti, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Gaspare Giattino, sottocapo cannoniere, deceduto
Giovanni Giudici, marinaio cannoniere, disperso
Antonio Gramaglia, marinaio elettricista, deceduto
Giovanni Guerrini, marinaio S. D. T., deceduto
Antonio Ialacci, marinaio fuochista, deceduto
Filippo Impallomeni, marinaio fuochista, disperso
Strato Improta, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Interdonato, capitano del Genio Navale,
deceduto
Franco Leoni, marinaio elettricista, disperso
Pasquale Luongo, sottocapo cannoniere, disperso
Giuseppe Maccagnani, secondo capo
radiotelegrafista, disperso
Francesco Maglionico, marinaio fuochista, disperso
Michele Marino, marinaio meccanico, disperso
Paolo Miano, secondo capo cannoniere, deceduto
Luciano Micheli, marinaio cannoniere, disperso
Armando Montani, sottotenente di vascello,
deceduto
Quinto Moriconi, secondo capo silurista, disperso
Bruno Morsan,
sottocapo fuochista, deceduto
Angelo Nocca, marinaio furiere, disperso
Giuseppe Orlandi, marinaio fuochista, disperso
Vincenzo Pennestri, marinaio fuochista, disperso
Adolfo Piazzesi, marinaio torpediniere, deceduto
Mario Pittin, marinaio cannoniere, deceduto
Giuseppe Polizzi, secondo capo cannoniere,
disperso
Giovanni Proia, sottocapo elettricista, disperso
Renato Rasori, secondo capo meccanico, disperso
Gaetano Riitto, marinaio, deceduto
Dario Ripa, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Russo, marinaio cannoniere, deceduto
Salvatore Russo, marinaio cannoniere, disperso
Aldo Salcioli, capo meccanico di terza classe,
deceduto
Sergio Santetti, marinaio silurista, deceduto
Raimondo Sardo, marinaio fuochista, deceduto
Salvatore Scilipoti, marinaio, disperso
Elio Sech, marinaio, disperso
Orlando Silli, sottocapo cannoniere, deceduto
Giuseppe Stoicovich, marinaio, disperso
Paolo Tarallo, marinaio, deceduto
Giuseppe Toso, marinaio motorista, disperso
Alfiero Tripolio, marinaio elettricista, disperso
Cosmo Trisolini, marinaio, disperso
Olivo Ulcigrai, sottocapo nocchiere, disperso
Roberto Valentini, marinaio fuochista, disperso
Ino Veronese, marinaio fuochista, disperso
Amalfi Zanutta, marinaio cannoniere, disperso
Lapide in memoria del marinaio cannoniere trapanese Salvatore Russo, morto nell’affondamento della Cigno (g.c. Giuseppe Romano) |
La Cigno a Venezia (Coll. Guido Alfano via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)
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Ho letto con attenzione ed interesse la lunga storia della nave Cigno e le tante tragedie accadute.Mio zio, il sergente Bacino Giuseppe,uno dei pochi sopravissuti, mi raccontava spesso delle tante battaglie subite dalla sua nave e questo sempre con l'immaginabile commozione per i tanti fratelli morti nella battaglia finale. Desidero ringraziare l'autore dell'articolo.Lo copio e allego nel mio diario di famiglia.Ancora grazie, vi leggo spesso. Con profonda stima Aldo Bacino.
RispondiEliminaBuongiono Lorenzo. Per notizia, a Bengasi nel settembre del 1940, la Cigno era al comando del capitano di corvetta Mariano Imperiali di Francavilla (che poi divenne genero del Grande Ammiraglio Thaon di Revel, avendone sposato la figlia Clorinda)
RispondiEliminaGrazie, aggiungo l'informazione. Era parente del C.F. Riccardo Imperiali?
Eliminafratello
RispondiEliminaGrazie
EliminaNegli attimi dell'ultima battaglia del Cigno rimase gravemente ferito anche il Sottocapo S.D.T. Percuoco Orlando nato a Boscoreale, Napoli, nel 1914.
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