La Giulio Giordani a Genova poco prima della consegna all’AGIP (g.c. Carlo Di Nitto, via www.naviearmatori.net) |
Motonave cisterna di
10.533,79 tsl e 14.770 tpl, lunga 149,70-158,55 metri, larga 20,83 e pescante
8,84-11,10, con velocità di 13-15 nodi. Appartenente all’Azienda Generale
Italiana Petroli (AGIP) con sede a Roma, ed iscritta con matricola 2290 al
Compartimento Marittimo di Genova; nominativo di chiamata IBKG.
Con le gemelle Sergio Laghi, Franco Martelli e Iridio
Mantovani (tutte battezzate, per volontà del governo, con nomi di Medaglie
d’Oro al Valor Militare), faceva parte del programma di modernizzazione della
flotta AGIP, avviato a fine anni Trenta con l’espansione commerciale della
compagnia. Tale programma, che nelle intenzioni doveva dotare l’AGIP di una
flotta all’avanguardia per l’epoca, prevedeva la realizzazione di quattro
motocisterne da 10.500 tsl e 15.000 tpl (appunto Giordani, Laghi, Martelli e Mantovani) per il lungo corso, quattro motocisterne più piccole da
2000 tpl (da impiegarsi sulle rotte con la Libia e l’Africa Orientale) e due di
dimensioni ancora più ridotte, 1000 tpl (per il traffico con la Dalmazia) e 600
tpl (per il traffico con il Dodecaneso). Giordani
e gemelle erano le più grandi, moderne e veloci motonavi cisterna italiane
della loro epoca: gioielli della cantieristica italiana, erano le “superpetroliere”
del tempo, e tra le navi cisterna più grandi al mondo al momento della loro
costruzione.
Breve e parziale cronologia.
23 gennaio 1938
Impostata nei
cantieri Ansaldo di Sestri Ponente, Genova (numero di costruzione 318).
La Giordani fotografata nella fase iniziale della costruzione, il 1° aprile 1938 (Fondazione Ansaldo) |
2 aprile 1938 (Fondazione Ansaldo) |
30 maggio 1938 (Fondazione Ansaldo) |
1° luglio 1938 (Fondazione Ansaldo) |
Altra foto del 1° luglio 1938 (Fondazione Ansaldo) |
La nave prende forma (Fondazione Ansaldo) |
Altre due
foto della Giordani in fase avanzata
di costruzione (Fondazione Ansaldo)
9 luglio 1939
Varata nei cantieri
Ansaldo di Sestri Ponente, madrina la signora Rina Giordani, vedova di Giulio
Giordani (sottotenente dei bersaglieri, decorato al valore e mutilato nella
Grande Guerra, ucciso nel 1920 durante la strage di Palazzo d’Accursio a
Bologna e considerato "martire fascista" sebbene esponente, in
realtà, del partito liberale).
Il varo (Fondazione Ansaldo) |
Tre foto
della Giordani appena varata
(Fondazione Ansaldo):
4 aprile 1940
Completata per l’Azienda
Generale Italiana Petroli (AGIP).
Durante le prove in mare nel Mar Ligure, marzo 1940 (g.c. Pietro Berti via www.naviearmatori.net) |
La Giordani al traverso di Punta Chiappa (Camogli) durante le prove a mare nel tratto Punta Vagno-Punta Chiappa (g.c. Nedo B. Gonzales via www.naviearmatori.net) |
Aprile/Maggio 1940
A guerra già in
corso, ma nel periodo di "non belligeranza" dell’Italia, la Giulio Giordani compie il suo viaggio
inaugurale, che la porta anche negli Stati Uniti (con scalo tra l’altro a
Houston, in Texas) e nel Golfo Persico. Rientrerà dal Golfo Persico in
Mediterraneo poco prima dell’entrata in guerra dell’Italia.
La nave a Houston durante il viaggio inaugurale (Houston Port Book, via www.portarchive.com) |
17 giugno 1940
La Giulio Giordani parte da Catania
all’1.20 della notte diretta a Taranto, con la scorta della torpediniera Simone Schiaffino.
A causa di un errore
di navigazione, durante la sera la petroliera entra inavvertitamente in uno dei
campi minati difensivi di Taranto, ed alle 21.40 urta una mina al largo di tale
porto, riportando gravi danni alla prua. Riesce comunque a raggiungere Taranto,
con l’assistenza dei rimorchiatori Lipari
e Miseno e del dragamine ausiliario R 96.
Nell’incidente trova
purtroppo la morte un membro dell’equipaggio della Giordani: il cuoco Augusto Rolla, 51 anni, di Lerici (La Spezia),
viene colpito alla testa da una carrucola nel tentativo di calare una
scialuppa; gettato in mare dall’urto, muore per annegamento. Il suo corpo verrà
trovato qualche giorno dopo su una spiaggia della costa pugliese: sarà il
figlio, arruolato nella Regia Marina (imbarcato sul cacciatorpediniere Lampo, che si trova proprio a Taranto),
ad identificare il corpo ed accompagnare il feretro nella nativa Lerici. Augusto
Rolla è il primo lericino morto nella seconda guerra mondiale.
