venerdì 1 maggio 2015

Gino Allegri

La Gino Allegri (g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net)

Motonave da carico di 6836 tsl, 4020 tsn e 9192 tpl, lunga 138,68 metri, larga 18,92 e pescante 12,10, con velocità di 15,8 nodi. Appartenente alla Società Oriens – Linee Triestine per l’Oriente (il Lloyd Triestino) ed iscritta con matricola 453 al Compartimento Marittimo di Trieste.
Appartenente alla “classe” Filzi (Fabio Filzi, Carlo Del Greco, Gino Allegri, Mario Roselli, Reginaldo Giuliani) costruita nei CRDA di Monfalcone per il Lloyd Triestino, fece parte del primo “gruppo” di nove grandi e veloci motonavi da carico di nuova costruzione ad entrare in servizio tra l’agosto ed il dicembre 1941, permettendo, per la prima volta dall’inizio della guerra, di formare convogli veloci di motonavi da carico; fu anche una delle prime ad andare perduta, in un periodo relativamente tranquillo della battaglia dei convogli.

Breve e parziale cronologia.

18 marzo 1940
Impostata nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone (numero di costruzione 1238).
26 febbraio 1941
Varata nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone.


Tre immagini della cerimonia del varo della Gino Allegri (Ente Regionale Patrimonio Culturale della Regione Friuli Venezia Giulia):




18 dicembre 1941
Completata e contestualmente requisita a Trieste dalla Regia Marina, senza essere iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
24 dicembre 1941
Alle otto del mattino l’Allegri, appena uscita dai cantieri di Monfalcone, lascia Trieste per trasferirsi a Brindisi, scortata dal cacciatorpediniere Freccia (capitano di fregata Alvise Minio Paluello).
Per l’Allegri è la prima navigazione in mare aperto: nuova di zecca, la motonave raggiunge la ragguardevole velocità (per una nave da carico) di 17 nodi.
25 dicembre 1941
Allegri e Freccia giungono a Brindisi, dove la motonave inizia a caricare rifornimenti per la sua prima traversata verso l’Africa Settentrionale.
3 gennaio 1942
Dopo aver imbarcato 4175 tonnellate di rifornimenti (23 tonnellate di munizioni per le forze italiane, 1330 tonnellate di carburante per le forze italiane e 788 per le forze tedesche, 1371 tonnellate di altri materiali per le forze italiane e 663 per le forze tedesche), 33 carri armati (20 italiani e 13 tedeschi), 92 automezzi (79 italiani e 13 tedeschi) e 97 militari (72 italiani e 25 tedeschi), l’Allegri lascia Brindisi alle 13.15, scortata dal cacciatorpediniere Freccia e dalla torpediniera Procione, nell’ambito dell’operazione di rifornimento «M. 43». È, per la motonave, il primo viaggio.
Nell’ambito di questa operazione, l’Allegri e la sua scorta compongono il convoglio numero 3; la «M. 43» prevede in tutto l’invio in Libia di cinque grandi motonavi da carico ed una petroliera, tutte veloci (almeno 14 nodi) e di recente costruzione, con una scorta poderosa: oltre alle siluranti di scorta di ciascun convoglio, vi sono una forza di «scorta diretta incorporata nel convoglio» (ammiraglio di squadra Carlo Bergamini, con il compito di respingere eventuali attacchi di formazioni leggere di superficie come la Forza K) composta dalla corazzata Duilio con gli incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, Raimondo Montecuccoli, Muzio Attendolo e Giuseppe Garibaldi ed i cacciatorpediniere Maestrale, Scirocco, Alfredo Oriani e Vincenzo Gioberti, ed un gruppo d’appoggio a distanza (ammiraglio di squadra Angelo Iachino, con l’incarico di proteggere il convoglio da un eventuale attacco in forze della Mediterranean Fleet) formato dalle corazzate Littorio, Giulio Cesare ed Andrea Doria, dagli incrociatori pesanti Trento e Gorizia e dai cacciatorpediniere Aviere, Geniere, Carabiniere, Alpino, Camicia Nera, Ascari, Antonio Pigafetta ed Antonio Da Noli. Alla scorta aerea concorrono la Regia Aeronautica (Armata Aerea e Ricognizione Marittima) e la Luftwaffe (II Corpo Aereo Tedesco e X Corpo Aereo Tedesco, di base l’uno in Sicilia e l’altro in Grecia) per effettuare ricognizione sul porto della Valletta (Malta) e nelle acque di Alessandria, bombardamenti preventivi sugli aeroporti maltesi e scorta di caccia, antiaerosilurante ed antisommergibile sui cieli del convoglio nonché a protezione delle navi impegnate nello scarico una volta giunte a Tripoli. Completa il dispositivo di difesa la dislocazione di undici sommergibili sulle probabili rotte che una ipotetica forza navale nemica dovrebbe percorrere per attaccare il convoglio.
4 gennaio 1942
Tra le 4 e le 11, come previsto, il convoglio «Allegri» si unisce ai convogli 1 (motonavi Monginevro, Lerici e Nino Bixio, cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi, Nicoloso Da Recco, Antoniotto Usodimare, Bersagliere e Fuciliere) e 2 (motonave Monviso, motocisterna Giulio Giordani, torpediniere Orsa, Aretusa, Castore ed Antares), partiti rispettivamente da Messina e Taranto; si forma così un unico grande convoglio, il cui caposcorta è il contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone sul Vivaldi. Mentre il convoglio «Allegri» si unisce al Gruppo «Duilio», la III Divisione Navale (Trento e Gorizia) del gruppo d’appoggio viene avvistata da un ricognitore britannico; da Malta decolla una formazione aerea per attaccare, ma deve rientrare senza essere riuscita a trovare il convoglio. Al tramonto il gruppo «Duilio» s’incorpora nella formazione del convoglio, che durante la notte mette la prua su Tripoli.


