domenica 22 novembre 2020

Alfredo Oriani

(g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)

Cacciatorpediniere capoclasse della classe omonima, nota anche – un po’ impropriamente – come classe Poeti (dislocamento standard 1559 o 1584 o 1675 o 1750 tonnellate, 2130 in carico normale, 2254 o 2320 o 2470 o 2510 a pieno carico).
Costruiti dai cantieri Odero Terni Orlando di Livorno, gli Oriani erano essenzialmente una riproduzione dei precedenti Maestrale, rispetto ai quali erano più robusti e muniti di un apparato motore più potente (4000 HP in più, a parità di peso dei macchinari, grazie a modifiche all’evaporatore ed al surriscaldatore delle caldaie, che permisero a queste ultime di operare a temperature superiori, sviluppando una maggiore potenza senza andare ad aumentare il peso dei macchinari, con tuttavia il rovescio di un peggioramento delle condizioni di lavoro dei fuochisti), che permetteva loro di evitare le considerevoli riduzioni di velocità che piagavano i loro predecessori in condizioni d’esercizio pratico, oltre a consentire una maggiore velocità massima (incremento che fu però inferiore alle aspettative). Il dislocamento a nave scarica era inoltre aumentato di circa un decimo, con conseguente miglioramento della stabilità; cambiavano, infine, alcune sistemazioni interne dei macchinari ausiliari, alcune strutture ricevevano dei rinforzi ed erano stati aggiunti due lanciabombe antisom laterali.
 
L’Oriani nel 1938 (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net)

L’armamento principale constava di quattro pezzi OTO Mod. 1936 da 120/50 mm in due impianti binati, con gittata 18.200 metri, cadenza di 6 colpi al minuto, peso del proietto 23,5 kg e velocità iniziale 950 m/s.
L’armamento contraereo, potenziato rispetto ai Maestrale, era costituito da due mitragliere Mod. 1938 da 37/54 mm (oppure quattro, in due impianti binati) e quattro mitragliere binate da 13,2/76 mm (sostituite subito prima dell’entrata in guerra con sei od otto mitragliere singole Breda 1935/1940 da 20/65); il numero di queste ultime era raddoppiato rispetto alle classi precedenti, mentre venivano definitivamente abbandonate le ormai antiquate mitragliere Vickers da 40/39 mm.
L’armamento silurante era formato da sei tubi lanciasiluri da 533 mm in due impianti trinati, collocati a centro nave, mentre contro i sommergibili c’erano due lanciabombe ed una tramoggia per bombe di profondità. Potevano inoltre trasportare e posare 56 (o 52) mine, e disponevano di due obici singoli da 120/15 mm per tiro illuminante, sistemati a centro nave (per altra fonte, “su alcune navi fu installato per breve tempo un solo obice illuminante da 120/15 sulla tuga centrale salvo poi ritornare alla configurazione tradizionale”). Per la direzione del tiro erano muniti di torretta telemetrica tipo “Duplex” San Giorgio.
La lunghezza fuori tutto era di 106,74 metri (101,6 fra le perpendicolari), la larghezza di 10,15-10,25, il pescaggio di 3,42 metri (4,3 o 4,8 a pieno carico). L’apparato motore, due gruppi turboriduttori Parsons alimentati da tre caldaie a nafta Thornycroft a tubi d’acqua subverticali, imprimeva a due assi ed altrettante eliche tripale una potenza di 48.000 HP (36.000 kW), permettendo una velocità massima di 38-39 (per altra fonte, oltre 40) nodi alle prove in mare (con carico ridotto, diversi apparati non ancora installati e gli apparati motori spinti fino alla potenza di 55.000 HP); ma quella effettiva in condizioni operative sarebbe stata di 33-34 nodi, comunque superiore di un nodo (per altra fonte, tre) rispetto a quella dei Maestrale (secondo www.regiamarinaitaliana.it, invece, la velocità effettiva sarebbe stata oltre 35 nodi all’entrata in servizio, per poi ridursi di circa un nodo entro il 1940; 36,5 nodi per altra fonte). L’autonomia, con una riserva di 510 (o 520) tonnellate di nafta, era di 2190 miglia (secondo altra fonte, 2600-2800) a 18 nodi e 690 miglia a 33 nodi, inferiore rispetto a quella della classe Maestrale.
Le quattro unità della classe erano battezzate con nomi di poeti e scrittori italiani del XVIII e XIX secolo; si trattò dei primi, ed unici, cacciatorpediniere italiani a portare nomi di letterati.
 
L’Oriani nel 1943, dopo l’installazione del radar (Museo del Mare di Tortona)

Secondo www.regiamarinaitaliana.it, dopo la costruzione dei Maestrale i comandi della Regia Marina avevano intenzione di mettere in costruzione una numerosa classe di cacciatorpediniere notevolmente più grandi (2200 tonnellate di dislocamento standard) e potentemente armati; il progetto venne però abbandonato per problemi economici (e, forse, anche per la pressione dei cantieri OTO di Livorno, che l’anno precedente avevano elaborato a loro spese il progetto degli Oriani: fu questa l’unica classe di cacciatorpediniere mai costruita da tali cantieri per la Regia Marina), e ci si accontentò invece di una versione migliorata dei Maestrale. Proprio perché gli Oriani erano un ripiego rispetto ai desiderati cacciatorpediniere da 2200 tonnellate, ne venne ordinata una sola squadriglia, pur essendo necessario un numero assai maggiore di nuove unità: questo nella speranza di ricevere a breve i fondi necessari per poter realizzare la nuova classe di maggiori prestazioni.
La costruzione degli Oriani costò 18.500.000 lire per ciascuna unità.
 
Un’altra immagine dell’Oriani nel 1938 (foto Elio Occhini, via www.bibliotecamai.org)

Le due unità che sopravvissero alla battaglia di Capo Matapan, Oriani e Gioberti, furono sottoposte nel corso del conflitto a potenziamento delle loro armi antiaeree ed antisommergibili, sbarcando per contro uno dei due impianti trinati lanciasiluri.
 
Dagli Oriani furono poi derivati i cacciatorpediniere della classe Soldati, l’ultima costruita prima dello scoppio della seconda guerra mondiale; queste navi replicavano le caratteristiche degli Oriani, con un leggero incremento della potenza e del dislocamento, una tuga centrale leggermente più grande e qualche miglioria nelle sistemazioni interne, oltre che con l’adozione delle nuove mitragliere contraeree da 20 mm in luogo di quelle da 13,2 mm usate sui Maestrale ed Oriani. Secondo alcune fonti, sarebbero stati derivati dagli Oriani anche anche i cacciatorpediniere sovietici della classe Gnevnyj ("Progetto 7") di 53 unità, costruiti tra il 1936 ed il 1942 (per altre fonti sarebbero invece stati derivati dalla precedente classe Maestrale). A progettarli fu una squadra sovietica capeggiata da A. V. Nikitin e P. O. Trakhtenberg, con la collaborazione italiana (i modelli realizzati per il progetto furono testati nelle vasche di prova a Roma).
 
L’Oriani nel 1943, con radar “De.Te” (da www.academia.edu)

Durante il secondo conflitto mondiale effettuò 312 missioni di guerra; prima dell’armistizio ne effettuò 169 (dodici con la squadra navale, 57 di scorta convogli, tre di caccia antisommergibili, una di trasporto, 39 di trasferimento, 31 per esercitazioni, 26 di altro tipo; secondo www.regiamarinaitaliana.it, invece, 168 di cui 14 con le forze navali, 62 di scorta convogli, tre di caccia antisommergibili, quattro di trasporto, 19 di addestramento e 56 di altro tipo), percorrendo in tutto 56.782 o 57.312 miglia nautiche e trascorrendo 3659 ore in mare e 192 (per altra fonte 290) giorni ai lavori. Dopo l’armistizio ne svolse altre 143 (soprattutto di scorta), percorrendo altre 40.000 miglia nautiche (sarebbe stato il cacciatorpediniere italiano più attivo durante la cobelligeranza, sia per numero di missioni svolte, sia di miglia percorse). Fu l’unica unità della sua classe a sopravvivere alla guerra, e risultò tra i cacciatorpediniere più attivi, partecipando a tutte le principali battaglie combattute dalla Marina italiana nel corso del conflitto: Punta Stilo, Capo Teulada, Capo Matapan, prima e seconda Sirte, Mezzo Giugno e Mezzo Agosto, nonché alle operazioni di traffico "M. 41", "M. 42", "T. 18" e "V. 5".
 
Breve e parziale cronologia.
 
28 ottobre 1935
Impostazione nei cantieri Odero Terni Orlando di Livorno, sullo Scalo Morosini (numero di costruzione 208).
30 luglio 1936
Varo nei cantieri Odero Terni Orlando di Livorno.

Lo scafo dell’Oriani subito dopo il varo (Archivio storico cantiere Azimut-Benetti di Livorno, via www.associazione-venus.it)

15 luglio 1937
Entrata in servizio.

L’Oriani al largo del cantiere di Livorno, il 15 luglio 1937 (Archivio storico cantiere Azimut-Benetti di Livorno, via www.associazione-venus.it)

L’Oriani in bacino di carenaggio nei cantieri Orlando di Livorno nel 1936-1937 (Archivio storico cantiere Azimut-Benetti di Livorno, via www.associazione-venus.it)

Navi a Livorno nel 1937: l’Oriani è riconoscibile sulla sinistra, accanto ad un incrociatore pesante classe Zara, mentre in primo piano sono i sommergibili Toti, Sciesa, Millelire e Fieramosca, sulla destra s’intravede la prua della nave reale Savoia e poco oltre quella del cacciatorpediniere Lanciere insieme ad altre unità della stessa classe, con gli incrociatori pesanti Trento e Trieste sullo sfondo (Coll. Alessandro Burla, via www.associazione-venus.it)

5 maggio 1938
Partecipa alla rivista navale «H» tenuta nel Golfo di Napoli per la visita in Italia di Adolf Hitler. L’Oriani ed il resto della IX Squadriglia Cacciatorpediniere (Vittorio AlfieriVincenzo Gioberti e Giosuè Carducci, il tutto al comando del capitano di vascello Leonardo Elena) fanno parte della 1a Squadra (ammiraglio Arturo Riccardi), insieme alla V Divisione Navale (corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour), alla I Divisione Navale (ammiraglio Angelo Iachino, incrociatori pesanti ZaraPolaFiume e Gorizia), all’VIII Divisione Navale (ammiraglio Giotto Maraghini, incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) ed alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII (FrecciaDardoSaettaStrale) e VIII (FolgoreFulmineLampoBaleno). Partecipano alla rivista anche la 1a Squadra (II, III, IV e VIII Divisione Navale, I Squadriglia Esploratori, X Squadriglia Cacciatorpediniere, IX, X, XI e XII Squadriglia Torpediniere) e la Squadra Sommergibili.

Le quattro unità della IX Squadriglia Cacciatorpediniere a Napoli il 5 maggio 1938: in primo piano l’Alfieri (foto Euro Menini, via Coll. Alessandro Burla e www.associazione-venus.it)

Maggio 1938
Scorta la nave reale Savoia con a bordo Vittorio Emanuele III durante una visita in Libia.

L’Oriani in una foto del 17 settembre 1938 (foto Aldo Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it)

L’Alfredo Oriani (al centro) a Trieste insieme ad Alfieri, Carducci e (sullo sfondo) Camicia Nera, in un’immagine del 18 settembre 1938 (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net)

6-7 marzo 1939
In seguito alla notizia – giunta il mattino del 6 marzo tramite gli aerei di base nelle Baleari, che hanno avvistato e seguito le navi repubblicane – che il giorno precedente la flotta spagnola repubblicana (composta dagli incrociatori Miguel de CervantesMéndez Nuñez e Libertad, dai cacciatorpediniere UlloaEscanoGravinaAlmirante AntequeraAlmirante MirandaLepantoAlmirante Valdés Jorge Juan e dai sommergibili C.2 e C.4) è salpata dalla sua base di Cartagena (dov’è scoppiata un’insurrezione filofranchista, scatenata dal tradimento di alcuni ufficiali dell’Esercito repubblicano che hanno tentato un colpo di Stato contro il loro governo), nella fase conclusiva della guerra civile spagnola (il conflitto terminerà di lì a meno di un mese), lo Stato Maggiore della Regia Marina, sospettando che le navi spagnole possano essere dirette in Mar Nero per consegnarsi all’Unione Sovietica, organizza un vasto dispositivo di esplorazione e sorveglianza aeronavale volta a sbarrare loro la fuga. All’alba del 6 marzo la X Squadriglia Cacciatorpediniere (MaestraleGrecale, Libeccio e Scirocco) e le torpediniere OrsaProcioneSpica ed Orione vengono inviate ad ispezionare la prima le acque tra Capo Granitola, Pantelleria e la Tunisia, e la seconda quelle tra la Sardegna e le coste del Nordafrica, in cooperazione con aerei.
Il mattino del 7 marzo prende il mare anche la Divisione Scuola Comando (ammiraglio Angelo Iachino), formata dall’incrociatore leggero Giovanni delle Bande Nere, dal cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco e da 16 torpediniere (ClimeneCantoreCentauroCignoLibraLiraLupoLinceAndromedaAntaresAldebaranAironeAlcioneAretusaAriel e Altair, appartenenti alle Squadriglie Torpediniere I, VIII, XI e XII), che si posiziona ad est del Canale di Sicilia e si mette alla ricerca della flotta spagnola nelle acque comprese tra la Sicilia, Malta e Tripoli. L’ordine è di localizzare le navi repubblicane e, una volta trovate, di mantenere il contatto, senza attaccare: si vuole infatti dirottare la flotta repubblicana nella rada di Augusta, non affondarla.
A questo scopo, vengono trasferite da Taranto ad Augusta la I Divisione Navale dell’ammiraglio Ettore Sportiello (incrociatori pesanti ZaraPolaFiume e Gorizia) e la IX Squadriglia Cacciatorpediniere (Vittorio AlfieriAlfredo OrianiVincenzo Gioberti e Giosuè Carducci), e da Taranto a Messina la V Divisione Navale, composta dalle corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour e dalla VII Squadriglia Cacciatorpediniere (FrecciaDardoSaettaStrale). A Messina il comandante della 1a Squadra Navale, ammiraglio Arturo Riccardi, assume la direzione delle operazioni; l’ordine è di ricorrere alle armi soltanto se le navi repubblicane opporranno resistenza.
In realtà, tuttavia, la flotta repubblicana non ha nessuna intenzione di andare in Unione Sovietica. La loro destinazione è il Nordafrica francese: lasciata Cartagena, dapprima le navi repubblicane si presentano davanti ad Orano, in Algeria, dove l’ammiraglio Miguel Buiza Fernández-Palacios (comandante della flotta repubblicana) chiede alle autorità francesi il permesso di entrare in porto e farvisi internare; queste ultime, tuttavia, respingono la richiesta e dicono a Buiza di raggiungere Biserta, in Tunisia. Qui le navi spagnole – sempre pedinate dagli aerei italiani durante il loro trasferimento – possono finalmente entrare; le autorità francesi provvedono immediatamente a sequestrarle, sbarcandone gli equipaggi ed internandoli in un campo di concentramento vicino a Maknassy. Quando il Comando della Regia Marina viene a sapere, lo stesso 7 marzo, che la flotta repubblicana è entrata a Biserta e che il locale Comando navale francese l’ha fatta disarmare, le misure messe in atto per intercettarla vengono annullate, non essendo più necessarie. Tre settimane più tardi le navi repubblicane, prese in consegna da equipaggi franchisti, saranno consegnate alla Marina nazionalista spagnola, mentre parte degli equipaggi repubblicani sceglieranno l’esilio in terra francese.


Due immagini dell’Oriani nel 1938 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it)


6-7 aprile 1939
Partecipa alle operazioni di occupazione dell’Albania (Operazione "Oltre Mare Tirana", OMT), assegnato al II Gruppo Navale, quello principale, incaricato dello sbarco a Durazzo: oltre all’Oriani, lo compongono i gemelli AlfieriGioberti e Carducci, gli incrociatori pesanti ZaraPolaFiume e Gorizia, le torpediniere LupoLinceLibra e Lira, la nave appoggio idrovolanti Giuseppe Miraglia – carica di carri armati –, la nave officina Quarnaro, le cisterne militari Tirso ed Adige ed i mercantili requisiti AdriaticoArgentarioBarlettaPalatinoToscana e Valsavoia.
Il II Gruppo (ammiraglio di divisione Ettore Sportiello; truppe da sbarco al comando del generale Alfredo Guzzoni) deve sbarcare il grosso delle forze, incaricate di conquistare Tirana.
Le navi da guerra giungono a Durazzo già nel pomeriggio del 6 aprile (e la torpediniera Lupo, prima di ricongiungersi alle altre unità, raggiunge il molo per recuperare il personale militare e diplomatico italiano), mentre quelle mercantili ed ausiliarie (ossia le navi con le truppe ed i materiali da sbarcare) solo alle 4.50 del 7, con mezz’ora di ritardo a causa della nebbia incontrata. Alle 5.25 ha inizio lo sbarco, che procede pur con qualche inconveniente (ordini di precedenza non rispettati per il ritardo di alcuni trasporti, impossibilità per alcuni di essi di entrare in porto a causa dell’eccessivo pescaggio).
Le prime truppe a prendere terra sono i distaccamenti da spiaggia e le compagnie da sbarco delle navi da guerra: a dispetto della calma apparente (la città è illuminata), non appena i militari italiani scendono sui moli divengono il bersaglio di violento tiro di fucili e mitragliatrici appostate tra i vicini edifici portuali.
La difesa albanese è comandata dal maggiore Abaz Kupi della gendarmeria e dal suo parigrado Alibali dell’esercito albanese; a contrastare lo sbarco vi sono un battaglione di guardia di frontiera, un battaglione dell’esercito albanese, un plotone di fanteria di Marina, una compagnia del Genio, una batteria da montagna (con due cannoni da 75/13 mm) e numerosi volontari, armati di fucili oltre a tre mitragliatrici Schwarzlose ed appoggiati dalla batteria costiera "Prandaj" (dotata di quattro cannoni Skoda da 75/27 mm, al comando del maggiore Gaqe Jorgo). Quest’ultima apre il fuoco sulle navi italiane, colpendo, secondo alcune fonti, la catapulta dell’idrovolante del Fiume; anche la Lupo viene colpita dal tiro proveniente da terra, senza riportare danni di rilievo ma subendo perdite tra l’equipaggio.
La forza attaccante, al comando del generale Giovanni Messe, consiste in due battaglioni del 3° Reggimento Granatieri di Sardegna, un battaglione del 47° Reggimento Fanteria, cinque battaglioni di bersaglieri (due del 2° Reggimento Bersaglieri, uno del 3°, uno del 7° ed uno dell’11°), due battaglioni di carri leggeri L3/35, una batteria d’artiglieria da 65/17 mm ed una batteria contraerei da 20/65 mm.
Gli scontri a Durazzo sono piuttosto accesi e si protraggono per alcune ore, con perdite da entrambe le parti ed anche combattimenti corpo a corpo; l’intervento delle artiglierie delle navi, ordinato dal capitano di vascello Carlo Daviso di Charvensod, risolve la situazione in favore delle truppe italiane, che conquistano la città entro le nove del mattino, grazie anche allo sbarco dei carri armati ed alle incursioni dei bombardieri IMAM Ro. 37.
Quella vista a Durazzo è stata la più intensa resistenza opposta dalle truppe albanesi allo sbarco italiano. Contrastanti i dati sulle perdite: secondo le fonti italiane dell’epoca, vi sarebbero stati 25 morti e 97 feriti da parte italiana, e 160 morti e diverse centinaia di feriti da parte albanese; da parte albanese alcuni affermano che i caduti italiani siano 400. Probabilmente entrambe le stime sono alterate; quella italiana al ribasso, quella albanese al rialzo.
In tutto, 11.300 soldati e 130 carri armati vengono sbarcati in quattro diversi porti albanesi (Valona, Durazzo, Santi Quaranta e San Giovanni di Medua) con l’appoggio di una squadra navale che comprende le corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour (nave di bandiera dell’ammiraglio Arturo Riccardi, comandante della squadra), otto incrociatori, 17 cacciatorpediniere, 16 torpediniere nonché dodici sommergibili e vari MAS ed unità minori.


Sopra, le quattro unità della classe Oriani (a sinistra) e le quattro della classe Folgore (a destra) a Cagliari negli anni Trenta (Coll. Paolo Bonassin, da Flickr); sotto, i “Poeti” illuminati (foto archivio famiglia Corradin-Fongaro, via ANMI)


Giugno 1939
Insieme al resto della IX Squadriglia Cacciatorpediniere (Alfieri, Gioberti e Carducci), l’Oriani partecipa ad una crociera in Spagna e Portogallo della I Divisione incrociatori (per altra fonte, della 1a Squadra Navale), visitando Palma, Lisbona e Tangeri.

L’Oriani negli anni Trenta (Naval History and Heritage Command)

1939-1940
Subisce lavori di modifica in cui le quattro mitragliere contraeree binate da 13,2/76 mm vengono sostituite da otto più efficienti Breda singole da 20/65 mm mod. 1939-1940.

L’Oriani nel 1939 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it)

10 giugno 1940
All’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale, l’Alfredo Oriani (capitano di fregata Mario Panzani, 41 anni, da Livorno) fa parte della IX Squadriglia Cacciatorpediniere, che forma insieme ai gemelli Vittorio Alfieri (caposquadriglia, capitano di vascello Lorenzo Daretti), Vincenzo Gioberti (capitano di fregata Marco Aurelio Raggio) e Giosuè Carducci (capitano di fregata Vincenzo Novari). La IX Squadriglia è assegnata alla I Divisione incrociatori (1a Squadra Navale).
12 giugno 1940
L’Oriani, con il resto della IX Squadriglia (Alfieri, Gioberti e Carducci), la XVI Squadriglia Cacciatorpediniere (Nicoloso Da ReccoEmanuele Pessagno ed Antoniotto Usodimare) e la I (incrociatori pesanti ZaraFiume e Gorizia) e VIII Divisione Navale (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi), salpa da Taranto alle 00.20 in appoggio alla formazione navale (incrociatore pesante Pola, III Divisione Navale, XI e XII Squadriglia Cacciatorpediniere) uscita da Messina per intercettare due incrociatori britannici (il Caledon ed il Calypso) avvistati da dei ricognitori a sud di Creta, diretti verso ovest: gran parte della Mediterranean Fleet, al pari di una squadra navale francese, è infatti uscita in mare a caccia, infruttuosa, di naviglio italiano. (Per altra fonte la IX Squadriglia salpa poco prima di mezzanotte dell’11 giugno scortando la I Divisione, che deve effettuare un rastrello in Mar Ionio, al largo della costa meridionale della Calabria).
Alle 7.15, mentre la formazione costituita da I Divisione e IX Squadriglia sta navigando verso sud, una sessantina di miglia a sud di Capo Colonne, i cacciatorpediniere della IX Squadriglia avvistano un sommergibile sulla dritta, e le navi accostano di conseguenza a sinistra. Poco più tardi, alle 7.30, i cacciatorpediniere avvistano nuovamente un sommergibile sulla dritta, inducendo una nuova accostata a sinistra.
Alle 9, dato che nuovi voli di ricognizione non sono più riusciti a trovare le navi nemiche, tutte le unità italiane ricevono ordine di tornare in porto, ed entro le 9.20 I Divisione e IX Squadriglia sono sulla rotta di rientro. Durante la navigazione di ritorno nel Mar Ionio si verificano ben tre presunti avvistamenti di sommergibili: il primo viene avvistato alle 10.53 dal Gorizia, che segnala un sommergibile sul lato sinistro, inducendo la formazione ad accostare a dritta di 50° per sottrarsi ad eventuali attacchi; alle 14.32 è l’Alfieri a comunicare della presenza di un sommergibile sulla dritta, mentre l’Oriani riferisce di essere stato mancato di stretta misura da due siluri, e procede al contrattacco. Alle 16.35, infine, è di nuovo l’Oriani ad avvistare un sommergibile, attaccandolo con bombe di profondità; alla caccia si unisce anche l’Alfieri. La formazione arriva a Taranto entro le 20.
È possibile che qualcuno dei cinque succitati avvistamenti di sommergibili fosse autentico e dovuto alla presenza in zona del sommergibile britannico Odin, scomparso in Mar Ionio nello stesso periodo; tuttavia, data l’elevata velocità della formazione italiana (25 nodi), è inverosimile che tutti e cinque gli avvistamenti, avvenuti  distanza di ore l’uno dall’altro, fossero riferiti all’Odin. È invece probabile che le vedette delle varie unità, particolarmente eccitate essendo in guerra da appena due giorni, abbiano scambiato increspature generate da altre cause (ad esempio, cetacei) per scie di periscopi e di siluri. Un altro sommergibile britannico, l’Orpheus, ha avvistato tre incrociatori scortati da cacciatorpediniere a sudest di Siracusa, ma non è riuscito ad attaccare.
Per le azioni del 12 giugno il comandante Panzani dell’Oriani riceverà la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con motivazione "Comandante di cacciatorpediniere di scorta a Divisione navale che inviata in ricerca di forze navali nemiche incontrava due gruppi di sommergibili in agguato, avvistava tempestivamente battelli in fase di attacco e con pronta contRomanovra consentiva alle unità maggiori di evitare i numerosi siluri lanciati; in cinque distinte azioni controffensive condotte con grande slancio e decisione dai cacciatorpediniere della squadriglia, un sommergibile avversario veniva seriamente danneggiato e danni venivano inflitti ad altri due".
22-24 giugno 1940
La IX Squadriglia Cacciatorpediniere, con OrianiAlfieriGioberti e Carducci, prende il mare insieme alle Squadriglie Cacciatorpediniere X e XII ed alle Divisioni incrociatori I (ZaraFiumeGorizia), II (Giovanni delle Bande Nere e Bartolomeo Colleoni) e III (Trento e Bolzano) nonché all’incrociatore pesante Pola (nave ammiraglia del comandante superiore in mare; è in mare tutta la 2a Squadra Navale, più la I Divisione), per fornire copertura alla VII Divisione ed alla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere, inviate a compiere un’incursione contro il traffico mercantile francese nel Mediterraneo occidentale.
Le forze della 2a Squadra, partite da Messina (Pola e III Divisione), Augusta (I Divisione, lì giunta da Taranto la notte tra il 21 ed il 22) e Palermo (II Divisione) il 22 giugno, si riuniscono al tramonto dello stesso giorno a nord di Palermo.
L’operazione non porta comunque ad incontrare alcuna nave nemica.
2 luglio 1940
L’Oriani, le tre unità gemelle, la I Divisione (incrociatori pesanti ZaraFiume e Gorizia), la II Divisione (incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere e Bartolomeo Colleoni) e la X Squadriglia Cacciatorpediniere (MaestraleGrecaleLibeccioScirocco) forniscono scorta indiretta ai trasporti truppe Esperia e Victoria, di ritorno vuoti da Tripoli (da dove sono partiti alle 13 del 2) a Napoli con la scorta delle torpediniere ProcioneOrsaOrione e Pegaso.
4 luglio 1940
Il convoglio raggiunge Napoli alle 23.

L’Oriani nel 1940 (foto Aldo Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it)

7 luglio 1940
L’Oriani ed il resto della IX Squadriglia Cacciatorpediniere (Alfieri, Gioberti, Carducci) salpano da Augusta (per altra fonte, Messina) alle 14.10 unitamente all’incrociatore pesante Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Riccardo Paladini, comandante la 2a Squadra), alla I Divisione Incrociatori (incrociatori pesanti ZaraFiumeGorizia, alle cui dipendenze è posta la IX Squadriglia) ed alla XII Squadriglia Cacciatorpediniere (LanciereCorazziereCarabiniereAscari), mentre da Messina e Palermo prendono il mare le Divisioni Incrociatori III (TrentoBolzano) e VII (Eugenio di SavoiaEmanuele Filiberto Duca d’AostaMuzio AttendoloRaimondo Montecuccoli) e le Squadriglie Cacciatorpediniere XI (AviereArtigliereGeniereCamicia Nera) e XIII (GranatiereBersagliereFuciliereAlpino), che – insieme alle unità salpate da Augusta – compongono la 2a Squadra Navale.
Loro compito è scortare a distanza un convoglio salpato da Napoli alle 19.45 del 6 e diretto a Bengasi con un carico di 232 veicoli, 10.445 tonnellate di materiali vari e 5720 tonnellate di carburante, oltre a 2190 uomini; lo formano le motonavi da carico Marco FoscariniFrancesco Barbaro (salpata da Catania alle 12 del 7) e Vettor Pisani e le motonavi passeggeri Esperia e Calitea, con la scorta diretta dei due incrociatori leggeri della II Divisione (Giovanni delle Bande Nere e Bartolomeo Colleoni), dei quattro cacciatorpediniere della X Squadriglia (MaestraleGrecaleLibeccioScirocco), delle quattro torpediniere della IV Squadriglia (ProcioneOrsaOrionePegaso) e delle vecchie torpediniere Rosolino Pilo e Giuseppe Missori. Si tratta del primo convoglio di grandi dimensioni inviato in Libia (operazione «TCM», cioè Terra, Cielo, Mare).
La IX Squadriglia Cacciatorpediniere, in particolare, è assegnata alla scorta della I Divisione Navale (incrociatori pesanti ZaraFiume e Gorizia, al comando dell’ammiraglio Pellegrino Matteucci).
La 1a Squadra Navale (V Divisione con le corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour, IV e VIII Divisione con sei incrociatori leggeri, VII, VIII, XV e XVI Squadriglia Cacciatorpediniere con 13 unità) esce anch’essa in mare a sostegno dell’operazione. Comandante superiore in mare è l’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, con bandiera sulla Cesare. Le unità della 1a e della 2a Squadra salpano tra le 12.30 e le 18 del 7 luglio da Augusta (Pola, I e II Divisione), Messina (III Divisione), Palermo (VII Divisione) e Taranto (IV, V e VIII Divisione).
La 2a Squadra si pone 35 miglia ad est del convoglio, per proteggerlo da un attacco navale proveniente da est, tranne la VII Divisione con la XIII Squadriglia, che viene invece posizionata 45 miglia ad ovest per fornire protezione contro attacchi provenienti da Malta.
La decisione di far uscire l’intera flotta a protezione del convoglio è stata presa dopo che Supermarina è stata informata che alle otto del mattino del 7 luglio la Forza H britannica (portaerei Ark Royal, corazzate Valiant e Resolution, incrociatore da battaglia Hood, incrociatori leggeri ArethusaDelhi ed Enterprise, cacciatorpediniere FaulknorFoxhoundFearlessDouglasActiveVeloxVortingernWrestlerEscort e Forester) è uscita in mare da Gibilterra. Scopo di tale uscita (operazione «MA 5») è attaccare gli aeroporti della Sardegna, per distogliere l’attenzione dei comandi italiani da un traffico di convogli tra Alessandria a Malta (due convogli di mercantili per l’evacuazione di civili e materiali da inviare ad Alessandria, ed uno di cacciatorpediniere con alcuni rifornimenti per Malta), con l’appoggio dell’intera Mediterranean Fleet (ammiraglio Andrew Browne Cunningham: corazzate WarspiteMalaya e Royal Sovereign, portaerei Eagle, incrociatori leggeri OrionNeptuneSydneyGloucester e Liverpool, cacciatorpediniere DaintyDefenderDecoyHastyHeroHerewardHyperionHostileIlexNubianMohawkStuartVoyagerVampireJanus e Juno); questo, però, non è a conoscenza dei comandi italiani, che hanno dunque deciso di fornire protezione al convoglio diretto a Bengasi, facendo uscire in mare l’intera flotta da battaglia.
Non è tutto: viene organizzata un’intensa ricognizione aerea con grandi aliquote dei velivoli della ricognizione marittima, il posamine ausiliario Barletta viene inviato a posare mine a protezione del porto di Bengasi, e vengono inviati in tutto 14 sommergibili in agguato nel Mediterraneo orientale.
L’avvistamento anche della Mediterranean Fleet, uscita da Alessandria nel pomeriggio del 7 – come si è detto – per proteggere i convogli con Malta, non fa che confermare la convinzione di Supermarina circa la necessità delle misure adottate.
Il convoglio, procedendo a 14 nodi, segue rotta apparente verso Tobruk fino a giungere in un punto situato 245 miglia a nordovest di Bengasi, quindi assume rotta verso quest’ultimo porto; dopo altre 100 miglia il convoglio si divide, lasciando proseguire a 18 nodi le più veloci Esperia e Calitea, mentre le motonavi da carico mantengono una velocità di 14 nodi.
8 luglio 1940
All’1.50 l’ammiraglio Campioni, a seguito di avvistamenti della ricognizione che rivelano la presenza in mare della Mediterranean Fleet britannica (anch’essa uscita a tutela di convogli), ordina al convoglio, che si trova in rotta 147° (per Bengasi) di assumere rotta 180°, in modo da essere pronto ad essere dirottato su Tripoli in caso di necessità. Alle 7.10, appurato che la Mediterranean Fleet non può essere diretta ad intercettare il convoglio, Campioni ordina a quest’ultimo di tornare sulla rotta per Bengasi.
L’operazione va a buon fine (il convoglio raggiunge Bengasi tra le 18 e le 22 dell’8), ed alle 14.30 le navi delle due squadra navali iniziano la navigazione di rientro.
Ma alle 15.20, a seguito dell’avvistamento di una formazione britannica – la Mediterranean Fleet – la 1a e la 2a Squadra Navale dirigono per intercettare le navi nemiche (che si teme dirette a bombardare Bengasi), con l’intento di impegnarle in combattimento almeno un’ora prima del tramonto.
Alle 19.20, però, in seguito ad ordini di Supermarina (il comando della Regia Marina, che, a differenza dell’ammiraglio Campioni – comandante superiore in mare – ha avuto modo di apprendere, tramite la crittografia, la reale consistenza e finalità dei movimenti britannici) la flotta italiana accosta per 330° per rientrare alle basi, con l’ordine di non impegnare il nemico. Durante l’accostata le navi vengono attaccate da alcuni velivoli con una dozzina di bombe, rispondendo con intenso tiro contraereo. Le bombe cadono vicine agli incrociatori, ma non causano danni.
9 luglio 1940
La navigazione notturna di rientro si svolge senza grossi inconvenienti, salvo due fallimentari attacchi siluranti contro la III Divisione; la 2a Squadra (eccetto la VII Divisione, che è ancora separata da essa) accosta verso nord all’1.23.
Già dalle 22 dell’8, però, sono arrivati nuovi ordini: Supermarina teme che la Mediterranean Fleet intenda lanciare un attacco aeronavale contro le coste italiane, perciò ordina alle forze in mare di riunirsi nel punto 37°40’ N e 17°20’ E, 65 miglia a sudest di Punta Stilo, entro le 14 del 9 luglio. Alle 6.40 del 9 luglio la III Divisione si ricongiunge con Pola e I Divisione, alle 8 viene avvistato un idroricognitore Short Sunderland che pedina la flotta italiana (la caccia italiana, chiamata ad intervenire, non verrà però inviata ad attaccarlo).
Verso le 13, dopo una mattinata di infruttuosi voli di ricognizione, un velivolo italiano avvista la Mediterranean Fleet 80 miglia a nordest della V Divisione, ossia molto più a nord di quanto previsto, ed in posizione adatta ad interporsi tra la flotta italiana e la base di Taranto: l’ammiraglio Campioni inverte allora la rotta, ed ordina a Paladini, che si trova più a sud e sta dirigendo per ovest-sud-ovest, di fare altrettanto, accostando ad un tempo per riunire più rapidamente le due Squadre.
Nella tarda mattinata del 9, dato che tre cacciatorpediniere (due dei quali della VII Squadriglia, che è stata così dimezzata) sono dovuti rientrare per avarie e che alcune squadriglie inviate a rifornirsi (VIII e XV) non sono ancora tornate, la IX Squadriglia, facente parte della II Squadra, viene distaccata ed assegnata alla VIII Divisione.
Verso le 13 la 1a e 2a Squadra, ormai riunite, si dispongono su quattro colonne, distanziate di cinque miglia l’una dall’altra: la IX Squadriglia Cacciatorpediniere, insieme alla XIV Squadriglia (giunta da Taranto nel primo pomeriggio del 9) ed alla IV e VIII Divisione incrociatori, va a formare la colonna sinistra dello schieramento italiano (ossia la quarta ed ultima da ovest), posta ad est della V Divisione costituita dalle corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour (le altre colonne, da ovest verso est, sono formate nell’ordine da: VII Divisione; Pola, I e III Divisione; V Divisione; IV e VIII Divisione).
Tra le 13.15 e le 13.26, 45 miglia ad est-sud-est di Capo Spartivento, il gruppo «Pola» (di cui la IX Squadriglia fa parte), mentre si trova a poppa dritta della Cesare e con rotta 183° – è in corso la manovra per assumere la propria posizione nella formazione ordinata da Campioni –, viene attaccato da nove aerosiluranti Fairey Swordfish.
Gli aerei britannici, decollati dalla Eagle alle 11.45 con l’obiettivo di attaccare le corazzate italiane, che però non hanno trovato, provengono da ovest (cioè da sinistra); si avvicinano con decisione da poppavia agli incrociatori (approfittando del fatto che i cacciatorpediniere sono invece a proravia degli stessi), scendono in picchiata fino a 20-30 metri e sganciano i loro siluri da circa mille metri di distanza. Gli incrociatori si diradano, compiono rapide manovre evasive ed aprono subito un violento fuoco contraereo, evitando tutti i siluri (due diretti contro il Bolzano, altrettanti contro il Trento ed uno contro lo Zara). Gli aerei si allontanano, tre di essi danneggiati dal tiro delle navi italiane.
Alle 14.05 ha inizio l’avvicinamento alla flotta britannica: alle 15.15 gli incrociatori aprirono il fuoco, seguiti alle 15.23 anche dalle corazzate. La VIII Divisione, appena avvistato il nemico, accosta per 70° ed incrementa rapidamente la velocità a 30 nodi, per poi aprire il fuoco alle 15.20 (da 20.000 metri, con rotta 10°, contro la 7th Cruiser Division britannica). Già dalle 15.16 (15.26 per una fonte britannica), però, la IX Squadriglia è divenuta il bersaglio del tiro dell’incrociatore leggero britannico Orion: alle 15.08 gli incrociatori britannici della 7th Division, subito dopo aver avvistato la IX Squadriglia, mettono la prua verso di essa, riducono le distanze sino a 18.000 metri e poi accostano a dritta per poter puntare il maggior numero possibile di cannoni contro la VIII Divisione e la IX Squadriglia. Gli incrociatori britannici aprono poi il fuoco con i loro pezzi da 152, mentre i cacciatorpediniere della IX Squadriglia (che comunicano l’avvistamento alle 15.16) non possono rispondere al fuoco con i loro cannoni da 120, non essendo la distanza abbastanza ridotta per la loro gittata. Alle 15.19 vengono avvistate dall’Alfieri fumo e sagome di altre navi maggiori non identificabili. Essendo vincolata dai suoi compiti informativi, e comunque appoggiata dalla VIII Divisione, la IX Squadriglia non contromanovra per allontanarsi fino a quando, calata la distanza a 16.000 metri, non viene ricevuto l’ordine del comandante della VIII Divisione di raggiungere il posto assegnato nel dispositivo di combattimento. La IX Squadriglia accosta perciò in fuori e si posiziona come da ordini.
Incrociatori e corazzate cessano poi il fuoco rispettivamente alle 15.31 ed alle 15.35, per poi riprenderlo dalle 15.48 alle 16.04 (corazzate) e dalle 15.56 alle 16.15 (incrociatori). In questo frangente, dalle 15.23, la IV e la VIII Divisione vengono inquadrate da dieci salve da 381 mm sparate dalle corazzate britanniche Warspite e Malaya, che cadono molto vicine, costringendo alle 15.33 le due divisioni a portarsi fuori tiro accostando a sinistra (la VIII passa, con questa manovra, tra la 1a e la 2a Squadra, per poi assumere rotta verso nord). Durante questa fase, in cui gli opposti schieramenti si scambiano cannonate da grande distanza senza costrutto, la IX Squadriglia non ha parte rilevante. Alle 15.59, però, la Cesare, la nave ammiraglia della 1a Squadra, viene danneggiata da un proiettile da 381 mm, dovendo ridurre la velocità. A seguito di questo evento l’ammiraglio Inigo Campioni, comandante superiore in mare delle forze italiane, decide di rompere il contatto per rientrare alle basi, ed alle 16.05 dirama l’ordine generale per le squadriglie di cacciatorpediniere di attaccare con il siluro le navi della Mediterranean Fleet, in modo da facilitare lo sganciamento delle navi maggiori.
Già alle 15.45, prima ancora di ricevere l’ordine, la IX Squadriglia si trova un miglio a nord-nord-est dell’incrociatore pesante Bolzano (la nave in testa alla formazione navale), con rotta nord, intenta a manovrare con rotta dapprima 40° e poi 60° per ridurre le distanze con il nemico a sufficienza per lanciare. Alle 16 la IX Squadriglia viene presa sotto il tiro degli incrociatori britannici, aprendo a sua volta il fuoco alle 16.01 ma cessandolo già alle 16.05. Proprio alle 16.05 viene ricevuto l’ordine di attacco, ed un minuto dopo le unità della IX Squadriglia lanciano cinque siluri da una distanza di 13.500 metri (sono i primi cacciatorpediniere dello schieramento italiano a lanciare i siluri), con beta 32°, verso gli incrociatori britannici di testa, per poi ripiegare verso ovest-nord-ovest coprendo la propria ritirata con cortine nebbiogene bianche. Alle 16.16 le navi britanniche cessano di sparare contro la IX Squadriglia, che si ricongiunge poi con la VIII Divisione.
Nessuno dei siluri lanciati va a segno; sono probabilmente proprio dei siluri della IX Squadriglia le scie che, alle 16.10, vengono viste passare nella formazione della 14th Destroyer Flotilla britannica, in procinto di contrattaccare. Tra le 16.19 e le 16.30 tre squadriglie di cacciatorpediniere britannici (2th, 10th e 14th Flotilla) aprono il fuoco contro quelli italiani da 11.250-12.500 metri, appoggiati tra le 16.39 e le 16.41 dal tiro dei pezzi secondari da 152 mm delle corazzate Warspite e Malaya. Alle 16.18 lo Stuart ingaggia la IX Squadriglia da 11.500 metri con le artiglierie prodiere, ma di lì a cinque minuti la flottiglia cacciatorpediniere cui esso appartiene (la 10th Destroyer Flotilla) vira per nord/nordovest per mantenere le distanze. Alle 16.49 la “mischia” tra cacciatorpediniere, svoltasi a grande distanza, ha termine senza che nessuna unità sia stata colpita.
Terminata la battaglia, la flotta italiana si avvia alle proprie basi con direttrice di marcia 230°, passando a sud della Calabria; ma durante il rientro, tra le 16.20 e le 19.30, diviene oggetto anche dell'attacco da parte degli stessi bombardieri della Regia Aeronautica (una cinquantina, su circa 126 inviati in totale ad attaccare le forze britanniche), che le attaccano e bombardano pesantemente per errore di identificazione e malintesi (tra il comando delle due Squadre Navali e quello della II Squadra Aerea, cui appartengono i bombardieri) circa la posizione della flotta italiana e di quella britannica. Le insensate disposizioni vigenti in materia di comunicazioni tra Marina ed Aeronautica, che non contemplano la possibilità di comunicazioni dirette tra navi e aerei, impediranno alle prime di segnalare ai secondi l'errore; le stesse navi, non potendo distinguere la nazionalità degli aerei attaccanti, apriranno un intenso fuoco con proprie armi contraeree, rafforzando nei piloti l'impressione di stare attaccando navi nemiche. Alcune delle navi ed alcuni degli aerei, rispettivamente, cesseranno il fuoco e rinunceranno all'attacco riconoscendo all'ultimo momento la vera nazionalità del "nemico", ma alla fine gli attacchi ai danni delle navi italiane eguaglieranno, in intensità, quelli condotti contemporaneamente contro la vera Mediterranean Fleet. Nessuna nave italiana sarà, fortunatamente, colpita, mentre un bombardiere Savoia Marchetti S. 79 della 257a Squadriglia (XXXVI Stormo da Bombardamento Terrestre) finirà abbattuto dal "fuoco amico" delle navi. L’ammiraglio Campioni, per tentare di chiarire equivoco, ordina di stendere bandiere italiane sul cielo delle torri e di emettere fumo rosso dai fumaioli poppieri, pratica convenzionale, nelle esercitazioni in tempo di pace, per segnalare il gruppo “amico”.
L'incidente sarà poi fonte di aspre polemiche tra Marina e Aeronautica, ma per lo meno servirà a dare l'impulso ad un migliore sviluppo della collaborazione aeronavale, che però raggiungerà risultati soddisfacenti solo nel 1942.
L’aliquota più consistente delle unità italiane, compreso l’Oriani, dirige su Augusta: nel pomeriggio del 9 luglio la corazzata Conte di Cavour, gli incrociatori pesanti PolaZaraFiume e Gorizia, gli incrociatori leggeri Alberico Da BarbianoAlberto Di GiussanoLuigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi ed i 36 cacciatorpediniere delle Squadriglie VII, VIII, IX, XI, XIV, XV e XVI fanno il loro ingresso nella base siciliana. Poco dopo mezzanotte, però, a seguito dell’intercettazione e decifrazione di messaggi radio britannici che fanno presagire un imminente attacco di aerosiluranti contro il naviglio ormeggiato ad Augusta, Supermarina ordina a tutte le navi di lasciare la base: dopo essersi frettolosamente rifornite, le unità ripartono per le basi di assegnazione (Napoli e Taranto). La IX Squadriglia, insieme alla Cavour con i quattro incrociatori pesanti ed alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII e VIII partono per prime, alle 00.55 del 10 luglio, alla volta di Napoli.
Per la sua condotta a Punta Stilo, il comandante Panzani dell’Oriani riceverà una seconda Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con motivazione "Comandante di un cacciatorpediniere, lo portava all'attacco in pieno giorno contro forze nemiche molto superiori, dando prova di elevate qualità di comando e grande sprezzo del pericolo".

Oriani (a destra), Gioberti e Carducci durante la battaglia di Punta Stilo (da www.marinai.it)

30 luglio-1° agosto 1940
L’Oriani prende il mare, insieme al resto della IX Squadriglia Cacciatorpediniere (Alfieri, Gioberti e Carducci), alla XII Squadriglia (AscariLanciereCorazziere e Carabiniere) ed alla I Divisione (incrociatori pesanti ZaraFiume e Gorizia), nonché alla IV Divisione (incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano ed Alberto Di Giussano con i cacciatorpediniere Antonio PigafettaLanzerotto Malocello e Nicolò Zeno della XV Squadriglia), alla VII Divisione (incrociatori leggeri Eugenio di SavoiaLuigi di Savoia Duca degli AbruzziMuzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli con i cacciatorpediniere GranatiereBersagliereFuciliere ed Alpino della XIII Squadriglia) ed agli incrociatori pesanti Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio Paladini, comandante superiore in mare) e Trento, per fornire protezione a distanza ai convogli diretti in Libia nell’ambito dell’operazione «Trasporto Veloce Lento» (TVL).
Tali convogli sono tre: il n. 1 (lento, partito da Napoli alle 8.30 del 27 a 7,5 nodi di velocità) è formato dalle navi da carico Maria EugeniaGloria StellaMaulyBainsizzaBarbaro e Col di Lana e dall’incrociatore ausiliario Città di Bari (qui usato come trasporto) scortati dalle torpediniere ProcioneOrsaOrione e Pegaso (poi rinforzate dai cacciatorpediniere MaestraleGrecaleLibeccio e Scirocco); il n. 2 (veloce, partito da Napoli alle 00.30 del 29 alla velocità di 16 nodi) è composto dai trasporti truppe Marco PoloCittà di Napoli Città di Palermo, scortati fino alla Sicilia dalle torpediniere CirceCalipsoCalliope e Clio e poi dalle torpediniere AlcioneAretusaAirone ed Ariel; il n. 3 (partito da Trapani) è composto dai piroscafi Bosforo e Caffaro, scortati dalle torpediniere VegaPerseoGenerale Antonino Cascino e Generale Achille Papa.
Sempre a protezione dei convogli, viene potenziato lo schieramento di sommergibili nel Mediterraneo orientale ed occidentale, portandolo in tutto a 23 battelli, e vengono disposte numerose ricognizioni aeree speciali con mezzi della ricognizione marittima e dell’Armata Aerea (Armera).
A seguito della notizia dell’uscita in mare sia del grosso della Mediterranean Fleet da Alessandria, che da gran parte della Forza H da Gibilterra (incrociatore da battaglia Hood, corazzate Valiant e Resolution, portaerei Argus ed Ark Royal), che si presume essere dirette verso il Mediterraneo centrale, i convogli n. 1 e 2 vengono dirottati l’uno a Catania e l’altro a Messina, dove giungono rispettivamente la sera del 28 ed alle 13.30 del 29.
Il 30 luglio i due convogli, più il n. 3 che salpa solo ora, prendono nuovamente il mare per la Libia, e salpa anche la forza navale di copertura che comprende l’Oriani (per altra versione, però, la IX Squadriglia non avrebbe fatto parte di questa formazione, mentre ci sarebbe stata invece la sola XII Squadriglia). La I e VII Divisione, insieme a Pola e Trento ed alla XII Squadriglia Cacciatorpediniere, si portano in posizione idonea a proteggere il convoglio n. 2, diretto a Bengasi (gli altri sono diretti a Tripoli) dalle provenienze da levante. La sera del 31 luglio, quando ormai non vi sono più pericoli, la formazione degli incrociatori inverte la rotta e rientra le basi.
Tutti i convogli raggiungono senza danni le loro destinazioni tra il 31 luglio ed il 1° agosto.
31 agosto-2 settembre 1940
La IX Squadriglia parte da Taranto alle sei del mattino del 31 agosto insieme alla IX Divisione (corazzate Littorio, nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, e Vittorio Veneto), alla V Divisione (corazzate DuilioConte di Cavour e Giulio Cesare, quest’ultima aggregatasi solo il 1° settembre a causa di avarie), alla I Divisione (incrociatori pesanti ZaraFiume e Gorizia), al Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio Angelo Iachino, comandante della 2a Squadra), all’VIII Divisione (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) ed alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII (FrecciaDardoSaettaStrale), VIII (FolgoreFulmineLampoBaleno), X (MaestraleGrecaleLibeccioScirocco), XIII (GranatiereBersagliereFuciliereAlpino), XV (Alvise Da MostoGiovanni Da VerrazzanoAntonio PigafettaNicolò Zeno) e XVI (Nicoloso Da ReccoEmanuele PessagnoAntoniotto Usodimare). Complessivamente all’alba del 31 prendono il mare da Taranto, Brindisi e Messina 4 corazzate, 13 incrociatori della I, III (TrentoTrieste e Bolzano, da Messina), VII (Eugenio di SavoiaRaimondo MontecuccoliMuzio AttendoloEmanuele Filiberto Duca d’Aosta, da Brindisi) e VIII Divisione e 39 cacciatorpediniere (oltre a quelli già menzionati, anche AviereArtigliereGeniere e Camicia Nera della XI Squadriglia, e LanciereCarabiniereAscari e Corazziere della XII Squadriglia). Obiettivo, contrastare l’operazione britannica «Hats» (consistente in varie sotto-operazioni: trasferimento da Gibilterra ad Alessandria, per rinforzare la Mediterranean Fleet, della corazzata Valiant, della portaerei Illustrious e degli incrociatori Calcutta e Coventry; invio di un convoglio da Alessandria a Malta e di uno da Nauplia a Porto Said; bombardamenti su basi italiane in Sardegna e nell’Egeo): Supermarina ha infatti saputo che sia la Mediterranean Fleet (da Alessandria) che la Forza H (da Gibilterra) sono uscite in mare, e si è accordata con la Regia Aeronautica per attaccare la prima con le forze navali di superficie ed attacchi aerei e la seconda con aerei e sommergibili.
Le due Squadre Navali italiane (la 1a Squadra, al comando dell’ammiraglio Inigo Campioni – con insegna sulla Littorio –, è composta dalle Divisioni V, VII, VIII e IX e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere VII, VIII, X, XIII, XV e XVI; la 2a Squadra dal Pola, dalle Divisioni I e III e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, XI e XII), riunite, dirigono per lo Ionio orientale con rotta 150°. Le forze navali sono però uscite in mare troppo tardi, hanno l’ordine di evitare uno scontro notturno ed hanno una velocità troppo bassa (20 nodi), ed hanno l’ordine di cambiare rotta e raggiungere il centro del Golfo di Taranto se non riusciranno ad entrare in contatto con il grosso nemico entro il tramonto. Tutto ciò impedisce alle forze italiane di intercettare quelle britanniche; alle 16 Supermarina ordina un cambiamento di rotta, che impedisce alla 2a Squadra, che si trova in posizione più avanzata della 1a, di proseguire verso le forze nemiche (l’ammiraglio Iachino, comandante la 2a Squadra, ha chiesto ed ottenuto alle 16.30 libertà di manovra per dirigere contro le forze britanniche, segnalate alle 15.35 a 120 miglia di distanza, ma alle 16.50 tale autorizzazione viene annullata;  comunque la 2a Squadra non sarebbe egualmente riuscita a raggiungere le unità avversarie). Alle 17.27 la 2a Squadra riceve l’ordine d’invertire la rotta ed assumere rotta 335° e velocità 20 nodi, come la 1a Squadra.
Alle 22.30 del 31 la formazione italiana, che procede a 20 nodi, riceve l’ordine di impegnare le forze nemiche lungo la rotta 155°, a nord della congiungente Malta-Zante, dunque deve cambiare la propria rotta per raggiungerle (o non potrebbe prendere contatto con esse), dirigendo più verso sudovest (verso Malta) e superando la congiungente Malta-Zante. Il mattino del 1° settembre, tuttavia, il vento, già in aumento dalla sera precedente, dà origine ad una violenta burrasca da nordovest forza 9; le forze italiane si allontanano nuovamente dal Golfo di Taranto per cercare di nuovo quelle avversarie lungo la rotta 155° ma con l’ordine di non oltrepassare la congiungente Malta-Zante, il che tuttavia le tiene lontane dalle rotte possibili da Alessandria a Malta. Verso le 13 la burrasca costringe la flotta italiana a tornare alle basi, perché i cacciatorpediniere non sono in grado di tenere il mare compatibilmente con le necessità operative (non potendo restare in formazione né usare l’armamento). Poco dopo la mezzanotte del 1° settembre le unità italiane entrano nelle rispettive basi; tutti i cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle sovrastrutture) dal mare mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare.
Le navi verranno tenute pronte a muovere sino al pomeriggio del 3 settembre, ma non si concretizzerà alcuna nuova occasione.
1° settembre 1940
A seguito della riorganizzazione delle due Squadre Navali, la IX Squadriglia (OrianiAlfieri, Gioberti, Carducci) rimane dislocata a Taranto, assegnata alla I Divisione Navale.
7-9 settembre 1940
La flotta italiana (5 corazzate, 6 incrociatori e 19 cacciatorpediniere) lascia Taranto alle 16 del 7 diretta a sud della Sardegna, per intercettare la Forza H britannica che si presume diretta verso Malta. La ricognizione aerea, tuttavia, non avvista nessuna nave nemica (la Forza H, infatti, aveva lasciato Gibilterra per un’operazione da svolgersi non nel Mediterraneo ma nell’Atlantico), dunque alle 16 dell’8 settembre la formazione italiana, arrivata a sud della Sardegna, inverte la rotta e raggiunge le basi del Tirreno meridionale, da dove il 10 tornerà nelle basi di dislocazione normale (Taranto e Messina).
29 settembre-2 ottobre 1940
Alle 18.05 del 29 settembre escono in mare da Taranto il Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio Angelo Iachino, comandante la 2a Squadra), la I Divisione con ZaraFiume e Gorizia e la IX Squadriglia Cacciatorpediniere (OrianiAlfieri, Gioberti, Carducci) più l’Ascari della XII Squadriglia, seguiti alle 19.30 dalle Divisioni V (corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour), VI (corazzata Duilio), VII (incrociatori leggeri Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli, da Brindisi), VIII (incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi) e IX (corazzate Littorio – nave di bandiera dell’ammiraglio Inigo Campioni, comandante la 1a Squadra – e Vittorio Veneto) e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere VII (DardoSaettaStrale), X (MaestraleGrecaleLibeccioScirocco), XIII (GranatiereBersagliereAlpino), XV (Da MostoDa Verrazzano) e XVI (PessagnoUsodimare), per contrastare un’operazione britannica in corso, la «MB. 5», consistente nell’invio a Malta degli incrociatori Liverpool e Gloucester con 1200 uomini e rifornimenti e nel contemporaneo invio da Porto Said al Pireo del convoglio «AN. 4», il tutto con l’uscita in mare delle corazzate Valiant e Warspite, della portaerei Illustrious, degli incrociatori YorkOrion e Sydney e di undici cacciatorpediniere a copertura dell’operazione. Al contempo da Messina prende il mare la III Divisione (TrentoTriesteBolzano) assieme ai quattro cacciatorpediniere della XI Squadriglia (AviereArtigliereGeniere e Camicia Nera). La formazione uscita da Taranto assume rotta 160° e velocità 18 nodi, riunendosi con le navi provenienti da Messina alle 7.30 del 30 settembre, mentre si accorge di essere tallonata da ricognitori britannici. In mancanza di elementi sufficienti ad apprezzare la composizione ed i movimenti della Mediterranean Fleet ed in considerazione dello svilupparsi di una burrasca da scirocco (che avrebbe reso impossibile una navigazione ad alta velocità verso sud da parte dei cacciatorpediniere) Supermarina decide di rinunciare a contrastare l’operazione ed ordina alle unità in mare di invertire la rotta alle 6.25 del 30 ed incrociare dapprima tra i paralleli 37° e 38°, poi (dalle 10.30) 38° e 39° ed alle 14 fare rotta verso sudovest sino a raggiungere il 37° parallelo, poi, alle 17.20, di rientrare alle basi. Navigando nella burrasca, la flotta italiana raggiunge le basi tra l’una e le quattro del mattino del 1° ottobre, vi si rifornisce in fretta e rimane in attesa di un’eventuale nuova uscita per riprendere il contrasto, ma in base alle nuove informazioni ottenute ciò risulterà impossibile, pertanto, alle 14.00 del 2 ottobre, le navi riceveranno l’ordine di spegnere le caldaie.
6 ottobre 1940
L’Oriani salpa da Taranto in mattinata insieme al resto della IX Squadriglia, al Pola (nave di bandiera della 2a Squadra Navale) ed alla I Divisione (ZaraFiume e Gorizia), in appoggio all’operazione «C.V.», consistente nell’invio da Taranto a Lero delle due veloci e moderne motonavi Calitea e Sebastiano Venier, cariche di rifornimenti destinati alle isole del Dodecaneso e scortate dalla XII Squadriglia Cacciatorpediniere (AscariLanciereCorazziere e Carabiniere). L’operazione (il convoglio è partito la sera del 5, ed il 6 mattino, oltre al gruppo cui appartiene il Carducci, sono salpate da Messina anche la III Divisione con TrentoTrieste e Bolzano e la XI Squadriglia Cacciatorpediniere con AviereArtigliereGeniere e Camicia Nera) viene però interrotta il mattino stesso del 6 ottobre, dopo che la ricognizione aerea dell’Egeo ha segnalato due corazzate, due incrociatori e sette cacciatorpediniere britannici sulla rotta Alessandria-Caso, ossia dove dovrebbero passare le navi dirette nel Dodecaneso. Tutte le unità italiane vengono fatte rientrare alle basi; «C.V.» non si farà più.
Ottobre 1940
Il capitano di fregata Panzani cede il comando dell’Oriani al parigrado Ernesto Giuriati (37 anni, da Parma).