Gennaio 1941
Un rapporto
informativo del War Cabinet britannico menziona l’incidente capitato alla Giordani nel giugno precedente,
aggiungendo che a causa dei danni la motocisterna è rimasta in bacino per due
mesi, e che in quel momento (gennaio 1941) si trova ancora a Taranto.
Altre tre immagini della
Giordani fotografata davanti al quartiere Carignano di Genova (Fondazione
Ansaldo):
2 ottobre 1941
Requisita a Porto
Marghera dalla Regia Marina, senza essere iscritta nel ruolo del naviglio
ausiliario dello Stato.
3 gennaio 1942
La Giulio Giordani, carica di carburante,
salpa da Taranto alle 15.06 insieme alla motonave da carico Monviso, con la scorta delle
torpediniere Orsa, Aretusa, Castore ed Antares nell’ambito
dell’operazione di rifornimento «M. 43». In tale operazione, Giordani, Monviso, Castore, Orsa, Aretusa ed Antares compongono
il convoglio numero 2; la «M. 43» prevede in tutto l’invio in Libia di cinque
grandi motonavi da carico ed una petroliera, tutte veloci (almeno 14 nodi) e di
recente costruzione, con una scorta poderosa: oltre alle siluranti di scorta di
ciascun convoglio, vi sono una forza di "scorta diretta incorporata nel
convoglio" (ammiraglio di squadra Carlo Bergamini, con il compito di
respingere eventuali attacchi di formazioni leggere di superficie come la Forza
K) composta dalla corazzata Duilio con
gli incrociatori leggeri Emanuele Filiberto
Duca d’Aosta, Raimondo
Montecuccoli, Muzio Attendolo e Giuseppe Garibaldi ed i
cacciatorpediniere Maestrale, Scirocco, Alfredo Oriani e Vincenzo Gioberti, ed un gruppo d’appoggio a distanza (ammiraglio di squadra
Angelo Iachino, con l’incarico di proteggere il convoglio da un eventuale
attacco in forze della Mediterranean Fleet) formato dalle corazzate Littorio, Giulio Cesare ed Andrea
Doria, dagli incrociatori
pesanti Trento e Gorizia e dai cacciatorpediniere Aviere, Geniere, Carabiniere, Alpino, Camicia Nera, Ascari, Antonio Pigafetta ed Antonio
Da Noli. Alla scorta aerea concorrono la Regia Aeronautica (Armata Aerea e
Ricognizione Marittima) e la Luftwaffe (II Corpo Aereo Tedesco e X Corpo Aereo
Tedesco, di base l’uno in Sicilia e l’altro in Grecia) per effettuare
ricognizione sul porto della Valletta (Malta) e nelle acque di Alessandria,
bombardamenti preventivi sugli aeroporti maltesi e scorta di caccia,
antiaerosilurante ed antisommergibile sui cieli del convoglio nonché a
protezione delle navi impegnate nello scarico una volta giunte a Tripoli.
Completa il dispositivo di difesa la dislocazione di undici sommergibili sulle
probabili rotte che una ipotetica forza navale nemica dovrebbe percorrere per attaccare
il convoglio.
4 gennaio 1942
Tra le 4 e le 11,
come previsto, il convoglio 2 si unisce ai convogli 1 (motonavi Monginevro, Lerici e Nino Bixio,
cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi, Nicoloso Da Recco, Antoniotto Usodimare, Bersagliere e Fuciliere) e 3 (motonave Gino Allegri, cacciatorpediniere Freccia, torpediniera Procione), partiti rispettivamente da
Messina e Brindisi; si forma così un unico grande convoglio, il cui caposcorta
è il contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone sul Vivaldi. La III Divisione Navale (Trento e Gorizia)
del gruppo d’appoggio viene avvistata da un ricognitore britannico; da Malta
decolla una formazione aerea per attaccare, ma deve rientrare senza essere
riuscita a trovare il convoglio. Al tramonto il gruppo «Duilio» s’incorpora
nella formazione del convoglio, che durante la notte mette la prua su Tripoli.
5 gennaio 1942
Il gruppo «Duilio»
lascia il convoglio, che giunge indenne a Tripoli alle 12.30 senza aver subito
alcun attacco.
Con l’operazione «M.
43» giungono in Libia 901 uomini, 520 veicoli, 144 carri armati, 15.379
tonnellate di carburante, 2417 tonnellate di munizioni e 10.242 tonnellate di
altri materiali.
La nave davanti a Genova (Fondazione Ansaldo) |
17 gennaio 1942
La Giordani lascia Tripoli alle 17 per
rientrare in Italia, scortata dai cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco
(caposcorta) ed Antoniotto Usodimare.
