Il Dardo in transito nel canale navigabile di Taranto, nel 1935 (Naval History and Heritage Command, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
Cacciatorpediniere
capoclasse della classe Dardo (dislocamento standard di 1520 tonnellate, 2200 a
pieno carico), la prima classe di cacciatorpediniere italiani ad avere un unico
fumaiolo anziché due (per ridurre il volume delle sovrastrutture e così
ampliare il campo di tiro delle artiglierie). Nelle fasi iniziali del conflitto
la velocità delle unità della classe Dardo (ormai non superiore a 30 nodi) permise
loro di scortare le corazzate più lente (Cesare
e Cavour), ma la loro scarsa
autonomia e le ripetute avarie di macchina avrebbero costretto a destinarle a
compiti di scorta convogli già alla fine del 1940.
In guerra svolse 89
missioni (31 di trasferimento, 27 di scorta convogli, 12 di addestramento, 7
con la squadra da battaglia, 6 antisommergibile ed una di trasporto),
percorrendo 33.952 miglia e passando ben 748 giorni ai lavori, a causa
soprattutto del tragico incidente di Palermo del settembre 1941 e delle successive
avarie di macchina.
Breve e parziale cronologia.
23 gennaio 1929
Impostazione nei
cantieri Odero di Sestri Ponente.
6 luglio 1930
Varo nei cantieri
Odero di Sestri Ponente. Ne è madrina Matilde Sirianni, nipote del Ministro
della Marina.
Il varo del Dardo (g.c. Nedo B. Gonzales, via www.naviearmatori.net) |
25 gennaio 1932
Entrata in servizio.
Insieme al gemello Strale, il Dardo sarà una delle due sole, su otto unità similari delle classi Freccia-Folgore,
ad avere la prora dritta; le altre navi, infatti, saranno modificate durante la
costruzione per avere una prua arcuata, modifica non più effettuabile su Dardo e Strale, essendo ormai la costruzione già troppo avanzata.
Le prove in mare
riveleranno un’elevata velocità ma gravi problemi di stabilità trasversale e
tenuta del mare, tanto da costringere ad alleggerire le sovrastrutture
superiori (eliminando due “gambe” degli alberi a tripode nonché la maggior
parte dei riflettori, abbassando il fumaiolo e spostando le due mitragliere singole
da 40/39 mm dal cielo della tuga al ponte di coperta, ai lati della tuga, ma
così perdendo gran parte del vantaggio del fumaiolo unico), ingrandire le
alette antirollio (allargandole di una decina di centimetri), modificare la
posizione di alcuni depositi di nafta ed aggiungere 90 tonnellate di zavorra
(60 sotto i locali caldaie e 30 sotto quelli delle turbine di poppa), così
riducendo la velocità originaria (tanto da farla scendere al di sotto di quella
della precedente classe Turbine).
Il Dardo (a destra) e lo Strale negli anni Trenta (Naval History and Heritage Command, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
1932
Viene visitato da una
commissione sovietica presieduta da K. I. Dushenov. La visita, da parte di
questa commissione, del Dardo e del Baleno (appartenente alla successiva
classe Folgore, di poco differente) influenzerà il progetto della classe di
cacciatorpediniere sovietici Progetto 7 (nota anche come classe Gnevny).
Il Dardo nell’agosto 1932 (Coll. Maurizio Brescia via www.associazione-venus.it)
|
1934
Il Dardo fa parte della I Squadriglia
Cacciatorpediniere con i gemelli Freccia,
Saetta e Strale. La I Squadriglia, insieme alla II (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno) forma la 1a Flottiglia Cacciatorpediniere
(conduttore l’esploratore Antonio Pigafetta),
inquadrata nella I Squadra Navale.
La nave nel 1934 (Coll. A.
Fraccaroli via M. Brescia e www.associazione-venus.it)
|
1935
Presta servizio sul Dardo, come ufficiale alle
comunicazioni, il guardiamarina Mario Arillo, futura Medaglia d’oro al Valor
Militare.
26 novembre 1936
Partecipa ad una
rivista navale svolta nel Golfo di Napoli in onore del reggente d’Ungheria.
Il Dardo a metà anni Trenta (g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net)
|
Agosto-Settembre 1937
Durante la guerra
civile spagnola, il Dardo partecipa,
con altre unità (incrociatori leggeri Luigi
Cadorna ed Armando Diaz,
cacciatorpediniere Freccia, Saetta, Strale, Borea, Ostro, Espero e Zeffiro,
torpediniere Cigno, Climene, Centauro, Castore, Altair, Aldebaran, Andromeda, Antares) al blocco del Canale di
Sicilia, per impedire l’invio di rifornimenti dall’Unione Sovietica (Mar Nero)
alle forze repubblicane spagnole. Mussolini ha preso tale decisione a seguito
di richieste da parte dei comandi spagnoli nazionalisti, i quali sostengono,
esagerando di molto, che l’Unione Sovietica stia per rifornire le forze
repubblicane spagnole con oltre 2500 carri armati, 3000 “mitragliatrici
motorizzate” e 300 aerei.
Il blocco navale
viene ordinato da Roma il 7 agosto ed ha inizio due giorni più tardi; oltre ai
sommergibili, invati sia al largo dei Dardanelli che lungo le coste della
Spagna, prendono in mare otto cacciatorpediniere ed altrettante torpediniere
che si posizionano nel Canale di Sicilia e lungo le coste del Nordafrica
francese. Cacciatorpediniere e torpediniere operano in cooperazione con quattro
sommergibili ed un sistema di esplorazione aerea a maglie strette (idrovolanti
dell’83° Gruppo Ricognizione Marittima, di base ad Augusta) e sono alle
dipendenze dell’ammiraglio di divisione Riccardo Paladini, comandante militare
marittimo della Sicilia; successivamente verranno avvicendati da altre
siluranti e dalla IV Divisione Navale (incrociatori leggeri Armando Diaz, Alberto Di Giussano, Luigi
Cadorna, Bartolomeo Colleoni).
Sono complessivamente ben 40 le navi mobilitate per il blocco: i quattro
incrociatori della IV Divisione, l’esploratore Aquila, dieci cacciatorpediniere tra cui il Dardo (gli altri sono Freccia,
Saetta, Strale, Fulmine, Lampo, Espero, Ostro, Zeffiro e Borea), 24 torpediniere (Cigno,
Canopo, Castore, Climene, Centauro, Cassiopea, Andromeda, Antares, Altair, Aldebaran, Vega, Sagittario, Astore, Sirio, Spica, Perseo, Giuseppe La Masa, Generale Carlo
Montanari, Ippolito Nievo, Giuseppe Cesare Abba, Generale Achille Papa, Nicola Fabrizi, Giuseppe Missori e Monfalcone)
e la nave coloniale Eritrea. Altre
due navi, gli incrociatori ausiliari Adriatico
e Barletta, camuffati da spagnoli Lago e Rio, hanno l’incarico di visitare i mercantili sospetti avvistati
dalle navi da guerra in crociera.
Il dispositivo di
blocco è articolato in più fasi: informatori ad Istanbul segnalano all’Alto
Comano Navale le navi sovietiche, o di altre nazionalità ma sospettate di
operare al servizio dei repubblicani, che passano per il Bosforo; ad attenderle
in agguato per primi vi sono i sommergibili appostati all’uscita dei
Dardanelli. Se le navi superano indenni questo primo ostacolo, vengono
segnalate alle navi di superficie ed ai sommergibili in crociera nel Canale di
Sicilia e nello Stretto di Messina; qualora dovessero riuscire ad evitare anche
questo nuovo pericolo (possibile soltanto appoggiandosi a porti neutrali)
troverebbero ad aspettarle altre navi da guerra in crociera nelle acque della
Tunisia e dell’Algeria. Infine, come ultima barriera per i bastimenti che
riuscissero ad eludere anche tale minaccia, altri sommergibili sono in agguato
lungo le coste della Spagna. Nei primi giorni del blocco sono molto attivi
proprio i cacciatorpediniere di base ad Augusta.
Il blocco navale così
organizzato (del tutto illegale, dato che l’Italia non è formalmente in guerra
con la Repubblica spagnola) si rivela un pieno successo, portando in breve
tempo alla totale interruzione del flusso di rifornimenti dall’Unione Sovietica
alla Spagna repubblicana. Soltanto qualche mercantile battente bandiera
britannica o francese riesce a raggiungere i porti repubblicani, oltre a poche
navi che salpano dalla costa francese del Mediterraneo e raggiungono Barcellona
col favore della notte. Il blocco italiano impartisce un durissimo colpo ai
repubblicani, ma scatenerà anche gravi tensioni internazionali (specie col
Regno Unito) e feroci proteste sulla stampa spagnola repubblicana ed
internazionale, con accuse di pirateria – essendo, come detto, un’operazione in
totale violazione di ogni legge internazionale – nei confronti della Marina
italiana, ripetute anche da Winston Churchill.
Il Dardo nel 1938 (Coll. Luigi Accorsi via www.associazione-venus.it) |
1938-1939
È caposquadriglia
della VII Squadriglia Cacciatorpediniere, che forma con Freccia, Saetta e Strale. Viene temporaneamente messo a
disposizione del principe Umberto.
In seguito a nuovi
lavori viene installata un’“unghia” sopra al fumaiolo, per impedire al fumo di
recare disturbo all’equipaggio; vengono inoltre eliminate (1939-1940) le due
mitragliere singole da 40/39 mm e le due binate da 13,2/76 mm, sostituite con
5-6 mitragliere singole da 20/65 mm Breda Mod. 1939-1940 e da due scaricabombe
di profondità.
L’unità a Venezia nel 1938 (Giorgio
Ramperti via Giuseppe Celeste e www.associazione-venus.it)
|
10 giugno 1940
All’entrata dell’Italia
nella seconda guerra mondiale, il Dardo
forma la VII Squadriglia Cacciatorpediniere con i gemelli Freccia, Saetta e Strale. Assieme alla VIII Squadriglia,
la VII è assegnata alla V Divisione Navale (corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour)
della 1a Squadra.
13 giugno 1940
In serata il Dardo ed il resto della VII Squadriglia
Cacciatorpediniere (Freccia, Saetta, Strale) salpano per effettuare un rastrello antisommergibili lungo
la costa occidentale del Golfo di Taranto, dopo che la I Divisione Navale,
uscita nel Golfo di Taranto il giorno precedente, ha segnalato ben cinque
presunti avvistamenti di sommergibili al largo della costa calabrese (dovuti
verosimilmente alla presenza in zona del sommergibile britannico Odin, poi affondato, anche se è
probabile che uno o più di essi fossero falsi allarmi, dovuti alle vedette
sovreccitate dopo la recentissima entrata in guerra). Alle 23.21 lo Strale avvista un grosso sommergibile
emerso (in posizione 39°42’ N e 17°33’ E) e lo attacca col cannone e col siluro
e poi anche con bombe di profondità, mentre il sommergibile reagisce lanciando
a sua volta un siluro. È possibile che il sommergibile britannico Odin (capitano di corvetta Kenneth
Maciver Woods) sia stato danneggiato in questo attacco ed affondato alcune ore
più tardi dal Baleno (che a sua volta
avvista un sommergibile e lo attacca con bombe di profondità), ma è anche
possibile che questi sia in realtà sopravvissuto e sia andato perduto sui campi
minati qualche giorno più tardi.
14 giugno 1940
Il Dardo ed il resto della VII Squadriglia
rientrano a Taranto nelle prime ore del mattino.
16 giugno 1940
In serata la VII
Squadriglia (Dardo compreso), insieme
alla VII Squadriglia, prende nuovamente il mare per un altro rastrello
antisommergibili nel Golfo di Taranto. Alle 23.38, a circa 30-40 miglia da
Taranto, il Dardo avvista le scie di
due siluri e reagisce con il lancio di tre bombe di profondità, mentre alle
23.45 è il Folgore ad avvistare scie
di siluri e gettare a sua volta cariche di profondità, seguito dal Fulmine che segnala anch’esso scie di
siluri e risponde lanciando bombe di profondità. Alle 23.57 il Folgore avvista altre scie di siluri e
getta altre bombe.
17 giugno 1940
Alle 00.43 è il Saetta ad avvistare una scia di siluro e
reagire con bombe di profondità, mentre all’1.18 il Folgore avvista la torretta di un sommergibile e lo attacca con
cannone, siluro e poi bombe di profondità. All’1.27, infine, il Saetta è l’ultimo tra i
cacciatorpediniere ad osservare la scia di un siluro e quella che sembra una
“bolla di lancio”, reagendo col lancio di una singola bomba di profondità.
Tutti i cacciatorpediniere
rientrano in porto di prima mattina. Il sommergibile avvistato da tutti
potrebbe essere stato l’Odin, se
sopravvissuto all’attacco di tre giorni prima, ma potrebbe anche non esservi
stato alcun sommergibile (gli avvistamenti, tutti avvenuti di notte, potrebbero
essere stati il risultato di illusione ottica).
7 luglio 1940
Alle 14.10 il Dardo salpa da Taranto insieme a Freccia (capitano di vascello Amleto
Baldo, caposquadriglia della VII Squadriglia Cacciatorpediniere), Saetta e Strale, alla VIII Squadriglia Cacciatorpediniere (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno) ed alle corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour, nonché alle Divisioni
Navali IV (incrociatori leggeri Alberico
Da Barbiano, Alberto Di Giussano, Luigi
Cadorna, Armando Diaz) e VIII
(incrociatori leggeri Luigi di Savoia
Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi), ed alle Squadriglie Cacciatorpediniere XV (Antonio Pigafetta, Nicolò
Zeno) e XVI (Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare), per fornire sostegno a distanza ad un convoglio
di quattro mercantili salpati da Napoli alle 19.45 del 6 e diretti a Bengasi.
