L’Atlas (da www.photoship.co.uk)
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Piroscafo cisterna da
2005 tsl, 1128 tsn e 3000 tpl, lungo 75,6 metri, largo 12,22 e pescante 6,1. Appartenente
all’armatore Barbagelata di Genova, matricola 1337 al Compartimento Marittimo
di Genova.
Breve e parziale cronologia.
1898
Impostata dalla
Delaware River Iron Shipbuilding & Engineering Works di Chester (numero di
cantiere 297).
17 novembre 1898
Varata come Atlas nei cantieri della Delaware River
Iron Shipbuilding & Engineering Works di Chester.
Dicembre 1898
Completata per la
Standard Oil Company di New York. Stazza lorda originaria 1942 tsl.
1905
Venduta alla Pacific
Coast Oil Company, anch’essa con sede a New York.
17 novembre 1906
Acquistata dalla
Standard Oil Company of California, di Richmond/San Francisco.
1925
Acquistata dalla
Società Armatrice Italiana, con sede a Genova, ed iscritta al Compartimento
Marittimo di Genova.
1939
Rivenduta alla Ditta
G. M. Barbagelata, anch’essa di Genova.
Tampico
Anche l’Atlas condivise la sorte delle 200 e più
navi mercantili italiane che, il 10 giugno 1940, si trovarono bloccate al di
fuori del Mediterraneo, spesso a migliaia di chilometri dalla madrepatria. La
dichiarazione di guerra dell’Italia trovò l’Atlas
a Tampico, importante porto petrolifero del Messico, ove si trovavano anche
diverse altre petroliere italiane: la Fede,
la Stelvio, la Marina Odero, la Tuscania,
l’Americano, la Genoano, la Lucifero e la
Vigor (un’altra, la Giorgia Fassio, era a Veracruz). Per
tutte la sorte fu la stessa: l’internamento in acque messicane.
La situazione perdurò
fino alla primavera del 1941, quando le cose improvvisamente mutarono. Il 30
marzo 1941, infatti, gli Stati Uniti, pur essendo neutrali, procedettero alla
confisca di tutti i bastimenti mercantili dell’Asse presenti nei propri porti;
diversi altri paesi dell’America centrale e meridionale, spesso su pressione
angloamericana, si prepararono a fare lo stesso, e gli equipaggi di numerosi
mercantili italiani internati in questi stati, in base agli ordini ricevuti
dalle autorità italiane, sabotarono od autoaffondarono le loro navi prima che
potessero essere catturate.
Il Messico colse l’occasione,
disponendo anch’esso la confisca delle dodici navi dell’Asse presenti a Tampico
e Veracruz, per incrementare la propria modesta flotta petroliera: con la
cattura delle dieci cisterne italiane che si trovavano nei suoi porti, infatti,
il tonnellaggio complessivo delle navi cisterna in mano messicana sarebbe
passato da 29.445 tsl a 117.591 tsl. Il Messico aveva da poco (18 marzo 1938)
nazionalizzato le proprie riserve petrolifere, espropriandole alle compagnie
straniere e creando una propria compagnia petrolifera controllata dallo Stato,
la Petróleos Mexicanos S. A. (Pemex), ma soffriva di una carenza di navi
cisterna adeguate a trasportare il petrolio, che venne così “risolta”.
La mossa sarebbe poi
stata giustificata a posteriori dal presidente messicano Manuel Ávila Camacho,
con decreto firmato l’8 aprile 1941, in base al “diritto d’angheria”, per il
quale una nazione in guerra (ma il Messico era neutrale) poteva requisire per i
propri usi naviglio mercantile appartenente ad altre nazioni che si trovi nella
propria giurisdizione, a patto di risarcirne adeguatamente i proprietari. Come
motivi per l’applicazione del diritto d’angheria pur essendo il Messico
neutrale Ávila Camacho indicò i gravi disturbi causati dalla guerra al
commercio marittimo del Messsico, il modo in cui era condotto il conflitto,
ignorando i diritti delle nazioni neutrali, ed il quasi completo annientamento
del commercio marittimo messicano per mancanza di mezzi di trasporto: secondo
il presidente messicano, l’applicazione, da parte di uno Stato neutrale, del
diritto d’angheria rappresentava solo una piccola compensazione per il trattamento
che in quella guerra aveva subito lo stato stesso di neutralità.