18 gennaio 1942
Durante la notte tra
il 17 ed il 18, a sud della Sicilia, il convoglietto viene soggetto a ripetuti
attacchi aerei, compreso uno da parte di cinque aerosiluranti britannici Fairey
Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm, decollati da Hal
Far (Malta), che ritengono di aver colpito la Giordani con un siluro, e probabilmente anche uno dei
cacciatorpediniere. In realtà, nessuna delle navi italiane subisce alcun danno;
anche gli Swordfish rientrano alla base senza perdite.
Giordani e scorta arrivano a Palermo alle 13.
21 febbraio 1942
Alle 13.30 del 21
febbraio la Giordani parte
da Corfù per Tripoli insieme alle motonavi da carico Lerici e Monviso, con la
scorta dei cacciatorpediniere Maestrale, Scirocco, Antonio Pigafetta (caposcorta,
capitano di vascello Mirti della Valle), Emanuele Pessagno ed Antoniotto Usodimare e della torpediniera Circe: si tratta del convoglio n. 2 (trasferitosi da Brindisi a
Corfù nelle ore precedenti) nell’ambito dell'operazione «K. 7», consistente
nell’invio in Libia di due convogli per totali sei mercantili (carichi
complessivamente di 29.517 tonnellate di materiali, 113 carri armati, 575
veicoli e 405 uomini), scortati da dieci cacciatorpediniere e due torpediniere.
I convogli fruiscono inoltre della scorta indiretta del gruppo «Gorizia»
(ammiraglio di divisione Angelo Parona; incrociatori pesanti Trento e Gorizia, incrociatore leggero Bande Nere, cacciatorpediniere Alpino, Oriani e Da Noli) e del gruppo «Duilio», formato
dall’omonima corazzata (ammiraglio di squadra Carlo Bergamini) insieme a
quattro cacciatorpediniere (Aviere, Geniere, Ascari e Camicia
Nera).
La Giordani ha nelle sue cisterne un carico
di 6939 tonnellate di benzina, 1087 tonnellate di gasolio, 1105 tonnellate di
nafta e 157 tonnellate di lubrificanti.
Sopra, il
carpentiere Nicolò Piccardo sulla passerella della Giulio Giordani, sulla quale fu imbarcato dal 27 maggio 1941 al 2
gennaio 1942. Imbarcato, all’inizio della guerra, sulla gemella Franco Martelli, sopravvisse al suo
affondamento in Atlantico ad opera del sommergibile HMS Urge, nel 1941, durante la traversata dal Brasile alla Francia;
rientrato in Italia, fu imbarcato sulla Giordani
dal maggio 1941 al gennaio 1942 e successivamente s’imbarcò sulla motonave Monginevro il 14 ottobre 1942. Morì due
mesi più tardi, quando la Monginevro
fu bombardata nel porto di Biserta. Sotto, il libretto di navigazione di Nicolò
Piccardo: libretto nuovo, in sostituzione di quello andato perduto sulla Martelli. Si ringrazia il nipote Paolo
Piccardo.
22 febbraio 1942
Intorno alle 12.45,
180 miglia ad est di Malta, il convoglio n. 2 si accoda – con una manovra
piuttosto lenta – al convoglio n. 1 (motonavi Monginevro, Unione, Ravello, cacciatorpediniere Vivaldi, Zeno, Malocello, Premuda e Strale, torpediniera Pallade),
salpato da Messina e che è già stato raggiunto dai gruppi «Gorizia» e «Duilio»
(quest’ultimo segue il resto delle navi italiane a breve distanza). La
formazione assume rotta 184° e velocità 14 nodi; sin dalla prima mattina (e
fino alle 19.45) volano sul suo cielo aerei tedeschi Junkers Ju 88 e
Messerschmitt Bf 110 decollati dalla Sicilia per la sua scorta.
Dalle prime ore del
mattino compaiono anche ricognitori britannici, che segnalano il convoglio agli
aerei di base a Malta; tra le 14 e le 16 si verifica un attacco aereo, che i
velivoli della Luftwaffe respingono, abbattendo tre degli aerei attaccanti ed
impedendo agli altri di portare a fondo l’attacco (tranne un Boeing B 17 che lancia
delle bombe di piccolo calibro contro la Duilio, senza colpirla). Quando l’ammiraglio Bergamini chiede altri
aerei mediante il collegamento radio diretto, la richiesta viene prontamente
soddisfatta.
La sera del 22, in
base agli ordini ricevuti, il gruppo «Duilio» lascia i convogli, che proseguono
con la scorta diretta ed il gruppo «Gorizia».