Il convoglio, formato
dai trasporti truppe Esperia e Calitea e dalle moderne motonavi da
carico Marco Foscarini, Vettor Pisani e Francesco Barbaro, trasporta
complessivamente 232 veicoli, 10.445 tonnellate di materiali vari, 5720
tonnellate di carburante e 2190 uomini, ed ha la scorta diretta della II
Divisione Navale (incrociatori leggeri Giovanni
delle Bande Nere e Bartolomeo
Colleoni), della X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco) e di sei torpediniere (le moderne Orsa, Procione, Orione e Pegaso della IV Squadriglia e le
vetuste Rosolino Pilo e Giuseppe Cesare Abba) e la scorta a
distanza dell’incrociatore pesante Pola,
delle Divisioni Navali I, III e VII e delle Squadriglie Cacciatorpediniere IX,
XI, XII e XIII (la 2a Squadra Navale, al comando dell’ammiraglio di
squadra Ricardo Paladini, imbarcato sul Pola),
partite da Augusta, Palermo e Messina.
Comandante superiore
in mare è l’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, con bandiera sulla Cesare.
8 luglio 1940
Il mattino dell’8
luglio il sommergibile britannico Phoenix (capitano
di corvetta Gilbert Hugh Nowell) lancia alcuni siluri contro Cesare e Cavour scortate dalle quattro unità della VII Squadriglia, in
posizione 35°36’ N e 18°28’ E (circa duecento miglia ad est di Malta). Le armi
mancano i loro bersagli e non vengono nemmeno avvistate.
L’operazione va a
buon fine (il convoglio raggiunge Bengasi tra le 18 e le 22 dell’8), ed alle
14.30 le navi delle due squadra navali iniziano la navigazione di rientro.
Ma alle 15.20, a
seguito dell’avvistamento di una formazione britannica – anche la Mediterranean
Fleet, infatti, è in mare a protezione di convogli – la 1a e la
2a Squadra Navale dirigono per intercettare le navi nemiche
(che si teme dirette a bombardare Bengasi), con l’intento di impegnarle in
combattimento almeno un’ora prima del tramonto. La flotta britannica in mare,
al comando dell’ammiraglio Andrew Browne Cunningham, consiste in tre corazzate
(Warspite, Malaya e Royal Sovereign),
una portaerei (la Eagle), cinque
incrociatori leggeri (Orion, Neptune, Sydney, Liverpool, Gloucester) e 16 cacciatorpediniere (Nubian, Mohawk, Decoy, Hasty, Hero, Hereward, Stuart, Decoy, Hostile, Hyperion, Ilex, Dainty, Defender, Janus, Juno, Vampire e Voyager).
Alle 19.20, però, in
seguito ad ordini di Supermarina (il comando della Regia Marina, che, a
differenza dell’ammiraglio Campioni ha avuto modo di apprendere, tramite la
crittografia, la reale consistenza e finalità dei movimenti britannici) la
flotta italiana accosta per 330° per rientrare alle basi, con l’ordine di non
impegnare il nemico. Durante l’accostata le navi vengono attaccate da alcuni
velivoli con una dozzina di bombe, rispondendo con intenso tiro contraereo. Le
bombe cadono vicine agli incrociatori, ma non causano danni.
9 luglio 1940
La navigazione
notturna di rientro si svolge senza grossi inconvenienti, salvo due
fallimentari attacchi siluranti contro la III Divisione.
Già dalle 22 dell’8,
però, sono arrivati nuovi ordini: Supermarina teme che la Mediterranean Fleet
intenda lanciare un attacco aeronavale contro le coste italiane, perciò ordina
alle forze in mare di riunirsi nel punto 37°40’ N e 17°20’ E, 65 miglia a
sudest di Punta Stilo, entro le 14 del 9 luglio.
Verso le 4.30, la XV
Squadriglia Cacciatorpediniere avvista delle grosse ombre verso est, il lato da
cui si prevede che possa essere il nemico, e lo comunica all’ammiraglio
Campioni. Si tratta degli incrociatori pesanti della III Divisione (Trento, Trieste e Bolzano)
che stanno passando ad est del gruppo «Cesare» a seguito di un ordine
dell’ammiraglio Paladini, ma Campioni, che Paladini – ritenendo che questi
avesse intercettato l’ordine, inviato a mezzo radiosegnalatore – non ha informato
dell’ordine alla III Divisione di proseguire verso nord (che contrasta con
quanto ordinato in precedenza da Campioni), ritiene che siano navi nemiche e
manda la XV Squadriglia ad attaccarle (questa lancia due siluri, per fortuna
senza colpire), e poco dopo impartisce analogo ordine anche alla VIII
Squadriglia. Quest’ultima riconosce però il profilo delle navi “nemiche” come
quello di incrociatori classe Trento, e permette così di chiarire
l’equivoco senza danni.
Nella mattinata del 9
luglio (tra le 10.30 e le 12.30) il Dardo,
così come lo Strale ed il
più grande Antonio Da Noli della
XIV Squadriglia, viene colto da un’avaria di macchina, che lo costringe a
tornare a Taranto senza poter partecipare alla battaglia. La nave rientra a
Taranto a velocità ridotta, con una sola elica.
Quando il Dardo arriva in porto e attraversa il
canale navigabile tra Mar Grande e Mar Piccolo, una nutrita folla radunatasi
sulle sponde del canale, credendo che la nave stia rientrando dalla battaglia
di Punta Stilo e sia stata danneggiata in combattimento (il Dardo si presenta, infatti, un po’
sbandato, ed inoltre fa parte della Squadriglia «Freccia», che il bollettino di
guerra ha citato per nome attribuendole, erroneamente, un siluro a segno su in
incrociatore nemico e l’abbattimento di tre aerei), lo accoglie con uno
scroscio di applausi, suscitando una certa commozione tra l’equipaggio
schierato in coperta.
1-2 settembre 1940
Partecipa all’uscita
in mare della flotta a contrasto dell’operazione britannica «Hats». La VII
Squadriglia cui appartiene (con Freccia,
Saetta e Strale) parte da Taranto alle sei del mattino del 31 agosto insieme
alla IX Divisione (corazzate Littorio,
nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, e Vittorio Veneto), alla V Divisione
(corazzate Duilio, Conte di Cavour e Giulio Cesare, quest’ultima aggregatasi solo il 1° settembre a causa di
avarie), alla I Divisione (incrociatori pesanti Zara, Pola, Fiume e Gorizia), all’VIII Divisione (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi) ed ad alle Squadriglie
Cacciatorpediniere VII (Freccia, Dardo, Saetta, Strale), VIII (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno), X (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), XIII (Granatiere,
Bersagliere, Fuciliere, Alpino), XV (Antonio Pigafetta, Alvise Da Mosto, Giovanni Da Verrazzano, Nicolò Zeno) e XVI (Nicoloso Da Recco, Emanuele
Pessagno, Antoniotto Usodimare).
Complessivamente all’alba del 31 prendono il mare da Taranto, Brindisi e
Messina 4 corazzate, 13 incrociatori della I, III, VII e VIII Divisione e 39
cacciatorpediniere. Alle 22.30 la formazione italiana, che procede a 20 nodi,
riceve l’ordine di impegnare le forze nemiche lungo la rotta 155°, a nord della
congiungente Malta-Zante, dunque deve cambiare la propria rotta per
raggiungerle (o non potrebbe prendere contatto con esse), dirigendo più verso
sudovest (verso Malta) e superando la congiungente Malta-Zante. Il mattino del
1° settembre, tuttavia, il vento, già in aumento dalla sera precedente, dà origine
ad una violenta burrasca da nordovest forza 9, che verso le 13 costringe la
flotta italiana a tornare alle basi, perché i cacciatorpediniere non sono in
grado di tenere il mare compatibilmente con le necessità operative (non potendo
restare in formazione né usare l’armamento). Poco dopo la mezzanotte del 1°
settembre le unità italiane entrano nelle rispettive basi; tutti i
cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle sovrastrutture) dal mare
mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare. Le navi verranno tenute pronte
a muovere sino al pomeriggio del 3 settembre, ma non si concretizzerà alcuna
nuova occasione.
Il Dardo ormeggiato tra i gemelli Saetta (a destra) e Strale (a destra) (da www.regiamarina.net |
7 settembre 1940
Il Dardo, insieme a Freccia e Saetta, alle Squadriglie Cacciatorpediniere VIII (Folgore, Fulmine, Baleno), X (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco) e XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino) ed alla IX Divisione Navale (corazzate Littorio e Vittorio Veneto), cioè alla 1a
Squadra Navale, nonché alla 2a Squadra (incrociatore pesante Pola, I Divisione con gli incrociatori
pesanti Zara e Gorizia, III Divisione con gli
incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano, cacciatorpediniere Vittorio Alfieri della IX Squadriglia, Geniere della XI Squadriglia
ed Ascari, Carabiniere e Corazziere della XII Squadriglia),
lascia Taranto alle 16, diretto a sud della Sardegna.
La flotta italiana
procede a 24 nodi in modo da trovarsi 50 miglia a sud di Cagliari entro le 16 dell’8
settembre, per intercettare la Forza H britannica, che si presume diretta verso
Malta. in realtà tale formazione, salpata da Gibilterra alle 6, ha soltanto
simulato un’incursione in Mediterraneo, per coprire il vero obiettivo per della
propria uscita in mare: dirigersi in Atlantico e raggiungere Freetown, per poi
attaccare le forze francesi a Dakar. Qualora non sia possibile ottenere il
contatto con il nemico, gli ordini prevedono di dirigere per il Basso Tirreno a
levante della congiungente Capo Carbonara-Marettimo, poi raggiungere il
meridiano 8° Est per le ore 7 del 9 settembre.
8 settembre 1940
La flotta italiana
supera lo stretto di Messina nella notte tra il 7 e l’8, ed alle 16 dell’8
giunge 50 miglia a sud di Cagliari, come ordinato.
La ricognizione
aerea, tuttavia, non avvista nessuna nave nemica (la Forza H, infatti, ha
lasciato Gibilterra per un’operazione da svolgersi non nel Mediterraneo ma
nell’Atlantico, ed ha simulato l’ingresso in Mediterraneo al preciso scopo di
trarre in inganno i comandi dell’Asse), dunque alle 16 dell’8 settembre la
formazione italiana, arrivata a sud della Sardegna, riceve da Supermarina
l’ordine di invertire la rotta e raggiungere le basi del Tirreno meridionale
(la 1a Squadra a Napoli, la 2a a Palermo e Messina).
9 settembre 1940
Una volta giunte
nelle basi del Basso Tirreno, le navi si riforniscono di carburante e rimangono
pronte a muovere, ma non ci sono novità sul nemico.
10 settembre 1940
I diversi reparti
della flotta tornano nelle basi di dislocazione normale (Taranto e Messina).
29 settembre 1940
Il Dardo lascia Taranto la sera del 29
settembre, insieme ai gemelli Saetta e Strale nonché all’incrociatore
pesante Pola, alle Divisioni I
(incrociatori pesanti Zara, Fiume, Gorizia), V (corazzate Giulio Cesare e
Conte di Cavour), VII
(incrociatori leggeri Muzio
Attendolo e Raimondo
Montecuccoli, da Brindisi), VIII (incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi)
e IX (corazzate Littorio e Vittorio Veneto) e le Squadriglie
Cacciatorpediniere X (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco),
XIII (Granatiere, Bersagliere, Alpino), XV (Alvise Da
Mosto, Giovanni Da
Verrazzano) e XVI (Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare). Il Pola con
la I Divisione e 4 cacciatorpediniere partono alle 18.05, le altre unità alle
19.30; contestualmente, prende il mare da Messina la III Divisione con 4 cacciatorpediniere.
Scopo dell’uscita è contrastare un’operazione britannica in corso, la «MB. 5»,
consistente nell’invio a Malta degli incrociatori Liverpool e Gloucester con
1200 uomini e rifornimenti e nel contemporaneo invio da Porto Said al Pireo del
convoglio «AN. 4», il tutto con l’uscita in mare delle corazzate Valiant e Warspite, della portaerei Illustrious,
degli incrociatori York, Orion e Sydney e di undici cacciatorpediniere a copertura
dell’operazione.
La formazione uscita
da Taranto assume rotta 160° e velocità 18 nodi.
30 settembre 1940
La formazione
proveniente da Taranto si riunisce con le navi provenienti da Messina alle 7.30.
In mancanza di elementi sufficienti ad apprezzare la composizione ed i
movimenti della Mediterranean Fleet ed in considerazione dello svilupparsi di
una burrasca da scirocco (che avrebbe reso impossibile una
navigazione ad alta velocità verso sud da parte dei cacciatorpediniere)
Supermarina decide di rinunciare a contrastare l’operazione ed ordina alle
unità in mare di invertire la rotta alle 6.25 del 30 ed incrociare dapprima tra
i paralleli 37° e 38°, poi (dalle 10.30) 38° e 39° ed alle 14 fare rotta verso
sudovest sino a raggiungere il 37° parallelo, poi, alle 17.20, di rientrare
alle basi.
1° ottobre 1940
Navigando nella
burrasca, la flotta italiana raggiunge le basi tra l’una e le quattro del
mattino del 1° ottobre, vi si rifornisce in fretta e rimane in attesa di
un’eventuale nuova uscita per riprendere il contrasto, ma in base alle nuove
informazioni ottenute ciò risulterà impossibile, pertanto, alle 14.00 del 2
ottobre, le navi riceveranno l’ordine di spegnere le caldaie.
11-12 ottobre 1940
Dato che alle 8.45
dell’11 ottobre un velivolo di linea italiano ha avvistato 20 navi britanniche
(15 navi da guerra e 5 di tipo imprecisato) in posizione 35°20’ N e 15°40’ O, a
65 miglia per 115° da (ad est-sudest di) Malta – si tratta dell’intera
Mediterranean Fleet, uscita in mare l’8 ottobre per fornire scorta a distanza
ad un convoglio diretto a Malta ed ora, dopo l’arrivo in porto dei mercantili
(avvenuto l’11 ottobre), in attesa di assumere la scorta di tre piroscafi
scarichi di ritorno ad Alessandria d’Egitto – Supermarina, tra le diverse
contromisure ordinate (ricognizioni con aerei, invio di MAS in agguato notturno
al largo della Valletta, approntamento delle due squadre navali, messa in
allarme delle difese di Taranto, della Sicilia e della Libia, interruzione del
traffico tra Italia e Libia), decide di inviare numerose siluranti a
controllare e, in caso di avvistamento di unità avversarie, attaccare (ricerca
offensiva, da svolgersi nottetempo). La VII Squadriglia esegue, nella notte tra
l’11 ed il 12, una ricerca a rastrello sulla congiungente Marettimo-Zembra al
largo di Capo Bon (nell’ipotesi di transito di navi provenienti o dirette a
Malta), ma non trova nulla. A trovare il nemico saranno la I Squadriglia
Torpediniere e la XI Squadriglia Cacciatorpediniere, inviate più ad est,
scatenando un combattimento nel quale affonderanno il cacciatorpediniere Artigliere e le torpediniere Airone ed Ariel.