L’Allegri in navigazione (g.c. Manuel Staropoli)

5 gennaio 1942
Il gruppo «Duilio» lascia il convoglio, che giunge indenne a Tripoli alle 12.30 senza aver subito alcun attacco.
19 gennaio 1942
Allegri (che ha imbarcato 439 internati, di cui 424 anglo-maltesi, 5 greci e 10 ebrei inglesi) e Lerici lasciano Tripoli alle 16.30 per rientrare a Trapani, scortate dai cacciatorpediniere Antonio Da Noli (caposcorta) e Saetta e dalla torpediniera Clio. Durante la navigazione l’Allegri evita di stretta misura una mina al largo di Pantelleria.
20 gennaio 1942
Le due motonavi arrivano a Trapani alle 20.20.
21 febbraio 1942
In serata l’Allegri lascia Napoli diretta a Palermo, con la scorta del cacciatorpediniere Freccia (capitano di fregata Alvise Minio Paluello).
22 febbraio 1942
Dopo una navigazione tranquilla nonostante il mare grosso, Allegri e Freccia entrano a Palermo in serata.
Allegri e Freccia rimangono poi a Palermo per oltre una settimana, mentre il porto si va sempre più riempiendo di navi mercantili e militari: corre voce che Tripoli sia sovraffollata di navi sotto scarico e non possa, per il momento, riceverne altre. Tra i bastimenti che entrano a Palermo nei giorni seguenti vi è anche la motonave tedesca Cuma, carica di 480 tonnellate di carburante nonché carri armati, bombe d’aereo, fusti di benzina, parti di ricambio, automezzi e munizioni, che va ad ormeggiarsi proprio accanto all’Allegri.
2 marzo 1942
Dopo che nei giorni precedenti ricognitori britannici hanno a più riprese sorvolato il porto, tra la tarda serata del 2 marzo e le prime ore del 3 Palermo viene sottoposta ad una violenta incursione aerea britannica, avente per obiettivo le molte navi che affollano il porto.
Questo bombardamento, il più violento tra quelli subiti da Palermo tra la fine del 1941 e gli inizi del 1943 (quando l’arrivo dell’USAAF segnerà l’inizio di un crescendo di morte e distruzione senza precedenti), è stato deciso dai britannici dopo che un volo di ricognizione condotto il 2 marzo dal capitano Adrian Warburton – uno dei più celebri piloti della RAF di base a Malta – ha rilevato la presenza in porto di alcune grosse navi mercantili cariche, presumibilmente, di rifornimenti diretti in Nordafrica. Warburton, che ha compiuto il suo volo tra le 13 e le 13.45 a bordo di un Bristol Beaufighter del 22nd Squadron del Coastal Command della RAF (in precedenza, il mattino 1° marzo, già un altro Beaufighter aveva compiuto un primo volo di ricognizione su Palermo, senza incontrare opposizione; Warburton è invece stato bersagliato per alcuni minuti dalla contraerea, ma non ha subito danni ed è riuscito anche a sfuggire al caccia mandato ad intercettarlo), ha scattato varie foto del porto e delle navi presenti, e dopo averle esaminate i Comandi di Malta hanno pianificato una missione di entità considerevole in rapporto alle magre forze aeree stanziate a Malta in quel periodo (l’isola si trova infatti sotto pesantissimo martellamento da parte dei bombardieri dell’Asse, che ne riducono fortemente le capacità offensive). Contro Palermo sono stati inviati in tutto 16 bimotori Vickers Wellington del 37th Squadron della Royal Air Force (decollati dalla base maltese di Luqa), i quali, privi di scorta di caccia, conducono l’attacco in due ondate, da una quota di 3000 metri, provenendo dal mare.
L’allarme aereo viene dato alle 21 (secondo altra fonte, invece, alle 22.30); al rumore degli aerei in avvicinamento segue l’apertura di un fitto fuoco di sbarramento da parte delle mitragliere poste a difesa del porto, che faranno fuoco senza interruzione fino alla fine dell’incursione. Entrano in funzione anche gli apparati nebbiogeni, che avvolgono il porto in una fitta cortina di nebbia artificiale per impedire agli aerei di individuare i bersagli.
La prima ondata, di dieci aerei, arriva su Palermo alle 22.35 del 2 marzo (secondo altra fonte, poco prima di mezzanotte) e sgancia 26 bombe sull’area portuale (per complessive 27 tonnellate di esplosivo): i bombardieri attaccano singolarmente od in coppia, ad intervalli di una decina di minuti l’uno dall’altro, sorvolando il porto da nord verso sud. A dispetto dell’attivazione degli apparati nebbiogeni, i Wellington, al terzo passaggio, colpiscono a poppa la Cuma, ancorata alla testata del Molo Nord: la nave prende fuoco, illuminando il porto con i bagliori del suo incendio. Dopo aver colpito il porto, i dieci Wellington lanciano un’altra sessantina tra bombe dirompenti e spezzoni incendiari sulla città.
Gli incendi scatenati dalle ondate precedenti, e specialmente quello che divampa sulla Cuma, permettono ora ai bombardieri di individuare gli obiettivi con maggiore facilità, a dispetto della nebbia artificiale; come se non bastasse, sulla Cuma stanno iniziando a scoppiare anche munizioni di maggiore potenza, e si teme che l’intero, pericolosissimo carico della motonave tedesca possa saltare in aria con conseguenze disastrose per il porto e le navi ormeggiate nei pressi. Tra queste ultime è anche l’Allegri, che anzi è la più vicina, ormeggiata ad appena venti metri di distanza dalla Cuma (sulla sinistra della nave tedesca), e dunque la più a rischio, anche perché del suo carico fanno parte fra l’altro pericolosissime munizioni di grosso calibro: il comandante militare della motonave italiana, tenente di vascello Giuseppe Arienti, si rende conto del pericolo e dà l’ordine di tagliare le cime d’ormeggio dell’Allegri, per spostarla verso l’antistante molo Vittorio Veneto.
Tagliati dunque gli ormeggi, la motonave scosta dalla Cuma e si avvicina al Freccia, andandosi ad ormeggiare in testata allo stesso molo cui è attraccato il cacciatorpediniere; nelle pause tra una scarica di bombe e l’altra anche i marinai del Freccia scendono a terra per aiutare l’Allegri ad ormeggiarsi. Una nave cisterna, ormeggiata anch’essa accanto alla Cuma, viene autoaffondata dall’equipaggio per evitare una possibile esplosione.