Nella notte seguente
il convoglio, che è rimasto diviso in due gruppi (cioè i convogli 1 e 2, che
procedono uno dietro l’altro ma separati), viene più volte sorvolato da dei
bengalieri nemici (tra le 00.30 e le 5.30 del 23 dei bengala si accendono sul
cielo dei convogli), ma non subisce danni, grazie alle manovre ed all’emissione
di cortine fumogene.
La Giordani in una foto che la mostra alta sull’acqua, apparentemente scarica (g.c. Letterio Tomasello via www.shipspotting.com) |
23 febbraio 1942
Poco dopo le otto del
mattino sopraggiungono due torpediniere inviate da Marilibia in rinforzo alla
scorta, cui l’ammiraglio Parona ordina di unirsi al gruppo «Vivaldi». La
foschia impedisce ai due convogli, distanti solo 8-9 miglia, di vedersi, ed
alla scorta aerea della Luftwaffe di trovare le navi; le trovano invece, ma
solo quelle del gruppo «Gorizia», i caccia italiani FIAT CR. 42 inviati
anch’essi per la scorta.
Alle 10.14 del
mattino, una novantina di miglia ad est di Tripoli ed al largo di Capo
Misurata, la Circe localizza
con l’ecogoniometro il sommergibile britannico P 38, che sta tentando di attaccare il convoglio (poco dopo ne
viene avvistato anche il periscopio, che però subito scompare poiché il
sommergibile, capendo di essere stato individuato, s’immerge a profondità
maggiore), e, dopo aver ordinato al convoglio di virare a dritta, alle 10.32 lo
bombarda con bombe di profondità, arrecandogli gravi danni. Subito dopo
il P 38 affiora in
superficie, per poi riaffondare subito: a questo punto si uniscono alla caccia
anche l’Usodimare ed il Pessagno, che gettano altre cariche di
profondità, e, insieme ad aerei della scorta, mitragliano il sommergibile.
L’attacco è tanto violento e confuso che un marinaio, su una delle navi
italiane, rimane ucciso dal tiro delle mitragliere, e la Circe deve richiamare le altre
unità al loro posto per poter proseguire nella sua azione. Dopo questi
ulteriori attacchi, la Circe effettua
un nuovo attacco con bombe di profondità, ed alle 10.40 il sommergibile affiora
di nuovo con la poppa, fortemente appruato, le eliche che girano all’impazzata
ed i timoni orientati a salire, per poi affondare di prua con l’intero
equipaggio in posizione 32°48’ N e 14°58’ E. Un’ampia chiazza di carburante,
rottami e resti umani marcano la tomba dell’unità britannica.
Contemporaneamente,
anche un altro sommergibile britannico, il P
39 (tenente di vascello Norman Marriott) si avvicina per attaccare, ma la
reazione della scorta ai danni del P 38
(che Marriott crede sia diretta contro il suo sommergibile) lo induce ad
abbandonare l’attacco.
Nel frattempo, alle
10.30, lo Scirocco (come
stabilito in precedenza) lascia la scorta del convoglio numero 2 e si aggrega
al gruppo «Gorizia», che, essendo ormai il convoglio vicino a Tripoli, e non
presentandosi più rischi di attacchi di navi di superficie, si avvia sulla
rotta di rientro.
I convogli giungono
indenni a Tripoli tra le 16 e le 16.40 del 23.
8 marzo 1942
La Giordani lascia Tripoli alle 21,
insieme ad Unione, Lerici e Ravello, per rientrare in Italia con la scorta del
cacciatorpediniere Strale e
delle torpediniere Cigno e Procione. Unione e Ravello trasportano
prigionieri di guerra, la Lerici un
gruppo di "indesiderabili" in Libia.
La Giordani con colorazione mimetica, nell’agosto 1942 (USMM) |
9 marzo 1942
Alle 7.30 il
convoglio s’incontra con un altro proveniente dall’Italia e diretto a Tripoli,
nell’ambito dell’operazione «V. 5»; i cacciatorpediniere Scirocco ed Antonio Pigafetta, appartenenti alla scorta di quest’ultimo, lo lasciano e
si uniscono alla scorta del convoglio della Giordani (il Pigafetta,
capitano di vascello Enrico Mirti della Valle, ne diviene anzi il caposcorta).
Il convoglio gode inoltre dell’appoggio del gruppo di scorta «Garibaldi»
(incrociatori leggeri Giuseppe
Garibaldi – nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Raffaele De
Courten, comandante superiore in mare –, Eugenio di Savoia e Raimondo
Montecuccoli, cacciatorpediniere Aviere, Geniere, Oriani ed Ascari).
In mattinata
l’ammiraglio De Courten, avendo intercettato comunicazioni di aerei britannici
che seguono la formazione italiana e ne riportano la presenza (il convoglio è
stato avvistato da un ricognitore Martin Maryland del 69th Squadron
RAF, circa 200 miglia a sudest di Malta), ordina che il convoglio ed il gruppo
di scorta compiano una deviazione verso est, per allontanarsi da Malta, da dove
si presume che arriveranno gli attacchi aerei.