22 ottobre 1940
Dardo,
Freccia (caposquadriglia e
caposcorta), Saetta e Strale salpano da Palermo sostituendo le
torpediniere Clio e Calliope nella scorta dei trasporti
truppe Esperia e Marco Polo, provenienti da Napoli e
diretti a Tripoli. Alle 17 lo Strale,
per avarie di macchina, deve raggiungere Trapani; riparata l’avaria, ne riparte
l’indomani alle 13.
23 ottobre 1940
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 14.40.
24 ottobre 1940
Dardo, Freccia (caposcorta), Saetta e Strale ripartono da Tripoli alle 9.15, sempre scortando Esperia e Marco Polo, ora diretti a Bengasi.
25 ottobre 1940
Il convoglio arriva a
Bengasi alle 9.30, e poi riparte per tornare a Tripoli alle 17, dopo che i
piroscafi hanno sbarcato le truppe.
26 ottobre 1940
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 16.
27 ottobre 1940
Esperia e Marco Polo,
sempre scortati dalla VII Squadriglia, ripartono da Tripoli alle 21 per tornare
in Italia.
28 ottobre 1940
La VII Squadriglia
lascia la scorta alle 18.15, in prossimità di Trapani, venendo sostituita dalla
torpediniera Alcione, che
accompagna i due piroscafi nell’ultimo tratto di navigazione (fino a Napoli).
11-12 novembre 1940
Il Dardo si trova ormeggiato in Mar
Piccolo a Taranto (in banchina, insieme agli incrociatori pesanti Pola e Trento, agli incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi,
ai cacciatorpediniere Freccia, Saetta, Strale, Maestrale, Libeccio, Grecale, Scirocco, Camicia Nera, Carabiniere, Corazziere, Ascari, Lanciere, Geniere, Da Recco, Pessagno ed Usodimare, alle torpediniere Pallade, Polluce, Partenope e Pleiadi, alla portaidrovolanti Giuseppe Miraglia, al posamine Vieste ed al rimorchiatore di
salvataggio Teseo), quando la base
viene attaccata da aerosiluranti britannici che affondano la corazzata Conte di Cavour e pongono fuori uso
la Littorio e la Duilio.
Mentre gli
aerosiluranti attaccano le corazzate, cinque bombardieri attaccano a più
riprese le unità presenti in Mar Piccolo, a scopo diversivo, sganciando
complessivamente una sessantina di bombe.
Alle 23.15 dell’11 le
navi in Mar Piccolo aprono il fuoco contro alcuni aerei che sganciano bombe da
una quota valutata in 500 metri; gli ordigni inquadrano i posti d’ormeggio dei
cacciatorpediniere, ma solo uno va a segno, senza esplodere (sul Libeccio, che riporta solo lievi danni).
Il Dardo in Mar Ligure (da www.marina.difesa.it)
|
23 novembre 1940
Il Dardo ed il resto della VII Squadriglia
lasciano Taranto per trasferirsi a Napoli, dove rimarranno a disposizione della
Squadra Navale.
24 novembre 1940
Dopo una navigazione
con mare pessimo, la VII Squadriglia arriva a Napoli.26-28 novembre 1940
Tra le 11.50 e le
12.30 del 26 il Dardo lascia Napoli
unitamente al Freccia ed al Saetta (la VII Squadriglia è al comando
del capitano di fregata Amleto Baldo), alla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere
(Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino) ed alle corazzate Vittorio Veneto e Giulio Cesare (prendono
il mare al contempo anche l’incrociatore pesante Pola, la I Divisione con due unità e la IX Squadriglia
Cacciatorpediniere con quattro unità). La formazione italiana (vi sono anche la
III Divisione e la XII Squadriglia Cacciatorpediniere partite da Messina) si
riunisce 70 miglia a sud di Capri alle 18.00 del 26 novembre, assumendo poi
rotta 260° e velocità 16 nodi, per intercettare un convoglio britannico diretto
a Malta. VII e XIII Squadriglia scortano le due corazzate (così formando la I
Squadra). Tra le 8.30 e le 9.10 la I Squadra, rimanendo indietro rispetto agli
incrociatori (che formano la II Squadra), a poppavia dei quali sta procedendo,
accelera a 17 e poi a 18 nodi per ridurre la distanza. Alle 9.50 le corazzate
avvistano un ricognitore britannico Bristol Blenheim, contro cui aprono il
fuoco alle 10.05 (il velivolo si allontana). Alle 11 la formazione inverte la
rotta ed aumenta la velocità da 16 a 18 nodi, ed alle 11.28 assume rotta 135°,
per intercettare la formazione britannica che (dalle segnalazioni dei
ricognitori) risulta avere posizione differente da quella prevista. Alle 12.07,
in seguito alla constatazione che la formazione britannica appare superiore a
quella italiana (i cui ordini sono di impegnarsi solo se in condizioni di
sicura superiorità) l’ammiraglio Inigo Campioni, al comando della flotta
italiana, ordina di assumere rotta 90° per rientrare alle basi senza ingaggiare
il combattimento, e di aumentare la velocità. Alle 12.15, tuttavia, vengono
avvistate le sopraggiungenti navi britanniche, pertanto viene ordinato di
incrementare ancora la velocità (che è di 25 nodi per la I Squadra e di 28 per
la II Squadra, che deve riunirsi alla I essendo più indietro). Alle 12.20 gli
incrociatori della II Squadra aprono il fuoco da 21.500-22.000 metri. Per
avvicinarsi rapidamente alla II Squadra, alle 12.27 la I Squadra inverte la
rotta ad un tempo sulla dritta, ed alle 12.35 inverte nuovamente la rotta,
sempre a dritta; poco dopo un gruppo di aerosiluranti britannici, decollati
dalla portaerei Ark Royal, si porta a
650 metri dalle corazzate (tra queste ed i cacciatorpediniere della scorta) e
lancia infruttuosamente i propri siluri, undici, tutti evitati con la manovra.
I cacciatorpediniere rispondono con un intenso tiro delle mitragliere
contraeree, così come le corazzate (con i loro pezzi da 90 ed anche da 152 mm
oltre alle mitragliere). Alle 13.00 la Vittorio
Veneto apre il fuoco da poco meno di 29.000 metri, ma le unità britanniche
subito accostano a dritta e la distanza aumenta a 31.000 metri, costringendo la
corazzata a cessare il fuoco già alle 13.10. Alle 13.15, essendo la distanza
(della II Squadra dalle forze britanniche) salita a 26.000 metri, il tiro viene
cessato anche dagli incrociatori, viene rotto il contatto. Ha così fine
l’inconclusiva battaglia di Capo Teulada. Alle 21 del 27 novembre le navi
italiane assumono rotta nord a 15 nodi e procedono sino alle 00.30, poi
dirigono verso est fino alle 7.30 del 28, dopo di che seguono le rotte costiere,
arrivando a Napoli tra le 13.25 e le 14.40 del 28.
5 dicembre 1940
Durante
un’esercitazione congiunta della VII e della VIII Squadriglia
Cacciatorpediniere nel Golfo di Taranto, il Dardo
ed il Saetta, per errori di manovra,
rischiano di entrare in collisione con lo Strale,
che riesce ad evitarli di stretta misura.
15 dicembre 1940
Intorno alle 17 la
VII Squadriglia, insieme alle Squadriglie Cacciatorpediniere IX e XIII, alle
corazzate Giulio Cesare e Vittorio Veneto ed agli
incrociatori pesanti Zara e Gorizia, lascia Napoli diretto a La
Maddalena, dove le navi sono state temporaneamente trasferite per sottrarle ad
altri attacchi aerei britannici dopo che, nelle settimane precedenti, alcuni
bombardamenti aerei hanno causato vari danni, in particolare il grave
danneggiamento dell’incrociatore Pola.
Le unità rimangono a La Maddalena, porto non molto più al sicuro di Napoli
dagli attacchi aerei, solo per i pochi giorni necessari all’approntamento a
Napoli di adeguate contromisure contro i bombardamenti (tra cui impianti per
l’annebbiamento del porto).
La permanenza delle
navi a La Maddalena è travagliata dalle pessime condizioni meteorologiche, con temperature
gelide e mare burrascoso (al punto da rendere difficile anche il traffico delle
imbarcazioni tra le navi alla fonda e tra queste ed il porto per la consegna di
viveri e posta e per gli altri servizi, perché le motolance rischiano di
capovolgersi): un vero inferno gelato, come lo descrive nelle sue memorie
(“Quelli di sottocastello”) il sottonocchiere Alessandro Caldara del Dardo.
Un'altra immagine del Dardo (da www.warshipsww2.eu) |
19 dicembre 1940
La squadra rientra a
Napoli, mentre la VII Squadriglia raggiunge prima Pozzuoli, ove si rifornisce
di nafta, e poi raggiunge anch’essa Napoli.
21 dicembre 1940
Al tramonto, Dardo e Strale lasciano Napoli alla volta di Augusta, per una nuova
missione.
22 dicembre 1940
Dopo aver
attraversato lo stretto di Messina, Dardo
e Strale raggiungono Augusta all’alba,
e si ormeggiano alle boe; agli equipaggi è proibito andare a terra, fatta eccezione
per il comandante ed il postino. Qualche ora dopo, vengono installate su
ciascun cacciatorpediniere delle selle a slitta, e viene finalmente rivelato lo
scopo della missione: trasporto di mezzi d’assalto. In serata, infatti, Dardo e Strale imbarcano ciascuno quattro Motoscafi da Turismo Modificati,
i cosiddetti “barchini esplosivi”, ed i relativi equipaggi. Dovranno portarli
nell’isola di Lero, nel Dodecaneso (ma questo l’equipaggio non lo sa). I
“barchini esplosivi” vengono sistemati sulle selle e coperti con grandi teloni.
24 dicembre 1940
Dardo
e Strale salpano da Augusta verso le
18, ma prima ancora di uscire dal porto il Dardo
subisce un’avaria (scoppio di un tubo del vapore) che lo obbliga a tornare in
banchina per le riparazioni, che vengono effettuate durante la notte di Natale.
25 dicembre 1940
Dardo
e Strale ripartono verso mezzogiorno,
procedendo a 25 nodi verso Bengasi.
26 dicembre 1940
Dardo
e Strale arrivano a Bengasi, si
riforniscono di acqua e nafta e poi proseguono verso il Dodecaneso.
28 dicembre 1940
Dopo due giorni di
navigazione con vento fortissimo e mare burrascoso, che ha costretto a ridurre
la velocità a 18 nodi per evitare il rovesciamento, Dardo e Strale giungono a
Portolago, nell’isola di Lero. Il Dodecaneso è isolato dall’Italia e
praticamente sotto assedio, ed i marinai della base, dopo aver espresso la loro
incredulità per l’arrivo di due navi dall’Italia, chiedono ai loro equipaggi
pasta, riso, sapone, dentifricio, carta ed altri generi di prima necessità,
perché, data la situazione, nel Dodecaneso manca praticamente tutto. I marinai
dei due cacciatorpediniere danno tutto quello che hanno, a costo di restare
senza niente.
In serata, Dardo e Strale si trasferiscono nella baia di Parteni, sempre sulla costa
di Lero, dove durante la notte sbarcano i “barchini esplosivi”. Questi verranno
poi impiegati con successo, qualche mese dopo, in un attacco contro la base
cretese di Suda (26 marzo 1941: affondamento dell’incrociatore pesante York e grave danneggiamento della nave
cisterna Pericles).
Così completata la
missione, Dardo e Strale ripartono subito alla volta di
Bengasi, incontrando ancora mare tempestoso, che spazza continuamente le navi
provocando anche vari danni in coperta ed alle strutture esterne. La velocità,
date le condizioni del mare, deve essere limitata a 16 nodi.
1° gennaio 1941
Dopo essersi
riforniti a Bengasi, Dardo e Strale vengono inviati a Tobruk.
Dovranno fornire protezione ai pescherecci impiegati per il rifornimento via
mare della piazzaforte di Bardia, circondata e assediata sul lato terra: nei
giorni precedenti, infatti, queste piccole unità sono state attaccate e
distrutte da incrociatori britannici.
2 gennaio 1941
In serata Dardo e Strale lasciano Tobruk alla volta di Bardia, per il loro
pattugliamento anti-incrociatori. Giunti al largo di Bardia, gli equipaggi
possono notare che è sono in corso combattimenti tra italiani e britannici: si
vedono infatti chiaramente i traccianti dei colpi degli opposti schieramenti
che si incrociano. I marinai del Dardo
non possono saperlo, ma stanno assistendo all’inizio della battaglia di Bardia:
proprio in quel momento le truppe del Commonwealth (perlopiù australiane)
stanno lanciando l’assalto finale contro Bardia, che si concluderà tre giorni
più tardi con la completa conquista della piazzaforte.
(g.c. Dante Flore, via www.naviearmatori.net) |
3 gennaio 1941
Dopo aver incrociato
per tutta la notte senza trovare traccia di navi britanniche, Dardo e Strale rientrano a Tobruk in mattinata, si riforniscono e ripartono
la sera stessa diretti a Tripoli.
4 gennaio 1941
Dopo un’altra
giornata di navigazione con tempo pessimo, che ha ridotto navi ed equipaggi
piuttosto a mal partito, Dardo e Strale entrano a Tripoli.
6 gennaio 1941
Dardo
e Strale (caposcorta) salpano da
Tripoli alle 19.30 per scortare a Palermo la motonave Marco Foscarini.
7 gennaio 1941
Alle tre di notte, a causa di un’avaria della bussola del caposcorta, Strale e Foscarini si incagliano profondamente in un bassofondale sabbioso nella zona delle secche di Kerkennah; il Dardo (che procede in coda alla formazione, mentre lo Strale è in testa e la Foscarini al centro) evita di stretta misura un’analoga sorte, mettendo le macchine indietro tutta (anche se i suoi condensatori, a causa del basso fondale, aspirano una gran quantità di sabbia del fondo).