Per meglio
giustificare la mossa, il governo messicano inviò un avvertimento a quelli di
Italia e Germania, intimando loro di far lasciare alle loro navi le acque
messicane, pena, decorso il tempo stabilito, la confisca; tale disposizione non
era attuabile, visto che se le navi dell’Asse avessero lasciato il Messico
sarebbero state con ogni probabilità intercettate e catturate od affondate da
navi alleate.
Su disposizione delle
autorità messicane, pertanto, l’ammiraglio Luis Hurtado de Mendoza, alla testa
di reparti del 31° Battaglione, fu inviato a confiscare le navi dell’Asse
presenti nei porti del Messico.
Il 1° aprile 1941, quando
un drappello della Marina messicana, incaricato di abbordare e catturare la
nave, si avvicinò all’Atlas per
assumerne il controllo, l’equipaggio della petroliera aprì le valvole di presa
a mare, e la nave iniziò lentamente ad affondare nel fiume Panuco.
Il comandante dell’Atlas, capitano Lelio Sazzi, dichiarò di
aver adempiuto al proprio dovere ed alle istruzioni del governo italiano di
impedire che la nave potesse cadere in mani straniere, magari – da ultimo –
inglesi. Il comandante Sazzi ed i venti uomini dell’equipaggio, benché la nave
fosse completamente sommersa ad eccezione del ponte superiore – che il mattino
del 3 aprile non era nemmeno trenta centimetri al di sopra della superficie, e
continuava lentamente ad abbassarsi sull’acqua –, si rifiutarono di scendere a
terra.
Il 3 aprile il
comandante Sazzi ed il direttore di macchina dell’Atlas furono prelevati dalla cannoniera messicana Queretaro per essere interrogati
sull’autoaffondamento della loro nave. Quando il comandante Sazzi affermò di
aver eseguito ordini governativi di far saltare la nave qualora fosse giunta in
un porto statunitense e minacciata di confisca, ed entrambi gli ufficiali
ebbero confessato la loro responsabilità nell’affondamento, furono incarcerati.
Contro di loro fu sollevata l’accusa di sabotaggio ed intralcio alla navigazione
nel porto di Tampico.
L’equipaggio dell’Atlas fu l’unico che riuscì nel
tentativo di sabotare la nave; gli altri bastimenti dell’Asse presenti nei
porti del Messico furono tutti catturati intatti, dopo che, proprio con il
pretesto di impedire un altro caso Atlas,
le autorità messicane avevano posto i loro equipaggi sotto custodia. Successivamente
i marittimi italiani furono rilasciati, e le autorità messicane assegnarono
loro dei posti di lavoro affinché potessero guadagnare il denaro necessario a
sostentarsi finché non fosse stato possibile il loro rimpatrio; nel frattempo,
però, due di essi erano deceduti in prigionia: il 20 febbraio 1942
l’ufficiale di coperta Francesco Caccagno, palermitano, era deceduto ad
Aperato, in Messico, ed il successivo 12 maggio il capo fuochista Domenico Bruzzone, di Genova, era morto a Perote per embolia polmonare.
Domenico Bruzzone (Genova, 1889-Perote, 1942), capo fuochista dell’Atlas, deceduto in prigionia in Messico (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata) |
La carta
d’identità di Domenico Bruzzone (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata)...
…ed il suo libretto di
matricolazione (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata)
Una foto
inviata da Domenico Bruzzone alla moglie Amabile durante la prigionia e, sotto,
il messaggio scritto sul retro (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata)
Un’altra
fotografia inviata da Domenico Bruzzone alla moglie durante la prigionia in
Messico (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata)
Marittimi italiani durante l’internamento a Perote (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata) |
Marittimi
italiani e tedeschi a pranzo a Perote all'ombra dei manghi durante l’internamento, in una foto
inviata da Domenico Bruzzone alla moglie (sotto, il messaggio a lei rivolto) (Foto
Domenico Bruzzone – Collezione privata)
Un’altra
immagine spedita a casa da Domenico Bruzzone: un gruppo di marittimi italiani,
probabilmente nel carcere di Perote. Sotto, il messaggio scritto sul retro
della fotografia (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata)
Una serie
di immagini dei funerali di Domenico Bruzzone (Foto Domenico Bruzzone –
Collezione privata)
Il messaggio con cui la
società armatrice informava la famiglia di Domenico Bruzzone della sua morte (Foto
Domenico Bruzzone – Collezione privata)…
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…e la lista dei suoi effetti
personali (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata).