Ciononostante, tra le
16.40 e le 17.20 (170 miglia a nordest di Tripoli), mentre la scorta aerea è
più ridotta (tre bombardieri Junkers Ju 88 ed un caccia bimotore Messerschmitt
Bf 110 della Luftwaffe), il convoglio viene attaccato da otto aerosiluranti
Bristol Beaufort del 39th Squadron RAF (li guida il capitano C.
S. Taylor), che De Courten ritiene correttamente provenire dalla Marmarica
(sono decollati dalla base di Bu Amud). In realtà il loro obiettivo non è il
convoglio della Giordani, bensì
quello incontrato qualche ora prima e diretto in Libia: hanno attaccato il
convoglio sbagliato. Non è neanche l’unica cosa andata storta nei piani dei
britannici, dal momento che i Beaufort non hanno trovato la prevista scorta di
caccia Bristol Beaufighter, e sono dovuti proseguire da soli. Uno degli
aerosiluranti lancia contro il mercantile di maggior dimensioni, gli altri
contro le navi della scorta; nessuna viene colpita, ed i Beaufort, superato
indenni il tiro contraereo delle navi, si allontanano inseguiti dalla scorta
aerea tedesca. Uno degli aerosiluranti viene leggermente danneggiato da
quest’ultima, mentre da parte britannica si rivendica l’abbattimento di uno Ju
88 ed il danneggiamento del Messerschmitt.
Durante la notte, il
gruppo di scorta s’incorpora nel convoglio; per tutta la notte le navi sono
sorvolate da bengalieri che chiamano più volte altri aerei all’attacco, ma non
ci sono conseguenze (un primo gruppo di aerei non trova le navi; del secondo,
venti bombardieri Vickers Wellington decollano per attaccare il convoglio, ma
solo in tre riescono a trovarlo, e le loro bombe mancano le navi).
10 marzo 1942
Di nuovo il convoglio
è tallonato da ricognitori. Da Alessandria, in seguito all’errata notizia che
un incrociatore italiano sarebbe stato colpito durante gli attacchi di Beaufort
del pomeriggio precedente, prende il mare una formazione al comando del
viceammiraglio Philip Vian, per intercettarlo; naturalmente non troveranno
nulla e l’indomani, durante il ritorno, l’incrociatore leggero Naiad, nave ammiraglia di Vian, sarà
affondata dal sommergibile tedesco U
565, con la perdita di 82 uomini.
Alle 17.30 la scorta
è rinforzata dall’arrivo della torpediniera Aretusa.
11 marzo 1942
Il convoglio si
divide in due gruppi. Giordani, Lerici, Ravello, Cigno, Aretusa, Pigafetta e Scirocco
giungono a Taranto alle tre di notte, precedute di poco dal gruppo scorta di De
Courten, mentre le altre navi raggiungono Brindisi.
La Giordani fotografata a Taranto il 3 agosto 1942 (g.c. Letterio Tomasello via www.shipspotting.com) |
L’ultima petroliera per Tripoli
Nel corso
dell’ottobre 1942, in preparazione della controffensiva che avrebbe portato
alla seconda battaglia di El Alamein, le forze aeronavali britanniche nel
Mediterraneo presero a bersagliare con crescente intensità le navi cisterna,
per privare l’armata italo-tedesca in Nordafrica della sua risorsa più importante:
il carburante.
Fu dunque un
crescendo di attacchi, sempre più frequenti e mirati, che sovente colsero il
loro obiettivo: su sei navi cisterna salpate nel mese di ottobre alla volta
della Libia, soltanto la metà arrivarono a destinazione, due intatte (Saturno a Tripoli il 20 ottobre, Portofino a Bengasi il 4 novembre) ed
una danneggiata (Alfredo a Tobruk, il
25 ottobre); delle altre tre, due furono affondate ed una fu danneggiata
gravemente e costretta a tornare in porto. Contemporaneamente, altre due navi
cisterna di cui era previsto l’invio in Libia vennero affondate in altre zone
del Mediterraneo, ed una di ritorno scarica fu gravemente danneggiata,
riducendo notevolmente la disponibilità di questo importante tipo di nave.
Il 2 ottobre venne
silurata e danneggiata gravemente la motocisterna Rondine, che rientrava scarica da Tobruk al Pireo; il 13 ottobre
venne affondata al largo della Sardegna la Nautilus,
del quale era programmato l’invio in Libia; il 18 ottobre fu silurata e
gravemente danneggiata la motonave cisterna Panuco,
che dovette interrompere la sua traversata da Messina a Tripoli; il 24 ottobre
venne danneggiata in modo non grave la piccola Alfredo, che riuscì egualmente a raggiungere Tobruk; il 26 ottobre
vennero affondate contemporaneamente le navi cisterna Proserpina (in navigazione da Taranto a Tobruk) ed Arca (proveniente dal Mar Nero e diretta
verso sud); il 29 ottobre fu colata a picco la pirocisterna Luisiano, in navigazione da Taranto a
Tobruk.