Prova del rancio a bordo dell’Oriani (da www.storienogastronomiche.it)

11-12 novembre 1940
Oriani, Alfieri, Gioberti e Carducci sono presenti a Taranto durante l’attacco aerosilurante britannico che affonda la corazzata Conte di Cavour e pone fuori uso le corazzate Littorio e Duilio (“notte di Taranto”). I quattro cacciatorpediniere sono ormeggiati a nordovest del centro del Mar Grande, ad est del recinto retale che racchiude le navi della I Divisione – ZaraFiumeGorizia – ed a sud del porto commerciale; l’Oriani è il più ad ovest dei quattro, con Carducci ormeggiato a nordest, Gioberti a sudest ed Alfieri più ad est di tutti. Le unità della IX Squadriglia non subiscono danni nell’attacco.
Tra le 14.30 e le 16.45 del 12 novembre la IX Squadriglia, insieme alla XI Squadriglia, al Pola ed alla I Divisione, lascia Taranto, valutata ormai insicura, per raggiungere Napoli.
16 novembre 1940
La IX Squadriglia Cacciatorpediniere (OrianiAlfieri, Gioberti, Carducci) salpa da Napoli alle 10.30 del 16, insieme alle corazzate Vittorio Veneto (nave ammiraglia dell’ammiraglio Campioni, comandante della 1a Squadra) e Cesare, al Pola (nave comando della 2a Squadra, ammiraglio Iachino), alla I Divisione con Fiume e Gorizia ed alla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (Bersagliere,GranatiereFuciliereAlpino), per intercettare una formazione britannica partita da Gibilterra e diretta verso est, che è stata segnalata nel Mediterraneo occidentale. Si tratta della Forza H dell’ammiraglio James Somerville (incrociatore da battaglia Renown, portaerei Argus e Ark Royal, incrociatori leggeri SheffieldDespatch e Newcastle, otto cacciatorpediniere) uscita da Gibilterra per l’operazione «White», che prevede l’invio a Malta di 14 aerei decollati dall’Argus per rinforzarne le scarse difese, nonché un’azione di bombardamento di Alghero (velivoli dell’Ark Royal) ed il trasporto a Malta di uomini e materiali della RAF sul Newcastle.
Contemporaneamente alla partenza da Napoli del grosso della flotta, escono in mare da Messina anche la III Divisione (TrentoTriesteBolzano) e la XII Squadriglia Cacciatorpediniere (LanciereCarabiniereAscariCorazziere), mentre da Palermo salpa la XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (VivaldiDa NoliTarigoMalocello).
Le navi uscite da Napoli, prive di dati precisi sul nemico, dirigono verso sud nel Basso Tirreno; nel pomeriggio del 16 si uniscono al grosso la III Divisione e la XII e XIV Squadriglia. La forza così riunita sotto il comando dell’ammiraglio Campioni assume quindi rotta verso est verso l’8° meridiano, a sudovest della Sardegna, procedendo a 18 nodi, ridotti a 14 nella notte del 17 per agevolare la navigazione dei cacciatorpediniere, resa difficoltosa da un vento da sudovest.
Per tutta la giornata del 16 non si ricevono informazioni sulle forze nemiche.
17 novembre 1940
Alle 10.15 le forze britanniche vengono avvistate da ricognitori, che però non precisano né la rotta né la velocità. Campioni dirige verso sud, in direzione di Bona, sperando di riuscire ad intercettare le unità britanniche nel pomeriggio, se esse proseguono verso est.
Raggiunto alle 16.30 un punto prestabilito 45 miglia a nord-nord-est di Ustica, la formazione italiana dirige poi verso ovest ed alle 17.30 arriva 35 miglia a sudovest di Sant’Antioco. Dopo aver navigato per un po’ in direzione dell’Algeria, nella totale mancanza su dove sia il nemico e dove esso sia diretto, la squadra italiana riceve l’ordine rientrare. Campioni rileverà che le condizioni del mare – onde molto lunghe da sudovest – hanno causato forte rollio e beccheggio in tutte le sue navi, corazzate comprese, tanto da impedire l’uso dei cannoni se dirette verso sud. Durante il ritorno le navi italiane eseguono esercitazioni di tiro contro la scogliera La Botte, a sud di Ponza; raggiungono le rispettive basi tra il 17 ed il 18 novembre.
Sebbene non vi sia stato contatto tra le opposte formazioni navali, l’uscita in mare delle forze italiane ha indirettamente causato il fallimento dell’operazione «White»: a seguito dell’avvistamento della squadra italiana da parte dei ricognitori di Malta, infatti, Somerville ha fatto lanciare gli aerei dall’Argus tenendo la portaerei quanto più ad ovest possibile, cioè più lontana da Malta di quanto inizialmente pianificato, prolungando di molto la distanza sulla quale gli aerei dovranno volare. Il risultato sarà che su quattordici aerei decollati dall’Argus (dodici Hawker Hurricane e due Blackburn Skua) solo cinque (quattro Hurricane ed uno Skua) giungeranno a Malta: gli altri esauriranno il carburante e precipiteranno in mare a seguito di errori di navigazione e stime sbagliate sugli effetti del vento, tranne uno che dovrà effettuare un atterraggio d’emergenza presso Siracusa, venendo catturato.
26 novembre 1940
Tra le 11.50 e le 12.30 del 26 l’Oriani lascia Napoli unitamente alle altre unità della IX Squadriglia (AlfieriGioberti e Carducci), di scorta alla I Divisione (Fiume e Gorizia; ammiraglio Pellegrino Matteucci, imbarcato sul Fiume) ed al Pola (nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino). Salpano al contempo da Napoli anche le corazzate Vittorio Veneto (nave di bandiera dell’ammiraglio Inigo Campioni) e Giulio Cesare e le Squadriglie Cacciatorpediniere VII (FrecciaSaetta e Dardo) e XIII (GranatiereBersagliereFuciliereAlpino), che formano la 1a Squadra. La formazione italiana (vi sono anche la III Divisione e la XII Squadriglia Cacciatorpediniere, partite da Messina, che insieme alla I Divisione, IX Squadriglia e Pola formano la 2a Squadra) si riunisce 70 miglia a sud di Capri alle 18.00 del 26 novembre, assumendo poi rotta 260° e velocità 16 nodi, per intercettare un convoglio britannico diretto da Gibilterra a Malta nell’ambito dell’operazione britannica «Collar». Il convoglio, entrato in Mediterraneo nella notte tra il 24 ed il 25 novembre, è composto dai mercantili New Zealand StarClan Forbes e Clan Fraser, con la scorta diretta dell’incrociatore leggero Despatch, l’incrociatore antiaerei Coventry, i cacciatorpediniere DuncanWishart ed Hotspur e le corvette HyacinthPeonySalvia e Gloxinia. La Forza F di protezione ravvicinata (ammiraglio Lancelot Holland) comprende l’incrociatore pesante Berwick e gli incrociatori leggeri ManchesterNewcastleSheffield e Southampton, mentre come forza di copertura a distanza è uscita da Gibilterra la Forza H (ammiraglio James Somerville) con la corazzata Ramillies, l’incrociatore da battaglia Renown, la portaerei Ark Royal e undici cacciatorpediniere (KelvinJaguarEncounterFaulknorFiredrakeFuryForesterGallantGreyhoundGriffin e Hereward), che hanno raggiunto il convoglio il mattino del 25. Supermarina ha saputo della partenza delle forze britanniche da Alessandria (la Forza D, cioè gli incrociatori antiaerei Calcutta e Coventry ed i cacciatorpediniere Greyhound, Vampire, Voyager e Vendetta, partiti il pomeriggio del 24) e Gibilterra il mattino del 26 (informatori a Gibilterra hanno segnalato che la Forza H è partita diretta verso ovest alle 8.25).
27 novembre 1940
Tra le 8.30 e le 9.10 la 1a Squadra, rimanendo indietro rispetto agli incrociatori (che formano la 2a Squadra), a poppavia dei quali sta procedendo, accelera a 17 e poi a 18 nodi per ridurre la distanza. Alle 9.50 le corazzate avvistano un ricognitore britannico Bristol Blenheim, contro cui aprono il fuoco alle 10.05 (il velivolo si allontana).
La formazione italiana ha rotta 260°, verso la Sardegna, ed il mattino del 27 incrocia nove miglia a sud di Capo Spartivento Sardo, per intercettare uno dei due gruppi britannici in mare (uno partito da Alessandria ed uno da Gibilterra) prima che possano riunirsi: quello proveniente da Alessandria viene avvistato alle 9.45 da un idroricognitore lanciato dal Bolzano alle 7.55, che comunica che una corazzata, due incrociatori e quattro cacciatorpediniere si trovano a 26 miglia per 20° da Cap de Fer, con rotta 90° e velocità 16 nodi. Il messaggio del ricognitore viene ricevuto alle 10.05 dall’ammiraglio Iachino e dieci minuti dopo dall’ammiraglio Campioni. Poco dopo il velivolo aggiunge che si mantiene in contatto visivo con le navi nemiche; continuerà a tenere il contatto fino alle 10.40.
Sebbene la posizione indicata sia piuttosto lontana dal vero (troppo ad ovest), questo avvistamento è il primo concreto segnale, per il comandante superiore in mare, della presenza delle forze nemiche.
Alle 11 la formazione inverte la rotta ed aumenta la velocità da 16 a 18 nodi, ed alle 11.28 assume rotta 135°, per intercettare la formazione britannica – che (dalle segnalazioni dei ricognitori, in particolare quello del Bolzano) risulta avere posizione differente da quella prevista – e tagliarle la rotta. Alle 11.35 la 2a Squadra riceve dall’ammiraglio Campioni di portarsi su rilevamento 195° rispetto alla sua nave ammiraglia (la Vittorio Veneto), in modo che la formazione divenga perpendicolare alla probabile direzione d’avvicinamento della squadra britannica. Proposito di Campioni è di ingaggiare il Renown, che ritiene accompagnato solo da due incrociatori ed alcuni cacciatorpediniere, prima che possa ricongiungersi con l’altro gruppo navale, che diverrebbe così più potente del suo.
Alle 12.07, tuttavia, in seguito alla constatazione che la formazione britannica appare superiore a quella italiana (i cui ordini sono di impegnarsi solo se in condizioni di sicura superiorità, dato che al momento vi sono solo due corazzate operative e non ci si può permettere di subire altre perdite dopo la notte di Taranto) l’ammiraglio Inigo Campioni, al comando della flotta italiana, ordina di assumere rotta 90° per rientrare alle basi senza ingaggiare il combattimento, e di aumentare la velocità. Alle 12.15 vengono però avvistati quattro cacciatorpediniere britannici, diretti verso gli incrociatori italiani: le siluranti nemiche spariscono subito, avendo apparentemente invertito la rotta, ma alle 12.16 la IX Squadriglia, che si trova circa 3 km a sud degli incrociatori della 2a Squadra, segnala alla Vittorio Veneto (dove il messaggio viene ricevuto alle 12.27) di aver avvistato una corazzata e tre incrociatori britannici su rilevamento 180° (verso sud). Si tratta della squadra britannica, che comprende la corazzata Ramillies, l’incrociatore da battaglia Renown, la portaerei Ark Royal e gli incrociatori Berwick (pesante), SheffieldSouthamptonNewcastle e Manchester (leggeri), oltre a numerosi cacciatorpediniere. L’ammiraglio Campioni ordina pertanto di incrementare ancora la velocità (che è di 25 nodi per la 1a Squadra e di 28 per la 2a Squadra, che deve riunirsi alla 1a essendo più indietro): ha inizio la battaglia di Capo Teulada.
Alle 12.20, prima che l’ammiraglio Campioni possa ordinare di non impegnarsi, gli incrociatori della I Divisione aprono il fuoco da una distanza di 21.500-22.000 metri, seguiti in successione dal Pola e da quelli della III Divisione. Gli incrociatori della 2a Squadra, in linea di fila, sono in posizione favorevole (da “taglio del T”) per sparare con tutte le artiglierie su quelli britannici, che si trovano invece in linea di fronte e possono usare solo le torri prodiere, ma per via dell’ordine di Campioni di disimpegnarsi devono accostare verso nordest. Durante lo scontro, le navi italiane continuano a ritirarsi verso nordest, sparando quasi esclusivamente con le torri poppiere, mentre quelle britanniche le inseguono tirando quasi solamente con le torri prodiere (la distanza media del combattimento è 22.500 metri, che per la III Divisione – segnatamente il Trento – scende ad un minimo di 18.000 metri). Il tiro degli incrociatori italiani è intenso dall’apertura del fuoco fino alle 12.42, poi diventa intermittente tra le 12.42 e le 12.49 a causa di ripetute accostate necessarie a disturbare l’attacco di aerosiluranti britannici frattanto apparsi (e che poi attaccheranno le corazzate), poi nuovamente intenso dalle 12.49 alle 12.53 e poi, a causa dell’aumento delle distanze e del fumo (causato soprattutto dalla combustione forzata delle caldaie, in particolare sulle navi della III Divisione), il ritmo di tiro deve di nuovo calare, fino a cessare alle 13.15, quando la distanza è diventata di 26.000 metri.
Due salve da 203 mm degli incrociatori italiani colpiscono, alle 12.22 ed alle 12.35, l’incrociatore pesante britannico Berwick: la prima uccide sette uomini, ne ferisce nove e mette fuori uso la terza torre da 203 dell’unità britannica, la seconda danneggia il quadrato ufficiali e locali adiacenti, ma il Berwick continua a fare fuoco. Nello schieramento italiano, tra le 12.33 e le 12.40 tre colpi sparati da un incrociatore britannico colpiscono il cacciatorpediniere Lanciere, che rimane immobilizzato e verrà successivamente preso a rimorchio dal gemello Ascari.
Fino alle 12.40 le navi britanniche (soprattutto gli incrociatori) sparano intensamente contro la III Divisione, poi spostano il tiro sulla I Divisione, che è divenuta più vicina (ma il loro tiro è disturbato dal fumo prodotto dalle navi italiane). Le corazzate britanniche intervengono solo sporadicamente, trovandosi più indietro rispetto agli incrociatori, senza comunque colpire nulla.
Nel frattempo anche la 1a Squadra si è riavvicinata alla 2a Squadra, ed alle 13.00 la Vittorio Veneto apre il fuoco da poco meno di 29.000 metri, ma le unità britanniche subito accostano a dritta e la distanza aumenta a 31.000 metri, costringendo la corazzata a cessare il fuoco già alle 13.10. Alle 13.05, su richiesta del Fiume (nave di bandiera dell’ammiraglio Pellegrino Matteucci, comandante la I Divisione), le unità della IX Squadriglia stendono una cortina nebbiogena, disturbando il tiro degli incrociatori britannici contro quelli italiani. Alle 13.15, essendo la distanza (della 2a Squadra dalle forze britanniche) salita a 26.000 metri, il tiro viene cessato anche dagli incrociatori, viene rotto il contatto. Ha così fine l’inconclusiva battaglia di Capo Teulada. Alle 15.20 le unità della 2a Squadra vengono attaccate da nove aerosiluranti decollati dalla portaerei Ark Royal: l’attacco si protrae per dieci minuti, ma nessun siluro (lanciati tutti contro PolaFiume e Gorizia) va a segno. Alle 21 del 27 novembre le navi italiane assumono rotta nord a 15 nodi.
28 novembre 1940
Alle 00.30 la flotta italiana dirige verso est fino alle 7.30 del 28, dopo di che segue le rotte costiere, arrivando a Napoli tra le 13.25 e le 14.40 del 28. La IX Squadriglia lascia Napoli alle 20.35 del 28 stesso per scortare a Messina la III Divisione, che ha “perso” la propria Squadriglia Cacciatorpediniere – la XII – a seguito del danneggiamento in battaglia del caposquadriglia Lanciere, poi dirottato su Cagliari insieme al gemello Ascari.
15 dicembre 1940
Intorno alle 17 la IX Squadriglia, le Squadriglie Cacciatorpediniere VII e XIII, le corazzate Giulio Cesare e Vittorio Veneto e gli incrociatori pesanti Zara e Gorizia lasciano Napoli diretti a La Maddalena, dove le navi sono state temporaneamente trasferite per sottrarle ad altri attacchi aerei britannici dopo che, nelle settimane precedenti, alcuni bombardamenti aerei su Napoli hanno rivelato la vulnerabilità di tale porto alle offese aeree (con il grave danneggiamento, il 14 dicembre, dell’incrociatore pesante Pola, colpito da bombe). Le unità rimangono a La Maddalena, porto non molto più al sicuro di Napoli dagli attacchi aerei, solo per i pochi giorni necessari all’approntamento a Napoli di adeguate contromisure contro i bombardamenti (tra cui impianti per l’annebbiamento del porto).
20 dicembre 1940
Le navi rientrano a Napoli.
Inverno 1940-1941
L’Oriani partecipa, con altre unità (i suoi tre gemelli, gli incrociatori leggeri Eugenio di Savoia e Raimondo Montecuccoli della VII Divisione e Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi dell’VIII Divisione, i cacciatorpediniere FrecciaSaetta, Dardo, Strale, Fulmine, Folgore, Lampo, Baleno, Ascari, Lanciere, Corazziere, Carabiniere, Nicoloso Da Recco, Antonio Pigafetta, Emanuele Pessagno ed Augusto Riboty, le torpediniere Pallade, Partenope, Altair, Aretusa, Andromeda, Castelfidardo ed Angelo Bassini), ad azioni di bombardamento navale sulle coste dell’Albania, in appoggio alle operazioni terrestri delle truppe italiane sul fronte greco-albanese. Tali azioni vengono eseguite su richiesta del Comando Superiore FF. AA. in Albania.
Febbraio 1941
Il capitano di fregata Giuriati viene avvicendato nel comando dell’Oriani dal parigrado Vittorio Chinigò (40 anni, da Bologna).
10 febbraio 1941
Oriani e Carducci ricevono ordine da Supermarina di andare a rinforzare la scorta di un convoglio partito da Taranto e diretto a Napoli, composto dai piroscafi tedeschi ArtaMaritza ed Heraklea con la scorta del solo cacciatorpediniere Baleno. Supermarina ha deciso di rafforzarne la scorta dopo la segnalazione da parte del sommergibile Salpa, in navigazione in quelle acque (al largo di Punta Stilo), di essere stato attaccato da un sommergibile nemico (si tratta del Rover, al comando del capitano di corvetta Hubert Anthony Lucius Marsham); Oriani e Carducci  raggiungono il convoglio poco dopo mezzanotte, e l’Oriani assume il ruolo di caposcorta.
11 febbraio 1941
Poco prima delle 7.30, un idrovolante CANT Z della 142a Squadriglia della Regia Aeronautica (sottotenente di vascello Tenti) lancia una bomba da 160 kg contro il Rover, che si è venuto a trovare casualmente proprio sulla rotta del convoglio. Il sommergibile britannico non viene colpito, ma sente la violenta esplosione ed avvista subito dopo un cacciatorpediniere in navigazione a lento moto (probabilmente il Baleno, che sta zigzagando a proravia del convoglio per ordine dell’Oriani) a circa 7 km di distanza. Non avendo invece visto il resto del convoglio, il Rover scende a 27 metri di profondità e non fa alcun tentativo di attaccare, così il convoglio passa indisturbato sulla sua verticale (a bordo viene rilevato il rumore di due cacciatorpediniere che passano “sopra” al sommergibile) e si allontana indenne. I cacciatorpediniere di scorta non notano traccia del sommergibile, ma l’idrovolante richiama sul posto il cacciasommergibili Albatros, che darà infruttuosamente la caccia all’unità britannica.

(da “Le navi del re. Immagini di una flotta che fu” di Achille Rastelli, SugarCo Edizioni, 1988, via g.c. Marcello Risolo e www.naviearmatori.net)

26 marzo 1941
In mattinata la IX Squadriglia Cacciatorpediniere, che l’Oriani (capitano di fregata Vittorio Chinigò) forma insieme ai gemelli Alfieri (caposquadriglia, capitano di vascello Salvatore Toscano), Gioberti (capitano di fregata Marc’Aurelio Raggio) e Carducci (capitano di fregata Alberto Ginocchio), si trova ormeggiata in Mar Grande a Taranto, quando giunge dal Comando della I Divisione Navale, dal quale tale Squadriglia dipende, l’ordine di tenersi pronti a muovere. L’ordine, comunicato dal comando di divisione al caposquadriglia Alfieri, viene da questi ritrasmesso agli altri tre cacciatorpediniere. Qualche ora dopo, i comandanti coinvolti vengono informati che se usciranno in mare parteciperanno all’operazione anche altre navi: gli incrociatori pesanti della III Divisione Navale e forse una corazzata, con i relativi cacciatorpediniere di scorta.
Alle 16 giungono la conferma dell’ordine di uscita in mare e l’autorizzazione a prelevare il carburante necessario; la partenza è stabilita tra le 22 e le 23. Alle 23 arriva infatti dal Comando di divisione l’ordine di partenza; la IX Squadriglia lascia il Mar Grande procedendo in linea di fila, con l’Alfieri in testa ed il Carducci in seconda posizione, seguito a sua volta da Oriani per terzo e Gioberti per ultimo. Prendono il mare al contempo anche Zara (capitano di vascello Luigi Corsi), Pola (capitano di vascello Manlio De Pisa) e Fiume (capitano di vascello Giorgio Giorgis), gli incrociatori pesanti della I Divisione, che la IX Squadriglia deve scortare (per altra fonte, le navi sarebbero partite alle 21).
Una volta in mare aperto, alla I Divisione si unisce anche la VIII Divisione (incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi), proveniente da Brindisi con la XVI Squadriglia Cacciatorpediniere (Nicoloso Da ReccoEmanuele Pessagno). Le navi devono raggiungere un punto di riunione fissato circa 55 miglia a sudest di Capo Spartivento Calabro. Nelle stesse ore prendono il mare anche la corazzata Vittorio Veneto, scortata dalla X Squadriglia Cacciatorpediniere (MaestraleGrecaleLibeccio e Scirocco, poi rilevati da GranatiereBersagliereFuciliere ed Alpino della XIII Squadriglia), da Napoli, e la III Divisione (TrentoTriesteBolzano) con la XII Squadriglia (AscariCorazziereCarabiniere) da Messina.
Tutte queste unità si devono riunire in un punto prestabilito per poi partecipare all’operazione «Gaudo», un’incursione contro il naviglio britannico nel Mediterraneo orientale, a nord di Creta. La I e la VIII Divisione, con le rispettive squadriglie di cacciatorpediniere, devono riunirsi 55 miglia a sudest di Capo Spartivento Calabro, formando un unico gruppo.
Dopo la riunione, la flotta italiana dovrà dirigere verso la Libia per trarre in inganno eventuali ricognitori britannici, finché, giunta in un punto prestabilito al largo di Capo Passero, si dividerà nuovamente nei due gruppi che dirigeranno poi verso i rispettivi obiettivi.
La I e la VIII Divisione (insieme ai sei cacciatorpediniere della IX e XVI Squadriglia), riunite sotto il comando dell’ammiraglio Carlo Cattaneo (comandante della I Divisione, con bandiera sullo Zara), devono portarsi a nord di Creta, passando tra Cerigotto e Capo Spada, poi proseguire sino a giungere a 30 miglia a sud di Stampalia per la loro puntata offensiva; la Vittorio Veneto (nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare) e la III Divisione, insieme alla XII e XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (sette unità), devono invece raggiungere le acque di Gaudo, a sud di Creta, per compiervi una scorreria. Entrambi i gruppi sono incaricati di attaccare i convogli britannici in navigazione tra la Grecia e l’Egitto (nell’ambito dell’operazione britannica «Lustre»), se in condizioni di superiorità, per poi fare rapidamente alle basi ritorno dopo aver inflitto il maggior danno possibile. Qualora vengano avvistate da superiori forze avversarie prima di arrivare nelle acque di Creta, le navi italiane dovranno interrompere l’operazione, venendo a mancare la sorpresa. L’ordine d’operazione per il Gruppo «Zara», formato dalla I e VIII Divisione con le relative squadriglie di cacciatorpediniere, recita «Gruppo Zara composto I e VIII Divisione navale lasci base prime ore giorno X-1 et regoli propri movimenti in modo trovarsi alle 20.00 giorno X-1 in punto lat. 35°46’ e long. 19°34’ et diriga poi per passare ore 04.00 giorno X fra Cerigotto et Capo Spada alt Prosegua quindi per levante fino at meridiano Capo Tripiti e poi per scoglio Karavi dove dovrà trovarsi ore 08.00 giorno X alt Da tale punto diriga per ripassare fra Capo Spada e Cerigotto et quindi per punto miglia 90 a ponente di Cerigotto dove dovrà trovarsi ore 13.30 giorno X et quindi per rientro basi alt In caso avvistamento unità nemiche attaccare a fondo soltanto se in condizioni favorevoli di relatività di forze alt».
L’idea di una puntata offensiva in Egeo è sorta a seguito del convegno di Merano, svoltosi il 13-14 febbraio 1941 tra una rappresentanza dei vertici della Regia Marina (ammiragli Arturo Riccardi, Raffaele De Courten, Emilio Brenta e Carlo Giartosio) ed una della Kriegsmarine (ammiragli Erich Raeder e Kurt Fricke e capitano di fregata Frank Aschmann, membro del Comando della Marina tedesca nel Mediterraneo). Il capo di Stato Maggiore della Kriegsmarine, ammiraglio Erich Raeder, ha evidenziato l’atteggiamento prettamente difensivo fino ad allora tenuto dalla Marina italiana – uscite in mare infruttuose o scontri terminati senza vincitori né vinti, combattimenti di minore entità sfociati in sconfitte per le unità italiane, l’ancor vicina “notte di Taranto” e la brutta figura del bombardamento navale di Genova compiuto dai britannici senza subire perdite – ed invitato il capo di Stato Maggiore della Regia Marina, ammiraglio Arturo Riccardi, ad improntare le operazioni future ad una maggiore aggressività, sia a sostegno del trasferimento in Libia dell’Afrika Korps (in corso in quel momento) che a contrasto dei convogli che trasportano truppe e rifornimenti britannici dall’Egitto alla Grecia; in particolare, ha suggerito incursioni nel Mediterraneo orientale con le veloci e potenti corazzate classe Littorio. Riccardi ha respinto le richieste tedesche, motivandole con l’insufficienza della copertura aerea; il capo reparto operazioni della Kriegsmarine, ammiraglio Kurt Fricke, ha poi rinnovato tali insistenze presso il suo collega italiano, ammiraglio Emilio Brenta, ma anche questi le ha rigettate, adducendo a motivo la disparità di forze dopo la notte di Taranto e la scarsità di nafta, le cui scorte sarebbero state notevolmente erose da una missione del genere. Brenta ha anche fatto presente che i britannici sarebbero stati in condizione di vantaggio e che, se fossero riusciti a danneggiare qualche nave italiana, avrebbero ridotto la velocità della squadra, costringendola ad accettare un combattimento lontano dalla proprie basi e in qualsiasi situazione di relatività di forze (un timore profetico, come poi mostreranno i fatti).
Fricke ha allora suggerito incursioni notturne con l’impiego di forze navali leggere, ma Brenta ha puntualizzato che le forze di cui si dispone sono appena sufficienti a svolgere i compiti indispensabili, tra cui le scorte verso la Libia.
Nonostante una siffatta conclusione dell’incontro, dopo di esso tra i vertici della Regia Marina e nello stesso Riccardi è cresciuta l’esigenza di mostrare alla Germania che anche la Marina italiana è in grado di passare con decisione all’offensiva: ciò – è stato deciso – si concretizzerà con una puntata offensiva (da compiersi non appena la flotta potrà tornare nella base di Taranto, una volta che le sue difese contraeree saranno state potenziate) contro i convogli britannici che, provenienti dall’Egitto, riforniscono la Grecia.
Per coincidenza, a fine febbraio è stato un ammiraglio che non è stato a Merano, né sa quanto vi sia stato detto, a prospettare a Riccardi l’idea di un’incursione in Egeo con una corazzata e tre incrociatori, per ostacolare l’invio di truppe e rifornimenti dall’Egitto alla Grecia: Angelo Iachino, comandante della Squadra da battaglia. Riccardi ha risposto che un piano del genere è già allo studio da parte di Supermarina, ma che nell’immediato è inattuabile per mancanza di obiettivi: l’attività della Luftwaffe, infatti, ha fatto pressoché cessare il traffico navale britannico nel Mediterraneo orientale.
Ma pochi giorni dopo (6 marzo) ha preso il via l’operazione britannica «Lustre», il trasferimento in Grecia di circa 60.000 uomini con i relativi equipaggiamenti, per appoggiare la resistenza del Paese ellenico contro le forze dell’Asse. Convogli britannici hanno ripreso pertanto a solcare le acque dell’Egeo verso la Grecia.
A rincarare la dose, tra il 10 ed il 14 marzo, ci si è messo l’ammiraglio Eberhard Weichold, ufficiale di collegamento della Kriegsmarine in Italia, che ha rinnovato le pressioni per una mossa offensiva della Marina italiana. Da parte tedesca si sostiene che parte delle forze della Royal Navy siano distolte dalla necessità di contrastare le incursioni in Atlantico dell’incrociatore pesante Admiral Hipper e della corazzata tascabile Admiral Scheer (ma in realtà questo non ha influito sulla dislocazione delle forze britanniche nel Mediterraneo); sulle prime Supermarina è stata ancora recalcitrante, ma il 19 marzo i comandi tedeschi hanno asserito che, dopo il grave danneggiamento delle corazzate britanniche Warspite e Barham e della portaerei Illustrious per opera di aerei della Luftwaffe (il 16 marzo degli Heinkel He 111 del X Corpo Aereo Tedesco – II Gruppo del 26° Stormo – hanno riferito di aver silurato due corazzate; quanto alla Illustrious, la sua messa fuori uso è cosa assodata già da gennaio), alla Mediterranean Fleet è rimasta una sola corazzata (la Valiant) e nessuna portaerei.
Riccardi, convinto che le condizioni siano ora favorevoli, ha capitolato: il 16 marzo ha deciso di dare il via all’operazione (cinque giorni dopo anche il Comando Supremo ha rincarato la dose, invitando Marina ed Aeronautica ad un atteggiamento più aggressivo in Egeo, a sostegno della prossima offensiva tedesca in Grecia). Requisiti essenziali sono il fattore sorpresa da parte italiana, un capillare servizio di ricognizione aerea ed una forte copertura aerea italo-tedesca. Mancheranno tutti e tre.
Dal momento che i piccoli convogli obiettivo dell’incursione sono formati di solito da quattro o cinque mercantili, scortati da un incrociatore e qualche cacciatorpediniere, e considerando che per il successo di un attacco del genere sono essenziali la rapidità e la sorpresa, probabilmente la scelta più appropriata sarebbe stata di lanciare veloci puntate offensive con gli ottimi incrociatori leggeri della VII e/o VIII Divisione (così come faranno, successivamente, i britannici stessi contro i convogli italiani, con la Forza K e la Forza Q), ma le reali motivazioni dietro all’operazione pianificata da Supermarina sono di natura politica: dimostrare ai tedeschi che gli italiani, sul mare, possono essere aggressivi quanto loro e quanto i britannici. Nelle parole dell’ammiraglio Giuseppe Fioravanzo, allora Capo Ufficio Operazioni Piani di Guerra: “Dare al mondo l’impressione che l’Inghilterra non ci aveva preclusa l’iniziativa in zone lontane dalle nostre basi; dare alla Squadra, da troppo tempo inattiva, la soddisfazione per essa tanto desiderata di andare verso il nemico senza subirne la volontà; non tralasciare le pressioni che ci venivano da Berlino”.
Ciò ha portato a decidere per una vera dimostrazione muscolare di forza: doveva prendere il mare il fior fiore della flotta italiana, le unità più moderne e potenti di cui la Regia Marina dispone.
Il 19 marzo Raeder ha scritto ancora una volta per caldeggiare un attacco al traffico britannico nel Mediterraneo orientale, rimarcando la situazione favorevole generata dall’"eliminazione" di due corazzate, ed il 25 marzo Riccardi gli ha risposto di essere dello stesso avviso, aggiungendo che prossime operazioni navali italiane saranno indirizzate proprio in quella direzione. Il 21 marzo anche il generale Alfredo Guzzoni, Sottocapo di Stato Maggiore Generale, ha suggerito che la Marina compia in Egeo «offese navali di superficie attuabili attraverso rapide puntate di incrociatori protetti e cercando di battere le corazzate» britanniche, che in quel momento appaiono «in stato d’inferiorità numerica»; Riccardi ha risposto anche a lui che «Supermarina aveva già studiato le possibilità di azioni con navi di superficie contro l’Egeo».
I preparativi hanno compreso il potenziamento delle difese della base di Taranto, così che almeno una parte della Squadra vi potesse tornare in condizioni di sicurezza. Segnalazioni da parte del Servizio Informazioni della Marina, il 22 e 23 marzo, di due grossi convogli britannici (uno di 12 navi ad Alessandria ed uno di 18 navi a Giaffa) in procinto di partire per Volo e Suda riconfermano Supermarina nelle sue intenzioni.
Originariamente l’avvio dell’operazione era previsto per il 24 marzo, ma successivamente, per avere il tempo di prendere accordi particolareggiati con le forze aeree tedesche, è stato posticipato al 26. Alle 21.10 del 23 marzo Supermarina ha inviato agli ammiragli Iachino, Cattaneo, Sansonetti e Legnani l’ordine d’operazione: recapitato mediante corrieri e telescriventi, così da non poter essere oggetto di intercettazione da parte avversaria. La parte che riguarda la I Divisione recita: «Gruppo Zara composto I e VIII Divisione navale lasci base prime ore giorno X-1 et regoli propri movimenti in modo trovarsi alle 20.00 giorno X-1 in punto lat. 35°46’ e long. 19°34’ et diriga poi per passare ore 04.00 giorno X fra Cerigotto et Capo Spada alt Prosegua quindi per levante fino at meridiano Capo Tripiti e poi per scoglio Karavi dove dovrà trovarsi ore 08.00 giorno X alt Da tale punto diriga per ripassare fra Capo Spada e Cerigotto et quindi per punto miglia 90 a ponente di Cerigotto dove dovrà trovarsi ore 13.30 giorno X et quindi per rientro basi alt In caso avvistamento unità nemiche attaccare a fondo soltanto se in condizioni favorevoli di relatività di forze alt». Il 24 marzo Iachino ha inviato il suo ordine di operazione dettagliato, il numero 47, a mezzo corrieri ai suoi tre ammiragli dipendenti (Cattaneo, Sansonetti e Legnani), ma frattanto anche i comandi di Rodi (per l’intervento dell’Aeronautica dell’Egeo) e Taormina (per l’intervento del X CAT) dovevano essere informati, e ciò si poteva fare solo per radio.
L’Aeronautica della Sicilia, il X. Fliegerkorps della Luftwaffe (X Corpo Aereo Tedesco, che dispone di circa 200 bombardieri e 70 caccia) anch’esso di base in Sicilia, e la caccia italiana di Rodi (dotata di biplani Fiat CR. 42 di base nell’aeroporto di Maritza; in tutto in Egeo non vi sono che 86 aerei italiani di cui solo 52 efficienti, in massima parte vetusti e con contenute riserve di carburante) deve fornire copertura aerea alle navi di Iachino; o almeno questo è ciò che era previsto.
La questione dell’appoggio aereo ha per certi aspetti rasentato l’assurdo. Supemarina, ritenendo necessario un efficace appoggio aereo per la riuscita della missione, ha chiesto all’ammiraglio Weichold di accordarsi con il generale Hans-Ferdinand Geisler, comandante il X Fliegerkorps, che affermava di poter mettere a disposizione ricognitori, caccia a lungo raggio e bombardieri. Quando però il Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica, generale Francesco Pricolo, ha ricevuto il programma delle scorte aeree e saputo da Riccardi che si sono presi accordi con la Luftwaffe, senza dire niente a lui, è montato su tutte le furie ed ha accusato Riccardi di aver commesso “una grave sgarberia verso Superaereo”. Guzzoni si è schierato con Pricolo, e venne modificato il programma previsto per l’impiego delle forze aeree. Nessuno si è curato di informare Iachino in merito.
Tra Creta ed Alessandria sono stati inviati in agguato i sommergibili AmbraAscianghiDagaburNereide e Galatea, con l’incarico di segnalare eventuali movimenti di forze navali nemiche.
La segretezza dell’operazione «Gaudo», fondamentale per la sua riuscita, è però svanita prima ancora del suo inizio: l’aumento delle ricognizioni effettuate dalla Regia Aeronautica in Mar Egeo è stato infatti notato dall’ammiraglio Andrew Browne Cunningham, comandante della Mediterranean Fleet; ed i ricognitori decollati da Malta hanno avvistato la I Divisione a Taranto, base che fino a quel momento, dopo l’attacco aerosilurante dell’11-12 novembre, era stata abbandonata da ogni nave maggiore. Intuendo che la Marina italiana stesse preparando qualcosa contro i convogli britannici per la Grecia (anche se non si escludevano altre possibilità, quali l’invio di un convoglio italiano fortemente scortato verso il Dodecaneso, un’operazione diversiva a copertura di uno sbarco italo-tedesco in Cirenaica o Grecia, od un attacco contro Malta), Cunningham ha ordinato che le ricognizioni sulle principali basi navali italiane e sulle probabili rotte che la flotta italiana potrà seguire vengano aumentate sino al massimo possibile, ed ha dislocato in quelle acque tutti i sommergibili disponibili.
Le decrittazioni, da parte di “ULTRA”, di comunicazioni della Luftwaffe in cui si annuncia che questa deve fornire protezione ad una forte squadra navale italiana che deve a breve effettuare una scorreria in Egeo, hanno dato a Cunningham la conferma circa le sue supposizioni; infine, il 25 marzo “ULTRA” ha intercettato una comunicazione di Supermarina (partita da Roma e diretta a Rodi) in cui si diceva che «Oggi 25 marzo est giorno X meno 3». Tra il 25 ed il 26, ulteriori intercettazioni hanno aggiunto informazioni a quelle già note ai britannici, pur non componendo ancora un quadro particolarmente nitido.
Mentre gli ordini d’operazione delle unità navali, come si è visto, sono stati inviati con mezzi a prova d’intercettazione, l’unico modo di comunicare col Comando delle Forze Armate dell’Egeo (i cui velivoli devono partecipare alla copertura aerea delle navi il 28 marzo) è la radio, vulnerabile alle intercettazioni; solo per mancanza di tempo, “ULTRA” non è riuscito a decifrare l’ordine di operazioni completo, compilato il 24 marzo dall’ammiraglio Carlo Giartosio. In questo caso, Supermarina ha tentato di far pervenire l’ordine a Rodi con mezzi non soggetti ad intercettazione: lo ha affidato ad un corriere a Roma con l’ordine di imbarcarsi su un bombardiere Savoia Marchetti S.M. 81 (della 222a Squadriglia del 56° Gruppo da Bombardamento Terrestre) diretto nell’isola, ma il 25 marzo l’aereo, in decollo dall’aeroporto di Gerbini (Catania), è precipitato ed ha preso fuoco, uccidendo i cinque uomini dell’equipaggio. Non essendovi più tempo per inviare un altro aereo, è stato giocoforza usare la radio.
L’Ammiragliato ha informato Cunningham dell’intercettazione alle 17.05 di quello stesso giorno; l’indomani nuove intercettazioni (di radiomessaggi in codice inviati da Roma a Rodi) hanno permesso di apprendere che da parte italiana sono pianificate ricognizioni aeree, nei due giorni precedenti X (su Alessandria, Suda e le rotte tra Alessandria ed il Pireo, su entrambi i lati di Creta) e durante lo stesso giorno X (dall’alba a mezzogiorno tra Creta ed Atene, nonché sulle rotte tra Creta ed Alessandria), ed attacchi aerei sugli aeroporto di Creta, sia la notte precedente il giorno X che il giorno X stesso. Dato che il più lungo dei messaggi intercettati è stato inviato dal generale Guzzoni, cioè da un ufficiale del Regio Esercito, ma mediante la macchina cifrante di Supermarina (per il semplice motivo di poter così usare la linea telegrafica di Supermarina con il Dodecaneso), da parte britannica si sospetta anche che l’operazione potesse contemplare un’azione anfibia, con la partecipazione di truppe di terra. Alle 10.07 del 26 marzo ancora un altro messaggio decrittato ha rivelato che il giorno X (tra l’alba e mezzogiorno) ci dovranno essere ricognizioni intensive tra Creta, la costa orientale greca, il Golfo di Atene e la linea Zea-Milo-Capo Sidero nonché (sempre durante il mattino) sulle rotte tra il Gaudo ed Alessandria e Caso ed Alessandria, ed attacchi aerei nel mattino sugli aeroporto cretesi.
Cunningham ha subito preso tutti i provvedimenti del caso, con tre ordini di operazione diramati alle le 18.18, alle 18.20 ed alle 18.22 del 26 marzo a vari comandi (Malta, il Quartier Generale delle forze britanniche in Grecia, il comando della base di Suda, il Quartier Generale del Medio Oriente ed il Quartier Generale della Royal Air Force in Medio Oriente). Spiegando che «c’è ragione di sospettare che forze di superficie nemiche progettino una puntata nell’Egeo giungendo lì il 28 marzo», il comandante della Mediterranean Fleet ha chiesto: 1) ricognizioni aeree su Taranto, Napoli, Brindisi e Messina per il pomeriggio del 27; 2) sospensione di ogni traffico da e per la Grecia, tranne i convogli «AG 8», già partito il 26 marzo da Alessandria per la Grecia con la scorta di due incrociatori antiaerei e tre cacciatorpediniere, e «GA 8» (un mercantile, l’incrociatore leggero Bonaventure e due cacciatorpediniere), che partirà il 29 seguendo la rotta opposta ed arrivando ad Alessandria due giorni dopo (senza il Bonaventure, affondato dal sommergibile italiano Ambra); 3) ritiro di tutte le unità di vigilanza in servizio a Suda ed al Pireo per porle sotto la protezione delle difese locali; immediato stato di allerta per tutta la Mediterranean Fleet; 4) uscita dal Pireo, il 27 marzo (il giorno prima di quello fissato per l’operazione italiana), della 7th Cruiser Division (Forza B) dell’ammiraglio Henry Pridham-Wippell per un pattugliamento del mare attorno a Gaudo, isolotto a sud di Creta (le navi di Pridham-Wippell salpano la sera del 27, con l’ordine di essere 30 miglia a sud di Gaudo per le 6.30 del 28); 5) invio dei sommergibili Rover e Triumph in probabili punti di passaggio della squadra italiana; 6) rinforzo delle difese contraeree di Suda (con l’invio dell’incrociatore antiaereo Carlisle); 7) potenziamento delle squadriglie di aerosiluranti di Creta e della Cirenaica e loro approntamento all’azione (e si preparano anche reparti di bombardieri Bristol Blenheim); 8) che tutto ciò venga eseguito in maniera tale da non far trapelare che i britannici sono al corrente di una prossima mossa della Regia Marina in Egeo. Il 27 marzo, quando gli ordini d’operazione di Cunningham sono già stati diramati, altre due decrittazioni di “ULTRA” permettono all’ammiraglio britannico di apprendere quanto da parte italiana si sa (mediante ricognizione ed intercettazioni) sulla dislocazione delle sue forze e sui movimento navali britannici in Mediterraneo.
Supermarina, ovviamente, è ignara di tutto ciò. Il 26 e 27 marzo il reparto informazioni della Regia Marina ha segnalato un forte, improvviso ed inconsueto aumento del traffico radio tra Malta ed i comandi britannici del Mediterraneo orientale, puntualizzando anche che debba essere correlato alla preparazione, da parte avversaria, di qualche operazione. Nessuno, però, ha messo tale notizia in relazione alla puntata di Iachino in Egeo.
A differenza di quanto si ritiene da parte italo-tedesca, Warspite e Barham non sono state danneggiate in modo grave e sono già tornate in servizio, come mostrato da nuove fotografie scattate il mattino del 24 marzo da uno Ju 88 della 3a Squadriglia del 1° Gruppo Ricognizione Strategica del X Fliegerkorps (che avevano sorvolato la Mediterranean Fleet, uscita in mare a protezione di un convoglio da Alessandria a Malta) ma inoltrate a Supermarina solo due giorni dopo, in quanto classificate come «bassa priorità». Un messaggio del X CAT a Supermarina mandato nel pomeriggio del 26 ha detto chiaramente che «Da accurato esame della fotografia eseguita sulla forza navale avvistata a nord di Marsa Matruh si rileva: a) una forza navale costituita da quattro grosse unità in linea di fila a distanza di 650 metri tra prora e prora nell’ordine: una Nb tipo QUEEN ELIZABETH, una Pa tipo FORMIDABLE, una Nb tipo BARHAM, una Nb tipo QUEEN ELIZABETH (…)». Anche allora ci sarebbe stato il tempo di farlo sapere a Iachino, che ancora era in porto: ma ciò, per motivi inesplicati, non è avvenuto.
A Supermarina si è convinti che la superiore velocità delle navi italiane permetterà loro di evitare un pericoloso incontro; si è poi sottovalutata la pericolosità degli aerei britannici, che fino a quel momento sono stati assai letali negli attacchi alle navi in porto (Taranto, Tobruk, Bengasi, Napoli, Augusta), ma non hanno mai colpito una nave da guerra italiana in navigazione in mare aperto.
L’Illustrious è stata davvero posta fuori combattimento, ma il 10 marzo è già giunta in Mediterraneo la sua sostituta, la gemella Formidable.
Di ciò l’ammiraglio Iachino verrà informato solo a missione in corso, il 27 marzo, quando la sua nave intercetterà alle 15.19 e 16.43 due messaggi trasmessi da Rodi, che annunciano che la ricognizione strategica (un CANT Z. 1007 italiano ed uno Junkers Ju 88 tedesco) ha visto ad Alessandria tre navi da battaglia e due portaerei. Il giorno stesso verrà trasmesso a Supermarina un messaggio del X Fliegerkorps che annuncia che un suo Ju 88 in ricognizione su Alessandria vi ha localizzato «due navi da battaglia classe QUEEN ELIZABETH – una nave battaglia classe BARHAM – portaerei FORMIDABLE et EAGLE – un incr. classe AURORA – un incr. classe SOUTHAMPTON…».
27 marzo 1941
La navigazione della formazione italiana è ostacolata dal mare di prora, causato da un leggero vento da sudovest.
La giornata trascorre senza eventi di rilievo; intorno alle dieci del mattino giunge dall’ammiraglio Cattaneo l’ordine per le navi della IX Squadriglia di passare dalla formazione in linea di fila a quella di scorta ravvicinata, ai lati della I Divisione. Il tempo si mantiene buono fino alle 16, quando all’improvviso si leva un forte vento da sud e compaiono all’orizzonte striature basse e nere. L’aria, in precedenza fresca, diviene afosa, il che fa presagire un prossimo peggioramento dello stato del mare; il Carducci, afflitto da problemi alle caldaie, inizia lentamente a scadere rispetto all’Oriani, che lo precede, ed agli incrociatori della I Divisione che navigano sulla sua sinistra.
Alle 10.30 la I e la VIII Divisione (con IX e XVI Squadriglia) si riuniscono 55 miglia a sudest di Capo Passero, poi si posizionano 16 miglia a poppavia della Vittorio Veneto (fuori vista rispetto alle navi del gruppo «Zara»), che è a sua volta preceduta di sette miglia dalla III Divisione. La foschia ed il vento di scirocco ostacolano il mantenimento della formazione, mentre non vi sono difficoltà nel mantenere la velocità prefissata.
La navigazione prosegue senza incidenti – ma nella preoccupante assenza della pOderosa scorta aerea tedesca prevista: non si vedono che idrovolanti CANT Z. 506 che forniscono per qualche ora scorta antisommergibile, e più tardi qualche aereo tedesco in lontananza che passa senza dar segno d’aver visto le navi – sino alle 12.25, quando il Trieste annuncia che la III Divisione è stata localizzata da un idroricognitore britannico Short Sunderland. Quest’ultimo è un velivolo del 230th Squadron RAF decollato dalla base greca di Scaramanga, ai comandi del capitano pilota D. G. Boehm, il quale segnala alla base di aver avvistato, 80 miglia ad est di Capo Passero, una formazione composta da tre incrociatori ed un cacciatorpediniere, con rotta sudest, probabilmente diretti verso le rotte dei convogli britannici per la Grecia. (Altra fonte invece anticipa di parecchie ore l’avvistamento della formazione italiana, che sarebbe avvenuto all’alba del 27 da parte di un altro Sunderland del 230th Squadron, il ‘NM-P’ del capitano McCall, che avrebbe segnalato l’avvistamento di tre incrociatori).
Compreso che la sorpresa, presupposto fondamentale per la riuscita della missione, è venuta a mancare, Iachino domanda quindi a Supermarina se debba annullare la missione e rientrare alla base; in una concitata riunione si conclude che la sorpresa è sì venuta meno, ma che il ricognitore non ha avvistato che una porzione della squadra italiana, pertanto si decide di proseguire, preferendo rischiare una trappola, che far sembrare ai tedeschi ed a Mussolini che la Marina si ritiri alle prime difficoltà.
In seguito a ciò, la formazione italiana, poco dopo le 14, accosta per 150° (prima la rotta era 134°) per ingannare il ricognitore, e mantiene questa rotta sino alle 16, dopo di che riaccosta per 130°, e poi – alle 19.30 – per 98° portando la velocità a 23 nodi, così da giungere nel punto prestabilito a sud di Gaudo all’alba del 28. Alle 22 Supermarina annulla l’attacco a nord di Creta, dato che la ricognizione ha rivelato che non ci sono convogli da attaccare (ed anche per il rischio che gli incrociatori del gruppo «Zara» vengano attaccati da forze britanniche, di cui si ha contezza dopo l’avvistamento del Sunderland), pertanto la I e VIII Divisione ricono l’ordine di ricongiungersi con la Vittorio Veneto e la III Divisione all’alba del giorno seguente, al largo di Gaudo («Destinatari V. VENETO per Squadra e ZARA per Divisione alt Modifica ordine di operazione gruppo Cattaneo si riunisca dopo alba domani 28 corrente gruppo Iachino alt Programma Iachino resta invariato»). In base a rilevazioni radiogoniometriche, si ritiene che in quella zona si troveranno, il giorno seguente, alcuni incrociatori leggeri e cacciatorpediniere britannici.
Alle 14.35 la ricognizione aerea italiana su Alessandria trova le corazzate britanniche ancora in porto: ciò viene riferito a Iachino, ma la successiva ricognizione, da effettuarsi in serata, viene annullata per via delle condizioni meteorologiche. Se ci fosse stata, avrebbe mostrato che il grosso della Mediterranean Fleet – le corazzate BarhamValiant e Warspite, la portaerei Formidable (Forza A) e nove cacciatorpediniere della 10th e 14th Destroyer Flotilla (Forza C) – non c’è più: dopo la segnalazione del Sunderland che ha avvistato le navi italiane alle 12.25, infatti, l’ammiraglio Cunningham è uscito in mare con le sue navi, alle 19 del 27, per intercettare la formazione di Iachino. Proprio perché si aspettava una ricognizione sul porto durante il pomeriggio, anzi, Cunningham non è partito prima: ha deliberatamente tenuto in porto le sue corazzate affinché i ricognitori italiani le trovino lì e credano quindi che la Mediterranean Fleet rimarrà in porto.
Inoltre, per ingannare eventuali informatori nemici ad Alessandria (si sospetta soprattutto dell’addetto navale del Giappone, nazione ancora neutrale ma alleata di Italia e Germania), Cunningham si è recato a giocare a golf in abiti civili durante il pomeriggio del 27, avendo cura di farsi vedere, per poi imbarcarsi furtivamente sulla Warspite all’ultimo momento. Unico intoppo nel piano britannico, la bassa velocità (19-20 nodi) che la forza navale deve tenere per non lasciare indietro la Warspite, che ha aspirato della sabbia nell’uscire dal porto con conseguenze ostruzione dei condensatori dell’apparato evaporatore. Ciò ritarda la riunione tra le Forze A e C e la Forza B di Pridham-Wippell, impedendo che tali forze riunite incontrino quelle di Iachino già nella giornata del 28 marzo.
Iachino ignora del tutto tale situazione; Supermarina ha ricevuto notizia di messaggi non confermati che accennano alla presenza in mare di una/tre corazzate ed una portaerei al largo di Alessandria (ed alle 20.35 del 27 il Servizio Informazioni ha riferito di «3 navi da battaglia e 2 [sic] navi portaerei accertate ad Alessandria ieri ore 13.00 (…) Oggi ore 13.00 una nave portaerei – un incrociatore et un cacciatorpediniere 20 miglia a nordovest di Alessandria alt Ore 17.00 Formidable rilevata per 102° da Taormina alt Traffico radiotelegrafico confermerebbe presenza in mare una nave da battaglia – una portaerei e Comando 7a Divisione incrociatori (…)»), ma non ha ritenuto di doverne informare il comandante superiore in mare.
Dei sommergibili dislocati nel Mediterraneo orientale per avvistare le forze nemiche, uno solo, l’Ambra, sente due volte rumori di eliche agli idrofoni; dato che non è però riuscito ad avvistare niente, non riferisce alcunché alla base, non avendo ricevuto ordini in tal senso.
28 marzo 1941
Alle 6.35 del mattino un idroricognitore catapultato dalla Vittorio Veneto avvista la Forza B britannica (composta dagli incrociatori leggeri OrionAjaxPerth e Gloucester e dai cacciatorpediniere VendettaHastyHereward ed Ilex), in navigazione con rotta stimata 135° e velocità 18 nodi, una quarantina di miglia ad est-sud-est dall’ammiraglia italiana. Alle 6.57, mentre la III Divisione riceve l’ordine di assumere rotta 135° e velocità 30 nodi (per raggiungere gli incrociatori britannici, poi dirigere verso la Vittorio Veneto ed attirarli così verso la corazzata), il resto della formazione italiana aumenta la velocità a 28 nodi. In quel momento il gruppo «Zara» – che si dovrebbe congiungere con la Vittorio Veneto all’alba –, di cui la IX Squadriglia fa parte, si trova in leggero ritardo; alle 6.30 è circa 16 miglia a nordovest delle altre unità, ed alle 6.57 riceve ordine dalla nave ammiraglia di accelerare.
Poco dopo il comando della I Divisione segnala otticamente alla IX Squadriglia Cacciatorpediniere di accelerare al massimo per superare la Vittorio Veneto e raggiungere la III Divisione, cui devono fornire appoggio. I cacciatorpediniere accelerano dunque da 25 nodi fino a circa 28, e poi gradualmente fino alla massima velocità.
Il primo avvistamento da parte britannica delle navi italiane è avvenuto alle 7.20, quando un aereo Fairey Albacore ha segnalato quattro incrociatori ed altrettanti cacciatorpediniere 25 miglia a sudest dell’isolotto di Gaudo; venti minuti dopo, un altro aereo dello stesso tipo (pilotato dal tenente di vascello A. S. Whitworth) ha riferito a sua volta l’avvistamento di quattro incrociatori e sei cacciatorpediniere a 20 miglia dal precedente avvistamento, ed alle 8.04 il primo Albacore ha rettificato segnalando anch’esso quattro incrociatori e sei cacciatorpediniere. Ciò ha inizialmente generato nei comandi britannici il dubbio che gli Albacore possano aver individuato le navi di Pridham-Wippell, dato che la loro composizione è analoga a quella della forza avvistata (quattro incrociatori e quattro cacciatorpediniere); ma il dubbio si è dissipato quando è stato lo stesso Pridham-Wippell a comunicare l’avvistamento di tre navi sconosciute 18 miglia più a nord. Le navi avvistate dagli Albacore sono quelle della III Divisione di Sansonetti.
La III Divisione ha avvistato la Forza B britannica alle 7.55, ma dato che anche la Forza B intende cercare di attirare le navi italiane verso il grosso della Mediterranean Fleet (della cui presenza in mare gli italiani sono del tutto all’oscuro) e pertanto inizia a ripiegare, la manovra pianificata dall’ammiraglio di squadra Iachino non si concretizza, e sono invece le navi italiane ad inseguire quelle britanniche. Alle 8.12 gli incrociatori della III Divisione aprono il fuoco contro le navi britanniche, che stanno ritirandosi ad elevata velocità, da 21.000 metri di distanza: inizia così lo scontro di Gaudo. La IX Squadriglia, disposta in linea di fila, naviga verso il nemico seguita a distanza normale dalla I e VIII Divisone; il gruppo della Vittorio Veneto si scorge appena all’orizzonte, sulla dritta.
Il tiro delle unità italiane è inizialmente piuttosto preciso e centrato sul Gloucester, che zigzaga per evitare di essere colpito ed alle 8.29, calate le distanze a 20.000 metri, tira senza successo tre salve che cadono corte (più per ragioni “morali” – Pridham-Wippell non vuole dare ai suoi uomini l’impressione di starsi ritirando senza sparare – che per l’effettiva speranza di colpire qualcosa). Anche tutte le successive salve italiane, tuttavia, cadono parimenti corte.
Alle 8.55, dato che le distanze col nemico restano costanti, la III Divisione interrompe l’inseguimento del nemico, dietro ordine di Iachino. Concluso il vano inseguimento e scambio di cannonate – al quale la I e VIII Divisione, non ancora ricongiuntesi al resto della formazione, non hanno potuto partecipare (anche perché alle 8.38 hanno dovuto ridurre la velocità a 20 nodi a causa di un’avaria del Pessagno, per ordine di Iachino, che ha al contempo ordinato loro di assumere rotta 300°) –, le navi italiane alle 8.55 accostano per 270° ed assumono rotta 300° e velocità di 28 nodi, seguite a distanza dalla Forza B, che tiene informato il resto della Mediterranean Fleet dei movimenti delle unità italiane. Quando se ne accorge, alle 10.02, l’ammiraglio Iachino ordina alla III Divisione di proseguire sulla sua rotta, mentre la Vittorio Veneto e le altre navi invertono la rotta (assumendo rotta 90°) per sorprendere alle spalle la Forza B (portandosi ad est delle navi britanniche e poi accostando verso sud), porla tra due fuochi (la III Divisione ed il resto della formazione italiana) e così impedirne la ritirata.
L’esecuzione di questa manovra viene però temporaneamente ritardata in quanto, alle 10.10, lo Zara lancia un segnale di scoperta col quale riferisce di aver avvistato fumo o alberatura sospetta per 300°; Iachino attende che tale avvistamento venga chiarito, ma alle 10.34 lo Zara annulla il segnale di scoperta e la manovra riprende.
Le unità della Forza B sono però più a nord di quanto ritenuto (e segnalato) e pertanto l’incontro avviene alle 10.50: alle 10.56 la Vittorio Veneto apre il fuoco da 23.000 metri, e la Forza B subito accosta verso sud coprendosi con cortine nebbiogene e si ritira inseguita dalle navi italiane, ma le distanze vanno aumentando ed il tiro della Vittorio Veneto risulta inefficace. L’Orion viene preso di mira per i primi dieci minuti e subisce qualche lieve danno per proiettili caduti vicini, dopo di che il tiro della corazzata inquadra il Gloucester, che viene anch’esso leggermente danneggiato da colpi caduti nei suoi pressi finché il cacciatorpediniere Hasty non riesce ad occultarlo con cortine fumogene (per altre fonti anche il Perth avrebbe subito qualche danno).
Alle 10.57 vengono avvistati sei aerei che si rivelano poi essere aerosiluranti britannici: sono infatti sei Albacore dell’826th Squadron della Fleet Air Arm, guidati dal capitano di corvetta Saunt e decollati dalla Formidable. Li scortano due caccia Fairey Fulmar dell’803rd Squadron (pilotati dal tenente D. C. E. F. Gibson e dal sergente A. W. Theobald) e li accompagna un Fairey Swordfish con compiti di osservazione. Quando arrivano sul cielo delle navi di Pridham-Wippell, gli Albacore sono scambiati per aerei nemici e bersagliati dal tiro contraereo delle navi britanniche, ma ne escono indenni. Avvistate le navi italiane, gli Albacore si posizionano per attaccarle, ma in quel momento intervengono due aerei tedeschi (gli unici che si faranno vedere durante tutta la battaglia), due bombardieri Junkers Ju 88 che si lanciano in picchiata sugli Albacore. Intervengono subito i Fulmar della scorta, che abbattono uno degli Ju 88 e misero in fuga l’altro; le navi italiane non si accorgono neanche dell’intervento dei due aerei della Luftwaffe.
Alle 11.18 la prima sezione degli Albacore attacca la Vittorio Veneto dal lato di dritta: e se le navi britanniche, sbagliando, li hanno scambiati per nemici ed hanno sparato loro addosso, quelle italiane, sbagliando a loro volta, li scambiano invece per amici, ritenendo erroneamente – data la somiglianza nell’aspetto esteriore – che gli aerei in arrivo siano caccia italiani FIAT CR. 42 dell’Aeronautica dell’Egeo, biplani proprio come gli Albacore. In questa zona, infatti, le navi di Iachino avrebbero dovuto fruire della copertura aerea dei caccia di Rodi (dodici CR. 42 muniti di serbatoi supplementari per incrementarne l’autonomia, di base a Scarpanto), ma questi velivoli non si faranno vedere (per altra fonte sarebbero stati invece presenti sul cielo della formazione, ma solo saltuariamente ed in numero modesto, nel corso della mattinata). Quando Iachino si rende conto che gli aerei sono nemici, la Vittorio Veneto accosta sulla dritta, e la XIII Squadriglia si porta in posizione adatta ad impedire l’attacco, aprendo intenso fuoco contraereo; alle 11.25 gli aerosiluranti della prima sezione lanciano, seguiti da quelli della seconda, ma i siluri mancano tutti il bersaglio. Va a vuoto anche un attacco, eseguito poco dopo quello contro la Vittorio Veneto, da parte di tre aerosiluranti Fairey Swordfish dell’815th Squadron F.A.A., decollati da Maleme (Creta) alle 10.50 e guidati dal tenente M. G. W. Clifford, che lanciano infruttuosamente contro il Bolzano.
L’attacco aerosilurante ha però obbligato le navi italiane a cessare il fuoco (verso le 11.38), consentendo alla Forza B di sfuggire ad una situazione di grave pericolo. In tutto, le navi di Iachino hanno sparato 94 colpi da 381 mm e 542 da 203 mm.
Alla fine, per ordine del Comando di Squadra, l’inseguimento viene definitivamente abbandonato, senza che il gruppo formato da I e VIII Divisione sia potuto arrivare al contatto balistico; le navi invertono la rotta su 300° e riducono la velocità a 20-25 nodi. Il gruppo «Zara» torna ad assumere la formazione di marcia in linea di fila, con i cacciatorpediniere in posizione laterale. Alle 11.07 la I Divisione avvista un sommergibile a 3000 metri per 280°, segnalandolo alla nave ammiraglia.
Successivi messaggi e segnalazioni, che confermano l’assenza di traffico convogliato britannico da attaccare, ed insieme ad essi l’ormai conclamata assenza della copertura aerea e la continua diminuzione delle scorte di carburante dei cacciatorpediniere, portano l’ammiraglio Iachino, alle 11.40, a disporre rotta verso nordovest: si torna alla base.
Poco prima di mezzogiorno avviene la riunione delle unità della squadra italiana; alle 13.30 il Comando della I Divisione comunica alla IX Squadriglia che un idrovolante Short Sunderland sta seguendo da parecchio la squadra italiana, tenendosi fuori tiro. Lo pilota il capitano di corvetta Bolt, dello Stato Maggiore di Cunningham, catapultato dalla Warspite: durante la sua missione ha modo di aggiornare il suo ammiraglio circa posizione, composizione, rotta e velocità delle navi italiane, con notevole accuratezza.
Gli incrociatori aprono inutilmente il fuoco contro il Sunderland, dopo di che iniziano gli attacchi aerei, cui le navi rispondono con rapide accostate e fuoco contraereo. Se in mattinata l’appoggio dato dai CR. 42 dell’Aeronautica dell’Egeo è stato pressoché inconsistente, nel pomeriggio esso cessa del tutto e definitivamente: col rapido allontanamento della flotta italiana in direzione di Taranto, infatti, questa si viene presto a trovare al di fuori dei limiti dell’autonomia dei CR. 42, anche se questi impiegano serbatoi supplementari.
Cunningham si è reso conto che la formazione di Iachino, più veloce della sua, rischia di sfuggire facilmente all’inseguimento (del quale non sa nemmeno di essere oggetto): a meno di non riuscire a rallentarla. Questo si può fare danneggiando qualche nave, con attacchi di bombardieri ed aerosiluranti dalle basi di Creta e dalla Formidable. Cunningham, pertanto, ordina ripetuti attacchi aerei contro le navi di Iachino. Durante il pomeriggio, un totale di 30 bombardieri Bristol Blenheim della RAF (decollati da basi aeree della Grecia) e 18 aerosiluranti Fairey Albacore e Fairey Swordfish della Fleet Air Arm (decollati dall’aeroporto cretese di Maleme e dalla Formidable) effettuano rispettivamente cinque e tre attacchi sulla formazione italiana. Nel corso della giornata del 28 marzo, in tutto, ben 24 siluri e 13 tonnellate di bombe vengono sganciate contro le unità di Iachino.
Alle 13.23 la I Divisione si trova a 56 miglia per 266° da Gaudo. Nel primo pomeriggio un Sunderland del 230th Squadron, pilotato dal capitano Alan Lywood (che già ha scoperto la forza di Iachino alle 6.20 di quel mattino, tallonandola poi a più riprese), s’imbatte per puro caso, in seguito ad un errore di rotta del suo navigatore, nel gruppo «Zara»: Lywood segnala al quartier generale di Atene l’avvistamento di due corazzate e tre incrociatori. Questi ultimi sono quelli della I Divisione, mentre le due “corazzate” sono in realtà i due incrociatori dell’VIII Divisione, Garibaldi e Duca degli Abruzzi, che sono stati scambiati per corazzate classe Duilio a causa della simile disposizione di cannoni e fumaioli.
Alle 14.20 tre bombardieri Bristol Blenheim dell’84th Squadron RAF, decollati a seguito dell’avvistamento di Lywood, attaccano la Vittorio Veneto, ma senza alcun risultato. Alle 14.50 altri sei Blenheim, appartenenti al 113th Squadron (maggiore Spencer) e decollati dalla base greca di Eleusis, attaccano a loro volta la corazzata italiana, ma anche stavolta le bombe cadono soltanto in mare nei suoi pressi, senza causare danni.
Alle 15.17 il gruppo «Zara» viene attaccato da sei bombardieri britannici Bristol Blenheim (che attaccano lo Zara ed il Garibaldi), attacco che si ripete alle 15.26, alle 16.30 ed infine alle 16.44. Le unità italiane rispondono zigzagando prontamente ed aprendo un intenso fuoco contraereo non appena vengono avvistati i velivoli nemici. Ad attaccare le navi di questo gruppo sono in tutto undici Blenheim, sei del 113th Squadron (guidati dal capitano Rixson) e cinque dell’84th Squadron (guidati dal maggiore Jones); nonostante le rivendicazioni dei piloti britannici, che ritengono di aver messo varie bombe a segno, nessuna nave viene colpita, anche se diverse bombe di grosso calibro cadono a soli trenta metri dallo Zara e dai cacciatorpediniere della IX Squadriglia.
Nello stesso lasso di tempo anche la Vittorio Veneto e la III Divisione vengono più volte attaccate da aerei, rispettivamente tre e due volte. La III Divisione viene attaccata da nove Blenheim, tre dell’84th Squadron (capitano Don G. Bohem) e sei del 211st Squadron (capitano Jones), ma anche in questo caso le bombe cadono soltanto vicine ai bersagli – Trento e Bolzano – senza causare danni, nonostante, di nuovo, rivendicazioni di senso contrario da parte degli attaccanti.
Alcune ore prima, alle nove del mattino, un ricognitore ha comunicato alla Vittorio Veneto la presenza di una portaerei, due corazzate e naviglio minore in una posizione vicina a quella delle navi italiane: Iachino e Supermarina hanno però pensato che il ricognitore abbia semplicemente avvistato la squadra italiana, scambiandola per nemica. Invece è davvero il nemico: la Mediterranean Fleet di Cunningham.
Nemmeno una nuova segnalazione delle 14.25, inviata da Rodi, che dice che «Alle ore 12.15 aereo n. 1 ricerca strategica Egeo avvistati una nave da battaglia, una portaerei, sei incrociatori e cinque cacciatorpediniere nel quadratino 5647», cioè 79 miglia ad est della Vittorio Veneto, viene presa in considerazione: Supermarina e Iachino la ritengono sbagliata, dato anche che un precedente rilevamento radiogoniometrico ha individuato la squadra britannica come a 170 miglia da quella italiana. Invece è una segnalazione esatta: l’aereo che l’ha lanciata non è un ricognitore, come erroneamente il messaggio di Rodi dà ad intendere, bensì il capo sezione di una sezione di due aerosiluranti Savoia Marchetti S.M. 79 “Sparviero” della 281a Squadriglia della Regia Aeronautica, decollati da Rodi, che intorno alle 12.45 (o 12.54) hanno anche attaccato la portaerei – la Formidable, rimasta leggermente arretrata rispetto al resto della formazione – con i loro siluri, al punto di indurre Cunningham ad ordinare a tre dei cacciatorpediniere che lo scortano di correre a proteggerla. I due “Sparvieri” hanno attaccato individualmente; uno di essi ha lanciato da distanza ravvicinata, l’altro da 1370 metri, ma entrambi senza successo a causa delle brusche manovre evasive intraprese dalla portaerei, anche se i due aerosiluranti sono riusciti a sganciarsi (uno di essi è stato colpito dal tiro contraereo della Formidable, ma riuscirà egualmente a rientrare alla base di Gadurra) grazie al fatto che in quel momento non si trova in volo nessun aereo della Formidable. (Per altra fonte, invece, l’avvistamento di cui Rodi dà notizia non sarebbe stato effettuato dagli aerosiluranti che hanno attaccato alla Formidable, bensì da uno dei ricognitori IMAM Ro. 43 catapultati dagli incrociatori italiani, che ha avvistato la formazione britannica alle 12.25 ed ha poi dovuto raggiungere Rodi – non potendo essere recuperato dall’incrociatore che l’ha lanciato – da dove poi il segnale di scoperta è stato trasmesso a Iachino). Il forte ritardo (più di due ore) con cui questa notizia raggiunge Iachino, ed il fatto che dopo di essa Rodi non comunica più nessun’altra informazione, inducono l’ammiraglio a ritenere, sbagliando, che tale avvistamento sia inattendibile; invece è una delle poche notizie giuste nella marea di informazioni errate che affluiscono sulla Vittorio Veneto nel corso della giornata. Alle 15.04 Supermarina comunica a Iachino che «Dalle intercettazioni radiogoniometriche nave nemica ore 13.15 a miglia 110 per 60° da Tobruk trasmette ordini a Creta e ad Alessandria»; alle 11.15 i crittografi imbarcati sulla Vittorio Veneto hanno decrittato un messaggio di Pridham-Wippel che dice a Cunningham «Dirigo per incontrarvi». Ma la granitica certezza di Iachino, che Cunningham e corazzate siano ad Alessandria, non è scossa.
Questa valutazione di Iachino – che non ci siano, in mare, corazzate nemiche – avrà poi un ruolo determinante nella catastrofica decisione, presa alcune ore più tardi, di inviare l’intera I Divisione in soccorso del Pola danneggiato da aerosiluranti.
La I Divisione inverte la rotta per ricongiungersi col gruppo Vittorio Veneto.
Alle 15.19 si verifica un nuovo attacco di aerosiluranti: si tratta di due Fairey Swordfish e tre Fairey Albacore dell’829th Squadron della Fleet Air Arm (guidati dal capitano di corvetta John Dalyell-Stead), decollati dalla Formidable e scortati da due caccia Fairey Fulmar (guidati dal tenente Bruen), decollati dalla Formidable alle 12.22. Questo attacco viene inoltre appoggiato da bombardieri Bristol Blenheim del 211st Squadron RAF (caposquadriglia il capitano Jones) decollati dalle basi aeree britanniche di Creta.
Gli aerei, dieci in tutto, appaiono da est, a poppavia della formazione, e si dividono quasi subito in due gruppi, mentre tutte le navi aprono il fuoco con le armi contraeree. I tre Albacore, al loro primo impiego in battaglia, si aprono a ventaglio e puntano sulla Vittorio Veneto, mentre i Fulmar attaccano le unità della XIII Squadriglia, mitragliandone la coperta per disturbarne la reazione contraerea; i Blenheim, restando ad alta quota, sganciano le loro bombe sulle navi che evoluiscono freneticamente ad alta velocità.
L’intenso tiro contraereo dei cacciatorpediniere della XIII Squadriglia costringe due degli Albacore a lanciare da distanza troppo elevata (anche i due Swordfish, che hanno attaccato da dritta, lanciano a vuoto) e colpisco il terzo, quello centrale (il caposquadriglia, pilotato dal capitano di corvetta Dalyell-Stead), che però, prima di precipitare in mare con la morte dei tre uomini dell’equipaggio, riesce a ridurre le distanze con la Vittorio Veneto a meno di 1000 metri ed a lanciare un siluro, che colpisce la nave da battaglia a poppa, in posizione 35°00’ N e 22°01’ E. Alle 15.30 la Vittorio Veneto, che ha imbarcato 4000 tonnellate d’acqua, si immobilizza. Sebbene visibilmente appoppata, però, la corazzata riprende quasi subito (dopo sei minuti) a navigare a buona andatura. Solo alle 17.13, tuttavia, riuscirà a sviluppare una velocità di 19 nodi.
La flotta italiana dirige su Taranto, ed alle 16.38 l’ammiraglio Iachino, in previsione di altri attacchi aerei in arrivo al tramonto, ordina che le altre unità si dispongano intorno alla danneggiata Vittorio Veneto per proteggerla da altri attacchi. Proprio a quest’ora la I Divisione riceve l’ordine di riunirsi al resto della formazione e portarsi presso la Vittorio Veneto, mentre l’VIII Divisione riceve libertà di manovra per rientrare subito alla base; alle 18.18 la I Divisione riceve dalla nave ammiraglia l’ultimo messaggio contenente le istruzioni sulla formazione da assumere, ed alle 18.40 il gruppo «Zara» raggiunge il posto assegnato, completando così lo schieramento. Alle 18.10 la Vittorio Veneto comunica a tutte le unità che appena calato il buio ci sarà un altro attacco aereo, e prescriveva una nuova formazione nonché il da farsi al momento dell’attacco. Le navi dovranno disporsi in cinque colonne, con la Vittorio Veneto al centro, fiancheggiata ai lati dalla I e III Divisione, mentre la IX e XII Squadriglia Cacciatorpediniere si disporranno lungo i lati esterni; quando gli aerei attaccheranno, i cacciatorpediniere dovranno emettere cortine nebbiogene e tutte le navi, oltre ad aprire il fuoco con le armi contraeree, dovranno accendere i proiettori per accecare i piloti britannici.
L’ordine dell’ammiraglio Iachino è stato originato dall’intercettazione, da parte del reparto di crittografi imbarcati sulla Vittorio Veneto, di un messaggio britannico che ordina attacchi di aerosiluranti da Maleme (Creta) per il tramonto. Da quella base hanno infatti preso il volo, alle 16.55, due Fairey Swordfish, pilotati dai tenenti di vascello Michael Torrens-Spence (aereo L9774) e Lancelot Kiggell. Recano gli ultimi due siluri disponibili a Maleme, là inviati quello stesso pomeriggio da Eleusis. L’ammiraglio Cunningham, una volta appreso che la Vittorio Veneto è stata danneggiata, ha deciso di lanciare un ulteriore attacco aereo al tramonto, col proposito di finire la corazzata: oltre ai due Swordfish di Maleme, alle 17.30 decollano pertanto dalla Formidable tutti gli aerosiluranti ancora disponibili, cioè sei Albacore dell’826th Squadron e due Swordfish dell’829th Squadron, guidati dal capitano di corvetta Saunt. Poco prima che gli aerei decollino, i caccia Fulmar della Formidable hanno un inconclusivo scontro con un aerosilurante italiano, un Savoia Marchetti S.M. 79 “Sparviero” del 34° Gruppo da Bombardamento Terrestre, che ha infruttuosamente attaccato un incrociatore.
La nuova formazione italiana è articolata su cinque colonne di unità disposte in linea di fila: da destra a sinistra, la IX Squadriglia Cacciatorpediniere (Alfieri in testa, Gioberti in seconda posizione, Carducci terzo ed Oriani in coda), la I Divisione (nell’ordine ZaraPolaFiume), la Vittorio Veneto preceduta da Granatiere e Fuciliere e seguita da Bersagliere ed Alpino, la III Divisione (nell’ordine TriesteTrentoBolzano) e la XII Squadriglia Cacciatorpediniere (nell’ordine CorazziereCarabiniereAscari). La squadra italiana fa quadrato attorno alla sua azzoppata ammiraglia, per proteggerla da ulteriori danni.
Iachino richiede la copertura aerea, e gli viene assicurato che è in arrivo: alle 14.30 sono già decollati quattro caccia pesanti Messerschmitt Bf 110 del X Corpo Aereo Tedesco per abbattere il ricognitore Sunderland che controlla la forza italiana, e verso le 16 sono stati fatti decollare altri sei Bf 110 per dare scorta aerea alle unità italiane. Secondo la Luftwaffe, gli aerei raggiungono la squadra di Iachino e la scortano per 50 minuti, senza avvistare aerei nemici; l’ammiraglio italiano, al contrario, sostiene di non aver visto un solo aereo per tutta la durata della navigazione.
Tra le 16 e le 16.15 giunge a Iachino ancora un messaggio che dovrebbe metterlo all’erta: uno Ju 88 tedesco comunica di aver avvistato, alle 15, una formazione britannica comprensiva di una corazzata su rotta 285°.
Alle 18.23 (nel frattempo la velocità della Vittorio Veneto è scesa a 15 nodi) vengono avvistati all’orizzonte nove aerosiluranti britannici, che si tengono a distanza ad est delle navi italiane, fuori tiro e bassi sul mare (tranne uno che, restando in quota dalla parte del sole, comunica agli altri la posizione e gli elementi del moto delle unità italiane).
Per coincidenza, gli aerosiluranti di Maleme, guidati dal tenente di vascello Torrens-Spence, e quelli della Formidable, guidati dal capitano di corvetta Saund, giungono sul posto quasi contemporaneamente. Torrens-Spence sta posizionandosi per attaccare quando vede arrivare gli aerei di Saunt, che volano in linea di fila a soli 30 metri di quota, e decide di accodarsi ad essi; inizialmente tale manovra desta qualche equivoco, perché i velivoli di Saunt scambiano inizialmente quelli di Torrens-Spence per caccia italiani CR. 42, e manovrano per evitarli.
Alle 18.51 tramonta il sole. Alle 18.58 Iachino ordina a tutte le navi di tenersi pronte ad accendere i proiettori e stendere cortine nebbiogene, alle 19.15 la formazione italiana accosta per conversione ed assunse rotta 270° (in modo che le navi siano meno illuminate possibile dal sole che sta tramontando) e nove minuti più tardi i cacciatorpediniere in coda iniziano a stendere cortine nebbiogene. Alle 19.25 Saund giudica che le condizioni di luce siano divenute adatte per un attacco, dunque alle 19.28 gli aerosiluranti si avvicinano – le navi più esterne accendono perciò i proiettori su ordine di Iachino – ed alle 19.30, su ordine dell’ammiraglio Iachino, viene eseguita una nuova accostata per conversione, assumendo rotta 300°. (Stephen Roskill, per undici anni storico ufficiale della Royal Navy, evidenzierà in seguito la perizia marinara mostrata dalle navi italiane, nel manovrare senza incidenti in formazione tanto ristretta, al buio, ad alta velocità, tra cortine fumogene e sotto attacco aereo. Ma questo non cambiò, purtroppo, l’esito dell’attacco). Viene data attuazione alle disposizioni precedentemente ordinate: alle 19.36 i cacciatorpediniere emettono cortine fumogene ed aprono il fuoco, mentre gli aerei passano all’attacco. Molti degli attaccanti, non riuscendo ad oltrepassare la barriera costituita dal tiro dei cacciatorpediniere, dai fasci dei proiettori e dalle cortine nebbiogene, sganciano in maniera imprecisa.
Gli aerei britannici attaccano provenendo da poppa, dividendosi una volta giunti a 2700 metri dal loro obiettivo ed attaccando individualmente. Il fumo ed i proiettori disorientano molti dei piloti, parecchi dei quali non riescono a distinguere i bersagli e finiscono con l’attaccare gli incrociatori anziché il loro obiettivo primario, la Vittorio Veneto. I due aerosiluranti di Maleme seguono quelli di Saund nell’attacco contro le navi di Iachino; Torrens-Spence, una volta entrato nella cortina fumogena, non riesce più a vedere niente, pertanto risale fino a 2700 metri di quota per poter meglio distinguere le navi italiane e la loro formazione. Alle 19.45 l’Albacore pilotato dal sottotenente di vascello G. P. C. Williams lancia il suo siluro contro il Pola, e poco dopo fa lo stesso anche lo Swordfish di Torrens-Spence, che è riuscito a scovare proprio in quel punto un “buco” nella cortina nebbiogena stesa dalle navi italiane. Nessuno degli aerei attaccanti viene abbattuto; quello di Torrens-Spence subisce lievi danni alla coda ma riesce a rientrare alla base, mentre quello di Williams dovrà ammarare durante il rientro a causa dell’esaurimento del carburante.
Concluso l’attacco, le navi riprendono la normale navigazione sulla rotta di rientro. Alle 19.50, calato il buio, si spengono i proiettori e viene cessato il fuoco contraereo, ed alle 20.11 cessa anche l’emissione di cortine fumogene. Alle 20.05 l’ammiraglio Iachino ordina alla I Divisione di posizionarsi 5000 metri a prua della Vittorio Veneto, in linea di fila (poco prima, alle 19.55, ha ordinato a tutte le navi di assumere rotta 300° e velocità 19 nodi, confermando un ordine dato alle 19.44, subito dopo la fine dell’attacco aereo); proprio in quel momento, però (anche se il messaggio giungerà nelle mani dell’ammiraglio Iachino solo alle 20.16), lo Zara comunica alla Vittorio Veneto che il Pola è stato silurato, ed ora è fermo.
Il siluro sganciato da Torrens-Spence alla fine dell’attacco, alle 19.50, ha infatti colpito l’incrociatore pesante in corrispondenza della sala macchine, immobilizzandolo.
Alle 20.16 l’ammiraglio Cattaneo comunica che salvo contrordini distaccherà due cacciatorpediniere (della IX Squadriglia) per scortare il danneggiato Pola. È probabilmente la decisione più sensata: inviare al soccorso del Pola l’intera I Divisione sarebbe di scarsa utilità e sproporzionato ai rischi, dato che è in mare, a sole 55 miglia di distanza (Iachino pensa 75, a causa di errori nelle rilevazioni radiogoniometriche usate per localizzare le navi nemiche), una formazione britannica di dimensioni sconosciute, chiaramente all’inseguimento delle navi italiane. Si tratta del gruppo che comprende BarhamValiantWarspite e Formidable, ma Iachino pensa che l’entità della formazione britannica sia molto minore, e che nessuna corazzata ne faccia parte.
In realtà, Iachino avrebbe più di un motivo per dubitare di una valutazione del genere: oltre a quanto detto più sopra, alle 20.05 Supermarina gli ha riferito che alle 17.45 una nave nemica «sede di Comando Complesso», pertanto di sicuro non una nave minore, ha comunicato con Alessandria da un punto a 40 miglia per 240° da Capo Krio, cioè da un punto a 75 miglia per 110° dalla Vittorio Veneto (in realtà è ancora più vicino, a 55 miglia per 110°, in quanto un errore radiogoniometrico stima la posizione di Cunningham 20 miglia più ad est di quella effettiva).
Se Iachino avesse dato credito a questo messaggio, si sarebbe accorto che la formazione britannica, seguendo ad una velocità stimabile attorno ai 20-22 nodi (per via delle proprie lente corazzate) la squadra italiana che avanza a 15-19 nodi (quanto riesce a fare, a tratti, la Vittorio Veneto), avrebbe potuto ridurre la distanza con le sue navi, tra le 17.45 e le 19.50, da 75 a 67 miglia circa; cioè sarebbe stata a sole 67 miglia del Pola quando questo è stato immobilizzato, e, procedendo a velocità media di 21 nodi, avrebbe coperto tale distanza in poco più di tre ore, raggiungendo il Pola attorno alle 23.
Per giunta, alle 20.15 i crittografi imbarcati per l’occasione sulla Vittorio Veneto intercettano un messaggio trasmesso da un ammiraglio britannico, cui rispondono ben tre unità sedi di Comando Complesso («Velocità 15 nodi – 2013»); ma visto che alle 19.50 lo stesso ammiraglio ha ordinato «Velocità 20 nodi – 1945», Iachino pensa che le unità britanniche inseguitrici abbiano rallentato, forse anche abbandonato l’inseguimento. Più tardi, durante il botta e risposta tra Cattaneo e Iachino gli stessi crittografi intercettano pure "un lungo segnale di formazione – Forse le disposizioni per la notte", trasmesso alle 20.37 dalla Warspite (nominativo 1JP) alle unità  D2M e DV5, ritenute sedi di probabili comandi complessi: sono probabilmente la Forza B di Pridham-Wippell e la 14th Destroyer Flotilla del capitano di vascello Philip Mack, inviate alla ricerca notturna delle navi italiane.
Già dal pomeriggio del 28 marzo il capitano di fregata Eliseo Porta, capo dei crittografi imbarcati sulla Vittorio Veneto, ha detto a Iachino che interpretando le intercettazioni delle comunicazioni nemiche – cioè proprio lo scopo al quale è stato imbarcato – ha ricavato l’impressione che il grosso nemico si trovi in mare. Iachino l’ha ascoltato, poi l’ha congedato senza dire niente: il parere di Porta probabilmente contrasta con il quadro della situazione che Iachino si è fatto, dunque l’ammiraglio ha probabilmente concluso che ad essere in errore sia Porta. Ma non è così.
Un paio di cacciatorpediniere probabilmente basterebbero, l’uno per prendere il Pola a rimorchio e l’altro per scortarlo, e, nel caso siano raggiunti dalle navi britanniche, per evacuarlo ed affondarlo con i siluri; al più si potrebbe inviare al suo soccorso tutta la IX Squadriglia. Iachino, però, è di diversa opinione: affermerà in seguito che due cacciatorpediniere avrebbero potuto solo affondare il Pola, non sarebbero riusciti a rimorchiare una nave così grande e appesantita dall’acqua imbarcata (valutazione del tutto errata, dato ad esempio che nell’agosto 1942 due cacciatorpediniere saranno più che sufficienti a rimorchiare in salvo l’incrociatore pesante Bolzano, silurato e ridotto in condizioni peggiori del Pola a Matapan), non sarebbero nemmeno bastati a salvarne l’equipaggio e non avrebbero avuto l’autorità necessaria a decidere se affondare o meno l’incrociatore. Alle 20.18 ordina pertanto che tutta la I Divisione (ZaraFiume e IX Squadriglia) si rechi a soccorrere la nave danneggiata, reiterando l’ordine alle 20.38 («ZARA FIUME et 9a squadriglia vada soccorrere POLA»), dal momento che Cattaneo, essendosi reso conto – dalle segnalazioni dei ricognitori tedeschi e dalle intercettazioni delle comunicazioni radio britanniche – che una squadra britannica sta seguendo quella italiana, tarda ad eseguire l’ordine. Alle 20.24 Cattaneo, che sulle prime è stato riluttante a tornare indietro con tutte le sue navi, chiede se possa invertire la rotta per assistere il Pola, ed alle 21 Iachino risponde affermativamente. Già prima di questa conferma finale, probabilmente in seguito alla ricezione dell’ordine delle 20.38, la I Divisione accosta ad un tempo di 180° sulla dritta ed invertì la rotta alle 21.06, dirigendosi verso il Pola. Le navi procedono in linea di fila: lo Zara, nave ammiraglia, in testa, seguito dal Fiume, poi l’Alfieri come caposquadriglia della IX Squadriglia, quindi il Gioberti, seguito dal Carducci, e per ultimo l’Oriani (sezionario del Carducci) in coda.
Mentre la I Divisione mette nuovamente la prua a sudest, il resto della squadra italiana, continuando la navigazione verso Taranto, sparisce nel buio della notte.
La formazione assunta da Cattaneo, con la IX Squadriglia a poppavia degli incrociatori, invece che a proravia degli stessi, sarà destinata a destare molte perplessità e polemiche, dal momento che, se i cacciatorpediniere fossero stati posizionati in posizione di scorta avanzata notturna (4 km a proravia degli incrociatori, con un intervallo di 2 km tra ogni cacciatorpediniere), gli eventi successivi avrebbero potuto prendere una piega differente. Da molte parti, ancor oggi, si sostiene che ponendo la IX Squadriglia a poppavia degli incrociatori Cattaneo abbia contravvenuto alle regole vigenti sulla navigazione notturna in tempo di guerra, che prevedevano invece che i cacciatorpediniere venissero posizionati a proravia delle navi maggiori, formando uno schermo difensivo. In realtà, tuttavia, le norme di Squadra (come evidenziato dallo storico Francesco Mattesini, autore di una monumentale opera su Capo Matapan), prevedevano un’eccezione alla summenzionata regola: quella di condizioni pessime di visibilità notturna. In tal caso, le norme stabilivano che i cacciatorpediniere dovessero navigare – in singola o doppia linea di fila – a poppavia delle navi maggiori, anziché a proravia, perché in caso di incontro improvviso con unità nemiche avrebbero dovuto essere le navi maggiori ad aprire il fuoco per prime (un controsenso, in effetti, se si pensa che gli equipaggi di tali navi, a differenza di quelli dei cacciatorpediniere, non erano addestrati al combattimento notturno, e gli incrociatori di notte viaggiavano con i cannoni per chiglia, del tutto impreparati ad un’azione di fuoco): l’articolo 68 della direttiva SM-11-S del gennaio 1936 disponeva che “All’approssimarsi della notte le Unità del naviglio sottile che il C.C. [Comandante in Capo] intende far navigare in unione con le unità maggiori, vengono inviate di poppa alla formazione di queste, in unica e doppia linea di fila”. Tanto che Supermarina, nelle relazioni sul disastro, non diede alcuna importanza al fatto che la IX Squadriglia si fosse trovata dietro e non davanti agli incrociatori (il primo a sollevare tale questione fu invece, nel dopoguerra, l’ammiraglio Iachino, che cercava di alleggerire la propria responsabilità dell’accaduto imputandolo anche ad errori commessi da Cattaneo). E “pessime condizioni di visibilità notturna” definiva esattamente la fatidica notte del 28 marzo, una notte senza luna, estremamente buia, con alcune nuvole che riducevano molto la visibilità, specie verso est. Dunque Cattaneo non contravvenne alle regole, ma vi si attenne alla lettera, anche in considerazione del fatto che la carente visibilità avrebbe potuto causare errori di riconoscimento con i cacciatorpediniere (timore tutt’altro che infondato, se si considera che durante la manovra d’inversione della rotta il personale del complesso poppiero da 120 mm del Carducci scambiò l’Oriani per un’“ombra sospetta”, puntandovi contro i cannoni), qualora fossero stati posti a proravia, e specialmente sarebbe stato d’intralcio al tiro degli incrociatori in caso d’incontro con le unità britanniche. Peraltro, Cattaneo stesso (come Iachino) si aspettava di incontrare le unità britanniche – che anche lui pensava essere solo incrociatori e cacciatorpediniere, non corazzate – molto più tardi, quando il Pola sarebbe già stato preso a rimorchio, ed i cacciatorpediniere sarebbero stati disposti tutt’attorno agli incrociatori per proteggerli su tutti i lati. Comunque sia, anche la Commissione d’Inchiesta Speciale istituita nel 1947 sulla perdita dello Zara avrebbe espresso il giudizio che sarebbe stato opportuno che Cattaneo avesse ordinato di far precedere la I Divisione dai cacciatorpediniere, anche se avrebbe puntualizzato che bisognava considerare che ciò avrebbe potuto generare alcuni problemi: vi sarebbe stata possibilità di equivoci con il Pola, con la necessità di utilizzare i segnali di riconoscimento (cosa da evitare, data la possibilità della presenza di forze nemiche nelle vicinanze); inoltre occorreva evitare di perdere altro tempo, proprio per riuscire a raggiungere e rimorchiare in salvo il Pola prima del possibile intervento nemico. La CIS avrebbe inoltre rilevato che Iachino, pur essendo stato informato della formazione adottata da Cattaneo, non aveva ritenuto di dover intervenire ordinando al suo sottoposto di disporre le sue unità in modo più appropriato.
Al momento dell’inversione di rotta, la distanza tra il Pola fermo ed il resto della squadra, che ha proseguito, è divenuta di 24 miglia. La I Divisione assume rotta 135°, ed alle 21.07 Cattaneo ordina di portare la velocità a 16 nodi, che aumenta a 22 nodi alle 21.25 per poi ridurla nuovamente a 16 alle 22.03. Questa velocità, non particolarmente elevata, è dovuta al fatto che i cacciatorpediniere della IX Squadriglia sono ormai a corto di carburante (fatto che viene segnalato allo Zara, che a sua volta comunica a Iachino alle 21.50, nel suo ultimo messaggio, cui Iachino non risponderà: "L’autonomia rimasta alla Squadriglia Alfieri è molto limitata e non permette un ingaggio d’emergenza, che pensiamo essere quasi certo"), rimasto in quantità appena sufficiente a tornare alla base: alle 21 Oriani, Alfieri e Gioberti hanno 145 tonnellate di carburante nei serbatoi, il Carducci solo 125. La ridotta riserva di combustibile rimasta ai cacciatorpediniere è anche uno dei motivi per i quali Cattaneo, essendosi trovato con la IX Squadriglia a poppavia dei suoi incrociatori a seguito dell’inversione di rotta, non ordina loro di portarsi a proravia di questi ultimi, dato che per portarsi nuovamente in testa allo schieramento i cacciatorpediniere di Toscano avrebbero dovuto incrementare considerevolmente la velocità, consumando così più carburante. Secondo il tenente di vascello Vincenzo Raffaelli, aiutante di bandiera dell’ammiraglio Cattaneo, dopo l’inversione di rotta i cacciatorpediniere rimasero indietro rispetto agli incrociatori, perciò Cattaneo, dopo aver ordinato 22 nodi agli incrociatori, impartì alla IX Squadriglia l’ordine di serrare le distanze alla massima velocità; i cacciatorpediniere svilupparono la massima velocità possibile, ma non ridussero comunque le distanze fino a quando, più tardi, Zara e Fiume ridussero la velocità a 12 nodi.
Alle 21.24 Iachino autorizza Cattaneo ad abbandonare il Pola qualora attaccato da forze nemiche di entità superiore, e dieci minuti più tardi inizia lo scambio di informazioni tra Zara e Pola per preparare le operazioni di rimorchio, una volta le navi di Cattaneo giungeranno sul posto.
All’insaputa di Cattaneo e di Iachino, però, già dalle 20.15 il radar dell’incrociatore britannico Orion, inviato con il resto della Forza B alla ricerca della formazione italiana, ha individuato il relitto galleggiante del Pola. Dopo aver effettuato vari rilevamenti radar senza essere riuscito ad identificare il contatto (il Pola non è infatti stato visivamente avvistato), l’ammiraglio Pridham-Wippell, comandante della Forza B, avendo comunicato al suo comandante in capo (l’ammiraglio Andrew Browne Cunningham, comandante della Mediterranean Fleet ed imbarcato sulla Warspite) la posizione della nave sconosciuta affinché decida sul da farsi, ha deciso di proseguire senza curarsene ulteriormente.
Alle 21.55 (od alle 21.15, o poco dopo le 22) un altro degli incrociatori di Pridham-Wippell, l’Ajax, rileva un nuovo contatto radar: stavolta sono tre navi, che si trovano cinque miglia a sud della Forza B (che era in quel momento nel punto 35°19’ N e 21°15’ E), su rilevamento compreso tra 190° e 252°. Sono probabilmente l’Oriani, il Gioberti ed il Carducci, che assieme al resto della I Divisione stanno procedendo su rotta opposta a quella della Forza B, rispetto alla quale si trovano effettivamente poco più di cinque miglia a sud: Pridham-Wippell, però, pensa trattarsi di tre degli otto cacciatorpediniere della 14th Destroyer Flotilla del capitano di vascello Philip Mack, inviati anch’essi alla ricerca delle navi italiane (Cunningham ha ordinato a Mack di seguire una rotta molto più a sud di quella di Pridham-Wippell, per formare una sorta di “tenaglia” avente a sud la forza di Mack, a nord quella di Pridham-Wippell ed al centro le sue corazzate): lo stesso pensa il comandante Mack, che ha ricevuto la comunicazione radio dell’avvistamento, e risponde all’Ajax che le navi da loro avvistate devono essere le sue. La Forza B, pertanto, alle 22.02 accosta verso nord per allontanarsi, onde evitare incidenti con le navi di Mack. Le navi di Cattaneo superano quindi indenni ed ignare sia la Forza B (passando a sud di essa) sia le navi di Mack (ad una decina di miglia di distanza), procedendo su rotta opposta.
Ricevuta la segnalazione di Pridham-Wippell sul relitto del Pola (che ancora non si sa essere tale), Cunningham assume con le sue navi (BarhamValiantWarspiteFormidable ed i cacciatorpediniere StuartHavockGriffin e Greyhound) rotta 280° per scoprire la sua identità, e distruggerlo. Alle 22.20 la Valiant, unica corazzata munita di radar, che subito dopo il mutamento di rotta ha iniziato a scandagliare la zona con il suo radar per cercare la nave immobilizzata, localizza il Pola 6 miglia a prua sinistra, e tutte le navi di Cunningham accostano di 40° a sinistra, assumendo rotta 240° ed avvicinandosi in linea di rilevamento all’unità sconosciuta. L’ammiraglio britannico pensa di trovarsi di fronte alla Vittorio Veneto: di conseguenza, ordina ai suoi cacciatorpediniere di scorta (Stuart ed Havock sono a dritta delle corazzate, Greyhound e Griffin a sinistra) di spostarsi tutti a dritta per liberare il campo di tiro verso sinistra, mentre 24 cannoni da 381 mm – l’armamento principale delle tre corazzate – vengono puntati verso il punto in cui il radar della Valiant ha localizzato la nave ignota, pronti ad aprire il fuoco non appena essa verrà avvistata con i binocoli.
Alle 22.23, prima di completare la manovra di spostamento per liberare il campo di tiro delle corazzate, lo Stuart segnala urgentissimamente a Cunningham "Unità sconosciuta per 250° a 4 miglia di distanza", seguito alle 22.25 da un’altra nave che comunica "J – 300 – 6", cioè "rilevo unità di superficie nemica per rombo 300° a distanza 6": sono le navi del gruppo «Zara», che vengono a soccorrere il Pola.
Prima ancora che il messaggio dello Stuart venga ricevuto sulla Warspite, comunque, è il commodoro John Hereward Edelsten, capo di Stato Maggiore di Cunningham, ad avvistare le navi italiane. Mentre tutte le vedette, i puntatori e gli ufficiali britannici cercano nel buio a sinistra, dove il radar della Valiant ha localizzato il relitto del Pola, Edelsten sta tranquillamente controllando l’orizzonte sulla destra, con un binocolo, dalla plancia ammiraglio della Warspite. Alle 22.25 Edelsten dice con calma a Cunningham di aver avvistato due grandi incrociatori, preceduti da uno di dimensioni minori, che stanno attraversando la rotta della formazione britannica a proravia della stessa, ad una distanza di un paio di miglia, sulla dritta. Il comandante della Mediterranean Fleet si accerta egli stesso dell’esattezza dell’avvistamento, ed il capitano di fregata Power, esperto nel riconoscimento delle navi italiane, conferma che si tratta di due incrociatori classe Zara e (erroneamente) uno da 5000-6000 tonnellate, probabilmente tipo Colleoni. Sono le navi di Cattaneo, in navigazione in linea di fila su rotta 130°.
Le navi britanniche sono tutte munite di colorazione mimetica, che ne diminuisce di molto la probabilità di avvistamento, mentre quelle italiane, a parte il Fiume, hanno ancora la loro colorazione grigio chiaro, senza mimetizzazione, che le rende molto più visibili di notte.
Proprio in quei minuti, alle 22.29, le navi di Cattaneo hanno avvistato un razzo Very rosso levarsi nel cielo a poca distanza, a 40° di prora sinistra: l’ha lanciato il Pola, per farsi vedere, temendo che le sagome scure che ha visto transitare nei suoi pressi poco prima siano le navi di Cattaneo, e che non l’abbiano visto (in realtà sono le corazzate di Cunningham). Di conseguenza la I Divisione, ridotta la velocità a 16 nodi, inizia ad accostare a sinistra, verso il punto da cui è partito il razzo. Intanto il Pola ha effettuato segnalazioni anche con la lampada Donath: ma queste ed il razzo sono stati visti non solo dalla I Divisione, ma anche dalle navi da battaglia britanniche.
Cunningham ordina che la formazione accosti ad un tempo di 40° sulla dritta, ricostituendo la linea di fila sul rombo 280°; poi le torri dei cannoni delle tre corazzate – nell’ordine WarspiteValiant e Barham, distanziate di circa 600 metri l’una dall’altra – vengono puntate nella direzione da cui provengono le navi della I Divisione. Alle 22.27 Cunningham ordina alla Formidable di uscire dalla formazione ed allontanarsi verso destra, essendo al momento inutile ed anzi a rischio di essere coinvolta in un combattimento notturno nel quale non potrebbe difendersi adeguatamente se attaccata. Al Griffin, che si trova ancora sulla linea di tiro delle corazzate in procinto d’aprire il fuoco, viene ordinato in malo modo di levarsi di mezzo.
Alle 22.30 la Warspite apre il fuoco per prima, da 3500 metri di distanza. Subito la seguono la Valiant e la Barham: ventiquattro cannoni da 381 mm riversano un diluvio di proiettili sui due incrociatori della I Divisione, mentre i proiettori del cacciatorpediniere Greyhound e delle corazzate illuminano lo Zara, il Fiume e l’Alfieri.
Lo Zara ed il Fiume, colti completamente alla sprovvista, non hanno nemmeno il tempo di abbozzare una reazione: entrambi gli incrociatori vengono ridotti, in capo a tre minuti, a due relitti galleggianti, devastati dall’uragano di fuoco che si è abbattuto su di loro.
Alle 22.35 (o 22.33) la Barham apre il fuoco per ultima, prima contro l’Alfieri e poi contro lo Zara.
Poco dopo, i proiettori delle navi britanniche avvistano tre dei quattro cacciatorpediniere della IX Squadriglia: ai britannici sembra che questi, sbucati da dietro gli incrociatori, si siano inizialmente diretti verso la formazione britannica (avvicinandosi da proravia sinistra rispetto ad essa) e poi, probabilmente dopo aver lanciato i siluri, abbiano accostato a dritta per poi allontanarsi coprendosi la ritirata con cortine fumogene.
Niente di tutto questo è in realtà avvenuto: le quattro unità della IX Squadriglia, benché – a differenza degli incrociatori – abbiano le proprie artiglierie ed i propri tubi lanciasiluri armati e pronti al fuoco (come di norma per la navigazione notturna delle siluranti in tempo di guerra), sono state talmente colte di sorpresa e frastornate da quanto sta accadendo – all’iniziale sorpresa seguono violente e rapide raffiche di proiettili da 152 mm – che non sparano un colpo né tentano il contrattacco silurante. La loro posizione è particolarmente sfavorevole: si sono venuti a trovare un po’ a ridosso degli incrociatori pesanti e sono così centrati dal tiro delle navi britanniche che sparano defilandosi dietro gli incrociatori della I Divisione; i cacciatorpediniere non possono così impiegare le armi, perché rischiano di colpire gli incrociatori di Cattaneo.
Sull’Oriani, come riferirà il 30 marzo il comandante Chinigò nel suo primo rapporto telefonico, «Alle 22.40 circa da 60° di prora a sinistra sino a 10° di prora a dritta si videro accendere contemporaneamente come un semicerchio, sette proiettori e, nello stesso tempo o quasi, nel cielo, sulla dritta della formazione, si accesero molti illuminanti. Tali illuminanti assai più forti dei nostri, diedero in primo tempo la sensazione che provenissero da aerei tanto che fu subito aperto il fuoco con le mitragliere, ma l’accensione dei proiettori e l’arrivo dei primi colpi mostrò subito l’errore dell’apprezzamento. Assieme all’accensione dei proiettori cominciò il tiro battente delle navi nemiche. A giudicare dalla colonna di acqua dovevano sparare cannoni di due calibri: grosso e medio. Il CARDUCCI che precedeva l’ORIANI fu subito inquadrato dal tiro nemico e così pure l’ORIANI». Poco dopo l’inizio del tiro Chinigò osserva uno scoppio seguito da una grande fiammata su una nave che forse era lo Zara; non riesce a capire se gli incrociatori della I Divisione abbiano aperto il fuoco, mentre il Carducci non lo vede sparare ed anzi nota ben presto che sta scadendo di poppa, “facendo fumo nero come se volesse coprirsi”, finché non scompare alla vista. L’Alfieri (che prima dell’apertura del fuoco ha accostato a sinistra, mentre gli altri tre cacciatorpediniere hanno assunto rotta vera 220°) non lo vede per niente.
Investiti dal tiro delle navi britanniche ed abbagliati dai fasci luminosi dei proiettori puntati su di essi, l’Alfieri per primo, e subito dopo gli altri tre (per imitazione della manovra del caposquadriglia), accostano immediatamente a dritta per disimpegnarsi, ed accelerano tentando di sottrarsi al tiro delle unità britanniche coprendosi con cortine nebbiogene, senza capire cosa stia accadendo. Il Carducci viene subito inquadrato subito dal tiro britannico, così come l’Oriani che lo segue. L’Alfieri, unica unità italiana a riuscire a rispondere al fuoco, viene ripetutamente centrato e ridotto a mal partito.
L’accostata del Carducci è tanto ampia (maggiore di 45°) che l’Oriani, che lo segue e che ha iniziato la manovra qualche secondo più tardi, è costretto a passargli di poppa per non speronarlo, passando così sulla sinistra del Carducci, tra quest’ultimo ed il Gioberti. Al termine dell’accostata, compiuta fino al rilevamento 180° per uscire dalla zona illuminata dal tiro illuminante nemico, le tre unità si vengono a trovare in linea di rilevamento e con rotte parallele, nell’ordine Gioberti, Oriani, Carducci.
Il supposto attacco silurante dei cacciatorpediniere italiani induce le corazzate ad aprire il fuoco con i cannoni di medio calibro (152 mm) verso le navi della IX Squadriglia, mentre i cacciatorpediniere britannici – Stuart (australiano), HavockGriffin e Greyhound – si lanciano al contrattacco aprendo il fuoco con i propri cannoni. Nella confusione generale, anzi, l’Havock dimentica di accendere i fanali di riconoscimento in uso nelle azioni notturne e viene perciò scambiato per italiano e fatto segno di due salve da 152 della Warspite, uscendone tuttavia indenne. Alle 22.31 la Valiant sposta la sua attenzione dall’ormai devastato Zara al Carducci, aprendo il fuoco contro di esso con i pezzi secondari da 152 mm e colpendolo ripetutamente. Colpito in sala macchine e gravemente danneggiato, il Carducci, prima di arrestarsi definitivamente, emette una cortina fumogena nel tentativo di occultare le unità superstiti e permettere loro di sottrarsi al massacro.
L’Oriani accosta sulla dritta, verso sud, non appena vengono avvistate le navi avversarie, ma subito dopo riaccosta di altri 30° sulla dritta per guadagnare cammino verso ovest, venendo temporaneamente riparato dalla cortina nebbiogena emessa dal Carducci; intenzione del comandante Chinigò è di portarsi sull’altro lato della formazione britannica per attaccarla col siluro. Dopo pochi minuti, tuttavia (alle 22.40 o 22.42), mentre sta accelerando per uscire il prima possibile dalla zona illuminata dai proiettori e dai bengala, l’Oriani viene colpito da alcune cannonate di medio calibro (sparate dai pezzi secondari della Barham), che lo danneggiano seriamente senza però – a differenza di Alfieri e Carducci – immobilizzarlo: ciò costituisce la sua salvezza, perché pur azzoppato riesce ad allontanarsi dalla zona del massacro.
Secondo quanto riferito da Chinigò nel rapporto telefonico del 30 marzo, l’Oriani sarebbe stato colpito alla linea di galleggiamento da un unico proiettile di medio calibro, probabilmente da 114 mm, che sarebbe entrato nella cassa nafta n. 18, esplodendo all’interno e lanciando schegge nella sala macchine prodiera, tranciando così la tubolatura principale del vapore e quella ausiliaria di dritta, mettendo conseguentemente fuori uso la motrice di sinistra. (Vincent O’Hara afferma che prima di essere colpito l’Oriani avrebbe “brevemente risposto al fuoco”, ma ciò non risulta da nessuna fonte italiana).
Secondo quanto riferito poi da Chinigò in maggior dettaglio alla Commissione d’Inchiesta Speciale, alle 22.35 il Carducci, che si trova a poppavia del traverso dell’Oriani, emette fumo, e Chinigò decide di approfittarne per accostare su rilevamento 210° e portarsi poi verso ovest onde attaccare col siluro aggirando la testa della formazione britannica. In questa fase, alle 22.41, il Carducci viene visto scadere “decisamente di poppa emettendo denso fumo nero”, e Chinigò intuisce che è stato colpito. Poco dopo anche l’Oriani viene scoperto e centrato sul lato di dritta da una salva di medio calibro, di cui un proiettile colpisce la nave rendendo inutilizzabile la motrice prodiera, uccidendo tre uomini e ferendone altri due. L’Oriani sbanda di dieci gradi sulla dritta, ma riesce a rimettere in moto.
Abbandonata giocoforza la manovra di attacco silurante, l’Oriani si disimpegna ed assume nuovamente rotta verso sud (180°), coprendosi con una cortina nebbiogena (l’emissione di nebbia artificiale dal fumaiolo inizia alle 22.41) e rinunciando a fare fuoco con i cannoni poppieri, gli unici che avrebbero potuto sparare. Nel suo rapporto il comandante Chinigò scriverà: «Dopo l’accostata fatta per rilevamento 180° anche ad imitazione delle unità che mi precedevano nella formazione, la mia posizione rispetto alle altre unità della Squadriglia ed al nemico era tale che avrei potuto usare per il tiro soltanto il complesso di poppa in modo grossolano e scarsamente efficiente, non distinguendo le unità nemiche ma avendo come unico punto di riferimento le sole sorgenti luminose dei proiettori contro cui la punteria risultava impossibile. D’altra parte la situazione in cui mi sono trovato, resa ancor più caotica dall’abbagliamento arrecato dai proiettori puntati sulla mia nave, mi ha richiesto qualche tempo, sia pur breve, per orientarmi e per decidere l’azione conveniente da svolgere. E pertanto approfittando che il Carducci era a poppavia del mio traverso a dritta, e mi avrebbe forse mascherato temporaneamente alla vista del nemico ho accostato a dritta di circa 30° per tentare di guadagnare acqua verso ponente, e di passare dall’altro lato della formazione nemica per attaccare col siluro». Nella manovra l’Oriani mette alternativamente la poppa sul nemico e poi riprende la rotta parallela per togliersi dalla rosa delle salve; ogni volta che riassume la rotta parallela mostrando il fianco, viene subito nuovamente inquadrato. Colpi di grosso calibro cadono in mare ad una decina di metri a proravia ed a poppavia della nave; l’Oriani segue rotte alternate tra 150° e 240° fino a portarsi fuori dallo sbarramento luminoso dei bengala e dei fasci dei proiettori.
Dopo appena tre minuti di fuoco, le corazzate di Cunningham spengono i proiettori alle 22.32 ed accostano ad un tempo di 90° sulla dritta per evitare gli ipotetici – ma inesistenti – siluri lanciati dalla IX Squadriglia (in questa fase la Warspite tira alla cieca una salva da 381 contro i cacciatorpediniere italiani, cui è più vicina), dopo di che si allontanano rapidamente dal luogo dello “scontro”, assumendo rotta 010° insieme alla Formidable (alle 23.30 le navi di Cunningham assumono poi rotta 070° e velocità 18 nodi).
Rimangono sul posto i cacciatorpediniere Stuart (caposquadriglia, capitano di vascello Hector Macdonald Laws Waller), Havock (tenente di vascello Geoffrey Robert Gordon Watkins), Griffin (capitano di corvetta John Lee-Barber) e Greyhound (capitano di fregata Walter Roger Marshall-A’Deane), cui Cunningham ordina alle 22.38 di dare il colpo di grazia alle navi semidistrutte, mentre le tre corazzate e la Formidable si riuniscono e riformano la linea di fila, assumendo rotta 10°, per poi allontanarsi verso nordest. I quattro cacciatorpediniere britannici incrocieranno a lungo nelle acque del disastro, attaccando saltuariamente i relitti galleggianti delle navi italiane.
Secondo il comandante del Carducci, dopo che la sua unità ebbe iniziato l’emissione di una cortina fumogena, l’Oriani superò il Carducci a tutta forza, eseguì una veloce conversione e s’infilò nella cortina, sparendo alla vista. L’ammiraglio Iachino, nel suo libro “La sorpresa di Matapan”, avrebbe scritto che il Carducci non riuscì effettivamente a coprire i gemelli con la sua cortina fumogena, perché fu colpito ed immobilizzato mentre iniziava ad accostare per compiere tale manovra; «il Carducci non riuscì infatti mai a mettersi fra il nemico e gli incrociatori della 1a Divisione, e i comandanti dei Ct Oriani e Gioberti, che sfuggirono alla distruzione, hanno escluso di aver potuto sottrarsi al tiro nemico grazie alla cortina del Carducci». Il volume USMM “Le azioni navali dal 10 giugno 1940 al 31 marzo 1941”, che pure riporta il citato passaggio del libro di Iachino, scrive invece che l’Oriani avrebbe trovato riparo, “sia pur per breve tempo” dietro la cortina nebbiogena emessa dal Carducci.
Intanto, i quattro cacciatorpediniere britannici si aggirano tra i relitti delle navi italiane, ansiosi di completare il lavoro iniziato dalle corazzate. Alle 22.40, Griffin e Greyhound si mettono all’inseguimento di Oriani e Gioberti, che hanno visto accostare verso ovest (secondo Vincent O’Hara, verso sudovest); aprono il fuoco e vedono alcuni colpi andare a segno (sull’Oriani), dopo di che le navi italiane, alle 23.20, accostano verso sud e si dileguano nell’oscurità, coprendosi con cortine fumogene. Secondo una versione, Griffin e Greyhound si spingono nella cortina fumogena stesa dal Carducci per inseguire Oriani e Gioberti, ma nella nebbia artificiale non riescono più a trovarli. Secondo Mark Simmonds, autore di “The Battle of Matapan 1941: The Trafalgar of the Mediterranean”, intorno alle 23 l’Oriani ed un altro cacciatorpediniere avrebbero brevemente scambiato colpi con lo Stuart (che li scambiò per incrociatori), e nello scontro l’Oriani sarebbe passato a soli 140 metri dalla nave australiana. Anche Griffin e Greyhound si sarebbero uniti alla mischia, mettendo alcuni colpi a segno su una nave identificata come un incrociatore, per poi inseguire dei cacciatorpediniere per alcune miglia, fino a quando ricevettero ordine di tornare indietro.
Secondo "Destroyers at War: The Fighting Life and Loss of HMS Havock from the Atlantic to the Med, 1939-1942" di David Goodey e Richard Osborne, verso le 23.20 l’Oriani avrebbe sparato contro lo Stuart, illuminato dalle esplosioni sulle navi colpite, mancandolo per via del tiro troppo lungo; lo Stuart avrebbe accostato con tutta la barra a sinistra per evitare una collisione, ed avrebbe reagito con le proprie artiglierie, colpendo l’Oriani con tre salve prima che le due unità si perdessero di vista (lo Stuart stava inseguendo il Carducci).
Sull’Oriani vengono viste vampe di cannone fino a mezzanotte, poi più nulla.