7 gennaio 1941
Alle tre di notte, a causa di un’avaria della bussola del caposcorta, Strale e Foscarini si incagliano profondamente in un bassofondale sabbioso nella zona delle secche di Kerkennah; il Dardo (che procede in coda alla formazione, mentre lo Strale è in testa e la Foscarini al centro) evita di stretta misura un’analoga sorte, mettendo le macchine indietro tutta (anche se i suoi condensatori, a causa del basso fondale, aspirano una gran quantità di sabbia del fondo).
Mentre la Foscarini riesce successivamente a liberarsi
da sola, il disincaglio dello Strale
si rivela particolarmente difficoltoso. La nave viene alleggerita di acqua e
nafta, dopo di che il Dardo le si
avvicina cautamente di poppa; tra i due cacciatorpediniere viene teso un cavo,
poi il Dardo cerca poi di liberare il
gemello dalla sabbia, ma il tentativo non riesce.
Successivamente la
torpediniera Generale Achille Papa,
di scorta ad un altro convoglio che passa nelle vicinanze, avvista i due
cacciatorpediniere e si dirige sul posto per fornire assistenza. Cala però il
buio: ogni tentativo di disincaglio viene interrotto fino all’indomani, ed il Dardo si dispone di guardia al
sezionario incagliato.
L’indomani mattina,
finalmente, la Papa, grazie anche al
suo minore pescaggio rispetto al Dardo
(che le permette di manovrare più liberamente e di avvicinarsi maggiormente
allo Strale), riesce a prendere a
rimorchio lo Strale ed a
disincagliarlo.
9 gennaio 1941
Alle 10 Strale, Dardo, Papa e Foscarini arrivano a Palermo.
10 gennaio 1941
Dopo essersi
riforniti, Dardo e Strale si trasferiscono a Napoli,
ponendo così fine all’estenuante missione iniziata il 21 dicembre. Scrive il
sottonocchiere Alessandro Caldara del Dardo:
«In questa infernale missione da quando
siamo partiti non ci siamo più lavati, l’acqua da bere è stata centellinata,
abbiamo quasi sempre mangiato viveri secchi perché le condizioni del mare ci
impedivano di usare la cucina; sempre marci d’acqua, sempre in allarme, senza
dormire; i locali sempre allagati. Quando si poteva ci si buttava a pagliolo,
senza badare all’acqua che vi scorreva, tanto era la nostra stanchezza. Ora
siamo qui tutti irsuti e smagriti. (…) I
nostri due caccia esteriormente sembrano più rottami informi che navi; comunque
abbiamo scorrazzato in lungo e in largo e, nonostante che gli inglesi ci
cercassero, l’abbiamo fatta franca. In seguito verremo a sapere che i mezzi
d’assalto da noi trasportati hanno forzato il porto di Suda affondando
l’incrociatore York e danneggiando navi da trasporto inglesi.»
Inverno 1940-1941
Partecipa, con altre
unità (incrociatori leggeri e cacciatorpediniere), a crociere notturne (tra i
paralleli 39°45’ N e 40°18’ N) a protezione dei convogli che trasportano in
Albania i rifornimenti per le truppe italiane impegnate sul fronte greco-albanese,
nonché ad azioni di bombardamento navale a supporto delle stesse operazioni.
Il Dardo e, in secondo piano, il similare Folgore (da www.marina.difesa.it) |
27 gennaio 1941
Dardo,
Strale ed altri tre
cacciatorpediniere lasciano Napoli per scortare a Genova la corazzata Duilio, ivi diretta per le riparazioni
definitive dei danni causati dall’attacco degli aerosiluranti britannici a
Taranto del novembre precedente.
28 gennaio 1941
La Duilio arriva a Genova; Dardo e Strale entrano in porto e vi sostano fino all’indomani.
29 gennaio 1941
Dardo
e Strale lasciano Genova scortando la
corazzata Giulio Cesare, che ha
terminato le riparazioni dei danni causati da un bombardamento britannico di
qualche settimana prima. Fuori del porto, si uniscono alla formazione altri due
cacciatorpediniere, e le navi dirigono verso sud a 18 nodi.
In serata la
formazione giunge a La Spezia, e Dardo
e Strale entrano nel locale Arsenale
per un periodo di lavori di riparazione dei danni causati a scafi e apparati
motori dal maltempo e dall’intenso servizio dell’ultimo mese.
Il Dardo rimarrà ai lavori per quasi due
mesi. Durante questi lavori subisce anche delle modifiche dell’armamento: le
mitragliere binate Breda Mod. 31 da 13,2 mm in plancia vengono sostituite con
due mitragliere singole Breda da 20/65 mm Mod. 1935, ed i due obici illuminanti
da 120 mm vengono sostituiti con due mitragliere binate da 20 mm.
23 marzo 1941
Terminati i lavori, Dardo e Strale lasciano La Spezia in serata, si riforniscono a Pozzuoli e
poi raggiungono Napoli.
27 marzo 1941
Dardo,
Folgore (caposcorta, capitano di
fregata Giuriati) e Strale partono da
Napoli alle 23.45 per scortare a Tripoli i mercantili tedeschi Galilea, Heraklea, Ruhr, Adana e Samos. Il convoglio procede ad una velocità di 9 nodi, ed imbocca
la rotta del Canale di Sicilia.
28 marzo 1941
Alle 9.45, al
traverso di Capo Bon, il convoglio assume rotta sud. Cala poi la notte, molto
buia, tanto da ridurre di molto la visibilità. Il mare è calmo.
Alle 21.58 il
sommergibile britannico Utmost (capitano
di corvetta Richard Douglas Cayley), dopo aver avvistato il convoglio – con
rotta 150° e velocità 12 nodi, a 8230 metri per 330° – nel punto 35°40’ N e
11°19’ E (al largo delle Kerkennah e 22 miglia a sudest di Kuriat), lancia
quattro siluri contro tre dei mercantili, per poi scendere più in profondità e
ritirarsi verso est. Ad essere colpite sono l’Heraklea (avente a bordo 212 soldati tedeschi e 100 automezzi)
e la Ruhr (che trasporta
585 soldati tedeschi e 160 veicoli), cioè le navi che procedono in testa alle
due colonne del convoglio (il Dardo sta
invece zigzagando sul fianco del convoglio, mentre lo Strale è sul fianco opposto ed il Folgore in testa). Mentre l’Heraklea affonda con 78 dei 212 uomini a bordo, il Samos e l’Adana accostano e manovrano in base alle istruzioni precedentemente
impartite, ma il Galilea si
ferma per parecchio tempo a raccogliere i naufraghi, nonostante l’ordine del
caposcorta di rimettersi in rotta. Anche lo Strale ripete al Galilea l’ordine
del caposcorta, e poi, dato che il piroscafo non ascolta e rimane separato dal
resto del convoglio, lo Strale stesso
viene distaccato dal caposcorta per scortarlo. Al recupero dei superstiti
provvede il Dardo, che mette a mare
una motolancia; i marinai del Dardo
provvedono ad armare anche due lance dell’Heraklea,
rimaste intatte, che usano per i soccorsi unitamente alla motolancia. Nonostante
il buio della notte, il mare mosso ed il forte vento, il Dardo riesce a salvare 120 naufraghi tedeschi, molti dei quali
feriti. Gli uomini del Dardo prestano
le prime cure ai naufraghi salvati, rifocillandoli e dando loro i loro vestiti
e le loro coperte (ed anche delle sigarette).
La Ruhr, danneggiata ma galleggiante, viene
poi assistita e presa a rimorchio sempre dal Dardo, che la rimorchia dapprima verso Tripoli e poi, a seguito di
un contrordine, verso Trapani a 4 nodi, venendo successivamente raggiunto dalle
torpediniere Circe, Alcione e Sagittario, da due MAS di Messina e da alcuni rimorchiatori di
Trapani, che forniscono scorta e assistenza. Ad un certo punto il rimorchio
viene interrotto quando le vedette del Dardo
avvistano, nel punto in cui è affondato l’Heraklea,
quello che sembra il periscopio di un sommergibile: il Dardo molla il cavo e si ritorna sul luogo del siluramento,
manovrando per speronare il presunto periscopio, che si rivela però essere
invece la gamba di un tavolino rovesciato. La nave abbandona dunque la caccia e
torna a prendere a rimorchio la Ruhr.
Il resto del
convoglio arriverà a Tripoli il 30 marzo.
29 marzo 1941
Alle 3.08, al largo
di Kelibia, il Dardo, impegnato nel
rimorchio della Ruhr e scortato dalla
torpediniera Sagittario,
incontra le vecchie torpediniere Giuseppe
Missori e Giuseppe La Farina,
del tipo “tre pipe”. Il comandante del Dardo
ordina a Missori e La Farina di unirsi alla scorta;
alle 7.30 arrivano anche alcuni velivoli incaricati della scorta aerea.
30 marzo 1941
Alle 17.15, in
prossimità di Trapani, il Dardo dà
libertà di manovra alla Sagittario,
proseguendo con la scorta delle due “tre pipe”; il convoglio riduce
progressivamente la velocità ed alle 17.55 viene raggiunto da due
rimorchiatori, che alle 18.05 prendono a rimorchio la Ruhr, liberando così il Dardo di
tale incombenza. Il cacciatorpediniere entra così in porto, mentre la Missori riceve da esso l’ordine di
restare per fornire eventuale assistenza alla Ruhr, fino a quando essa non sia giunta in porto. La motonave entra
finalmente in porto alle 21.
Dopo essere stati
trasbordati su un rimorchiatore che li dovrà portare a terra, i naufraghi dell’Heraklea si mettono a gridare “Viva il Dardo”, “Viva i marinai italiani” ed
altre cose in tedesco che gli uomini del cacciatorpediniere non capiscono.
Scrive il sottonocchiere Caldara: «Questo resterà l’unico, gradito compenso per
i nostri stracci prestati che nessuna autorità mai ci restituirà».
31 marzo 1941
Lasciata Trapani, il Dardo raggiunge Napoli. Qualche giorno
dopo, mentre la nave è sempre ormeggiata nel porto partenopeo, gli uomini del Dardo incontrano l’equipaggio del Ruhr, che hanno rimorchiato in salvo:
gli ufficiali tedeschi invitano a pranzo quelli italiani, mentre i marinai dei
due equipaggi girano insieme per la città.
9 aprile 1941
Il Dardo (caposcorta) e le torpediniere Generale Achille Papa, Enrico Cosenz e Clio
salpano da Napoli alle 14.30, scortando un convoglio formato dalle motonavi da
carico Rialto, Birmania, Barbarigo, Andrea Gritti e Sebastiano Venier.
Il mare è mosso, ma
la navigazione si svolge senza grandi problemi; vengono avvistate alcune mine
alla deriva, affondate a colpi di mitragliera, e poco oltre Capo Bon si
verificano due allarmi per sommergibli, ma senza conseguenze.
11 aprile 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 11.30.
Nei giorni seguenti
il Dardo rimane in porto a Tripoli;
tutte le notti si verificano bombardamenti aerei.
16 aprile 1941
Partecipa ai soccorsi ai superstiti del convoglio «Tarigo» (piroscafo italiano Sabaudia, piroscafi tedeschi Arta, Adana, Aegina e Iserlohn, cacciatorpediniere Luca Tarigo, Lampo e Baleno), annientato la notte precedente dai cacciatorpediniere britannici Jervis, Janus, Nubian e Mohawk (quest’ultimo affondato nello scontro). In tutto saranno tratti in salvo 1248 superstiti, mentre le vittime saranno centinaia.
17 aprile 1941
Durante un’incursione
aerea sul porto di Tripoli, una bomba esplode in mare molto vicina al Dardo,
sul suo lato sinistro: la nave viene irrorata da una pioggia di scheggie, che
provocano pochi danni ma feriscono sei mitraglieri ed uccidono sul colpo il
marinaio cannoniere puntatore scelto Luigino Bellu, 19 anni, da Riola Sardo,
addetto ad una mitragliera. Stranamente, nonostante la bomba sia esplosa a
sinistra, sono i mitraglieri del lato di dritta ad essere colpiti. Alla memoria
del marinaio cannoniere Luigino Bellu verrà conferita la Medaglia d’Argento al
Valor Militare, con motivazione: «Imbarcato
su silurante e destinato, in qualità di puntatore, ad una mitragliera, nel
corso di un violento combattimento si prodigava per ripristinare al tiro l’arma
inceppata. Riuscito nell’intento, riprendeva impavido il fuoco. Colpito da
scheggie, cadeva eroicamente al proprio posto di combattimento. (Tripoli, 17
aprile 1941)».
Tra i mitraglieri
feriti, risultano gravissime le condizioni del secondo capo cannoniere Umberto
Bosani, 25 anni, da Pozzolo Formigaro; mentre viene trasbordato su un
rimorchiatore per essere portato a terra, insieme agli altri feriti, Bosani chiede
notizie della nave e dei suoi compagni. Morirà in ospedale il 20 aprile, per le
ferite riportate. Due giorni dopo l’attacco, si terranno a Tripoli i funerali
solenni delle vittime, alla presenza di tutto l’equipaggio.
Scrive Caldara: “È il
primo sangue che bagna il nostro Dardo”.
19 aprile 1941
Il Dardo (caposcorta) e le torpediniere Clio e Giuseppe Missori lasciano Tripoli alle 15, scortando le
motonavi Barbarigo, Birmania, Rialto, Andrea Gritti e Sebastiano Venier, di ritorno a Napoli.
20 aprile 1941
Al largo di
Pantelleria, il convoglio viene attaccato da bombardieri britannici in più
ondate, ma soltanto la Clio è
colpita, subendo solo danni leggeri.
21 aprile 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 11.
8 maggio 1941
Il Dardo lascia Napoli alle tre di notte
scortando, insieme ai cacciatorpediniere Aviere
(caposcorta), Geniere, Grecale e Camicia Nera, un convoglio composto dai piroscafi Ernesto e Tembien, dalle motonavi italiane Giulia e Col di
Lana e dalle tedesche Preussen e Wachtfels.