3 marzo 1942
La prima ondata termina il suo attacco alle due di notte del 3 marzo, e già alle 2.14 arriva la seconda, composta da sei Wellington, che sganciano un’altra cinquantina di bombe. Alle quattro del mattino viene centrato ed affondato il piroscafo Le Tre Marie (che verrà successivamente recuperato e riparato). Nonostante il violento e continuo tiro da parte sia della contraerea di terra che delle armi contraeree delle navi da guerra presenti in porto, nessuno dei Wellington viene abbattuto; ed a dispetto della vicinanza della base aerea di Boccadifalco, nessun caccia italiano o tedesco decolla per tentare il contrattacco.
Il bombardamento ha finalmente termine alle 5.50, ma il pericolo non è passato: la Cuma è ancora a galla ma continua a bruciare, scossa da continue esplosioni che proiettano schegge in ogni direzione, mentre l’Allegri è ancora ormeggiata in testata, ad appena trecento metri dalla nave tedesca.
La catastrofe tanto temuta si verifica infine alle 7.25: mentre è in corso il salvataggio dei marinai gettatisi nelle acque del porto e lo spostamento dell’Allegri, ormeggiata pericolosamente vicino alla Cuma, la nave tedesca erompe in una colossale esplosione, danneggiando le altre navi ormeggiate nei suoi pressi e lanciando rottami metallici di ogni dimensione – alcuni grandi anche diversi metri quadrati – a distanza anche di due chilometri, fino al Foro Italico ed a Piazza Politeama. Un’enorme onda di fuoco, alimentata dal carburante sparsosi sulla superficie del mare, avanza minacciosamente verso le altre navi ormeggiate e verso la città; è l’improvviso cambio di direzione del vento a salvare le altre navi e Palermo stessa da maggiori distruzioni. Per il porto ed il centro abitato, l’esplosione della Cuma è risultata più distruttiva che non il bombardamento stesso.
L’Allegri viene danneggiata dall’esplosione e circondata da un vero e proprio mare di fiamme, alimentato dal carburante che galleggia sulle acque del porto: c’è il rischio che prenda fuoco a sua volta, con effetti ancor più distruttivi se il suo carico – ancor più pericoloso di quello della Cuma – dovesse saltare: ma con abili manovre riesce ad allontanarsi e portarsi fuori pericolo. Il sottocapo nocchiere Alessandro Caldara, imbarcato sul Freccia, descrive così questi momenti: “…improvvisamente il cielo si infiamma: uno scoppio colossale, tremendo, seguito da uno spostamento d’aria che mi scaraventa sotto lo scudo e mi fa rimanere senza respiro per parecchi secondi, il tutto accompagnato da una vera pioggia di rottami, proietti, lamiere! (…) Gridano che si è incendiato il mare… Mi precipito fuori e vedo la gente delle altre navi che fugge a terra terrorizzata. Un’occhiata alla motonave saltata basta a convincermi che non c’è tempo da perdere: la benzina in fiamme sull’acqua dilaga verso la Gino Allegri e verso di noi. (…) tutti i quartieri vicini alla zona portuale vengono sgomberati in fretta dalla popolazione perché se salta l’altra motonave [cioè l’Allegri], salta Palermo. Fortuna e coraggio del comandante del Gino Allegri, che riesce a scongiurare questa catastrofe. Manovrando la grossa nave in mezzo alle fiamme riesce a portarla fuori pericolo, mettendo al sicuro la nave stessa e la città”.
Le vittime, tra civili e militari, sono diverse decine, soprattutto tra gli equipaggi delle navi presenti nel porto: tra queste ultime, proprio l’Allegri lamenta il bilancio più pesante, con 36 uomini che risulteranno morti o dispersi. Vi sono inoltre 19 morti e 10 feriti sulla torpediniera Partenope (colpita da bombe mentre è in bacino di carenaggio), due morti e dieci feriti sul piroscafo Assunta De Gregori (colpito da schegge), un morto e cinque feriti sul Freccia (sforacchiato da innumerevoli schegge), alcuni feriti sul cacciatorpediniere Folgore (che subisce danni da schegge alle sovrastrutture) e sulla nave officina Antonio Pacinotti (anch’essa lievemente danneggiata da schegge), oltre ad un imprecisato numero di vittime tra l’equipaggio della Cuma. In totale i feriti tra i militari sono 127; tra la popolazione civile palermitana, le vittime sono 6 ed i feriti 108.
Le navi affondate sono quattro, tutte tra quelle che erano ormeggiate alla testata del Molo Nord: la Cuma (completamente distrutta, ovviamente), i piroscafi Securitas e Le Tre Marie (entrambi successivamente recuperati e riparati) e la piccola nave cisterna Tricolore (anch’essa poi recuperata), oltre alla bettolina militare G.R. 42. Oltre alle navi citate più sopra, subiscono danni i piroscafi tedeschi Salvador e Ruhr, il cacciatorpediniere Strale, la torpediniera Giuseppe Cesare Abba e la cisterna militare Marte, che tuttavia non lamentano perdite tra gli equipaggi, ed altre 28 imbarcazioni di ogni tipo e dimensioni.
A terra, Villa Lampedusa, l’Opera Pia Collegio di Maria Immacolata al Borgo, lo scalo d’alaggio Sicari, uno stabilimento per la lavorazione del sommacco e numerose abitazioni (nelle vie XX Settembre, Siracusa, Trapani, dello Speziale, Collegio, Ruffino, Vicolo della Cera, E. Amari, La Marmora, Vicolo Fiammetta al Borgo) sono danneggiate o distrutte dalle bombe; ben 85 edifici lamentano danni di varia entità per effetto dell’esplosione della Cuma (tra gli altri, un edificio viene gravemente danneggiato da una lamiera del peso di 400 kg), che ha inoltre scardinato migliaia di infissi in tutta la città e provocato alcune vittime anche a terra (una donna uccisa da rottami di lamiera in Via Quinta Casa, un pescatore ucciso da un rottame lanciato dall’esplosione, un civile ucciso da schegge in località Fossa del Gallo, un marinaio ucciso da una scheggia sul motoveliero Italo Orlando). I Vigili del Fuoco eseguiranno ben 147 interventi.
In serata Allegri e Freccia possono finalmente lasciare Palermo e si trasferiscono a Messina, dove giungono l’indomani.