(g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net)

29 marzo 1941
Alle 00.10, ormai fuori dalla zona del combattimento, l’Oriani ferma la motrice rimasta funzionante e rimane fermo per mezz’ora (per altra fonte, sarebbe stato fermo dalle 00.10 alle 2.30), mentre l’equipaggio provvede alle prime provvisorie riparazioni dei danni subiti ed in particolare mette in ordine le valvole per le prese e la condotta di vapore alla motrice rimasta intatta. Poi viene rimesso in moto.
Perso il contatto sia con le altre unità della I Divisione (affonderanno tutte, tranne il Gioberti, che viene perso di vista alle 23.30) sia con il nemico, il malconcio Oriani, con morti e feriti a bordo, si allontana da solo, nel buio della notte, in direzione della Sicilia.
Alle quattro del mattino l’Oriani comunica di trovarsi a 110 miglia per 280° da Capo Matapan, di stare procedendo a 18 nodi su rotta 295° (verso Augusta) e di avere una motrice inutilizzata per un colpo ricevuto.
Il messaggio, intercettato e ritrasmesso dal Centro radiotelegrafico di Taranto, viene ricevuto dall’ammiraglio Iachino soltanto alle sette del mattino; alle 9.13 l’Oriani comunica di essere stato obbligato a ridurre la velocità a 15 nodi e di necessitare di rimorchio, avendo esaurito l’acqua per le caldaie (secondo quanto comunicato il 30 marzo dal Comando Squadra a Supermarina, sulla scorta di quanto riferito telefonicamente dal comandante Chinigò, la nave sarebbe rimasta immobilizzata per esaurimento dell’acqua alle 14.30). Nello stesso messaggio, il cacciatorpediniere riferisce la sua posizione alle sette del mattino.
Alle 9.40 l’ammiraglio Iachino distacca i cacciatorpediniere Maestrale e Libeccio, aggregatisi all’alba alla scorta della Vittorio Veneto (insieme al resto della X Squadriglia), con l’ordine di recarsi ad alta velocità in soccorso all’Oriani, richiedendo a Supermarina di far fornire la scorta aerea a tali cacciatorpediniere. Successivamente giungono sul posto anche le torpediniere Giuseppe Dezza e Simone Schiaffino ed il minuscolo incrociatore ausiliario Lago Zuai, che raggiungono l’immobilizzato Oriani in serata.
30 marzo 1941
Riparate alla meglio le avarie più gravi, rimorchiato ed assistito da Maestrale, Libeccio, Dezza, Schiaffino e Lago Zuai (cui secondo una fonte si sarebbe unito il 30 marzo anche il Gioberti, uscito proprio da Augusta in cerca dell’Oriani dopo essere giunto in tale porto alle 10.30 del 29 ed esservisi rifornito di carburante), l’Oriani riesce a raggiungere Augusta a rimorchio alle cinque del mattino.
Tre uomini del suo equipaggio hanno perso la vita nella battaglia: i marinai fuochisti Elidio Baroli, da Legnano, e Luigi Recchioni, da Porto San Giorgio, entrambi ventunenni; ed il secondo capo cannoniere Antonio Testi, di 30 anni, da Porto Azzurro. Alla memoria di Baroli e Recchioni sarà conferita la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con motivazione “Imbarcato su cacciatorpediniere, impegnato in combattimento navale notturno contro preponderanti forze avversarie, assolveva ai suoi compiti con serenità e coraggio, sotto l’intenso fuoco avversario. Lasciava la vita nell’adempimento del dovere”.
La stessa decorazione, ma a vivente, sarà conferita anche al capo meccanico di seconda classe Domenico Taddei, rimasto gravemente ferito: “Imbarcato su cacciatorpediniere, impegnato in combattimento navale notturno, benché ferito in seguito ad offesa nemica che colpiva la nave, restava al suo posto di guardia a una motrice, sopportando il dolore con serenità e coraggio”.
1° aprile 1941
Lasciata Augusta, l’Oriani raggiunge Taranto in mattinata.
(Oggetto di lunghissima disputa furono la manovra intrapresa dal Carducci per coprire la ritirata di Oriani e Gioberti, ed i suoi effettivi risultati. Nel rapporto steso subito dopo il suo salvataggio e l’arrivo a Messina, nella notte tra il 7 e l’8 marzo, il comandante del Carducci, capitano di fregata Alberto Ginocchio, aveva scritto di aver deciso di nascondere con cortine nebbiogene gli altri cacciatorpediniere ed eventualmente qualche incrociatore fosse riuscito a lasciarsi scadere (nel rapporto scritto subito dopo il salvataggio aveva così descritto la sua decisione: «Non potendo impiegare le armi, ritengo che l’unica utilizzazione della mia unità sia quella di occultare con emissione di nebbia i cacciatorpediniere e possibilmente qualche incrociatore che avesse avuto il tempo di lasciarsi scadere. Pertanto, (…) eseguo con tutta la barra una accostata a dritta per obbligare l’Oriani ad accostare a un tempo e ritorno a sinistra, metto a massima forza e ordino emissione di nebbia in modo da distendere una cortina tra l’Oriani, il Gioberti e il nemico. Nel corso di questa manovra una prima coppiola colpisce il Carducci sotto la plancia (…) »); aveva pertanto compiuto un’accostata con tutta la barra a dritta per costringere l’Oriani ad accostare a un tempo, poi – dopo essere stato colpito ed incendiato – aveva nuovamente accostato, stavolta a sinistra, aveva portato la velocità al massimo ed ordinato di emettere una cortina di nebbia artificiale tra Oriani e Gioberti e le unità britanniche. Nel corso di tale manovra, il Carducci era stato colpito ripetutamente, ma era rimasto governabile ed aveva proseguito nella manovra; poco dopo, però, era stato colpito in sala macchine da un’altra salva, che aveva posto fuori uso l’apparato motore.
In un primo incontro con l’ammiraglio Iachino, nel giugno 1941, Ginocchio si sentì dire da questi che egli riteneva che la manovra del Carducci fosse stata intenzionale, ma che non fosse stata effettivamente eseguita, perché prima di poterla mettere in atto la nave era stata immobilizzata dal tiro britannico. Il comandante del Carducci ne rimase esterrefatto e spiegò a Iachino, con l’aiuto della carta nautica, le due accostate (la prima a dritta, la seconda a sinistra) eseguite per emettere la cortina fumogena al fine di coprire Oriani e Gioberti, ma Iachino, pur rimanendo cordiale, rimase del suo parere: Ginocchio aveva progettato tale manovra, ma questa non era poi stata portata a termine a causa dell’immediata immobilizzazione del Carducci, causata dalla prima salva nemica, che aveva impedito di eseguire la seconda accostata e di emettere la cortina fumogena. Dopo questo primo infruttuoso incontro, Ginocchio scrisse a Iachino una lettera con cui chiedeva di rettificare la sua “Ricostruzione degli avvenimenti”, sostenendo che il Carducci avesse eseguito la sua manovra e che questa avesse permesso ad Oriani e Gioberti di salvarsi. Inviò copia della missiva anche al Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Arturo Riccardi, ma non arrivò nessuna risposta.

La manovra del Carducci secondo il suo comandante (sopra) e secondo la CIS (sotto) (da “Morte per acqua a Capo Matapan” di Giuliano Capriotti)

Iachino, nello stendere la sua relazione, aveva utilizzato anche il rapporto scritto il 12 maggio dal comandante dell’Oriani Vittorio Chinigò, che aveva scritto tra l’altro «…E pertanto approfittando che il Carducci era a poppavia del mio traverso a dritta, e mi avrebbe forse mascherato temporaneamente alla vista del nemico, ho accostato a dritta di circa 30° per cercare di guadagnare acqua verso ponente…», senza parlare esplicitamente di una manovra effettivamente intrapresa dal Carducci per coprirlo. Ciò, però, era dovuto al fatto che Chinigò aveva incentrato il suo rapporto sull’azione dell’Oriani, senza soffermarsi molto su cosa avessero fatto le altre navi; a fine luglio 1941, in un incontro con Ginocchio a Napoli, Chinigò confermò che dopo i primi colpi il Carducci aveva compiuto delle ampie accostate ed emesso cortine fumogene e di aver visto benissimo le accostate del Carducci, come pure la cortina, della quale aveva approfittato per disimpegnarsi. In un successivo incontro con Ginocchio, il 9 agosto, Chinigò confermò nuovamente le due accostate eseguite dal Carducci, che avevano permesso all’Oriani di scampare al massacro.
Forte di questa conferma, l’11 agosto Ginocchio scrisse nuovamente a Iachino ed al sottosegretario alla Marina, ribadendo quanto detto: «…mi è stato detto correre voce che nella notte del 28 marzo (…) il Carducci sarebbe stato subito immobilizzato dalla prima salva senza poter quindi eseguire la seconda accostata, né distendere una cortina. Alcuni giorni prima di apprendere ciò avevo incontrato il comandante Chinigò il quale mi ha esplicitamente detto di aver benissimo rilevato le mie accostate, la cortina di fumo, e di aver utilizzato quest’ultima per occultarsi. Questo conferma pienamente quanto ho riferito e ragguaglia sulla utilità – sulla quale non avevo espresso giudizio – della cortina fumogena distesa per quanto riguarda l’Oriani (…) L’altro ieri il comandante dell’Oriani mi ha nuovamente confermato il suo racconto ed appunto perché lo ritengo superfluo tengo a dirvi che le sue parole potranno esservi ripetute dal comandante Garino che si trovava con noi e che tra breve sarà a Taranto». Il 1° settembre il comandante Chinigò, in risposta ad un quesito ufficiale posto dal comandante di Squadra, scrisse una lettera nella quale riferiva: «Alle 22.30 il Carducci ha eseguito un’accostata sul lato dritto molto forte (maggiore di 45°) tanto che, poiché ho iniziato l’accostata su tale lato qualche istante dopo di lui, non mi è stato possibile mantenermi sul lato dritto e sono stato quindi costretto a passargli di poppa per non investirlo. Data l’ampiezza dell’accostata effettuata inizialmente dal Carducci e il fatto che successivamente il Gioberti, l’Oriani ed il Carducci sono venuti a trovarsi in linea di rilevamento e con rotte parallele, il Carducci, dopo la prima accostata a dritta, ne ha sicuramente effettuata un’altra sul lato sinistro. Alle 22.35 il Carducci era a poppavia del mio traverso ed effettivamente emetteva fumo, tanto che ho deciso, approfittando del temporaneo occultamento che mi avrebbe dato, di tentare l’attacco col siluro girando la testa della formazione nemica. Se il fumo che il Carducci emetteva fosse dovuto al nebbiogeno o alla combustione in caldaia non ho avuto agio di poterlo giudicare, dato che nel frattempo la distanza era aumentata. Alle 22.41 il Carducci scade decisamente di poppa emettendo denso fumo nero: lo ritengo colpito. Essendo stato anch’io colpito, assumo rilevamento per 180°. È probabile che, oltre il fumo che do ordine di emettere, anche quello emesso dal Carducci abbia contribuito ad occultarmi temporaneamente favorendomi nell’allontanamento».
Il 25 ottobre 1941 il comandante Ginocchio ricevette la Medaglia d’Argento al Valor Militare per la sua azione a Capo Matapan: nella motivazione si riconosceva, finalmente, che la manovra del Carducci fosse stata effettuata («…abilmente manovrava per proteggere con cortine di nebbia le altre unità del proprio gruppo…»), senza però menzionare che avesse effettivamente permesso ad Oriani e Gioberti di salvarsi. Iachino, infatti, era rimasto del suo parere, e nella relazione sulla battaglia aveva scritto che la manovra del Carducci fosse stata pensata ma non eseguita: «Non appena avvistato il very, il comandante [Ginocchio] ordinò (…) al timoniere di mettere tutta la barra a dritta, a poppa di far nebbia e alle macchine la massima forza. Subito dopo venne ordinato di mettere la barra a sinistra per proteggere le unità della I Divisione con cortine di nebbia, ma l’ordine non poté essere eseguito perché la seconda salva fece fermare le macchine e immobilizzò il cacciatorpediniere con prora a ponente». Ginocchio tornò sulla questione della manovra tre anni dopo, nel luglio 1945, a guerra finita, quando scrisse nuovamente al Ministero per ribadire che il Carducci, pur già colpito e con incendio a bordo, aveva compiuto la manovra per coprire le altre unità, e che questa aveva permesso ad Oriani e Gioberti di salvarsi: «…Questa manovra occultò senz’altro il Gioberti che era in posizione avanzata, mentre l’Oriani, che con la prima accostata era un po’ scaduto, vi si infilò in mezzo riuscendo a far perdere le sue tracce (…) Chiedo pertanto che la pratica venga riesaminata tenendo presente quanto segue: a) La manovra di copertura delle altre unità da parte del Carducci è stata eseguita pur essendo l’unità già stata colpita ed avendo un incendio a bordo. Essa è risultata efficace come confermato dall’Oriani e posto che di tutta la Divisione solo il Gioberti e l’Oriani, che si trovavano immediatamente di prora e a poppa del Carducci, hanno potuto rientrare in porto facendo perdere le tracce all’avversario». Non avendo avuto risposta, Ginocchio sollecitò una replica nel dicembre 1946, e nel maggio 1947, essendo state frattanto istituite le Commissioni d’Inchiesta Speciali (CIS) su ciascuna delle navi perdute a Matapan, chiese agli uffici competenti di trasmettere la documentazione da lui inviata ai membri della CIS.
I membri della CIS, oltre alle relazioni del comandante Ginocchio e di altri tre ufficiali del Carducci, esaminarono anche la “Ricostruzione degli avvenimenti” compilata dal Comando di Squadra nel maggio 1941 e gli atti dell’inchiesta sulla perdita dello Zara, sede del Comando della I Divisione, nonché quattro rapporti dell’Oriani, un estratto di brogliaccio radio dell’Oriani, due rapporti e due estratti di brogliacci radio del Gioberti. Negli atti dell’inchiesta sull’affondamento dello Zara era scritto tra l’altro che «pare (per quanto riguarda i cacciatorpediniere) che il nemico aprisse il fuoco inizialmente su due di queste unità, l’Alfieri e il Carducci, e lasciasse indisturbati gli altri due. Il Carducci, facendo nebbia, passò di poppa al Gioberti e finì per coprire l’Oriani e forse appunto per tale protezione essi andarono immuni dal tiro delle corazzate e furono i soli superstiti della Divisione. Comunque la nostra formazione si scisse a questo punto in due gruppi, di cui quello dei tre caccia Gioberti, Oriani, Carducci venne a trovarsi a ponente degli altri (Zara, Fiume, Alfieri e Pola)».
Nello stesso anno venne anche pubblicato il libro “Gaudo e Matapan” scritto dall’ammiraglio Iachino, che sull’azione del Carducci ripeteva quanto l’ex comandante della Squadra Navale aveva già scritto nella sua relazione anni prima: il cacciatorpediniere era stato immobilizzato dal tiro britannico mentre si apprestava a stendere una cortina fumogena, quindi prima di poterlo fare. Ginocchio, temendo che il libro potesse influenzare la CIS, inviò a quest’ultima una nuova relazione con la quale aggiungeva altri particolari e contestava quanto scritto dal suo vecchio comandante di squadra, che affermava tra l’altro che il Carducci aveva la prua verso ponente, a riprova che non aveva completato la sua manovra. Nella sua nuova relazione alla CIS, il comandante Ginocchio del Carducci descrisse così la manovra effettuata: «…eseguo con tutta la barra a dritta un’accostata per obbligare l’Oriani ad accostare a un tempo, ritorno a sinistra, metto alla massima forza, ordino l’emissione di nebbia in modo da distendere una cortina tra l’Oriani, il Gioberti e il nemico (…) accostati quindi sulla dritta per imitazione di manovra, obbligando l’Oriani a fare altrettanto; quindi, benché colpito e con l’incendio a bordo, considerando anche che continuando di conserva avrei costituito un punto di sicuro riferimento per il nemico, mi confermai nella decisione di sacrificare la mia unità alla salvezza dei compagni, ed accostai nuovamente a sinistra distendendo una cortina di fumo da tutti i nebbiogeni. Questa occultò senz’altro il Gioberti che era in posizione avanzata, mentre l’Oriani, che con la prima accostata era scaduto, vi si infilò in mezzo riuscendo a far perdere le tracce. L’Oriani e il Gioberti sono state le uniche unità sfuggite al macello»; Ginocchio citò a sostegno di quanto diceva il rapporto dell’Oriani, nel quale si diceva tra l’altro «…ore 22.35, si accosta per rilevamento 210° per tentare di guadagnare acqua verso ponente e di passare dall’altro lato della testa della formazione nemica (…) ore 22.41, il Carducci scade di poppa avvolto in fumo nero», il che contraddiceva l’affermazione di Iachino che il Carducci avesse la prua verso ovest.
Esaminato tutto il materiale disponibile, la CIS sul Carducci riconobbe la seconda accostata eseguita dal cacciatorpediniere, scrivendo che «si può desumere pertanto che dopo tale seconda accostata le tre unità erano pressoché in linea di rilevamento con rotte parallele nell’ordine Gioberti, Oriani, Carducci. In altri termini, salvo la forzata alterazione delle unità dovuta probabilmente a causa della ritardata manovra dell’Oriani, le tre unità fecero una analoga manovra: Gioberti e Oriani accostarono subito per sud circa, il Carducci diresse per sud circa solo dopo la seconda accostata per correggere in senso inverso la prima troppo ampia. Dall’esame della documentazione la CIS non ravvisa pertanto che il Carducci abbia fatto una particolare manovra, diversa da quella del Gioberti e dell’Oriani, le tre unità avendo accostato praticamente ad un temppo per 170°-180° circa ed il Carducci rimanendo immobilizzato al massimo dopo circa un minuto e mezzo e solo dopo pochi secondi. La CIS (…) ha potuto invece compilare un grafico avvalendosi delle sole documentazioni degli avvenimenti in questione e delle notizie successivamente fornite dai tre comandanti; più particolarmente si è avvalsa delle seguenti circostanze di fatto: il Carducci è stato colpito la prima volta dopo la prima accostata; il Carducci è stato immobilizzato, al massimo, dopo un minuto e mezzo dalla prima salva ricevuta; l’Oriani è passato di poppa al Carducci alla sua prima accostata, venendo quindi a risultare tra il Gioberti e il Carducci; l’Oriani prese per breve tempo la rotta 170° e poco dopo la 180°; l’Oriani vide sempre il Carducci a poppavia del suo traverso a dritta; l’Oriani vide il rilevamento del Carducci scadere a mano a mano verso poppa (…); il Carducci e la sua cortina sono rimasti sempre a ponente del meridiano costituito dalla rotta 180° dell’Oriani. I tre cacciatorpediniere dopo le accostate si sono trovati su una approssimata linea di rilevamento con rotte pressoché parallele nell’ordine Gioberti, Oriani, Carducci». La conclusione era pertanto che sebbene il Carducci avesse realmente eseguito la manovra ordinata da Ginocchio per coprire con cortine nebbiogene gli altri cacciatorpediniere, non era stata tale manovra a permettere ad Oriani e Gioberti di salvarsi: vale a dire, la nave di Ginocchio aveva effettivamente manovrato per coprire le unità gemelle con una cortina fumogena, ma senza successo, ed Oriani e Gioberti erano scampati alla strage per le loro pronte manovre e per il caso, e non per la cortina del Carducci. Tale conclusione era così motivata: «…ogni unità ha prima e dopo emesso una cortina nebbiogena per tentare di proteggersi dal tiro del nemico. Non si comprende come l’Oriani, passato di poppa al Carducci durante la sua brusca accostata a dritta e rimasto sempre alla sinistra del Carducci, possa essersi infilato nella cortina prodotta dallo stesso Carducci a meno di un forte vento dal terzo al quarto quadrante. Per potersi infilare nella cortina prodotta dal Carducci, bisognava anzitutto che il Carducci (in piena emissione di cortina) fosse passato di prora all’Oriani, dalla dritta alla sinistra di questa unità, ripristinando la successione: Gioberti, Carducci, Oriani, cosa questa che non è avvenuta». La successione effettiva era infatti stata Gioberti-Oriani-Carducci; di conseguenza, la cortina fumogena stesa dal Carducci non aveva avuto un ruolo nella fuga di Oriani e Gioberti. Così la CIS concluse i suoi lavori relativi all’azione del Carducci, con delibera del 25 settembre 1947: «Da quanto sopra esposto circa l’azione di fuoco alla quale furono per lungo tempo sottoposti Gioberti e Oriani, la CIS ritiene di poter concludere che, se i cacciatorpediniere Gioberti e Oriani hanno potuto rientrare alla base, incolume il primo e colpito una sola volta il secondo, ciò è dovuto a pura casualità e non in merito alla cortina di un minuto e mezzo inizialmente distesa dal Carducci dalle 22.30 alle 22.32, in quanto i tre cacciatorpediniere seguivano rotte pressoché parallele e si trovavano in analoga situazione tattica rispetto al nemico».
Il 25 ottobre 1947 Michele Fontana, l’ex ufficiale di rotta del Carducci, inviò alla Commissione una lunga relazione sui fatti del 28 marzo-2 aprile 1941. In essa si diceva tra l’altro che Ginocchio aveva ordinato di mettere tutta la barra a sinistra e di emettere nebbia dopo aver giudicato che l’incendio causato dalla prima salva giunta a bordo era indomabile, stimando che se il Carducci avesse continuato a seguire Oriani e Gioberti, con l’incendio a bordo che lo rendeva facilmente individuabile, avrebbe finito con l’attirare anche su di essi il tiro nemico. L’accostata a sinistra avrebbe invece permesso di distogliere dalle unità gemelle l’attenzione dei cannoni britannici, occultandole con la cortina fumogena; il Carducci aveva dunque accostato verso il nemico ed iniziato ad emettere nebbia, dopo di che era stato colpito dalla seconda salva ed immobilizzato. Dopo aver preso in esame la relazione di Fontana, il 10 dicembre 1947 la CIS redasse un supplemento a quanto già scritto, nel quale si concludeva che tale relazione non apportava elementi che potessero modificare il giudizio già espresso.
Anche la storia ufficiale della Marina Militare ("La Marina italiana nella seconda guerra mondiale – La guerra nel Mediterraneo – Le azioni navali: Tomo I, dal 10 giugno 1940 al 31 marzo 1941", USMM, 1959) si sarebbe poi allineata a questo giudizio: «Il Ct Carducci (…) accostò a dritta insieme colle altre unità della sua squadriglia e cominciò a distendere una cortina di nebbia artificiale. (…) Il suo comandante, C.F. Ginocchio, ha riferito che egli intendeva proteggere colla sua cortina di nebbia gli altri Ct della Squadriglia (…) ma ciò gli fu impedito dai colpi che investirono il caccia dall’inizio della nuova accostata e ben presto lo immobilizzarono. La sua generosa manovra non poté quindi essere portata a compimento; il Carducci non riuscì infatti mai a mettersi fra il nemico e gli incrociatori della I Divisione, e i comandanti dei Ct Oriani e Gioberti che sfuggirono alla distruzione, hanno escluso di aver potuto sottrarsi al tiro nemico grazie alla cortina del Carducci», anche se più oltre il medesimo testo afferma: «Il Ct Oriani (C.F. Vittorio Chinigò), dopo avere accostato verso sud, riaccostò di altri 30° sulla dritta per guadagnare cammino verso ponente, al riparo – sia pure per breve tempo – della cortina che stava stendendo il Carducci, con l’intenzione di passare dall’altro lato della formazione avversaria e attaccarla col siluro».
Molti anni più tardi lo storico Francesco Mattesini, nella sua monografia "L’operazione Gaudo e lo scontro notturno di Capo Matapan" pubblicata nel 1998 dall’Ufficio Storico della Marina Militare, è stato più possibilista sull’esito della manovra del Carducci: riprendendo in parte il giudizio espresso nel 1947 dalla CIS sulla perdita dello Zara, egli ha infatti scritto che «il Carducci, prima di arrestarsi definitivamente continuò a venire a sinistra per abbrivio. Nel contempo, dallo svuotamento delle caldaie che erano state colpite si verificò una maggiore e vasta emissione di fumo, che poi servì a nascondere il Gioberti e, in parte anche l’Oriani, agevolandoli nella loro manovra di disimpegno».
A decenni di distanza il tenente di vascello Michele Cimaglia, già direttore del tiro del Carducci, avrebbe ricordato “…la visione del fumo dai nebbiogeni di poppa e del fumaiolo in abbondante cortina a ridosso della quale l’Oriani, dalla parte opposta al nemico rispetto alla cortina, si allontana pochi istanti prima che il Carducci fosse del tutto fermo…”).
In seguito alla perdita di Alfieri e Carducci, la IX Squadriglia Cacciatorpediniere viene sciolta, ed Oriani e Gioberti vengono aggregati alla X Squadriglia (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco).
16 luglio 1941
OrianiGioberti, LanciereGeniere (caposcorta) e la torpediniera Centauro salpano da Taranto per Tripoli alle 16, scortando i trasporti truppe Marco PoloNeptunia ed Oceania.
Gli incrociatori pesanti Trieste e Bolzano (III Divisione Navale) ed i cacciatorpediniere AscariCorazziere e Carabiniere forniscono scorta a distanza.
Secondo alcune fonti il convoglio sarebbe infruttuosamente attaccato, alle 13.35 (23 miglia a sud-sud-ovest di Messina), dal sommergibile britannico Unbeaten, ma si tratta probabilmente di un errore.
18 luglio 1941
Il convoglio giunge a Tripoli alle 14.30.
19 luglio 1941
OrianiGioberti, Lanciere e Geniere (caposcorta) lasciano Tripoli per Taranto alle 20.30, scortando NeptuniaOceania e Marco Polo. La III Divisione Navale fornisca ancora scorta indiretta.
21 luglio 1941
Il convoglio giunge a Taranto alle 16.30.
27 luglio 1941
OrianiGiobertiAviere (caposcorta), Geniere e Camicia Nera salpano da Taranto per Tripoli alle 14, scortando Marco PoloNeptunia ed Oceania diretti a Tripoli lungo la rotta di levante. Le navi si tengono molto a levante di Malta, per restare fuori dal raggio d’azione degli aerosiluranti ivi basati, dirigendo all’incirca a metà strada fra Napoli e Bengasi, salvo accostare per Tripoli la sera del 28, evitando i ricognitori nemici.
Il sommergibile britannico Otus (tenente di vascello Richard Molyneux Favell), inviato ad intercettare il convoglio in posizione 34°25’ N e 19°40’ E, non riesce a trovarlo.
29 luglio 1941
Il convoglio raggiunge Tripoli alle 13; dopo che i tre trasporti hanno sbarcato le truppe, essi ripartono già alle 21 per tornare a Napoli, sempre scortati da  OrianiGiobertiAviere (caposcorta), Geniere e Camicia Nera. Rotta di ponente.
31 luglio 1941
Il convoglio arriva a Napoli alle 4.
4 agosto 1941
OrianiGiobertiAviere (caposcorta), GeniereCamicia Nera e Calliope salpano da Napoli alle 21 diretti a Tripoli, scortando un convoglio formato dai piroscafi CastelverdeAquitaniaNitaNirvo ed Ernesto.
5 agosto 1941
Alle 13 si unisce al convoglio anche la moderna motonave cisterna Panuco (per altra fonte, Poza Rica), proveniente da Palermo.