9 maggio 1941
Il convoglio deve
rientrare a Napoli all’1.15 a seguito di allarme navale.
11 maggio 1941
Il convoglio riparte
da Napoli alle due di notte.
Per fornirgli scorta
a distanza nel Canale di Sicilia, escono in mare gli incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere e Luigi Cadorna della IV Divisione, Luigi di Savoia Duca degli
Abruzzi e Giuseppe Garibaldi
dell’VIII Divisione ed i cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare, Antonio Pigafetta (aggregati alla
VIII Divisione), Maestrale, Scirocco, Bersagliere, Fuciliere ed
Alpino (aggregati alla IV Divisione).
La navigazione
procede tranquilla; vengono avvistate delle mine alla deriva e sul Dardo si organizza una sorta di gara di
tiro al bersaglio con i moschetti, ma siccome il rollio della nave rende il
tiro molto impreciso, alla fine si ripiega sulle solite mitragliere da 20 mm
per far saltare le mine.
13 maggio 1941
Il convoglio arriva
Tripoli alle 11.40.
Il Dardo rimane a Tripoli per una
settimana, sotto continui attacchi aerei notturni.
20 maggio 1941
Dardo,
Aviere (caposcorta), Grecale e Camicia Nera e la torpediniera Enrico
Cosenz lasciano Tripoli per Napoli alle 16, scortando i
piroscafi Wachtfels (tedesco), Ernesto ed Amsterdam, la pirocisterna Sanandrea e le motonavi Col di Lana e Giulia.
La scorta a distanza
è assicurata dalla VII Divisione Navale, con gli incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi ed i cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere ed Alpino.
23 maggio 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 23.
1° giugno 1941
Il Dardo salpa da Napoli alle 19.30,
insieme ai cacciatorpediniere Aviere (capitano
di vascello Luciano Bigi, caposcorta), Geniere
e Camicia Nera ed alla
torpediniera Giuseppe Missori, per
scortare a Tripoli il convoglio «Aquitania», formato dai piroscafi Beatrice C., Aquitania, Caffaro, Nirvo e Montello e dalla moderna motonave cisterna Pozarica. Essendo l’«Aquitania» uno dei
più grandi convogli sino ad allora inviati in Libia, ed in assoluto uno dei più
grandi dell’intera battaglia dei convogli nordafricani, è uscita da Palermo
anche una potente forza di copertura a distanza, consistente nell’intera VIII
Divisione Navale (ammiraglio di divisione Antonio Legnani) con i moderni
incrociatori leggeri Luigi di Savoia
Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi ed i cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino. Completa l’apparato difensivo la
scorta aerea, fornita da due caccia FIAT CR. 42.
2 giugno 1941
Il convoglio, che
procede a non più di otto nodi (non molto), viene avvistato già il 2 giugno sia
da un sommergibile britannico (la cui presenza è segnalata al convoglio, che
esegue una diversione dalla rotta proprio il 2 mattina, per evitarlo) che da un
idroricognitore Short Sunderland, che comunicano quanto visto: poco dopo
mezzogiorno decollano quindi da Malta, per attaccare le navi italiane, cinque
bombardieri Bristol Blenheim (o Martin Maryland) della RAF.
Intorno alle 14 gli
aerei britannici avvistano il convoglio, ma – avendo notato la presenza dei due
CR. 42 della scorta aerea – non attaccano subito e si tengono invece a distanza,
volando bassi sul mare tallonando il
convoglio, in attesa di condizioni favorevoli per l’attacco (cioè, aspettando
che la scorta aerea se ne vada). Alle 14.15 anche le navi italiane avvistano i
Blenheim, molto lontani sulla dritta e bassi sul mare, con rotta quasi
parallela a quella del convoglio e direzione verso la Tripolitania; ma, dato
che in questo periodo gli attacchi aerei diurni non sono ancora divenuti molto
frequenti, pensano che siano bombardieri tedeschi Junkers Ju 88. In ogni caso,
gli aerei vengono quasi subito persi di vista.
Alle 14.30 (16.30 per
altra fonte) si avverano infine le aspettative degli attaccanti: i due CR. 42,
dovendo tornare alla base, lasciano il convoglio e vengono sostituiti da un
idrovolante antisommergibile CANT Z. 501, un velivolo lento, superato, poco
armato: inadatto a contrastare un attacco aereo (e difatti è impiegato nella
scorta antisommergibile). Il convoglio si trova in quel momento posizione
35°25’ N e 11°57’ E, circa venti miglia a nordest delle Isole Kerkennah e
dodici miglia a nordest della boa numero 1 delle secche di Kerkennah, al largo
della Tunisia.
Il CANT Z. 501 si
posiziona a proravia del convoglio in funzione di ricognizione
antisommergibile, ed alle 14.45, venuta meno la minaccia dei CR. 42, i Blenheim
passano all’attacco: volando a 500 metri di quota, raggiungono il convoglio
provenendo da poppavia e lo “risalgono” dalla coda alla testa, sganciando le
loro bombe.
In quel momento le
navi della scorta stanno procedendo ai lati del convoglio ed il sole è quasi
sceso sull’orizzonte; i Blenheim vengono avvistati sulla dritta (quasi
provenienti dalla direzione del sole), a circa 4 km di distanza, che si
avvicinano al convoglio volando in formazione a triangolo ad circa 50 metri di
quota. Il caposcorta dà subito l’avvistamento e chiede l’invio di aerei da
caccia; poi tutte le navi, sia i mercantili che le unità di scorta, aprono il
fuoco con le mitragliere, ma le navi scorta sul lato sinistro hanno il campo di
tiro ostruito dai mercantili stessi: dato che gli aerei volano molto bassi,
sono quasi coperti dai piroscafi. Una volta giunti in prossimità del convoglio,
gli aerei accostano leggermente alla loro sinistra, come per evitare le unità
di scorta; arrivano sopra i piroscafi di coda, risalgono la formazione e
sganciano le bombe sul convoglio, senza nemmeno tentare una minima cabrata.
Uno dei Blenheim
viene abbattuto (per una versione, dal fuoco contraereo delle navi del
convoglio, per un’altra dai CR. 42 dei tenenti Marco Marinone ed Antonio Bizio,
entrambi appartenenti alla 70a Squadriglia del 23° Gruppo
Caccia Terrestre) e precipita in fiamme, ma gli altri sganciano con precisione
le loro bombe, che vanno a segno; poi si allontanano verso est, sempre volando
bassi, vanamente inseguiti dal tiro contraereo delle navi. I marinai del Dardo hanno l’impressione di aver
colpito uno degli aerei attaccanti, che passando di poppa inizia ad emettere
una lunga scia di fumo, per poi precipitare in mare oltre il convoglio.
Il Montello, carico di munizioni e di
benzina, si disintegra in una colossale esplosione, senza lasciare alcun
sopravvissuto; il Beatrice C. viene
anch’esso colpito ed incendiato e, dopo vani tentativi di salvataggio, dovrà
essere abbandonato dall’equipaggio e finito a cannonate dal Camicia Nera, alle sette del mattino del
giorno seguente. Geniere e Missori recuperano i naufraghi
del Beatrice C.; il Geniere recupera anche gli avieri
britannici del Blenheim abbattuto, che vengono presi prigionieri e
successivamente interrogati dal comandante in seconda del cacciatorpediniere.
Il Dardo si porta sul punto in cui è
affondato il Montello, ma non trova
nulla: né rottami anche solo di piccolissime dimensioni, né salme, né niente
che faccia pensare ad un recente affondamento: del piroscafo non è rimasto
nulla. «L’acqua è azzurra e limpida, e lo
spaventoso sta proprio in questo: (…) tutto
è pulito come se non ci fosse mai stato niente; solo una patina di unto dà
all’acqua delle iridescenze strane» (Alessandro Caldara). Una petroliera
(evidentemente la Pozarica) comunica
al Dardo di avere una falla nello
scafo e di aver ricevuto un proiettile di grosso calibro sulla prua,
evidentemente lanciato lì dall’esplosione del Montello.
4 giugno 1941
Alle 14.10 il resto
del convoglio raggiunge Tripoli, dove subirà altri quattro attacchi aerei
mentre in porto, che ritarderanno le operazioni di scarico a tal punto che l’11
giugno, quando si renderà necessario far ripartire le navi per liberare il
porto a causa dell’arrivo di un altro convoglio, buona parte dei carichi finirà
col tornare in patria all’interno delle stive, non essendovi stato modo di
sbarcarlo.
11 giugno 1941
Dardo,
Aviere (caposcorta) e Geniere salpano da Tripoli per Napoli
alle 19.30, scortando i piroscafi Aquitania,
Nita e Castelverde.
14 giugno 1941
Il convoglio arriva a
Napoli alle 9.
30 giugno 1941
Dardo, Turbine, Freccia (caposcorta) e Strale
salpano da Napoli per Tripoli alle 18, scortando un convoglio composto dalle
motonavi italiane Francesco Barbaro, Andrea Gritti, Sebastiano Venier, Barbarigo e Rialto e dalla tedesca Ankara. Le navi procedono ad una
velocità di 16 nodi.
2 luglio 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 18.
10 luglio 1941
Il Dardo lascia Tripoli scortando, con altre
unità, delle motonavi cariche di profughi civili che rimpatriano dalla Libia.
Dopo aver superato indenne un attacco aereo notturno (il Dardo e le altre navi della scorta emettono cortine fumogene per
coprire i mercantili, astenendosi dall’aprire il fuoco per non rivelare la
propria posizione; gli aerei lanciano un gran numero di bengala, ma alla fine
se ne vanno senza attaccare), il Dardo
raggiungerà Trapani, dove sosterà due giorni prima di rientrare a Napoli.
Questa missione non
figura però nella cronologia USMM (“La difesa del traffico con l’Africa
Settentrionale dal 10.6.1940 al 30.9.1941”).
27 luglio 1941
Dardo, Freccia (caposcorta) e Strale salpano da Napoli alle 13.45,
scortando i piroscafi Spezia, Bainsizza ed Amsterdam e la motonave Col di Lana, con rifornimenti per
l’Afrika Korps. Il convoglio è scortato a distanza anche dagli incrociatori
leggeri Raimondo Montecuccoli e Giuseppe Garibaldi e dai
cacciatorpediniere Granatiere e
Bersagliere.
28 luglio 1941
Si unisce alla scorta
diretta, alle 3.40, il cacciatorpediniere Turbine, mentre alle 19 la scorta indiretta rientra in porto.
Durante la notte il convoglio viene attaccato da aerosiluranti, ma nessuna nave
viene colpita.
29 luglio 1941
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 19.15.
7 agosto 1941
Dopo una settimana di
sosta a Tripoli, tormentata come al solito dai bombardamenti aerei, il Dardo riparte alla volta di Napoli.
13 agosto 1941
Arriva a Napoli.
Il Dardo in navigazione (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)
|
16 agosto 1941
Salpa da Napoli alle
00.30 di scorta, insieme al gemello Freccia
(caposcorta, capitano di fregata Giorgio Ghè), al cacciatorpediniere Euro ed alle torpediniere Giuseppe Sirtori, Procione e Pegaso, ad un
convoglio (40. Seetransport Staffel) formato dai piroscafi Caffaro, Nicolò Odero e Maddalena Odero, dalle motonavi Giulia e Marin Sanudo e dalla nave
cisterna Minatitlan.
Alle 9.13 il
sommergibile olandese O 23 (tenente
di vascello Gerardus Bernardus Michael Van Erkel) avvista il convoglio, che
procede con rotta 212° a dieci nodi di velocità, a 10 miglia per 057°, ed alle
10.03, nel punto 39°35’ N e 13°18’ E (a sudovest di Capri), lancia due siluri
da cinque miglia per poi scendere subito a 40 metri. Nessuna delle armi
colpisce, ma dopo undici minuti alcune unità della scorta si portano al
contrattacco e lanciano, fino alle 13.30, un centinaio di bombe di profondità.
L’O 23 evita danni scendendo a 95
metri; terminata la caccia, alcune unità continuano a lanciare una carica di
profondità ogni venti minuti sino alle 19.30.
17 agosto 1941
Nel tardo pomeriggio
il convoglio, mentre procede a 9 nodi a sud di Pantelleria, viene avvistato da
ricognitori nemici.
Alle 20.45 (o 20.47),
17 minuti dopo che la scorta aerea ha lasciato le navi per rientrare alle basi,
il convoglio viene attaccato da aerosiluranti britannici: due sezioni di due
aerei ciascuna, provenienti dai fianchi, appaiono ai lati del convoglio, defilando
lungo i mercantili e sganciando i loro siluri da poca distanza. Le navi della
scorta reagiscono con opportune manovre, l’apertura del fuoco (sia con le
artiglierie che con le mitragliere) e l’emissione di cortine nebbiogene per
coprire i piroscafi.
Tre dei quattro
siluri sganciati mancano il bersaglio, grazie anche all’azione della scorta (e
soprattutto all’emissione di cortine fumogene, che disorientano gli ultimi
aerei ad attaccare), ma uno colpisce il Maddalena Odero, immobilizzandolo. Il piroscafo danneggiato
dev’essere preso a rimorchio della Pegaso,
assistito dalla Sirtori; viene
portato fino in un’insenatura sulla costa di Lampedusa, ma qui il piroscafo,
colpito ancora da bombe d’aereo, esplode e trascina nella sua fine anche la
cannoniera Maggiore Macchi della
Guardia di Finanza, inviata a prestargli assistenza.
Il resto del
convoglio prosegue per Tripoli.
19 agosto 1941
Verso le 15.30 il
sommergibile britannico P 32 (tenente
di vascello David Anthony Bail Abdy), in agguato a quota periscopica fuori
Tripoli, avvista il convoglio di cui fa parte il Dardo. Il P 32 scende
a 15 metri e si avvicina ad elevata velocità, preparandosi ad attaccare, ma
verso le 15.40, mentre sta tornando a quota periscopica, il sommergibile viene
scosso da un’esplosione ed affonda, adagiandosi sul fondale a 60 metri di
profondità.