La Gino Allegri in una foto del marzo 1942 (da “Navi mercantili perdute” di Rolando Notarangelo e Gian Paolo Pagano, USMM, Roma 1997)

7 marzo 1942
L’Allegri salpa da Messina alle cinque del mattino, scortata dai cacciatorpediniere Bersagliere ed Antonio Da Noli, formando il convoglio numero 2 dell’operazione di traffico «V. 5». Alle 19.20, a sud di Santa Maria di Leuca, il convoglio dell’Allegri si riunisce con il convoglio numero 1, partito da Brindisi con le motonavi Nino Bixio e Reginaldo Giuliani e la scorta del cacciatorpediniere Antonio Pigafetta e della torpediniera Aretusa (poi rimpiazzata dal cacciatorpediniere Scirocco); le navi proseguono poi per meridiano sino all’imbocco del Golfo della Sirte.
8 marzo 1942
Alle 7.30, al convoglio 1-2 si aggrega anche il numero 3, composto dalla motonave Monreale proveniente da Napoli con le torpediniere Castore e Circe ed i cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi e Fuciliere; entro le 8.30, a 190 miglia da Leuca, si forma così un unico convoglio sotto il comando del capitano di vascello Enrico Mirti della Valle, imbarcato sul Pigafetta. Poco dopo, alle 9.45, sopraggiunge anche il gruppo di scorta, al comando dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten, formato dagli incrociatori Eugenio di Savoia, Raimondo Montecuccoli e Giuseppe Garibaldi e dai cacciatorpediniere Alfredo Oriani, Aviere, Ascari e Geniere; tale gruppo zigzaga a 16-18 nodi di velocità mantenendosi poco a poppavia del convoglio, che procede a 15 nodi verso sud passando a 190 miglia da Malta. La scorta aerea è fornita da due bombardieri medi CANT Z. 1007 della Regia Aeronautica e da sei tra bombardieri Junkers Ju 88 e caccia pesanti Messerschmitt Me 110 della Luftwaffe; comunque non si concretizza alcuna minaccia da parte degli aerei di Malta, essendo l’isola sottoposta a continui bombardamenti da più di due mesi (la cui intensità viene peraltro aumentata quando vengono inviati grossi convogli). Al tramonto il gruppo di scorta viene “incorporato” nel convoglio.
9 marzo 1942
Al largo di Ras Cara (punto d’atterraggio), in mattinata, il gruppo di scorta lascia il convoglio e si posiziona in modo da coprirlo da eventuali attacchi di navi britanniche, che però non hanno luogo. Alle 7.30 Scirocco e Pigafetta lasciano anch’essi il convoglio per rinforzare la scorta di un altro partito da Tripoli per tornare in Italia (e che ha in quel momento incrociato quello proveniente dall’Italia); l’Allegri e le altre navi entrano nel porto di Tripoli tra le 17.30 e le 18.
17 marzo 1942
L’Allegri lascia Tripoli alle 22 scortata dalla torpediniera Circe, navigando di conserva con motonave Reginaldo Giuliani e la torpediniera Perseo (ambedue partite da Tripoli mezz’ora prima), per tornare a Palermo nell’ambito dell’operazione «Sirio», che vede in mare una serie di convogli da e per la Libia (piroscafo Reichenfels e motonave Vettor Pisani da Napoli e Messina a Tripoli con i cacciatorpediniere Vivaldi, Malocello, Pessagno e Zeno e le torpediniere Pallade e Prestinari; piroscafo Assunta De Gregori da Palermo a Tripoli con il cacciatorpediniere Premuda e la torpediniera Castore; motonavi Nino Bixio e Monreale da Tripoli a Napoli con la stessa scorta che ha scortato Pisani e Reichenfels sulla rotta opposta) fruenti della protezione a distanza dell’incrociatore leggero Duca d’Aosta con i cacciatorpediniere Grecale e Scirocco.
Nella notte il convoglio dell’Allegri viene infruttuosamente attaccato da aerei.
18 marzo 1942
In mattinata si uniscono alla scorta di Allegri e Giuliani, per il tratto da Pantelleria a Trapani (cioè fino al primo pomeriggio), anche i MAS 563 e 564. L’Allegri (con la Circe) arriva a Palermo alle 23.30, preceduta di mezz’ora dalla Giuliani (con la Perseo).

Un’altra immagine della motonave (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)

30 marzo 1942
In serata l’Allegri salpa da Napoli alla volta di Augusta, scortata dal Freccia (il cui equipaggio considera ormai l’Allegri come la “propria” motonave, perché, come spiega Alessandro Caldara, “la prima uscita in mare l’ha fatta con noi, quando l’abbiamo prelevata nuova di zecca dai cantieri navali di Trieste”). Rotta per la Sicilia, a 15 nodi, con un po’ di difficoltà causate dal mare lungo in poppa.
1° aprile 1942
Al largo di Stromboli due torpediniere si recano incontro a Freccia ed Allegri, che accompagneranno fin dopo lo stretto di Messina: nelle vicinanze, infatti, un ricognitore ha segnalato un sommergibile in agguato. Anche il Freccia raddoppia le vedette, ma non accade niente. Durante la notte il convoglietto entra ad Augusta; l’Allegri si ancora in rada, mentre il Freccia si ormeggia ad una boa. La partenza per Tripoli, prevista per la sera stessa, viene rimandata di ventiquattr’ore all’ultimo momento.
3 aprile 1942
L’Allegri e la motonave Monreale salpano da Augusta per Tripoli alle due di notte, scortate dai cacciatorpediniere Freccia e Nicolò Zeno, nell’ambito dell’operazione di traffico «Lupo» (invio in Libia di 6 moderne motonavi). Al tramonto il convoglio «Allegri» si aggrega ad un più grande convoglio formato dalle motonavi Nino Bixio, Monviso, Lerici ed Unione scortate dai cacciatorpediniere Antonio Pigafetta (caposcorta), Antonio Da Noli, Emanuele Pessagno, Euro e Folgore e dalle torpediniere Pallade e Centauro, a sua volta frutto dell’unione di due convogli partiti da Taranto e Messina.
Forniscono scorta a distanza l’incrociatore leggero Eugenio di Savoia ed i cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi e Mitragliere, mentre la scorta aerea è assicurata da 17 velivoli.
4 aprile 1942
Alle cinque del mattino il convoglio viene avvistato da ricognitori nemici; nonostante reiterati attacchi aerei, tutte le navi (il cui carico complessivo assomma a 6190 tonnellate di carburante, 14.955 tonnellate di munizioni ed altri rifornimenti, 769 tra automezzi e rimorchi, 82 carri armati e 327 uomini) giungono indenni a Tripoli in mattinata.
11 aprile 1942
L’Allegri riparte da Tripoli per Napoli alle 19, scortata dalla torpediniera Centauro.
12 aprile 1942
Il convoglio, essendo stato avvistato da un ricognitore, viene dirottato a Messina durante la notte.
13 aprile 1942
Allegri e Centauro giungono a Napoli alle 10.30.



(da "Il Piccolo", via Manuel Staropoli)