Il 29 ottobre, dopo
questo ultimo affondamento, il capo di Stato Maggiore generale delle forze
armate italiane, maresciallo Ugo Cavallero, scrisse nel suo Diario: «Abbiamo perduto anche la cisterna Luisiano.
Telefono a Riccardi [l’ammiraglio di squadra Arturo Riccardi, capo di Stato
Maggiore della Regia Marina] di
orientarsi sulla cisterna Giordani e di inviarla in Africa colla forza della
disperazione. (…) Convoco Calzavara [Luigi,
tenente colonnello del Genio]: approntamento
del Giordani. Risulta che non occorrono 8 giorni per sgrassare le macchine,
come aveva asserito Riccardi. Ricevo il generale De Vito [Eugenio, tenente
generale del Genio Navale]: colloquio
dell’altro ieri con Goering a proposito dei sommergibili da trasporto e
decisione del Duce di costruirne (…) Occorre
insistere molto per ottenere dalla Marina quello che si chiede. La perdita del
Luisiana non rende ancora la situazione del tutto disperata, ma bisogna che
arrivino il Portofino e poi il Giordani. Potremmo ancora perdere il Portofino
ma se non arrivasse il Giordani la cosa sarebbe veramente molto grave. (…) Mi reco a conferire con il Duce. Presiedo la
consueta riunione sui trasporti. Il Barletta è già in moto. I dieci
sommergibili di linea sono pronti sin da ieri sera per caricare munizioni. Il Giordani
potrà partire al posto di una motonave nel convoglio del giorno 3 [novembre]
(…)».
Pochi giorni dopo
questa decisione, il 6 novembre, alla lista delle petroliere perdute andò ad
aggiungersi anche la Portofino: dopo
essere riuscita a raggiungere Bengasi senza un graffio, scampando a ripetuti
attacchi aerei, venne affondata in porto da un bombardamento. Arrivarono invece
in Libia due piccole cisterne di poche centinaia di tsl, l’Irma (a Tobruk il 3 novembre) e l’Abruzzi (a Tripoli l’8 novembre); ma i loro carichi assommavano a poche
centinaia di tonnellate, una goccia nell’oceano delle esigenze delle forze
italo-tedesche. Come se non bastasse, l’arrivo in porto del carburante non
garantiva che esso arrivasse effettivamente a chi ne abbisognava: di 5000
tonnellate di carburante che si riuscì a recapitare a Bengasi in quel periodo,
2000 andarono distrutte in conseguenza degli attacchi aerei britannici su quel
porto, e la consegna delle restanti 3000 tonnellate alle divisioni italiane e
tedesche fu ostacolata dalle continue incursioni della RAF contro i trasporti
via terra.
Parallelamente alla
perdita di tante petroliere, scarseggiava anche il carburante da inviare in
Africa: tanto che, a dispetto delle ottimistiche previsioni di Cavallero
(partenza della Giordani entro il 3
novembre), dovettero passare più di due settimane tra la richiesta di Cavallero
all’ammiraglio Riccardi e la partenza per la Libia della Giulio Giordani, per il semplice motivo che prima non vi era nafta
disponibile da mandare in Libia.
La Giordani camuffata da nave da carico (g.c. Letterio Tomasello via www.naviearmatori.net) |
La Giulio Giordani partì da Taranto per
Tripoli alle 22.15 del 15 novembre 1942, trasportando un carico di 7400
tonnellate di carburante e 35 tonnellate di lubrificanti. L’equipaggio civile
era composto da 37 uomini, ma oltre a loro c’erano a bordo ben 104 militari tra
italiani e tedeschi, in parte addetti all’armamento contraereo ed in parte
imbarcati di passaggio, diretti in Africa Settentrionale. Comandante civile
della Giordani era il capitano
Fortunato Pratovich, comandante militare il capitano di corvetta Antonio
Biondo.
Come scrive lo
storico Giorgio Giorgerini nel suo libro "La guerra italiana sul
mare", «quella nave e quel carico erano tutto quello che l’Italia poteva
inviare con immediatezza».
L’armamento difensivo
della Giordani consisteva in un
cannone da 100 mm (collocato a poppa) e cinque mitragliere contraeree da 20 mm;
in aggiunta a ciò, quale difesa passiva contro gli attacchi aerei, la
petroliera era stata dotata per l’occasione di un pallone frenato, che
rimorchiava tenendolo ad una quota di 100 metri. Inoltre, per cercare di
renderla meno riconoscibile, la nave era stata dotata di un finto fumaiolo a
centro nave (come le navi da carico), mentre il vero fumaiolo, a poppa
(rivelatore della sua natura di nave cisterna), era stato abbassato e
completamente occultato con una tuga posticcia costruita sopra di esso; erano
state realizzate delle false sovrastrutture e l’aspetto della nave fu
modificato qua e là nel tentativo di farla sembrare un comune piroscafo da
carico anziché una preziosa petroliera.