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Il certificato d’iscrizione
di Amabile Viburno, vedova di Domenico Bruzzone, al ruolo d’onore della
Cooperativa Garibaldi nel dopoguerra (Foto Domenico Bruzzone – Collezione
privata)
Nel dopoguerra Lorenzo Bruzzone, figlio di Domenico Bruzzone, istituì una coppa ed un torneo di pallanuoto in memoria del padre presso la piscina della squadra “Sportiva Nervi” (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata)
La famiglia Bruzzone a Sestri Ponente; sulla destra, accosciato e vestito di bianco, è Lorenzo Bruzzone (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata) |
Amabile Viburno e Lorenzo Bruzzone (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata)
I lavori di recupero
dell’Atlas, posatasi sul basso fondale
del fiume Panuco senza essere completamente sommersa, furono estremamente
rapidi: già il 4 aprile la petroliera fu riportata a galla e prosciugata
dell’acqua imbarcata. Un’ispezione a bordo rivelò che l’equipaggio aveva anche
fracassato a martellate le testate dei cilindri dell’apparato motore.
I danni risultarono
tuttavia riparabili; formalmente confiscata dal Messico l’8 dicembre 1941 (in
base ad un decreto dell’8 aprile), la nave fu ribattezzata Las Choapas, registrata a Coatzcoalcos (Veracruz) ed affidata alla Petróleos
Mexicanos (Pemex), con sede a Tampico. Lo stesso accadde alle altre petroliere
dell’Asse catturate dal Messico; il loro comando fu affidato ad ufficiali della
Marina messicana, ed i loro equipaggi furono formati in parte da personale
della fanteria di Marina nonché da ufficiali di coperta, di macchina e
radiotelegrafisti appartenenti anch’essi alla Armada de México. L’equipaggio
della Las Choapas fu formato da 5
uomini dell’Armada de México e 26 della Marina Mercantile messicana.
La vita della Las Choapas sotto bandiera messicana,
tuttavia, non fu lunga: alle 15.25 (ora tedesca; le 7.22 per l’orario
messicano) del 27 giugno 1942 la petroliera (al comando del tenente di vascello
Pedro Calderón Lozano), in navigazione isolata da Minatitlan a Tampico con un
carico di 17.450 barili di gasolio (per altra fonte 16.000 barili di petrolio
greggio), fu colpita a poppa da un siluro lanciato dal sommergibile tedesco U 129 (tenente di vascello comandante
Hans-Ludwig Witt), che distrusse il timone, e prese immediatamente fuoco.
L’U-Boot emerse ed ordinò all’equipaggio della cisterna di abbandonare la nave
sulle tre lance a disposizione (il che fu fatto), poi cannoneggiò il relitto in
fiamme per accelerarne l’affondamento, interrogò i superstiti e poi s’immerse
rapidamente per sfuggire all’attacco di un idrovolante PBY Catalina
statunitense, frattanto sopraggiunto. La Las
Choapas affondò in fiamme nel punto 20°15’ N e 96°20’ O, nei pressi
dell’Arroyo González, a nord di Tecotutla (Veracruz), nel Golfo del Messico
(quadrante 8299), in vista delle scialuppe della Tuxpan, un’altra petroliera messicana ex italiana (il suo nome
originario era Americano) affondata
appena due ore prima (la Las Choapas
non aveva captato il suo SOS, altrimenti si sarebbe rifugiata nella vicina
Veracruz).
Tre dei suoi 31 uomini
d’equipaggio (il secondo ufficiale Lucio Gallardo Pavón, il radiotelegrafista
José María Figueroa Bravo ed il nostromo Lorenzo Evia Mendoza) persero la vita.
I naufraghi di entrambe le cisterne furono soccorsi da una lancia della
Petróleos Mexicanos e dal guardacoste G
25.
Las Choapas e Tuxpan furono le
prime due navi perdute dal Messico dopo la sua dichiarazione di guerra all’Asse,
avvenuta il precedente 22 maggio; casus
belli per l’ingresso in guerra era
stato proprio l’affondamento di altre due petroliere ex italiane catturate dal
Messico, la Faja de Oro (ex Genoano) e la Potrero del Llano (ex Lucifero).
Nel 1952 il governo
italiano rimborsò la Società Montecatini per 37.137 dollari, il costo del
carico di toluolo e benzolo confiscato dal Messico nell’aprile 1941 a bordo
dell’Atlas.
Il relitto di una
delle due cisterne affondate il 27 giugno 1942, è stato ritrovato dai subacquei
messicani Saúl Meunier ed Alberto Ruiz Gaytán, a nord di Veracruz, nel 2014.
Non è chiaro se si tratti della Tuxpan
o della Las Choapas.
Commovente ricordo di quei fatti.
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