22 aprile 1942
L’Allegri e la motonave Agostino Bertani (convoglio «C») salpano da Napoli per Tripoli alle 22.30, scortati dai cacciatorpediniere Antonio Pigafetta (caposcorta) e Nicolò Zeno.
23 aprile 1942
Alle 17 Pigafetta e Zeno lasciano il convoglio «C» per assumere la scorta del convoglio «K», in navigazione sulla stessa rotta ma in direzione opposta; la scorta di Allegri e Bertani viene assunta dalle vecchie torpediniere Generale Antonio Cantore e Generale Carlo Montanari giunte da Tripoli con i motodragamine tedeschi R 12 e R 15.
24 aprile 1942
Dopo aver superato indenne attacchi di bombardieri ed aerosiluranti, il convoglio «C» giunge a Tripoli alle 12.30.
30 aprile 1942
Allegri e Bertani ripartono da Tripoli alle 19 per tornare a Napoli, scortate dai cacciatorpediniere Premuda (caposcorta) e Lanzerotto Malocello.
2 maggio 1942
Il convoglio arriva a Napoli alle 6.15.
10 maggio 1942
L’Allegri, con a bordo 94 militari, 154 tra veicoli e mezzi corazzati e 4049 tonnellate di rifornimenti (3544 tonnellate di munizioni ed altri materiali e 505 tonnellate di carburanti e lubrificanti), parte da Napoli alle 17.15 insieme alle motonavi Reginaldo Giuliani, Agostino Bertani e Reichenfels, quest’ultima tedesca, e con la scorta dei cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco (caposcorta, capitano di vascello Aldo Cocchia) e Premuda e delle torpediniere Pallade e Polluce: si tratta del convoglio «G», uno dei tre in mare per l’operazione di traffico «Mira», consistente nell’invio a Tripoli di sei grandi e moderne motonavi suddivise in tre convogli. Per la prima volta, per maggior protezione ed a titolo sperimentale, la scorta sarà interamente costituita da siluranti dotate di ecogoniometro.
11 maggio 1942
Alle 3.30 la Giuliani, colta da un’avaria del timone, deve rifugiarsi a Palermo scortata dal Premuda (potrà comunque ripartire poco dopo, arrivando a Tripoli il 14).
All’alba il convoglio «G» si congiunge con gli altri due convogli di «Mira», l’«X» (motonave Unione e torpediniera Climene, partite da Messina) e l’«H» (motonave Ravello e torpediniera Castore, partite da Napoli), costituendo un unico convoglio sotto il comando del capitano di vascello Cocchia sul Da Recco. Il convoglio imbocca la rotta di ponente per giungere a Tripoli.
12 maggio 1942
Alle 00.05 il convoglio viene raggiunto dalla torpediniera Generale Marcello Prestinari, inviata da Tripoli per Pilotarlo sulle rotte di sicurezza.
Tutte le navi, nonostante attacchi aerei e subacquei nemici nel Canale di Sicilia, arrivano a Tripoli in mattinata (tra le 6.40 e le 9.45) con uno dei più grandi carichi mai portati in Libia da un singolo convoglio.
17 maggio 1942
L’Allegri lascia Tripoli alle 6.30 per rientrare a Brindisi, scortata dal Da Recco. Durante la navigazione, a causa dell’inesperienza dei comandanti militare e civile, che non seguono gli ordini impartiti dal caposcorta capitano di vascello Aldo Cocchia, la motonave rischia di andare a finire su un campo minato italiano, costringendo il Da Recco, risultato vano ogni altro mezzo ed essendo il pericolo imminente, a segnalarle apertamente via radio quanto sta rischiando, con segnali lanciati in chiaro, così infrangendo le norme in vigore per la navigazione di guerra.
19 maggio 1942
Allegri e Da Recco giungono a Brindisi all’una di notte.

Vista da poppa (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)

L’affondamento

Alle 13.45 del 29 maggio 1942 l’Allegri salpò ancora una volta da Brindisi diretta a Bengasi, costituendo con il suo cacciatorpediniere di scorta, il Nicoloso Da Recco (capitano di vascello Aldo Cocchia, caposcorta), il convoglio «L». Una volta in mare aperto, le due navi assunsero una velocità di 15,5 nodi. Marina Taranto aveva predisposto una scorta aerea in funzione antisommergibili, che accompagnò Allegri e Da Recco fino al tramonto.
Nelle stive dell’Allegri si trovavano 4000 tonnellate di rifornimenti per le truppe italo-tedesche operanti in Africa Settentrionale, compresi 160 autoveicoli, 400 tonnellate di nafta per la Regia Marina e ben 1800 tonnellate di munizioni. Erano inoltre imbarcati sulla motonave 148 militari di passaggio diretti in Africa Settentrionale (3 ufficiali e 145 sottufficiali e soldati) oltre ad un equipaggio civile di 49 uomini e ad un equipaggio militare di consistenza numerica imprecisata; in tutto, circa trecento anime si trovavano sull’Allegri in quella traversata. Comandante dell’equipaggio civile era il capitano di lungo corso Ferdinando Holzhausen, anconetano; comandante dell’equipaggio militare il tenente di vascello di complemento Giuseppe Arienti, camogliese.
Altri quattro membri dell’equipaggio civile erano sbarcati a Brindisi due giorni prima della partenza, per una licenza: una vera fortuna, per loro. Tra di essi era il cuoco triestino Albino Sist, di 34 anni, imbarcatosi sull’Allegri a Napoli il 29 gennaio 1942; andando in licenza, fu sostituito da un cuoco napoletano (entrambi i cuochi dell’Allegri nel suo ultimo viaggio, Antonio Cardinale ed Armando Pintarelli, erano di Napoli). Per Sist questo avvicendamento avrebbe significato la vita, per il suo rimpiazzo la morte. Sist avrebbe continuato a navigare ancora per molti anni, spegnendosi nel 1990 all’età di 82 anni.
Sfortunatamente, come ricordò in seguito il caposcorta Cocchia del Da Recco, sia il comandante civile che quello militare dell’Allegri erano poco abituati a navigare in convoglio, pertanto la nave stava male in formazione, ed i suoi due comandanti seguivano con poca convinzione le disposizioni del caposcorta. Inoltre l’Allegri era provvista di radiosegnalatori per comunicare con la propria scorta, ma a detta di Cocchia apparteneva a quella categoria di navi con cui “le comunicazioni a volte andavano piuttosto male, o perché non capivano, o perché facevano finta di non sentire o perché gli apparati, sempre delicati, non erano in ordine”. Fuori Otranto, il Da Recco avvistò un sommergibile emerso che si stagliava vistosamente contro la luna; il convoglio era stato avvisato che avrebbe incontrato un U-Boot tedesco, ma la posizione e l’ora del previsto incontro erano differenti, e non vi era quindi certezza sulla nazionalità del battello avvistato. Cocchia riteneva necessario, prima di chiarire tale dubbio, mettere al sicuro l’Allegri da ogni possibile attacco da parte del sommergibile, ed a questo scopo impartì alla motonave, con tutti i mezzi disponibili, una serie di ordini di cambiare rotta, ma il mercantile non diede segno di aver inteso, anzi, secondo Cocchia, “sembrava che la «L» [così Cocchia chiama l’Allegri, senza mai farne esplicitamente il nome] facesse apposta per mettersi nelle condizioni migliori per essere attaccata”. Alla fine fu il sommergibile, accortosi a sua volta della presenza delle due navi, a risolvere la questione immergendosi; il Da Recco lanciò solo alcune bombe di profondità a scopo intimidatorio regolate per scoppiare a bassa profondità, così che un sommergibile amico, immersosi in profondità per evitare incidenti, non ne sarebbe stato danneggiato, mentre un battello nemico, rimasto poco sotto la superficie per attaccare, non sarebbe potuto passare all’attacco.