La scorta era costituita
da due cacciatorpediniere, il Bersagliere
(caposcorta, capitano di fregata Anselmo Lazzarini) ed il Granatiere (capitano di fregata Giuseppe Gregorio). Forse un po’
troppo poco, considerata l’importanza della nave (una delle più grandi e
moderne petroliere della Marina Mercantile italiana) e del suo carico: come
rileva giustamente Giorgerini, in passato si erano assegnate scorte ben più
consistenti a singole navi mercantili, in situazioni di molto minore criticità
dello scacchiere terrestre nordafricano. Si disse che in quel momento non
c’erano altre navi scorta disponibili (il che in effetti sembra essere confermato
dal fatto che diverse navi mercantili, soprattutto tra quelle adibite al
cabotaggio libico, navigarono in quei giorni senza alcuna scorta), ma data la
vitale importanza di quel carico di carburante (l’ultimo che si poteva mandare
in Libia), sarebbe stato forse il caso di rimandare la partenza di qualche
altra nave meno importante, o di privarla della sua scorta, per rinforzare
quella della Giordani. Così non fu.
L’allora capitano di
vascello Aldo Cocchia, nel suo libro di memorie "Convogli" scritto
nel 1944, afferma invece che l’esiguità della scorta assegnata alla Giordani fosse voluta, per il preciso
scopo di non dare nell’occhio: una scorta più numerosa, infatti, avrebbe potuto
attirare l’attenzione e far intuire ai britannici che si trattava di una nave
importante, mentre due soli cacciatorpediniere di scorta, insieme al
camuffamento della Giordani da nave
da carico, sarebbero serviti ad ingannare il nemico e far credere che si
trattasse di un piroscafo qualsiasi. Una spiegazione interessante, che però non
sembra trovare conferma nella storiografia ufficiale dell’U.S.M.M. né in
qualsiasi altra fonte.
Al momento della
partenza della Giordani erano in mare
altri due convogli dall’Italia verso la Libia – la motonave D’Annunzio in navigazione da Patrasso a
Tripoli con la scorta delle torpediniere Lupo
e Fortunale, ed il piroscafo Sirio in navigazione da Napoli a Tripoli
col cacciatorpediniere Freccia (poi
sostituito nella scorta dalle torpediniere Ardito
e Castelfidardo) – e ben cinque tra
convoglietti e navi isolate in movimento lungo la costa libica verso Tripoli:
piroscafo Emilio Morandi e
torpediniera Giacomo Medici, da
Bengasi; piroscafi Sibilla e Volta, separatamente e senza scorta, da
Bengasi; motonave Foscolo e
torpediniera Aretusa, da Bengasi; cisterna
militare Tanaro, senza scorta, da
Bengasi; la piccola cisterna Ennio,
senza scorta, da Bengasi, ed un’altra minuscola cisterna, la Tevere, anch’essa senza scorta, da
Tobruk. Inoltre, erano in navigazione di ritorno da Bengasi e Tripoli verso
l’Italia rispettivamente uno e tre convogli; altri due convogli erano in
navigazione dall’Italia verso la Tunisia; e tra Italia e Nord Africa erano in mare
anche dieci motovelieri, divisi in cinque convogli.
Tra tutto questo
traffico navale, le forze aeree britanniche tralasciarono tanti bersagli facili
(le diverse navi mercantili che navigavano del tutto indifese, per
indisponibilità di un sufficiente numero di navi scorta) e presero di mira
proprio la Giordani, che col suo
carico era di gran lunga la più importante tra le decine di bastimenti di ogni
tipo in navigazione nel Mediterraneo Centrale. Ciò non per caso: il 16
novembre, infatti, l’organizzazione "ULTRA" intercettò e decifrò dei
messaggi italiani dai quali i decrittatori britannici poterono scoprire che «La
petroliera Giordani ha lasciato
Taranto alle 22.00 del 15, velocità 13 nodi, e dovrà giungere a Tripoli alle
08.00 del 18 novembre». Di conseguenza, vennero organizzati degli attacchi
aerei con il fine di impedire che la nave con il suo prezioso carico potesse
arrivare a destinazione.
Il convoglio composto
da Giordani, Granatiere e Bersagliere
procedeva verso Tripoli a 13 nodi di velocità; la petroliera godeva anche di
una consistente scorta aerea, ma questo, come al solito, soltanto nelle ore
diurne.
I movimenti della Giordani vennero tenuti sotto
osservazione dai britannici, che nel pomeriggio del 17 lanciarono contro di
essa ripetuti attacchi aerei.