(Naval History and Heritage Command)

6 agosto 1941
Durante il pomeriggio, a sud di Pantelleria, il convoglio viene avvistato da ricognitori britannici; i segnali di scoperta da questi lanciati vengono immediatamente intercettati sia dal caposcorta che da Supermarina, il che permette di intuire che un attacco aereo da Malta è imminente.
Alle 16.40 vengono avvistati aerei britannici, che tuttavia non attaccano, probabilmente perché il convoglio è ancora munito di robusta scorta aerea (due bombardieri Savoia Marchetti S.M. 79 "Sparviero" e sei aerei da caccia). Dopo una incerta puntata contro il convoglio, gli aerei nemici si allontanano alle 16.48.
Alle 22, quando – calato il buio – non vi è più scorta aerea, i britannici tornano all’attacco: l’Aviere avvista cinque aerosiluranti (sono Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm) di prora a sinistra, cioè nella direzione di Malta (ed anche della luna), ad un centinaio di metri di quota.
I cacciatorpediniere di prua aprono il fuoco per primi con le loro mitragliere, subito imitati dai piroscafi ed in breve da tutte le navi del convoglio. Nonostante l’intenso e serrato tiro delle navi, gli aerei britannici non demordono; tagliano la rotta del convoglio passandogli 400 metri a proravia, indi defilano controbordo ai piroscafi e lanciano cinque bengala, di cui tre (molto luminosi) rimangono sospesi in aria e due si depositano sulla superficie del mare, galleggiando ed emettendo poca luce. Viene dato l’allarme, ed i mercantili – molto ben affiatati tra loro e con la scorta, grazie alle precedenti navigazioni compiute insieme: si cerca di far navigare sempre insieme le stesse navi proprio per questo scopo – accostano mettendo la prua sulla luna, così da minimizzare la sagoma e di conseguenza il bersaglio; la Calliope ritiene di vedere un aereo precipitare in fiamme a poppavia del convoglio.
Gli aerosiluranti finiscono con lo sganciare un po’ a casaccio, ma un siluro va egualmente a segno: la vittima è il Nita, ultimo della formazione, colpito a poppavia dritta alle 22.10. Calliope e Camicia Nera rimangono ad assisterlo.
7 agosto 1941
Dopo ulteriori attacchi aerei, il Nita affonda all’1.33 in posizione 35°15’ N e 12°17’ E, una ventina di miglia a sudovest di Lampedusa. Calliope e Camicia Nera recuperano tutti gli uomini a bordo, tranne uno.
Alle 5.50 il resto del convoglio, che prosegue verso Tripoli a 7 nodi, avvista a poppavia del traverso, sulla sinistra, due bombardieri britannici Bristol Blenheim (appartenenti al 105th Squadron della Royal Air Force), che si avvicinano volando a bassa quota. È l’alba; la scorta aerea non è ancora arrivata. Uno dei Blenheim mantiene le distanze, l’altro si avvicina con decisione: piroscafi e navi scorta aprono il fuoco con cannoni e mitragliere. Il Blenheim si tiene basso fino a poche centinaia di metri dal convoglio, indi cabra e lancia quattro bombe contro l’Aquitania, che non subisce danni seri (due bombe esplodono in mare, provocando danni da schegge; altre due rimbalzano contro la murata, per poi cadere in mare inesplose), per poi allontanarsi sorvolando gli altri piroscafi. Il secondo Blenheim, compiuto un ampio giro, si porta a poppa dritta del convoglio ed attacca a sua volta: accolto dal violentissimo fuoco delle navi, non sgancia le bombe, ma passa tra mercantili e navi della scorta volando bassissimo sul mare, si allontana, fa un altro giro, si porta nuovamente a poppa dritta del convoglio e torna alla carica. Di nuovo, piroscafi e navi da guerra aprono un furioso tiro contraereo con cannoni e mitragliere; l’aereo rinuncia di nuovo a sganciare le bombe, passa bassissimo (2-3 metri sopra la superficie del mare) tra i piroscafi e stavolta si allontana definitivamente verso est.
Alle 6.10, ad attacco ancora in corso, giunge sul cielo del convoglio un idrovolante CANT Z. 1007 della Regia Aeronautica (che però non vede il Blenheim); più tardi arrivano anche un S.M. 79 e due caccia biplani FIAT CR. 42.
Alle 6.45 il convoglio attraversa una zona ove la sera prima è stato avvistato un sommergibile, pertanto i mercantili zigzagano, mentre le navi scorta evoluiscono ad alta velocità e lanciano bombe di profondità. A mezzogiorno Tripoli comunica di essere sotto bombardamento aereo, ed alle 12.35 vengono avvistati tre aerei sospetti in lontananza, sulla sinistra; non si verificano, però, altri attacchi.
Il resto del convoglio raggiunge Tripoli alle 18.
8 agosto 1941
OrianiGiobertiAviere (caposcorta) e Camicia Nera lasciano Tripoli alle 15 per scortare a Napoli le motonavi Andrea GrittiVettor PisaniRialto ed Ankara (tedesca).
10 agosto 1941
Il convoglio arriva a Napoli alle 9.30.
19 agosto 1941
Alle due di notte l’Oriani, insieme al Gioberti ed ai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (caposcorta, contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone) e Nicoloso Da Recco, salpa da Napoli diretto a Tripoli per scortarvi un convoglio veloce composto dai trasporti truppe EsperiaMarco Polo (capoconvoglio, contrammiraglio Francesco Canzonieri), Neptunia ed Oceania. Il convoglio deve seguire la rotta che passa a ponente di Malta, passando per il Canale di Sicilia, Pantelleria e le Kerkennah.
Alle 13.30 si unisce alla scorta la vecchia torpediniera Giuseppe Dezza, proveniente da Trapani, ed alle 14.50 (al largo delle Egadi, poco a nord di Marettimo), sempre quale rinforzo, anche i cacciatorpediniere MaestraleGrecale e Scirocco.
Vi è inoltre una scorta aerea, presente continuamente durante le ore diurne fino alle 21 (sia nel Tirreno che nel Canale di Sicilia), consistente in bombardieri S.M. 79 e caccia FIAT CR. 42 nonché, nel tardo pomeriggio del 19, idrovolanti CANT Z. 506 (ed in precedenza anche CANT Z. 501) in funzione antisommergibili.
Il convoglio procede a zig zag, seguendo la rotta che passa a ponente di Malta, passando per il Canale di Sicilia, Pantelleria e le Kerkennah.
Nel tardo pomeriggio il convoglio, che si trova a nord di Pantelleria, incappa in uno sbarramento di sommergibili britannici, venendo attaccato pressoché contemporaneamente dall’Urge (tenente di vascello Edward Philip Tomkinson) e dall’Unbeaten (capitano di corvetta Edward Arthur Woodward). Quest’ultimo avvista il convoglio alle 18.18 (inizialmente i soli fumaioli, a 8700 metri di distanza per 325°; le navi intere alle 18.22, quando la distanza era scesa a 7315 metri) in posizione 37°02’ N e 12°00’ E, circa 15 miglia a nord di Pantelleria, ed alle 18.31 lancia tre siluri (un quarto non parte) da 5945 metri; le armi passano tutte molto a proravia del convoglio, senza colpire nulla, ed un CANT Z. 501 della 196a Squadriglia avvista le scie e lancia due bombe contro l’Unbeaten, che tuttavia è già sceso in profondità dopo il lancio. L’Urge, invece, avvista il convoglio (avente rotta 180°) alle 18.26, nel punto 37°04’ N e 11°51’ E (una quindicina di miglia a nord-nord-ovest di Pantelleria), a 6400-7315 metri per 30°, e manovra per attaccare, ma alle 18.32 la sua manovra d’attacco viene interrotta da un’accidentale perdita di assetto, e dal contemporaneo rapido avvicinamento di un cacciatorpediniere, avvisato da un aereo che lo ha avvistato alle 18.15. Tra le 18.36 e le 19.25 Gioberti e Vivaldi bombardano l’Urge con bombe di profondità, senza riuscire a danneggiarlo, ma costringendolo a ritirarsi verso nordovest ed a rinunciare all’attacco. Prima di questi attacchi, alle 17.20 (a nord di Pantelleria), il Marco Polo ha già evitato due siluri con la manovra, dopo la diramazione del segnale «Scie di siluri a sinistra».
20 agosto 1941
All’una di notte Maestrale e Grecale lasciano il convoglio per tornare a Trapani, mentre alle 8.30 – quando il convoglio imbocca la rotta di sicurezza numero 3 (rotta vera 138°) – si aggregano alla scorta la torpediniera Partenope (con funzioni di pilotaggio) e due MAS inviati da Tripoli; il convoglio è inoltre preceduto da un gruppo di dragamine, che già da diverse ore stanno passando a setaccio quel tratto di mare. Le navi procedono a 17 nodi di velocità, zigzagando fin dall’alba (tranne la Partenope); pur essendo già sulla rotta di sicurezza, il caposcorta ha preferito mantenere la formazione di navigazione in mare aperto e lo zigzagamento, quale ulteriore precauzione contro i molti sommergibili che si sapeva infestare le acque antistanti le coste della Libia. In prossimità del punto «A» di atterraggio a Tripoli, l’Oriani lancia sei bombe di profondità a scopo intimidatorio.
Il convoglio procede su quattro colonne, due di mercantili e due di navi scorta: da sinistra, una prima colonna formata da Vivaldi (a proravia) e Gioberti (a poppavia), con un MAS sul lato esterno; più a dritta, la colonna formata da Marco Polo (a proravia) ed Esperia (a poppavia); a dritta di queste, la Neptunia seguita dall’Oceania (al traverso a dritta dell’Esperia); poi un altro MAS (a proravia sinistra della Neptunia) e, sul lato esterno a dritta, una colonna formata da Da Recco (a proravia), Oriani (al centro) e Scirocco (a poppavia). La Partenope procede in testa al convoglio, mentre la Dezza lo chiude in coda, a poppavia di Esperia ed Oceania. Il tempo è buono, il mare è calmo.
Fin dall’alba del 20 torna sul cielo del convoglio la scorta aerea, costituita da due caccia e da due idrovolanti CANT Z. 501 per scorta antisommergibili.
Tra le 6.36 e le 7.25 il sommergibile britannico Unique (tenente di vascello Anthony Richard Hezlet) avvista la Partenope ed i MAS diretti incontro al convoglio e tre dei dragamine (che passano a circa un miglio di distanza del sommergibile, più vicini alla costa): ciò gli permette di dedurre la posizione del canale dragato, e di posizionarsi vicino al suo imbocco per attendere il previsto arrivo del convoglio. Alle 9.56 il sommergibile avvista nel punto 33°03’ N e 13°03’ E, a otto miglia per 305°, quattro transatlantici in avvicinamento con rotta 155°; alle 10.10 la distanza si è ridotta a 5945 metri, e Hezlet inizia a distinguere alcune unità della scorta. Alle 10.19, dopo aver superato lo schermo della scorta, l’Unique lancia una salva di quattro siluri da appena 600 metri di distanza, contro l’Esperia, per poi scendere subito a 27 metri ed iniziare a ritirarsi verso nord.
Alle 10.20 l’Esperia viene colpito in rapida successione da tre siluri (uno a prua, uno al centro ed uno a poppa), ed inizia rapidamente a sbandare sulla sinistra.
Il resto del convoglio accosta immediatamente sulla dritta, come prescritto dalle norme, poi il Marco Polo segnala alle altre navi di seguirlo e dirige a tutta forza verso il vicino porto, preceduto dalla Partenope e seguito dagli altri trasporti (arriveranno tutti indenni a Tripoli, alle 12.30).
Pochi minuti dopo il siluramento, i velivoli della scorta aerea sganciano alcune bombe contro l’Unique, circa un chilometro al traverso a sinistra dell’Esperia; a questo punto il caposcorta Nomis di Pollone, acclarato che la nave è stata silurata da un sommergibile (prima vi era incertezza, sulle altre unità, se le esplosioni fossero dovute a siluri oppure a mine), ordina al Gioberti ed ai MAS di dare la caccia al sommergibile, al Da Recco di accompagnare i trasporti nel primo tratto dell’allontanamento (poi lo richiama perché si unisca al Gioberti nella caccia antisommergibili) ed a Oriani, Dezza e Scirocco di provvedere al salvataggio dei naufraghi, cui inoltre partecipa con il suo stesso Vivaldi.
In soli dieci minuti l’Esperia affonda nel punto 33°03’ N e 13°03’ E, ad undici miglia per 318° (cioè a nordovest) dal faro di Tripoli, tra il caos totale dovuto al panico che ha invaso le truppe imbarcate.
Per un’ora e mezza OrianiVivaldiScirocco e Dezza recuperano dal mare centinaia di naufraghi; a mezzogiorno sopraggiungono tre rimorchiatori ed alcuni motovelieri di Marina Tripoli, e dato che le navi della scorta hanno già recuperato la maggior parte dei superstiti, ed è pericoloso che si trattenessero ancora in zona insidiata dai sommergibili con centinaia di naufraghi a bordo, Nomis di Pollone ordina ad Oriani e Scirocco di raggiungere Tripoli, e lascia sul posto i rimorchiatori e motovelieri di Marina Tripoli per completare l’opera di salvataggio, sotto la protezione della Dezza.
Grazie all’operato delle unità soccorritrici, ben 1139 dei 1182 uomini imbarcati sull’Esperia (oltre il 96 %) vengono tratti in salvo, nonostante la rapidità e caoticità dell’affondamento. L’Oriani, in particolare, ha recuperato 254 naufraghi; il comandante Chinigò riceverà per quest’opera di soccorso la Medaglia di Bronzo al Valor Militare («Comandante di cacciatorpediniere di scorta a convoglio, silurato un piroscafo da sommergibile nemico, dirigeva prontamente con sereno coraggio e spirito di abnegazione le operazioni di salvataggio dei naufraghi in acque tuttora insidiate dall’unità subacquea avversaria. Dimostrava nel grave frangente di possedere elevate capacità organizzative e belle qualità militari e professionali»).
21 agosto 1941
L’Oriani lascia Tripoli alle 17 insieme a Vivaldi (caposcorta), GiobertiDa Recco e Scirocco, per scortare a Napoli Marco PoloNeptunia ed Oceania.
Durante la notte le navi vengono violentemente attaccate da aerei, ma le unità della scorta vanificano l’attacco emettendo cortine fumogene e dirottando la formazione.
23 agosto 1941
Il convoglio giunge a Napoli alle 7.
Agosto 1941
In seguito alla riorganizzazione dei cacciatorpediniere della Regia Marina, in cui le unità destinate alla scorta dei convogli vengono separate da quelle destinate all’impiego con la squadra da battaglia (per permettere a questi ultimi di poter eseguire il regolare addestramento e di essere sempre a disposizione delle rispettive Divisioni navali) e raggruppate in un Gruppo Cacciatorpediniere di Scorta, Oriani e Gioberti vengono aggregati alla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino), assegnata alla IX Divisione (corazzate Littorio e Vittorio Veneto).
26 agosto 1941
L’Oriani (caposcorta, capitano di fregata Vittorio Chinigò), il cacciatorpediniere Euro e le torpediniere ProcioneOrsaClio salpano da Napoli alle 5.30 scortando i piroscafi ErnestoAquitania e Bainsizza, le motonavi Col di Lana e Riv e la nave cisterna Poza Rica, dirette a Tripoli.
Da Trapani esce per rinforzare la scorta anche la Pegaso.
27 agosto 1941
Alle 6.30 il sommergibile britannico Urge (tenente di vascello Edward Philip Tomkinson) avvista il convoglio italiano, ed alle 6.42, in posizione 38°11’ N e 12°07’ E (una decina di miglia a nord di Marettimo e sette miglia a nord di Trapani), lancia quattro siluri contro uno dei mercantili (quello di testa della colonna più vicina; sono nella “linea di tiro” anche la nave di testa della colonna più lontana e la Poza Rica), da 4115 metri di distanza. Uno dei siluri, quello nel tubo numero 3, rimane però bloccato per metà dentro e per metà fuori dal tubo; l’Urge finisce così con l’affiorare involontariamente in superficie.
Alle 6.50 (ora italiana), poco dopo che il convoglio ha superato Punta Mugnone (Trapani), l’Aquitania viene colpito.
Sull’Urge, intanto, l’equipaggio ripristina però l’assetto, ed a questo punto il siluro esce dal tubo; l’Urge torna ad immergersi rapidamente, mentre la Clio (tenente di vascello Pasquale Giliberto), che l’ha visto affiorare da 2740 metri di distanza, gli si dirige incontro. Anche un idrovolante CANT Z. 501 della 144a Squadriglia della Regia Aeronautica, di scorta al convoglio, sgancia una bomba contro l’Urge, precedendo l’arrivo della Clio; quest’ultima giunge sul posto quando l’attaccante si è ormai immerso, e getta in tutto una dozzina di bombe di profondità. Anche la Procione inverte la rotta e partecipa al contrattacco, lanciando sette bombe di profondità. L’Urge, benché la Clio ritenga di averlo certamente danneggiato se non affondato, si ritira verso nordovest senza subire danni.
Preso a rimorchio dapprima dall’Orsa (capitano di corvetta Cesare Biffignandi) e poi dai rimorchiatori Marsigli e Montecristo (con la scorta della Clio), l’Aquitania potrà essere condotto in salvo a Trapani, dove giungerà alle 20.45.
Il resto del convoglio (meno Orsa e Clio) prosegue nella navigazione.
29 agosto 1941
Il convoglio giunge a Tripoli alle 7.45.
Alle 18.30 l’Euro ne riparte insieme all’Oriani (caposcorta) ed alle torpediniere OrsaCalliope e Pegaso, scortando un convoglio formato dalle motonavi Giulia e Marin Sanudo, dai piroscafi Caffaro e Nicolò Odero, dalla nave cisterna Minatitlan e dal dragamine ausiliario DM 6 Eritrea.
31 agosto 1941
Orsa e Marin Sanudo si separano dal convoglio e dirigono per Trapani, dove giungono alle 11.45.
1° settembre 1941
L’Oriani ed il resto del convoglio arrivano a Napoli alle 12.30.
10 settembre 1941
Alle 10.30 l’Oriani (capitano di fregata Vittorio Chinigò, caposcorta), il Fulmine e le torpediniere Procione, Orsa, Orione e Pegaso salpano da Napoli diretti a Tripoli, scortando i piroscafi Tembien, Caffaro, Nirvo, Bainsizza e Nicolò Odero e la motonave Giulia. Si tratta del convoglio «Tembien», il secondo convoglio di navi da carico e diretto in Libia nel corso del mese di settembre; essendo composto da navi piuttosto lente, riceve l’ordine di seguire la rotta di ponente (Marettimo-Canale di Sicilia-Secche di Kerkennah).
Nel Canale di Sicilia si aggrega alla scorta anche la torpediniera Circe, proveniente da Trapani.
11 settembre 1941
Alle 21.45 (ora britannica) il convoglio viene scoperto da un ricognitore Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm (aereo “V”; per altra fonte, del 69th Squadron della Royal Air Force), pilotato dal sottotenente di vascello Coxon e munito di radar ASV (Air to Surface Vessel), decollato da Malta alle 19.25.
Alle 22.25 (ora britannica) decollano per attaccarlo dalla base maltese di Hal Far sei aerosiluranti Swordfish dell’830th Squadron: gli aerei ‘F’ (capo formazione, tenente di vascello Whitworth), ‘G’ (tenente di vascello Garthwhite), ‘K’ (sottotenente di vascello Nottingham), ‘H’ (sottotenente di vascello Taylor), ‘M’ (sottotenente di vascello Lamb), ‘S’ (sottotenente di vascello Cotton).
12 settembre 1941
Nelle prime ore della notte il convoglio viene nuovamente individuato, stavolta da un ricognitore Bristol Blenheim (pilotato dal sergente Bridge), a 37 miglia per 205° da Capo Lampione, a sud di Pantelleria. Bridge apprezza la composizione del convoglio in nove mercantili, scortati da quattro cacciatorpediniere, e ne stima la rotta in 155° e la velocità in 7-10 nodi.
All’1.05 (orario britannico) il convoglio viene avvistato a dieci miglia dall’isola di Kuriat, in posizione 34°14’ N e 11°52’ E, e cinque minuti dopo gli aerosiluranti vanno all’attacco. I piloti britannici ritengono di aver sicuramente messo a segno due siluri e probabilmente altri due, rivendicando il probabile affondamento di un mercantile ed il probabile danneggiamento di altri due; durante l’attacco incontrano intenso tiro contraereo, che danneggia la coda dello Swordfish ‘G’. Due mesi dopo i comandi responsabili dell’addestramento della Fleet Air Arm giudicheranno questo attacco come un’operazione ben eseguita, pur sollevando dubbi su chi abbia attaccato cosa e sul funzionamento del siluro Mark VIII.
In realtà, a dispetto degli apprezzamenti dei piloti degli Swordfish, nessuna nave ha subito danni, grazie alle manovre evasive, all’emissione di cortine nebbiogene ed alla reazione dell’armamento contraereo delle navi. L’orario dell’attacco è indicato dalle fonti italiane nelle 3.10, con una discrepanza di due ore rispetto all’ora indicata nelle fonti britanniche.
Il mattino seguente, il convoglio procede su rotte varie nella zona delle Kerkennah, senza alcun allarme.
Alle 14, mentre il convoglio procede sotto scorta di velivoli della Regia Aeronautica, si verifica un nuovo attacco aereo, da parte di otto bombardieri: i velivoli, provenienti da ovest, si avvicinano a bassa quota, accolti dal tiro contraereo – puntato e di sbarramento – da parte di tutte le navi del convoglio, sia mercantili che di scorta. Gli attaccanti sganciano le loro bombe, diverse colonne d’acqua si levano in prossimità delle navi del convoglio; tre aerei nemici vengono abbattuti e precipitano in fiamme, ma alle 14.10 il Caffaro viene colpito da una bomba e prende fuoco. Il comandante Chinigò ordina a Circe ed Orsa e più successivamente anche al Fulmine di fornire assistenza alla nave danneggiata, mentre il resto del convoglio prosegue; al contempo l’Oriani lancia il segnale di scoperta, come prescritto.
Stavolta gli attaccanti erano otto Bristol Blenheim IV del 105th Squadron della Royal Air Force, decollati da Malta e pilotati dai maggiori Smithers (caposquadriglia) e Charney, dal capitano Ballands, dal tenente Greenhill, dai sergenti Bendall, Brandwood, Weston e Mortimer. Dopo il briefing, gli equipaggi di Blenheim si erano mostrati riluttanti ad attaccare un convoglio così fortemente scortato in pieno giorno, ed il comandante del 105th Squadron, tenente colonnello Scivier, era stato d’accordo, suggerendo che sarebbero stati meglio attacchi notturni da parte di aerosiluranti Swordfish e bombardieri Wellington. Il comandante della base, colonnello Cahill, era stato però di diverso avviso, ed il maresciallo dell’aria Hugh Pughe Lloyd, comandante in capo delle forze aeree di base a Malta, cui era stata demandata la decisione finale, si era schierato con quest’ultimo: così i Blenheim sono decollati alle 12.45 per condurre l’attacco.
A differenza che per il precedente attacco degli Swordfish, l’orario indicato nelle fonti britanniche per questo attacco (le 14.15) coincide sostanzialmente con quello italiano. Gli attaccanti hanno valutato la composizione del convoglio, con qualche errore, come sei navi mercantili di stazza compresa tra le 6000 e le 12.000 tsl e sei cacciatorpediniere di scorta. Degli otto Blenheim, due (quelli pilotati dal caposquadriglia Smithers e dal sergente Weston) hanno rivendicato due centri ciascuno, il primo con bombe da 250 libbre ed il secondo con bombe da 500 libbre, sulla stessa nave mercantile, vista completamente in fiamme (evidentemente, il Caffaro); un altro (quello del sergente Bendall) ha rivendicato due bombe da 500 libbre a segno su un mercantile di 10.000 tsl, scatenando un violento incendio a bordo (ancora il Caffaro, oppure un errore di valutazione di Bendall, non essendo stata colpita nessun’altra nave durante questo attacco); altri due (quelli del capitano Ballands e del tenente Greenhill) hanno rinunciato a sganciare le loro bombe, essendo il loro percorso di avvicinamento ostruito da altri aerei; tre, come stimato correttamente da parte italiana, sono stati abbattuti: quello del maggiore Charney (colpito dal tiro contraereo e precipitato in fiamme vicino al convoglio, “con poche speranze di sopravvissuti”), quello del sergente Mortimer (“non rientrato, non si sono avute notizie dell’equipaggio”) e quello del sergente Brandwood (caduto in mare ad una dozzina di miglia dal convoglio, l’equipaggio sarà salvato l’indomani da un sommergibile). I tre aerei abbattuti portavano le matricole Z7357, Z7423 e Z7504. Dei cinque Blenheim rientrati alla base, quello del sergente Bendall ha dovuto compiere un atterraggio d’emergenza, atterrando sulla fusoliera, perché il carrello è stato danneggiato e messo fuori uso (l’osservatore, sergente Hindle, è stato leggermente ferito). I piloti hanno incontrato intenso tiro contraereo da parte dei cacciatorpediniere ed hanno visto tre caccia Macchi Mc 200 e tre FIAT CR. 42 uscire in picchiata dalle nubi, pur non osservando alcun attacco da parte loro (secondo altra fonte sarebbe stata proprio la scorta aerea, composta da tre caccia Macchi MC. 200 ed altrettanti FIAT CR. 42 del 230° Gruppo della Regia Aeronautica, ad abbattere i tre Blenheim).
Secondo i mitraglieri tedeschi imbarcati sul Nirvo, i tre aerei abbattuti sarebbero stati tutti colpiti alle 14.35, uno da loro stessi, uno dall’armamento contraereo di un cacciatorpediniere ed uno dalle armi contraeree delle truppe imbarcate sul Nirvo e dirette in Libia.
Ancora alle tre del pomeriggio, da bordo dell’Oriani sono visibili nella direzione del Caffaro i bagliori dell’incendio, e di tanto in tanto è possibile sentire delle esplosioni. Alle 15.55 l’Oriani informa Supermarina e Marina Tripoli dell’attacco aereo; il comandante Chinigò si riserva di fornire loro ulteriori informazioni non appena sarà possibile.
Alle 16.05 viene osservata una violenta esplosione nella direzione in cui si trova il Caffaro: subito dopo, infatti, viene ricevuto un messaggio della Circe, che annuncia l’affondamento del piroscafo. Alle 16.50 Circe, Orsa e Fulmine comunicano di avere recuperato rispettivamente 110, 79 e 35 superstiti del Caffaro, che è affondato in posizione 34°14’ N e 11°54’ E (105 miglia a nordovest di Tripoli); le due torpediniere aggiungono di non avere a bordo feriti particolarmente gravi, ragion per cui si ricongiungono al convoglio, mentre il Fulmine, con a bordo un ferito gravissimo, dirige verso Tripoli. Alle 18.40 l’Oriani informa Supermarina e Marina Tripoli che il Caffaro è affondato e che il Fulmine sta procedendo verso Tripoli con un ferito gravissimo, riferendo inoltre del numero di naufraghi recuperati da ciascuna unità.
Nel tardo pomeriggio il convoglio viene nuovamente individuato da un Blenheim, l’aereo L.9875 del 69th Squadron (pilotato dal tenente Crockett), decollato alle 15.45 e rientrato alla base alle 18.55. L’aereo avvista il convoglio in posizione 33°56’ N e 11°52’ E, con rotta 150° e velocità dieci nodi; trenta gradi a nord dello stesso, Crockett nota anche una vasta chiazza di carburante, quattro scialuppe vuote, cinque zattere, rottami galleggianti ed un canotto giallo, sul quale potrebbero essersi rifugiati degli avieri di un aereo abbattuto.
Alle 23.54 il convoglio raggiunge il punto «C» della rotta di sicurezza di Tripoli; i piroscafi si dispongono in linea di fila.
13 settembre 1941
All’1.05 vengono avvistati 4-5 aerei (sono di nuovo degli Swordfish dell’830th Squadron: non quattro o cinque, bensì otto) che procedono con i fanali di via accesi su rotta 240°; Chinigò dirama l’allarme aereo, ed all’1.20 diversi razzi illuminanti (ne vengono contati diciotto in tutto) si accendono sulla sinistra del convoglio. Chinigò ordina alle navi scorta di emettere fumo; sia queste che i mercantili aprono il fuoco, puntato e di sbarramento.
Gli otto Swordfish sono gli aerei ‘F’ (con funzione di ricognitore, pilotato dal tenente di vascello Bibby), ‘P’ (capo formazione, tenente di vascello Lamb), ‘O’ (tenente di vascello Osborn), ‘M’ (sottotenente di vascello Nottingham), ‘S’ (sottotenente di vascello Williams), ‘G’ (sottotenente di vascello Campbell), ‘K’ (sottotenente di vascello Cotton) e ‘A’ (sottotenente di vascello Coxon). L’aereo di Bibby, che deve trovare il convoglio e guidare su di esso gli altri, è decollato da Malta alle 19.55; la forza d’attacco, divisa in due gruppi di tre aerosiluranti più il capo formazione, è partita un’ora dopo. Alle 22.50 il radar ASV di Bibby ha localizzato il convoglio, avvistato dal gruppo d’attacco alle 23.15; l’attacco, secondo le fonti britanniche, avrebbe avuto inizio alle 23.20, di nuovo con una differenza di due ore rispetto alle fonti italiane. I piloti degli Swordfish rivendicano due siluri certamente a segno ed uno probabilmente, con il danneggiamento di una motonave ed una nave cisterna; in realtà, nessuna nave ha subito danni. I piloti riferiscono di aver incontrato intenso tiro contraereo da parte di armi antiaeree sia leggere che pesanti da parte dei mercantili, delle navi di scorta ed anche di batterie a terra (?).
Alle 2.30, concluso l’attacco senza danni e riordinata la formazione, il convoglio riprende la navigazione. Alle 3.33 Marina Tripoli informa l’Oriani che la torpediniera Perseo uscirà da Zuara per andare a rinforzare la scorta del convoglio, e che all’alba un MAS piloterà il convoglio sulla rotta di sicurezza.
Alle 3.45 la Circe riferisce all’Oriani di avvertire rumori di aerei di poppa (si tratta di sette bombardieri Vickers Wellington del 38th Squadron della RAF, anch’essi decollati da Malta), ed alle 3.55 viene avvistato da bordo dell’Oriani un fuoco galleggiante sulla dritta del convoglio; il comandante Chinigò effettua il prescritto segnale di avvistamento. Di nuovo le unità di scorta iniziano ad emettere fumo, e tutte le navi aprono il fuoco di sbarramento: ma alle quattro del mattino viene visto dall’Oriani uno scoppio su uno dei piroscafi, ed alle 4.04 la Circe comunica al caposcorta che è stato colpito il Nicolò Odero. Alle 4.24 una bomba cade nella scia dell’Oriani, ad un centinaio di metri dalla poppa; il cacciatorpediniere reagisce col tiro delle proprie mitragliere. Alle 4.30 la Circe comunica all’Oriani che ci sono uomini in mare e chiede l’invio di un’altra unità, richiesta che Chinigò esaudisce ordinando ad Orsa e Perseo (giunta durante l’attacco) di raggiungere la Circe e coadiuvarla nell’assistenza all’Odero e nel recupero dei naufraghi. Le tre torpediniere prendono a bordo l’equipaggio del piroscafo.
Alle cinque del mattino, concluso l’attacco, viene riordinata la formazione ed il convoglio prosegue sulla rotta di sicurezza. Alle 5.05 la Circe riferisce all’Oriani che il Nicolò Odero ha un incendio a bordo ma che non sta affondando, e chiede l’invio di un rimorchiatore.
All’alba partono pertanto da Tripoli i rimorchiatori Pronta e Porto Palo, che tentano vanamente di domare le fiamme sul Nicolò Odero con ogni mezzo disponibile, poi lo prendono  a rimorchio e tentano dapprima di portarlo a Tripoli, indi lo portano ad incagliare in costa. Sarà tutto vano, perché alle 15 del 14 le fiamme raggiungeranno una stiva piena di munizioni, ed il Nicolò Odero salterà in aria, in posizione 32°51’ N e 12°18’ E.
Secondo le fonti britanniche, l’attaco si è protratto dalle 3.40 alle 4.55, il che concorda con le fonti italiane; i sette Wellington, pilotati dal capitano Davis e dai sergenti Brine, Earl, Pottis, Secomb, Hawes e Robotham, hanno attaccato il convoglio 25 miglia a nordovest di Tripoli e sganciato 24.500 libbre (11,113 tonnellate) di bombe, colpendo quattro navi due delle quali sono state incendiate. In realtà l’unica nave colpita è stata il Nicolò Odero. I piloti riferiscono di aver incontrato “leggero fuoco contraereo da parte dei cacciatorpediniere di scorta”; nessun aereo è stato colpito.
Il resto del convoglio giunge a Tripoli alle 12.30 del 13.
Già sette ore dopo Pegaso, Procione, Orsa, Fulmine ed Oriani (ancora caposcorta) ripartono da Tripoli per scortare a Napoli le motonavi Rialto, Vettor Pisani e Sebastiano Venier. Il convoglio segue la rotta di ponente; la navigazione si svolgerà senza che si registrino eventi di rilievo.
15 settembre 1941
Il convoglio giunge a Napoli alle 9.
23 settembre 1941
L’Oriani parte da Napoli per Tripoli alle quattro del mattino, di scorta, insieme ai cacciatorpediniere Alpino (caposcorta), Fulmine e Strale, ai piroscafi Amsterdam, Perla e Castelverde.
24 settembre 1941
Alle 13 un sommergibile attacca infruttuosamente il convoglio al largo di Pantelleria (attacco non confermato dalle fonti britanniche, potrebbe essersi trattato di un falso allarme).
25 settembre 1941
Il convoglio raggiunge Tripoli alle 12.30.
30 settembre 1941
Oriani, Alpino (caposcorta), Fulmine e Strale lasciano Tripoli alle 16 per scortare a Napoli il piroscafo Caterina, la nave cisterna Minatitlan e la motonave Marin Sanudo.
2 ottobre 1941
All’1.19, in posizione 37°53’ N e 12°05’ E (a sud di Marettimo), il sommergibile britannico Utmost (capitano di corvetta Richard Douglas Cayley) avvista il convoglio di cui fa parte l’Oriani a 6 miglia di distanza, su rilevamento 130°, con rotta stimata 330°. Pur giudicando le condizioni molto sfavorevoli per un attacco, Cayley tenta ugualmente e lancia un singolo siluro contro un mercantile valutato in 2000 tsl; sarebbe in realtà sua intenzione lanciarne tre, ma dopo il lancio del primo l’Utmost viene avvistato dall’Oriani (la cui presenza non era stata notata da Cayley), che lancia un razzo Very verde nella sua direzione. Il sommergibile, pertanto, interrompe l’attacco e s’immerge immediatamente, mentre l’Oriani si precipita all’attacco e lo sottopone a caccia col lancio di 22 bombe di profondità (nessuna delle quali esplode vicino all’Utmost, che così non subisce danni; sul sommergibile vengono contate 14 esplosioni). Il siluro lanciato non colpisce nulla, per quanto sull’Utmost sia stata avvertita un’esplosione che fa erroneamente ritenere che sia andato a segno.
3 ottobre 1941
Il convoglio giunge a Napoli alle due di notte.
16 ottobre 1941
L’Oriani (capitano di fregata Vittorio Chinigò) salpa da Napoli alle 13.30 facendo parte della scorta del convoglio «Beppe», composto dalle motonavi Marin SanudoProbitasBeppePaolina e Caterina e scortato, oltre che dall’Oriani, dai cacciatorpediniere Vincenzo GiobertiFolgore (caposcorta, capitano di fregata Ernesto Giuriati), Fulmine ed Antoniotto Usodimare e dalla torpediniera Cigno.
Il convoglio, denominato «Beppe», segue la rotta che passa ad ovest di Malta, che pur essendo sotto qualche aspetto più rischiosa di quella di est, è giudicata la più idonea per il transito di convogli lenti (velocità non superiore ai 9 nodi, come appunto il «Beppe», che è considerato un convoglio lentissimo) in quanto più breve. I vantaggi di questa rotta consistono nella minor durata del viaggio e nella possibilità di garantire alle navi la scorta aerea – per lo meno di giorno – per tutta la traversata, con aerei decollati da Pantelleria e Lampedusa; gli svantaggi, nella minor distanza della rotta da Malta, nel non dare ai mercantili vie di scampo verso ovest, e nell’avere un percorso racchiuso entro un corridoio ampio poche miglia, delimitato da un lato dai campi minati posati nel Canale di Sicilia e dall’altro dalla costa della Tunisia e dalle secche di Kerkennah. Seguire la rotta di levante comporterebbe, per un convoglio lento, di trattenersi molto più a lungo entro il raggio dell’offesa britannica, così vanificando il vantaggio della maggior distanza dalla base avversaria (peraltro ulteriormente ridotto, nell’ottobre 1941, dall’arrivo a Malta degli aerosiluranti Vickers Wellington, aventi un raggio d’azione maggiore degli Swordfish e degli Albacore, così che nemmeno la rotta di levante passa più al di fuori del raggio operativo degli aerosiluranti).
Alle 16.50 il Probitas viene colto da un’avaria e deve rientrare a Napoli scortato dal Fulmine, mentre la minuscola motonave Amba Alagi (requisita come unità ausiliaria con sigla F 138) si unisce al convoglio a Trapani, dove viene invece lasciata la Cigno.
17 ottobre 1941
Il 17 ottobre “ULTRA”, la celebre organizzazione britannica dedicata alla decrittazione dei messaggi in codice dell’Asse, intercetta e decifra un messaggio relativo al convoglio «Beppe» (da esso chiamato «Caterina»), apprendendone così la composizione (6 mercantili e 4 cacciatorpediniere), data e luogo di partenza (Napoli, ore 11 del 16) ed arrivo (Tripoli, ore 18 del 19), rotta seguita (a ponente di Malta) e velocità (9 nodi); da Malta vengono pertanto fatti decollare dei ricognitori, che rintracciano le navi italiane a mezzogiorno e poi ancora alle 16.40, al largo di Marettimo.
Nella notte tra il 17 ed il 18 il convoglio, che procede a velocità molto bassa e si trova a sud di Pantelleria, viene informato via radio da Supermarina di essere stato avvistato da un ricognitore britannico. Un’ora dopo si verificano i primi attacchi da parte di almeno tre aerosiluranti: questi attaccano dopo aver lanciato dei razzi illuminanti, ma l’attacco può essere eluso grazie a manovre difensive ed alla pronta stesura di cortine nebbiogene, attorno ai mercantili, da parte della scorta (grazie anche alla rotta seguita, 188°, ed al leggero vento di poppa che ha facilitato la copertura dei piroscafi con le cortine fumogene). Vengono avvertite le esplosioni di tre siluri, evidentemente giunti a fine corsa dopo il lancio.
18 ottobre 1941
Alle 9.02, mentre il convoglio è a sud di Lampedusa (nel punto 35°25' N e 11°39' E), ed a 140 miglia da Tripoli (per altra fonte, 45 miglia ad ovest di Lampedusa e 85 miglia ad ovest-nord-ovest di Tripoli), il sommergibile britannico Ursula (tenente di vascello Arthur Richard Hezlet, che ha avvistato il convoglio alle 8.06 nel punto 35°27'N e 11°45'E, con rilevamento 306°) lancia quattro siluri da 5500-6400 metri contro le navi italiane: alle 9.10 il Beppe avvista due siluri; riesce ad evitarne uno, ma l’altro lo colpisce a prua, lasciandolo immobilizzato, fortemente appruato, sbandato ed abbandonato da parte dell’equipaggio. Un’unità della scorta contrattacca con nove bombe di profondità tra le 9.25 e le 10, senza riuscire a danneggiare l’attaccante (che alle 10.12, tornato a quota periscopica, avvisterà il Beppe fermo nel punto dell’attacco, iniziando a ricaricare un tubo lanciasiluri per dargli il colpo di grazia; ma a mezzogiorno, non vedendo più la sua vittima, Hezlet concluderà erroneamente che questa sia già affondata). Il caposcorta distacca per l’assistenza al Beppe l’Oriani ed il Gioberti, ma poco dopo richiama l’Oriani in formazione, a seguito della notizia che altri due cacciatorpediniere, il Nicoloso Da Recco ed il Sebenico, sono salpati da Tripoli allo stesso scopo. Il resto del convoglio prosegue (il Beppe riuscirà a raggiungere Tripoli dopo due giorni di difficile navigazione).
Alle 21.50, ad una sessantina di miglia da Tripoli, vengono avvistati quattro aerei che si avvicinano per attaccare; in realtà sono cinque, aerosiluranti Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm, decollati Malta alle 19.40 al comando del tenente di vascello Aidan F. Wigram (altra fonte parla invece del tenente di vascello Robert Edgar Bibby). Li hanno guidati sul posto le segnalazioni di un ricognitore Vickers Wellington del 211st Squadron della Royal Air Force, munito di radar ASV (Air to Surface Vessel, per la localizzazione di navi da parte di aerei), che ha localizzato e pedinato il convoglio (da esso apprezzato come composto da quattro mercantili di 3000-6000 tsl scortati da quattro cacciatorpediniere).
La scorta inizia ad emettere cortine fumogene, ma la copertura del convoglio risulta meno efficace rispetto alla sera precedente: manca infatti un cacciatorpediniere (il Gioberti, rimasto col Beppe). Il caposcorta ha tenuto un cacciatorpediniere a poppavia del convoglio con l’intento di farlo passare sul lato dove più fosse richiesta la sua presenza sulla base della probabile direzione da cui sarebbero arrivati gli aerei nemici; dato che i razzi illuminanti (li ha lanciati il Wellington del 211st Squadron per illuminare le navi e facilitare il compito degli attaccanti) sono stati lanciati sulla sinistra del convoglio (il che fa presumere che l’attacco giungerà dal lato opposto, in modo che gli attaccanti possano distinguere le sagome delle navi che si stagliano contro la luce dei bengala), Giuriati fa passare il cacciatorpediniere sulla dritta, inevitabilmente accettando di lasciare sguarnito il lato sinistro del convoglio. Alle 22.30, quando l’attacco è in corso da circa tre quarti d’ora, il caposcorta Giuriati ritiene che la nebbia artificiale si sia diffusa abbastanza da coprire un’accostata; pertanto ordina per radiosegnalatore ai mercantili di accostare di 45° a dritta (portandosi su rotta 135°) in modo da allontanarsi dalla zona illuminata dai bengala. Proprio in quel momento, però (altra versione indica le 23.45), il Caterina viene raggiunto da un siluro in sala macchine. L’aereo che l’ha lanciato, contrariamente alle previsioni, ha attaccato il convoglio sul lato sinistro, pur con lo svantaggio di avere i bengala alle spalle.
L’attacco aereo termina alle 23.01, ed alle 23.30 il convoglio compie una nuova accostata di 45° a dritta (assumendo rotta 180°) per evitare di essere individuato.
Subito dopo il siluramento del Caterina il caposcorta Giuriati ordina all’Oriani di prestare assistenza al piroscafo sinistrato.
Sebbene gravemente danneggiato, il Caterina continua a galleggiare per parecchie ore dopo il siluramento; da Tripoli vengono fatte salpare alcune unità di soccorso, tra cui l’anziana torpediniera Generale Antonino Cascino ed il rimorchiatore tedesco Max Berendt (fatto partire alle 4.30 del 19 ottobre dopo che il Comando navale tedesco di Tripoli ha ricevuto alle quattro una chiamata del locale Comando Marina italiano, che informa che il Caterina è stato silurato alle 22.30 in posizione 34°04’ N e 12°55’ E, ma che può proseguire a bassa velocità). Si dirige sul posto anche il Sebenico, inizialmente fatto salpare da Tripoli per andare in soccorso del Beppe. L’equipaggio del Caterina viene trasferito sulle unità di scorta; il comandante del piroscafo, capitano di lungo corso Mario Suttora, è l’ultimo a lasciare la nave, cosa che fa solo dopo ripetute sollecitazioni da parte del comandante Chinigò dell’Oriani.
19 ottobre 1941
L’Oriani assiste il Caterina in ogni modo e tenta infruttuosamente di prenderlo a rimorchio, ma è tutto inutile: alle 17.30 del 19 ottobre, dopo un’agonia durata diciannove ore, il piroscafo si capovolge ed affonda a 62 miglia per 350° dal faro di Tripoli (cioè a nord della città libica) e 80 miglia a sudest di Lampedusa.
Il Max Berendt, la cui opera ormai non è più necessaria, viene inviato in soccorso del Beppe, che prenderà a rimorchio per l’ultimo tratto della sua difficile navigazione verso Tripoli.
L’Oriani recupera tutti gli uomini imbarcati sul Caterina ad eccezione di tre, rimasti uccisi nel siluramento (per altra versione, invece, le vittime sarebbero state 14, ed i 185 superstiti sarebbero stati recuperati dalla torpediniera Cascino).
Il marinaio Luigi Gasparrini dell’Oriani, di 20 anni, da Porto Recanati, sarà decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare per il suo ruolo nel salvataggio dell’equipaggio del Caterina e nei tentativi di salvare il piroscafo: «Imbarcato su silurante di scorta, destinata a prestare assistenza a piroscafo silurato da aerei avversari, si offriva volontariamente per armare una imbarcazione di salvataggio e, mentre ancora proseguiva l'azione nemica, si portava ripetutamente sotto il bordo della nave per raccogliere i naufraghi. Recatosi quindi sull'unità sinistrata, partecipava con sereno coraggio ai vari tentativi di rimorchio, nonostante lo sbandamento sempre crescente, dimostrando belle qualità marinaresche e profondo senso del dovere».
20 ottobre 1941
L’Oriani lascia da Tripoli per Palermo alle 16.15, scortando il piroscafo Nirvo. Successivamente viene sostituito nella scorta dalla torpediniera Generale Antonio Cantore (oppure rientra a Tripoli con il piroscafo per allarme navale).
6 novembre 1941
Oriani (capitano di fregata Vittorio Chinigò), Libeccio (capitano di fregata Corrado Tagliamonte) e Grecale (capitano di fregata Giovanni Di Gropello) salpano da Palermo poco prima della mezzanotte per scortare a Messina il piroscafo Rina Corrado (capitano di lungo corso Guglielmo Schettini) e la nave cisterna Conte di Misurata (capitano di lungo corso Mario Penco), che dovranno là unirsi ad un convoglio in partenza per l’Africa.
7 novembre 1941
Le navi giungono a Messina verso le due del pomeriggio.

L’Oriani in una foto tratta dal libro “OTO 1939” (g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net)