Alle 6.30 del 30 maggio, nel punto 37°26’ N e 18°31’ E (in Mar Ionio, un centinaio di miglia a sudest di Punta Stilo), l’Allegri si unì come previsto ad un’altra moderna motonave, la Rosolino Pilo, partita da Taranto per Tripoli con la scorta del cacciatorpediniere Euro (capitano di fregata Giuseppe Cigala Fulgosi; tale convoglio era denominato «P»): si formò così un unico convoglio, il cui caposcorta era il Da Recco.
Di nuovo l’Allegri non obbedì agli ordini trasmessi dal Da Recco, tanto che il cacciatorpediniere dovette lasciare la propria posizione nella formazione per avvicinarsi sino a portata di voce e ribadire gli ordini al megafono, cui Cocchia aggiunse pesanti rimproveri. Non c’era altro verso di farsi ascoltare, ma Cocchia si sarebbe più tardi rammaricato della severità del suo rimprovero, vista la sorte poi toccata alla nave ed al suo equipaggio.
Le due motonavi e la relativa scorta viaggiarono insieme fino alla sera del 30 maggio, seguendo la rotta orientale per la Libia e passando 200 miglia ad est di Malta ad una velocità di 15,5 nodi. Come venne poi scritto nella relazione compilata da Supermarina sulla perdita dell’Allegri, le rotte scelte per questa traversata erano alquanto differenti da quelle seguite di solito, al fine di rendere più difficile ai britannici – che in quel periodo avevano intensificato gli attacchi a mezzo di aerei e sommergibili nel Mediterraneo centrale – l’individuazione del convoglio.
Alle sei del mattino del 30 (per altra fonte, durante la notte) il convoglio, avendo ricevuto segnalazione della presenza di sommergibili nemici sulla propria rotta (direttrice Taranto-Bengasi) ed essendo cercato dalla ricognizione aerea, deviò dalla rotta prestabilita – per ordine di Supermarina – al fine di eludere tali minaccie.
Stavolta, però, «ULTRA» aveva fatto cilecca: già dal 27 maggio, infatti, il servizio di decrittazione britannico aveva segnalato che dal 25 l’Allegri stava caricando munizioni a Brindisi, ma in seguito non era riuscito a decifrare alcun altro messaggio utile su questo convoglio, e quando vi sarebbe riuscito, il 31, sarebbe ormai stato troppo tardi per influire sugli eventi, che erano già giunti al termine. A scatenare gli attacchi sul convoglio fu invece il suo casuale avvistamento da parte di un aereo britannico, alle 11.03 del 30 maggio.
Intanto, anche per la giornata del 30 maggio il convoglio ebbe sul proprio cielo alcuni aerei della Regia Aeronautica e del Corpo Aereo Tedesco (in numero in verità piuttosto esiguo) con compiti di scorta antisommergibili, come predisposto da Marina Messina. Comunque, durante la giornata non si verificò alcun evento degno di nota.
Alle 22.30 del 30 maggio le motonavi, raggiunto un punto prestabilito a nord del Golfo della Sirte, si divisero nuovamente per raggiungere le rispettive destinazioni, ciascuna con un cacciatorpediniere: Allegri con Euro per Bengasi, Pilo con Da Recco per Tripoli.
Per proteggere il convoglio in arrivo, Marina Bengasi aveva già predisposto per l’indomani una scorta aerea diurna in funzione antisommergibili, nonché l’invio di mezzi antisom in ricognizione sulla rotta di atterraggio; venne inoltre fatta partire la torpediniera Generale Marcello Prestinari, che avrebbe dovuto raggiungere l’Euro per rinforzare la scorta dell’Allegri nell’ultimo tratto della navigazione.
Alle 23, tuttavia, il convoglio formato da Allegri ed Euro venne localizzato da ricognitori britannici decollati dalle basi cirenaiche, che indirizzarono su di esso gli aerei di base a Malta (che proprio in quel periodo, a seguito della riduzione dell’intensità dei bombardamenti tedeschi e dell’arrivo di nuovi velivoli decollati da delle portaerei, stavano iniziando a rimettere i denti ed a riprendere ad attaccare i convogli dopo un periodo di scarsissima attività aerea); Supermarina intercettò e decifrò il segnale di scoperta trasmesso a Malta dal primo ricognitore, ed alle 23.30 provvide ad informare l’Euro affinché questo stesse all’erta (stranamente, il volume USMM "La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale dal 1° ottobre 1941 al 30 settembre 1942" afferma che i ricognitori britannici avrebbero localizzato le due navi soltanto alle 00.15 del 31).

La Gino Allegri in una foto scattata dall’Euro il 30 maggio 1942; sulla destra si riconosce la sagoma del Da Recco. Si tratta verosimilmente dell’ultima immagine di questa sfortunata motonave (Coll. Erminio Bagnasco, da “Convogli” di Aldo Cocchia)