L’esplosione viene
notata anche dalle navi del convoglio italiano, ormai in arrivo a Tripoli: gli
uomini del Dardo sentono
un’esplosione sorda e vedono una colonna d’acqua levarsi a circa 2000 metri di
distanza, sulla loro sinistra. Un MAS inviato sul posto dalla base libica
recupera due sopravvissuti (gli unici superstiti su 34 membri dell’equipaggio),
che sono fuoriusciti dal relitto del sommergibile; uno dei due è il comandante
Abdy.
Sul momento si
ritiene che il P 32 sia
saltato sulle mine dei campi minati posti a difesa del porto, mentre un
successivo esame del relitto mostrerà che probabilmente il battello è rimasto
vittima dell’esplosione accidentale di uno dei suoi stessi siluri.
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 17.30.
La notte successiva,
altro bombardamento di Tripoli; una bomba cade vicina al Dardo, ma non causa danni.
19 agosto 1941
Alle 15 Dardo, Freccia (caposcorta), Euro e
Procione ripartono da Tripoli per
scortare in Italia Rialto, Gritti, Barbaro, Pisani e Venier.
21 agosto 1941
Alle due di
notte Euro e Rialto, separatisi dal resto del
convoglio, entrano a Palermo. Le altre navi raggiungono Napoli alle 8.
23 agosto 1941
Il Dardo, insieme al resto della VII
Squadriglia (Freccia e Strale), lascia Napoli nel pomeriggio,
diretto a Palermo.
24 agosto 1941
Dardo,
Freccia e Strale giungono davanti al porto di Palermo; qui attendono l’uscita
dell’VIII Divisione Navale (incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi, Montecuccoli ed Attendolo), dopo di che alle 5.30 l’VIII
Divisione la VII Squadriglia e la VIII Squadriglia Cacciatorpediniere (Folgore e Fulmine) prendono il mare per compiere una crociera fino all’isola
di La Galite e Capo Serrat (Tunisia), nell’ambito del contrasto all’operazione
britannica «Mincemeat», che vede l’uscita da Gibilterra di parte della Forza H
(la portaerei Ark Royal, la
corazzata Nelson, l’incrociatore
leggero Hermione e cinque
cacciatorpediniere) per bombardare gli stabilimenti industriali ed i boschi di
sughero nella Sardegna settentrionale (con gli aerei dell’Ark Royal), posare mine al largo di Livorno (con il posamine
veloce Manxman, camuffato da
cacciatorpediniere francese classe Leopard) e dissuadere, con tale
dimostrazione di forza, la Spagna dall’entrare in guerra a fianco dell’Asse. I
veri obiettivi dell’azione britannica non sono comunque noti a Supermarina, che
pensa soprattutto ad un nuovo tentativo britannico di inviare a Malta un
convoglio di rifornimenti; il gruppo formato dall’VIII Divisione e dalla VII e
VIII Squadriglia Cacciatorpediniere ha il compito d’intercettarlo, se dovesse
passare nel Canale di Sicilia, compiendo per questo una crociera verso La
Galite.
Escono in mare anche
la III Divisione (incrociatori pesanti Trieste, Trento, Bolzano e Gorizia,
più i cacciatorpediniere Lanciere, Corazziere, Ascari e Carabiniere della
XII Squadriglia, cui in seguito si aggiungono anche Maestrale e Scirocco),
partita da Messina alle 9.50, e la IX Divisione (corazzate Littorio e Vittorio
Veneto e cacciatorpediniere Aviere e Camicia Nera della XI Squadriglia e Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino della XIII Squadriglia),
salpata da Taranto alle 16 e successivamente rinforzata dai
cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi, Nicoloso Da Recco e Lanzerotto Malocello da Napoli,
ed Antonio Pigafetta e Giovanni Da Verrazzano da Trapani.
Queste due Divisioni vengono inviate al centro del Tirreno.
Intorno alle cinque
del mattino, gli aerei dell’Ark
Royal attaccano la zona di Coghinas e Tempio Pausania con bombe e
spezzoni incendiari, causando però pochissimi danni (una casa distrutta ed un
soldato ucciso) nonostante la zona sia ricca di boschi di sughero.
Alle 10.20 il
sommergibile britannico Upholder (capitano
di corvetta Malcolm David Wanklyn) avvista su rilevamento 270° tre unità
maggiori e diversi cacciatorpediniere che procedono con rotta 215° e velocità
25 nodi: sono l’Attendolo, il Montecuccoli ed il Duca degli Abruzzi, ed i loro cinque
cacciatorpediniere di scorta (tra cui il Dardo).
Alle 10.34 l’Upholder lancia due
siluri all’incrociatore di coda, in posizione 38°30’ N e 12°00’ E (al largo
dell’estremità nordoccidentale della Sicilia), da una distanza di 5030 metri.
Nessuno dei siluri va a segno; il Duca
degli Abruzzi ne avvista le scie, che gli passano una cinquantina di
metri a proravia. I cacciatorpediniere danno la caccia all’Upholder mentre si ritira ad elevata velocità verso est/nordest;
vengono lanciate 32 bombe di profondità, ma nessuna esplode abbastanza vicia da
danneggiarlo.
Verso le 16, dato che
la ricognizione aerea, spintasi fino al 3° meridiano, non ha trovato alcun
convoglio, l’VIII Divisione ed i relativi cacciatorpediniere ricevono ordine
dal Comando Squadra di non proseguire oltre le ore 17 nella puntata verso La
Galite (che ormai è già in vista), ma di assumere invece rotta 30°, in
previsione di un possibile ricongiungimento con il gruppo «Littorio».
Alle 16.56 la
Divisione comincia ad accostare per assumere la rotta ordinata (per una
possibile riunione con la III e IX Divisione), assumendo la velocità di 22 nodi.
25 agosto 1941
Essendo la Forza H
già tornata a Gibilterra, all’1.25 giunge da Supermarina l’ordine di rientrare
a Palermo, dove le navi arrivano verso le 8.45.
Una volta giunti a
Palermo, mentre gli incrociatori entrano in porto, i cacciatorpediniere
attendono di nuovo fuori; dopo un’ora viene rimorchiato fuori dal porto il
cacciatorpediniere Lampo, che è stato
recuperato dopo il suo parziale affondamento, avvenuto quattro mesi prima (16
aprile) sulle secche di Kerkennah, a causa dei danni causati dal tiro di
cacciatorpediniere britannici nella battaglia del convoglio Tarigo. Il Folgore prende a rimorchio il Lampo, che va portato a Napoli per i
lavori di ricostruzione; il Dardo scorta
l’inusuale convoglio (parecchi mesi più tardi, sarà proprio il Dardo ad essere protagonista di una
simile operazione di recupero e rimorchio da Palermo a Napoli).
La navigazione
procede a bassissima velocità, e con non poche difficoltà, dato che lo scafo
del Lampo è stato completamente
svuotato, e di conseguenza la nave ha una stabilità molto precaria.
28 agosto 1941
Dardo,
Folgore e Lampo arrivano a Napoli.
1° settembre 1941
Il Dardo (capitano di corvetta Ferdinando
Corsi) salpa da Napoli alle 22 (o 24), insieme ai cacciatorpediniere Folgore, Strale e Nicoloso
Da Recco (caposcorta, capitano di vascello Stanislao Esposito), per
scortare a Tripoli le motonavi Gritti, Pisani, Barbaro, Rialto e Venier. Il convoglio attraversa lo
Stretto di Messina ed imbocca la rotta di levante, per tenersi il più possibile
al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti di Malta.
2 settembre 1941
Durante la notte sul
2 settembre, nel Tirreno, il convoglio, informato della probabile presenza di
un sommergibile nemico, devia dalla rotta, manovra che lo farà passare nello
stretto di Messina con tre ore di ritardo. Passato lo stretto, il convoglio si
divide in due colonne, con Rialto e Pisani a dritta, Barbaro e Gritti a sinistra, Venier più
a poppavia, tra le due colonne, e la scorta tutt’intorno (Da Recco in testa, Freccia e Strale a dritta, Folgore e Dardo a sinistra). La deviazione compiuta in precedenza fa
però sì che il convoglio si trovi in acque pericolose – nel raggio d’azione
degli aerei britannici di base a Malta – in acque notturne (senza cioè poter
fruire della scorta aerea italiana, che vi è solo di giorno), contrariamente
alle previsioni iniziali. Al calare della notte, come al solito, la scorta
aerea se ne va.
3 settembre 1941
Non appena in
franchia dello stretto di Messina, il convoglio assume rotta 116° (mettendo la
prua sulla Morea), cioè verso est, per uscire dal cerchio di raggio 160 miglia
con centro su Malta (che corrisponde al raggio d’azione dei suoi aerei, che
possono colpire nella zona dello stretto e fino a sud di Capo Spartivento, ma
non più ad est) prima di assumere rotta sud. Il ritardo accumulato nello
stretto di Messina fa sì che il convoglio si trovi nella zona pericolosa (entro
il raggio d’azione degli aerei di Malta) nelle ore notturne, quando non è
disponibile la scorta aerea.
Alle
00.25-00.30, a circa 26 miglia per 140° (a sud-sudest) di Capo
Spartivento Calabro (nel punto 37°33’ N e 16°26 E), cioè mentre ancora si trova
– per poche miglia – entro il raggio d’azione degli aerei di Malta, il
convoglio viene attaccato da nove aerosiluranti Fairey Swordfish dell’830th Squadron
F.A.A. decollati da Malta.
Gli aerei,
provenienti dal lato sinistro, nonostante la reazione delle artiglierie
contraeree delle navi (il Folgore abbatte
un aerosilurante), colpiscono Gritti e Barbaro con un siluro ciascuna.
La Barbaro viene colpita all’estrema poppa,
rimanendo immobilizzata ma in buone condizioni di galleggiabilità; la Gritti, carica di munizioni, salta
invece in aria, uccidendo 347 dei 349 uomini a bordo.
All’1.05, terminato
l’attacco, il Dardo si avvicina alla
danneggiata Barbaro per prestarle
assistenza, mentre il resto del convoglio prosegue per la sua rotta (arriverà a
Tripoli l’indomani, senza subire altre perdite).
Il comandante Corsi
del Dardo ed il comandante militare
della Barbaro si accordano per
provvedere all’immediato trasbordo di tutto il personale di passaggio (9
ufficiali e 294 sottufficiali e soldati del Regio Esercito) e tale operazione
ha inizio all’1.40, ma le condizioni del mare costringono a procedere con
estrema lentezza e rendono il trasbordo molto pericoloso; verso le 3.30,
pertanto, il comandante militare della motonave, in vista del tramonto della
luna (e pur ponderando l’eventualità che la nave sia attaccata ancora mentre è
ferma e pressoché indifesa), decide di sospendere il trasbordo fino all’alba,
dato che in quelle condizioni e con l’oscurità notturna sarebbe quasi certa la
perdita in mare di uomini durante tale operazione.
Alle 5.15, con le
prime luci dell’alba, il trasbordo viene ripreso, venendo finalmente ultimato
intorno alle sette: in tutto, vengono trasbordati dalla Barbaro al Dardo 300
militari di passaggio – 9 ufficiali e 291 tra sottufficiali e soldati – e 95
uomini di equipaggio. Completata quest’operazione, la Barbaro passa al Dardo il
suo migliore cavo di acciaio, ammanigliato su tre lunghezze di catena, dopo di
che il cacciatorpediniere inizia a rimorchiare la motonave in direzione di Capo
dell’Armi. Nel frattempo arriva sul posto anche il cacciatorpediniere Strale, che comunica col Dardo, trasborda del personale e poi si
allontana a tutta forza verso sudest.
Verso le 7.30
giungono nel cielo del gruppo Dardo-Barbaro due aerei da cacca e poco dopo
anche un idrovolante, che ne assumono la scorta aerea.
Verso le 9 sopraggiungono
i cacciatorpediniere Ascari e Lanciere, inviati ad assumere la scorta
di Dardo e Barbaro; i due cacciatorpediniere iniziano subito un’alacre opera
di protezione, zigzagando attorno alla motonave danneggiata ed al
cacciatorpediniere che la rimorchia, i quali avanzano a stento (bassissima
velocità) a causa delle condizioni della motonave, del vento e del mare
avversi che intralciano il rimorchio.
Poco più tardi la
scorta viene rafforzata dal cacciasommergibili Albatros e poi anche dal cacciatorpediniere Carabiniere, mentre nel pomeriggio
sopraggiungono anche i rimorchiatori Titano
e Porto Recanati, inviati a dare
assistenza al Dardo nel
rimorchio. Alle 16.30 la Barbaro,
senza fermarsi, passa un cavo d’acciaio anche al Titano, permettendo di aumentare un po’ la velocità del rimorchio.
Alle 18.30 (o 19) il Dardo, la Barbaro e la loro nutrita scorta riescono infine a raggiungere
la rada di Messina.
17 settembre 1941
Il Dardo lascia Napoli alle cinque del
mattino, insieme a Freccia, Folgore (caposcorta) ed Euro, per scortare a Tripoli un
convoglio («Caterina») formato dal piroscafo Caterina, dalle motonavi Marin
Sanudo e Col di Lana e
dalla nave cisterna Minatitlan.
18 settembre 1941
Alle quattro del
mattino il convoglio, mentre naviga sulle rotte interne di Favignana, viene
attaccato da aerosiluranti britannici a tre miglia da Marsala. Le navi della
scorta, come al solito, cercano di nascondere i mercantili con cortine
nebbiogene ed aprono il fuoco con l’armamento contraereo; data la vicinanza
della costa, anche le batterie di terra sparano contro gli aerei. Uno degli
attaccanti viene abbattuto, ma un siluro colpisce la Col di Lana. La motonave danneggiata viene rimorchiata a Trapani
dai rimorchiatori Liguria e Montecristo, scortati dal Dardo.
Il resto del
convoglio riuscirà a superare altri attacchi di aerosiluranti senza subire
danni, e raggiungerà Tripoli alle 12.30 (o 17.30) del giorno seguente.