8 novembre 1941
Alle 3.30 di notte dell’8 novembre 1941 Oriani, Libeccio e Grecale salpano da Messina scortando Rina Corrado e Conte di Misurata, che devono unirsi al grosso del convoglio «Beta» (poi divenuto meglio noto come “Duisburg”) proveniente da Napoli.
Tale convoglio era originariamente formato dai piroscafi tedeschi Duisburg (capitano di lungo corso Arno Ostermeier, capoconvoglio) e San Marco (capitano di lungo corso Paul Ossemberg), dall’italiano Sagitta (capitano di lungo corso Domenico Ingegneri), dalla motonave Maria (capitano di lungo corso Angelo Pogliani) e dalla grande e moderna nave cisterna Minatitlan (capitano di lungo corso Guido Incagliati), scortati dai cacciatorpediniere Maestrale (caposcorta, capitano di vascello Ugo Bisciani), Euro (capitano di corvetta Giuseppe Cigala Fulgosi), Fulmine (capitano di corvetta Mario Milano), BersagliereGranatiereFuciliere ed Alpino.
Dopo la partenza da Messina, OrianiLibeccioGrecale, insieme ai due bastimenti mercantili, assumono rotta sud e bassa velocità, in modo da farsi raggiungere dal gruppo proveniente da Napoli.
La riunione tra i due gruppi del convoglio avviene alle 4.30 dell’8 novembre, a sud dello stretto di Messina; si forma un unico convoglio di sette mercantili scortati da Oriani, LibeccioMaestraleGrecaleFulmine ed Euro, mentre gli altri quattro cacciatorpediniere (costituenti la XIII Squadriglia del capitano di vascello Ferrante Capponi), dopo essersi riforniti a Messina, si uniscono alla III Divisione (incrociatori pesanti Trento e Trieste, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Bruno Brivonesi), uscita in mare per fornire scorta indiretta al convoglio. Alle 16.45, con l’arrivo della III Divisione (che raggiunge il convoglio in posizione 37°40’ N e 15°57’ E, a 19 miglia per 155° da Capo dell’Armi, e si posiziona a poppavia dello stesso) la formazione è completa.
Il convoglio procede su tre colonne: destra, composta da San Marco e Conte di Misurata preceduti dal Maestrale e seguiti dall’Oriani; centrale, DuisburgSagitta e Rina Corrado; sinistra, Minatitlan e Maria precedute dall’Euro e seguite dal Grecale. Il Fulmine  è posizionato a dritta della terza colonna, il Libeccio a sinistra della prima. Le navi procedono a 8 nodi di velocità.
In tutto i sette mercantili trasportano 34.473 tonnellate di materiali, 389 autoveicoli e 243 uomini. Vi è anche – ma solo di giorno – una scorta aerea per la quale sono stati mobilitati in tutto 64 aerei (58 dell’Armata Aerea e 6 idrovolanti antisommergibili), mantenendo sempre otto velivoli costantemente in volo sul cielo del convoglio.
Dalle 7.30 fino alle 17.30, sul cielo del convoglio e della III Divisione si alternano dieci idrovolanti CANT Z. 506 della Ricognizione Marittima, due bombardieri Savoia Marchetti SM. 79 “Sparviero” e 66 caccia (34 Macchi MC 200 del 54° Stormo della Regia Aeronautica, due FIAT CR. 42 del medesimo stormo, 22 CR. 42 del 23° Gruppo e otto Messerschmitt Bf 110 della 9° Squadriglia del 3° Gruppo del 26° Stormo da Caccia della Luftwaffe). I caccia si alternano sul convoglio in numero di quattro per volta: una coppia ad alta quota per contrastare eventuali attacchi di bombardieri, e una
coppia a mille metri di quota per contrastare attacchi a volo radente e di aerosiluranti.
Tre coppie di SM. 79 decollano dalla Sicilia ed effettuano ricognizione marittima verso sudest; altri aerei dell’Aeronautica della Sicilia effettueranno missioni di ricognizione e bombardamento sul porto della Valletta.
Ad ulteriore protezione del convoglio, Supermarina invia nelle acque di Malta, dove si è da poco dislocata una formazione navale britannica – la Forza K – i sommergibili Delfino e Luigi Settembrini, con compiti esplorativi ed offensivi nei confronti di unità britanniche in partenza dall’isola.
L’incrociatore pesante Gorizia (anch’esso appartenente alla III Divisione) ed i cacciatorpediniere Carabiniere e Corazziere della XII Squadriglia sono a Messina, pronti a muovere in due ore qualora se ne manifestasse la necessità.
Una volta in franchia dello stretto di Messina (la riunione avviene subito dopo il suo superamento da parte del primo gruppo di navi), il convoglio mette la prua verso est (rotta 90°), per imboccare la rotta che passa ad est di Malta, al largo della costa occidentale greca (così da restare fuori dal raggio d’azione degli aerosiluranti di Malta, stimato in 190 miglia), nonché per ingannare i britannici circa la destinazione del convoglio, facendo credere che questa sia un porto della Grecia oppure Bengasi. Durante la navigazione verso est, inoltre, le unità effettuano diverse accostate verso ovest per confondere le idee ad eventuali ricognitori circa la loro rotte; ciò non basta tuttavia ad impedire che, nel pomeriggio dell’8 novembre – alle 16.45, poco prima del tramonto, secondo il resoconto italiano; già alle 13.55, secondo quello britannico – il convoglio (ma non la III Divisione) venga comunque localizzato, in posizione 37°38’ N e 17°16’ E (40 miglia ad est di Capo Spartivento Calabro), da un ricognitore Martin Maryland della Royal Air Force (69th Reconnaissance Squadron), decollato da Luqa (Malta) e pilotato dal tenente colonnello John Noel Dowland.
Le navi della scorta (precisamente l’Euro), da 5000 metri, avvistano il ricognitore, e fanno segnali luminosi alla scorta aerea (con cui non è possibile comunicare via radio) per richiedere che attacchi il velivolo nemico, ma gli aerei della scorta non fanno nulla (per altra fonte, invece, le segnalazioni previste per avvisare gli aerei della presenza del ricognitore non furono effettuate, “per grave disservizio”). (Contrariamente a molte altre occasioni, il servizio di intercettazione e decrittazione britannico “ULTRA” non ebbe alcun ruolo nelle vicende del convoglio «Beta»). Il Maryland si trattiene in vista del convoglio solo il tempo strettamente necessario a rilevarne gli elementi del moto, che comunica prontamente a Malta («Un convoglio di 6 navi mercantili e 4 cacciatorpediniere diretto verso levante, nel punto 40 miglia per 95° da Capo Spartivento», anche se la velocità, nella realtà 9 nodi, è sovrastimata in 10-12 nodi). L’orientamento verso est della rotta del convoglio (che virerà verso sud solo più tardi) non inganna i comandi britannici: un convoglio tanto grande non può essere diretto né in Grecia né a Bengasi (porto dalle capacità ricettive insufficienti). L’unica destinazione plausibile è Tripoli, e le navi italiane cercheranno di raggiungerla tenendosi al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti: il che permette di intuire che il convoglio passerà circa 200 miglia ad est di Malta, per poi puntare verso un porto della Libia.
Alle 17.30, di conseguenza, salpa da Malta la Forza K britannica, formata dagli incrociatori leggeri Aurora (capitano di vascello William Gladstone Agnew, comandante della Forza K) e Penelope (capitano di vascello Angus Dacres Nicholl) e dai cacciatorpediniere Lance (capitano di corvetta Ralph William Frank Northcott) e Lively (capitano di corvetta William Frederick Eyre Hussey): una forza costituita appositamente per intercettare e distruggere i convogli italiani diretti in Libia. La partenza della Forza K è tanto Fulminea che il comandante del Penelope, capitano di vascello Nicholl, deve raggiungere la sua nave con un’imbarcazione, in quanto l’incrociatore sta già manovrando per uscire dal porto.
La ricognizione aerea italiana (due CANT Z. 1007 dell’Aeronautica dell’Egeo) e tedesca (due Junkers Ju 88 del X Fliegerkorps) non avvista le navi britanniche.
Anche un bombardiere Wellington munito di radar (del 211st Squadron della RAF) ed otto aerosiluranti Fairey Swordfish (dell’830th Squadron della Fleet Air Arm, di base a Hal Far) decollano da Malta per rintracciare il convoglio (il primo per seguirlo e mantenere il contatto con esso, i secondi per attaccarlo), ma non riescono a trovarlo: il Wellington per malfunzionamento della radio e del radar, gli Swordfish perché il convoglio segue appunto una rotta che lo tiene al di fuori del loro raggio d’azione.
Niente di tutti ciò è a conoscenza delle navi del convoglio «Beta», che proseguono regolarmente per la loro rotta. Il tempo è buono: mare calmo, nubi leggere e vento debole, forza 3. La scorta aerea viene ritirata al tramonto.
Tra le 18 e le 18.30, mentre la III Divisione Navale e la XIII Squadriglia Cacciatorpediniere zigzagano sulla sinistra del convoglio, quest’ultimo manovra per passare dalla formazione su tre colonne a quella su due colonne, distanziate di 1000-1500 metri. La nuova formazione è così composta: a destra, nell’ordine, DuisburgSan Marco e Conte di Misurata; a sinistra, nell’ordine, MinatitlanMaria e Sagitta, mentre il Rina Corrado procede più a poppavia degli altri sei mercantili, in posizione centrale rispetto alle due colonne. Tutt’intorno la scorta diretta: Maestrale in testa al convoglio, Grecale in coda, Libeccio seguito dall’Oriani sul lato sinistro (scorta laterale sinistra), ed Euro seguito dal Fulmine sul lato destro.
Fino alle 19.30 il convoglio segue rotta 090°, poi accosta per 122°, ed alle 19.55 per 161°, sempre per tenersi al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti.
Alle 20.45 la III Divisione si porta a poppa del convoglio, e tra le 22 e le 24 le navi  di Brivonesi risalgono il convoglio sino a portarsi a 30° di prora a dritta del Maestrale; poi, a mezzanotte, invertono la rotta a un tempo per defilare di controbordo al convoglio.
Intanto, la Forza K naviga verso la sua ignara preda: avendo inizialmente assunto rotta verso est, la formazione britannica vira verso sudest subito dopo il tramonto, ed attraversa, senza essere avvistata, la zona d’agguato del Settembrini. Le unità britanniche sono disposte in linea di fila, con l’Aurora in testa seguito nell’ordine da LancePenelope e Lively, distanziati tra loro di 750 metri.
Agnew ha già da tempo preparato e discusso con i comandanti dipendenti un piano d’azione in caso di attacco ad un convoglio: le navi britanniche rimarranno in linea di fila, per evitare problemi di riconoscimento e per poter lanciare liberamente siluri; prima di attaccare dei mercantili, la Forza K neutralizzerà le navi di scorta presenti sul lato attaccato; nel caso altre unità di scorta dovessero apparire durante l’attacco ai mercantili, esse diverranno immediatamente bersaglio prioritario; l’Aurora (capofila) manterrà ogni nave di scorta bene di prora fino ad averla posta fuori uso.
9 novembre 1941
Alle 00.39 il convoglio viene avvistato otticamente – il radar non ha alcun ruolo di rilievo nell’individuazione del convoglio: le navi italiane vengono avvistate perché illuminate dalla luce lunare, il radar sarà poi impiegato nel puntamento dei cannoni durante il combattimento – dalla Forza K. Secondo il rapporto britannico, in quel momento le navi italiane si trovano in posizione 36°55’ N e 17°58’ E (135 miglia a sud di Siracusa, 100 miglia ad est-sud-est di Capo Spartivento e 180 miglia ad est di Malta), a 5 miglia per 30° dalla Forza K (per altra fonte, a 7 miglia per 30° dall’Aurora, autore dell’avvistamento); la documentazione italiana indica invece il punto dell’attacco come 37°00’ N e 18°10’ E, a circa 120 miglia dalle coste della Calabria. Secondo Agnew, la visibilità notturna è ottimale, la luna splendente e luminosa, e le condizioni perfette per un’intercettazione (vento forza 3 da nord-nord-ovest, nubi leggere e calma di mare); nel suo rapporto, Bisciani registrerà brezza moderata verso sud-est, nuvolaglia leggera e luna scoperta, con «orizzonte ottimo nel secondo quadrante, buono nel terzo, fosco nel quarto».
Il convoglio avanza su rotta 170° alla velocità di 9 nodi, nella formazione su due colonne assunta alle 18.30; la III Divisione, quale scorta indiretta, segue a quattro chilometri a poppavia.
Qualcuna delle unità della scorta diretta, grazie alla luna piena, avvista anche la Forza K, 3-5 km a poppavia, ma ritiene trattarsi della III Divisione. Alle 00.40 il Bersagliere (che, con il resto della scorta indiretta, procede a 12 nodi a poppavia del convoglio, verso est, a 4.000-5.000 metri da esso) è la prima nave italiana ad avvistate le unità della Forza K e lancia il segnale di scoperta, che sarà però ricevuto da Brivonesi e Bisciani solo a scontro già in corso.
Anziché attaccare subito il convoglio, il comandante Agnew manovra flemmaticamente per portarsi nella posizione più favorevole all’attacco, approfittando del fatto che nessuna nave italiana sembri accorgersi della sua presenza. La Forza K riduce la velocità da 28 a 20 nodi ed accosta a sinistra per 350°, quindi aggira il convoglio con una manovra che richiede 17 minuti, portandosi a poppa dritta rispetto ad esso, di modo che i bersagli si staglino contro la luce lunare. I bersagli vengono identificati e scelti dai puntatori, i cannoni puntati e preparati ad aprire il fuoco a colpo sicuro. L’Aurora punta l’armamento principale, asservito al radar tipo 284, sui cacciatorpediniere della scorta, ed i cannoni da 100 mm di sinistra, asserviti al radar tipo 290, sui mercantili Alle 00.52 la Forza K avvista la III Divisione, della cui presenza nessuno, da parte britannica, ha fino a quel momento avuto sentore; ma ciò non modifica le intenzioni di Agnew, il quale poco dopo conclude che le due “navi maggiori” (che sono, in effetti, il Trento ed il Trieste) ed i cacciatorpediniere che le accompagnano debbano essere degli altri mercantili con la loro scorta. Alle 00.56 il Lively stima che il convoglio abbia rotta 150° e velocità 8 nodi; in base ai dati del suo radar, il Maestrale dista 10.060 metri, i mercantili che lo seguono 8230 metri.
Solo alle 00.57 la Forza K, giunta circa 5 km a sudest del convoglio, apre il fuoco sulle ignare navi italiane da una distanza di 5200 metri, orientando il tiro con l’ausilio dei radar tipo 284 e defilando lungo il fianco dei mercantili.
Il tiro britannico si abbatte per primo sui cacciatorpediniere che proteggevano il lato più vicino alla Forza K, cioè quello opposto a quello ove si trova l’Oriani: su quel lato sono invece FulmineEuro e Grecale. Il primo e l’ultimo vengono ripetutamente centrati senza avere il tempo di poter imbastire una reazione efficace: il Fulmine affonda dopo pochi minuti, il Grecale rimane alla deriva con danni gravissimi e decine di morti e di feriti gravi, completamente fuori combattimento. L’Euro scampa invece alla strage iniziale (viene anch’esso colpito, ma i danni non sono gravi), e tenta di coprire i mercantili con una cortina fumogena, imitato da Libeccio e Maestrale.
Subito dopo l’Aurora, il cui primo bersaglio è il Grecale, anche Lance e Penelope aprono il fuoco: quest’ultimo tira prima su un piroscafo e poi sul Maestrale, che accosta per 80°, accelera a 20 nodi ed emette cortine fumogene, seguito dal convoglio. Libeccio ed Euro manovrano anch’essi aumentando la velocità, per tentare di occultare le navi di testa del convoglio con cortine fumogene.
Per ordine del Maestrale (che ha ordinato alle unità della scorta di radunarsi intorno a lui), l’Oriani e gli altri cacciatorpediniere della scorta diretta emettono cortine fumogene per nascondere i mercantili, poi assumono rotta verso est ed incrementano la velocità. Nella generale confusione, il caposcorta Bisciani ritiene erroneamente che l’attacco provenga dal lato sinistro del convoglio (in realtà ad essere sotto attacco è il lato destro), e che le navi sul lato destro siano quelle della III Divisione (mentre è la Forza K).
Intanto, all’1.18, l’Euro va al contrattacco silurante, unica unità della scorta ad abbozzare un effettivo tentativo di reazione; il suo comandante, tuttavia, ha il dubbio di stare attaccando le navi della III Divisione, così rinuncia a lanciare i siluri ed abbandona il contrattacco, accostando a sinistra per riunirsi a Maestrale, Oriani e Libeccio, che dirigono verso est inquadrati dal tiro delle artiglierie della Forza K.
Poco dopo viene colpito da schegge anche il Maestrale; i danni sono lievi ma comprendono l’abbattimento dell’aereo radiotelegrafico, il che impedisce al caposcorta di trasmettere ulteriori ordini alle unità dipendenti. I cacciatorpediniere della scorta diretta che si trovano sul lato orientale del convoglio (cioè, appunto, Oriani e Libeccio) si ritrovano così disorientati e senza ordini; per la loro posizione, non hanno neanche compreso – per lo meno nei primi minuti, quelli decisivi – quale sia il tipo di attacco lanciato contro il convoglio. Si limitano ad emettere fumo, rimanendo sul lato del convoglio che non si trova sotto attacco. Alcuni, compresi i comandanti di diversi mercantili, ritengono che le navi siano sotto attacco aereo, e non da parte di altre navi di superficie.
I mercantili, nel vano tentativo di sfuggire alla Forza K (proveniente da ovest), mettono la prua verso est; lo stesso fa il Maestrale, per motivo difficilmente spiegabile, ed Oriani e Libeccio, in mancanza di ordini, lo seguono per imitazione di manovra, continuando ad avvolgere i mercantili in inutili cortine nebbiogene (più tardi, alzata un’antenna radio di fortuna, sarà il Maestrale stesso ad ordinare ai cacciatorpediniere superstiti di seguirlo verso est). L’Euro, unico altro cacciatorpediniere rimasto in efficienza, fa come loro. In tal modo, eccetto che per l’abortito tentativo iniziale dell’Euro, nessuna unità della scorta tenta di contrattaccare attivamente le navi nemiche, a differenza di quanto accade di solito in queste circostanze. La successiva azione della Forza K contro i mercantili incontra così ben poco contrasto. L’operato della scorta diretta del convoglio "Duisburg" verrà giudicato sfavorevolmente dall’ammiraglio Wladimiro Pini, comandante del Dipartimento Militare Marittimo del Basso Tirreno, e dagli alti comandi della Regia Marina.
Neutralizzata parte della scorta diretta, mentre il resto di quest’ultima brancola nel buio, alle 00.59 l’Aurora accosta a dritta e guida la Forza K in una manovra avvolgente, una sorta di volta tonda nella quale aggira i mercantili da ovest verso est, facendo fuoco su ognuno di essi finché questo s’incendia od esplode. Primi ad essere colpiti sono Maria e Sagitta, i più vicini alla zona di provenienza della Forza K, poi anche gli altri, uno dopo l’altro. Nessun trasporto riesce a sfuggire, data la bassa velocità massima sviluppabile; le cortine fumogene non servono a nulla, né serve il violento e confuso fuoco di mitragliere che molti dei mercantili – alcuni dei quali credono ancora di avere a che fare con un attacco aereo – aprono disordinatamente. Molte delle navi, continuando a non capire se si trovino sotto attacco navale od aereo, non tentano nemmeno di fuggire: Agnew scriverà poi che sembrava che aspettassero il loro turno per essere distrutte.
Il Lance colpisce ripetutamente Maria e Sagitta (oltre al Fulmine), mentre il Lively, che apre il fuoco per ultimo (all’una di notte), colpisce il Duisburg. L’Aurora cannoneggia ed incendia il Rina Corrado, quindi mitraglia il già danneggiato Fulmine, che viene poi finito dal Penelope. Il Conte di Misurata tenta di dare la poppa al fuoco nemico per allontanarsi, ma viene rapidamente colpito ed incendiato dall’Aurora. Quest’ultimo prende poi di mira la Minatitlan, che non ha miglior fortuna, ed impegna un cacciatorpediniere, forse il Maestrale.
All’1.25 l’Aurora accosta a sinistra, di prora al convoglio, per tagliargli la rotta ed assicurarsi che nessun mercantile possa sfuggire, ed all’1.45 dirige verso ovest per girargli intorno: tutti i mercantili sono ormai avvolti dalle fiamme. Alle 2.06, completata la propria opera di distruzione, la Forza K accelera a 25 nodi e dirige per rientrare a Malta, senza aver subito alcun danno (eccetto uno lievissimo, un foro da scheggia, al fumaiolo del Lively).
Deludente la reazione della III Divisione: avvistate, all’1.01, le vampe dei cannoni della Forza K che aprono il fuoco sul convoglio, le navi di Brivonesi accostano a dritta, su rotta 240°, poi a sinistra; il Trieste apre il fuoco all’1.03 ed il Trento due minuti dopo, da grandissima distanza (8 km). All’1.08 la III Divisione assume rotta 180°; pur potendo raggiungere velocità superiori ai 30 nodi, Brivonesi mantiene inspiegabilmente la velocità delle sue navi a 15-16 nodi (la Forza K procede a 20 nodi), aumentandoli a 18 solo all’1.12, ed a 24 all’1.18. All’1.25, essendo la distanza divenuta ormai eccessiva (alzo 17 km), la III Divisione cessa il fuoco: a quell’ora il convoglio “Duisburg” non esiste già più. Gli incrociatori di Brivonesi hanno sparato 207 colpi da 203 mm e 82 da 100 mm, senza metterne uno solo a segno. All’1.29 l’ammiraglio fa assumere alle sue navi rotta nord e velocità 24 nodi, per intercettare le unità britanniche dirette verso Malta, ma l’incontro non avviene, perché Brivonesi, informato da Supermarina del possibile pericolo di un attacco di aerosiluranti, crede di trovarsi nel raggio d’azione di una portaerei britannica ed all’1.35 assume rotta nordovest, allontanandosi dal luogo dello scontro e dalla Forza K. Il Bersagliere, unico cacciatorpediniere della XIII Squadriglia a reagire, apre il fuoco tra l’1.01 e l’1.05, inutilmente, contro le navi nemiche, avvicinandosi ad esse; avvistato e scambiato per un altro dei cacciatorpediniere della scorta diretta, viene bersagliato da poche salve dei pezzi secondari da 102 mm del Penelope e decide allora di ripiegare verso est.
Nel frattempo, dopo aver chiesto alla III Divisione «con chi siete impegnati», all’1.22 il Maestrale dirige per nordest, prima con rotta 65° e poi con rotta 40°, ossia dalla parte opposta da quella in cui si trova la Forza K, allontanandosi ad elevata velocità, che poi riduce per aspettare Oriani, Euro e Libeccio cui ha ordinato di seguirlo.
All’1.38 il Libeccio viene colpito da una granata britannica che non esplode, arrecandogli soltanto danni lievi; in nessuna ricostruzione dello scontro si parla invece di danni all’Oriani, sul quale tuttavia un membro dell’equipaggio, il sottocapo cannoniere Saverio Vindigni (24 anni, da Pozzallo), perde la vita ucciso da schegge (sarà decorato alla memoria con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con motivazione «Imbarcato su silurante in servizio di scorta a convoglio, nel corso di uno scontro notturno, assolveva il suo compito con sereno coraggio ed elevato spirito di sacrificio. Gravemente ferito da schegge di bomba immolava la vita nell’adempimento del dovere»).
All’1.41 Oriani, LibeccioMaestrale ed Euro assumono rotta 90°, che seguono per un po’ a 30 nodi di velocità, mentre il caposcorta Bisciani attende che giunga qualche notizia sugli accadimenti in corso.
(Secondo una fonte, i quattro cacciatorpediniere si ritirarono una decina di miglia ad est del convoglio per riorganizzarsi, poi andarono al contrattacco aprendo il fuoco con le proprie artiglierie, ma astenendosi dal lanciare siluri per evitare di colpire i mercantili, che si trovavano al di là della Forza K. Le quattro unità di Bisciani avrebbero poi seguitato a fare fumo ed ad impegnare le navi britanniche ogni volta che queste divenivano visibili, senza però riuscire a concludere nulla. Niente di tutto ciò, però, risulta dall’approfondita ricostruzione dello scontro fatta dallo storico Francesco Mattesini).
All’1.44 l’ammiraglio Brivonesi ordina a Bisciani di tornare presso i mercantili per recuperarne i naufraghi; alle due di notte i cacciatorpediniere, tutti spostatisi verso est seguendo il caposcorta (ormai distano ben 17 miglia da quel che resta del convoglio), invertono finalmente la rotta per riavvicinarsi al convoglio, procedendo a 18 nodi. Raggiungono i relitti in fiamme alle tre di notte. Non vi è a galla un solo piroscafo che sia salvabile; alcuni sono già affondati, altri lo faranno più tardi. La Minatitlan, con le sue novemila tonnellate di carburante in fiamme, illumina la notte in uno spaventosi rogo. Continuerà a bruciare fino al mattino seguente.
Poco dopo le tre di notte, l’Oriani e gli altri tre cacciatorpediniere iniziano a recuperare centinaia di naufraghi dal mare cosparso di nafta e rottami; l’operazione di soccorso, cui molto più tardi si uniranno anche alcuni cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, proseguirà per tutta la mattinata del 9 novembre. Più o meno verso le tre, l’Oriani giunge in prossimità dell’Euro (danneggiato durante lo scontro), che con una lampada di fortuna gli segnala di trovarsi in condizioni di efficienza, al di là dell’avere tutti gli apparati per la comunicazione fuori uso salvo il radiosegnalatore, e gli comunica che lo seguirà per imitazione di manovra. L’Oriani risponde ordinando all’Euro di iniziare il recupero dei naufraghi, attività cui partecipa a sua volta: tra i naufraghi raccolti dall’Oriani è anche il comandante del nucleo mitraglieri della Conte di Misurata, che nel rapporto redatto dopo il salvataggio scriverà «Abbiamo avuto un’accoglienza ed un’assistenza veramente fraterna».
Intanto, il malconcio Grecale arranca verso nord; alle quattro del mattino rimane definitivamente immobilizzato e deve chiedere aiuto via radio. Il caposcorta Bisciani invia in suo soccorso l’Oriani, che interrompe così il salvataggio dei naufraghi; fino a quel momento ha raccolto 48 superstiti delle navi affondate.
L’Oriani raggiunge il cacciatorpediniere avariato alle sette del mattino; alle 7.40 è sottobordo al Grecale, pronto a prenderlo a rimorchio, e dopo aver teso il cavo, alle 8.20 ha inizio la navigazione a rimorchio alla volta di Crotone, secondo gli ordini impartiti all’Oriani dal Maestrale. A partire dalle 9.30, essendo riuscito il personale di macchina a stabilire un ciclo di vapore prodotto da acqua salata, il Grecale è in grado di usare anche le proprie macchine per andare avanti adagio, in modo da ridurre il più possibile i tempi necessari a raggiungere Crotone. Nondimeno, il cacciatorpediniere danneggiato continua ad essere rimorchiato dall’Oriani fino alle 15.33, quando il cavo di rimorchio si rompe; a questo punto il Grecale prosegue con i propri mezzi, scortato dall’Oriani, riuscendo a sviluppare una velocità di 10-11 nodi.
Alle 18.55 il Grecale può dare fondo a 1380 metri per 250° dalla testata della diga foranea di Crotone (da qui sarà poi trainato a Taranto dai rimorchiatori Atlante e Lipari). L’Oriani sbarca a Crotone anche i feriti gravi, dopo di che riparte diretto a Messina.
10 novembre 1941
Arriva a Messina in mattinata.
Per la sua condotta durante lo scontro notturno ed il rimorchio del Grecale, il comandante Chinigò riceverà la Croce di Guerra al Valor Militare, con motivazione «Comandante di C.T., impegnato in uno scontro navale notturno, manovrava con serenità e noncuranza del pericolo sotto il continuo fuoco nemico e si prodigava successivamente con ardimento e perizia marinaresca per effettuare il rimorchio di una unità immobilizzata, riuscendo a condurla in porto».
19 novembre 1941
Oriani, Gioberti e Maestrale (caposcorta, capitano di vascello Stanislao Caraciotti) salpano da Napoli alle 20 di scorta alle motonavi Ankara (tedesca) e Sebastiano Venier, che costituiscono il convoglio «Alfa» diretto a Tripoli nell’ambito di un’operazione di traffico volta ad inviare urgenti rifornimenti in Libia, dov’è iniziata da pochi giorni un’offensiva britannica (operazione «Crusader») e dopo che la distruzione del convoglio «Duisburg», avvenuta il 9 novembre ad opera della Forza K britannica, ha provocato la perdita di un ingente quantitativo di rifornimenti diretti in Africa Settentrionale.
Dopo qualche giorno di parziale stasi dovuto al disastro del 9 novembre, infatti, il capo di Stato Maggiore generale, maresciallo Ugo Cavallero, ha dato ordine il 13 novembre di far partire immediatamente per la Libia le motonavi già cariche e pronte alla partenza, con poderosa scorta di almeno due divisioni di incrociatori, con operazione da svolgersi al più presto, al fine di “sfruttare il vantaggio della sorpresa”.
Supermarina, d’accordo con Superareo, ha quindi subito provveduto a dare le disposizioni per l’invio a Tripoli delle sei motonavi già pronte a Napoli (MonginevroAnkaraSebastiano VenierVettor PisaniNapoli ed Iridio Mantovani), lungo la rotta di levante, passando per lo Stretto di Messina e tenendosi poi al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti di Malta (190 miglia).
L’operazione vede in mare altri due gruppi di due moderne motonavi ciascuno: i due scaglioni del convoglio «C», il primo partito da Napoli alle 20 del 20 (motonavi Napoli e Vettor Pisani, cacciatorpediniere Turbine, torpediniera Perseo) ed il secondo salpato anch’esso da Napoli alle 5.30 del 21 (motonave Monginevro, nave cisterna Iridio Mantovani, cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, torpediniera Enrico Cosenz). La III e VIII Divisione Navale dovranno dare loro protezione; dallo stretto di Messina in poi, dovranno navigare ad immediato contatto col convoglio «C», quasi incorporate in esso.
Al contempo, una motonave veloce (la Fabio Filzi) sarà inviata sempre a Tripoli ma sulla rotta di ponente (per il Canale di Sicilia), con la scorta di un paio di cacciatorpediniere (oltre che di aerei: sia sui due convogli che sulla Filzi la scorta aerea dovrà essere continua, nelle ore diurne, dal 20 al 23 novembre), per non dare nell’occhio. Contestualmente saranno inviati a Bengasi l’incrociatore leggero Luigi Cadorna in missione di trasporto di carburante (da Brindisi) e le motonavi Città di Palermo e Città di Tunisi cariche di truppe (da Taranto), e verranno fatte rientrare in Italia le navi rimaste bloccate a Tripoli dall’inizio di novembre. L’idea è che un tale numero di navi in movimento contemporaneamente, divise in più convogli sparsi su una vasta area, confonda e disorienti la ricognizione maltese; che i convogli finiscano col coprirsi a vicenda; che la presenza in mare della III e VIII Divisione scoraggi interventi da parte della Forza K britannica (autrice della distruzione del convoglio «Duisburg»), notevolmente inferiore per numero e potenza (incrociatori leggeri Aurora e Penelope e cacciatorpediniere Lance e Lively). L’Aeronautica, oltre alla scorta antiaerea ed antisommergibile dei convogli, effettuerà anche azioni di ricognizione e di bombardamento degli aeroporti di Malta. Alcuni sommergibili vengono disposti in agguato nelle acque circostanti l’isola.
21 novembre 1941
Il convoglio «Alfa», protetto da caccia della Regia Aeronautica, dovrebbe attraversare lo stretto di Messina ed unirsi al convoglio «C» nella giornata del 23, ma viene localizzato da un ricognitore britannico (nonostante questo venga avvistato dai cacciatorpediniere e segnalato alla scorta aerea) e sottoposto a pesanti attacchi aerei, che lo costringono a riparare ad Argostoli tra le 9.30 e le 10 (per altra versione il caposcorta decide di puggiare ad Argostoli dopo aver intercettato un messaggio radio che segnala la presenza di una forza navale britannica in acque non lontane).
L’intera operazione fallisce a causa degli intensi attacchi aerei e subacquei britannici, che danneggiano gravemente gli incrociatori Trieste e Duca degli Abruzzi ed inducono ad ordinare il rientro in porto dei convogli.
22 novembre 1941
Il convoglio «Alfa» lascia Argostoli alle 4.45 diretto a Taranto, dove arriva alle 19.30.
29 novembre 1941
In un momento particolarmente critico della battaglia dei convogli (nel corso del mese di novembre sono andati distrutti due importanti convogli, il “Duisburg” ed il “Maritza”, e complessivamente solo il 30 % dei rifornimenti e l’8 % del carburante inviati in Libia sono giunti a destinazione), Oriani, Gioberti e Maestrale (che costituiscono la X Squadriglia Cacciatorpediniere, al comando del capitano di vascello Stanislao Caraciotti del Maestrale, che ha sostituito Bisciani sbarcato dopo il disastro del “Duisburg”) scortano da Argostoli a Patrasso il piroscafo tedesco Bellona, carico di benzina in fusti (nonché, in questo viaggio, di truppe), che nel porto greco dovrà fungere da deposito galleggiante di carburante. Supermarina, in accordo con il Comando Supremo ed in seguito alle pressioni dei Comandi tedeschi, ha infatti deciso di far fronte alla difficile situazione sulle rotte libiche, ed alla necessità urgente di rifornimenti di carburante da parte delle truppe dell’Asse in Africa settentrionale, impiegando navi da guerra (principalmente cacciatorpediniere e torpediniere) in missioni veloci di trasporto di carburante in Nordafrica: secondo un programma accuratamente preparato dagli alti comandi italiani, tali unità partiranno da Patrasso (inizialmente si era pensato ad Argostoli, e per questo il Bellona era stato dislocato in un primo momento in questo porto), e preleveranno il carburante da portare in Libia dal Bellona. L’idea è anzi che le siluranti facciano la spola tra la Grecia e la Cirenaica, trasportando la massima quantità possibile di carburante (od altri rifornimenti).
Dopo l’arrivo a Patrasso, l’Oriani rifornisce di nafta Gioberti e Maestrale, che prelevano poi dal Bellona 50 tonnellate di benzina in fusti ed in latte e partono per la Cirenaica, mentre l’Oriani rimane in porto.
3 dicembre 1941
Alle 8.13 sommergibile britannico Trusty (capitano di corvetta William Donald Aelian King) avvista il fumo di Oriani, Gioberti e Maestrale in posizione 37°43’ N e 20°22’ E (15 miglia ad ovest di Zacinto), su rilevamento 140°; poco dopo il Trusty avvista anche le navi, aventi rotta e velocità stimate 310° e 26 nodi, e le identifica come tre cacciatorpediniere classe Grecale in navigazione in formazione ravvicinata. Trovandosi proprio davanti ai cacciatorpediniere, il Trusty manovra per lanciare coi tubi poppieri, e lancia tre siluri su rilevamento 85°, da una distanza di soli 550 metri, con intervalli di quattro secondi tra un siluro e l’altro. Le navi italiane non vengono colpite; probabilmente i siluri passano sotto i loro scafi, senza esplodere.
13 dicembre 1941
Alle 18.40 l’Oriani, aggregato alla X Squadriglia Cacciatorpediniere insieme a Gioberti e Maestrale, salpa da Taranto con le due succitate unità, nonché la corazzata Duilio (nave ammiraglia dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini), l’incrociatore pesante Gorizia (con a bordo l’ammiraglio di divisione Angelo Parona) e l’VIII Divisione Navale (incrociatori leggeri Montecuccoli e Garibaldi, nave di bandiera dell’ammiraglio Giuseppe Lombardi) nell’ambito dell’operazione di traffico «M. 41».
Dopo le gravi perdite subite dai convogli diretti in Libia nelle settimane precedenti, le forze italo-tedesche in Nordafrica si trovano in situazione di grave carenza di rifornimenti proprio mentre è in corso una nuova offensiva britannica, l’operazione «Crusader», ed urge rifornirle.
Con la «M. 41», Supermarina intende inviare a Tripoli e Bengasi tutti i mercantili già carichi presenti nei porti dell’Italia meridionale, mobilitando per la loro protezione, diretta e indiretta, pressoché tutta la flotta in condizioni di efficienza.
Sono previsti tre convogli: l’«A», da Messina a Tripoli, formato dalle moderne motonavi Fabio Filzi e Carlo Del Greco scortate dai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco ed Antoniotto Usodimare (poi dirottato su Taranto per unirsi da subito all’«L» ma distrutto durante tale percorso dal sommergibile britannico Upright); l’«L», da Taranto per Tripoli, formato dalle motonavi Monginevro, Napoli e Vettor Pisani scortate dai cacciatorpediniere Freccia ed Emanuele Pessagno (con a bordo il contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone) e dalla torpediniera Pegaso; e l’«N», da Navarino ed Argostoli per Bengasi, costituito dai piroscafi Iseo e Capo Orso e dai cacciatorpediniere Turbine e Strale, cui si devono aggiungere la motonave tedesca Ankara, il cacciatorpediniere Saetta e la torpediniera Procione provenienti da Argostoli.
Ogni convoglio deve fruire della protezione di una forza navale di sostegno, che di giorno si terrà in vista dei trasporti e di notte a stretto contatto con essi.
Il gruppo che comprende l’Oriani è assegnato alla protezione dei convogli «A» e «L», mentre il convoglio «N» sarà protetto dalla corazzata Andrea Doria, dagli incrociatori leggeri Muzio Attendolo ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta e dai cacciatorpediniere AscariAviere e Camicia Nera.
Infine, a tutela dell’intera operazione contro un’eventuale uscita in mare delle corazzate della Mediterranean Fleet, prende il mare la IX Divisione Navale (ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare) con le moderne corazzate Littorio e Vittorio Veneto, scortate dalla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (GranatiereBersagliereFuciliereAlpino). Queste navi si dovranno posizionare nel Mediterraneo centrale.
A completamento dello schieramento, un gruppo di sommergibili viene dislocato nel Mediterraneo centro-orientale con compiti esplorativi ed offensivi; è inoltre previsto un imponente intervento della Regia Aeronautica.
Per via della carenza di navi scorta e del tempo necessario a reperirne, l’operazione, inizialmente prevista per il 12 dicembre, viene posticipata di un giorno.
Nel tardo pomeriggio del 13, quando i convogli sono già in mare, la ricognizione aerea comunica a supermarina che una consistente forza britannica, comprensiva di corazzate ed incrociatori (in realtà sono solo quattro incrociatori leggeri: i ricognitori hanno grossolanamente sovrastimato la composizione e potenza della forza avvistata), si trova tra Tobruk e Marsa Matruh, diretta verso ovest. La somma delle forze italiane in mare è complessivamente superiore, ma si trova divisa in gruppi tra loro distanziati e vincolati a convogli lenti e poco manovrieri; per questo, alle ore 20 Supermarina decide di sospendere l’operazione, ed i convogli ricevono ordine di rientrare. Ciò non basterà ad evitare danni: durante la notte, il sommergibile britannico Urge silura la Vittorio Veneto, danneggiandola seriamente.
L’ammiraglio Iachino ordina alla corazzata silurata di fare rotta su Messina, distaccando per la sua scorta il cacciatorpediniere Fuciliere e le torpediniere Centauro e Clio.
Durante il rientro, anche i piroscafi Iseo e Capo Orso entreranno in collisione, riportando gravi danni.
14 dicembre 1941
Alle 9.12 la Vittorio Veneto, sulla quale si è appurato che la situazione non è tanto grave da precludere il rientro a Taranto, assume rotta 150°, seguendo a distanza la Littorio, ed alle 9.24 riesce ad incrementare la velocità a 23,5 nodi, a dispetto delle tremila tonnellate d’acqua imbarcate. Alle 10.50 Oriani, Gioberti e Maestrale, insieme al Carabiniere (proveniente da Taranto), vanno a rinforzare la scorta della Vittorio Veneto, che alle 12.45 raggiunge la Littorio e si rimette in formazione. Alle 14.30 la Littorio catapulta un idroricognitore IMAM Ro. 43 per compiere una ricognizione verso Malta (alle 11.45 ne ha già catapultato un altro allo stesso scopo); alle 17 la scorta delle due corazzate viene ulteriormente rinforzata con l’arrivo della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (Ugolino Vivaldi ed Antonio Da Noli) e della XI Squadriglia Cacciatorpediniere (Aviere, Geniere e Camicia Nera) da Taranto, mentre Cigno e Centauro sono lasciate libere di rientrare a Messina.
Il gruppo dell’Oriani arriva a Taranto alle 23.
16 dicembre 1941
Alle 20 l’Oriani lascia Taranto insieme ai cacciatorpediniere MaestraleGioberti (coi quali forma la X Squadriglia), GranatiereBersagliereFuciliereAlpino (XIII Squadriglia), CorazziereCarabiniere ed Usodimare (XII Squadriglia), agli incrociatori pesanti Trento e Gorizia (III Divisione, ammiraglio Angelo Parona) ed alle corazzate Giulio CesareAndrea Doria e Littorio (IX Divisione; comandante superiore in mare, ammiraglio di squadra Angelo Iachino) per fornire sostegno all’operazione «M. 42», che prevede l’invio in Libia di quattro mercantili (Vettor PisaniMonginevroNapoli ed Ankara, che trasportano 14.770 t di materiali e 212 uomini) scortati da sette cacciatorpediniere (SaettaVivaldiMalocelloDa ReccoDa NoliPessagno e Zeno) ed una torpediniera (la Pegaso), divisi in due convogli (AnkaraSaetta e Pegaso dirette a Bengasi come convoglio "N", le altre unità dirette a Tripoli come convoglio "L"). L’operazione fruisce anche di scorta aerea assicurata dalla Regia Aeronautica e dalla Luftwaffe e di una forza navale di copertura ravvicinata (corazzata Duilio, con a bordo l’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante del gruppo; incrociatori leggeri Duca d’Aosta – con a bordo l’ammiraglio Raffaele De Courten, comandante della VII Divisione –, Attendolo e Montecuccoli; cacciatorpediniere AscariAviere e Camicia Nera).
Una volta in franchia, il gruppo di appoggio di cui fa parte l’Oriani assume rotta 156° e velocità 20 nodi; Oriani, Gioberti e Maestrale, unitamente alla III Divisione (alle cui dipendenze è posta la X Squadriglia), si portano 10 miglia a proravia della Littorio, con la quale invece rimangono i cacciatorpediniere della XII e XIII Squadriglia.
Alle 22.10 il sommergibile britannico Utmost (capitano di corvetta Richard Douglas Cayley) avverte rumore di unità navali su rilevamento 335°, ed alle 22.20, in posizione 39°33’ N e 17°41’ E (nel Golfo di Taranto), avvista la III Divisione e la X Squadriglia su rilevamento 315°, a distanza di 6 miglia, mentre procedono su rotta 140° a velocità 20 nodi. Alle 22.34 l’Utmost lancia quattro siluri da grande distanza contro uno degli incrociatori, ma manca il bersaglio.
Poco prima di mezzanotte il gruppo «Littorio» viene avvistato dal sommergibile britannico Unbeaten, che ne comunica la scoperta al proprio comando, il quale a sua volta ne informa l’ammiraglio Philip Vian, comandante della scorta di un convoglio in navigazione da Alessandria verso Malta. Si tratta della sola cisterna militare Breconshire, con 5000 tonnellate di carburante destinate a Malta, scortata dagli incrociatori leggeri Naiad (nave ammiraglia di Vian) ed Euryalus, dall’incrociatore antiaerei Carlisle e dai cacciatorpediniere JervisHavockHastyHiramKimberleyKingstonKipling e Decoy. Vian distacca il Carlisle con due cacciatorpediniere perché si allontanino verso est ed effettuino false trasmissioni radio tese ad ingannare i comandi italiani circa la direzione del convoglio, per poi rientrare ad Alessandria; la sua formazione verrà più tardi raggiunta e rinforzata (alle 8 del 17) da altri due incrociatori leggeri (Aurora e Penelope) e da sette cacciatorpediniere (SikhLegionMaoriLanceLivelyLegion ed Isaac Sweers, quest’ultimo olandese).
17 dicembre 1941
Alle 9 la formazione britannica viene avvistata da un ricognitore tedesco; l’ammiraglio Iachino ne viene informato alle 10.24, anche se le notizie riferite dal ricognitore contengono vari errori (la velocità, di 16 nodi, è sovrastimata a 20, e soprattutto la Breconshire è stata scambiata per una corazzata). Iachino sapeva già della presenza in mare di una formazione britannica (già prima della partenza ne è stato informato da un primo ricognitore tedesco, che ha anch’esso scambiato la Breconshire per una corazzata); ora ne conosce anche, sia pure sommariamente, rotta e posizione.
Curiosamente, tutti gli aerei italiani e tedeschi avvicendatisi sul cielo del convoglio britannico persisteranno nello scambiare la Breconshire per una corazzata.
In seguito a tale comunicazione il gruppo «Littorio» aumenta la velocità (24 nodi) e modifica la rotta (prima 180°, poi 224°) per stabilire il contatto con essa quanto prima (Iachino crede che le navi britanniche siano in mare per attaccare il convoglio che è sotto la sua protezione, non essendo al corrente della presenza della Breconshire diretta a Malta; suo obiettivo primario è quindi impedire questo presunto attacco).
Nel primo pomeriggio, sulla base delle comunicazioni dei ricognitori (e di un erroneo avvistamento di fumo all’orizzonte su rilevamento 195° da parte dell’Oriani alle 15.43, smentito tuttavia dallo stesso Oriani dopo due minuti) l’ammiraglio Iachino ritiene che l’incontro con i britannici sia imminente, e dispone le sue navi di conseguenza (la X Squadriglia Cacciatorpediniere viene lasciata dove si trova, a 10 miglia per 200° dalla Littorio, mentre la XII e XIII Squadriglia ricevono ordine di portarsi nelle posizioni stabilite per il combattimento); alle 16.40, però, viene informato dai ricognitori che le navi britanniche hanno accostato per sud. Dieci minuti dopo, ritenendo di non poter raggiungere il nemico prima della notte, Iachino decide di rinunciare all’incontro, anche per non allontanarsi troppo dal convoglio, pertanto fa ridurre la velocità a 20 nodi (alle 16.59 la XII e XIII Squadriglia Cacciatorpediniere ricevono ordie di assumere posizione di scorta ravvicinata) e cessare il posto di combattimento (17.05), disponendo nuovamente le navi in linea di fila, dirigendo verso sud.
Proprio a questo punto, quando non si crede d’incontrare più i britannici, la Littorio avvista vampate di intenso fuoco contraereo al traverso a sinistra (in direzione inaspettata, rispetto alla posizione stimata sulla base delle notizie dei ricognitori): le navi di Vian. Sono le 17.23.
Ritenendo di poter dare battaglia prima di notte, Iachino fa nuovamente accelerare a 24 nodi ed accostare le navi ad un tempo di 90° a sinistra (verso ovest), dirigendo verso il nemico.
Alle 17.40, mentre il sole tramonta, vengono avvistati dapprima fumi e poi sagome di navi a 30° di prora a dritta; alle 17.45 la formazione italiana accosta ad un tempo di 90° a dritta, così effettuando lo spiegamento, per aprire il fuoco su brandeggio adeguato.
Alle 17.52 l’ammiraglio Vian, avendo avvistato le navi italiane, ordina alla Breconshire di allontanarsi verso sud con la scorta di Havock e Decoy, poi dirige verso la squadra italiana col resto della sua formazione: il suo obiettivo è di occultare la Breconshire con cortine fumogene ed al contempo, mandando i cacciatorpediniere all’attacco silurante, indurre le navi italiane ad allontanarsi verso nord. Più o meno a quell’ora, le corazzate e gli incrociatori di Iachino e Parona aprono il fuoco contro le navi di Vian, da 29.000 metri di distanza, a ritmo alquanto lento, essendo il bersaglio poco visibile.
Le navi britanniche (in netta inferiorità) simulano un contrattacco con gli incrociatori leggeri AuroraPenelopeNaiad ed Euryalus e 10 cacciatorpediniere, avvicinandosi ed aprendo il fuoco. I cacciatorpediniere britannici vengono inviati all’attacco degli incrociatori italiani, ed in risposta (alle 18.02, secondo il rapporto di Iachino) la X e XIII Squadriglia Cacciatorpediniere, Oriani compreso, sono mandate al contrattacco silurante, dirigendo incontro al nemico alla massima velocità e sparando anche con tutti i pezzi sulle navi britanniche.
Calato poi il buio, alle 17.57, Vian richiama i suoi cacciatorpediniere, indi accosta verso est: ha raggiunto il suo scopo, prendendo tempo per difendere la Breconshire in attesa che calasse il buio, ed ora non intende perseverare in uno scontro con una formazione italiana nettamente superiore. Tra le 17.59 e le 18.07 le navi maggiori italiane cessano il fuoco, seguite, alle 18.10, dalle unità sottili (alle 18.12 Iachino ordina ai cacciatorpediniere di riunirsi al grosso, restando di poppa). Lo scontro, che prenderà il nome di prima battaglia della Sirte, ha così termine in un nulla di fatto, perché l’ammiraglio Iachino, temendo – a torto, in seguito ad errate informazioni della ricognizione aerea – la presenza in mare di almeno una corazzata britannica, decide di non portare a fondo l’attacco, data l’inferiorità della Marina italiana nel combattimento notturno, e ritenendo di aver respinto un attacco (in realtà mai verificatosi, e frutto di un reciproco equivoco) contro il convoglio da lui scortato.
Alle 18.28 la formazione italiana accosta ad un tempo di 90° a dritta; le navi maggiori si dispongono in linea di fila, mentre i cacciatorpediniere ricevono ordine di assumere la posizione di scorta ravvicinata su una linea di fila unica, ad est della formazione.
Durante la sera e la notte, il gruppo segue alternativamente rotte 40° e 220°, tenendosi ad est del convoglio.
18 dicembre 1941
Alle sei del mattino, Granatiere e Corazziere entrano in collisione, distruggendosi a vicenda la prua. Alle 7.12 Oriani, Maestrale e Gioberti, insieme alla III Divisione, ricevono ordine di dare loro assistenza; alle 14.15 la III Divisione riceverà ordine di lasciare i cacciatorpediniere alle 18, dirigendo per Taranto.
Oriani, Maestrale e Gioberti, cui più tardi si unisce lo Strale, rimangono ad assistere Granatiere e Corazziere, che riusciranno a raggiungere Navarino.
Alle 15 del 18 dicembre sia il gruppo di copertura ravvicinata che quello di scorta a distanza lasciano la scorta dei due convogli, che arriveranno a destinazione l’indomani (pur subendo il leggero danneggiamento della Napoli), e fanno ritorno a Taranto, con rotta 45 e velocità 20 nodi.
19 dicembre 1941
Il gruppo «Littorio» arriva a Taranto alle 17 (per altra fonte, a Napoli alle 18.15).
L’Oriani e gli altri cacciatorpediniere che assistono Granatiere e Corazziere raggiungono Navarino lo stesso giorno.
3 gennaio 1942
L’Oriani parte da Taranto alle 16 insieme ai cacciatorpediniere GiobertiMaestraleScirocco, agli incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’Aosta (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten), Muzio AttendoloRaimondo Montecuccoli e Giuseppe Garibaldi ed alla nave da battaglia Duilio (nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini), formando il gruppo di scorta per i tre convogli diretti a Tripoli da Messina, Taranto e Brindisi per l’operazione di traffico «M. 43».
La «M. 43» prevede in tutto l’invio in Libia di cinque grandi motonavi da carico ed una petroliera, tutte veloci (almeno 14 nodi) e di recente costruzione, con una scorta poderosa: oltre ai tre convogli con le relative scorte dirette ed al gruppo scorta di cui fa parte l’Oriani (gruppo «Duilio»), è in mare anche un gruppo di appoggio (gruppo «Littorio») con le corazzate Littorio (ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare), Doria (ammiraglio di divisione Guido Porzio Giovanola) e Cesare, gli incrociatori pesanti Gorizia (ammiraglio di divisione Angelo Parona) e Trento ed i cacciatorpediniere AviereAlpinoGeniereCarabiniereAscariCamicia NeraAntonio Pigafetta ed Antonio Da Noli. Il gruppo di scorta dell’ammiraglio Bergamini, che navigherà per la prima volta ad immediato contatto con il convoglio, sin quasi a formare un tutt’uno con esso ("scorta indiretta incorporata nel convoglio", ideata dall’ammiraglio Bergamini), ha il compito di respingere eventuali attacchi da parte di formazioni navali leggere (incrociatori leggeri e cacciatorpediniere) come la Forza K, mentre il gruppo di appoggio si terrà pronto ad intervenire contro un eventuale attacco con forze pesanti da parte della Mediterranean Fleet (che comunque è rimasta senza più corazzate efficienti dall’incursione della X MAS ad Alessandria del 19 dicembre, ma questo in Italia ancora non lo si sa).
Aerei sia italiani che tedeschi (i primi dell’Armata Aerea e della Ricognizione Marittima, i secondi del II Corpo Aereo Tedesco e del X Corpo Aereo Tedesco, di base l’uno in Sicilia e l’altro in Grecia) impiegati in compiti di ricognizione e bombardamento preventivo sulle basi aeree e navali di Malta, Alessandria e della Cirenaica, nonché scorta da caccia, antiaerosilurante ed antisommergibile sulle navi e sul porto di Tripoli, ed undici sommergibili dislocati ad est di Malta e tra Creta e la Cirenaica (sulle probabili rotte che una ipotetica forza navale nemica dovrebbe percorrere per attaccare il convoglio) completano l’imponente dispiegamento di forze predisposto a tutela dell’importante convoglio (il cui carico assomma a 15.379 tonnellate di carburante, 2417 tonnellate di munizioni, 10.242 tonnellate di altri materiali, 144 carri armati, 520 automezzi e 901 uomini).
4 gennaio 1942
Il gruppo «Duilio» raggiunge i tre convogli, che si sono frattanto riuniti come previsto in un unico grande convoglio composto dalle moderne motonavi da carico Nino BixioLericiMonginevroMonviso e Gino Allegri e dalla grande nave cisterna Giulio Giordani, scortate dai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (caposcorta, contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone), Nicoloso Da ReccoAntoniotto UsodimareBersagliereFreccia e Fuciliere e dalle torpediniere CastoreOrsaAretusaProcione ed Antares.
Mentre al gruppo «Duilio» si unisce al convoglio «Allegri» (AllegriFreccia e Procione) la III Divisione (Trento e Gorizia) viene avvistata da un ricognitore britannico; più tardi il convoglio viene avvistato anche da un altro aereo avversario, ma la formazione aerea inviata da Malta ad attaccarlo non riuscirà a trovarlo.
Al tramonto il gruppo «Duilio» s’incorpora nella formazione.
5 gennaio 1942
Durante la notte le navi assumono rotta per Tripoli, e poco dopo le tre di notte il gruppo «Duilio» lascia il convoglio e si allontana a 22 nodi verso est. I mercantili giungeranno in porto alle 12.30 dello stesso giorno, senza nemmeno essere stati attaccati.
6 gennaio 1942
L’Oriani ed il resto del gruppo di scorta indiretta rientrano a Taranto alle 4.20.
Gennaio 1942
Il capitano di fregata Paolo Pesci (41 anni, da Lerna) rimpiazza il parigrado Chinigò al comando dell’Oriani.

(Coll. Luigi Accorsi via www.associazione-venus.it)

22 gennaio 1942
L’Oriani parte da Taranto alle 17 insieme ai cacciatorpediniere SciroccoAscari e Pigafetta (che con esso formano la XV Squadriglia Cacciatorpediniere, al comando del capitano di vascello Enrico Mirti della Valle imbarcato sul Pigafetta) ed alla corazzata Duilio (gruppo «Duilio», al comando dell’ammiraglio di divisione Carlo Bergamini imbarcato sulla corazzata omonima, comandante superiore in mare) per fornire protezione ravvicinata all’operazione «T. 18», che prevede l’invio a Tripoli di un convoglio formato dalla motonave passeggeri Victoria, salpata da Taranto con 1125 soldati a bordo, e dalle moderne motonavi da carico RavelloMonvisoMonginevro e Vettor Pisani, partite da Messina con circa 15.000 tonnellate di rifornimenti, il tutto con la scorta diretta di VivaldiMalocelloDa NoliAviereGeniere e Camicia Nera nonché delle torpediniere Castore ed Orsa.
La Victoria salpa insieme al gruppo «Duilio», che con essa forma il convoglio numero 2 (del quale è capo scorta il Pigafetta: la XV Squadriglia ne è la scorta diretta), mentre il convoglio 1 si forma in mare con l’unione delle quattro motonavi da carico, salpate in precedenza da Napoli e Messina, scortate dal gruppo «Vivaldi» (contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone) che conta sui cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi (nave ammiraglia di Nomis di Pollone), Antonio Da Noli e Lanzerotto Malocello della XIV Squadriglia, Aviere (caposquadriglia), Geniere e Camicia Nera della XI Squadriglia (capitano di vascello Luciano Bigi sull’Aviere), sulla torpediniera Castore (capitano di corvetta Congedo) e sulla torpediniera di scorta Orsa (capitano di corvetta Eugenio Henke). Prima del gruppo «Duilio» è già salpato da Taranto, alle 11 del 22, il gruppo «Aosta» (ammiraglio di divisione Raffaele De Courten sul Duca d’Aosta), con gli incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’AostaMuzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli della VII Divisione ed i cacciatorpediniere BersagliereCarabiniereFuciliere ed Alpino della XIII Squadriglia (capitano di vascello Ferrante Capponi sull’Alpino). Inoltre nove sommergibili sono stati inviati in agguato ad est di Malta e tra Creta e l’Egitto occidentale, mentre la Regia Aeronautica e la Luftwaffe forniscono copertura aerea con ricognitori, aerei antisommergibili e soprattutto caccia, i quali di giorno saranno sempre presenti sopra le navi italiane.
I convogli numero 1 (privato della Ravello, rientrata a Messina per problemi al timone, ed unitosi al gruppo «Aosta» nel pomeriggio del 22) e 2 (che procede a 19 nodi) seguono rotte che, prima e dopo la riunione, li fanno passare a 190 miglia da Malta, dieci miglia in più di quello che si ritiene essere il massimo raggio operativo degli aerosiluranti basati in quell’isola e nella Cirenaica (stime che però si riveleranno inesatte, causa l’avanzata britannica in quei territori); si prevede che la sera del 23 le navi, riunite in un unico convoglio, accosteranno per Tripoli, sempre mantenendosi ai margini del cerchio di 190 miglia di raggio con centro su Malta.
La Royal Navy, informata dai decrittatori di “ULTRA” che «un importante convoglio diretto a Tripoli dall’Italia e coperto dalla flotta sarà in mare oggi [22 gennaio], così come il 23 e il 24 gennaio» (il giorno seguente “ULTRA” riesce a fornire ai comandi britannici informazioni più dettagliate, sebbene meno del solito, indicando che un «importante convoglio» è partito dall’Italia per Tripoli con probabile arrivo il giorno 24, e che, sebbene la sua esatta composizione non sia nota, probabilmente esso comprende la Victoria con mille soldati e la motonave Vettor Pisani partita da Messina il 22 mattina, il tutto coperto «da un certo numero delle principali unità della Marina italiana»), ha disposto numerosi sommergibili in agguato nel Golfo di Taranto; nel primo pomeriggio del 22 la VII Divisione viene avvistata da due o tre sommergibili britannici, che segnalano l’avvistamento ai rispettivi comandi. Le basi britanniche a Malta ed in Egitto e Cirenaica sono poste in allarme, e vengono inviati dei ricognitori per appurare rotta, velocità e composizione delle forze italiane.
Il gruppo «Duilio» viene avvistato il 22 sera dal ricognitore «B6KT»: i suoi messaggi vengono però subito intercettati e decifrati dai decrittatori imbarcati sulla Duilio, permettendo all’ammiraglio Bergamini di apprendere che il suo gruppo era stato avvistato. Il ricognitore britannico rimane in contatto con il gruppo di Bergamini in modo da poter raccogliere informazioni più precise e dettagliate, e poco dopo mezzanotte invia un secondo segnale più particolareggiato, anch’esso intercettato e decifrato dalla Duilio; alle 00.47 lancia una cortina di bengala su uno dei lati del gruppo «Duilio», poi si porta sul lato opposto in modo da poter contare una per una le navi che lo compongono, le cui sagome sono ora chiaramente visibili nel controluce generato dai bengala; solo a questo punto, inviato a Malta un ulteriore messaggio ancora più ricco di dettagli, il ricognitore si allontana.
23 gennaio 1942
In mattinata, mentre sul cielo della formazione giungono i primi bombardieri tedeschi Junkers Ju 88 della scorta aerea, compaiono nuovamente i ricognitori britannici: restando molto lontani sia dalle navi italiane che dagli aerei tedeschi, non vengono attaccati ed inviano alle loro basi ulteriori informazioni, con crescente precisione, sulle navi del convoglio, senza che né le ripetute variazioni di rotta da parte di Victoria e Duilio, né la doppia inversione di marcia del gruppo «Aosta» possano trarli in inganno.
Alle 15 i convogli 1 e 2, in ritardo piuttosto considerevole rispetto al previsto, si riuniscono in una posizione prossima a quella prestabilita; le motonavi si dispongono su due colonne di due navi ciascuna (con la Victoria, capoconvoglio, in testa alla colonna sinistra). La XI e XIV Squadriglia Cacciatorpediniere si posizionano a scorta diretta intorno ai mercantili, mentre la Duilio e la VII Divisione si portarono ai lati del convoglio; il complesso navale assume una velocità di 14 nodi, sempre pedinato dai ricognitori nemici (uno dei quali appare alle 15.55 volando a bassissima quota, procedendo ad est delle navi italiane e mantenendo il contatto da circa 20 km di distanza). Sia l’ammiraglio Bergamini che l’ammiraglio De Courten hanno l’impressione che gli aerei provengano dalla Cirenaica.
Alle 16.16 cominciano gli attacchi aerei: dapprima alcune bombe di piccolo calibro mancano di poco la Victoria, che non subisce danni, poi la VII Divisione viene bombardata con ordigni di maggiore calibro, ma la sua reazione contraerea respinge l’attacco senza danni. Ritenendo insufficiente la scorta aerea di nove bombardieri tedeschi Ju 88 presente sopra il convoglio, l’ammiraglio Bergamini chiede via radio al comando della Luftwaffe della Sicilia – primo caso di comunicazione radio diretta effettuata con successo tra i comandi navali ed aerei italo-tedeschi – l’invio di altri aerei in rinforzo alla scorta; giungono perciò altri tre Ju 88, che rafforzarono la scorta aerea.
Alle 17.25 vengono avvistati altri tre velivoli britannici: provenienti dalla direzione del sole ormai prossimo a tramontare, si avvicinano con decisione al convoglio volando bassi, divenendo presto oggetto di violento fuoco contraereo da parte delle torpediniere che si trovano su quel lato del convoglio; poi, giunti a più di un chilometro dalle siluranti ed ad oltre tre dalla Victoria, cabrano ed invertirono la rotta, gettando in mare il carico offensivo, senza che gli Ju 88 riescano ad evitarlo.
Agli uomini a bordo delle siluranti della scorta, che hanno negli occhi la luce del sole basso che impedisce di vedere bene, i tre aerei attaccanti sono sembrati dapprincipio dei bombardieri, e si pensa che abbiano rinunciato ad attaccare, gettando in mare per alleggerirsi quelle che sembrano bombe; ma in realtà sono aerosiluranti Bristol Beaufort del 39th Squadron della Royal Air Force, decollati da Berka (Bengasi), e dopo 60-90 secondi, il Vivaldi avvista le scie di due siluri, che evita passandoci in mezzo, ordinado al contempo ai mercantili di accostare d’urgenza di 90° a dritta, ma non tutti comprendono bene l’ordine. Quelli che erano stati scambiati per bombardieri, erano in realtà aerosiluranti.
Alle 17.30 un siluro colpisce a poppa la Victoria, sul lato dritto, lasciandola immobilizzata e leggermente appoppata, mentre a dritta del convoglio, gli Ju 88 attaccano ed abbattono uno degli aerei britannici.
Ad assistere la Victoria vengono distaccati AviereAscari e Camicia Nera, mentre il resto del convoglio prosegue per non esporsi inutilmente ad ulteriori attacchi. La Victoria sarà affondata da un nuovo attacco aerosilurante alle 19, con la perdita di 409 uomini, mentre 1046 potranno essere tratti in salvo.
Alle 19.15 la Duilio e la XV Squadriglia Cacciatorpediniere, come previsto, si posizionano a nord del 36° parallelo ed ad est del 19° meridiano, per difendere il convoglio da eventuali navi da guerra britanniche provenienti dal Mediterraneo orientale, ma tale minaccia non si concretizza; le motonavi proseguono invece per Tripoli scortate dai gruppi «Vivaldi» e «Aosta».
24 gennaio 1942
Il convoglio, dopo aver superato indenne altri attacchi aerei e subacquei, giunge a destinazione alle 14.
25 gennaio 1942
Il gruppo «Duilio» rientra a Taranto alle 6.
21 febbraio 1942
Alle 18.30 l’Oriani salpa da Messina insieme ai cacciatorpediniere Alpino (caposquadriglia) ed Antonio Da Noli, all’incrociatore leggero Giovanni delle Bande Nere ed agli incrociatori pesanti Trento e Gorizia (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona), formando il gruppo «Gorizia», uno dei due gruppi di scorta indiretta previsti nell’ambito dell’operazione di traffico «K. 7».
Tale operazione vede l’invio in Libia di due convogli, uno salpato da Messina alle 17.30 (motonavi MonginevroRavello ed Unione, cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi – nave ammiraglia del contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone, caposcorta –, Lanzerotto MalocelloNicolò ZenoPremuda e Strale e torpediniera Pallade) e l’altro da Corfù alle 13.30 (motonavi Lerici e Monviso, nave cisterna Giulio Giordani, cacciatorpediniere Antonio Pigafetta – caposcorta, capitano di vascello Enrico Mirti della Valle –, Emanuele PessagnoAntoniotto UsodimareMaestrale e Scirocco e torpediniera Circe). Oltre al gruppo «Gorizia», c’è un secondo gruppo di scorta indiretta, il gruppo «Duilio», formato dall’omonima corazzata (nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini, comandante superiore in mare) insieme a quattro cacciatorpediniere (AviereGeniereAscari e Camicia Nera).
Alle 23.15, la divisione «Gorizia» si unisce al convoglio n. 1 (quello partito da Messina), che prosegue per Tripoli seguendo rotte che passano a circa 190 miglia da Malta.
22 febbraio 1942
All’alba del 2 il convoglio n. 1 viene raggiunto anche dal gruppo «Duilio», che lo segue a breve distanza.
Intorno alle 12.45 (per altra versione, verso le dieci), 180 miglia ad est di Malta, i convogli 1 e 2 si riuniscono; il convoglio n. 2 si accoda – con una manovra piuttosto lenta – al convoglio n. 1. La formazione (di cui è caposcorta l’ammiraglio Nomis di Pollone) assume rotta 184° e velocità 14 nodi; sin dalla prima mattina (e fino alle 19.45) volano sul suo cielo aerei tedeschi Junkers Ju 88 e Messerschmitt Bf 110 decollati dalla Sicilia per la sua scorta.
Dalle prime ore del mattino (precisamente, dalle 7.25) compaiono anche ricognitori britannici, che segnalano il convoglio agli aerei di base a Malta; tra le 14 e le 16 si verifica un attacco aereo, che i velivoli della Luftwaffe respingono, abbattendo tre degli aerei attaccanti ed impedendo agli altri di portare a fondo l’attacco (tranne un Boeing B 17 che lancia delle bombe di piccolo calibro contro la Duilio, senza colpirla). Quando l’ammiraglio Bergamini chiede altri aerei mediante il collegamento radio diretto, la richiesta viene prontamente soddisfatta.
La sera del 22, in base agli ordini ricevuti, il gruppo «Duilio» lascia i convogli, che proseguono con la scorta diretta ed il gruppo «Gorizia».
Nella notte seguente il convoglio, che è rimasto diviso in due gruppi (cioè i convogli 1 e 2, che procedono uno dietro l’altro ma separati), viene più volte sorvolato da dei bengalieri nemici (tra le 00.30 e le 5.30 del 23 dei bengala si accendono sul cielo dei convogli), ma non subisce danni, grazie alle manovre ed all’emissione di cortine fumogene.
23 febbraio 1942
Poco dopo le otto del mattino sopraggiungono due torpediniere inviate da Marilibia in rinforzo alla scorta, cui l’ammiraglio Parona ordina di unirsi al gruppo «Vivaldi». La foschia impedisce ai due convogli, distanti solo 8-9 miglia, di vedersi, ed alla scorta aerea della Luftwaffe di trovare le navi; le trovano invece, ma solo quelle del gruppo «Gorizia», i caccia italiani FIAT CR. 42 inviati anch’essi per la scorta.
Alle 10.14 del mattino, una novantina di miglia ad est di Tripoli ed al largo di Capo Misurata, la Circe localizza con l’ecogoniometro il sommergibile britannico P 38, che sta tentando di attaccare il convoglio (poco dopo ne viene avvistato anche il periscopio, che però subito scompare poiché il sommergibile, capendo di essere stato individuato, s’immerge a profondità maggiore), e, dopo aver ordinato al convoglio di virare a dritta, alle 10.32 lo bombarda con bombe di profondità, arrecandogli gravi danni. Subito dopo il P 38 affiora in superficie, per poi riaffondare subito: a questo punto si uniscono alla caccia anche l’Usodimare ed il Pessagno, che gettano altre cariche di profondità, e, insieme ad aerei della scorta, mitragliano il sommergibile. L’attacco è tanto violento e confuso che un marinaio, su una delle navi italiane, rimane ucciso dal tiro delle mitragliere, e la Circe deve richiamare le altre unità al loro posto per poter proseguire nella sua azione. Dopo questi ulteriori attacchi, la Circe effettua un nuovo attacco con bombe di profondità, ed alle 10.40 il sommergibile affiora di nuovo con la poppa, fortemente appruato, le eliche che girano all’impazzata ed i timoni orientati a salire, per poi affondare di prua con l’intero equipaggio in posizione 32°48’ N e 14°58’ E. Un’ampia chiazza di carburante, rottami e resti umani marcano la tomba dell’unità britannica.
Intanto, alle 11.25, il sommergibile P 34 (tenente di vascello Peter Robert Helfrich Harrison) avvista su rilevamento 040° il convoglio formato da Ravello, UnioneMonginevro e scortato da StraleVivaldiMalocelloZenoPallade e Premuda, che procede su rotta 250°. Alle 11.49, in posizione 32°51’ N e 13°58’ E (un’ottantina di miglia ad est di Tripoli), il P 34 lancia quattro siluri da 4150 metri di distanza; nessuna nave è colpita, e la scorta inizia alle 11.58 un contrattacco nel quale sono lanciate 57 bombe di profondità, alcune delle quali esplodono molto vicine al sommergibile. Il P 34, in ogni caso, riesce ad allontanarsi.
Nel frattempo, alle 10.30, lo Scirocco, come stabilito in precedenza, lascia la scorta del convoglio numero 2 e si aggrega al gruppo «Gorizia», che a quell’ora – essendo ormai il convoglio vicino a Tripoli, e non presentandosi più rischi di attacchi di navi di superficie – si avvia sulla rotta di rientro.
I convogli giungono indenni a Tripoli tra le 16 e le 16.40 del 23, portando a destinazione in tutto 113 carri armati, 575 automezzi, 405 uomini e 29.517 tonnellate di rifornimenti.
24 febbraio 1942
Il gruppo «Gorizia» arriva a Messina alle 11.40.
7 marzo 1942
Alle 18.30 OrianiAviere (caposquadriglia), Geniere, Ascari e Scirocco salpano da Taranto insieme agli incrociatori leggeri Eugenio di SavoiaMontecuccoli e Garibaldi (nave ammiraglia dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten, comandante superiore in mare) formando il gruppo scorta (denominato «Garibaldi») dei tre convogli in mare tra Italia e Libia nell'ambito dell'operazione di traffico «V 5».
Successivamente lo Scirocco viene distaccato a sostituire la torpediniera Aretusa, una delle unità di scorta al convoglio numero 1, salpato da Brindisi per Tripoli alle 12.30 con le motonavi Nino Bixio e Reginaldo Giuliani, il cacciatorpediniere caposcorta Antonio Pigafetta, del Enrico capitano di vascello Mirti della Valle, ed appunto l’Aretusa.
Alle 19.20 il convoglio 1 si riunisce con il numero 2, proveniente da Messina con la motonave Gino Allegri scortata di cacciatorpediniere Bersagliere ed Antonio Da Noli, formando così un unico convoglio. Le navi seguono rotte costiere, a 15 nodi, sino a Santa Maria di Leuca, poi proseguono per meridiano sino all’imbocco del Golfo della Sirte, quando assumono rotta per Tripoli.
8 marzo 1942
Alle 7.30 si riunisce al convoglio principale (che si trova in quel momento a 190 miglia da Leuca) anche il convoglio numero 3, costituito dalla motonave Monreale (salpata da Napoli) scortata dai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi e Fuciliere e dalle torpediniere Circe e Castore. Caposcorta dell’intero convoglio, che è formato alle 8.30, è il Pigafetta.
Alle 9.45 il convoglio viene raggiunto anche dal gruppo di scorta dell’ammiraglio De Courten, che comprende anche l’Oriani.
Il convoglio procede verso sud a 15 nodi, seguendo una rotta che lo porti a passare a circa 190 miglia da Malta; sin dalla prima mattina è presente una scorta aerea con due bombardieri italiani CANT Z. 1007 e sei tra Junkers Ju 88 e Messerschmitt Bf 110 tedeschi. Durante la navigazione diurna il gruppo di scorta naviga di poppa al convoglio, mentre con il crepuscolo riduce le distanze fino ad “incorporarsi” ad esso.
9 marzo 1942
Giunte le navi al largo di Ras Cara, a giorno fatto, il gruppo di scorta lascia il convoglio e si posiziona in modo da coprirlo da eventuali, ancorché improbabili, attacchi di navi di superficie.
Alle 7.30 il convoglio ne incrocia un altro partito da Tripoli alle 21 della sera precedente (lo compongono le motonavi UnioneLerici e Ravello e la petroliera Giulio Giordani, con la scorta del cacciatorpediniere Strale e delle torpediniere Cigno e Procione) per tornare in Italia: come pianificato in precedenza, Pigafetta e Scirocco lasciano la scorta del convoglio diretto a Tripoli (che vi giungerà indenne in serata) per unirsi a quella del convoglio di ritorno. Anche il gruppo «Garibaldi» di De Courten assume la scorta di tale convoglio.
Durante la mattinata i decrittatori imbarcati sul Garibaldi avvisano che la formazione italiana è stata avvistata da aerei britannici, che inviano vari messaggi sulla sua posizione (il convoglio è stato avvistato da un ricognitore Martin Maryland del 69th Squadron RAF, circa 200 miglia a sudest di Malta); l’ammiraglio De Courten, ritenendo prossimi degli attacchi da parte di aerei decollati da Malta, ordina al convoglio ed al gruppo di scorta di dirottare verso est per allontanarli dall’isola.
Ma gli aerei avversari, otto aerosiluranti Bristol Beaufort del 39th Squadron RAF (li guida il capitano C. S. Taylor) decollati proprio da Malta (per altra fonte da Bu Amud, in Marmarica, come apprezzato da De Courten), riescono egualmente a raggiungere il convoglio, e lo attaccano tra le 16.40 e le 17.20 (170 miglia a nordest di Tripoli), in un momento in cui la scorta aerea – presente sulle navi in maniera pressoché continua – è molto ridotta (tre bombardieri Junkers Ju 88 ed un caccia bimotore Messerschmitt Bf 110 della Luftwaffe).
In realtà il loro obiettivo non è il convoglio della Lerici, bensì un altro incontrato qualche ora prima e diretto in Libia: hanno attaccato il convoglio sbagliato. Questa non è neanche l’unica cosa andata storta nei piani dei britannici, dal momento che i Beaufort non hanno trovato la prevista scorta di caccia Bristol Beaufighter, e sono dovuti proseguire da soli. Uno degli aerosiluranti lancia contro il mercantile di maggior dimensioni, gli altri contro le navi della scorta; nessuna viene colpita, ed i Beaufort, superato indenni il tiro contraereo delle navi, si allontanano inseguiti dalla scorta aerea tedesca. Uno degli aerosiluranti viene leggermente danneggiato da quest’ultima, mentre da parte britannica si rivendica l’abbattimento di uno Ju 88 ed il danneggiamento del Messerschmitt.
Da Alessandria, in seguito all’errata notizia che uno degli incrociatori leggeri italiani sarebbe stato silurato e danneggiato dai Beaufort, esce per intercettarlo una formazione al comando del viceammiraglio Philip Vian. Le navi britanniche non solo non troveranno niente, ma subiranno anche, durante la navigazione di rientro, la perdita dell’incrociatore leggero Naiad, ammiraglia di Vian, affondato dal sommergibile tedesco U 565.
Durante la notte, il gruppo di scorta s’incorpora nel convoglio; per tutta la notte le navi sono sorvolate da bengalieri che la illuminano a più riprese tra l’una e le tre richiamando gli aerei di base nella Marmarica, ma di nuovo non si subiscono danni: un primo gruppo di aerei riesce a trovare, nel buio, le navi italiane; del secondo, composto da venti bombardieri Vickers Wellington, solo in tre riescono a trovare il convoglio, e nemmeno le loro bombe vanno a segno.
10 marzo 1942
I ricognitori nemici sono sempre presenti, ma non si verificano altri attacchi aerei. Alle 17.30 la scorta è rinforzata dalla torpediniera Aretusa.
Alle 22 il gruppo scorta di De Courten, Oriani compreso, raggiunge Taranto, mentre i mercantili del convoglio, che si sono divisi in due gruppi, raggiungono Brindisi e Taranto nelle ore seguenti.
21 marzo 1942
A mezzanotte l’Oriani lascia Taranto insieme ai cacciatorpediniere Ascari, Aviere e Grecale (che formano con esso la XI Squadriglia Cacciatorpediniere) ed alla corazzata Littorio (nave ammiraglia dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, comandante superiore in mare), per partecipare all’intercettazione del convoglio britannico «M.W. 10», diretto a Malta con rifornimenti per la guarnigione dell’isola assediata. Tale convoglio, partito da Alessandria alle sette del mattino del 20 marzo, è formato dalla cisterna militare Breconshire e dai piroscafi Clan CampbellPampas e Talbot, con la scorta diretta dell’incrociatore leggero Carlisle e dei cacciatorpediniere Avon ValeDulvertonBeaufortEridgeSouthwold e Hurworth, rinforzata per il tratto più pericoloso dagli incrociatori leggeri DidoEuryalus e Cleopatra e dai cacciatorpediniere HastyHavockHeroSikhZuluLivelyJervisKelvinKingston e Kipling. Quest’ultima forza, il 15th Cruiser Squadron della Royal Nay, è salpata da Alessandria alle 18 del 20 ed è comandata dall’ammiraglio Philip L. Vian. Da Malta si uniscono ad essi, nella giornata del 22 marzo, anche l’incrociatore leggero Penelope ed il cacciatorpediniere Legion.
L’Oriani e le altre unità partite da Taranto formano uno dei due gruppi usciti in mare per tale missione, denominato «Littorio»; l’altro gruppo, denominato «Gorizia», parte invece da Messina (all’1.05 del 22) ed è composto dalla III Divisione Navale (incrociatori pesanti Trento e Gorizia, incrociatore leggero Giovanni delle Bande Nere; comandante l’ammiraglio di divisione Angelo Parona, con bandiera sul Gorizia) e dalla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere (FuciliereBersagliereLanciereAlpino). Altri due cacciatorpediniere, Geniere e Scirocco, che avrebbero dovuto far parte del gruppo «Littorio» partiranno con alcune ore di ritardo, alle 2.50 del 22 marzo, avendo dovuto rinviare la partenza a causa di avarie che ne hanno ritardato l’approntamento.
Il primo sentore di una possibile operazione nemica lo si è avuto il 19 marzo 1942, quando da intercettazioni radio è emerso che si trova in mare, a bordo di un incrociatore classe Dido, il comandante delle forze leggere della Mediterranean Fleet, ammiraglio Philip L. Vian. Alle 00.22 del 20 marzo è stato intercettato un telegramma di precedenza assoluta trasmesso a Malta, e da ciò è derivata l’impressione che le navi britanniche siano in movimento da Alessandria verso Malta; il mattino del 21 un ricognitore Junkers Ju 88 del X Fliegerkorps tedesco ha avvistato un convoglio di tre piroscafi e quattro cacciatorpediniere con rotta ovest, una quarantina di miglia a nord di Sidi el Barrani. Successivi ulteriori avvistamenti e decrittazioni di messaggi britannici hanno confermato che il convoglio dirige verso ovest a 14 nodi di velocità. Rilevamenti radiotelegrafici e segnalazioni di un U-Boot tedesco, nella sera e notte del 20-21 marzo, hanno confermato l’esistenza di importante traffico nemico al largo dell’Egitto, anche se si è ritenuto che il convoglio avvistato dallo Ju 88 sia diretto a Tobruk e non a Malta (per quanto anche questa possibilità non venga categoricamente esclusa), il che appare anche dalle comunicazioni intercettate, nelle quali il convoglio riferisce ad Alessandria i propri movimenti.
Quello stesso giorno un secondo convoglio, dal nome convenzionale di «Empire», è stato avvistato alle 2.21 da un U-Boot tedesco, 28 miglia a nord-nord-ovest di Sidi el Barrani, con rotta nordovest; alle 16.30 lo stesso convoglio è stato avvistato anche dal sommergibile italiano Platino (tenente di vascello Innocenzo Ragusa), il quale ha riferito che un incrociatore leggero, quattro cacciatorpediniere e tre grossi piroscafi si trovano a 48 miglia a sud-ovest di Gaudo (Creta), con rotta 320°.
Alle 16.58 un altro ricognitore Ju 88 del X Fliegerkorps ha avvistato davanti al convoglio, cento miglia a nord di Derna, un gruppo di circa 14 navi da guerra, tra cui tre di grandi dimensioni; al tramonto una formazione di sei aerei da trasporto Junkers Ju 52, imbattutasi nella squadra britannica durante il volo dal Nordafrica a Creta, la sorvola e ne comunica posizione, composizione, rotta e velocità. Alle 18 Supermarina, stimando che il convoglio sia diretto a Malta, accompagnato da un gruppo leggero di scorta composto da non più di tre incrociatori ed alcuni cacciatorpediniere, oltre ad alcune altre navi partite da La Valletta nella notte tra il 21 ed il 22 marzo (nel pomeriggio ricognitori tedeschi hanno avvistato in quel porto delle bettoline di rifornimento affiancate ad un incrociatore ed un cacciatorpediniere), ha deciso di intervenire con la flotta da battaglia, ossia la Littorio e la III Divisione Navale, più le relative squadriglie di cacciatorpediniere. Per il gruppo «Littorio» l’ordine operativo è: «Nave LITTORIO et sei C.T. escano ore et dirigano vela 24 rotta 150 fino meridiano 18 quindi rotta sud fino punto Alfa latitudine 3530 longitudine 1800 dove dovrà giungere ore Terza Divisione con BANDE NERE ALPINO FUCILIERE LANCIERE BERSAGLIERE escano appena pronti regolando navigazione modo trovarsi ore punto Beta latitudine 3540 longitudine 1740 quindi incrocino zona venti miglia attorno detto punto attesa risultati ricognizioni», mentre la III Divisione riceve i seguenti ordini: «Terza Divisione con BANDE NERE – ALPINO – FUCILIERE – LANCIERE – BERSAGLIERE escano appena pronti regolando navigazione modo trovarsi ore 080022 punto Beta latitudine 3540 longitudine 1740 quindi incrocino zona venti miglia attorno detto punto attesa risultati ricognizioni». Il punto “Beta” è situato a 160 miglia per 095° da Malta, il punto “Alfa” 20 miglia a sudest di quest’ultimo.

L’Oriani a Napoli nel 1942 (da www.forummarine.forumactif.com)