Il primo attacco aereo si verificò alle 00.30 (o 00.35) del 31 maggio, ma i velivoli britannici si limitarono a lanciare dei bengala, illuminando l’Allegri; un’ora più tardi, invece, uno o più aerei nemici, avvicinatisi senza che si fosse sentito il minimo rumore – fu poi ipotizzato che si fossero avvicinati al bersaglio volando a bassa quota e con i motori spenti, provenendo da poppavia – sganciarono alcune bombe contro la motonave, che non venne colpita. Ugualmente infruttuoso fu un terzo attacco aereo condotto alle 2.15: le bombe caddero in mare, molto lontane dalle navi italiane. Ma non era finita: gli aerei, dei bombardieri Vickers Wellington del 221st Squadron della Royal Air Force, sarebbero tornati alla carica alle prime luci dell’alba. Supermarina avrebbe poi osservato: «È da rilevare la particolare tattica adoperata in questa circostanza dai bombardieri britannici. L’illuminazione del bersaglio molto prima dell’effettivo attacco lascia presumere lo scopo di identificarne con precisione solo gli elementi di moto. Regolandosi su questi ultimi, bombardieri lontani hanno successivamente attaccato il convoglio sfruttando agevolmente la sorpresa dovuta all’oscurità e all’assenza di rumori, e la conseguente mancanza di reazione da parte degli attaccati».
Nel frattempo, alle 4.20 (ora italiana, d’ora in poi usata; 5.20 ora di bordo del Proteus) il sommergibile britannico Proteus, al comando del capitano di corvetta Philip Stewart Francis, aveva avvistato le due navi oscurate italiane su rilevamento 300°, in posizione 32°28’ N e 18°52’ E. Alle 4.22 il Proteus si era immerso, non potendo attaccare in superficie a causa della luce lunare, ed alle 4.30 avvistò di nuovo il convoglio al periscopio, riconoscendolo correttamente come composto da un mercantile scortato da un cacciatorpediniere.
Alle 4.41 il Proteus lanciò due siluri da 1370 metri, con i tubi di poppa, contro l’Allegri, per poi scendere in profondità ed allontanarsi verso nordovest.
Colpita, alle 4.45, sia dalle bombe degli aerei che dai siluri del Proteus, la motonave prese fuoco; sei minuti più tardi, quando le fiamme raggiunsero le milleottocento tonnellate di munizioni contenute nelle stive, la Gino Allegri saltò in aria nel punto 32°31’ N e 18°36’ E (o 32°27’ N e 18°54’ E), un’ottantina di miglia ad ovest di Bengasi (Supermarina precisò, nella citata relazione, la posizione come 82 miglia per 280° da Bengasi), ricoprendo tutto il mare circostante con una coltre di fumo nero. L’esplosione fu tanto violenta che anche il Proteus, sebbene immerso ad elevata profondità e notevole distanza, fu scosso violentemente e subì anche alcuni danni.
(Le fonti italiane, del tutto all’oscuro del coinvolgimento del Proteus, attribuirono inizialmente la perdita all’attacco aereo; successivamente, appreso dell’attacco del Proteus, attribuirono la perdita della motonave ad una coincidenza che avesse portato le bombe degli aerei ed i siluri del Proteus a colpire contemporaneamente l’Allegri. Il Proteus però non parlò minimamente della presenza di aerei nel suo giornale di bordo, mentre la relazione di Supermarina afferma che alle 4.45 si svolse un attacco di bombardieri che seguirono «la stessa tattica delle ore 1.30». Alcune fonti parlano anche di partecipazione all’attacco da parte del sommergibile britannico Taku, ma in realtà il Taku lanciò, alle 4.43 e 60 miglia più a nord, contro la Rosolino Pilo, senza riuscire a colpirla).
All’Euro non rimase che raccogliere i pochi superstiti: 21, tutti feriti, su circa 300 uomini che erano a bordo. Tra i dispersi erano il comandante civile Holzhausen ed il comandante militare Arienti. 
Il cacciatorpediniere proseguì poi per Bengasi, dove arrivò a mezzogiorno e dieci seguito dalla Generale Marcello Prestinari, giunta sul posto troppo tardi.

Così il comandante Cocchia del Da Recco, nel suo libro di memorie "Convogli", descrisse la fine dell’Allegri: “Nella notte, poco prima dell’alba, ci separammo e, mentre il Da Recco proseguiva col Pilo per Tripoli, la «L», scortata dall’Euro, diresse per Bengasi. Non erano passati forse 20 minuti dalla separazione che, in direzione dell’Euro-«L», vedemmo chiari i segni di un attacco aereo. Lancio di bengala, rabbioso fuoco antiaereo e intorno una forte vampata della quale capimmo anche troppo bene il significato. Intercettammo subito dopo le comunicazioni radio con le quali Cigala informava Supermarina di essere stato attaccato da velivoli e che la «L» era saltata in aria. Aveva a bordo diverse migliaia di tonnellate di munizioni e, una volta colpita da una bomba, non potevano esserci dubbi sulla sua sorte”.

L’equipaggio civile della Gino Allegri nell’ultimo viaggio (si ringrazia Manuel Staropoli, che ne ha rinvenuto l’elenco):

Sebastiano Aimone, 46 anni, da Trieste, panettiere
Giovanni Anatrella, 19 anni, da Napoli, mozzo
Nicolò Arbanassi, 31 anni, da Trieste, fuochista
Libero Autuoro, 33 anni, da Formia, marinaio
Francesco Battaglia, fuochista, da Trieste
Arnaldo Bevilacqua, 36 anni, da Trieste, operaio
Renato Biagi, 46 anni, da Trieste, fuochista
Gino Bignami, 23 anni, da Trieste, garzone di camera
Giovanni Bono, 30 anni, da Napoli, amanuense
Ignazio Cardi, 18 anni, da Riposto, mozzo
Antonio Cardinale, 53 anni, da Napoli, primo cuoco
Carlo Causini, 45 anni, da Trieste, primo cameriere
Francesco Colantuono, giovanotto di seconda
Enrico Costantini, 39 anni, da Torre del Greco, carbonaio
Ciro D’Acunzo, 33 anni, da Resina, terzo ufficiale
Giuseppe Della Motta, 49 anni, da Trieste, primo ufficiale di macchina
Ciro Esposito, 28 anni, da Napoli, garzone di camera
Augusto Ferini, 23 anni, da Monte di Capodistria, mozzo
Edmondo Filippini, 32 anni, da Trieste, elettricista
Galliano Fumi, 46 anni, da Trieste, secondo ufficiale
Aniello Gaglione, 29 anni, da Torre del Greco, giovanotto di prima
Gennaro Garofalo, 42 anni, da Torre del Greco, carbonaio
Miroslavo Gulli, 33 anni, da Trieste, elettricista
Ferdinando Holzhausen, 55 anni, da Ancona (o Genova?), comandante
Mario Liguoro, 31 anni, da Napoli, marinaio
Raffaele Loffredo, 31 anni, da Torre del Greco, marinaio
Giorgio Martinelli, 54 anni, da Lavagna, maestro di casa
Vincenzo Mazzella di Regnella, 35 anni, da Monte di Procida, marinaio
Angelo Milonco, 47 anni, da Monfalcone, direttore di macchina
Mario Morin, 45 anni, da Trieste, marconista
Vito Nevoli, 18 anni, da Monopoli, piccolo di camera
Clemente Nocerino, 37 anni, da Torre del Greco, marinaio
Pasquale Oliva, 46 anni, da Trieste, fuochista
Raffaele Olivieri, 49 anni, da Torre del Greco, marinaio
Augusto Orlando, 39 anni, da Trieste, secondo ufficiale di macchina
Domenico Pansini, 40 anni, da Molfetta, marinaio
Mario Pechiar, 46 anni, da Trieste, operaio
Francesco Pescatori, 27 anni, da Trieste, garzone di camera
Alessandro Pettener, 40 anni, da Trieste, nocchiere
Armando Pintarelli, 29 anni, da Napoli, secondo cuoco
Mario Pranmalico, 25 anni, da Trieste, garzone di cucina
Giuseppe Rigoli, 45 anni, da Trieste, fuochista
Michele Risola, 29 anni, da Trieste, operaio
Giorgio Sepcich, 34 anni, da Cherso, operaio
Pasquale Sorrentino, 36 anni, da Torre del Greco, marinaio
Renato Spizzamiglio, 32 anni, da Buie d’Istria, terzo ufficiale di macchina
Francesco Staropoli, 41 anni, da Trieste, fuochista
Oliviero Suban, 42 anni, da Trieste, elettricista
Umberto Tosorato, 36 anni, da Trieste, marinaio
Bruno Vascotto, 31 anni, da Isola, marinaio