Disastro a Palermo
Due immagini del Dardo capovolto a Palermo il 23
settembre 1941, mentre sono in corso tentativi di salvare gli uomini
intrappolati nello scafo (sopra: Coll. Maurizio Brescia via www.associazione-venus.it; sotto:
g.c. STORIA militare)
All'inizio della terza decade del settembre 1941, il Dardo doveva entrare in cantiere a Palermo per un ciclo di lavori di riparazione e rimodernamento. Come raccontato anche dal sottonocchiere Alessandro Caldara, autore del libro di memorie "Quelli di sottocastello", che prestò servizio sul Dardo dal giugno 1940 al 1° settembre 1941 (quando fu trasferito sul Freccia, appena 23 giorni prima della tragedia, per porre fine ad un insanabile dissidio tra lui ed un tirannico nostromo del Dardo), i lavori furono motivati da un incidente occorso al Dardo: durante l'ultima missione, la nave aveva strisciato su un bassofondo presso Punta Nubia, subendo gravi danni alle eliche. Occorreva pertanto sostituire le eliche, e per farlo la nave doveva entrare in bacino di carenaggio.
Prima dell'inizio dei lavori il Dardo venne scaricato di acqua, nafta e munizioni, e fu anche alleggerito della zavorra per essere immesso in bacino di carenaggio. Il risultato di questo alleggerimento fu una drastica riduzione del pescaggio, con la nave alleggerita al punto che adesso era "tutta fuori acqua".
E il 23 settembre 1941, quando giunse il momento dell'immissione in bacino, i cronici problemi d’instabilità delle unità della classe Dardo, aggravati dalla mancanza di zavorra, riemersero con tragiche conseguenze. Intorno alle cinque del pomeriggio, mentre il Dardo veniva rimorchiato all'interno del porto di Palermo per entrare nel bacino di carenaggio, la mancanza di pesi nello scafo ed il vento che tirava in quel momento (Caldara parla di un colpo di vento giunto nello stesso momento in cui si verificò uno "strappo" di un rimorchiatore) causarono uno sbandamento che in breve portò al capovolgimento della nave.
La maggior parte degli uomini che si trovavano sul Dardo in quel momento riuscirono a gettarsi in mare prima che fosse troppo tardi, ma alcune decine rimasero intrappolate nello scafo capovolto. Alcuni tentarono di uscire attraverso gli oblò rimasti al di sopra della superficie del mare, ma riuscirono a far passare soltanto testa e spalle, mentre rimasero incastrati con le anche. Intervennero dei motoscafi, che li assicurarono con delle cime e li strapparono fuori dagli oblò.
Un gruppetto di uomini, tra quelli rimasti intrappolati nello scafo, riuscirono a rifugiarsi in una sacca d'aria formatasi nella stiva del deposito munizioni: battendo le mani sulle pareti, riuscirono a farsi sentire dai soccorritori, e vennero salvati attraverso buchi praticati nello scafo con la fiamma ossidrica. Alcuni di quegli uomini non si sarebbero più ripresi dallo shock subito.
Prima dell'inizio dei lavori il Dardo venne scaricato di acqua, nafta e munizioni, e fu anche alleggerito della zavorra per essere immesso in bacino di carenaggio. Il risultato di questo alleggerimento fu una drastica riduzione del pescaggio, con la nave alleggerita al punto che adesso era "tutta fuori acqua".
E il 23 settembre 1941, quando giunse il momento dell'immissione in bacino, i cronici problemi d’instabilità delle unità della classe Dardo, aggravati dalla mancanza di zavorra, riemersero con tragiche conseguenze. Intorno alle cinque del pomeriggio, mentre il Dardo veniva rimorchiato all'interno del porto di Palermo per entrare nel bacino di carenaggio, la mancanza di pesi nello scafo ed il vento che tirava in quel momento (Caldara parla di un colpo di vento giunto nello stesso momento in cui si verificò uno "strappo" di un rimorchiatore) causarono uno sbandamento che in breve portò al capovolgimento della nave.
La maggior parte degli uomini che si trovavano sul Dardo in quel momento riuscirono a gettarsi in mare prima che fosse troppo tardi, ma alcune decine rimasero intrappolate nello scafo capovolto. Alcuni tentarono di uscire attraverso gli oblò rimasti al di sopra della superficie del mare, ma riuscirono a far passare soltanto testa e spalle, mentre rimasero incastrati con le anche. Intervennero dei motoscafi, che li assicurarono con delle cime e li strapparono fuori dagli oblò.
Un gruppetto di uomini, tra quelli rimasti intrappolati nello scafo, riuscirono a rifugiarsi in una sacca d'aria formatasi nella stiva del deposito munizioni: battendo le mani sulle pareti, riuscirono a farsi sentire dai soccorritori, e vennero salvati attraverso buchi praticati nello scafo con la fiamma ossidrica. Alcuni di quegli uomini non si sarebbero più ripresi dallo shock subito.
Dei 234 uomini che formavano l'equipaggio del Dardo, solo 122 (per altra fonte 193), al comando del capitano di
corvetta Ferdinando Corsi, si trovavano a bordo, mentre gli altri erano già
partiti in licenza, dato che la nave non sarebbe tornata in servizio per un po’
di tempo. Esistono stime divergenti sul numero delle vittime: a seconda delle
fonti, 38 o 40 uomini trovarono la morte nel disastro. I volumi che elencano i
caduti e dispersi della Marina Militare nella seconda guerra mondiale elencano
i nomi di 33 uomini del Dardo
deceduti in tale data; è possibile che le altre vittime fossero operai o
comunque personale di cantiere che si trovava già a bordo della nave.
Trenta corpi furono
recuperati dal relitto e sepolti nel cimitero di Santa Maria dei Rotoli (Palermo),
nella prima fila della cappella numero 3 (reparto soldati), durante la
settimana successiva all'affondamento, mentre altri due, ritrovati dopo alcune
settimane, furono sepolti il 23 ottobre 1941. Per i sei rimanenti, si sarebbe
dovuto aspettare fino al recupero del relitto: i resti di cinque di loro furono
ritrovati il 20 febbraio 1942, a recupero terminato, e quelli dell'ultimo
disperso vennero rinvenuti solo il 23 marzo di quello stesso anno.
Su otto
delle lapidi, non essendo stato possibile identificare le salme (si trattava di
Enzo Fiorini di Firenze, Alcide Giovetti di Cusano Milanino, Giuseppe Micalizzi
di Catania, Italo Vetromile ed Alfonso Viapiano di Taranto, Luigi Visone di
Sant’Anastasia, Pietro Zanette di Godega Sant’Urbano e Rino Conventi di Goro di
Mesola), fu scritto semplicemente «Marinaio del Dardo».
Le famiglie di alcuni
dei marinai – ufficialmente dichiarati dispersi –, nonostante alcune di esse
avessero ripetutamente inviato lettere alla Marina fin dal 1941, non avrebbero appreso la
verità sulla sorte dei loro congiunti sino a quando, il 3 dicembre 1982, un
sopravvissuto del Dardo avrebbe
raccontato la storia dell'affondamento durante una puntata della trasmissione
“Portobello” di Enzo Tortora. Alcune delle famiglie avrebbero allora reclamato
le salme, che, dopo tanto tempo, sarebbero infine tornate ai paesi d’origine.
I resti degli otto marinai mai identificati, invece, attendono tuttora un'identificazione che le odierne tecnologie renderebbero possibile, e che permetterebbe di restituirli alle loro famiglie: appelli in questo senso dei discendenti del marinaio Rino Conventi, però, sono rimasti finora inascoltati.
I resti degli otto marinai mai identificati, invece, attendono tuttora un'identificazione che le odierne tecnologie renderebbero possibile, e che permetterebbe di restituirli alle loro famiglie: appelli in questo senso dei discendenti del marinaio Rino Conventi, però, sono rimasti finora inascoltati.
Le vittime tra l’equipaggio del Dardo:
Mario Amato, marinaio radiotelegrafista,
deceduto
Filippo Bersaglio, marinaio, deceduto
Giuseppe Barnazzani, marinaio, deceduto
Marino Bianchi, marinaio, deceduto
Pietro Bovi, marinaio carpentiere, deceduto
Alberto Capanna, marinaio cannoniere, deceduto
Dante Cavallari, sottocapo segnalatore,
deceduto
Giuseppe Cirillo, marinaio, deceduto
Michele Coccaro, sottocapo cannoniere,
deceduto
Domenico Comiti, sottocapo cannoniere,
deceduto
Rino Conventi, marinaio, disperso
Aldo Cundari, marinaio cannoniere, deceduto
Stefano De Pasqua, secondo capo meccanico,
deceduto
Vito De Tullio, marinaio radiotelegrafista,
deceduto
Enzo Fiorini, sottocapo cannoniere, deceduto
Bruno Gerenzani, marinaio cannoniere, da
Olgiate Olona (nato a Marnate), deceduto
Alcide Giovetti, marinaio S. D. T., disperso
Leonardo Inglese, marinaio silurista, deceduto
Antonio Lo Nardo, marinaio fuochista, deceduto
Lucio Lunani, sottocapo radiotelegrafista,
deceduto
Giulio Mairo, secondo capo meccanico, deceduto
Paolo Mazzoni, sottocapo cannoniere, deceduto
Silvio Melis, marinaio cannoniere, deceduto
Giuseppe Micalizzi, sottocapo infermiere,
disperso
Vincenzo Morvillo, marinaio, deceduto
Gennaro Mottola, marinaio, deceduto
Nevio Sangigli, marinaio fuochista, deceduto
Antonio Stucchi, marinaio fuochista, deceduto
Mario Vargiù, marinaio cannoniere, deceduto
Italo Vetromile, operaio militarizzato col
grado di sergente, disperso
Alfonso Viapiano, marinaio cannoniere,
disperso
Luigi Visone, sottocapo elettricista, disperso
Pietro Zanette, sottocapo meccanico, disperso
Il marinaio Pietro Bovi,
morto nel capovolgimento del Dardo a
Palermo, qui fotografato durante il precedente servizio sul sommergibile Jantina (per g.c. del nipote Gabriele Gamberoni)
|
I comandi italiani decisero
che valesse la pena di recuperare la nave per ripararla e rimetterla in
servizio: il relitto del cacciatorpediniere fu pertanto recuperato nel febbraio 1942, raddrizzato e
rimorchiato a Genova nel marzo successivo. A compiere il rimorchio del Dardo da Palermo a Genova fu il Freccia, suo gemello e compagno di squadriglia: partecipò così all'operazione anche Alessandro Caldara, il sottonocchiere che era stato imbarcato proprio sul Dardo dall'inizio della guerra a tre settimane prima della tragedia. Il trasferimento del Dardo da Palermo a Genova è da Caldara descritto nel suo libro "Quelli di sottocastello". Alle 7.30 circa del 10 marzo 1942, il Dardo venne trainato da due rimorchiatori fuori dal porto di Palermo, dove lo attendeva il Freccia; a questo punto venne lasciato dai rimorchiatori, e furono tesi dei cavi di rimorchio tra il Dardo ed il Freccia. Scortato dalla torpediniera Polluce e da un rimorchiatore d'alto mare, il Freccia iniziò a rimorchiare il gemello avariato ad una velocità di otto nodi; per fortuna il mare era calmo, il che era molto di aiuto. Intorno alle due del pomeriggio, però, il rimorchiatore che li accompagnava ebbe un'avaria di macchina, costringendo il Freccia a fermarsi ed a prendere a rimorchio - ironia della sorte - anche questa nave, di poppa al Dardo, formando così una linea nell'ordine Freccia-Dardo-rimorchiatore.
Questo inusuale convoglietto raggiunse in un primo tempo Napoli e vi sostò per una decina di giorni, poi ripartì la sera del 21 marzo; di nuovo, il Dardo fu portato fin fuori dal porto da dei rimorchiatori, dopo di che il rimorchio (sia del Dardo che del rimorchiatore avariato) passò di nuovo al Freccia. La scorta era questa volta costituita dall'incrociatore ausiliario Città di Genova. La piccola formazione avanzò tenendosi molto rasente la costa; poco dopo aver superato Civitavecchia, i cavi del rimorchiatore si spezzarono, costringendo il Freccia a fermarsi ed a passargli dei nuovi cavi, che però si ruppero di nuovo dopo un'altra ora di navigazione. Di nuovo il Freccia si fermò e passò dei nuovi cavi, perdendo parecchio tempo, poi la navigazione riprese. Al largo di Piombino il convoglietto incontrò un po' di maltempo, che però non causò grandi problemi; l'indomani, giunto all'altezza di Rapallo, il Freccia aumentò la velocità perché era in ritardo, ma l'eccessivo sforzo provocò la rottura della catena con cui stava rimorchiando il Dardo. Non essendocene altre, il rimorchio del Dardo venne passato al rimorchiatore, il quale, dovendo procedere con una macchina avaria, andava ad una lentezza esasperante. Alla fine, alle sei di sera del 22 marzo, Freccia e Dardo entrarono nel porto di Genova.
Il 24 novembre 1942 il Dardo fu trasferito da Genova a La Spezia (dove entrò in bacino), a rimorchio del rimorchiatore Vortice e scortato dalla vecchia
torpediniera Nicola Fabrizi e dal MAS 509.
Questo inusuale convoglietto raggiunse in un primo tempo Napoli e vi sostò per una decina di giorni, poi ripartì la sera del 21 marzo; di nuovo, il Dardo fu portato fin fuori dal porto da dei rimorchiatori, dopo di che il rimorchio (sia del Dardo che del rimorchiatore avariato) passò di nuovo al Freccia. La scorta era questa volta costituita dall'incrociatore ausiliario Città di Genova. La piccola formazione avanzò tenendosi molto rasente la costa; poco dopo aver superato Civitavecchia, i cavi del rimorchiatore si spezzarono, costringendo il Freccia a fermarsi ed a passargli dei nuovi cavi, che però si ruppero di nuovo dopo un'altra ora di navigazione. Di nuovo il Freccia si fermò e passò dei nuovi cavi, perdendo parecchio tempo, poi la navigazione riprese. Al largo di Piombino il convoglietto incontrò un po' di maltempo, che però non causò grandi problemi; l'indomani, giunto all'altezza di Rapallo, il Freccia aumentò la velocità perché era in ritardo, ma l'eccessivo sforzo provocò la rottura della catena con cui stava rimorchiando il Dardo. Non essendocene altre, il rimorchio del Dardo venne passato al rimorchiatore, il quale, dovendo procedere con una macchina avaria, andava ad una lentezza esasperante. Alla fine, alle sei di sera del 22 marzo, Freccia e Dardo entrarono nel porto di Genova.