22 marzo 1942
Una volta lasciata Taranto (le navi escono dal Mar Grande alle 00.27), il gruppo «Littorio» dirige a 24 nodi, con rotta 150°, lungo l’asse del Golfo di Taranto, accostando verso sud alle 4.40 per raggiungere il punto “Alfa”. All’1.31 il sommergibile britannico P 36, in agguato nel Golfo di Taranto, avvista il gruppo «Littorio» e lancia il relativo segnale di scoperta (in cui riferisce che la squadra italiana ha rotta 150° e velocità 23 nodi), che viene ricevuto dall’ammiraglio Vian alle 5.18, così mettendo i comandi britannici al corrente dell’uscita in mare di una formazione navale italiana per intercettare il convoglio «M.W. 10».
Alle 6.55 il gruppo «Littorio» viene raggiunto dalla scorta aerea, formata da velivoli della Regia Aeronautica (dodici CANT Z. 1007, di cui però soltanto la metà raggiunge le navi, a causa delle condizioni atmosferiche in peggioramento); questa rimarrà nel suo cielo fin verso le 9, dopo di che, al crescere della distanza dalle basi, le apparizioni degli aerei italiani diverranno più sporadiche.
Il primo avvistamento delle navi britanniche da parte degli aerei italiani avviene alle 9.40, da parte di un aerosilurante che lancia un segnale di scoperta relativo ad una «forza navale considerevole (15 unità)» in posizione 34°10’ N e 19°10’ E, avente rotta 270° e velocità di 14 nodi (cinque aerosiluranti SM. 79 “Sparviero” della V Squadra, decollati da basi in Libia, hanno infatti attaccato il convoglio a quell’ora: nessun siluro è andato a segno, mentre uno “Sparviero” è stato abbattuto). Il messaggio viene ricevuto sulla Littorio alle 9.55, e cinque minuti dopo la corazzata ed i cacciatorpediniere della scorta incrementano la velocità a 28 nodi e poi accostano per 190°, assumendo rotta di collisione con quella stimata della formazione britannica. Alle 10.13 l’ammiraglio Iachino riceve un secondo segnale di scoperta trasmesso dal Centro Radiotelegrafico di Trapani, che a sua volta sta ritrasmettendo il segnale di un ricognitore della 186a Squadriglia che alle 9.53, in posizione 33°46’ N e 18°55’ E, ha avvistato cinque incrociatori, sette cacciatorpediniere ed altrettanti piroscafi con rotta 300°, velocità imprecisata. Questa seconda segnalazione risale a soli tredici minuti dopo la prima, ma la posizione indicata da questo secondo messaggio si trova a 28 miglia per 210° da quella riferita dal primo, ed anche la rotta stimata del nemico è differente (300° anziché 270°). Non sapendo quale dei due messaggi sia quello più accurato, l’ammiraglio Iachino decide di non cambiare gli ordini impartiti alle dieci (per fortuna, dato che il primo segnale di scoperta, col senno di poi, era il più corretto), ed ordina alla III Divisione di catapultare un idrovolante da ricognizione per ottenere informazioni più precise. Alle 10.20 Iachino ordina al gruppo «Gorizia» di dirigere a 30 nodi verso il nemico per stabilire il contatto visivo, ma senza impegnarsi.
Alle 11.07 altri quattro aerosiluranti della V Aerosquadra attaccano il convoglio, di nuovo senza successo. Alle 11.45 il gruppo «Gorizia» si trova 55 miglia a proravia del gruppo «Littorio», con rotta 165° e velocità di 30 nodi. Il mare da scirocco sta diventando sempre più agitato: ormai è già forza 5, tanto che alle 12.12 il gruppo «Gorizia» riduce la velocità a 28 nodi per alleviare lo sforzo dei cacciatorpediniere, mentre il gruppo «Littorio» prosegue a 30 nodi e modifica la rotta da 190° a 180° per arrivare prima addosso al convoglio britannico, che in base ad una nuova segnalazione del Centro R.T. di Trapani avrebbe rotta 330° anziché 300° (ma in realtà è di 270°). Alle 12.40 un idroricognitore catapultato dal Trento comunica a Iachino e Parona di aver avvistato alle 12.20 cinque incrociatori, altrettanti cacciatorpediniere e quattro mercantili in posizione 34°10’ N e 18°35’ E, a 90 miglia per 160° dal gruppo «Gorizia», con rotta 285° e velocità 16 nodi. Alle 12.54 l’aereo trasmette una rettifica sulla composizione della formazione nemica: i cacciatorpediniere sono otto, i mercantili sette. Mancando, sul cielo della formazione nemica, una scorta aerea, l’idrovolante può mantenersi in vista dell’avversario.
Alle 12.20 la formazione britannica accosta per 250° per ritardare l’incontro con la squadra italiana, e dieci minuti dopo Vian divide le sue forze in sei gruppi. Alle 13.35, 13.58, 14.03, 14.07 e 14.20 l’ammiraglio Iachino riceve una serie di segnali di scoperta lanciati da bombardieri italiani e dal Centro R.T. di Messina; alle 13.53, sulla base del segnale di scoperta delle 13.35 (in cui un bombardiere dell’Aeronautica della Sicilia ha riferito di aver avvistato navi nemiche in posizione 33°50’ N e 18°10’ E alle 13.25), il gruppo «Littorio» assume rotta 200°.
Alle 14.23 il gruppo «Gorizia» avvista le navi nemiche, a 23.000 metri di distanza, divisi in tre gruppi su rilevamento 185°, 170° e 160° (rispettivamente), ed inizia l’avvicinamento, con un’accostata per 250°, accelerando fino a 30 nodi.
Gli incrociatori britannici dirigono contro quelli italiani per difendere il convoglio, e la III Divisione, come precedentemente stabilito, fa rotta verso nord per attirarli verso il gruppo «Littorio». Gli incrociatori italiani aprono il fuoco per primi, alle 14.35 (da 21.000 metri di distanza), mentre i britannici rispondono al fuoco alle 14.56 (da 19.000 metri); le navi di Vian accostano prima ad est, poi a sud e poi di nuovo ad ovest, per non allontanarsi dal convoglio, ed il gruppo «Gorizia» le asseconda, continuando a sparare ed a tenere il contatto. Alle 15.15 entrambe le formazioni accostano in fuori e cessano il tiro; quando le unità nemiche accostano di nuovo verso nord, Parona cerca di nuovo di portarle verso il gruppo «Littorio», che avvista alle 15.23 (a 15 km di distanza) unendovisi alle 15.30. Alle 15.20, frattanto, gli incrociatori britannici accostano di nuovo verso sud per riunirsi al convoglio (che nel frattempo ha ripreso l’originaria rotta verso ovest), cosa che fanno alle 16.30.
Il tempo va peggiorando: il vento sta aumentando, fino a 30 nodi, e la schiuma delle onde genera una sorta di foschia bassa, con conseguente mediocre visibilità.
Una volta riuniti i due gruppi, la flotta italiana si dispone con la III Divisione in linea di fronte a sinistra (ad est) della Littorio, così da avere uno schieramento perpendicolare al probabile rilevamento delle forze nemiche; poi, data anche la sua eterogeneità, la III Divisione viene lasciata a 5 km di distanza dalla corazzata, per garantirle maggiore scioltezza. Successivamente, la III Divisione passa alla formazione in linea di fila nell’ordine Gorizia (in testa), Trento (al centro), Bande Nere (in coda).
L’ammiraglio Iachino, cui risulta che gli incrociatori nemici stiano navigando verso sud ad alta velocità, ritiene che il convoglio abbia deviato per sudovest, e decide di manovrare per tagliargli la strada; alle 16.18 giunge una comunicazione di un aereo che riferisce che il nemico si trova a 30 miglia di distanza, 10° di prora a sinistra, con rotta 255°, e Iachino ordina di accostare per 230° per intercettarlo.
Alle 16.31 la Littorio avvista la squadra britannica e segnala a tutte le unità «Nemico in vista per rilevamento 210°» (circa dieci miglia più ad ovest di quanto previsto in base alle segnalazioni degli aerei); contestualmente, un idroricognitore catapultato dalla Littorio avvista il convoglio a 10 miglia per 240° dagli incrociatori britannici (cioè al di là di questi ultimi), su rotta 270°. In base a queste informazioni, Iachino ordina di accostare a dritta e poi di dirigere verso ponente.
Le prime navi britanniche ad avvistare quelle italiane sono lo Zulu (che vede 4 navi di tipo imprecisato a 9 miglia di distanza, verso nordest in direzione 42°) e l’Euryalus (che avvista tre incrociatori per 35°, a 15 miglia di distanza), alle 16.37 ed alle 16.40; la III Divisione avvista a sua volta il nemico alle 16.40, di prora. La squadra italiana si dispiega subito sulla dritta, accostando in successione per 90°, per 290° e per 270°, ed alle 16.43 viene aperto il fuoco da entrambe le parti; allo stesso tempo, alle 16.40, anche la formazione britannica dirige incontro a quella italiana per affrontarla (eccetto i cacciatorpediniere JervisKiplingKingston e Kelvin, che invece stendono un’altra cortina fumogena tra le navi italiane ed il convoglio), assumendo rotta nord-nord-est. Le condizioni di visibilità sono già di per sé pessime, ed a peggiorarle ulteriormente le navi britanniche emettono di nuovo copiose cortine fumogene: l’orizzonte nella direzione del nemico appare estremamente confuso; delle navi britanniche si vedono soltanto i fumi e occasionalmente qualche scafo, che appare parzialmente di quando in quando.
L’azione di fuoco delle navi italiane si svolge in due periodi, tra le 16.43 e le 17.16, prendendo di mira gli incrociatori britannici che emergono dalla cortina nebbiogena; nella prima fase, tra le 16.43 e le 16.52, mentre le distanze calano da 17.000 metri a 14.000 metri, il tiro italiano si concentra sugli incrociatori DidoPenelopeCleopatra ed Euryalus e sul cacciatorpediniere Legion. Il tiro delle navi italiane è molto intenso, ma saltuario, in quanto i bersagli appaiono e scompaiono nella nebbia artificiale.
Alle 16.44 un colpo del Bande Nere danneggia l’incrociatore britannico Cleopatra (nave ammiraglia di Vian), che ripiega coperto da cortine nebbiogene e cessa temporaneamente il fuoco. Le navi italiane sospendono il fuoco alle 16.52 e lo riprendono alle 17.03, dopo una pausa di undici minuti; il tiro italiano risulta diretto contro sagome che appaiono molto vaghe, delle quali s’intravedono in mezzo alla nebbia artificiale le vampe dei cannoni. La distanza delle navi britanniche è stimata in 10.000 metri; un siluro passa di prua alla Littorio, vicino all’Ascari, e la XI Squadriglia Cacciatorpediniere viene inviata al contrattacco, facendo fuoco con le proprie artiglierie e lanciando siluri. Ben presto i cacciatorpediniere vengono inquadrati dal tiro britannico, pertanto ricevono ordine di disimpegnarsi accostando verso nord, mentre mentre gli incrociatori britannici ripiegano nuovamente dietro la cortina nebbiogena.
Alle 17.11 viene nuovamente cessato il fuoco, dato che le navi di Vian sono interamente avvolte dalla nebbia e non si riesce più a vedere niente.
Da parte britannica, tra le 17.01 e le 17.12 Cleopatra ed Euryalus impegnano le navi italiane, che riescono a vedere piuttosto vagamente, a distanza di circa 14.000 metri; tra le 17.03 e le 17.10 anche DidoLegion e Penelope aprono il fuoco, concentrandosi sull’incrociatore italiano più ad ovest. Diverse salve britanniche cadono vicinissime alla III Divisione, ma nessuna va a segno. Alle 17.07 le navi italiane, ritenendo erroneamente di aver avvistato delle scie di siluri (in realtà, non risulta che siano stati lanciati siluri da parte britannica in questa fase, anche se i cacciatorpediniere HeroHavockLively e Sikh manovrarono per portarsi in posizione favorevole al lancio), accostano per 290°, ma poco dopo tornano ad assumere rotta 270°.
Il mare grosso, le condizioni di visibilità in progressivo deterioramento e le cortine nebbiogene continuamente emesse dalle navi britanniche (praticamente ininterrottamente dalle 14.42 alle 19.13) per occultare sia i loro movimenti che il convoglio complicano molto il puntamento per le navi italiane. Il vento, che spira a 25 nodi, spinge la nebbia artificiale verso le navi di Iachino.
Alle 17.18 la formazione italiana accosta per 240° ed alle 17.25 per 250°, riducendo la velocità a 20 nodi, per accerchiare la forza nemica da ovest; dato però che le unità britanniche si trovano sottoposte a continui e pesanti attacchi aerei (protrattisi fino alle 19.25, e dei quali le navi italiane hanno sentore sia perché gruppi di bombardieri ed aerosiluranti passano non lontano da loro, sia perché si nota il forte tiro contraereo sopra la cortina nebbiogena che nasconde le navi), Iachino decide alle 17.31 di approfittarne e tagliare verso sud, assumendo rotta 200°, per ridurre le distanze. Le navi di Vian hanno ricominciato anche a sparare sulle unità italiane, con grande intensità e considerevole accuratezza, ma senza colpire niente.
Si riprende il fuoco, ed alle 17.20 il cacciatorpediniere britannico Havock viene colpito ed immobilizzato (riuscirà poi a rimettere in moto a 16 nodi, e Vian gli ordina di unirsi al convoglio, non essendo più in grado di partecipare al combattimento); il tiro viene più volte sospeso e ripreso, anche in conseguenza della pessima visibilità causata dal maltempo e della nebbia artificiale che ormai aleggia un po’ ovunque. Alcuni cacciatorpediniere britannici (LivelySikhHero) tentano di portarsi in posizione idonea a lanciare i siluri, ma rinunciano poco dopo. La battaglia si frammenta in molti episodi minori, in cui entrambe le parti commettono errori di valutazione, si avvicinano e si allontanano a più riprese. Il capoconvoglio britannico, imbarcato sulla cisterna Breconshire, vuole proseguire verso Malta ed alle 17.20 fa accostare verso ovest con tale proposito, ma dieci minuti dopo Vian, intuendo che la manovra italiana mira ad aggirare il convoglio passando ad ovest della cortina nebbiogena, ordina che il convoglio diriga nuovamente verso sud. Il tira e molla continua: il capoconvoglio accosta di nuovo per sudovest alle 17.45, e Vian lo fa tornare verso sud alle 18.
Prosegue, intanto, il combattimento tra le contrapposte formazioni: alle 17.40 le navi italiane, ridotte le distanze fino a 14.000 metri, riaprono il fuoco sugli incrociatori britannici (i quali governano alternativamente verso est e verso ovest, emettendo nebbia artificiale per nascondere il convoglio), che appaiono di quando in quando in mezzo alla nebbia, continuando a loro volta un tiro serrato. Alle 17.52, anche se la distanza era calata a 13.000 metri, da parte italiana viene sospeso il tiro, per la visibilità troppo cattiva, mentre da parte britannica si continua a fare fuoco con l’ausilio del radar, ma senza colpire. Un minuto dopo, la formazione italiana accosta per 220°. Lo stato del mare va sempre peggiorando, degenerando a poco a poco in una vera e propria tempesta: avendo il mare approssimativamente al traverso al sinistra, Trento e Gorizia rollano in media di 10°-12°, ed il Bande Nere di ben 24°-27°. Alle 17.56 le navi italiane, per ridurre il violento rollio causato dalla tempesta ed al contempo evitare di modificare l’orientamento dello schieramento rispetto al nemico (che si trova a circa 13 km di distanza per 160°), accostano ad un tempo per 250°, ed alle 18.10 assumono rotta 280°, allontanandosi dalle navi britanniche (che verso le 18 vengono attaccate da aerosiluranti, visti passare nelle vicinanze dalle navi italiane), che cessano così il fuoco.
Le unità britanniche si avvicinano ed attaccano, infruttuosamente, con i siluri: il Cleopatra lancia infruttuosamente tre siluri contro la LittorioDidoPenelopeLegionHasty e Zulu tentano anch’essi di lanciare i propri siluri, ma non ci riescono per via della nebbia, della scarsa visibilità, delle distanze, del vento e del mare sempre più mosso. Poi, tutte le navi britanniche ripiegano verso est, allontanandosi da quelle italiane.
Alle 18.20 la squadra italiana, i cui due gruppi procedono a poca distanza l’uno dall’altro, assunse rotta 220° ed alle 18.27 rotta 180°, per avvicinarsi al convoglio britannico ed obbligarlo ad allontanarsi da Malta; i vari gruppi in cui è divisa la squadra britannica, intanto, si riuniscono verso ovest/nordovest per concentrare l’offesa contro le unità di Iachino, mentre il convoglio torna a dirigere verso ovest alle 18.25 e poi di nuovo verso sud alle 18.40.
Alle 18.31 le navi italiane, ora disposte in linea di fila con la Littorio in testa, aprono di nuovo il fuoco da 15.000 metri verso il nemico, che si trova poco a proravia del loro traverso a sinistra; le navi britanniche reagiscono concentrando il fuoco su Littorio e Gorizia. Nello stesso momento tutti i gruppi britannici convergono in un punto situato 15 miglia a sudest della Littorio, tra quest’ultima ed il convoglio (che in quel momento è 23 miglia a sudest della corazzata italiana), per poi andare all’attacco silurante. Tale attacco, deciso e ordinato fin dalle 17.59, ha inizio alle 18.27 e si conclude alle 18.41; i cacciatorpediniere britannici, divisi in gruppi, serrano le distanze, alcuni fino a soli 5500 metri (mentre tra gli incrociatori il Cleopatra, che appoggia i cacciatorpediniere con le sue artiglierie, si avvicina fino a 9000 metri), e lanciano i loro siluri, intensamente controbattuti dal tiro delle navi italiane. Nessuno dei siluri lanciati va a segno; durante l’attacco, alle 18.41, il tiro del Trento colpisce il cacciatorpediniere Kingston, che viene immobilizzato con gravi danni ed incendio a bordo, mentre alle 18.52 il Lively subisce danni e allagamenti per schegge di una salva della Littorio caduta vicinissima. Il combattimento è accanito; le navi italiane sparano con tutte le artiglierie, compresi i pezzi secondari da 100 mm degli incrociatori.
Nonostante l’attacco dei cacciatorpediniere, la flotta italiana prosegue a 22 nodi sulla rotta 180°; alle 18.45 tutte le unità accostano a un tempo per 295°, per evitare i siluri, riducendo poi la velocità a 20 nodi. Uno dei siluri passa poco a proravia della Littorio, altri cinque o sei passano in mezzo alle navi. Alle 18.51 Iachino ordina a tutte le navi di accostare per 330° ed accelerare a 26 nodi, per allontanarsi rapidamente dalla zona degli attacchi siluranti, anche perché la visibilità è sempre più ridotta causa la nebbia in aumento (il vento di scirocco la spinge verso le navi italiane) ed il mare sempre più mosso. Proprio durante l’accostata, si verifica l’unico colpo a segno ottenuto dai britannici nel corso della battaglia: un proiettile da 120 mm, sparato da uno dei cacciatorpediniere, colpisce la Littorio a poppa, causando qualche danno di modesta entità. Più o meno in questa fase, mentre la battaglia navale volge al termine, le navi britanniche vengono attaccate senza successo da dodici aerosiluranti Savoia Marchetti S.M. 79 “Sparviero”, decollati da Catania, tre dei quali vengono abbattuti, e da alcuni bombardieri tedeschi.
Il fuoco viene cessato da entrambe le parti tra le 18.56 e le 18.58, e poco dopo si perde il contatto, mentre cala il buio: termina così, in modo inconcludente, la seconda battaglia della Sirte.
Calata l’oscurità, infatti, la flotta italiana, piagata dalla scarsa preparazione al combattimento notturno (nel quale i britannici sono invece esperti), non è più in grado di dare battaglia, e per giunta i cacciatorpediniere sono ormai a corto di carburante: Iachino decide dunque di rientrare alle basi, ordine che viene confermato da Supermarina alle 20.
Durante il combattimento, le navi maggiori italiane hanno sparato complessivamente 1511 colpi di grosso e medio calibro; gli incrociatori britannici hanno sparato tra i 1600 ed i 1700 colpi, ed i loro cacciatorpediniere circa 1300. Da parte britannica sono stati danneggiati in modo serio il Cleopatra ed i cacciatorpediniere KingstonHavock e Lively, ed in modo leggero l’incrociatore Euryalus ed i cacciatorpediniere SikhLance e Legion, mentre da parte italiana non si sono avuti danni tranne quelli, pressoché irrilevanti, causati dal colpo da 120 a segno sulla Littorio.
Questi danni contribuiscono ad indebolire seriamente la Mediterranean Fleet (già rimasta priva di corazzate, dopo il successo dell’impresa di Alessandria), almeno temporaneamente, per quanto concerne il numero di siluranti a disposizione (tra quelli colpiti durante la battaglia e le unità danneggiate da aerei e sommergibili negli stessi giorni, ben tredici cacciatorpediniere della Mediterranean Fleet si ritrovano danneggiati in modo più o meno grave), ma dati i rapporti di forza nella battaglia sarebbe stato lecito aspettarsi, da parte italiana, un risultato più favorevole. Il convoglio, obiettivo dell’attacco, è scampato indenne alle navi italiane, anche se la perdita di tempo causata dalle deviazioni di rotta imposte dalla battaglia faciliterà gli attacchi aerei che porteranno, nelle ore successive, alla sua distruzione.
Alle 19.06 la formazione italiana accosta verso nord, e poco dopo si dispone in un’unica linea di fila (navi maggiori), con i cacciatorpediniere in posizione di scorta laterale ravvicinata; alle 19.20 la velocità viene ridotta a 24 nodi, ed alle 19.48, calato completamente il buio, la XIII e la XI Squadriglia vengono posizionate a poppavia delle navi maggiori in doppia colonna, XIII Squadriglia a dritta e XI a sinistra.
Alle 19.13, intanto, le navi britanniche cessano l’emissione di nebbia, ritenendo che ormai la forza italiana non si ripresenterà: il convoglio viene finalmente autorizzato a procedere verso Malta (in formazione diradata, per rendere più difficile il lavoro dei bombardieri ed aerosiluranti italo-tedeschi), mentre le navi di Vian fanno ritorno ad Alessandria (tranne Havock e Kingston, mandati a Malta con il convoglio in considerazione dei danni subiti, ed il Lively, inviato a Tobruk per lo stesso motivo). Il convoglio britannico subirà gravi perdite l’indomani, ormai praticamente sulla porta di casa: gli attacchi aerei dell’Asse affonderanno la Breconshire ed il piroscafo Clan Cambpell e metteranno fuori uso il cacciatorpediniere Legion (portato all’incaglio, e poi distrutto durante le riparazioni da altri bombardamenti su Malta, come pure il Kingston), mentre il cacciatorpediniere Southwold affonderà per urto contro una mina; i due piroscafi superstiti, Pampas e Talabot, saranno affondati in porto dai bombardamenti, così che di 25.000 tonnellate di rifornimenti portati dal convoglio meno di 5000 giungeranno a destinazione.
Il maltempo, frattanto, è ormai degenerato in una vera e propria tempesta: col mare grosso al traverso, le navi rollano fortemente, alcune di esse con sbandate paurose. Di conseguenza, l’ammiraglio Iachino ordina a tutta la squadra, per fronteggiare meglio il mare grosso, di accostare per 25° e ridurre la velocità a 20 nodi alle 20.00 (avendo il mare grosso in poppa, per contenere il forte rollio che può portare ad oscillazioni di ampiezza pericolosa, è opportuno navigare a bassa velocità), ed alle 20.26 ordina di assumere rotta 10°. Alle 20.34 Supermarina ordina a Iachino di rientrare in porto. Alle 21.17 la velocità viene ridotta a 18 nodi ed alle 23.57 a 16, sempre per lenire il travaglio dei cacciatorpediniere, ma la situazione va peggiorando. La flotta italiana, che nel combattimento appena concluso non ha praticamente subito danni, dovrà subire due dolorose perdite durante la navigazione di rientro, non per azione nemica ma per la furia del mare.
Sono i cacciatorpediniere, più piccoli e fragili, e in gran parte usurati dalle frequenti missioni di scorta convogli (i cicli operativi troppo prolungati cui sono sottoposti hanno effetti negativi soprattutto in termini di logorio dell’apparato motore), a risentire di più delle condizioni del mare. Molti di essi iniziano a manifestare avarie: per primo il Lanciere, poi anche l’Aviere, l’Oriani, lo Scirocco, il Fuciliere e l’Alpino comunicano tutti problemi ed avarie più o meno gravi, restando arretrati o perdendo il contatto con le altre unità. L’Oriani, in particolare, chiede alle 20.45 al caposquadriglia Ascari di poter assumere una rotta non inferiore a 35°, avendo perso un portello del locale macchine, strappato dalla furia del mare. Ricevutane autorizzazione, ne informa la Littorio alle 21.10.
Un poco per volta, la formazione viene dispersa dalla tempesta, e le unità proseguono da sole od a piccoli gruppi, lottando contro la violenza del mare.
23 marzo 1942
La violenza del mare disperde la formazione; all’alba del 23, su un totale di dieci cacciatorpediniere, soltanto uno è rimasto assieme alle navi maggiori della forza navale: altri cinque sono rimasti indietro, mentre quattro sono finiti col trovarsi in posizione molto più avanzata rispetto alla Littorio. Il mare è ormai diventato forza 8 ed investe le navi nei settori poppieri, causando gravi avarie e danni alle sovrastrutture.
Alle 9.10 l’Oriani, afflitto da un’avaria di macchina a causa di un problema con i filtri dell’olio, comunica la sua posizione e segnala che dirigerà per Messina; l’ammiraglio Iachino ordina all’Aviere di scortarlo fino al porto siciliano.
L’Oriani riesce finalmente a raggiungere Messina alle 18.30, preceduto di mezz’ora dall’Aviere. Sono giunti a Messina nelle ore precedenti anche il Gorizia (alle 14.20, prima nave ad arrivare in porto), il Fuciliere (alle 15.45, con il timone fuori uso) e l’Alpino (anch’esso alle 15.45), mentre dopo l’Oriani vi giungerà alle 19.36 il Geniere. Littorio, Ascari, Bersagliere ed il cacciatorpediniere Antonio Pigafetta, appositamente uscito da Taranto per rinforzare la decimata scorta della corazzata, arrivano a Taranto alle 18.42 dello stesso giorno; Trento e Bande Nere riusciranno invece a raggiungere Messina soltanto l’indomani mattina, mentre il Grecale raggiungerà a fatica la costa calabra il 25 marzo, venendo poi rimorchiato a Crotone.
Non rientreranno invece mai più Lanciere e Scirocco, sopraffatti dalla furia della tempesta nella mattina del 23 marzo. Dei 478 componenti dei loro equipaggi (242 sul Lanciere e 236 sullo Scirocco), soltanto in 17 (15 del Lanciere e due dello Scirocco) verranno recuperati in vita nei giorni seguenti.
Anche l’Oriani deve lamentare una vittima causata dalla tempesta: il marinaio servizi vari Girolamo Tanto, di 22 anni, da Sciacca, trascinato in mare da un’onda. Alla sua memoria sarà conferita la Croce di Guerra al Valor Militare,con motivazione «Imbarcato su C.T., impegnato in uno scontro con forze navali nemiche, assolveva il suo compito con sereno coraggio e noncuranza del pericolo; travolto da un’ondata, scompariva in mare nell’adempimento del dovere».
Maggio 1942
L’Oriani e l’Ascari vengono dislocati a Cagliari insieme alla VII Divisione (incrociatori leggeri Eugenio di Savoia e Raimondo Montecuccoli) per poter intercettare più agevolmente forze leggere britanniche che tentassero di raggiungere Malta (ciò secondo la storia ufficiale dell’USMM; secondo "La guerra italiana sul mare" di Giorgio Giorgerini, invece, come forza di “pronto intervento” contro forze di superficie britanniche che dovessero attaccare i convogli italiani diretti in Libia: Supermarina aveva infatti concluso che invece di dispiegare le forze navali da battaglia a protezione indiretta dei convogli per l’Africa Settentrionale, sarebbe stato più opportuno far intervenire immediatamente reparti navali leggeri – la VII Divisione – in caso di scorrerie di forze di superficie britanniche provenienti da Malta contro il traffico italiano).
29 maggio 1942
Alle 15.35 la VII Divisione salpa da Cagliari per intercettare la portaerei britannica Eagle, uscita da Gibilterra per lanciare dei caccia Supermarine Spitfire che dovranno andare a rinforzare i decimati reparti aerei di base a Malta. L’Eagle e la sua scorta sono state avvistate e segnalate quello stesso pomeriggio, a nord di Algeri e con rotta est, dal sommergibile Veniero.
Alle 20.13, tuttavia, un aereo avvista la stessa formazione britannica con rotta ovest: evidentemente l’Eagle ha già lanciato gli aerei e sta rientrando alla base, e l’intercettazione è ormai impossibile.
30 maggio 1942
Invertita la rotta, la VII Divisione giunge a Cagliari alle 2.15.
Metà 1942
In seguito ad una riorganizzazione dei cacciatorpediniere di squadra della Regia Marina, l’Oriani va a formare la X Squadriglia Cacciatorpediniere insieme a Gioberti, Ascari e Premuda.
13 giugno 1942
L’Oriani, insieme a Gioberti ed Ascari (che con l’Oriani ed il Premuda formano la X Squadriglia Cacciatorpediniere), salpa da Cagliari alle 16.30 (o 16) per trasferirsi a Palermo, scortando la VII Divisione Navale (incrociatori leggeri Raimondo Montecuccoli ed Eugenio di Savoia) dell’ammiraglio Alberto Da Zara.
Alle 18.16 la formazione viene avvistata a sud della Sardegna dal sommergibile britannico P 43 (tenente di vascello Arthur Connuch Halliday), che alle 18.31 lancia quattro siluri in posizione 38°56’ N e 09°40’ E. Le armi non vanno a segno.
Alle 20.17 è il sommergibile britannico P 211 (poi Safari, capitano di fregata Benjamin Bryant) ad avvistare le navi italiane in posizione 38°42’ N e 10°29’ E, ma questi non attacca, perché le navi italiane sono troppo lontane.


L’Oriani, in primo piano, in uscita da Palermo nel tardo pomeriggio del 14 giugno 1942. In secondo piano si riconoscono l’Ascari, a destra, ed il Vivaldi, a sinistra; sullo sfondo s’intravedono in lontananza anche Zeno (con colorazione mimetica) e Malocello. Si nota che ogni unità è verniciata in modo diverso: l’Oriani ha uno schema mimetico "standard", l’Ascari uno schema "Claudus" mentre il Vivaldi è verniciato interamente in grigio scuro a scopo sperimentale (g.c. STORIA militare)


14 giugno 1942
Oriani, Gioberti, Ascari, Eugenio e Montecuccoli arrivano a Palermo alle 8.30; qui trovano ad aspettarli anche i cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi, Lanzerotto Malocello e Nicolò Zeno della XIV Squadriglia, trasferitisi da Napoli a Palermo il giorno precedente.
Il mattino stesso del 14 giugno i comandanti dell’Oriani e delle altre unità della X e XIV Squadriglia Cacciatorpediniere e della VII Divisione Navale vengono convocati a rapporto dall’ammiraglio di divisione Alberto Da Zara sull’incrociatore leggero Eugenio di Savoia, sua nave di bandiera; qui vengono informati che la VII Divisione e la X e XIV Squadriglia, sotto il comando di Da Zara, dovranno salpare in serata per attaccare un convoglio carico di rifornimenti in navigazione da Gibilterra a Malta nell’ambito dell’operazione britannica «Harpoon». Alle 10.40 di quel mattino Supermarina ha infatti ordinato al comandante della VII Divisione che «EUGENIO e MONTECUCCOLI con ORIANI, GIOBERTI, ASCARI, VIVALDI, MALOCELLO, ZENO, PREMUDA si trovino domattina 15 alle 05.00 a 5 miglia sud Pantelleria scopo attaccare convoglio nemico dopo suo transito Canale Sicilia. Evitate impegnarvi con forze superiori. Sommergibili nazionali operano tra meridiani 13° e 13°40’ e paralleli 35°40’ e 36°20’. Disposta protezione aerei da caccia e scorta notturna. Marina Messina disponga scorta aerea antisom. Comando 7a Divisione impartisca ordini diretti Ct PREMUDA».
Dopo che una precedente operazione di rifornimento di Malta svoltasi nel marzo 1942 (e sfociata nella seconda battaglia della Sirte) si è conclusa con la perdita, causata dagli attacchi aerei, di 24.000 delle 25.000 tonnellate di rifornimenti inviati, la situazione dell’isola era divenuta molto critica: in maggio si è dovuto introdurre il razionamento dei viveri, e le calorie fornite quotidianamente alla guarnigione sono state dimezzate (da 4000 a 2000) mentre per la popolazione civile la riduzione è stata ancora più marcata (1500 calorie).
I comandi britannici, pertanto, hanno programmato per metà giugno una duplice operazione di rifornimento, articolata su due sotto-operazioni: “Harpoon”, il cui convoglio deve partire da Gibilterra, e “Vigorous”, che partirà invece da Alessandria. Quest’ultima consiste nell’invio di un convoglio di undici navi mercantili, scortate da sette incrociatori leggeri, un incrociatore antiaereo, 26 cacciatorpediniere, 4 corvette, due dragamine, quattro motosiluranti e due navi soccorso, in aggiunta alla vecchia nave bersaglio Centurion, una ex corazzata camuffata di nuovo, per l’occasione, da corazzata nel tentativo – fallito – di far credere ai ricognitori italiani che la scorta includa appunto anche una nave da battaglia. Contro “Vigorous” prenderà il mare il grosso della flotta da battaglia italiana, al comando dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino.
Il convoglio dell’operazione “Harpoon”, denominato W.S. 19/Z e partito da Gibilterra il 12 giugno, è invece composto da sei navi mercantili: i piroscafi britannici BurdwanOrari e Troilus, la motonave olandese Tanimbar, la motonave statunitense Chant e la nuovissima nave cisterna statunitense Kentucky, che trasportano in tutto 43.000 tonnellate di rifornimenti. La scorta diretta del convoglio, denominata Forza X, consiste nell’incrociatore antiaerei Cairo (capitano di vascello Cecil Campbell Hardy, comandante della Forza X), nei cacciatorpediniere di squadra BedouinMarneMatchlessIthuriel e Partridge (appartenenti alla 11th Destroyer Flotilla), nei cacciatorpediniere di scorta (classe “Hunt”) BlankneyBadsworthMiddleton e Kujawiak (appartenenti alla 19th Destroyer Flotilla), nei dragamine HebeSpeedyHythe e Rye ed in sei “motolance” impiegate per il dragaggio (ML-121ML-134ML-135ML-168ML-459ML-462). Tutte le unità della scorta sono britanniche con l’eccezione del Kujawiak, che è polacco.
In aggiunta alla scorta diretta, nel primo tratto della navigazione (da Gibilterra fino a poco prima dell’imbocco del Canale di Sicilia) il convoglio è accompagnato anche da una poderosa forza di copertura, la Forza W del viceammiraglio Alban Curteis: la compongono la corazzata Malaya, le portaerei Eagle ed Argus, gli incrociatori leggeri Kenya (nave ammiraglia di Curteis), Charybdis e Liverpool ed i cacciatorpediniere OnslowIcarusEscapadeWishartAntelopeWestcottWrestler e Vidette.
Secondo lo storico Enrico Cernuschi, Supermarina era stata allertata dal Reparto Informazioni della Marina già il mattino dell’11 giugno, in seguito a decrittazioni di comunicazioni britanniche ed a rilevazioni radiogoniometriche dalle quali era emerso che un convoglio britannico diretto a Malta si apprestava ad entrare in Mediterraneo dallo stretto di Gibilterra. A queste avevano fatto seguito segnalazioni da parte di osservatori italiani appostati ad Algeciras (vicino a Gibilterra) e da spie italiane operanti su pescherecci spagnoli che navigavano in quelle acque; infine, all’una del pomeriggio del 12 giugno, la ricognizione aerea aveva fugato ogni dubbio.
Secondo la storia ufficiale dell’USMM, invece, Supermarina aveva ricevuto le prime notizie su “Harpoon” alle 7.55 del 12 giugno, quando informatori di base nella zona di Gibilterra avevano comunicato la partenza da Gibilterra di una poderosa squadra navale composta da MalayaEagleArgus, almeno tre incrociatori e numerosi cacciatorpediniere (la Forza W), diretta verso est, nonché il passaggio nello stretto, a fanali spenti, di numerose navi provenienti dall’Atlantico. Il Comando della Marina italiana aveva correttamente ipotizzato che fosse dunque in navigazione da Gibilterra a Malta un grosso convoglio proveniente dall’Atlantico, impressione confermata dai successivi avvistamenti della ricognizione aerea. Per contrastare tale convoglio, Supermarina aveva messo a punto un piano che prevedeva: l’invio di un ampio schieramento di sommergibili nel Mediterraneo occidentale; la dislocazione di torpediniere e MAS in agguato nel Canale di Sicilia; la cooperazione con la Regia Aeronautica affinché il convoglio fosse pesantemente attaccato da aerei a sud della Sardegna, indebolendone la scorta; e l’invio di una formazione navale leggera, particolarmente adatta ad un combattimento in acque circoscritte ed insidiate, per attaccare il convoglio a sorpresa all’alba del 15. Quest’ultimo compito era appunto affidato alle navi dell’ammiraglio Da Zara, che dovevano partire da Palermo la sera del 14 giugno.
Ha così inizio la battaglia aeronavale di Mezzo Giugno.
Nella giornata del 14 giugno, le navi di “Harpoon” iniziano a subire i primi attacchi da parte degli aerei dell’Asse: operano contro il convoglio tutti gli aerei disponibili nelle basi di Sicilia e Sardegna, cioè 56 aerosiluranti italiani, 47 bombardieri orizzontali italiani, 21 bombardieri orizzontali tedeschi e 30 bombardieri in picchiata italiani (in parte Junkers Ju 87 ceduti dalla Luftwaffe alla Regia Aeronautica, in parte biplani FIAT CR. 42 adattati per questo ruolo), con la scorta di 103 caccia italiani e 27 tedeschi. Bombardieri ed aerosiluranti compiono in tutto tredici attacchi (undici da parte degli aerei italiani, due da parte di quelli tedeschi), scontrandosi con la poderosa reazione contraerea delle navi britanniche nonché dei velivoli imbarcati sulle due portaerei (18 caccia Hawker Hurricane e 6 caccia Fairey Fulmar). Nel corso di questi attacchi, aerosiluranti Savoia Marchetti S.M. 79 “Sparviero” della Regia Aeronautica affondano la motonave Tanimbar e silurano l’incrociatore leggero Liverpool, danneggiandolo gravemente e costringendolo a rientrare in porto. Dopo aver lanciato i siluri gli S.M. 79 mitragliano anche le navi del convoglio, arrecando danni superficiali alla motonave Chant. I FIAT CR. 42, con le loro bombe alari, danneggiano ulteriormente il Liverpool ed arrecano lievi danni anche al cacciatorpediniere Antelope, che l’ha preso a rimorchio; i bombardieri tedeschi danneggiarono leggermente con delle bombe cadute vicino (“near misses”) il cacciatorpediniere Westcott (che ha 3 morti e 5 feriti tra l’equipaggio) e l’Argus. Questi risultati sono pagati con la perdita di diciotto aerei italiani e tre aerei tedeschi; da parte loro, i britannici perdono nove aerei, uno dei quali (un Fulmar) abbattuto dal “fuoco amico” delle cacciatorpediniere HMS Wrestler mentre tentava un appontaggio d’emergenza dopo essere stato danneggiato da un FIAT CR. 42.
Non colgono invece risultati né gli otto sommergibili italiani in agguato tra Orano e Capo Bon, né le due torpediniere inviate a sud di Marettimo (nel caso di queste ultime, perché il convoglio passa troppo lontano, rasentando la costa della Tunisia); gli otto MAS usciti in mare devono rientrare in porto per via del mare troppo mosso.
La formazione britannica prosegue fino all’imbocco del Canale di Sicilia; qui (alle 20.15), come previsto, la Forza W di Curteis inverte la rotta e dirige per rientrare a Gibilterra, lasciando proseguire verso Malta il convoglio con la scorta della Forza X di Hardy, alla velocità di 12 nodi.
L’Oriani (capitano di fregata Paolo Pesci; a bordo è anche il caposquadriglia della X Squadriglia Cacciatorpediniere, capitano di vascello Riccardo Pontremoli) salpa da Palermo alle 19.24 insieme al resto della X Squadriglia (Vincenzo Gioberti ed Ascari), alla XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (Ugolino Vivaldi, Lanzerotto Malocello e Nicolò Zeno) ed alla VII Divisione Navale (incrociatori leggeri Raimondo Montecuccoli ed Eugenio di Savoia, al comando dell’ammiraglio Da Zara, imbarcato sull’Eugenio).
Nelle ore successive si unisce alla formazione anche il cacciatorpediniere Premuda, proveniente da Trapani. Le navi ricono copertura aerea dall’Aeronautica della Sicilia.
Gli ordini per il gruppo dell’ammiraglio Da Zara sono di trovarsi alle 5 del mattino del 15 giugno cinque miglia a sud di Pantelleria, in modo da attaccare il convoglio dopo che sarà passato nel Canale di Sicilia, evitando di impegnarsi con forze superiori.
Poco dopo la partenza del gruppo da Palermo, tuttavia, Gioberti e Zeno subiscono avarie di macchina non riparabili con i mezzi disponibili, e sono dunque costretti a tornare indietro; il numero dei cacciatorpediniere viene così ridotto da sette a cinque (compreso il Premuda, aggregatosi poco dopo). Le navi sono scortate da una sezione di caccia FIAT CR. 42.
I due incrociatori procedono in linea di fila, Eugenio (capitano di vascello Francesco Zannoni) in testa e Montecuccoli (capitano di vascello Arturo Solari) in coda, con Oriani ed Ascari (capitano di fregata Teodorico Capone) a proravia della formazione, Vivaldi (capitano di vascello Ignazio Castrogiovanni) e Malocello (capitano di fregata Mario Leoni) sulla dritta e Premuda (capitano di fregata Mario Bartalesi) sulla sinistra. Durante la notte la formazione viene cambiata, per premunirsi contro eventuali incontri notturni con navi di superficie britanniche: Oriani, AscariPremuda procedono in testa alla formazione, precedendo gli incrociatori, mentre Vivaldi e Malocello, non abbastanza veloci, vengono tenuti in coda alla formazione.
Alle 20.25, al largo di Palermo, il gruppo di Da Zara viene avvistato da un ricognitore britannico, che tuttavia non riesce a seguirlo per verificare quale sia la sua definitiva direttrice di marcia. L’ammiraglio Ralph Leatham, comandante della base navale di Malta, stima erroneamente che le navi di Da Zara siano dirette verso est per ricongiungersi con il grosso delle forze italiane (corazzate Littorio e Vittorio Veneto, incrociatori pesanti Trento e Gorizia, incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’Aosta e Giuseppe Garibaldi e dieci cacciatorpediniere della VII, XI e XIII Squadriglia) uscite da Taranto e dirette contro l’altro convoglio britannico diretto a Malta, «Vigorous», proveniente da Alessandria. Di conseguenza, si limita ad inviare aerei a pattugliare lo Stretto di Messina ed a preparare a Malta un reparto di aerosiluranti, da far decollare qualora la formazione venga ritrovata dai ricognitori.
L’ammiraglio Curteis, che sta navigando verso Gibilterra, viene a sapere dell’avvistamento (proprio da Letham) alle 22.15. Dopo aver valutato la possibilità di dover rinforzare la Forza X, che conta soltanto su di un incrociatore contraereo e nove cacciatorpediniere, Curteis decide di non mandare rinforzi, perché anche lui non pensa che le navi di Da Zara intendano far rotta verso ovest per attaccare il convoglio di notte, né che intendano entrare nella zona in cui esso si verrà a trovare all’alba, in quanto crede che le navi italiane ne rimangano alla larga per restare fuori del raggio degli aerei di Malta. Considerando che in precedenza (prima e seconda battaglia della Sirte) formazioni di consistenza non molto maggiore della Forza X hanno saputo tenere gruppi italiani di maggior potenza lontani dai convogli scortati, Curteis decide di non distaccare alcun incrociatore per rinforzare la Forza X, anche perché così facendo indebolirebbe la sua Forza W – lasciando le sue due portaerei senza sufficiente protezione – nel momento in cui questa si verrà a trovare nel raggio d’azione dell’aeronautica della Sardegna, dopo essersi già dovuto privare del Liverpool.
(Secondo la ricostruzione dello storico Francesco Mattesini, invece, Curteis venne informato dell’uscita in mare delle navi italiane nel pomeriggio del 14 giugno, in seguito all’avvistamento della VII Divisione, partita da Cagliari e diretta verso est, da parte dei sommergibili Unison e Safari, in agguato tra Sicilia e Sardegna. Al momento dell’avvistamento la VII Divisione era effettivamente diretta verso est, essendo in trasferimento da Cagliari a Palermo – da dove poi ripartì insieme ai cacciatorpediniere per andare ad intercettare «Harpoon», ma questo i britannici non lo sapevano – : fu per questo che i comandi britannici credettero erroneamente che quella formazione fosse diretta verso lo stretto di Messina per entrare in Mar Ionio ed unirsi al nucleo principale dell’ammiraglio Iachino, a sua volta avvistato nel Golfo di Taranto, con rotta verso sud, da un ricognitore Martin Baltimore del 69th Squadron, decollato da Malta. Sempre secondo Mattesini i britannici sarebbero stati al corrente dell’operazione italiana contro il convoglio «Vigorous» anche attraverso le decrittazioni di messaggi italiani e tedeschi da parte di “ULTRA”; che invece non sarebbe evidentemente riuscita ad avere sentore della concomitante operazione italiana contro «Harpoon»).
Contrariamente alle aspettative di Letham e Curteis, il gruppo di Da Zara è invece diretto verso ovest proprio con l’intento di attaccare il convoglio di «Harpoon» alle luci dell’alba. La navigazione notturna delle navi italiane si svolge senza che si verifichino eventi di rilievo; alle 23.50 l’ammiraglio Da Zara viene informato che la corazzata e le portaerei (la Forza W) hanno invertito la rotta al tramonto, ed alle 23.52 Supermarina precisa la composizione del convoglio in 4-6 mercantili, scortati da 1-2 incrociatori e 10 cacciatorpediniere.
15 giugno 1942
Alle due di notte del appaiono in cielo due bengala, che illuminano il mare con la loro luce rossastra. Il mare è calmissimo, con atmosfera limpida e cielo stellato. Alle 2.52 Supermarina informa Da Zara che il convoglio potrebbe essere in leggero anticipo.
Alle tre di notte, superata Marettimo, vengono viste delle vampe di cannonate in direzione di Capo Bon: le unità della Forza X, di scorta al convoglio di “Harpoon”, stanno infatti sparando contro illusori avvistamenti di MAS e torpediniere italiane, dirette ad attaccare il convoglio, che credono di vedere nel buio della notte. In realtà, nessuna unità italiana di alcun tipo si trova nei pressi del convoglio: il cacciatorpediniere Ithuriel cannoneggia dalle 2.12 alle 2.20 quella che ritiene una torpediniera italiana ma che si rivela poi essere il relitto incagliato del cacciatorpediniere britannico Havock, qui arenatosi il precedente 6 aprile; il dragamine Rye ed altre unità sparano contro immaginarie motosiluranti italiane, ma non è altro che uno scherzo giocato ai marinai britannici dall’effetto combinato della tensione e dell’oscurità (caso del resto non isolato nella guerra sul mare).
Alle quattro del mattino appare all’orizzonte Pantelleria, e mezz’ora dopo gli equipaggi italiani passano dal posto di combattimento notturno al posto di combattimento generale. Vengono alzate le bandiere di combattimento.
Alle 4.35, con l’approssimarsi della zona in cui è ritenuto probabile l’incontro col nemico, l’ammiraglio Da Zara dispone la X Squadriglia Cacciatorpediniere (OrianiAscari e Premuda) a proravia degli incrociatori, e la XIV Squadriglia (Vivaldi e Malocello) a poppavia. Ciò perché le navi della XIV Squadriglia sono le meno veloci della formazione: di conseguenza, Da Zara pensa di utilizzarle per attaccare i lenti mercantili, mentre gli incrociatori e la X Squadriglia impegneranno la scorta. Alle 4.40 viene assunta rotta 180°, ed alle 5.05 la velocità viene portata a 24 nodi.
Il convoglio britannico, nel mentre, procede con i mercantili disposti su due colonne precedute dal Cairo, con i cinque cacciatorpediniere di squadra della 11th Destroyer Flotilla (Bedouin in testa) in posizione di scorta sulla dritta, ed i quattro cacciatorpediniere di scorta della 12th Destroyer Flotilla (Blankney in testa) sulla sinistra, mentre tutti i dragamine erano a poppavia della formazione.
Poco dopo, le navi italiane vengono avvistate da un caccia Bristol Beaufighter del 235th Squadron RAF, decollato da Malta e diretto incontro alla Forza X per assumerne la scorta aerea, il quale alle 5.20 comunica per radiotelefono al Cairo che due incrociatori e quattro cacciatorpediniere sono a 15 miglia di distanza, al suo traverso a sinistra (però il messaggio, trasmesso dall’aereo alla base a terra e da quest’ultima al Cairo, raggiunge quest’ultimo solo alle 5.40, a combattimento già iniziato). In quel momento il convoglio si trova 25 miglia a sudovest di Pantelleria e procede a 12 nodi su rotta 130°.
Alle 5.27 il Matchless è la prima nave britannica ad avvistare le unità italiane, che si trovano in condizioni di luce per loro sfavorevoli (il sole sta sorgendo alle loro spalle, così le loro sagome si stagliano contro la luce dell’alba, mentre le navi britanniche si trovano ancora nella parte più scura dell’orizzonte); pochi minuti dopo, anche il Cairo avvista in direzione 75° le navi italiane, identificandole come due incrociatori leggeri tipo “Condottieri” e cinque cacciatorpediniere, distanti dieci miglia e con rotta stimata 150°. L’avvistamento delle forze italiane a bordo del Bedouin, caposquadriglia dei cacciatorpediniere di squadra, è così descritto: “Alle 5.40 stava sorgendo il sole quando la vedetta in coffa annunciò “Pescherecci algerini in vista”. Il comandante B. G. Scurfield fissò le navi che apparivano oltre l’orizzonte. Non erano pescherecci, ma due incrociatori e cinque cacciatorpediniere. La flotta italiana li aveva trovati”.
L’arrivo di queste navi è una sorpresa per il comandante Hardy: durante la pianificazione dell’operazione, i comandi britannici hanno escluso la possibilità di uno scontro diurno con navi di superficie italiane nel Canale di Sicilia. Alle 5.31 il Cairo comunica l’avvistamento al resto del convoglio, e dà al Bedouin libertà di movimento per attaccare la formazione italiana con gli altri cacciatorpediniere di squadra.
Con questa mossa, pianificata già prima della partenza e concordata con i comandanti dipendenti, Hardy intende tenere a distanza le navi italiane e guadagnare tempo mentre il Cairo, gli “Hunt” ed anche i dragamine di squadra coprono i mercantili con cortine nebbiogene e li dirottano verso la costa della Tunisia (il capoconvoglio dà infatti immediatamente ordine di accostare ad un tempo verso la costa tunisina, poi confermato anche da Hardy alle 5.45). Alle 5.35 anche il Badsworth avvista le navi italiane, confermando l’avvistamento del Matchless; alle 5.38 è la volta del Blankney. La posizione rispetto al sole, che sta sorgendo alle spalle delle navi italiane, è favorevole ai britannici, in quanto questi ultimi sono ancora protetti da una relativa oscurità, mentre le sagome delle unità di Da Zara si stagliano contro il sole che sorge.
Da parte italiana, la VII Divisione viene raggiunta dalla prima pattuglia di aerei da caccia alle 5.20 (complessivamente, nel corso della giornata ben 117 aerei si alternano sul cielo della Divisione, garantendole una protezione pressoché ininterrotta), ed alla stessa ora vengono catapultati i due idrovolanti da ricognizione dell’Eugenio e del Montecuccoli. Il primo, tuttavia, viene danneggiato e costretto all’ammaraggio alle 6.10 da un caccia Bristol Beaufighter proveniente da Malta, mentre il secondo avvista e tallona le navi nemiche dalle 5.37 alle 6.25, ma non può comunicare niente perché la sua radio si è guastata subito dopo il decollo: in tal modo, Da Zara non riceve alcun aiuto dai suoi ricognitori.
Alle 5.32, intanto, il Montecuccoli è la prima nave italiana ad avvistare la Forza X su rilevamento 270°, ad una distanza stimata di 20 km (ciò secondo la storia ufficiale dell’USMM; secondo "In passage perilous" di Vincent O’Hara, la prima sarebbe invece stata l’Oriani, che procedeva in testa alla formazione italiana e che alle 5.30 avrebbe segnalato fumo e sagome incerte di numerose navi nella parte scura dell’orizzonte, verso ovest). Da Zara stima la composizione del convoglio nemico in 6 piroscafi, 12 tra cacciatorpediniere e corvette e due incrociatori, questi ultimi in testa alla formazione, e decide subito di lanciarsi all’attacco: portata la velocità da 24 a 28 nodi alle 5.36, Eugenio e Montecuccoli aprono il fuoco alle 5.39 contro i presunti incrociatori, da 19.000 metri di distanza.
In realtà questi ultimi sono i due cacciatorpediniere di testa della 11th Flotilla, Bedouin e Partridge, che per le loro grosse dimensioni (il loro dislocamento è quasi il doppio rispetto a quello degli “Hunt” rimasti con il convoglio) e la considerevole distanza hanno tratto in inganno l’ammiraglio Da Zara. Ciò secondo la storia ufficiale dell’USMM; secondo Enrico Cernuschi, invece, bersaglio di Eugenio e Montecuccoli sarebbero stati il Cairo e l’Ithuriel, quest’ultimo seminascosto dal fumo e dalla nebbia artificiale, ragion per cui entrambe le unità avrebbero tirato contro il Cairo.
Alle 5.40 aprono il fuoco anche Oriani ed Ascari (che sono in testa alla formazione italiana), sempre da 19.000 metri (gittata massima dei loro cannoni da 120 mm), contro il Bedouin (capitano di fregata Bryan Gouthwaite Scurfield, capoflottiglia della 11th Flotilla) ed il Partridge, che li avvistano nel momento in cui si vedono arrivare addosso i primi colpi (sempre nello stesso momento, i due cacciatorpediniere britannici ricevono ordine di dirigere contro gli incrociatori italiani), mentre il Premuda spara contro il mercantile di testa del convoglio (probabilmente la Kentucky, che infatti si vede cadere diverse cannonate nelle proprie vicinanze), in navigazione con rotta est.
Mentre la 11th Flotilla passa a proravia del convoglio e va all’attacco, il Cairo e la 12th Flotilla rispondono al fuoco solo alle 5.50, perché i loro cannoni (sono armati con pezzi da 102 mm, contro i 152 della VII Divisione) non hanno una gittata sufficiente per poter rispondere prima in modo efficace. Intenzione di Hardy è di mascherare il convoglio con le cortine fumogene e condurre un’azione ritardante in attesa dell’arrivo da Malta di aerosiluranti che possano attaccare le navi italiane, il cui intervento ha richiesto alle 5.33, subito dopo essere stato informato dal Matchless dell’avvistamento della formazione attaccante (da parte sua, il comando di Malta ha già ordinato il decollo di tutti gli aerosiluranti disponibili alle 5.23). Il comandante britannico scriverà poi che il Cairo ha sparato durante l’azione in modo intermittente e più che altro per “effetto morale”, dato che gli incrociatori italiani non sono mai giunti a portata dei suoi cannoni.
Le disposizioni impartite ai comandanti della scorta prima della partenza prevedono che in caso di scontro con navi nemiche la scorta dovrà occultare il convoglio con abbondanti cortine fumogene, dopo di che i cacciatorpediniere andranno all’attacco silurante; tattica sperimentata con successo dall’ammiraglio Vian tre mesi prima, durante la seconda battaglia della Sirte. Ma il complesso di navi a disposizione di Hardy è molto più eterogeneo e meno addestrato ed affiatato rispetto a quello che Vian aveva avuto ai suoi ordini; inoltre, di tutti i suoi cacciatorpediniere soltanto il Bedouin ha esperienza di combattimento contro navi di superficie. I piani originari prevedevano l’invio in rinforzo della Forza X dell’incrociatore Liverpool, qualora se ne fosse presentato il bisogno, ma quest’ultimo è stato gravemente danneggiato dagli aerosiluranti italiani il giorno precedente e sta faticosamente arrancando verso Gibilterra.
I cacciatorpediniere di squadra britannici (BedouinPartridgeIthurielMarne e Matchless) si dirigono verso gli incrociatori italiani formando una specie di linea di rilevamento per 180°, linea molto grossolana e sconnessa perché le navi britanniche, a causa delle cortine fumogene, faticano a vedersi: dal Partridge risulta visibile soltanto il Bedouin (entrambi procedono a 20 nodi), mentre l’Ithuriel rimane arretrato ed ancor più lontani sono Marne e Matchless, che alle 5.42 accelerano a 32 nodi per cercare di raggiungere il resto della flottiglia. BlankneyBadsworthMiddleton e Kujawiak sono radunati vicino ai mercantili, completamente avvolti dalle cortine nebbiogene; Hardy ordina loro di raggiungere i cacciatorpediniere di squadra per partecipare al contrattacco, lasciando i soli dragamine a proteggere i mercantili. Alle 5.42 i quattro “Hunt”, usciti dalla cortina nebbiogena, vengono presi sotto il tiro del Premuda.
Da parte italiana, la prima salva risulta corta, ma la seconda cade già a cavallo del Cairo, che subisce qualche modesto danno da schegge. Alle 5.44 l’ammiraglio Da Zara, avendo ulteriormente accelerato fino a 32 nodi alle 5.38, accosta verso il convoglio per ridurre le distanze e sparare più efficacemente, indirizzando il fuoco principalmente sul Bedouin e sugli altri caccia della 11th Flotilla che stanno andando al contrattacco. Più o meno nello stesso momento, il Bedouin ordina alle unità dipendenti di accelerare a 22 nodi ed attaccare col siluro; alle 5.45 Marne e Matchless aprono il fuoco contro gli incrociatori italiani da 19.000 metri, mentre alle 5.46 Eugenio e Montecuccoli concentrano il loro tiro sul Cairo. Poco dopo Bedouin e Partridge, la cui velocità è giunta a 25 nodi, aprono anch’essi il fuoco sugli incrociatori italiani da 16.500 metri di distanza.
Ma i cacciatorpediniere italiani stanno progressivamente perdendo terreno rispetto ai due incrociatori della VII Divisione: alle 5.48 (per altra fonte già alle 5.38, subito dopo aver ricevuto l’ordine di Da Zara di portare la velocità a 32 nodi) il caposquadriglia della XIV Squadriglia (capitano di vascello Castrogiovanni, del Vivaldi) comunica a Da Zara che la XIV Squadriglia non può superare i 28 nodi di velocità, il massimo che il Malocello riesca a raggiungere, e sta scadendo di poppa agli incrociatori; l’ammiraglio, non volendo ridurre la velocità di tutta la sua formazione proprio mentre è in corso l’attacco della 11th Flotilla, ordina pertanto a Vivaldi e Malocello, alle 5.50 (5.47 per altra fonte), di manovrare indipendentemente e di attaccare autonomamente le navi mercantili, che sono visibili più a nord del gruppo principale di navi da guerra britanniche, come ha già pianificato. Con le altre sue navi (incrociatori e X Squadriglia), Da Zara si propone di tagliare la rotta al nemico, aggirarlo ed attaccare il convoglio sull’altro lato.
La decisione di Da Zara di accelerare a 32 nodi, facendo così scadere i cacciatorpediniere (per primi Vivaldi e Malocello, che si trovano a poppavia degli incrociatori, ma poi anche i tre della X Squadriglia, che invece li precedevano di prora) rispetto agli incrociatori (il tutto quando gli incrociatori dovevano apprestarsi a fronteggiare un attacco silurante dei cacciatorpediniere avversari, dovendo al contempo impegnare gli incrociatori britannici, che Da Zara riteneva essere in numero almeno pari ai suoi), e quella conseguente di distaccare Vivaldi e Malocello dal resto della sua formazione per attaccare direttamente il convoglio, saranno in seguito criticate dall’ammiraglio Iachino, superiore di Da Zara, che considererà inopportuna tale divisione delle forze subito prima dell’attacco (in un documento denominato “Osservazioni sulla battaglia di Pantelleria”, datato 9 gennaio 1943, Iachino scrisse: «1°) Velocità e frazionamento della F.N. Queste due questioni vanno esaminate insieme poiché sono l’uno la conseguenza dell’altra. Ti confesso che le tue argomentazioni in proposito non mi hanno convinto: rimango dell’opinione che era preferibile affrontare il primo urto col nemico a forze riunite anziché sparpagliate, e che perciò era meglio tener bassa la velocità (entro i 28 nodi). L’averla aumentata a 32 nodi non mi pare abbia portato reali vantaggi, mentre ha certamente sottratto all’azione, nella prima fase del combattimento, le armi dei 5 nostri CC.TT., proprio quando ve ne era più bisogno per respingere un ardito attacco di siluranti avversarie. In quella fase dell’azione gli incrociatori sono rimasti praticamente soli, poiché i due VIVALDI erano già stati distaccati, ed i tre ORIANI stavano scadendo dalla parte esterna rispetto al nemico, e perciò non prendevano alcuna parte utile alla battaglia. L’inoperosità della X Squadriglia in questa fase è in parte da attribuirsi alla scarsa iniziativa del suo Comandante, ma è certamente stata provocata dall’eccessivo aumento di velocità degli incrociatori»). Lo storico Francesco Mattesini scrive che “Non appena avvistate le navi della formazione britannica l’ammiraglio Da Zara, nel dirigere all’attacco, partì letteralmente alla carica ordinando di aumentare la velocità dapprima a 28 nodi per poi raggiungere gradatamente i 32 nodi. Questo fatto (…) ebbe un primo effetto negativo nella condotta dell’attacco perché lasciò i cinque cacciatorpediniere della 7a Divisione Navale, a dover inseguire gli incrociatori, perdendo cammino”.
Ad ogni modo, mentre Vivaldi e Malocello si dirigono verso il convoglio per attaccarlo, Eugenio, Montecuccoli e la X Squadriglia Cacciatorpediniere continuano il combattimento contro la 11th Destroyer Flotilla (guidata dal Bedouin) cui si sta ricongiungendo il Cairo, dopo aver inizialmente manovrato insieme ai cacciatorpediniere della 12th Flotilla per coprire il convoglio con cortine fumogene ed impegnare la VII Divisione. I cacciatorpediniere britannici, determinati ad impedire alle navi di Da Zara di raggiungere il convoglio, aprono un fuoco furibondo, obbligando le navi italiane a continue accostate. Oriani ed Ascari concentrano il proprio tiro sul cacciatorpediniere britannico di testa, essendo il secondo coperto dal fumo e dalla nebbia; alle 5.50 osservano due colpi a segno, ed a tale ora il Bedouin viene infatti colpito a prua estrema perdendo “circa venti metri quadri di lamiere” (nondimeno, non rallenta, ed alle 5.51 ordina anzi di incrementare la velocità a 28 nodi). Al contempo, il Cairo giunge a 18.000 metri dagli incrociatori italiani ed inizia il tiro celere contro l’Eugenio, simultaneamente e l’Ithuriel, che lo precede ed è giunto a 13.500 metri di distanza (sta andando all’attacco silurante), apre il fuoco contro il Montecuccoli.
Eugenio e Montecuccoli vengono raggiunti da un colpo ciascuno (sparati rispettivamente dal Marne e dall’Ithuriel), ma riportano soltanto danni lievi; da entrambe le parti si spara rabbiosamente con tutti i calibri disponibili, e l’osservazione del tiro, che nelle fasi iniziali è facilitata dalle codette luminose dei proiettili (ancora visibili nella tenue luce dell’alba), è ostacolata dalle persistenti cortine nebbiogene. Il Cairo viene colpito una volta nelle sovrastrutture prodiere, ma non subisce danni particolarmente gravi; alle 5.54 ordina a Marne e Matchless di spostare il tiro su Vivaldi e Malocello, che minacciano il convoglio. Alle 5.55 il Bedouin, seguito dal Partridge ed a distanza maggiore dall’Ithuriel, ordina di accelerare ulteriormente, a 30 nodi; alla stessa ora il Premuda apre il fuoco contro l’Ithuriel da 11.000 metri, ed alle 5.56, calate le distanze, Eugenio e Montecuccoli aprono il fuoco anche con il proprio armamento secondario, rispettivamente contro il Partridge e l’Ithuriel. Alle 5.59 le due navi della VII Divisione spostano il loro tiro sui cacciatorpediniere britannici di testa: l’Eugenio contro il Partridge, il Montecuccoli contro il Bedouin, che alle 6.01 viene colpito da un proiettile da 152 mm. Alla stessa ora, il Montecuccoli sposta il tiro sul Marne, il più lontano dei quattro cacciatorpediniere britannici che risultano visibili; contrariamente all’apprezzamento da parte italiana, questo non viene colpito, ma subisce alcuni danni da schegge e feriti per colpi caduti vicini. L’unità britannica accosta in fuori ed il Montecuccoli torna a sparare sul Bedouin, che alle 6.02 incassa un altro colpo: questa volta il danno è grave, la condotta del vapore surriscaldato viene tranciata e dieci uomini muoiono. Al contempo anche il Partridge viene colpito dall’Eugenio, con danni ad un impianto lanciasiluri ed un incendio a bordo. Alle 6.04 il Montecuccoli colpisce il Bedouin altre due volte; alle 6.05 l’Ithuriel, mancato di poco dai colpi del Premuda (che hanno causato alcuni feriti da schegge), ripiega in una cortina di nebbia artificiale stesa dal Matchless, che perde il contatto con il capo sezione Marne. Alle 6.05 Eugenio e Montecuccoli mettono a segno altri due colpi contro Partridge e Bedouin; il primo accosta in fuori ed inizia a girare in tondo, mentre tra le 6.06 e le 6.10 il Bedouin incassa altri sei colpi da 152 del Montecuccoli, che causano danni gravissimi, incendi a bordo e soprattutto mettono fuori uso l’apparato motore: il cacciatorpediniere inizia a perdere rapidamente velocità, sino a restare del tutto immobilizzato alle 6.15.
Il Cairo prosegue il combattimento con i tre cacciatorpediniere di squadra rimasti in efficienza: l’Ithuriel impegna il Montecuccoli (la distanza è tanto serrata che è possibile usare anche le mitragliere pesanti), Marne e Matchless fanno lo stesso con Oriani ed Ascari, scaduti rispetto agli incrociatori. L’Ithuriel, giunto a circa 8000-9000 metri dagli incrociatori, lancia due siluri e poi accosta in fuori, essendo sottoposto “ad un tiro pesantissimo, preciso e spiacevole”, scomparendo dietro la cortina nebbiogena del Matchless per poi riunirsi al Cairo e seguirne le manovre; il Montecuccoli reagisce lanciando a sua volta due siluri.
Alle 6.06, intanto, il Premuda sposta il tiro sul Cairo, che colpisce alle 6.09 (provocando una falla sotto il galleggiamento, un limitato allagamento ed inducendo l’incrociatore ad occultarsi in una cortina fumogena stes dal Marne), mentre tra le 6.07 e le 6.09 Oriani ed Ascari, “sguardati” rispetto al Premuda, sparano saltuariamente alcune salve prima contro il Marne e poi contro il Matchless quando questi ultimi appaiono brevemente tra i varchi nelle cortine fumogene. I colpi non vanno a segno (è difficile aggiustare il tiro da quando gli incrociatori hanno cambiato bersagli, in quanto non possono più prendere a riferimento gli spruzzi sollevati dalla caduta dei proiettili di medio calibro), e le navi britanniche non rispondono al fuoco; alle 6.09 Oriani ed Ascari cessano il fuoco, dopo aver sparato rispettivamente una sessantina ed una novantina di colpi. Alle 6.10 Hardy, con il convoglio ormai diretto verso la costa tunisina con la scorta dei dragamine, ordina a tutti i cacciatorpediniere di raggiungerlo, ed a Marne e Matchless di andare all’attacco silurante. In questo momento la formazione di Hardy ha direttrice di marcia parallela a quella delle navi di Da Zara, verso sud, mentre il convoglio si allontana verso ovest. Alle 6.05 quest’ultimo subisce una prima perdita: otto bombardieri tedeschi Junkers Ju 87 (secondo Enrico Cernuschi) o quattro Junkers Ju 88 (secondo Francesco Mattesini) del I./KG. 54 del II. Fliegerkorps – approfittando del fatto che la maggior parte della scorta del convoglio, tra cui il Cairo con il suo poderoso armamento antiaerei, ha dovuto lasciarlo sguarnito per affrontare le navi di Da Zara – attaccano in picchiata i mercantili poco difesi e colpiscono con tre bombe la Chant (questo secondo i rapporti britannici, mentre quello statunitense parla di una singola bomba andata a segno sul lato di dritta, a centro nave), incendiandola. Data la natura del carico (munizioni, benzina per aerei e carbone), che potrebbe esplodere da un momento all’altro, l’equipaggio della Chant abbandona precipitosamente la nave e viene raccolto al completo dalle motolancie ML (ad eccezione di tre uomini, rimasti su una zattera e non visti dai soccorritori, che dopo aver rapidamente recuperato gli altri naufraghi si sono allontanati dalla motonave in fiamme col suo pericoloso carico: i tre verranno recuperati l’indomani dalla nave ospedale italiana Città di Trapani), che poi lo trasborderanno sul dragamine Hythe. Abbandonata alla deriva, la Chant continuerà a bruciare furiosamente per alcune ore, venendo scossa da una prima esplosione alle 7.17, per poi esplodere e spezzarsi in due alle 11.56.
In totale il convoglio, che oltre ad essere privo della maggior parte della scorta navale impegnata contro le navi italiane – il che, come detto, ne indebolisce di molto la protezione antiaerea, così agevolando l’azione dei bombardieri – non può neanche ricevere l’aiuto degli Spitfire di Malta, essendo ancora al di fuori del loro raggio d’azione, viene attaccato nell’arco di due ore da 30 bombardieri Junkers Ju 88 del I./KG. 54, KGr. 606 e KG. 806, decollati dalle basi della Sicilia suddivisi in tre formazioni.
Un’altra bomba (una “near miss”, sganciata durante un attacco da parte di sette Ju 88 del KGr. 606 e caduta in mare a pochi metri dalla poppa, provocando con la sua concussione la rottura della condotta principale del vapore) immobilizza alle 6.22 la nave cisterna Kentucky, che – subito abbandonata dall’equipaggio, pur non essendo in pericolo di affondamento – viene presa a rimorchio dal dragamine Hebe; uno degli Ju 88 viene abbattuto dal Troilus. Il Partridge, che è riuscito a rimettere in moto, prende frattanto a rimorchio il Bedouin.
Nel frattempo, però, la XIV Squadriglia Cacciatorpediniere è nei guai: alle 6.07 il Vivaldi è stato colpito in sala macchine e si è arrestato con un violento incendio a bordo, difeso dal solo Malocello contro l’intera 12th Flotilla. L’ammiraglio Da Zara, informato della situazione, decide alle 6.17 di mandare la X Squadriglia in soccorso del Vivaldi, proseguendo l’azione con i soli incrociatori.
Nel suo rapporto Da Zara scriverà poi che «Considero la situazione del VIVALDI assai precaria e la scorta del solo MALOCELLO insufficiente (…) Decido allora di riunire tutti i Ct in un unico gruppo la cui consistenza, mentre dà maggiore protezione al VIVALDI, può costituire anche una seria minaccia al convoglio. Coi due incrociatori, invece, decido di avvolgere la formazione nemica e di puntare sui piroscafi, ottenendo così sia di alleggerire un’eventuale pressione sui miei Ct sia di puntare direttamente all’obiettivo principale (…)». (Lo storico Francesco Mattesini individua nella decisione di inviare la X Squadriglia in aiuto del Vivaldi uno dei due fattori negativi che avrebbero contribuito al parziale insuccesso della VII Divisione, che non riuscì ad annientare completamente il convoglio affondando anche l’Orari ed il Troilus: in tal modo, infatti, la formazione italiana si ritrovò divisa in tre gruppi – Eugenio e MontecuccoliVivaldi e MalocelloOrianiAscari e Premuda – molto distanti fra loro ed impegnati contro altrettanti gruppi britannici di consistenza numericamente superiore).
Alle 6.18, di conseguenza, Oriani, Ascari e Premuda accostano a dritta e dirigono verso nord, ma poco dopo s’imbattono nei quattro “Hunt” – Blankney, Badsworth, Middleton, Kujawiak – che sbarrano loro la strada. Il caposquadriglia Pontremoli, imbarcato sull’Oriani, valuta di trovarsi in condizione di inferiorità (anche perché ha identificato erroneamente uno dei cacciatorpediniere nemici come un incrociatore) e decide di non ingaggiare le unità avversarie; ritenendo altresì di non potersi allontanare verso est per via della presenza del campo minato italiano 7 AN (situato a sud di Pantelleria) e per il rischio di incontrare mine alla deriva, Pontremoli dirige verso sud/sudest (per altra fonte, verso nord, per poi tornare a sud sull’altro lato dello sbarramento) onde aggirarlo sul lato meridionale e risalirlo poi lungo il lato orientale (lungo ben 25 km) con rotta nordest, fino a raggiungere il Vivaldi a nord dello sbarramento. (Secondo "In Passage Perilous" di Vincent P. O’Hara, invece, le navi incontrate da Pontremoli non sarebbero state gli “Hunt”, bensì il Cairo ed alcuni cacciatorpediniere, apparsi a circa 10.000 metri di distanza, per pochissimo tempo, attraverso un varco apertosi nella cortina fumogena e poi richiusosi prima che la X Squadriglia potesse aprire il fuoco. Pontremoli avrebbe deciso che avanzare contro una forza superiore in condizioni di visibilità tanto scarsa sarebbe stato troppo rischioso). Mentre passano ad est del campo minato, le navi della X Squadriglia avvistano brevemente il Cairo ed i cacciatorpediniere britannici raggruppati intorno ad esso. L’ammiraglio Iachino criticherà, in seguito, la decisione del comandante Pontremoli, giudicandola sbagliata e rinunciataria; la manovra di aggiramento del campo minato fa infatti perdere un sacco di tempo alla X Squadriglia, che raggiunge Vivaldi e Malocello quando ormai non c’è più bisogno del suo intervento, essendosi i cacciatorpediniere britannici già ritirati su ordine di Hardy, che li ha richiamati per dargli manforte contro gli incrociatori di Da Zara.
Alle 7.15 (per altra fonte, 7.35 o 7.55; secondo Vincent O’Hara la X Squadriglia, aggirato il campo minato, avrebbe avvistato Vivaldi e Malocello verso nord soltanto alle 8.45, ma sembra probabile un errore), dopo aver percorso inutilmente oltre 50 miglia, la X Squadriglia raggiunge finalmente Vivaldi (che alle 6.46 è riuscito a rimettere in moto, dirigendo a bassa velocità verso Pantelleria) e Malocello, ed alle 7.57 il Premuda prende a rimorchio il Vivaldi. Nel già citato documento “Considerazioni sulla battaglia di Pantelleria” del 9 gennaio 1943, l’ammiraglio Iachino giudicherà così la manovra della X Squadriglia: «5°) Azione della X Squadriglia: E’ stato già notato che questa Squadriglia non ha brillato di grande iniziativa nella prima fase del combattimento, quando rimasta indietro per l’aumentata velocità degli incrociatori, ha assistito passivamente all’attacco silurante nemico senza intervenire che con pochissime salve di artiglieria. Né più brillante è stato il comportamento di questa Squadriglia quando, alle 6.16, è stata mandata verso Nord a prestare assistenza al 151 gruppo VIVALDI. Essa infatti, dopo invertita la rotta, si è trovata faccia a faccia con i CC.TT. nemici che, ultimato l’attacco alla nostra formazione, ripiegavano sul grosso. Scambiandoli per un nuovo gruppo nemico, e ritenendo che fra essi vi fosse un incrociatore, la Squadriglia ha continuato ad accostare assumendo rotta a Sud-Est, ed ha poi pensato bene di passare a levante dello sbarramento per arrivare da Nord sul punto ove il VIVALDI aspettava la sua assistenza! Fortunatamente il nemico aveva desistito dall’attacco al VIVALDI, e questo, accompagnato dal MALOCELLO, aveva potuto riprendere la rotta a Nord, in modo che il congiungimento colla X Squadriglia ha potuto aver luogo alle 7.55 in acque ormai tranquille. In complesso non mi pare che la condotta del Comandante PONTREMOLI abbia brillato durante l’azione: secondo me, egli non ha dimostrato in questa occasione molta iniziativa né molto spirito combattivo». Analoghe considerazioni saranno ribadite da Iachino in una lettera a Da Zara. Anche Vincent O’Hara, nel suo libro "In Passage Perilous" (“questa decisione lasciò il Vivaldi senza aiuto per novanta minuti”), critica la decisione di Pontremoli, che lasciò Vivaldi e Malocello a sé stessi per un’ora e mezza, ed in "Struggle for the Middle Sea" scrive: “Questa rotta circolare [seguita dalla X Squadriglia] consumò tempo e prezioso carburante, e lasciò il Vivaldi esposto per quasi due ore, se i britannici fossero stati interessati a finirlo”).