Personale della Regia Marina deceduto o disperso nel Mediterraneo Centrale in data 31 maggio 1942, quasi certamente perito sulla Gino Allegri:

Italo Angelucci, sottocapo segnalatore, 23 anni, da Roma
Giuseppe Arienti, tenente di vascello, 40 anni, da Camogli (comandante militare)
Vincenzo Bornice, sottocapo cannoniere, 30 anni, da Marsala
Gaetano Bruno, marinaio cannoniere, 21 anni, da Piazza Armerina
Vittorio Ceriotti, marinaio cannoniere, 20 anni, da Busto Garolfo
Donato Clemente, marinaio, 21 anni, da Mola di Bari
Vincenzo Coppola, marinaio, 22 anni, da Napoli
Luigi Cuoco, marinaio radiotelegrafista, 21 anni, da Napoli
Sebastiano D’Amico, marinaio cannoniere, 20 anni, da Augusta
Antonio Di Bernardo, sergente cannoniere, 32 anni, da Giardini-Naxos
Giuseppe Di Lauro, marinaio cannoniere, 21 anni, da Marano di Napoli
Temistocle Fulgoni, secondo capo segnalatore, 28 anni, da Milano
Gioacchino Giacchini, secondo capo radiotelegrafista, 29 anni, da Arcevia
Renato Giannalavigna, marinaio radiotelegrafista, 21 anni, da Napoli
Pierino Legnani, marinaio cannoniere, 20 anni, da Cerro Maggiore
Vincenzo Lembo, marinaio cannoniere, 22 anni, da Palermo
Antonio Merlino, sergente cannoniere, 27 anni, da Floridia
Antonio Milossi, marinaio cannoniere, 23 anni, da Pola
Angelo Mugnos, sergente cannoniere, 28 anni, da Licata
Silvio Pezzo, marinaio cannoniere, 20 anni, da Verona
Mario Siega, marinaio meccanico, 20 anni, da Venezia
Giorgio Tanduo, marinaio cannoniere, 20 anni, da Venezia
Domenico Verdolino, sottocapo segnalatore, 26 anni, da Boscoreale

Il fuochista Francesco Staropoli, nato a Parghelia (Vibo Valentia) nel 1901 e trasferitosi a Trieste nel 1938. Andava per mare da quando aveva tredici anni; navigò sull’Allegri per quasi tutta la breve vita di questa nave, sino alla sua perdita. «Nell’ultima lettera scritta alla moglie, datata 19 marzo 1942, non una parola di sconforto o di paura. Tutto sembra andare per il verso giusto. Dopo quella lettera, il silenzio». Fu tra i dispersi nell’affondamento, lasciando sette figli. (Si ringrazia il nipote Manuel Staropoli).

Renato Spizzamiglio, terzo ufficiale di macchina della Gino Allegri. Nato a Castelvenere (Pirano) nel 1910 e residente a Buie d’Istria, si era diplomato all’Istituto Nautico di Trieste ed aveva navigato sulle rotte dell’Estremo Oriente con le navi del Lloyd: Tevere, Mauly, Conte Rosso. Imbarcato su quest’ultimo nella fase iniziale del conflitto, era scampato al suo tragico affondamento perché destinato sull’Allegri, in fase di allestimento. Navigò con questa nave per tutta la sua breve vita (dicembre 1941-maggio 1942) e fu tra i dispersi nel suo affondamento; lasciò una moglie ed una figlia di due anni (da un articolo del "Piccolo", via Manuel Staropoli).


 L’elenco dell’equipaggio civile dell’Allegri (g.c. Manuel Staropoli)



I soldati Emilio Ceresoli, da Filago (sopra, da “Sacrificio e memoria” del Comune di Filago) e Giovanni Colleoni, da Bagnatica (sotto, dall’archivio della sezione ANCR di Brusaporto), morti sulla Gino Allegri (g.c. Rinaldo Monella, via www.combattentibergamaschi.it). Di 25 e 27 anni, appartenevano entrambi al 3° Reggimento Artiglieria di Corpo d'Armata ed erano diretti in Africa per raggiungere il proprio reparto, dopo aver frequentato un corso di artiglieria contraerea a Sabaudia.


La relazione di Supermarina sull’affondamento della Gino Allegri (Ufficio Storico della Marina Militare, via Manuel Staropoli):





Documenti d'imbarco di Giovanni Ballarin, carpentiere della Gino Allegri, sbarcato per licenza poco prima dell'ultimo viaggio (g.c. Maurizio Moro). Racconta Maurizio Moro, marito della nipote di Ballarin: "Si racconta in famiglia che [dopo l'affondamento dell'Allegri] i carabinieri sono andati a casa annunciando la scomparsa e la moglie stupita di ciò gli ha risposto che era a letto che stava dormendo".




L’affondamento dell’Allegri nel giornale di bordo del Proteus (da Uboat.net):

0520 hours - When in position 32°28'N, 18°52'E sighted two darkened ships bearing 300°.
0522 hours - Turned tail on and dived. It had been decided to attack from submerged due to the bright moonlight.
0530 hours - Sighted the enemy through the periscope. The two ships were seen to be a merchant vessel escorted by a destroyer.
0541 hours - Fired two stern torpedoes from 1500 yards. Went deep on firing and retired to the north-west. The target was the merchant vessel, a modern ship of about 6000 tons.
0542 hours - Heard two loud explosions of torpedoes hitting.
0548 hours - Heard a very loud explosion of ammunition blowing up. Proteus was badly shaken and this caused some minor defects.
0620 hours - Returned to periscope depth. The destroyer was seen laying stopped in the position of the attack, 2 nautical miles off. The merchant was not seen. The area was covered by black smoke.”

Un’altra foto dell’Allegri (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)


4 commenti:

  1. Mio padre Luigi Guaita (20/09/1921) fu uno dei pochi superstiti del naufragio dell' allegri e mi ha più volte raccontato che la nave fu colpita da siluri. Non mi ha mai parlato di attacco aereo. Si ritrovò in acqua dopo l' esplosione e lì rimase per ore, prima di essere soccorso

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    1. Buongiorno mio Padre Aldo Strologo (2005) era a bordo della nave affondata rimase in mare ferito percirca tre ore poi soccorso e portato in ospedale allora aveva 19 anni.

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  2. Biongiorno, mio zio Monici Giuseppe 21 anni era sull'Allegri, non venne mai ritrovato.

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  3. Buonasera, mio zio Ignazio Cardì di Riposto (CT) imbarcatosi come mozzo, per discordie con il papà, nonno Sebastiano, risposatosi dopo la morte di nonna Anna, non è mai stato ritrovato. Anche mia madre raccontava che la nave fu silurata e saltò in aria.

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