Tre immagini del Dardo dopo il
suo raddrizzamento e recupero a Palermo, nell’inverno del 1941-1942 (g.c.
Giovanni Pinna):
Durante i successivi
lavori di riparazione e ricostruzione, l’impianto lanciasiluri poppiero venne
rimpiazzato da due mitragliere pesanti Breda da 37/54 mm; furono inoltre
installate altre tre mitragliere singole Scotti/Isotta Fraschini da 20/70 mm
(due a proravia del fumaiolo ed una a poppa) ed un radar italiano Ec.3/ter
“Gufo” (per altre fonti quest’ultimo fu installato solo durante i nuovi lavori
nell’agosto 1943). Per migliorare la stabilità, lo scafo fu allargato di 1,2
metri e venne rimossa la centrale di tiro.
Completati i lavori,
il Dardo tornò a Genova il 4 maggio
1943 e qui compì, il 21 ed il 28 maggio e l’8 giugno, le prove in mare,
dopodiché fece ritorno a La Spezia il 19 giugno.
Il Dardo a Genova nell’agosto 1943 (Foto Aldo Fraccaroli, Coll. Maurizio
Brescia via www.associazione-venus.it)
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Rientrato in servizio
il 15 giugno 1943, al comando del capitano di corvetta Angelo Biancheri, il Dardo effettuò esercitazioni al largo di
La Spezia il 27 ed il 29 giugno e poi ancora l’1, il 3 ed il 5 luglio. Il 19
luglio salpò per la prima nuova missione di guerra, scortando a La Maddalena i
piroscafi Altamura e Cassino, per poi tornare a La Spezia,
dove giunse il 22.
La seconda vita del
cacciatorpediniere, però, fu di effimera durata. Nello stesso mese di luglio,
il Dardo fu nuovamente messo fuori
uso dallo scoppio di una delle sue turbine, e dovette nuovamente essere
sottoposto ad un periodo di lavori.
Quando fu annunciato
l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, i lavori sul Dardo – formalmente assegnato alla XVI Squadriglia
Cacciatorpediniere di base a La Spezia, che componeva con i più grandi Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli e Nicolò Zeno – non erano ancora
terminati, e la nave, impossibilitata a muovere, venne catturata a Genova dalle
forze tedesche il 9 settembre 1943.
Diversi membri dell'equipaggio vennero catturati ed internati in Germania; due di essi, il marinaio Angelo Ghinassi ed il sottocapo motorista Mario Silla Magi, non ne avrebbero più fatto ritorno. Altri marinai del Dardo sarebbero morti in Italia nei diciotto lunghissimi mesi a venire, nei quali il Paese sarebbe stato sconquassato dai combattimenti tra tedeschi e Alleati, dalla lotta senza quartiere tra fascisti e partigiani, dai bombardamenti, dai rastrellamenti, dalle rappresaglie.
Diversi membri dell'equipaggio vennero catturati ed internati in Germania; due di essi, il marinaio Angelo Ghinassi ed il sottocapo motorista Mario Silla Magi, non ne avrebbero più fatto ritorno. Altri marinai del Dardo sarebbero morti in Italia nei diciotto lunghissimi mesi a venire, nei quali il Paese sarebbe stato sconquassato dai combattimenti tra tedeschi e Alleati, dalla lotta senza quartiere tra fascisti e partigiani, dai bombardamenti, dai rastrellamenti, dalle rappresaglie.
Il 17 settembre il Dardo fu incorporato nella Kriegsmarine con il nome di TA 31 (Torpedoboot Ausland, dunque declassata a torpediniera), ma
tornò in servizio solo il 17 giugno 1944, dopo aver subito la sostituzione, nel
corso dei lavori di riparazione, di una delle mitragliere da 20 mm (quella sita
a poppavia del fumaiolo) con una da 37 (per altra fonte furono imbarcate due
mitragliere singole M1939 da 37 mm). Anche il radar italiano era stato
sostituito con un modello tedesco, un Fu.Mo.24 o 31. A causa della bassa
qualità dei lavori di riparazione, la nave non era in perfette condizioni
d’operatività (le macchine erano inaffidabili e non consentivano di superare i
30 nodi), ma, stante la scarsità di naviglio disponibile, la Kriegsmarine
dovette accontentarsi.
Assegnata alla 10. Torpedoboot-Flotille (con base a Genova ed interamente composta da unità ex italiane), la TA 31 effettuò subito, lo stesso 17 giugno, la sua prima missione: poche ore prima che gli Alleati avviassero le operazioni per l’invasione dell’arcipelago elbano, la nave imbarcò la ridotta guarnigione tedesca di Pianosa e, scortata da MAS e Schnellboote, fece rotta per Marina di Campo. Nelle prime ore di quello stesso giorno la piccola formazione navale fu avvistata da unità di pattuglia alleate, ma queste vennero respinte dal tiro della TA 31 e poi inseguite da una Schnellboot. La TA 31 e le altre navi giunsero poi a Portolongone, dove sbarcarono la guarnigione di Pianosa.
Assegnata alla 10. Torpedoboot-Flotille (con base a Genova ed interamente composta da unità ex italiane), la TA 31 effettuò subito, lo stesso 17 giugno, la sua prima missione: poche ore prima che gli Alleati avviassero le operazioni per l’invasione dell’arcipelago elbano, la nave imbarcò la ridotta guarnigione tedesca di Pianosa e, scortata da MAS e Schnellboote, fece rotta per Marina di Campo. Nelle prime ore di quello stesso giorno la piccola formazione navale fu avvistata da unità di pattuglia alleate, ma queste vennero respinte dal tiro della TA 31 e poi inseguite da una Schnellboot. La TA 31 e le altre navi giunsero poi a Portolongone, dove sbarcarono la guarnigione di Pianosa.
La TA 31 nell’estate del 1944 (Coll. G. Vaccaro via M. Brescia e www.associazione-venus.it)
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Successivamente
l’unità svolse alcune altre missioni e prese parte ad un’azione al largo di Bocca
di Serchio, dopo di che l’usura causata dall’intensa e prolungata attività
operativa, e le continue avarie che la colpirono, spinsero a porla in disarmo
già il 20 ottobre 1944. Pochi giorni dopo, il 25 ottobre, la nave venne colpita
da bombe e seriamente danneggiata durante un’incursione aerea; i danni non
vennero nemmeno riparati. (Altre fonti sembrano invece attribuire il disarmo
della TA 31 proprio alle conseguenze
dei danni subiti nel bombardamento, così posponendo la data della radiazione.)
Il 24 aprile 1945,
poco prima della resa tedesca, la TA 31
venne autoaffondata nel porto di Genova. Il relitto venne recuperato nel novembre
1946 e demolito.
Caduti in guerra tra l’equipaggio del Dardo:
Mario Amato, marinaio radiotelegrafista,
deceduto il 23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Vito Baldini, sergente meccanico, deceduto in
territorio metropolitano il 31.10.1943
Luigino Bellu, marinaio cannoniere, deceduto
nel Mediterraneo Centrale il 17.4.1941
Filippo Bersaglio, marinaio, deceduto il
23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Giuseppe Barnazzani, marinaio, deceduto il
23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Marino Bianchi, marinaio, deceduto il
23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Umberto Bosani, secondo capo cannoniere,
deceduto in Libia il 20.4.1941
Pietro Bovi, marinaio carpentiere, deceduto il
23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Placido Busà, marinaio furiere, deceduto in
territorio metropolitano il 29.8.1944
Alberto Capanna, marinaio cannoniere, deceduto
il 23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Dante Cavallari, sottocapo segnalatore,
deceduto il 23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Giuseppe Cirillo, marinaio, deceduto il
23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Michele Coccaro, sottocapo cannoniere,
deceduto il 23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Domenico Comiti, sottocapo cannoniere,
deceduto il 23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Rino Conventi, marinaio, disperso il 23.9.1941
per capovolgimento della nave a Palermo
Antonio Cosentino, marinaio fuochista,
deceduto in territorio metropolitano il 30.10.1943
Aldo Cundari, marinaio cannoniere, deceduto il
23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Stefano De Pasqua, secondo capo meccanico,
deceduto il 23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Vito De Tullio, marinaio radiotelegrafista,
deceduto il 23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Enzo Fiorini, sottocapo cannoniere, deceduto il
23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Bruno Gerenzani, marinaio cannoniere, da
Olgiate Olona (nato a Marnate), deceduto il 23.9.1941 per capovolgimento della
nave a Palermo
Angelo Ghinassi, marinaio, disperso in
prigionia in Germania il 3.1.1945
Alcide Giovetti, marinaio S. D. T., disperso
il 23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Leonardo Inglese, marinaio silurista, deceduto
il 23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Antonio Lo Nardo, marinaio fuochista, deceduto
il 23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Lucio Lunani, sottocapo radiotelegrafista,
deceduto il 23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Mario Silla Magi, sottocapo motorista,
deceduto in prigionia in Germania il 26.2.1945
Giulio Mairo, secondo capo meccanico, deceduto
il 23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Paolo Mazzoni, sottocapo cannoniere, deceduto
il 23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Silvio Melis, marinaio cannoniere, deceduto il
23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Giuseppe Micalizzi, sottocapo infermiere,
disperso il 23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Vincenzo Morvillo, marinaio, deceduto il
23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Gennaro Mottola, marinaio, deceduto il 23.9.1941
per capovolgimento della nave a Palermo
Nevio Sangigli, marinaio fuochista, deceduto
il 23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Antonio Stucchi, marinaio fuochista, deceduto
il 23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Mario Vargiù, marinaio cannoniere, deceduto il
23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Italo Vetromile, operaio militarizzato col
grado di sergente, disperso il 23.9.1941 per capovolgimento della nave a
Palermo
Alfonso Viapiano, marinaio cannoniere, disperso
il 23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Luigi Visone, sottocapo elettricista, disperso
il 23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Pietro Zanette, sottocapo meccanico, disperso
il 23.9.1941 per capovolgimento della nave a Palermo
Il relitto della nave nel
maggio 1945 (Coll. Achille Rastelli via Maurizio Brescia e www.associazione-venus.it)
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Un’altra immagine del relitto del Dardo, risalente al 1946 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it) |
Sono un pronipote di uno dei 40 sfortunati del Dardo.
RispondiEliminaMio prozio venne a mancare quando aveva poco più di vent'anni, con una moglie appena più giovane di lui ed un matrimonio durato venti giorni.
Il caso volle che non solo lui fosse mio parente (primo cugino di mio nonno paterno), ma anche la moglie lo fosse, dato che sarebbe diventata la sorella di mia nonna materna.
Mia prozia Maria non si risposò: dal 1941 ha invocato notizie del marito, ufficialemte "disperso", secondo le autorità.
Ricordo bene la puntata di Portobello citata nell'articolo e quanto mio padre abbia cercato di fare per dare a mia prozia delle risposte, dopo 41 anni di attesa; ricordo quanto si siano prodigati anche i superstiti del Dardo, mettendosi in comunicazione con mia prozia ed offrendo tutta la loro vicinanza e solidarietà.
Quando 10 anni fa venne a mancare mia prozia Maria, uno dei suoi più grandi rammarichi e rimpianti era non essere riuscita a riportare i resti del marito al cimitero locale.
Nel 2008 interessai il Commissariato Generale Onoranze Caduti in Guerra, chiedendo di contattare le altre 7 famiglie dei non riconosciuti e tentare l'identificazione dei resti (di mio prozio, conservo una ciocca di capelli biondi, di cui egli fece dono alla moglie, all'ultima visita al paese): la mia mail, preceduta da una serie di contatti telefonici, non ha mai avuto riscontro.
Spiegavo che i ragazzi del Dardo, al pari di tutti quelli che non sono più a causa di quel conflitto bellico, di certo non ambivano a diventare eroi: lo sono diventati loro malgrado.
Uno Stato che onora realmente i propri caduti non lo fa con la retorica: riportare a casa le salme di quegli 8 sfortunati, avrebbe un valore simbolico enorme, anche a distanza di quasi ottantanni.
Chiunque legga questo mio appello e lo condivida, avendo suggerimenti, mi contatti alla seguente mail:
rinoconventi@gmail.com
Sì, porto il nome di mio prozio e sono stato allevato da quella che è stata sua moglie per 20 giorni, ma materialmente per tutta la vita.
Grazie.
Rino Conventi
Avevo tratto la notizia proprio da quanto lei aveva scritto nella descrizione di un filmato sulla vicenda del suo prozio, pubblicato su Youtube.
EliminaIn effetti una tale situazione è deprimente, e Onorcaduti non sembra essere molto reattivo alle e-mail inviate: credo che sia stato oggetto di tagli negli ultimi anni...
Mio zio Giovetti Alcide e' disperso...svanito nel Dardo. Aveva scritto a mia nonna pochi giorni prima di scomparire una lettera fiduciosa. Voleva servire l'Italia. Aveva appena sostenuto gli esami per ufficiale. Aveva 19 anni. Nato in Italia, vissuto fuori con la famiglia si era arruolato per servire l'Italia! Cercato disperatamente dai miei nonni e da mio padre per decine di anni....il vuoto e il mistero ha sempre nascosto la realtà'. Gli italiani servono l'Italia...ma l'Italia non serve ai suoi italiani....li ammazza e li abbandona.....una storia che non finisce...
RispondiEliminaConfermo che il DARDO, al settembre 1941, doveva entrare in bacino per il cambio delle eliche, danneggiate per aver strisciato su un bassofondo presso Punta Nubia
RispondiEliminaLa ringrazio.
EliminaBuongiorno,
RispondiEliminamio zio Zenier Gino, fratello di mia mamma, è stato dato per disperso con l'affondamento dello Jantina. Avrà conosciuto Pietro Bovi quando anche lui era nello jantina. Sono nata molto dopo queste tragedie ma ogni tanto ci penso e penso alla vita che questi ragazzi non hanno potuto avere. Vorrei poterli incontrare un giorno.
Bgiorno Lorenzo, ma le foto del Dardo recuperato a Palermo non le ha più pubblicate?
RispondiEliminaA tempo debito: devo 'ripulirle' dai segni rossi, e poi ho anche altro da fare.
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