L’Oriani, a destra, insieme al Premuda (al centro) ed al Vivaldi (in fiamme, a sinistra) verso le nove del mattino del 15 giugno 1942, in una foto scattata dall’Ascari (g.c. STORIA militare)

Alle 9.05 Pontremoli riceve ordine da Da Zara di ricongiungersi con gli incrociatori, lasciando un cacciatorpediniere di scorta al Vivaldi, oltre al Malocello. Alle 9.30, pertanto, Oriani ed Ascari dirigono per ricongiungersi con la VII Divisione, lasciando il Premuda (che non essendosi potuto rifornire a Trapani è a corto di carburante) con Vivaldi e Malocello (alla stessa ora, secondo Enrico Cernuschi, la formazione sarebbe stata attaccata senza successo da quattro aerosiluranti Fairey Albacore).
Alle 9.48 (o 9.49) Oriani ed Ascari vengono attaccati da un aerosilurante (secondo Enrico Cernuschi sarebbero stati due, del tipo Bristol Beaufort), ma ne sventano l’attacco col fuoco delle armi contraeree e con opportune manovre; alle 10.15 i due cacciatorpediniere si ricongiungono con Montecuccoli ed Eugenio, accodandosi agli incrociatori.
Nel frattempo, alle 6.50 il capoconvoglio britannico ha accostato verso sudest, sperando di poter proseguire verso Malta con la protezione della Forza X, che sta continuando a combattere contro le navi italiane; ma alle 7.40 Hardy gli ordina di assumere rotta nordovest, per poi accostare per sud alle 9 e per rotta 130° alle 9.30. Gli incrociatori di Da Zara, perso il contatto col convoglio alle 8.15 (avvolto nelle cortine nebbiogene, si è allontanato verso nord), hanno aggirato da sud lo sbarramento di mine 7 AN e poi sono ritornati verso ovest per intercettare le navi britanniche.
Alle 11.05 la VII Divisione assume rotta verso ovest per riprendere contatto con il convoglio, ed alle 11.28 Da Zara chiede con urgenza che siano inviati dei ricognitori per individuare la formazione nemica.
Alle 8.30, intanto, il Partridge ha preso il Bedouin a rimorchio; procedendo a 7 nodi, il suo comandante comunica a Hardy di essere diretto verso Gibilterra, ma riceve ordine di unirsi al convoglio. Alle 8.40 i quattro “Hunt” raggiungono i mercantili, ed alle 9 Hardy ordina al capoconvoglio di invertire la rotta e dirigere per Malta.
Alle 9.30, quando il Cairo ritorna insieme al convoglio – trovandolo nel caos – e ricostituisce la scorta, dei quattro mercantili superstiti Burdwan, Orari e Troilus sono ancora indenni, mentre la danneggiata Kentucky è rimorchiata dall’Hebe a 4-6 nodi e scortata da Hythe e Rye che la proteggono dagli attacchi aerei. Alle 9.33 Hardy ordina all’Ithuriel di prendere a rimorchio la Kentucky, nella speranza di riuscire ad incrementare la velocità del rimorchio a 10-11 nodi, rispetto ai 6 nodi che costituiscono la velocità massima che l’Hebe può raggiungere con la grossa petroliera a rimorchio. Tuttavia, pochi minuti dopo annulla l’ordine, ritenendo di non poter immobilizzare uno dei soli tre cacciatorpediniere di squadra rimastigli in efficienza quando ancora persiste la minaccia costituita dalle navi italiane.
Tra le 10.10 e le 10.22 si verifica un nuovo attacco aereo tedesco: undici Junkers Ju 88 del I./KG. 54 scortati da quattordici caccia Messerschmitt Bf 109 del II./JG. 53 (Hardy parla anche di bombardieri in picchiata Junkers Ju 87), rilevati dai radar durante l’avvicinamento ma giunti sul convoglio in un momento in cui i caccia della scorta aerea, allontanatisi per rifornirsi dopo l’attacco precedente, non sono presenti. La Burdwan viene immobilizzata da una bomba caduta vicina, che causa l’allagamento della macchina e l’inceppamento del timone; Hardy ordina al Badsworth di prenderla a rimorchio (per altra fonte, la bomba che immobilizzò la Burdwan venne sganciata da un bombardiere italiano Savoia Marchetti S.M. 84). Sia la Burdwan che la Kentucky sono immobilizzate, ma non hanno subito danni tali da comprometterne la sopravvivenza, e da parte britannica si spera di riuscire a portarle in salvo rimorchiandole fino a Malta con i loro preziosi carichi, come accaduto in passato con altri mercantili danneggiati dagli aerei.
Alle 10.42, in seguito all’avvistamento di un idroricognitore italiano (un FIAT RS 14 pilotato della 144a Squadriglia da Ricognizione Marittima pilotato dal tenente Antonio Carnielli) che si pensa stia trasmettendo agli incrociatori italiani la posizione del convoglio, Hardy decide di allontanarsi alla massima velocità (14 nodi) sviluppabile dai due mercantili rimasti indenni, Orari e Troilus; Burdwan e Kentucky, che rallenterebbero troppo il convoglio, vengono lasciati indietro insieme a Badsworth, Hebe, Hythe e Rye. Alle 10.45 il ricognitore viene abbattuto da un caccia Spitfire della scorta aerea, con la morte di tutto l’equipaggio. Hardy ordina all’Ithuriel di prendere a rimorchio il Bedouin, sperando di poterlo far rimorchiare ad una velocità di 11 nodi (contro i 6 massimi possibili per il danneggiato Partridge); poco dopo, tuttavia, il Bedouin riferisce che a breve potrà rimettere in funzione una motrice, pertanto l’ordine all’Ithuriel viene annullato.
Dinanzi all’incalzare delle navi di Da Zara, i britannici sono costretti ad interrompere il rimorchio, evacuando gli equipaggi dei due mercantili ed abbandonando le due navi al loro destino. Il dragamine Speedy prende a rimorchio la Kentucky per breve tempo; successivamente, secondo la relazione ufficiale britannica stilata nel 1948, sarebbe stata presa la decisione di autoaffondare la motocisterna, attuata a partire dalle 11.18 mediante cannoneggiamento da parte di Hebe e Rye (e secondo una fonte, anche dell’Ithuriel), ma senza successo. I due dragamine avrebbero poi tentato di usare le bombe di profondità per affondare la Kentucky, di nuovo infruttuosamente. Enrico Cernuschi mette in dubbio la veridicità di questa versione, rilevando come Hebe e Rye fossero dotati solo di tramogge per bombe di profondità e non di lanciabombe, nonché il fatto che secondo gli stessi rapporti britannici l’equipaggio della petroliera sarebbe stato recuperato (dal Rye) soltanto a mezzogiorno, ipotizzando pertanto che fino a quell’ora siano continuati i tentativi di portare in salvo la motocisterna. Alla fine sarà lo stesso equipaggio della Kentucky, prima di abbandonare la nave, a darla alle fiamme per impedirne la cattura da parte italiana; Hardy invierà sul posto anche il cacciatorpediniere Marne per finirla con i siluri, sempre senza successo. (Secondo Francesco Mattesini, “Gli incrociatori Eugenio e Montecuccoli e i cacciatorpediniere Oriani e Aviere, trovarono la Kentucky che aveva nei suoi pressi il cacciatorpediniere di scorta Badsworth e dragamine di squadra Hythe e l’Hebe, che erano stati incaricati di recuperare gli equipaggio del piroscafo Burdwan e della petroliera per poi affondarle. Le tre navi britanniche, vedendo arrivare in lontananza le minacciose sagome degli incrociatori italiani, si allontanarono alla massima forza senza avere la possibilità di rispondere al fuoco, iniziato dalla distanza di circa 18.000 metri. L’Hebe, che si trovava il più vicino alla Kentucky mentre manovrava alla massima velocità di diciassette nodi coprendosi di fumo, fu colpito da un proiettile da 152 m/m che lo raggiunse sul ponte, distruggendo il bagno nella cabina del comandante, per poi passare oltre lo scafo senza esplodere. Il dragamine riuscì a sfuggire alla distruzione, assieme all’Hythe e al Badsworth, anche perché i due incrociatori italiani, dopo quattro minuti dall’inizio del fuoco, cessarono di sparare per l’aumentata distanza dei bersagli, erroneamente ritenuti molto veloci”).
La perdita della Kentucky causerà dei malumori negli Stati Uniti, sia alla Texaco (proprietaria della nave) sia nell’amministrazione Roosevelt; si dirà che la nave è stata abbandonata prematuramente, che la tubatura rotta del vapore avrebbe potuto essere riparata e che la nave avrebbe potuto continuare la navigazione con i propri mezzi.
Alle 11.23 le navi di Da Zara, avendo ormai superato il campo minato, avvistano in direzione 240° i fumi degli incendi delle navi colpite dagli aerei, e si dirigono verso di esse: alle 11.45 risultano chiaramente visibili tre colonne di fumo nero. La prima è quella del Chant, incendiato dai precedenti attacchi aerei diverse ore prima ed ancora in fiamme dopo essere stato abbandonato dall’equipaggio: scambiato dalle navi italiane per una petroliera, esploderà e si spezzerà in due alle 11.56, dopo di che la poppa affonderà rapidamente, mentre la prua verrà vista affondare da bordo delle navi italiane alle 13.46. Le altre due colonne di fumo, avvistate poco dopo la prima e più a destra di quest’ultima, sono quelle di Burdwan e Kentucky. Alle 11.55 l’Hebe avvista Oriani ed Ascari.

Gli incendi visti da bordo dell’Oriani (da it.wikipedia.org)

Alle 11.57 sia Oriani ed Ascari (entrambi in posizione di scorta prodiera rispetto agli incrociatori) che l’Eugenio notano, tra il gruppo dei tre incendi ed un’altra colonna di fumo, un’enorme esplosione che solleva una colonna di fumo e fiamme alta almeno un chilometro, che permane in aria per circa sei minuti per poi lasciare il posto ad una densa colonna di fumo e nebbia. Da Zara ritiene che si tratti di un mercantile carico di munizioni, fatto saltare dalle unità della scorta all’avvicinamento dei suoi incrociatori. Secondo la storia ufficiale dell’USMM, la reale causa di tale esplosione rimarrebbe un mistero, dal momento che dai rapporti britannici non risulta che nessuna nave sia esplosa intorno a mezzogiorno, né risulta un attacco aereo italo-tedesco a quell’ora. Secondo Enrico Cernuschi, si sarebbe invece trattato dell’esplosione del Chant.
Alle 12.15 la VII Divisione avvista alcune unità minori poco lontane dai fumi degli incendi: probabilmente si tratta di Hebe, Badsworth (che ha recuperato l’equipaggio del Burdwan) e Hythe, che dirigono per riunirsi al Cairo dopo aver abbandonato Burdwan e Kentucky (secondo Cernuschi, invece, Da Zara avrebbe avvistato a mezzogiorno Hebe e Rye, scambiandoli per due cacciatorpediniere). Alla stessa ora il Burdwan ed il troncone ancora galleggiante del Chant vengono attaccati da undici bombardieri in picchiata italiani Junkers Ju 87, uno dei quali viene abbattuto dai dragamine.
Alle 12.23 Eugenio e Montecuccoli avvistano Bedouin e Partridge a 20.500 metri di distanza: sul Bedouin l’equipaggio tenta disperatamente di rimettere in funzione almeno una motrice, e getta in mare le boe fumogene per cercar di occultare la nave. Alle 12.25 l’Eugenio apre il fuoco contro la Kentucky, ed il Montecuccoli contro Hebe e Rye; il primo dei due dragamine viene centrato da uno dei primi colpi da 152 del Montecuccoli, che causa vari danni ed un incendio che viene però rapidamente domato (il colpo a segno sull’Hebe rappresenta uno dei centri da maggiore distanza mai ottenuti da artiglierie navali: il massimo registrato da un cannone da 152 mm). I due dragamine, coperti da una cortina fumogena stesa dal Rye, si allontanano alla massima velocità, mentre il comandante dell’Hebe, inquadrato da altre salve, getta in mare l’archivio segreto nel timore di essere presto affondato.
Alle 12.35 Da Zara ordina ad Oriani ed Ascari di dare il colpo di grazia ai mercantili danneggiati, mentre i due incrociatori stanno facendo fuoco da una decina di minuti contro l’Hebe, che cerca di disimpegnarsi facendo rotta verso sud. Il dragamine informa il caposcorta di essere sotto attacco da parte di due incrociatori e due cacciatorpediniere; prima ancora di ricevere il messaggio Hardy, avendo sentito il rumore del cannoneggiamento, lascia di nuovo il convoglio e torna indietro (alle 12.30) dirigendo verso nord in aiuto delle unità sotto attacco con Cairo, Marne, Matchless ed Ithuriel. Continuano intanto gli attacchi aerei sul convoglio: tra le 12.15 e le 12.20 dieci Junkers Ju 87, scortati da venticinque caccia Macchi Mc 202, attaccano il convoglio ritenendo di aver colpito due mercantili, uno dei quali già in affondamento; uno Ju 87 viene abbattuto e due vengono seriamente danneggiati da caccia britannici, mentre i Macchi rivendicano l’abbattimento di cinque Hawker Hurricane.
Verso le 13 le navi di Hardy raggiungono Hebe, Badsworth ed Hythe e forniscono loro appoggio contro le unità di Da Zara; essendosi così allontanato dal convoglio di quindici chilometri, Hardy ritiene inopportuno allontanarsene ulteriormente ed accosta per raggiungerlo, lasciando a loro stessi Bedouin e Partridge (il primo a rimorchio del secondo) contro i quali hanno aperto il fuoco, alle 12.59 (secondo l’USMM; le 12.35 secondo Cernuschi), i due incrociatori della VII Divisione (ciò secondo la storia dell’USMM; secondo Cernuschi il Partridge avrebbe abbandonato il rimorchio del Bedouin già alle 12.20, in seguito all’avvistamento delle navi italiane, ritirandosi verso ovest a 20 nodi, la massima velocità raggiungibile a causa dei danni subiti, dopo aver steso una cortina fumogena attorno al Beoduin). L’Eugenio tira contro il Bedouin da 18.000 metri, il Montecuccoli contro il Partridge da 19.500; da parte italiana si ritiene dopo poco tempo di aver colpito uno dei cacciatorpediniere, che poco dopo scompare nella nebbia insieme all’altro. Secondo Cernuschi, i colpi a segno in questo frangente sarebbero stati quattro, tre sul Bedouin ed uno sul Partridge; anche Oriani ed Ascari si sarebbero uniti al tiro contro i due cacciatorpediniere britannici. Scomparso il Bedouin nella nebbia, Eugenio e Montecuccoli concentrano il tiro sul Partridge fino a quando anche questo non sparisce alla vista alle 13.10 (alle 12.41, intanto, alza un’antenna radio di fortuna – quella che aveva è stata abbattuta da una cannonata italiana – e comunica ad Hardy la presenza di due incrociatori e due cacciatorpediniere italiani, segnalandone inoltre rotta e velocità), dopo di che cessano il fuoco ma rimangono in zona, sperando di riuscire a riprendere il contatto. Alle 13.20 il Montecuccoli apre nuoamente il fuoco contro il Partridge, tornato visibile, inquadrandolo con due salve che esplodono vicine e gli bloccano momentaneamente il timone; subito dopo, il cacciatorpediniere viene di nuovo avvolto completamente dal fumo e gli incrociatori spostano allora il loro tiro su Burdwan (il Montecuccoli, da 9500 metri) e Kentucky (l’Eugenio, da 6000 metri). Nel mentre, alle 12.58 (o 12.57), Oriani ed Ascari hanno aperto il fuoco da 12.000 metri contro una grossa petroliera nemica (evidentemente la Kentucky), scatenando violenti incendi a bordo; cannoneggiano anche il Burdwan, colpendolo più volte. Alle 13.10, su ordine di Da Zara, i due cacciatorpediniere si ricongiungono con gli incrociatori e ne seguono i movimenti; alle 13.43 l’Oriani lancia un siluro contro la Kentucky mentre passa a circa 7 km di distanza, ma l’arma, pur colpendo la petroliera, sembra deflagrare anziché esplodere, sollevando una colonna di fumo bianco (sarebbe stato questo, secondo alcune fonti, il colpo di grazia per la martoriata nave cisterna, mentre l’Ascari avrebbe frattanto finito il Burdwan). La petroliera viene lasciata in fiamme da prua a poppa, generando un’enorme colonna di fumo visibile da 30 miglia di distanza.
Secondo Enrico Cernuschi, alle 13.20 l’immobilizzato Bedouin – il Partridge ha abbandonato il rimorchio al riapparire delle navi italiane – viene nuovamente avvistato dalla VII Divisione e Da Zara ordina ad Oriani ed Ascari, riunitisi ai suoi incrociatori alle 13.25, di occuparsene. Proprio a quell’ora, però, un aerosilurante italiano S.M. 79 “Sparviero” affonda lo sfortunato cacciatorpediniere (che a sua volta riesce ad abbattere il siluratore), mentre il Partridge si allontana alla massima velocità consentita dai danni subiti (alle 13.30, ormai al sicuro, si ferma per riparare il timone danneggiato). Soltanto dopo l’affondamento del Bedouin l’Oriani sarebbe tornato dalla Kentucky e l’avrebbe silurata.
Le quattro navi italiane si pongono quindi all’inseguimento di un cacciatorpediniere britannico avvistato all’orizzonte in navigazione verso sud: Eugenio e Montecuccoli sul suo lato di dritta, Oriani ed Ascari su quello sinistro. Alle 13.45 gli incrociatori aprono il fuoco contro il cacciatorpediniere britannico (anche Oriani ed Ascari gli sparano contro per un breve periodo), che però riesce ad allontanarsi grazie alla sua superiore velocità, emettendo cortine fumogene.
Alle 14.10 un idroricognitore CANT Z. 506 della 288a Squadriglia da Ricognizione Marittima viene abbattuto da uno Spitfire prima di poter trasmettere a Da Zara notizie sulla formazione nemica.
Alle 14.20 (secondo l’USMM; secondo Cernuschi a quell’ora la VII Divisione avrebbe oltrepassato il 13° meridiano che Supermarina aveva vietato a Da Zara di superare, avendo dislocato in quelle acque cinque sommergibili, ma l’ammiraglio avrebbe deciso di correre il rischio per continuare l’inseguimento del cacciatorpediniere, rinunciando solo alle 14.55 stante l’impossibilità di raggiungerlo) Da Zara rinuncia all’inseguimento, essendo le distanze ormai in continuo aumento, e fa cessare il fuoco; cinque minuti prima ha ricevuto un messaggio di Supermarina che ordina «Salvo circostanze combattimento particolarmente favorevoli lasciate zona in tempo utile per passare Marettimo non oltre 21.00 et dirigete Napoli con Ct validi alt Azione contro resti convoglio sarà continuata da aerei et sommergibili».
Le navi italiane dirigono per rientrare alla base; termina così lo scontro di Pantelleria. Secondo le fonti britanniche, la nave inseguita dalla VII Divisione sarebbe stata il Partridge, che una volta cessato l’inseguimento avrebbe accostato verso est e pedinato la VII Divisione per oltre due ore, non visto, aggiornando continuamente il Cairo sulla sua posizione; avrebbe poi ricevuto ordine di dirigere direttamente per Gibilterra invece che rientrare a Malta. La storia ufficiale dell’USMM osserva in merito: «Poiché la VII Divisione marciò a non meno di 30 nodi fin quasi le ore 16 e poi ridusse a 25, il Partridge on avrebbe potuto tenerla in osservazione se avesse marciato a soli 18 nodi». Né avrebbe il Partridge, navigando a non più di 18 nodi, seminare durante l’inseguimento gli incrociatori di Da Zara che procedevano a 32 nodi; secondo Enrico Cernuschi, infatti, il rapporto di missione del Partridge non parlerebbe di nessun inseguimento, ed attesterebbe invece che questo cacciatorpediniere sarebbe rimasto nascosto nella cortina fumogena ed occupato a riparare il timone fino alle 15.45, dopo di che, alle 16, fece rotta per Gibilterra seguendo la costa della Tunisia. Cernuschi identifica invece il cacciatorpediniere inseguito vanamente dalla VII Divisione con il Marne, che avrebbe subito qualche lieve danno da schegge per i colpi caduti vicini.
Alle 14.25, durante la navigazione di ritorno, la VII Divisione subisce un intenso e preciso attacco da parte di bombardieri, dal quale tuttavia esce del tutto indenne. Gli attaccanti non sono britannici ma bombardieri tedeschi Junkers Ju 88 del II. LG 1, che hanno scambiato le navi italiane per britanniche; dopo aver vanamente tentato di farsi riconoscere con segnalazioni ottiche, le navi di Da Zara reagiscono con le proprie mitragliere. Tra le 14.30 e le 14.35 altri bombardieri tedeschi del KGr 606 attaccano i relitti in affondamento di Burdwan e Kentucky ed il Partridge. Poco dopo le navi della VII Divisione ripassano nella zona e vedono affondare Burdwan e Kentucky, mentre si disperde anche la colonna di fumo lasciata dall’incendio e dall’esplosione del Chant.
Alle 16.07 si verifica un attacco da parte di tre aerosiluranti britannici Fairey Albacore (scambiati sulle prime per caccia FIAT CR. 42 della scorta aerea), che lanciano contro il Montecuccoli: l’incrociatore evita i siluri con la manovra, ed i caccia Reggiane Re. 2001 della scorta aerea abbattono uno degli assalitori, mentre un altro viene danneggiato dal tiro contraereo delle navi.
Alle 16.20 si uniscono alla VII Divisione anche Malocello e Premuda, essendo il Vivaldi ormai al sicuro a Pantelleria.
In serata il Premuda, per ordine di Supermarina, lascia la formazione ed entra a Trapani alle 21.
I due mercantili britannici superstiti, Orari e Troilus, e la loro scorta (i piani prevedevano che la Forza X sarebbe dovuta rientrare subito a Gibilterra, ma i consumi di carburante sostenuti durante il combattimento la costringono ad entrare alla Valletta per rifornirsi) riescono a raggiungere Malta, con sei ore di ritardo rispetto ai programmi, ma a causa di errori nel calcolo della posizione – tra l’altro, le sei motolancie tipo ML che fanno parte della scorta non sono state impiegate, come invece previsto, per dragare la rotta seguita dal convoglio (durante la notte, anzi, sono state scambiate per motosiluranti nemiche, gettando la formazione nuovamente nello scompiglio) – escono, nel buio, dal canale dragato e finiscono dapprima sugli stessi campi minati difensivi britannici della Valletta e poi su altre mine posate tempo addietro, a poche centinaia di metri dall’imboccatura del porto, da MAS italiani e da S-Boote tedesche. Affondano sulle mine il cacciatorpediniere Polacco Kujawiak ed il dragamine ausiliario Justified (quest’ultimo inviato incontro al convoglio da Malta), mentre rimangoo seriamente danneggiati l’Orari (che perde parte del carico di farina, contaminato dall’acqua mista a nafta che ha allagato parte delle stive), l’Hebe ed i cacciatorpediniere Matchless e Badsworth.
Complessivamente, nello scontro di Pantelleria sono stati sparati 3371 colpi di cannone dalle navi italiane, e circa altrettanti da quelle britanniche; ciò rende questa battaglia il combattimento navale in cui in assoluto si è verificato il maggior scambio di colpi tra navi italiane e britanniche nella seconda guerra mondiale. Dei colpi italiani, oltre ad un numero imprecisato di centri sul Burdwan e sul Kentucky, 15 hanno colpito il Bedouin, tre il Partridge, due il Cairo ed uno l’Hebe. Da parte britannica sono stati ottenuti tre centri: uno sul Vivaldi, uno sul Montecuccoli ed uno sull’Eugenio.
L’Oriani ha sparato in tutto 168 colpi da 120 mm (una sessantina durante la mattinata, gli altri nel pomeriggio); è il cacciatorpediniere italiano che ha sparato di meno durante lo scontro.
Complessivamente, su 93.000 tonnellate di rifornimenti partiti da Gibilterra ed Alessandria per Malta con i due convogli “Harpoon” e “Vigorous”, raggiungono Malta 15.000 tonnellate di “Harpoon” (su 43.000 partite) e nessuna di “Vigorous” (su 50.000 partite: l’intero convoglio, dopo aver subito perdite per gli attacchi aerei, viene fatto rientrare per evitare lo scontro con la squadra dell’ammiraglio Iachino, di gran lunga più potente). La perdita del carburante trasportato dalla Kentucky costringerà a limitare l’attività degli aerei di base a Malta in attesa dell’arrivo di altri rifornimenti, dando la priorità all’aviazione da caccia rispetto a bombardieri ed aerosiluranti.
16 giugno 1942
Alle undici del mattino Oriani, Ascari, Malocello, Eugenio e Montecuccoli si ormeggiano a Napoli, dove entrano con i cannoni brandeggiati per chiglia ed alla massima elevazione, accolti dal saluto alla voce degli altri equipaggi.
26 giugno 1942
L’Oriani e le altre navi che hanno partecipato alla battaglia di Pantelleria (meno il Vivaldi, avviato ai lavori di riparazione per i gravissimi danni riportati), radunate a Napoli, vengono visitate da Benito Mussolini, che consegna poi personalmente le decorazioni individuali e collettive conferite ai loro equipaggi. Durante la cerimonia tutte le navi issano le bandiere di combattimento che erano sventolate durante la battaglia, lacere e annerite dal fumo.
Per la partecipazione alla battaglia di Pantelleria, tutti i marinai dell’Oriani riceveranno la Croce di Guerra al Valor Militare con motivazione “Ha partecipato con valore alla battaglia di Pantelleria, contribuendo, nell’adempimento dei suoi incarichi, al vittorioso esito dello scontro”. Il comandante Pesci riceverà la Medaglia d’Argento al Valor Militare (motivazione «Comandante di Ct., impegnato in lungo, aspro e vittorioso combattimento contro forze prevalenti, ha condotto la sua nave fatta segno alla violentissima azione offensiva del nemico, con perizia, slancio e serenità, infliggendo all’avversario le più gravi perdite e contribuendo così validamente all’esito vittorioso del combattimento»), ed analoga decorazione, con simile motivazione («Comandante di Squadriglia Ct., impegnata in lungo, aspro e vittorioso combattimento contro forze prevalenti, ha condotto la sua formazione, fatta segno alla violentissima azione offensiva del nemico, con perizia, slancio, serenità, infliggendo le più gravi perdite all’avversario e contribuendo così validamente all’esito vittorioso del combattimento»), sarà conferita anche al caposquadriglia Pontremoli, nonostante le critiche rivoltegli dall’ammiraglio Iachino.

L’Oriani (secondo da sinistra) ormeggiato al Molo Razza di Napoli nel pomeriggio del 26 giugno 1942; da sinistra a destra sono visibili anche il Malocello, l’Ascari e la prua dell’Eugenio di Savoia. Gli equipaggi sono schierati sulla banchina per la cerimonia di consegna delle decorazioni da parte di Mussolini (g.c. STORIA militare)

Benito Mussolini passa in rassegna gli equipaggi della VII Divisione: sullo sfondo si riconoscono l’Oriani (a sinistra) e l’Ascari (g.c. STORIA militare)

La principessa Maria José in visita a bordo dell’Oriani dopo la battaglia di Mezzo Giugno (Museo del Mare di Tortona)

18 luglio 1942
L’Oriani salpa da Napoli alle 14.55 insieme al resto della X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale e Gioberti) ed alla VII Divisione Navale (Eugenio di Savoia e Montecuccoli, sempre al comando dell’ammiraglio Da Zara) per intercettare il posamine veloce britannico Welshman, di ritorno da Malta, dove ha appena trasportato rifornimenti urgenti. La formazione italiana incrocia durante la notte a sud della Sardegna, ma non incontra il Welshman.
19 luglio 1942
L’Oriani e le altre navi ricevono l’odine di dirigere su Cagliari, dato che alle 9.20 un ricognitore ha avvistato il Welshman ormai in posizione tale da rendere impossibile una sua intercettazione.
11 agosto 1942
Alle 20 l’Oriani (capitano di fregata Paolo Pesci), insieme a Gioberti (capitano di fregata Vittorio Prato), Maestrale (capitano di vascello Riccardo Pontremoli, caposquadriglia della X Squadriglia Cacciatorpediniere cui appartengono anche Oriani e Gioberti) e Fuciliere (capitano di fregata Umberto Del Grande, aggregato dalla XIII Squadriglia) ed agli incrociatori Montecuccoli ed Eugenio di Savoia (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Alberto Da Zara, comandante della VII Divisione), salpa da Cagliari per attaccare il convoglio britannico diretto a Malta nell’ambito dell’operazione «Pedestal» e già pesantemente danneggiato da attacchi da parte di aerei, sommergibili e motosiluranti durante la grande battaglia aeronavale di Mezzo Agosto.
12 agosto 1942
Poco dopo le 14, si unisce alla VII Divisione anche l’incrociatore leggero Muzio Attendolo, salpato da Napoli.
Alle 19 le navi salpate da Cagliari si congiungono, nel Basso Tirreno, con la III Divisione (incrociatori pesanti TriesteGorizia e Bolzano, più i cacciatorpediniere GrecaleCorsaroLegionarioAviereGeniereAscari e Camicia Nera), partita da Messina alle 9.40.
Le due Divisioni dovrebbero intercettare i resti del convoglio, dispersi e danneggiati, per ultimarne la distruzione, verosimilmente nella mattina del 13, a sud di Pantelleria, nel punto più stretto del Canale di Sicilia. Alle 22 Supermarina ordina agli incrociatori di ridurre la velocità (che è in quel momento di 20 nodi), in modo da arrivare al largo di Capo San Vito non prima di mezzanotte.
Alle 22.37, tuttavia, la formazione viene avvistata e segnalata, 80 miglia a nord dell’estremità occidentale della Sicilia e con rotta sud, da un ricognitore Vickers Wellington (che viene a sua volta localizzato dal radar del Legionario). I comandi britannici, resisi conto del rischio che gli incrociatori italiani rappresentano nei confronti di ciò che resta del convoglio, ordinano dapprima al Wellington autore dell’avvistamento, e poi anche agli altri ricognitori avvicendatisi nel pedinare la formazione italiana, di sganciare bombe e bengala, in modo da far credere alle unità italiane di essere sotto ripetuti attacchi aerei e dissuaderle così dal proseguire nella navigazione verso il convoglio, giungendo anche ad ordinare loro – in chiaro, in modo da essere intercettati – di comunicare la posizione della forza italiana per permetterne l’attacco da parte di inesistenti bombardieri B-24 "Liberator".
Supermarina cade nell’inganno, e già alle 00.30 del 13 ordina il rientro alla formazione (che si trova in quel momento a circa venti miglia da Capo San Vito) di virare verso est, temendo attacchi aerei nemici a seguito dell’intercettazione dei numerosi messaggi radio avversari tra i ricognitori ed i comandi delle forze aeree di Malta, in realtà provocata appositamente per ingannare i comandi italiani ed indurli ad ordinare il rientro degli incrociatori.
Lo stratagemma britannico è solo una delle molteplici ragioni che inducono a dare il discusso ordine: Supermarina, infatti, in ogni caso non intende inviare le proprie navi a sud di Pantelleria senza un’adeguata copertura aerea, che viene però negata dai comandi tedeschi, che preferiscono impiegare tutti i velivoli disponibili nell’attacco al convoglio; inoltre, a seguito dell’avvistamento (da parte di un U-Boot tedesco) di quattro incrociatori e dieci cacciatorpediniere britannici nel Mediterraneo orientale, apparentemente diretti verso Malta, Supermarina ha deciso di inviare la III Divisione nello Ionio, anziché nel Tirreno, per unirsi all’VIII Divisione (uscita da Navarino) onde attaccare tali navi, facendo al contempo rientrare la VII Divisione. In realtà, anche le unità avvistate nel Mediterraneo orientale (che sono in realtà due incrociatori, cinque cacciatorpediniere ed alcuni mercantili) sono una "finta" organizzata dai comandi britannici, un convoglio fasullo che finge di essere diretto verso Malta per ingannare i comandi italiani.
I finti attacchi e messaggi proseguono comunque anche nelle ore successive, per evitare che i comandi italiani possano cambiare idea ed ordinare agli incrociatori di riprendere la navigazione verso ovest per attaccare il convoglio.
13 agosto 1942
Alle 00.30 del 13 Supermarina ordina alla formazione degli incrociatori, che si trovava in quel momento a circa venti miglia da Capo San Vito (a ponente di Trapani), di virare verso est per rientrare, temendo attacchi aerei nemici a seguito dell’intercettazione dei numerosi messaggi radio inviati da Malta ai propri ricognitori. Tre minuti dopo, tutti gli incrociatori evoluiscono per evitare siluri lanciati da aerei.
Supermarina decide di inviare la III Divisione nello Ionio, anziché nel Tirreno, per unirsi all’VIII Divisione (uscita da Navarino) onde attaccare le navi avvistate nel Mediterraneo orientale, facendo al contempo rientrare la VII Divisione.
Alle 00.30, a seguito dell’ordine di Supermarina, la III Divisione più l’Attendolo fa rotta su Messina, la VII Divisione su Napoli.
L’Oriani, insieme al Gioberti ed al Maestrale (cioè la X Squadriglia Cacciatorpediniere), scorta Montecuccoli ed Eugenio diretti a Napoli; qui le cinque navi giungono senza inconvenienti alle undici del mattino.
Diversa sorte ha la formazione diretta a Messina, che alle 8.06 dello stesso giorno (dopo che il sommergibile Safari ha già avvistato le navi italiane a nord di Palermo senza poterle attaccare) incappa nel sommergibile britannico Unbroken (tenente di vascello Alastair C. G. Mars): con un lancio di quattro siluri, questi colpisce sia l’Attendolo, che perde la prua ma riesce a raggiungere Messina, che il Bolzano, il quale, incendiato e con danni gravissimi, dev’essere preso a rimorchio dall’Aviere e dal Geniere e portato a posarsi su bassifondali dell’isola di Panarea, alle 13.30.
Settembre 1942
Lavori di rimodernamento: viene installato un ecogoniometro S-Gerät di produzione tedesca, la tramoggia per cariche di profondità viene sostituita con altre due di tipo più moderno, vengono sbarcati gli obici illuminanti da 120 mm e l’armamento contraereo viene potenziato con l’aggiunta di tre mitragliere binate da 20/65 mm a puntamento vincolato (due al posto degli obici da illuminanti e uno sulla tuga tra i due impianti lanciasiluri). Inoltre, le mitragliere binate della controplancia vengono sostituite con altre singole dello stesso tipo, a puntamento libero. Viene inoltre installato di un obice illuminante OTO 1933/1934 da 120/15 mm.
17 ottobre 1942
Alle 17 l’Oriani (capitano di fregata Paolo Pesci) salpa da da Napoli per Tripoli insieme ai cacciatorpediniere Vincenzo Gioberti (capitano di fregata Pietro Tona) e Giovanni Da Verrazzano (capitano di fregata Carlo Rossi), scortando il convoglio «D» (o «Delta») formato dai piroscafi Capo OrsoBeppe e Titania.
18 ottobre 1942
Alle 12.30 si uniscono al convoglio anche la nave cisterna Saturno, proveniente da Cagliari, la vecchia torpediniera Nicola Fabrizi (tenente di vascello Augusto Bini) che la scorta ed i cacciatorpediniere Antonio Da Noli (capitano di fregata Pio Valdambrini) ed Ascari (capitano di fregata Teodorico Capone) usciti da Palermo (si tratta del convoglio «C»); le navi si riuniscono a nord delle Egadi formando un unico convoglio, che alle 12.35 vinne raggiunto dal cacciatorpediniere Antonio Pigafetta (capitano di vascello Enrico Mirti della Valle), il quale ne assume il comando della scorta.
Alle 20 dello stesso giorno la Fabrizi viene fatta dirigere per Trapani, venendo sostituita dalla più moderna torpediniera Centauro (capitano di corvetta Luigi Zerbi).
Nelle giornate del 18 e 19 ottobre, fino anche alle prime ore notturne, il convoglio gode anche di una forte scorta aerea. La sera del 18, e nella prima metà della notte seguente, vengono avvertiti rumori di aerei (nemici) in volo e vengono avvistate delle cortine di bengala che si accendono a poppavia delle navi, il che indica che il convoglio è stato localizzato e seguito dalle forze avversarie.
In realtà la "scoperta" è ancora antecedente: il 18 ottobre, infatti, le decrittazioni di “ULTRA” hanno permesso ai comandi britannici di sapere che la Saturno è partita da Cagliari alle 16 del 17 e che alle 12.30 del 18 si deve unire a Capo OrsoBeppe e Titania partiti da Napoli alle 16 del 17, dopo di che il convoglio deve proseguire sulla rotta a ponente di Malta a 8 nodi, per giungere a Tripoli alle 13 del 20 ottobre.
Ricognitori vengono inviati per trovare e seguire il convoglio, e ben cinque sommergibili ricevono l’ordine di attaccarlo: il P 37 (poi Unbending), il P 42 (poi Unbroken), il P 44 (poi United), il P 211 (poi Safari) e l’Utmost. Il comandante della flottiglia sommergibili di Malta, Simpson, li dispone in modo da formare una linea di sbarramento orientata da nord verso sud: nell’ordine, UtmostP 211P 37P 42 e P 44.
19 ottobre 1942
Alle 9.25, dato che Supermarina ha segnalato la presenza di un sommergibile, la Centauro viene distaccata per dargli la caccia, mentre il suo posto nella scorta viene preso dalla torpediniera Sagittario (capitano di corvetta Lanfranco Lanfranchi) appositamente inviata.
Il primo sommergibile ad attaccare è l’Utmost (tenente di vascello John Walter David Coombe): avvista il convoglio alle 8.40, in posizione 36°03’ N e 11°56’ E (tra Pantelleria e Lampedusa) su rilevamento 350°, identifica le navi alle 8.50 come tre navi mercantili di medie dimensioni scortate da sette cacciatorpediniere disposti su ogni estremità, lato e quarto del convoglio nonché a poppavia dello stesso, ed alle 9.32 avvista anche la Saturno, che diviene il suo bersaglio. Alle 10.03 l’Utmost lancia due siluri, da 5500 metri, contro la petroliera, ma nessuna arma va a segno, e l’attacco passa inosservato. Più tardi riemerge per segnalare la presenza del convoglio.
Viene poi il turno del P 37 (poi Unbending, tenente di vascello Edward Talbot Stanley), che ha assunto la sua posizione nello sbarramento alle sei del mattino del 18. Nove aerei, uno dei quali antisommergibili, sono in volo sul cielo del convoglio, ma nessuno vede l’unità britannica immersa a quota periscopica. Il convoglio si trova 70 miglia a sud di Pantelleria.
Alle 11.48 il P 37 ha avvistato degli aerei che volano con ampi zig zag sia a sud che a nord della sua posizione, e cinque minuti dopo ha avvistato, su rilevamento 360°, anche il convoglio. Le navi mercantili, disposte su due colonne di due unità ciascuna, procedono su rotta 180°; degli aerei procedono a zig zag davanti ad esse, mentre lo schermo dei cacciatorpediniere procede un miglio a poppavia dei velivoli, nonché a proravia dei trasporti.
Alle 12.15 il convoglio accosta su rotta 156°, ed il sommergibile passa tra i due cacciatorpediniere che coprono il suo fianco sinistro; poi, alle 12.49, il P 37 lancia quattro siluri da 915 metri, contro il mercantile in testa alla colonna di sinistra (posizionando la mira a proravia del mercantile di circa mezza lunghezza, e poi lanciando i siluri a intervalli di 13 secondi nella speranza che quelli che fossero passati a prua od a poppa del bersaglio colpiscano il mercantile in testa all’altra colonna, più lontana). Subito dopo scende in profondità.
Alle 12.53 (in posizione 35°52’ N e 12°02’ E, 28-30 miglia a sudovest dell’isolotto di Lampione), senza alcun preavviso, il Beppe viene colpito da un siluro a poppa sinistra; un minuto più tardi anche il Da Verrazzano, dopo aver evitato un primo siluro, viene colpito da una seconda arma, che gli asporta la poppa.
Il resto del convoglio accosta subito di 90° a dritta, ma ormai il danno è fatto: il Pigafetta ordina all’Oriani di dare assistenza al Beppe ed alla Sagittario di dare assistenza al Da Verrazzano, nonché al Gioberti di dare la caccia al sommergibile; quest’ultima viene cessata dopo che il cacciatorpediniere vede apparire in superficie un’ampia chiazza di nafta, riferendolo al caposcorta (secondo fonti italiane, l’Unbending venne seriamente danneggiato dalle bombe di profondità; dal suo giornale di bordo risulta però che tra le 12 e le 15 furono lanciate 24 bombe di profondità, di cui solo due esplosero vicine).
Per le due navi colpite non c’è niente da fare: il Beppe cola a picco già alle 13.43, ed il tentativo da parte della Sagittario di prendere a rimorchio il Da Verrazzano viene vanificato quando anche il cacciatorpediniere affonda, alle 15.30, nel punto 35°12’ N e 12°05’ E, a sud di Pantelleria ed a 25 miglia da Lampedusa. L’Oriani recupera i naufraghi del Beppe e li sbarca a Lampedusa, dove dirige anche il Gioberti con i superstiti del Da Verrazzano; i due gemelli si riuniscono poi al convoglio navigando insieme, mentre la Sagittario viene fatta rientrare a Trapani.
Il convoglio, intanto, viene riordinato; i tre mercantili superstiti vengono disposti in linea di fronte, con la Saturno (che stenta a tenere la sua posizione, tendendo a restare arretrata) al centro, mentre il Da Noli si posizione in testa al convoglio, l’Ascari a dritta ed il Pigafetta a sinistra.
Alle 15.05 il P 42 (tenente di vascello Alastair Campbell Gillespie Mars), già preavvisato alle 14 da un messaggio dell’Utmost, avvista fumo su rilevamento 290° e dirige per intercettare il convoglio, del quale alle 15.30 apparezza la rotta come 135°. Il sommergibile inizia la manovra di attacco, ostacolata dallo zigzagamento del convoglio (sul cui cielo volano tre aerei di scorta), che accosta dapprima per 155° e poi, poco prima del lancio dei siluri, per 175°. Alle 16.10, nel punto 35°22’ N e 12°15’ E (o 34°45’ N e 12°31’ E; a nordovest di Tripoli ed a sudest di Lampedusa) il P 42 lancia una salva di quattro siluri contro il convoglio (con beta molto ampio), due dei quali contro un mercantile di stazza valutata in 7000 tsl (probabilmente il Titania), uno contro una nave cisterna stimata in 8000 tsl (la Saturno) ed uno contro un mercantile più piccolo (probabilmente il Capo Orso), da una distanza stimata di 7315 metri. Avvistate le scie dei siluri, il Pigafetta ordina ai mercantili di accostare subito a dritta, mentre il Da Noli si lancia al contrattacco. Nonostante il P 42 abbia avvertito due esplosioni 7-8 minuti dopo i lanci, nessuno dei siluri va a segno; due passano sotto la Saturno senza esplodere alle 16.19, e gli altri due vengono evitati dalla petroliera con la manovra.
Il P 42, che è sceso a 21 metri di profondità per allontanarsi, viene subito sottoposto a precisa caccia da parte del Da Noli (il Pigafetta, sprovvisto di ecogoniometro, deve invece limitarsi a lanci di bombe di profondità a scopo intimidatorio), col lancio di 9 bombe di profondità (mentre il P 42 ne conta 20, dalle 16.21 alle 16.37), rimanendo seriamente danneggiato, al punto di dover interrompere la missione e rientrare a Malta (il Da Noli non può replicare l’attacco perché il fango del fondale – profondo nella zona solo una sessantina di metri –, sollevato dagli scoppi delle bombe di profondità, provoca la perdita del contatto; deve dunque abbandonare il contrattacco e riunirsi al Pigafetta nella scorta ai mercantili).
Alle 18.55 viene ricevuto un messaggio da Supermarina, che annuncia che un attacco aerosilurante è probabilmente in arrivo; poco dopo le 20, difatti, Gioberti (che si trova insieme all’Oriani e sta per raggiungere il convoglio) ed Ascari riferiscono al Pigafetta di avvertire rumori di aerei sul loro cielo.
Alle 19.32, infatti, le navi sono state localizzate da un Wellington del 69th Squadron munito di radar ASV, che guida sul posto un gruppo di aerosiluranti distanti in quel momento una ventina di miglia. L’unico velivolo della scorta aerea, un aereo tedesco, ha da poco lasciato il convoglio. Il tempo è burrascoso, con mare grosso e temporali, il che complica sia le manovre delle navi italiane che i lanci di siluri da parte dei velivoli britannici.
Gli aerosiluranti – due Albacore dell’828th Squadron F.A.A. (sottotenenti di vascello Scott e Simpson) ed uno Swordfish dell’830th Squadron (sottotenente di vascello Elliott), guidati sull’obiettivo da un altro Swordfish con radar ASV (capitano di corvetta W.E. Lashmore) – iniziano il loro attacco alle 21.30, circa 54 miglia a nord di Lampedusa. I velivoli britannici attaccano sul lato sinistro del convoglio, così da avere le navi sulla dritta, illuminate dalla luna sorgente; tuttavia la luna si rivela essere coperta dalle nuvole, riducendo il vantaggio offerto da quella posizione, così che l’ultimo Albacore ad attaccare deve usare i razzi illuminanti per meglio vedere i bersagli.
Le siluranti della scorta circondano i mercantili con cortine nebbiogene, ma alle 23.06 (o 23.10) il Titania viene colpito da un siluro, restando immobilizzato. Oriani ed Ascari vengono distaccati per dargli assistenza, mentre il resto del convoglio prosegue verso Tripoli (dove le navi superstiti arriveranno l’indomani senza ulteriori perdite). L’Ascari, in particolare, riceve l’ordine di prendere a rimorchio la nave danneggiata.
20 ottobre 1942
Tra le 00.10 e le 00.22 Oriani ed Ascari vengono attaccati da bombardieri in picchiata ed aerosiluranti mentre prestano assistenza al Titania. All’1.35 il comandante dell’Oriani, giudicati i tentativi di rimorchio del Titania da parte dell’Ascari come troppo pericolosi, decide di sospendere tale operazione e di recuperare l’equipaggio del piroscafo; il caposcorta gli ordina di restare sul posto fino all’alba e di ritentare il rimorchio alla luce del giorno.
Così viene fatto, ma alle 7.20, mentre l’Ascari si prepara a rimorchiare il Titania, il piroscafo viene colpito al centro da un siluro lanciato da un sommergibile. (Secondo altra fonte, invece, dopo il primo siluramento il Pigafetta aveva ordinato all’Ascari di andare a prestare assistenza al Titania; il cacciatorpediniere aveva avvistato un gran numero di uomini in acqua, e l’Oriani si era unito al recupero dei naufraghi, mentre l’Ascari faceva delle segnalazioni al piroscafo senza riceverne risposta, apparendo questi completamente abbandonato. L’Ascari aveva preparato una squadra da mandare a bordo del Titania per predisporre il rimorchio, ma a questo punto si verificò il secondo siluramento).
Il siluratore è il P 211 (poi Safari; capitano di fregata Benjamin Bryant), salpato da Malta due giorni prima per intercettare il convoglio a sud di Lampedusa: ha avvistato alle 6.10 Titania, Oriani ed Ascari a 70 miglia per 158° da Lampione, e si è avvicinato per attaccare. Alle 6.29 ha lanciato un primo siluro da ben 5500 metri di distanza, in posizione 34°30’ N e 12°53’ E, mancando prevedibilmente il bersaglio. Immersosi alle 6.34 per avvicinarsi maggiormente, alle 7.18 il P 211 ha lanciato un secondo siluro, stavolta da 1650 metri di distanza: questa volta l’arma, dopo una corsa di 77 secondi, è andata a segno.
Subito il Titania inizia ad affondare in posizione 33°53’ N e 12°30’ E (o 34°45’ N e 12°31’ E); l’Oriani ne informa il caposcorta alle 7.50. Il P 211, che dopo il lancio ha iniziato delle manovre elusive, rileva un contrattacco da parte di uno dei cacciatorpediniere che lancia un pacchetto di tre bombe di profondità, che però non esplodono molto vicine. Alle 7.55, quando il sommergibile torna a quota periscopica, vede che i due cacciatorpediniere si stanno allontanando verso sud; il Titania è ancora a galla, ma spezzato a poppavia del fumaiolo. Affonderà definitivamente alle 9.33, dopo un’ultima esplosione interna.
L’Ascari, essendo ormai a corto di carburante (e non essendovene a sufficienza a Tripoli per il viaggio di ritorno), viene mandato a Trapani subito dopo l’affondamento del Titania, mentre l’Oriani, con a bordo i feriti gravi del piroscafo, dirige verso Tripoli ad alta velocità ed arriva qui per primo, alle dieci del mattino, precedendo il resto del convoglio. In tutto vengono salvati 78 naufraghi del Titania.
4 novembre 1942
OrianiMaestrale (caposcorta), GrecaleGioberti, il cacciatorpediniere Velite e le torpediniere Clio ed Animoso salpano da Napoli alle 17 per scortare a Tripoli il piroscafo Veloce e le motonavi Giulia e ChisoneGrecale e Gioberti, oltre a far parte della scorta, sono anche in missione di trasporto di 52 tonnellate di munizioni.
5 novembre 1942
Alle dieci del mattino un sommergibile attacca il convoglio, ma l’attacco è sventato dalla scorta. Alle 19.40 inizia una serie di pesanti attacchi aerei, che si protrarranno fino all’una di notte del 6.
7 novembre 1942
L’Animoso lascia la scorta del convoglio alle otto del mattino; le altre navi arrivano a Tripoli alle 18.15.
Questo è uno degli ultimi convogli a raggiungere la Libia senza subire perdite.
11 novembre 1942
OrianiGiobertiMaestrale (caposcorta) e Grecale, insieme alla torpediniera Clio, salpano da Napoli alle 16, per scortare a Biserta la motonave Caterina Costa e l’incrociatore ausiliario Città di Napoli, carichi di truppe.
12 novembre 1942
Il convoglio giunge a Biserta alle 16.
Si tratta del primo convoglio inviato dall’Italia in Tunisia (fino ad allora sotto il controllo della Francia di Vichy), che i comandi dell’Asse hanno deciso di occupare, in seguito agli sbarchi angloamericani in Marocco ed Algeria ed al cambiamento di campo delle truppe di Vichy ivi stanziate (che, dopo un’iniziale resistenza, sono passate dalla parte degli Alleati), onde impedire agli Alleati di sorprendere alle spalle l’Armata Corazzata Italo-Tedesca (ACIT) del maresciallo Rommel, che si sta ritirando verso ovest dopo la sconfitta di El Alamein. Le prime truppe dell’Asse (paracadutisti tedeschi) giungono per via aerea il 9 novembre, con una cinquantina di Junkers Ju 52 atterrati nell’aeroporto di El Aouina a Tunisi; i Comandi francesi in Tunisia, incerti su chi appoggiare, non oppongono alcuna resistenza, facendo ritirare le loro truppe sulle montagne al centro del Paese, dove attenderanno l’arrivo degli Alleati da ovest.
Con la Libia ormai indifendibile dinanzi all’avanzata dell’VIII Armata britannica, la Tunisia diverrà l’ultimo bastione di resistenza dell’Asse in Nordafrica; la rotta percorsa dai convogli incaricati di rifornire le truppe trinceratesi in terra tunisina diverrà nota, nei mesi a venire, come la “rotta della morte”.
14 novembre 1942
OrianiGiobertiMaestrale (caposquadriglia) e Grecale salpano da Palermo per Biserta alle 7, per una missione di trasporto. Hanno a bordo un reparto organico di 480 uomini del 10° Reggimento Bersaglieri e 165 tonnellate di benzina in latte.
Alle 14.24 i cacciatorpediniere vengono avvistati dal sommergibile britannico P 45 (tenente di vascello Hugh Bentley Turner), a cinque miglia di distanza, in posizione 37°27’ N e 10°12’ E; il P 45 riduce le distanze fino a 3 miglia e mezzo, poi rinuncia ad attaccare.
Alle 16 il Gioberti trae in salvo l’equipaggio di un idrovolante CANT Z abbattuto da quattro caccia britannici; poco dopo le navi arrivano a Biserta (per altra fonte l’arrivo a Biserta avviene alle 15).
Già alle 17.30 i cacciatorpediniere, messe a terra truppe (il primo a sbarcarle sul molo è l’Oriani: secondo una fonte si sarebbe trattato delle prime truppe dell’Asse giunte via mare in Tunisia, mentre nei giorni precedenti ne erano già giunte altre per via aerea: ma deve trattarsi di un errore, in quanto le prime truppe arrivarono con il citato convoglio dell’11 novembre) e benzina, lasciano Biserta diretti a Napoli.
15 novembre 1942
Le quattro unità arrivano a Napoli alle 8.10.     
Fine 1942/Inizio 943
Trasferito a La Spezia insieme al resto della squadra navale. Opera in Mar Ligure e Mar Tirreno.
Gennaio 1943
Il capitano di fregata Pietro Scammacca (41 anni, da Catania) assume il comando dell’Oriani, sostituendo il parigrado Paolo Pesci.
Febbraio 1943
Dotato di un radar Fu.MO 21/40 G di produzione tedesca, installato sopra la plancia (secondo James Sadkovich, che parla invece di radar De.Te “Leone”/”Lorenz” per la direzione del tiro, questo sarebbe stato installato già nel febbraio del 1942, il che farebbe dell’Oriani la prima nave italiana a ricevere un radar; una fonte ancora diversa parla di radar Seetakt).
Viene inoltre modificato l’armamento, con l’eliminazione dell’impianto lanciasiluri poppiero (e dell’alberetto di poppa), al posto del quale vengono installate due mitragliere singole Breda 1939 da 37/54 mm su un’apposita plancetta; per liberarne il campo di tiro, viene eliminato il complesso da 20/65 presente sul cielo della tughetta, mentre vengon aggiunte due mitragliere singole da 20/65 mm a poppa (per altra fonte, due mitragliere binate Scotti-Isotta Fraschini 1939 da 20/70 mm) nonché due scaricabombe per bombe di profondità.
(Per altra fonte, queste modifiche all’armamento sarebbero state apportate nel 1941 o 1942).
Secondo una fonte, nel 1943 l’armamento dell’Oriani sarebbe stato composto da quattro pezzi da 120/50 mm, due mitragliere singole Breda 1939 da 37/54 mm, due binate Scotti-Isotta Fraschini 1939 da 20/70 mm, otto singole Breda 1939/1940 da 20/65 mm ed un impianto lanciasiluri trinato da 533 mm.

L’Oriani ormeggiato a Golfo Aranci l’11 marzo 1943. È ben visibile l’antenna del radar Fu.Mo 21/39 "De.Te"; l’asta della bandiera di bompresso è stata spostata qualche metro più indietro per posizionare sull’estrema prua una mitragliatrice amovibile da 8 mm per la difesa in porto (Coll. Erminio Bagnasco, via www.associazione-venus.it)

23 marzo 1943
Il sottocapo torpediniere Adolfo Cresci dell’Oriani, 23 anni, da Arcola, muore nel Mediterraneo centrale.
4 aprile 1943
Il marinaio nocchiere Pasquale Augliera dell’Oriani, di 19 anni, da Messina, muore nel Mediterraneo centrale.
10 aprile 1943
Il marinaio cannoniere Giobatta Glori dell’Oriani, di 21 anni, da Varazze, viene dichiarato disperso nel Mediterraneo centrale.
16 aprile 1943
L’Oriani esce da La Spezia insieme ai cacciatorpediniere Alpino e Fuciliere (con cui forma la XIII Squadriglia Cacciatorpediniere), alle tre corazzate della IX Divisione (Roma – nave ammiraglia –, LittorioVittorio Veneto) ed alla XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (GiobertiLegionarioCamicia Nera) per effettuare esercitazioni di tiro e di cooperazione aeronavale, le prime tenute dall’autunno del 1942. Aerei da caccia ed idrovolanti antisom inviati decollati da La Spezia completano la formazione, con funzioni di scorta aerea sia ad alta che a bassa quota; partecipano all’esercitazione sommergibili, mezzi antisommergibili ed il rimorchiatore Portoferraio, incaricato di rimorchiare i bersagli.
Le esercitazioni, che consistono in prove di tiro delle corazzate (con i pezzi principali da 381 mm, quelli secondari da 152 mm, quelli contraerei da 90 mm e con le mitragliere da 37 e 20 mm) contro aerei e bersagli navali rimorchiati, manovre in formazione ed un attacco simulato da parte di aerosiluranti (quattro Savoia Marchetti SM. 79 “Sparviero” del Gruppo aerosiluranti di base a Pisa), si tengono durante il mattino ed il pomeriggio, in condizioni di mare calmo e scarsa visibilità.
Vengono eseguiti tre attacchi simulati di aerosiluranti, con lancio di siluri da distanze variabili tra 800 a 1500 metri; gli aerei volano a circa cinquanta metri di quota e, a causa della scarsa visibilità, vengono avvistati soltanto quando sono a 7-8 km di distanza. Tutti e tre gli attacchi vengono condotti in formazione serrata, con provenienza da poppa; i primi due sono eseguiti da quattro aerosiluranti, il terzo da tre. I caccia della scorta aerea intervengono tre volte, due prima del lancio dei siluri ed una durante la successiva manovra di allontanamento.
1° luglio 1943
Oriani, Gioberti e Legionario scortano la Vittorio Veneto di ritorno da Genova a La Spezia dopo aver completato un periodo di lavori di riparazione in bacino di carenaggio nel capoluogo ligure, in seguito ai danni riportati in un bombardamento statunitense su La Spezia il precedente 5 giugno. La navigazione di trasferimento avviene alla velocità di 24 nodi e con una rotta a zig zag, al fine di verificare l’efficacia delle riparazioni. Durante la navigazione la Vittorio Veneto esegue delle brevi esercitazioni di tiro ad alta velocità con i pezzi da 381 e 152 mm.
17 luglio 1943
Il marinaio fuochista Salvatore Di Luccio, 22 anni, da Napoli, muore nel Mediterraneo centrale a bordo dell’Oriani.
1° agosto 1943
L’Oriani fa parte della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere, insieme al gemello Gioberti ed ai più moderni Artigliere e Legionario. La XIV Squadriglia è inquadrata nel Gruppo Cacciatorpediniere di Squadra, che comprende altresì l’incrociatore leggero Attilio Regolo (nave ammiraglia) e le Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia e Dardo), X (Maestrale, Grecale, Corazziere e Velite), XII (Mitragliere, Carabiniere, Fuciliere, Premuda), XV (Antonio Da Noli, Nicolò Zeno), XVI (Ugolino Vivaldi) e XXI (FR 21, FR 22). Tutte queste unità fanno parte della Forza Navale da Battaglia del Tirreno (ammiraglio di squadra Carlo Bergamini), insieme alle Divisioni Navali VII (incrociatori leggeri Raimondo Montecuccoli, Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta; ammiraglio di divisione Romeo Oliva), VIII (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi; ammiraglio di divisione Giuseppe Fioravanzo) e IX (corazzate Roma, Italia, Vittorio Veneto; ammiraglio di divisione Enrico Accorretti).

L’Oriani nel 1943 (Coll. Franco Bargoni)

6 agosto 1943
Alle 11.12 Supermarina ordina all’Oriani (capitano di fregata Pietro Scammacca) ed al cacciatorpediniere Legionario (capo sezione, capitano di vascello Amleto Baldo; entrambi facenti parte della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere), che si trovano in porto a Bastia, di prendere immediatamente il mare per recarsi incontro, navigando a 25 nodi, agli incrociatori Eugenio di Savoia e Raimondo Montecuccoli della VII Divisione (ammiraglio Romeo Oliva), di ritorno a La Spezia dopo un tentativo, abbandonato in seguito all’incontro con unità britanniche (che ha fatto venire meno il fattore sorpresa), di bombardare il naviglio angloamericano concentrato nella rada di Palermo. I due cacciatorpediniere dovranno incontrare gli incrociatori quattro miglia a sud di Giannutri; Supermarina provvede poi (alle 11.48) a fornire al Legionario (e per conoscenza al Comando della VII Divisione) gli elementi necessari per la riunione e l’ordine di scortare Eugenio e Montecuccoli fino a La Spezia.
Oriani, Legionario ed i due incrociatori si riuniscono alle 17.20, e dieci minuti dopo l’ammiraglio Oliva ordina loro di assumere la scorta ravvicinata di Eugenio e Montecuccoli. La formazione segue le rotte di altura, come ordinato da Supermarina; sul cielo delle navi è presente una scorta aerea della Regia Aeronautica, con un numero variabile da due a sette caccia (in tutto ne verranno impiegati settanta nell’arco della giornata, tutti dell’8° Gruppo da Caccia Terrestre, con decollo ed atterraggio in successione nelle basi di Capua, Littoria, Cerveteri, Tarquinia e Sarzana, mantenendo sempre con le navi un collegamento in fonia su 95 metri, giudicato soddisfacente). Superaereo ha ordinato al comando della 3a Squadra Aerea di destinare alla protezione della VII Divisione tutti i caccia non necessari per la difesa di Napoli, ed allo scopo ha appositamente trasferito da Capua a Tarquinia l’8° Gruppo da Caccia Terrestre, spostandone tutto il personale tecnico da una base all’altra mediante quattro aerei da trasporto (tre Savoia Marchetti S.M. 81 ed un S.M. 82) del Servizio Aereo Speciale.
Tre corvette, Gru, Folaga e Danaide, dovranno inoltre condurre un rastrello antisommergibili tra l’isola di Capraia ed i meridiani 09°40’e 10°00’ E, dove dovrà passare la VII Divisione. Anche gli idrovolanti antisommergibili della Ricognizione Marittima svolgono vigilanza antisom nella fascia costiera di venti miglia da Capo Circeo a La Spezia.
Anche la Luftwaffe impiega un notevole numero di caccia, ben 84 (tutti del II. Fliegerkorps) per la scorta aerea della VII Divisione, ma a mezzogiorno sospende le missioni di scorta a beneficio degli incrociatori per inviare tutti i caccia disponibili contro trenta aerei che, stando alle intercettazioni, risultano diretti contro Napoli, probabilmente per bombardarla.
Alle 20.08, in posizione 42°18’ N e 10°04’ E (a cinque miglia per 180° da Scoglio Africa), le navi vengono avvistati da un ricognitore britannico che, tenendosi a grande distanza (18 km secondo la stima dell’Eugenio di Savoia) sulla dritta, risale la formazione e poi si allontana verso prua. Rompendo il silenzio radio, vengono inviati contro di esso dal direttore della caccia, capitano dell’aviazione navale Gianfranco Galbiati, gli aerei della scorta. Tra le 21 e le 22.02 l’Ufficio Informazioni Estere dello Stato Maggiore della Marina intercetta e decifra quattro messaggi trasmessi dal ricognitore ai Comandi a terra e viceversa: alle 21 una comunicazione trasmessa dall’aereo (avente sigla GPVY) ad un Comando in Tunisia, in cui si comunica l’avvistamento di due incrociatori “tipo Trento”, due cacciatorpediniere ed una “nave scorta”, nonché cinque caccia ritenuti probabilmente dei Focke-Wulf FW 190 (in realtà si tratta di Macchi Mc 200), in posizione 42°20’ N e 10°05’ E (una settantina di miglia a nordest della Maddalena), con rotta 270° e velocità 15 nodi (Supermarina informa la VII Divisione dell’avvistamento alle 21.39); alle 21.10 la risposta del Comando di terra in cui si chiede all’aereo di confermare l’avvistamento degli incrociatori; quattro minuti dopo la replica del ricognitore, che si corregge affermando che gli incrociatori sono di “tipo imprecisato”; alle 22.02 un messaggio del Comando di terra rivolto a degli aerei che dovranno attaccare la VII Divisione.
Alle 20.13, infatti (mentre la VII Divisione è al largo di Montecristo), il Montecuccoli avvista cinque aerosiluranti – identificati in maggioranza come dei Bristol Beaufighter – in avvicinamento su rilevamento 270°; mentre gli aerei manovrano per attaccare, i due incrociatori reagiscono prontamente con una repentina accostata di 70° a dritta (dalla parte opposta alla luna), mentre Oriani e Legionario ricevono ordine di portarsi in scorta ravvicinata sul lato opposto, quello sinistro, dalla parte del sole. Prima di giungere a distanza di lancio, però, gli aerosiluranti vengono attaccati e messi in fuga dai caccia della scorta aerea, sei Macchi 200 della 93a Squadriglia dell’8° Gruppo del 2° Stormo Caccia di Sarzana. Sventato l’attacco dei Beaufighter, i Macchi li inseguono per un breve tratto per poi tornare ad assumere la loro posizione sul cielo della VII Divisione. Due dei Macchi, pilotati rispettivamente dal sottotenente Adelmo Rigoli e dal sergente Mario Plodari (guidati in radiofonia dal Comando Caccia imbarcato sull’Eugenio di Savoia), attaccano un aerosilurante identificato come un Douglas Boston che sta volando a bassissima quota: in realtà è un Martin B-26 Marauder del 14th Squadron della Royal Air Force, pilotato dal capitano E. Donovan ed inviato in missione di ricognizione nelle acque della Corsica. Buttatisi in picchiata sul Marauder, i due Macchi lo mitragliano: il sottotenente Rigoli ritiene di averlo colpito, ma il bimotore, grazie alla sua maggiore velocità orizzontale, riesce a fuggire, seppur lasciando dietro di sé una lunga scia di fumo (da parte sua, il capitano Donovan affermerà di essere stato attaccato alle 20.05 da ben cinque “Fw 190” e di averne colpiti due, dopo aver danneggiato, all’altezza di Civitavecchia, anche un aereo da trasporto tedesco Junkers Ju 52).
Alle 20.40, calato il buio, gli ultimi caccia della scorta aerea lasciano la VII Divisione all’altezza di Pianosa, rientrando alla base di Sarzana.
7 agosto 1943
Oriani, Legionario, Eugenio e Montecuccoli raggiungono La Spezia all’1.15 (per altra fonte, alle 3.01).

Un’altra immagine della nave nel 1943 (foto Signoriniello, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it)

8 agosto 1943
Oriani e Legionario salpano da Bastia alle 13 su ordine di Supermarina per andare incontro agli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta dell’VIII Divisione (ammiraglio Giuseppe Fioravanzo), anch’essi di ritorno da un tentativo, analogamente abortito, di replicare la missione interrotta il giorno precedente dalla VII Divisione.
I due cacciatorpediniere incontrano i due incrociatori alle 17, all’altezza di Civitavecchia, e ne assumono la scorta; la formazione raggiunge La Spezia alle 19.55.
8 settembre 1943
L’annuncio dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati trova l’Oriani a La Spezia, dove forma la XIV Squadriglia Cacciatorpediniere insieme ai più moderni Artigliere e Legionario, più il Grecale aggregato dalla X Squadriglia. La XIV Squadriglia fa parte del Gruppo Cacciatorpediniere di Squadra, avente l’incrociatore leggero Attilio Regolo come nave ammiraglia e comprendente anche le Squadriglie Cacciatorpediniere X (Grecale e Velite), XI (Mitragliere, Fuciliere, Carabiniere), XVI (Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli, Nicolò Zeno, Dardo) e XXI (FR 21, FR 22).
Come il resto della flotta da battaglia stanziata a La Spezia, l’Oriani, nei giorni precedenti, ha caricato carburante e munizioni per quella che si prevede essere l’ultima battaglia: gira notizia dell’avvistamento di una flotta angloamericana di ben 450 navi, diretta verso le coste della Campania; gli Alleati stanno per sbarcare a Salerno, e la squadra da battaglia, dopo mesi di immobilità nelle basi liguri, si prepara a salpare per contrastare la flotta d’invasione in un ultimo scontro che si concluderà nel suo totale annientamento.
Il mattino ed il pomeriggio dell’8 settembre sono trascorsi tranquilli, ma intorno alle 18 l’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante in capo delle da battaglia, convoca gli ammiragli ed i comandanti a questi subordinati a rapporto sulla sua nave ammiraglia, la corazzata Roma.
Il giorno precedente, Bergamini ha partecipato a Roma, presso il quartier generale della Marina, ad una riunione indetta dal Ministro della Marina nonché capo di Stato Maggiore della forza armata, ammiraglio Raffaele De Courten. Durante tale riunione, cui hanno partecipato in tutto dieci ammiragli che detengono le posizioni chiave all’interno della Marina, De Courten ha disposto che naviglio ed installazioni a terra vengano posti in stato di difesa, la sorveglianza venga rafforzata ovunque, ci si prepari a reagire ad eventuali atti di ostilità da parte tedesca (tenendosi pronti ad impedire l’occupazione di installazioni militari e la cattura di navi da parte tedesca, ad interrompere i collegamenti delle forze tedesche, ad eliminare reparti e navi tedesche che dovessero compiere atti ostili) ed a far partire le navi in condizioni di efficienza per Sardegna, Corsica, Elba, Sebenico e Cattaro, nonché ad autoaffondare le navi non in grado di muovere; in caso di attacco tedesco, i prigionieri Alleati dovranno essere liberati, ed in caso di attacco tedesco si dovranno considerare come nemici i velivoli tedeschi che dovessero sorvolare le navi italiane, mentre non si dovrà aprire il fuoco contro quelli Alleati. Tutte questi provvedimenti dovranno essere presi in seguito a ricezione di un ordine convenzionale inviato da Supermarina, oppure dai Comandi in Capo nel caso di un attacco da parte tedesca. De Courten non ha rivelato ai presenti che sono in corso le trattative per un armistizio tra l’Italia e gli Alleati, ma ai più non è sfuggito il significato di quelle istruzioni.
Un altro ordine dato nel corso della riunione è stato quello di rifornire al completo le navi in grado di partire con provviste, acqua e nafta; quest’ordine, eseguito nel pomeriggio dell’8 settembre, desta non pochi dubbi, dato che i marinai non capiscono come mai, se la flotta dovrà partire a breve per l’ultima battaglia nel Basso Tirreno, si imbarchino rifornimenti che paiono destinati ad una lunga navigazione.
Agli ammiragli e comandanti riuniti sulla Roma, Bergamini annuncia di non poter riferire tutto quello che De Courten gli ha detto, ma che sono imminenti gravissime decisioni da parte del governo, e che solo la Marina, tra le forze armate italiane, si può ritenere ancora integra ed ordinata.
Qualsiasi cosa dovesse accadere, fa presente Bergamini, nessuna nave dovrà cadere in mano straniera, né britannica né tedesca; piuttosto, verrebbe trasmesso il messaggio in codice «Raccomando massimo riserbo» ricevuto il quale le navi si dovranno autoaffondare. Qualora il comando centrale fosse impossibilitato a trasmettere tale messaggio, i comandanti dovranno agire di propria iniziativa, in relazione alla situazione che si dovesse presentare, ricordando la direttiva di non consegnare nessuna nave in mani straniere. Nel caso di un autoaffondamento, questo dovrà avvenire per quanto possibile in acque profonde, ma a distanza dalla costa tale da permettere agli equipaggi di mettersi in salvo (per ordine del re, gli uomini non devono sacrificarsi); se ciò non fosse possibile, le navi si dovranno autodistruggere.
In caso di ricezione del telegramma convenzionale «Attuare misure ordine pubblico Promemoria n. 1 Comando Supremo», si dovrà procedere alla cattura del personale tedesco presente a bordo per i collegamenti ed attuare l’allarme speciale, cioè preparare le navi a respingere qualsiasi colpo di mano proveniente dall’esterno.
Bergamini spiega che la flotta potrebbe salpare da un momento all’altro, e che gli obiettivi potranno essere tre, radicalmente differenti: andare incontro alla flotta britannica che deve appoggiare lo sbarco, presumibilmente nel Golfo di Salerno, ed ingaggiarla in battaglia; raggiungere La Maddalena per sottrarsi ad eventuali azioni ostili da parte tedesca; oppure autoaffondarsi. Risulta evidente, tra gli ufficiali presenti, che qualcosa di grave è nell’aria; paventando una resa ed una consegna delle loro navi agli Alleati, molti propongono l’autoaffondamento immediato, ma vengono riportati all’ordine da Bergamini.
Non molto tempo dopo la conclusione della riunione, alle otto di sera, la radio dà l’annuncio dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati.
Alle 22 l’ammiraglio Bergamini, dopo una telefonata da parte dell’ammiraglio De Courten (l’ordine di partire per La Maddalena è stato trasmesso da Supermarina alle 21.45), convoca di nuovo gli ammiragli e comandanti dipendenti e dice loro che il personale tedesco presente sulle navi è stato sbarcato, conferma le disposizioni date quattro ore prima e dice di non sapere se alla squadra da battaglia verrà ordinato di restare in porto oppure di trasferirsi in Sardegna od in altra località; gli ordini a questo proposito, dice, verranno probabilmente impartiti dopo un colloquio tra l’ammiraglio De Courten ed il maresciallo Badoglio, che deve svolgersi proprio in quei momenti. Nuovi ordini verranno emanati l’indomani mattina.
Terminata la riunione, ammiragli e comandanti ritornano sulle rispettive unità.

L’Oriani nell’estate del 1943 (Coll. Luigi Accorsi, via www.associazione-venus.it)

9 settembre 1943
Alle 00.21 il Comando delle Forze Navali da Battaglia dirama l’ordine  Da CC.FF.NN.BB. a Tutti: Attivate. Passate pronti a muovere”; all’1.38, “Da CC.FF.NN.BB. a Tutti: Nave Roma passerà ostruzioni ore 03.00 giorno 9 preceduta dai CC. TT. e 7a Divisione seguita Nave Italia Nave V. Veneto”; alle 3.13, “Dal CC.FF.NA.BB. a Tutti: Salpate”.
Alle due di notte (le prime navi iniziano a muovere all’1.45, ma ci vorranno due ore prima che tutta la flotta – ultima nave ad uscire è la Vittorio Veneto, alle 3.40 – sia uscita dal porto) la squadra da battaglia salpa da La Spezia: ne fanno parte l’Oriani (capitano di fregata Pietro Scammacca) con il resto della XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (ArtigliereGrecaleLegionario: quest’ultimo è il caposquadriglia, al comando del capitano di vascello Amleto Baldo); le tre moderne corazzate dell’ammiraglio Bergamini, Roma (nave ammiraglia di Bergamini), Italia (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Enrico Accorretti, comandante della IX Divisione) e Vittorio Veneto; gli incrociatori leggeri Raimondo MontecuccoliAttilio Regolo (che al contempo ricopre anche il ruolo di conduttore di flottiglia del Gruppo Cacciatorpediniere di Squadra, formato dalle Squadriglie X, XI e XIV e comandato dal capitano di vascello Franco Garofalo: quest’ultimo, però, si è imbarcato sull’Italia invece che sul Regolo) ed Eugenio di Savoia della VII Divisione Navale (al comando dell’ammiraglio di divisione Romeo Oliva, con bandiera sull’Eugenio di Savoia); i cacciatorpediniere Mitragliere (caposquadriglia, capitano di vascello Giuseppe Marini), Fuciliere (capitano di fregata Uguccione Scroffa), Carabiniere (capitano di fregata Gian Maria Bongiovanni) e Velite (capitano di fregata Antonio Raffai) della XII Squadriglia. Un’ora prima, alle 00.52, ha preso il mare il Gruppo Torpediniere del capitano di fregata Riccardo Imperiali, composto dalle torpediniere Pegaso (caposquadriglia), ImpetuosoOrsa ed Orione, aventi compiti di esplorazione avanzata per la squadra da battaglia durante la navigazione.
Una volta in mare (le ultime navi escono alle 3.40), la flotta assume rotta 218° e velocità 24 nodi. Il mare è calmo, la notte è rischiarata dalla luna. La flotta procede in linea di fila, con la XII Squadriglia Cacciatorpediniere in testa, seguita nell’ordine dalla XIV Squadriglia, dalla VII Divisione e dalla IX Divisione. Alle 4.11 l’ammiraglio Bergamini ordina a tutte le unità dipendenti “Disponetevi secondo il dispositivo di marcia n. 11”, pertanto la VII Divisione passa in testa, seguita dalla IX Divisione, con le due squadriglie in posizione di scorta ravvicinata, XIV a dritta e XII a sinistra. Non cambiano, invece, rotta e velocità.
Più o meno nello stesso momento salpano da Genova anche la torpediniera Libra ed i tre incrociatori leggeri dell’VIII Divisione (Luigi di Savoia Duca degli AbruzziGiuseppe Garibaldi ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta), al comando dell’ammiraglio di divisione Luigi Biancheri.
La destinazione per tutte le navi è la base di La Maddalena, in Sardegna, dove la flotta dovrà inizialmente trasferirsi (come De Courten ha spiegato a Bergamini la sera prima, ordine poi ufficializzato da un fonogramma di Supermarina delle 23.45) per poi ricevere ulteriori istruzioni sul da farsi: nella base sarda, l’ammiraglio Bruno Brivonesi dovrà consegnare all’ammiraglio Bergamini i documenti relativi all’armistizio (i cui dettagli non sono noti a Bergamini) e gli ordini conseguenti (nelle intenzioni di De Courten, la squadra dovrebbe sostare a La Maddalena nel pomeriggio del 9 e ripartire nella notte, in modo da incontrarsi all’alba del 10 con la Forza H britannica e la scorta aerea angloamericana al largo di Bona). Inizialmente, era previsto anche che il re ed il governo si sarebbero dovuti trasferire da Roma a La Maddalena (così ha detto a De Courten, il 6 settembre, il capo di Stato Maggiore generale, generale Vittorio Ambrosio), ma poi gli eventi prenderanno una piega diversa.
Il Gruppo Torpediniere procede in posizione di scorta avanzata, seguito nell’ordine dai tre incrociatori della VII Divisione (Eugenio, Montecuccoli e Regolo) e dalle tre corazzate della IX Divisione (Roma, Italia e Vittorio Veneto) con Legionario, Grecale, Oriani e Velite sul lato di dritta e Mitragliere, Fuciliere, Artigliere e Carabiniere su quello di sinistra.
I gruppi partiti da Genova e La Spezia si riuniscono alle 6.15 (o 6.30) a nord di Capo Corso, per poi proseguire in un unico gruppo lungo una rotta ad ovest della Corsica, procedendo a 22 nodi e tenendosi ad una quarantina di miglia dalla costa corsa; la Libra si aggrega temporaneamente alla XIV Squadriglia Cacciatorpediniere, mentre la VII e la VIII Divisione si scambiano Regolo e Duca d’Aosta per ottenere una maggiore omogeneità delle due formazioni.
Alle 6.30 Supermarina trasmette a tutte le unità un breve messaggio dell’ammiraglio De Courten: “Supermarina 18475: Truppe tedesche marciano su Roma (alt) Fra poco Supermarina potrà non poter comunicare (alt) Per ordine del Re eseguite lealmente clausole armistizio (alt) Con questa leale esecuzione la Marina renderà altissimo servizio al Paese”. Alla stessa ora l’ammiraglio Bergamini ordina “Da CC.FF.NN.BB. a tutti: Disponetevi secondo dispositivo di marcia G.E. 12, 5a colonna”, e la squadra si dispone con la Libra in avanguardia ravvicinata, la IX Divisione in posizione centrale, la VII Divisione a proravia sinistra di quest’ultima e con la XII Squadriglia sul lato esterno e l’VIII Divisione a proravia dritta della IX Divisione e con la XIV Squadriglia sul lato esterno. Rotta 220°, la velocità viene portata a 22 nodi.
Alle 8.40 le navi di Bergamini avvistano le torpediniere del comandante Imperiali, che si mantengono in avanguardia lontana come scorta avanzata. Già alle 4.13 l’ammiraglio Bergamini ha comunicato a tutte le unità «Attenzione agli aerosiluranti all’alba», ed alle 7.07 ribadisce «Massima attenzione attacchi aerei». In testa alla formazione procede la Libra, seguita dalle due divisioni di incrociatori che navigano su due colonne parallele, con Duca degli Abruzzi, Garibaldi e Regolo a dritta ed Eugenio, Duca d’Aosta e Montecuccoli a sinistra; le tre corazzate procedono in linea di fila a poppavia degli incrociatori. La XIV Squadriglia Cacciatorpediniere è in posizione di scorta laterale sulla dritta della formazione, in linea di fila (l’Oriani è il secondo cacciatorpediniere della fila, preceduto dal Legionario e seguito da Artigliere e Grecale), mentre la XII Squadriglia ha analoga posizione sul lato opposto.
Alle nove del mattino le navi, arrivate nel punto di atterraggio previsto per fare rotta verso il Golfo dell’Asinara, accostano a sinistra, riducono la velocità a 20 nodi ed assumono rotta 180° (verso sud), procedendo a zig zag.
I movimenti della squadra italiana non sono passati inosservati; le navi italiane vengono avvistate e seguite da alcuni ricognitori britannici (il primo, alle 9.45, è un Martin Marauder, che dopo l’avvistamento prende a girare intorno alla flotta) ed alle 9.41 sono localizzate anche da un ricognitore della Luftwaffe, uno Junkers Ju 88, che allerta immediatamente il proprio comando.
Alle 10.29 viene avvistato un altro aereo, anch’esso tedesco, con conseguente allarme aereo; la velocità della squadra viene portata a 27 nodi, ed anche le torpediniere si ricongiungono con il resto della squadra, dispiegandosi in formazione di battaglia. Temendo un prossimo attacco aereo, che avverrebbe senza la minima copertura aerea nazionale, le navi iniziano a zigzagare. Alle 10.46 viene avvistato un terzo aereo, identificato come Alleato, e viene dato ancora l’allarme aereo; alle 10.56 viene avvistato un ulteriore ricognitore, riconosciuto come britannico. Alle 11, dato che alcune navi hanno aperto il fuoco col proprio armamento contraereo, l’ammiraglio Bergamini ordina a tutte le unità di non aprire il fuoco contro aerei riconosciuti come britannici o statunitensi.
In tutto, tra le 9.45 e le 10.56, sono quattro gli allarmi aerei causati dall’avvistamento di ricognitori che si tengono fuori tiro; l’ultimo allarme aereo cessa alle 11, quando viene accertato che gli aerei avvistati sono britannici.
A mezzogiorno, ormai in prossimità delle coste della Sardegna, l’ammiraglio Bergamini ordina alla Libra di unirsi alle torpediniere del Gruppo Pegaso, ed a quest’ultimo di passare in scorta ravvicinata; alle 12.04 ordina di assumere il dispositivo di marcia GE11, ossia una formazione in linea di fila con il Gruppo torpediniere in testa, seguito nell’ordine dalla VII, VIII e IX Divisione, con i cacciatorpediniere in scorta ravvicinata sui lati. Viene cessato lo zigzagamento. Alle 12.05 la squadra italiana, giunta nei pressi dell’imboccatura occidentale delle Bocche di Bonifacio, aggira un’ampia zona di mare minata (al largo di Golfo di Porto, in Corsica) per poi raggiungere La Maddalena. Alle 12.10, avvistata l’Asinara, la formazione accosta di 45° a sinistra per imboccare la rotta di sicurezza verso l’ingresso occidentale dell’estuario della Maddalena; le due squadriglie di cacciatorpediniere vengono disposte di poppa alle navi maggiori, con la XIV Squadriglia in coda alla formazione (a poppavia della XII Squadriglia), mentre la direzione della navigazione passa all’Eugenio di Savoia. L’ordine della linea di fila è Gruppo torpediniere-Eugenio-Duca d’Aosta-Montecuccoli-Duca degli Abruzzi-Garibaldi-Regolo-Roma-Italia-Vittorio Veneto-Mitragliere-Fuciliere-Carabiniere-Velite-Legionario-Oriani-Artigliere-Grecale.
Le torpediniere sono tornate in testa alla formazione, e sono prossime a giungere a destinazione, quando vengono avvistati da bordo numerosi incendi sulla vicina costa della Sardegna. Poco dopo (secondo una fonte, alle 13.30, ma le 12.30 sembrano orario più verosimile) il semaforo di Capo Testa inizia ad eseguire una sequenza di segnali luminosi, comunicando in codice morse che il presidio della Maddalena sta per essere sopraffatto dalle forze tedesche, che hanno attaccato gli ex alleati, e dissuadendo le navi italiane dall’entrare a La Maddalena ("Fermate! I tedeschi hanno occupato la base!"). Il comandante del Gruppo Torpediniere, capitano di fregata Riccardo Imperiali sulla Pegaso, decide allora di invertire la rotta d’iniziativa. Mentre comunica la notizia all’ammiraglio Bergamini, vede che il resto della flotta, a dieci miglia di distanza, sta a sua volta invertendo la rotta.
Ciò che è successo è che il generale Carl Hans Lungerhausen, comandante della 90a Divisione tedesca di stanza in Sardegna, ha concordato con il comandante militare dell’isola, generale Antonio Basso, la pacifica evacuazione delle sue truppe (32.000 uomini) verso la Corsica, attraverso il porto di La Maddalena, ed il capitano di fregata Helmut Hunäus, sottoposto di Lungerhausen ed ufficiale di collegamento tedesco presso Marisardegna, ha a sua volta preso accordi con l’ammiraglio Bruno Brivonesi, comandante militare marittimo della Sardegna, affinché il passaggio delle truppe tedesche attraverso La Maddalena avvenga senza atti di ostilità (ed in questo senso, d’altro canto, andavano gli ordini impartiti dal generale Basso all’ammiraglio Brivonesi); ma alle 11.25 di quel 9 settembre Hunäus ha tradito l’accordo preso, attuando un colpo di mano con le sue truppe ed assumendo così il controllo di diverse posizioni chiave all’interno del perimetro della base. Le truppe tedesche hanno circondato anche il Comando Marina di La Maddalena; l’ammiraglio Brivonesi, prima di essere catturato, ha però fatto in tempo ad avvertire Supermarina di quanto sta accadendo, ed alle 13.16 Supermarina ne informa a sua volta Bergamini, ordinandogli di fare rotta per Bona, in Algeria (messaggio ricevuto sulla Roma alle 14.24).
Alle 13.21 viene avvistato un altro aereo, riconosciuto per tedesco, e viene dato l’allarme aereo; le navi accostano a sinistra per 120°.
Alle 13.29, per attraversare in sicurezza una zona di campi minati, viene assunta una formazione in linea di fila con in testa il Gruppo torpediniere seguito, nell’ordine, dalla VII, VIII e IX Divisione e dalla XII e XIV Squadriglia Cacciatorpediniere. La velocità viene ridotta a 20 nodi, e la squadra accosta a sinista, assumendo rotta 110°.
Secondo il volume dell’USMM relativo agli eventi seguiti all’armistizio, alle 13.16 Supermarina, saputo verso le 13 dell’occupazione di La Maddalena, ordina alla squadra di Bergamini di cambiare rotta e dirigere per Bona; tale messaggio viene ricevuto sulla Roma alle 14.24 (secondo altra fonte, alle 14.37), ed alle 14.45 la formazione inverte la rotta ad un tempo di 180° sulla sinistra (accostata eseguita alla velocità di 24 nodi), puntando in direzione dell’Asinara, finendo con l’invertire l’ordine di marcia precedentemente assunto: ora la XIV Squadriglia Cacciatorpediniere è finita in testa, seguita nell’ordine dalla XII Squadriglia, dalla Libra, dalla IX Divisione, dall’VIII Divisione e dalla VII Divisione, con le navi ammiraglie o caposquadriglia che precedevano in coda alle rispettive Divisioni e Squadriglie (ordine: Grecale, Artigliere, Oriani, Legionario, Velite, Carabiniere, Fuciliere, Mitragliere, Vittorio Veneto, Italia, Roma, Regolo, Garibaldi, Duca degli Abruzzi, Montecuccoli, Duca d’Aosta, Eugenio). In coda alla formazione è il Gruppo Torpediniere.
Alle 13.30 viene assunta rotta 65°, per dirigere verso le Bocche di Bonifacio; alle 14.41 l’ammiraglio Bergamini ordina per ultracorte a tutte le unità dipendenti "Accostate ad un tempo di 180° a sinistra", in modo da ridurre il raggio di evoluzione delle navi ed evitare così di finire sui campi minati. Alle 14.46 il Comando Forze Navali da Battaglia ordina di ridurre la velocità a 18 nodi ed assumere rotta 285°, la rotta di sicurezza che dovrà condurre le navi fuori dal Golfo dell’Asinara, dove poi accosteranno verso sud per raggiungere Bona.
Un ricognitore tedesco, tuttavia, osserva la squadra italiana durante la manovra d’inversione della rotta; apprezzati i dati relativi alla nuova rotta e velocità, alle 14.47 li riferisce al Comando della II. Luftflotte, retto dal feldmaresciallo Von Richtofen. Quest’ultimo, avuta così la certezza che la flotta italiana sia ora diretta in un porto Alleato, ordina al Kampfgeschwader 100 (100° Stormo da Bombardamento) di inviare i bombardieri ad attaccarla: dall’aeroporto di Istres (nei pressi di Marsiglia), pertanto, decollano in tre ondate 28 bombardieri bimotori Dornier Do 217K, undici dei quali appartenenti al 2° Gruppo del Kampfgeschwader 100 (sono stati trasferiti da Cognac e li comanda il capitano Franz Hollweck) e 17 al 3° Gruppo del Kampfgeschwader 100 (maggiore Bernhard Jope). (Per altra fonte, l’avvistamento da parte del ricognitore tedesco sarebbe avvenuto alle 13.23, ed i bombardieri sarebbero decollati alle 14).
Intanto, la flotta di Bergamini si sta dirigendo a nord dell’Asinara; all’ammiraglio giungono le drammatiche notizie degli scontri in corso in tutti i porti italiani, che si concludono invariabilmente con la loro caduta in mano tedesca. Di tornare in Italia, ormai, non c’è più la possibilità: non rimane altro da fare che dirigere su Bona, come ordinato.
Proprio in questi confusi e critici momenti, alle 15.15 (quando la flotta si trova 14 miglia a sudovest di Capo Testa), si verifica un nuovo allarme aereo, con l’avvistamento verso ponente di un gruppo di aerei che si avvicinano: dopo un minuto questi vengono identificati dalle navi come “Junkers” tedeschi, e la Roma alza a riva il segnale "Posto di combattimento pronti ad aprire il fuoco".
Gli aerei avvistati sono gli undici Dornier Do 217 K2 del III. Gruppe del Kampfgeschwader 100, decollati da Istres ed armati con innovative bombe plananti radioguidate FX 1400, meglio note come “Fritz X”, precorritrici dei moderni missili antinave radiocomandati. Un’arma rivoluzionaria, che vede qui uno dei suoi primi impieghi in combattimento: a differenza delle normali bombe “a caduta”, questi ordigni possono essere sganciati da un’angolazione di oltre 80 gradi rispetto all’obiettivo (quelle normali non possono essere invece sganciate da un’angolazione superiore ai 60 gradi), e poi guidati a distanza da un operatore che si trova sull’aereo che li ha sganciati, mediante impulsi radio; la loro velocità di caduta è di 300 metri al secondo, molto superiore rispetto alle bombe “tradizionali”.
Alle 15.37 i primi cinque Do 217K (guidati dal maggiore Bernhard Jope), volando a 5000-6000 metri di quota, hanno già oltrepassato il punto di angolo massimo previsto per lo sgancio di bombe a caduta (60 gradi, come sopra detto: a bordo si ignora l’esistenza delle “Fritz X”) senza aver sganciato alcunché: sulle navi italiane, pertanto, si pensa che ormai i bombardieri siano in allontanamento, dato che non possono più sganciare bombe con un angolo tanto elevato. Non avendo gli aerei manifestato “definite azioni ostili”, non è possibile aprire preventivamente il fuoco contraereo, nell’incertezza sulle intenzioni degli ex alleati.
Pochi attimi dopo, però, gli aerei iniziano a sganciare le loro bombe, mirando soprattutto a colpire le corazzate. La codetta luminosa della prima bomba viene inizialmente scambiata per un segnale di riconoscimento, ma subito dopo si comprende che è invece una bomba; viene allora ordinata l’apertura del fuoco. Alle 15.36 la prima FX-1400, mancato il bersaglio, cade in mare vicino alla poppa dell’Italia, sollevando un’immensa colonna d’acqua e mettendone momentaneamente fuori uso il timone.
Subito la formazione si dirada, manovrando in modo da ostacolare la punteria dei bombardieri, e viene aperto il fuoco con tutte le armi a disposizione, alla massima elevazione; ma il pur violento fuoco contraereo delle navi italiane risulta inutile, dato che gli aerei sganciano le loro bombe tenendosi fuori tiro, a quota troppo elevata per le armi contraeree delle navi italiane.
Alle 15.42 (o 15.50) la Roma, nave ammiraglia di Bergamini, viene colpita da una prima bomba: l’ordigno la raggiunge a poppavia dritta, trapassandone lo scafo ed esplodendo sotto di esso, aprendo una falla che causa l’allagamento delle motrici poppiere. Ciò riduce la velocità e manovrabilità della corazzata, che dieci minuti dopo viene centrata da una seconda bomba, questa volta a proravia sinistra: nell’esplosione sono coinvolti i depositi munizioni delle torri prodiere da 381 mm, che erompono in una catastrofica deflagrazione, proiettando in aria la torre numero 2 da 381 ed investendo il torrione prodiero con un’enorme fiammata che uccide l’ammiraglio Bergamini e tutto il suo stato maggiore. Nel giro di meno di venti minuti, la Roma si capovolge, si spezza in due ed affonda, portando con sé 1393 dei 2021 uomini dell’equipaggio.
In seguito alla morte dell’ammiraglio Bergamini, il comando della squadra passa all’ammiraglio Oliva, comandante della VII Divisione, essendo questi il più anziano tra i tre ammiragli di divisione (Oliva, Biancheri, Accorretti): questi comunica di aver assunto il comando alle 16.12. Già tre minuti prima, alle 16.09, Oliva ha preso l’iniziativa di distaccare il Regolo, la XII Squadriglia Cacciatorpediniere e le torpediniere del gruppo "Pegaso" per il salvataggio dei naufraghi della Roma (tutte queste unità, ad eccezione dell’Orione e del Velite, rimasti con la squadra, non si riuniranno più al resto della formazione: dopo aver recuperato i naufraghi, infatti, raggiungeranno le Baleari, dove saranno internate dalle autorità spagnole).
Alle 16.20 Oliva contatta Supermarina dando notizia dell’affondamento della Roma e dell’assunzione del comando da parte sua, e chiedendo istruzioni: messaggio che tuttavia potrà essere trasmesso soltanto alle 17, a causa del sovraccarico dei canali radio. Nel mentre, alle 16.49, l’ammiraglio Biancheri, il più riluttante a portare le navi in un porto Alleato, contatta Oliva proponendogli di rientrare a La Spezia; Oliva respinge tuttavia la proposta, invitando il collega ad attenersi agli ordini del re.
Nel mentre, la Luftwaffe torna ripetutamente all’attacco, non paga del successo già conseguito: un nuovo attacco aereo ha luogo alle 16.29, quando anche l’Italia viene colpita a prua da una FX 1400, ma nel suo caso la bomba, trapassato lo scafo, esplode in mare limitandosi ad aprire una falla; la corazzata imbarca ottocento tonnellate d’acqua, ma è in grado di proseguire alla velocità di 24 nodi.
Ulteriori attacchi tedeschi hanno luogo alle 18, alle 18.34 ed alle 19.10, tutti accolti dalla vivace reazione contraerea delle navi e tutti senza successo, grazie anche alle continue evoluzioni eseguite dalle navi della squadra per confondere la mira dei bombardieri.
Durante uno di questi attacchi gli aerei tedeschi abbattono un ricognitore britannico che seguiva la formazione italiana: il suo equipaggio è tratto in salvo dal Legionario.
Alle 18.40 l’ammiraglio Oliva riceve conferma dell’ordine di raggiungere Bona; per disorientare eventuali ricognitori tedeschi, tuttavia, il nuovo comandante della squadra navale decide di continuare la navigazione verso ovest fino alle 21, quando ormai è calata l’oscurità, accostando verso sud (verso Bona) soltanto a quel punto. Alle 20.15 (con messaggio trasmesso alle 20.30) Oliva comunica questa decisione a Supermarina, fornendo altresì maggiori dettagli sull’affondamento della Roma, sul danneggiamento dell’Italia e sulla decisione di distaccare parte delle unità per il salvataggio dei naufraghi (e sull’impossibilità di contattarle); chiede infine di poter inviare i cacciatorpediniere rimasti a Bona e di raggiungere Algeri con le navi maggiori. Dal canto suo Supermarina, alle 20.25, ha diramato un messaggio circolare cifrato volto ad informare tutte le unità della situazione generale: «Supermarina 47570 – Situazione ore 19 alt Forza Navale da battaglia ore 17 in lat. 41°17’ long. 08°22’ rotta ponente dirette Bona semialt corazzata Roma colpita da bombe velivoli inglesi [informazione, quest’ultima, errata] est affondata ore 16.30 semialt corazzata Italia colpita non gravemente alt 5a Divisione partita da Taranto per Malta ore 17 alt Piroscafi Vulcania et Saturnia con torp. Audace su cui est Altezza Reale in partenza da Venezia alt Risultano parzialmente occupate da tedeschi Genova Livorno Civitavecchia Comando Marina La Maddalena Trieste alt Mancano notizie La Spezia alt Conflitto a Bari alt Truppe germaniche stanno avvicinandosi a Roma alt Unità germaniche attaccano sistematicamente nostre unità alt Amm. Martinengo deceduto in azione tra due vedette antisom et motosiluranti tedesche presso Gorgona alt Chiesto notizie ammiraglio Bergamini alt Milano [parola convenzionale inserita nel messaggio per confermare che provenisse realmente da Supermarina] alt 192609».
Alle 21.07 la squadra navale accosta a 23 nodi per rotta 168° verso Bona: ormai la compongono esclusivamente la VII, VIII ed IX Divisione (queste ultime due, private rispettivamente di Regolo e Roma), la XIV Squadriglia Cacciatorpediniere ed il Velite.

L’Oriani in navigazione verso Malta nel settembre 1943, con il pennello nero bene in vista (Museo del Mare di Tortona)

10 settembre 1943
Durante la notte l’ammiraglio Oliva fa trasmettere alle unità dipendenti un proclama dell’ammiraglio De Courten delle 11.50 del giorno precedente («Marinai d'Italia – Durante quaranta mesi di durissima guerra avete tenuto testa alla più potente Marina del mondo compiendo eroismi che rimarranno scritti a lettere d'oro nella nostra storia e affrontando sacrifici di sangue che vi hanno meritato l'ammirazione della Patria e il rispetto del nemico. Avreste meritato di poter compiere il vostro dovere fino all'ultimo combattendo ad armi pari le forze navali nemiche. Il destino ha voluto diversamente: le gravi condizioni materiali nelle quali versa la Patria ci costringono a deporre le armi. E' possibile che altri duri doveri vi saranno riservati, imponendovi sacrifici morali rispetto ai quali quello stesso del sangue appare secondario: occorre che voi dimostriate in questi momenti che la saldezza del vostro animo è pari al vostro eroismo e che nulla vi sembra impossibile quando i futuri destini della Patria sono in giuoco. Sono certo che in ogni circostanza saprete essere all'altezza delle vostre tradizioni nell'assolvimento dei vostri doveri. Potete dunque guardare fieramente negli occhi gli avversari di quaranta mesi di lotta, perché il vostro passato di guerra ve ne dà pieno diritto. de Courten») e l’ordine del re di eseguire lealmente le clausole dell’armistizio, che non comportano la cessione delle navi né l’abbassamento della bandiera.
Alle sette del mattino viene avvistato un ricognitore britannico, e tutte le navi issano il pennello nero, stabilito come segnale di riconoscimento insieme ai dischi neri che si è già provveduto a dipingere in coperta. Alle 7.50 giungono sul cielo della formazione tre aerei da caccia britannici, ed alle 8.38 viene avvistata di prua una formazione britannica composta da due corazzate (Valiant e Warspite), cinque cacciatorpediniere ed una motovedetta; una delle corazzate si mette in contatto con l’Eugenio di Savoia, e dopo uno scambio di messaggi alle 9.10 la squadra italiana si ferma per permettere alla motovedetta di trasbordare sull’Eugenio il capitano di vascello Thomas Bronwrigg, capo di Stato Maggiore aggiungo dell’ammiraglio Andrew Browne Cunningham (comandante della Mediterranean Fleet), insieme ad un altro ufficiale (il tenente di vascello Seth-Smith) e tre segnalatori. Alle 9.20 le navi italiane rimettono in moto, seguendo a 20 nodi quelle britanniche verso Malta. Alle dieci vengono avvistate a nord Libra ed Orione, che avevano precedentemente perso il contatto con la formazione: a corto di carburante, vengono mandate a Bona per fare rifornimento.

L’Oriani in navigazione verso Malta, nel settembre 1943 (dal giornale “The Examiner”, via www.trove.nla.gov.au)

11 settembre 1943
In mattinata la squadra italiana raggiunge Malta, dove trova le corazzate Duilio e Doria, gli incrociatori Cadorna e Pompeo Magno ed il cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, qui trasferitesi da Taranto. Le navi italiane giungno a nordovest di Gozo all’alba, ma imboccano il canale dragato che porta alla Valletta soltanto alle nove di mattina; procedono in linea di fila, precedute dal cacciatorpediniere greco Vasilissa Olga e guidate dalla corvetta britannica Bergamot e dal peschereccio armato Beryl.
Eugenio, Littorio ed Italia entrano a La Valletta alle 9.50, mentre gli altri incrociatori danno fondo a St. Paul’s Bay; nel pomeriggio le due corazzate si trasferiscono a Marsa Scirocco. L’Oriani si ormeggia invece al largo di Madliena Tower.
Poco dopo l’arrivo in porto, un capitano di vascello britannico si reca sull’Eugenio di Savoia e legge all’ammiraglio Oliva un messaggio del comandante in capo delle forze Alleate nel Mediterraneo, generale Dwight Eisenhower, che esprime apprezzamento per la lealtà con cui la flotta italiana ha adempiuto alle clausole dell’armistizio, e rincrescimento per l’attacco tedesco che ha cagionato la perdita della Roma.
Il 12 settembre il corrispondente di guerra britannico Paul Bewsher del “Daily Mail”, durante una visita in motobarca alla flotta italiana ancorata a Malta, ha modo di ascoltare da un ufficiale dell’Oriani – che parla bene l’inglese perché di discendenza scozzese per parte di nonna – il racconto dell’attacco tedesco che ha causato la perdita della Roma. L’ufficiale narra l’accaduto a Bewsher mentre questi defila a lento moto con la sua motobarca sottobordo all’Oriani: “La nostra flotta ha lasciato La Spezia lo scorso mercoledì notte. L’armistizio era stato firmato ma non sapevamo che saremmo andati ad arrenderci. Poi, mentre stavamo navigando in mare aperto, abbiamo ricevuto ordini radio di dirigere per Malta. Nel pomeriggio di giovedì, verso le due e mezza, cinque aerei sono apparsi, volando a circa 12.000 piedi [3660 metri]. Poi hanno iniziato a sganciare bombe sulla flotta, che si è immediatamente diradata ma ha aperto un fuoco concentrato sugli apparecchi. Una bomba è caduta a poche centinaia di metri da noi. La corazzata Roma era così lontana che non la vedevamo quando è stata colpita. Più tardi, singoli apparecchi sono arrivati e ci hanno attaccati ad intervalli, e l’attacco è continuato fino alle tre e mezza del pomeriggio. Due aerei britannici ci volavano intorno in questo periodo, a quota piuttosto bassa”. (Secondo un articolo della “Gazette” di Montreal, invece, i marinai dell’Oriani avrebbero raccontato che l’attacco aereo sarebbe durato, ad intermittenza, per circa tre ore, dalle 14.30 alle 17.30, e l’ufficiale dalla nonna scozzese avrebbe raccontato che “Gli aerei attaccavano a gruppi di tre e di quattro e sembravano lanciare le loro bombe da dei cannoni. In ogni caso potevamo vedere del fumo ed un Lampo quando lanciavano le bombe”, oltre ad  affermare di non aver visto personalmente il colpo sulla Roma, né di aver visto aerei abbattuti durante l’attacco).
13 settembre 1943
L’Oriani si rifornisce di nafta dalla corazzata Andrea Doria, poi torna a dar fondo presso Madliena Tower.
14 settembre 1943
L’Oriani (capitano di fregata Pietro Scammacca) ed il Legionario (capitano di vascello Amleto Baldo) salpano da Malta alle due di notte per una missione di rifornimento a favore delle truppe italiane che in Corsica stanno combattendo contro i tedeschi.
Questa missione è scaturita da una richiesta avanzata la sera del 13 settembre dall’ammiraglio Algernon Usborne Willis (vicecomandante della Mediterranean Fleet) all’ammiraglio Alberto Da Zara (il più alto in grado tra gli ammiragli italiani giunti a Malta, e di conseguenza comandante della flotta qui riunitasi dopo l’armistizio), a nome dell’ammiraglio Cunningham: convocato Da Zara sulla sua nave, Willis gli ha domandato se fosse disposto a mandare due cacciatorpediniere per rifornire di armi e munizioni le truppe italiane in Corsica, ricevendone risposta affermativa. I cacciatorpediniere messi a disposizione da Da Zara sono appunto Oriani e Legionario.
Sul Legionario ha preso imbarco anche il capitano di vascello Thomas Brownrigg, capo di Stato Maggiore aggiunto di Cunningham, insieme ad un altro ufficiale della Royal Navy recante i codici britannici di segnalazione.
I due cacciatorpediniere assumono inizialmente rotta verso Biserta, dove dovrebbero imbarcare le armi e le munizioni da portare in Corsica: qui Oriani e Legionario giungono alle 13.30, sbarcandovi Brownrigg. I rifornimenti, tuttavia, dovranno essere caricati non a Biserta ma ad Algeri, pertanto alle 19.15 le due unità lasciano il porto tunisino alla volta della nuova destinazione.
15 settembre 1943
Oriani e Legionario giungono ad Algeri alle 11.45; il Legionario vi imbarca il generale S. Peake (nominato comandante superiore Alleato in Corsica), un nucleo di radiotelegrafisti britannici, un reparto di 200 commandos statunitensi (scelti tra militari di origine italiana; per altra fonte sarebbero stati solo 32, di cui quattro ufficiali) e materiali vari, tra cui l’equipaggiamento dei commandos e 30 tonnellate di munizioni per le truppe italiane (da consegnare a Comar Ajaccio). L’Oriani, invece, non imbarca né truppe né materiali, avendo l’incarico di scortare il Legionario.
18 settembre 1943
Oriani e Legionario lasciano Algeri alle 3.50 diretti ad Ajaccio, in Corsica.
19 settembre 1943
Oriani e Legionario giungono ad Ajaccio all’1.10 e vi sbarcano il generale Peake, le truppe ed i rifornimenti: la sosta nel porto corso dura soltanto un’ora e venti minuti (“per ridurne al massimo la visibilità alla popolazione”, secondo il saggio “La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione” del Bollettino d’Archivio USMM).
Alle 2.30 le due unità lasciano Ajaccio alla volta di Algeri, dove giungono alle 22.15.
28 settembre 1943
Oriani e Legionario lasciano Algeri per fare ritorno a Malta, dopo aver imbarcato un gruppo di 44 naufraghi rimpatrianti del cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi, affondato 17 giorni prima ad ovest della Sardegna, recuperati dal sommergibile britannico Sportsman e sbarcati ad Algeri alcuni giorni prima (qui erano stati inizialmente inviati in campo di prigionia, prima che la loro posizione venisse chiarita). (Secondo il citato saggio del Bollettino d’Archivio USMM, i naufraghi sarebbero stati imbarcati sull’Oriani).
29 settembre 1943
Oriani e Legionario arrivano a Malta alle otto del mattino; l’Oriani si ancora a Marsa Scala, il Legionario a Marsa Scirocco. I naufraghi del Vivaldi saranno poi portati a Taranto dal cacciatorpediniere Augusto Riboty.
In Corsica i combattimenti tra le truppe tedesche del generale Fridolin von Senger und Etterlin e quelle italiane del generale Giovanni Magli, appoggiate dalla locale Resistenza francese e successivamente anche da reparti della Francia Libera appositamente inviati, si protrarranno fino ad inizio ottobre, quando le ultime truppe tedesche lasceranno l’isola ripiegando sul continente.
La missione dei due cacciatorpediniere si è svolta senza intoppi né eventi degni di rilievo; la storia ufficiale della Marina italiana commenta in merito che “la missione ebbe una grande influenza sul rapido evolvere dello stato d’animo degli Alleati verso la Marina e la Nazione, perché contribuì ad accelerare il processo di evoluzione dalla diffidenza alla fiducia”.
4 ottobre 1943
L’Oriani lascia finalmente Malta per tornare in Italia, insieme al Legionario, agli incrociatori Pompeo Magno, Duca degli Abruzzi e Garibaldi ed alle torpediniere Libra e Calliope.
14 ottobre 1943
Oriani (capitano di fregata Libero Chimenti) e Legionario (capitano di vascello Amleto Baldo) salpano da Taranto per scortare a Malta il transatlantico Saturnia, avente a bordo 150 marinai italiani.
Dopo che la Saturnia ha sbarcato i 150 marinai a Malta, le tre navi proseguono per Gibilterra, facendo un breve scalo intermedio ad Algeri per rifornimenti dei cacciatorpediniere.
18 ottobre 1943
Oriani, Saturnia e Legionario arrivano a Gibilterra, dove poi i cacciatorpediniere rimangono per alcune settimane, mentre la Saturnia salperà il 27 ottobre per l’Inghilterra carica di truppe.
28 ottobre 1943
Il Comando britannico di Gibilterra manda Oriani e Legionario incontro agli incrociatori dell’VIII Divisione, Duca d’Aosta (capitano di vascello Temistocle D’Aloia) e Duca degli Abruzzi (capitano di vascello Alberto Battaglia, nave di bandiera dell’ammiraglio Biancheri), per scortarli da Algeri a Gibilterra. I due incrociatori sono partiti da Taranto il 27 ottobre e sono diretti in Atlantico per svolgervi delle crociere d’intercettazione di navi corsare e violatrici di blocco tedesche, in seguito alla richiesta da parte britannica che alcuni incrociatori italiani siano destinati a tale compito. Oriani e Legionario li incontrano in mare aperto davanti ad Algeri e li scortano a Gibilterra.
6 novembre 1943
Alle 15 Oriani e Legionario partono da Gibilterra per scortare Duca degli Abruzzi e Duca d’Aosta nelle prime ventiquattr’ore di navigazione, ossia fino al limite della zona atlantica di approccio allo stretto di Gibilterra, dove maggiore è il rischio di incontrare U-Boote tedeschi.
7 novembre 1943
Giunti al limite della zona pericolosa, Oriani e Legionario rientrano a Gibilterra, mentre i due incrociatori proseguono da soli verso Freetown, ove arriveranno senza intoppi.
20 novembre 1943
Oriani e Legionario rientrano da Gibilterra a Palermo, trasportando nel capoluogo siciliano un carico di materiale bellico britannico imbarcato a Gibilterra.
1944
L’Oriani, in sezione con il Granatiere, esegue cinque missioni di bombardamento costiero in Grecia ed Albania.
Viene inoltre periodicamente impiegato (secondo una fonte, ogni due settimane) per rifornire di viveri e vestiario gli equipaggi delle corazzate Italia e Vittorio Veneto, internate nel Grande Lago Amaro (vicino al Canale di Suez).
6 gennaio 1944
Il marinaio Luigi Speroni dell’Oriani, da Allumiere, di 21 anni, muore in territorio metropolitano.
1° maggio 1944
Oriani e Granatiere effettuano una missione di intercettazione di traffico nemico nel golfo del Drin e bombardamento del porto di Antivari. All’altezza di Punta Menders, vengono attaccati da due motosiluranti, che però invertono la rotta e si allontanano verso nord, coprendosi con nebbia artificiale, non appena i cacciatorpediniere aprono il fuoco. Scacciate le motosiluranti, Oriani e Granatiere proseguono verso Antivari, di cui bombardano il porto come ordinato, per poi rientrare alla base.
2 maggio 1944
L’Oriani (capitano di fregata Gino Cianchi) ed il Granatiere (capitano di fregata Carlo Felice Albini, capo sezione) salpano da Manfredonia alle due del pomeriggio per un’altra missione di intercettazione di traffico tedesco nel golfo del Drin (Albania settentrionale) e di bombardamento del porto di Antivari (nella seconda fase).
Alle 21.45, sei miglia a nord di Capo Rodoni (estremità meridionale del golfo del Drin), i due cacciatorpediniere accostano per nord-nord-ovest, assumendo rotta parallela alla costa e dando inizio al rastrello antitraffico, ad una velocità di venti nodi. Il mare ed il vento sono calmi e c’è buona visibilità, con la luna al primo quarto.
Alle 22.44, mentre Oriani e Granatiere stanno procedendo in linea di fila con rotta ovest/nordovest (seguendo l’andamento della costa, per eseguire l’azione di fuoco contro Antivari), l’Oriani avvista quattro motosiluranti provenienti da Punta Menders ed evidentemente intenzionate ad attaccare i due cacciatorpediniere, a circa 4000 metri di distanza per 30° dalla prua a dritta. L’incontro non è inatteso: dopo quanto accaduto la sera precedente, era previsto che il nemico si sarebbe ripresentato, probabilmente con forze maggiori. Di conseguenza, sull’Oriani si è messo personalmente di vedetta il direttore del tiro.
L’Oriani accosta leggermente a sinistra per portare in campo tutte le armi ed apre immediatamente il fuoco con proiettili illuminanti e con granate, comunicando al contempo l’avvistamento al Granatiere. Quest’ultimo avvista a sua volta le motosiluranti due minuti più tardi ed accosta a sudovest per evitare un probabile lancio di siluri, indi ordina di incrementare la velocità a 28 nodi ed alle 22.48 apre a sua volta il fuoco contro le motosiluranti.
L’Oriani ne imita la manovra ed accosta praticamente ad un tempo con il Granatiere, mettendosi quasi in linea di fronte con il capo sezione; completata l’accostata, ricomincia a sparare.
In seguito a tale manovra, le motosiluranti vengono a trovarsi nei settori poppieri dei due cacciatorpediniere, 40°-50° a poppavia del traverso del Granatiere e poco a poppavia del traverso dell’Oriani. Subito dopo l’inizio dell’azione, le motosiluranti si dividono in due sezioni, delle quali una assume rotta verso sudovest e l’altra verso sudest, iniziando ad emettere una cortina di nebbia artificiale per occultarvisi. Oriani e Granatiere sparano sulle due motosiluranti dirette verso sudovest, le più pericolose in quanto la loro manovra tende a tagliare loro la rotta; pochi minuti dopo la prima accostata il Granatiere accosta nuovamente a sinistra per 200°, imitato dall’Oriani, ed il gruppo delle motosiluranti scade decisamente di poppa.
Alle 22.52 il Granatiere cessa il fuoco, mentre l’Oriani continua a fare fuoco contro la testa della cortina nebbiogena fintanto che il settore di tiro delle sue armi glielo permette. All’ottava salva si verifica una forte esplosione dietro la cortina, il che induce l’equipaggio dell’Oriani a ritenere di aver colpito una motosilurante. Alle 22.53 l’Oriani accosta di iniziativa per sud/sudest (rotta approssimativa 150°) cessando il fuoco contro la prima coppia di motosiluranti ed aprendolo invece contro la seconda (che sta proseguendo verso sudest), sul lato sinistro, a circa 7000 metri di distanza. Dopo poche salve, però, il tiro viene interrotto perché inefficace. Durante lo scontro le motosiluranti hanno reagito con raffiche di mitragliera ad intervalli.
Alle 22.56, dopo un’ultima raffica di mitragliera verso i settori poppieri, anche il Granatiere cessa definitivamente il fuoco ed accosta per 150° circa, onde non perdere il contatto con l’Oriani, che dopo l’accostata delle 22.53 si è allontanato e si trova ora a circa due chilometri di distanza. Sempre alle 22.56, una batteria di piccolo calibro apre il fuoco da Punta Menders, ma i suoi colpi cadono molto corti.
Alle 23, per ordine del capo sezione, Oriani e Granatiere accostano per 350° tornando a formare la linea di fila, ed alle 23.06 accostano ancora per 241°, per poi assumere rotta di rientro alla base.
La storia ufficiale dell’USMM nota come l’Oriani, pur essendo l’unità di coda e dunque la più lontana dalle motosiluranti al momento dell’avvistamento, le abbia avvistate prima del Granatiere: probabilmente perché su quest’ultimo vigeva soltanto il normale servizio di vedetta, mentre sull’Oriani si era provveduto a rinforzarlo mettendo di vedetta anche il direttore del tiro.
15 maggio 1944
Il capo meccanico di prima classe Domenico Taddei dell’Oriani, 41 anni, da Cansano, muore in territorio metropolitano.
3 agosto 1944
L’Oriani imbarca in Egitto un ridotto contingente di personale rimpatriante appartenente agli equipaggi delle corazzate Italia e Vittorio Veneto, internate nel Grande Lago Amaro (vicino al Canale di Suez) in seguito all’armistizio, da portare a Taranto (la loro destinazione è Maridepo Taranto).
Lasciato il lago alle dieci del mattino, l’Oriani passa per Ismailia un’ora più tardi ed imbocca poi il Canale di Suez diretto a Port Said, dove arriva alle 16, entrando in Mediterraneo. Dirige poi per Haifa, in Palestina; durante la notte si verifica un allarme aereo a causa di un bengala accesosi a non grande distanza.
4 agosto 1944
Entra ad Haifa all’alba; il personale rimpatriante può scendere in franchigia a terra, mentre l’Oriani esce in mare per esercitazioni, facendo ritorno all’una di notte del 5; si trattiene poi ad Haifa per diversi giorni. Uno dei marinai rimpatrianti, Primo Maneo da Ivrea, descriverà così, a decenni di distanza, il breve soggiorno in Palestina: “Al sorgere del sole entrata nel porto di Haifa, bella località ai piedi del promontorio dello storico Monte Carmelo dominante la baia di Acri. Nel pomeriggio, finalmente una allegra e gustosa franchigia in città dove i divertimenti non mancavano. (…) 5 agosto Da allora franchigia dalle ore 10 alle 21, rimanendo fuori tutto il giorno e consumando solo frutta ai giardini pubblici. I cittadini sono di etnie diverse: arabi, ebrei, italiani e altre. Sul lungomare, con l’amico Baratta, si avvicinarono cinque militari indiani che in comprensibile italiano spiegarono di aver combattuto in Italia a Cassino, Pescara e Villanova. Dissero di conservare ottimo ricordo degli italiani, considerandoli amici e offrendoci loro sigarette in sostituzione alle nostre appena accese. 6 agosto Nel quartiere arabo incontrai un civile spagnolo atteggiandosi fascista ed esibendo alcune monete italiane con il fascio, che egli conservava a ricordo. 7 agosto Con un compagno decidemmo di visitare la cittadina di Nazareth, in Galilea. Sulla Corriera notai alcuni arabi con tatuaggi a forma di croce, mentre una ragazza indossava un braccialetto con piccola croce data «1935»: simboli di recente conversione al cristianesimo, dissero. Visitammo una bella chiesa alla sommità di una altura con visibile il monte Tabor, sperando incontrare alcuni Sacerdoti italiani però assenti. Ci accolse un Prete poliglotta Polacco offrendoci della cioccolata calda e spiegando che lassù vi era una scuola di ragazzi Polacchi sfuggiti alle persecuzioni dei Russi, criticando aspramente russi e tedeschi. In città esisteva una Casa di Suore Italiane, recandoci e accolti con calore e simpatia, offrendoci un frugale pasto. La madre Superiora, siciliana, ci spiegò essere loro missione educare i bambini alla vita cristiana, presso apposite scuole italiane ivi istituite. Esponendoci fatti tristi e cruenti commessi da militari stranieri dislocati nel territorio. Lei stessa perse un braccio a causa una fucilata ricevuta da un soldato di ronda. Piangeva raccontando aver assistito a sevizie, aberranti e vergognose, nei confronti di civili e soldati prigionieri italiani allo scopo di carpire informazioni, durante i suoi tre anni di sofferta prigionia: come l’aver visto legare un malcapitato alla «bocca» di un cannone, minacciando lo sparo se reticente. La Superiora ringraziò commossa per la visita, invitandoci nel prendere visione delle Grotte della Sacra Famiglia, su cui ergevano due Chiese dedicate all’Annunciazione e a S. Giuseppe. Remote interessanti vestigia, testimonianza di una presenza cristiana. Al ritorno, una pattuglia della polizia palestinese fermò la Corriera facendo scendere chi non [era] seduto. Anche io ero in piedi, però rifiutando l’intimazione. I poliziotti più volte mi intimarono di scendere, ma poi accettando le mie energiche proteste desistettero lasciando tutti proseguire. I passeggeri applaudirono, mentre alcuni mi strinsero la mano, accettando io volentieri quel loro atto di simpatia al marinaio italiano, sinceramente ringraziando. Giunti a Haifa ci recammo al bar Ritz, ritrovo dei marinai italiani poiché i titolari bene esprimevano la nostra lingua, avendo esercitato alcuni anni a Merano. 8 agosto In città osservai la presenza di carri armati inglesi perlustrare le vie. Alcuni civili, non arabi, spiegarono tale presenza a scopo cautelativo poiché gli arabi, mal sopportando le rigide impostazioni instaurate, talvolta insorgevano manifestando il loro diritto alla parità umana e creando sommosse, anche sanguinose. Inoltre venivo a conoscenza dei recenti frequenti tafferugli e risse in città tra marinai italiani e francesi, essendo questi ultimi promotori deridenti e beffeggianti, ritenendosi loro vincitori in guerra. Anche se poi, sempre loro soccombenti in «battaglia». Nella tarda sera, smarritomi nel quartiere arabo, assistetti ad una suggestiva cerimonia locale. Una lunga processione con fiori, ghirlande e uomini urlanti gesticolando bastoni, mentre al passaggio i fruttivendoli lanciavano frutta di ogni specie. Quasi come al carnevale di Ivrea. Essendo quattro giorni che non toccavo cibo a bordo e sentendomi sfinito, al rientro trangugiai della minestra (…) In serata, uscendo dal bar Ritz, incontrai un soldato prigioniero italiano mentre confabulava con marinai dell’Oriani. Evaso dal campo di concentramento e avendo rischiato per una fucilata da un soldato inglese, chiedeva aiuto per il rientro in Italia. Purtroppo io non potevo aiutarlo, anche volendolo”.
10 agosto 1944
In seguito all’arrivo ad Haifa del cacciatorpediniere Velite, designato ad avvicendare l’Oriani nei servizi in tale zona, quest’ultimo lascia il porto palestinese diretto in Italia, rimorchiando i MAS 523, 538, 540 e 545 del disciolto Grupmas del Levante, sprovvisti del carburante necessario alla navigazione di rientro. L’Oriani salpa l’ancora alle dieci e poi si ferma in rada per prendere a rimorchio i MAS; dirige poi per Alessandria d’Egitto, dove dovrà fare scalo. La navigazione, alla velocità di 14 nodi, è intralciata dal mare lungo (inizia ad agitarsi nel pomeriggio, costringendo l’Oriani a rallentare), che provoca a più riprese la rottura di cavi di rimorchio.
11 agosto 1944
L’Oriani entra ad Alessandria dopo il tramonto, con un ritardo di diverse ore (l’arrivo era previsto per le 18) a causa del mare avverso e le continue rotture dei cavi di traino, che hanno obbligato a tenere una velocità di soli dodici nodi. A 25 miglia da Alessandria, in seguito all’ennesima rottura dei cavi ed all’avaria del MAS 523, l’Oriani si separa dai MAS, che lo seguono a distanza navigando con i propri mezzi.
12 agosto 1944
Sosta ad Alessandria. In prima mattinata l’equipaggio assiste ad un incidente verificatosi nel porto: un cacciatorpediniere britannico sperona una barca di ambulanti, spezzandola in due e gettando in mare merce ed occupanti. Nel pomeriggio alcune barche a vela con a bordo ragazze italiane arrivano sottobordo all’Oriani, e le occupanti salutano i marinai, coi quali scambiano qualche parola. In serata vengono imbarcati nuovi cavi da rimorchio, in sostituzione di quelli rotti durante la navigazione da Haifa.
13 agosto 1944
L’Oriani salpa da Alessandria a mezzogiorno insieme ai quattro MAS. Di nuovo sosta in rada per prendere i MAS a rimorchio, dopo di che esce in mare aperto; il mare è ancora lungo e tale da creare qualche inconveniente.
14 agosto 1944
Il mare si calma, fino a diventare addirittura privo d’increspature; l’Oriani può così accelerare da undici nodi a tredici. Alle 17 viene avvistato un aereo in avvicinamento; sulle prime sembra avere intenzioni ostili, ma quando vira di rotta nei pressi del cacciatorpediniere l’equipaggio lo riconosce come statunitense. Dopo il tramonto allerta sommergibili, ma è un falso allarm.
15 agosto 1944
In mattinata si rompe ancora una volta il cavo di rimorchio del MAS 523, e l’Oriani si ferma un’ora per ripararlo. Alle 11.30 vengono fermate di nuovo le macchine in quanto i MAS segnalano che gli equipaggi sono stanchi e di essere intenzionati a dirigere autonomamente per Malta; il comandante dell’Oriani, però, respinge la richiesta. Poco dopo allarme aereo, ma non succede niente.
16 agosto 1944
Mare calmo; l’Oriani fa rotta 327°, verso Augusta, dove dovrà rifornirsi di nafta e di acqua. Viene erogata acqua dolce per uso personale, così che dopo tre giorni l’equipaggio può finalmente lavarsi. Raggiunta Augusta nel primo pomeriggio, l’Oriani sosta in rada per mollare il rimorchio dei MAS e poi, alle 14.25, va alla banchina rifornimenti. Primo Maneo descrive così la franchigia a terra, la prima in Italia dopo quasi un anno di assenza: “La piccola città si presentava devastata dagli eventi bellici, mentre nel malridotto porto si notavano scafi di piroscafi e rimorchiatori semisommersi, come pure i resti di alcuni aerei. In una via incontrai Morone, un mio compagno telemetrista sul Littorio, il quale avendo fruito di licenza ripartiva per i Laghi Amari. Sul tardi mi recai al Cinema per le Forze Armate in amicizia con Sottile, marinaio dell’Oriani”.
17 agosto 1944
Prima dell’alba l’Oriani mette in moto, si ferma in rada come al solito per riprendere a rimorchio i MAS e poi lascia Augusta diretto a Taranto.
Alle 16 viene avvistato parecchio materiale che galleggia alla deriva: casse, zucche, sacchi pieni, recipienti di latta ed altro, forse i resti di un naufragio. A partire dal tramonto la nave costeggia la Calabria; il mare è calmo, i rimorchi non si spezzano più.
18 agosto 1944
Alle quattro del mattino, dopo aver mollato il rimorchio dei MAS, l’Oriani supera le ostruzioni portuali di Taranto mentre sorge il sole, con una fitta nebbia ristagnante. Alle sei del matino la nave attraversa il canale navigabile e va alla banchina cacciatorpediniere in Mar Piccolo; il personale rimpatriante viene trasbordato su un rimorchiatore giunto sottobordo.
19 agosto 1944
Lasciata anche Taranto, l’Oriani ed i MAS raggiungono Brindisi.
20 agosto 1944
Il secondo capo nocchiere Giuseppe Vittorio, 24 anni, da Catania, muore in territorio metropolitano.
25 agosto 1944
Il secondo capo S.D.T. Mario Margarito dell’Oriani, di 26 anni, da Castrignano del Capo, muore in territorio metropolitano.
5 settembre 1944
Il sergente S.D.T. Adriano Minguzzi dell’Oriani, 24 anni, da Bagnacavallo, muore in territorio metropolitano.
17 settembre 1944
Il marinaio nocchiere Vincenzo D’Orta dell’Oriani, 21 anni, da Napoli, muore in territorio metropolitano.
1° gennaio 1945
Il marinaio fuochista Vincenzo Corso dell’Oriani, 22 anni, da Cagliari, muore in territorio metropolitano.

L’Oriani in navigazione nel Mediterraneo insieme alla portaerei britannica Venerable (diretta verso il Canale di Suez per operare nel Pacifico), nel 1945. In primo piano un aerosilurante Fairey Barracuda Mk II dell’814th Squadron della Fleet Air Arm (Imperial War Museum)

22 marzo 1945
Il marinaio radiotelegrafista Pietro Lanfranchi dell’Oriani, 23 anni, da Venezia, muore in territorio metropolitano.
1945-1948
Dopo la fine delle ostilità, l’Oriani svolge attività addestrativa di squadra.
1947
Nel trattato di pace tra l’Italia e gli Alleati stipulato a Parigi il 10 febbraio, l’Oriani viene incluso nell’"Elenco delle navi che l’Italia dovrà mettere a disposizione dell’Unione Sovietica, del Regno Unito, degli Stati Uniti d’America e della Francia"; in particolare, viene assegnato alla Francia.


Tre immagini dell’Oriani scattate il 4 agosto 1947 (foto Aldo Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it)



1947
A bordo dell’Oriani scoppia un “caso” politico-mediatico quando il giornalista Valentino Carli dell’“Unità” pubblica (nell’edizione di Genova del 6 settembre 1947, rubrica “Il Frettazzo”) un articolo nel quale riporta una serie di accuse rivolte da Ennio Properzi, cannoniere dell’Oriani, al tenente di vascello Mario Bruti Liberati, comandante in seconda della nave. Questi afferma che Bruti Liberati abbia sottratto illegalmente zucchero e caffè dalle razioni dell’equipaggio per rivenderli a scopo di lucro personale, immotivatamente aggredito fisicamente il marinaio fuochista Colangelo ed impartito ai sottufficiali dipendenti “disposizioni tendenti al disprezzo degli equipaggi”; inoltre accusa tutti gli ufficiali di Stato Maggiore di compiere “diuturna opera di diffamazione e di acredine verso ogni forma ed ogni istituzione democratica e repubblicana”, “di respirare un clima di tradizioni da salotto incompatibili in un Paese travagliato da una guerra infame”, di “aver organizzato a bordo delle navi da guerra scandalosi ricevimenti con donne di malaffare” e di “svolgere opera di spietata coercizione dei diritti morali e materiali degli equipaggi”.
Bruti Liberati, letto l’articolo e ritenutolo “gravemente lesivo del suo onore ed offensivo nei confronti degli ufficiali dello stato maggiore della Marina Militare”, sporge querela contro Properzi, Carli ed il direttore responsabile del giornale, Giovanni Serbandini (deputato del Partito Comunista Italiano). I tre vengono citati a giudizio davanti al tribunale di La Spezia: Properzi (detenuto dal 22 ottobre al 7 dicembre 1947) e Carli per diffamazione (articolo 227 del Codice Penale Militare di pace per Properzi, articolo 110 del Codice Penale per concorso in reato per Carli) e vilipendio delle forze armate (articolo 81 del Codice Penale Militare di pace), Serbandini per concorso in tali reati data la sua posizione di direttore del giornale in relazione all’articolo 57 del Codice Penale («Salva la responsabilità dell'autore della pubblicazione e fuori dei casi di concorso, il direttore o il vice-direttore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati (…) è punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo»).


L’Oriani nel 1946-1948 (g.c. Marcello Risolo)


1947-1948
Ultimo comandante dell’Oriani, prima del trasferimento alla Francia, è il capitano di fregata Salvatore Pelosi, che durante questo periodo di comando viene promosso, nel 1948, a capitano di vascello.
Il governo italiano tenta a lungo di tergiversare nel trasferimento delle navi alla Francia, sperando di giungere ad una rinuncia alla cessione o quanto meno a condizioni più favorevoli da parte transalpina; nel luglio 1948 i due governi giungono ad un accordo, con cui la Francia rinuncia a parte delle unità ad essa assegnate dal trattato di pace (l’incrociatore leggero Pompeo Magno, i sommergibili Giada e Vortice e 21 unità minori ed ausiliarie) in cambio dell’immediato trasferimento delle rimanenti navi, tra cui l’Oriani, e soprattutto della consegna insieme alle navi di un considerevole quantitativo di materiali e parti di ricambio, non disponibili in Francia, tali da consentire alla Marine Nationale di mantenere le unità ex italiane in servizio per diversi anni.

Salvatore Pelosi, l’ultimo comandante dell’Oriani, in una foto d’anteguerra (USMM)

16 luglio 1948
L’Oriani viene radiato dal quadro del naviglio militare italiano e denominato provvisoriamente O 3 in vista della cessione alla Francia (la radiazione avviene con decreto del presidente della Repubblica del 3 dicembre 1948, a decorrere dal 26 luglio 1948).

L’Oriani nel 1947 (foto Aldo Fraccaroli, via Coll. Luigi Accorsi e www.associazione-venus.it)

23 luglio 1948
Trasferito formalmente alla Marine Nationale.
6-8 agosto 1948
Lasciata La Spezia il 6 agosto, l’O 3 arriva a Tolone due giorni dopo e viene preso in consegna dal nuovo equipaggio.
10 ottobre o 7 novembre 1948
Entra formalmente in servizio sotto bandiera francese, ribattezzato D’Estaing (sigla identificativa T15) ed inquadrato nella 2a Divisione Cacciatorpediniere (2ème Division de Contre-torpilleurs).
Insieme ad esso, altri tre cacciatorpediniere italiani passano sotto bandiera francese: Mitragliere (ribattezzato Jurien de la Gravière), Legionario (Duchaffault) e Velite (Duperrè). Ceduti alla Francia anche due incrociatori leggeri, Scipione Africano ed Attilio Regolo, la nave coloniale Eritrea ed alcune unità minori ed ausiliarie.
L’ammiraglio Gabriel Rebuffel esprimerà grande soddisfazione per le qualità delle navi ottenute dall’Italia: «Gli incrociatori tipo Regolo sono dei bastimenti che raggiungono le 5.000 tonnellate a pieno carico, sono dotati di una bellissima artiglieria e possono correre a 40 nodi. (...) I quattro cacciatorpediniere sono delle belle navi da 1.600 tonnellate, molto riuscite e noi non ne disponiamo di uguali a seguito delle perdite che abbiamo subito in questa categoria.  L'avviso coloniale è certamente il più adatto di quelli di cui disponiamo attualmente. Al momento attuale (1949) un incrociatore, un caccia e l'avviso coloniale sono in armamento e navigano con la più grande soddisfazione dei nostri marinai».
Tuttavia, parecchie delle unità ex italiane risultano logorate dall’intenso servizio bellico, il che porterà ad un servizio piuttosto limitato nella Marine Nationale, specialmente per i cacciatorpediniere (più lungo sarà invece quello dei due incrociatori e dell’Eritrea).
Sarà questo anche il caso del D’Estaing, che durante il periodo trascorso sotto bandiera francese non riceverà nessun ammodernamento ed anzi non sarà mai operativo: giudicato troppo usurato, sarà usato principalmente come fonte di parti di ricambio per gli altri cacciatorpediniere (secondo altra fonte, invece, avrebbe “dato buona prova anche dopo il logorio dovuto alla guerra e all’offesa degli anni”, il che presupporrebbe un suo impiego anche da parte della Marine Nationale).
Il suo armamento durante il servizio per la Marine Nationale consiste in quattro pezzi da 120/50 mm OTO 1936 in impianti binati, un obice illuminante OTO 1933-1934 da 120/15 mm, due mitragliere singole Breda 1939 da 37/54 mm, due mitragliere binate Scotti-Isotta Fraschini 1939 da 20/70 mm, otto mitragliere singole Breda 1939-1940 da 20/65 mm, un impianto lanciasiluri trinato da 533 mm, quattro lanciabombe per bombe di profondità ed attrezzature per il trasporto e la posa di 52 mine. La nave è inoltre dotata di radar FuMo 21 e di sonar S-Gerät, entrambi di fabbricazione tedesca. Il dislocamento standard è di 1675 tonnellate, quello a pieno carico di 2254.
Secondo il libro “French Destroyers” di John Jourdan e Jean Moulin, il motivo per cui D’Estaing e gli altri cacciatorpediniere ex italiani non sarebbero entrati in servizio sarebbe stato rappresentato dalla mancanza di fondi e di capacità dei bacini di carenaggio (?) per i necessari lavori di riattamento; secondo “Spoils of War” di Aidan Dodson e Serena Cant, il D’Estaing e gli altri cacciatorpediniere sarebbero brevemente entrati in servizio sotto bandiera francese per le prove in mare, ma dopo breve tempo sarebbero passati in servizio ridotto od in riserva, mancando i fondi per un raddobbo. Secondo “Escorteurs d’escadre” di Robert Dumas e Jean Moulin, i quattro cacciatorpediniere ex italiani non sarebbero rimasti a lungo in servizio sotto bandiera francese perché “in cattivo stato”.
Per il D’Estaing, in particolare, sarebbero stati necessari lavori di ritubazione delle caldaie, non effettuati per mancanza di fondi, e la nave non avrebbe mai navigato sotto bandiera francese.
Secondo “Warship 2016” di Stephen Dent, nel 1951-1952 parte dei complessi da 120/50 mm dei cacciatorpediniere vennero ceduti all’avviso Francis Garnier, ex nave coloniale italiana Eritrea, che vide così il suo armamento originale sostituito con un complesso singolo Ansaldo Mod. 1941 da 120/50 ed uno binato Mod. Ansaldo 1937 dello stesso calibro.

La nave sotto bandiera francese, con il nome di D’Estaing (da www.postenavalemilitaire.com)

24 febbraio 1951
Posto in riserva.
12 giugno 1954
Il D’Estaing viene radiato dai quadri della Marine Nationale.

Il D’Estaing (quarto cacciatorpediniere dall’alto) a Tolone nel 1951, insieme (partendo dalle unità in primo piano) all’incrociatore leggero Guichen (ex Scipione Africano), la nave cisterna La Mayenne ed i cacciatorpediniere Jurien de la Gravière (ex Mitragliere), Duperré (ex Velite) e Duchaffault (ex Legionario) (da www.forummarine.forumactif.com)

1956
Venduto per demolizione, con la denominazione provvisoria di Q 15.
1958
Demolito a Tolone (per altra fonte la demolizione sarebbe avvenuta a Brégaillon già nel 1955).
 
Un’altra immagine dell’Oriani nel dopoguerra (g.c. Stefano Cioglia via www.naviearmatori.net)

Una preghiera scritta dal sergente cannoniere stereotelemetrista Ivo Villa (Olgiate Comasco, 1920-Como, 2008), imbarcato sull’Oriani a Capo Matapan:
 
Signore Iddio, creatore del mare, ascoltaci:
 
Se dalle acque sacrificali di Capo Matapan
Tu facessi levare quelle tre Regie Navi
d’acciaio spezzato,
Noi … Noi sapremmo ritrovare la forza
di ricondurle là, ove ebbero
il nome di “Zara”, di “Fiume”, di “Pola” …
 
… Giace la Divisione Navale, affondata
negli abissi del “Mesogeios Thalassa”
e più non può testimoniare
la nostra volontà marinara
sulle rotte della serenissima!
 
Signore Iddio, creatore dell’uomo, perdona:
 
le nostre velleitarie presunzioni,
poiché siamo resi ciechi dal dolore
di un passato non estinguibile.
Perdonaci, dunque, se tentiamo di esprimere,
- almeno una volta con voce resa forte
dal sacrificio di 2.306 nostri fratelli –
l’anelito di memoria che ci congiunge
– in legame di sangue e dolore –
a quei “Tre Nomi” che non abbiamo potuto difendere.
 
Ivo Villa
Superstite del Ct. Oriani
28 marzo 1993
 
 
L’Alfredo Oriani sul sito della Marina Militare
L’Alfredo Oriani su Trentoincina
La classe Poeti su Regiamarinaitaliana
La classe Oriani su Navypedia
I cacciatorpediniere classe Poeti su Difesaonline
I cacciatorpediniere classe Poeti su Italiandestroyers
Museo del mare di Tortona – Il cacciatorpediniere Alfredo Oriani e le battaglie della Regia Marina

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