Alle 21.35 del 17
novembre, mentre il piccolo convoglio era a nord di Misurata, con la prua su
Tripoli, l’accensione di bengala nel cielo segnalò l’inizio di un attacco aereo
britannico. Sia la Giordani che i
cacciatorpediniere aprirono un furioso tiro contraereo con il loro armamento,
ma ciò non arrestò gli aerosiluranti, che portarono a fondo ripetuti attacchi
con grande determinazione, decisi a distruggere un obiettivo tanto importante. Granatiere e Bersagliere emisero una fitta cortina nebbiogena nel tentativo di
occultare la Giordani, ma nemmeno
questo fu sufficiente: alle 22 circa, in posizione 32°02’ N e 15°25’ E, un
primo siluro d’aereo colpì la petroliera a prua, sul lato di dritta.
La motocisterna
manovrò per cercare di evitare altri siluri (per altra versione, probabilmente
erronea, sarebbe stata immobilizzata dal primo siluro), mentre i
cacciatorpediniere si affannavano a nasconderla con cortine nebbiogene; ma poco
dopo – circa cinque minuti dopo l’impatto del primo siluro – venne colpita da
un secondo siluro, sempre sul lato di dritta, stavolta a centro nave. Subito
dopo essere stata colpita dal secondo siluro, la Giordani s’incendiò.
Il marinaio fuochista
Giuseppe Bonaccorso, all’epoca imbarcato sul Bersagliere, avrebbe in seguito ricordato che sulla Giordani erano state imbarcate delle
mitragliere aggiuntive armate da personale tedesco (ciò spiegherebbe la
presenza a bordo della petroliera di decine di militari tedeschi) per
rinforzarne l’armamento contraereo, dal momento che da parte tedesca si
diffidava della capacità, da parte italiana, di difendere adeguatamente la
nave. Al momento dell’attacco, nel ricordo di Bonaccorso, queste mitragliere
aprirono il fuoco contro gli aerei attaccanti, ma il loro tiro colpì invece il
pallone frenato, incendiandolo ed illuminando a giorno l’area circostante,
finendo così con l’agevolare la mira ai piloti nemici.
Da fonti britanniche
risulta che Giordani e scorta vennero
avvistate a 46 miglia da Homs (Libia), e che a seguito di tale avvistamento
decollarono da Malta per attaccare la cisterna un bimotore Vickers Wellington
"speciale" del 69th Squadron della Royal Air Force e due
aerosiluranti Fairey Albacore della Fleet Air Arm. (Altra fonte, non
controllabile e di dubbia affidabilità, parla invece di aerosiluranti Bristol
Beaufort, sempre provenienti da Malta). I tre aerei avvistarono il piccolo
convoglio alle 21.55, a 35 miglia per 050° da Homs; il Wellington lanciò quindi
tre bengala per illuminare il bersaglio, dopo di che gli Albacore attaccarono
da dritta e da sinistra, sganciando un siluro ciascuno.
Entrambe le armi
andarono a segno (a centro nave, secondo la stima dei britannici), dopo di che
i piloti osservarono "una devastante esplosione ed una fiammata arancione
che diede origine ad un violento incendio. A ciò seguirono un lampo rosso vivo
a centro nave ed un’altra enorme esplosione". In breve la Giordani fu in fiamme da prora a poppa,
un incendio tanto colossale da risultare visibile da una distanza di 80 miglia.
Sia il Wellington che i due Albacore rientrarono a Malta senza danni.
Alle 22.21 il Bersagliere dovette comunicare a
Supermarina la ferale notizia: «Petroliera colpita sta affondando, rimango zona
per ricuperare naufraghi fino all’alba». Nella risposta di Supermarina, al di
là dei toni formali delle comunicazioni di questo tipo, si leggeva tutta la
disperazione di quel momento: «Tentate con ogni mezzo salvataggio petroliera
alt Se affonda, ultimato recupero naufraghi, dirigete Messina per rotta levante
aut ponente secondo condizioni mare alt Nessuna possibilità rifornimento
Tripoli».
Nulla si poté fare
per salvare la Giordani: l’incendio divenne
subito incontenibile e si propagò rapidamente al resto del carico di oltre
settemila tonnellate di benzina, costringendo l’equipaggio ad abbandonare la
nave.
Il mare ed il vento
da maestrale ostacolarono anche il salvataggio dei naufraghi della Giordani; alle 2.20 del 18, per giunta,
una scia di siluro passò a poppavia del Bersagliere,
costringendo i due cacciatorpediniere ad interrompere temporaneamente i
soccorsi e dare immediatamente la caccia al sommergibile che l’aveva lanciato,
riprendendo il salvataggio all’alba.
Alla fine, su 141
uomini imbarcati sulla petroliera il Bersagliere
recuperò 69 sopravvissuti (24 membri dell’equipaggio, 4 militari della Regia
Marina di passaggio, altri 3 militari italiani e 38 tedeschi), ed il Granatiere 36 (14 italiani, tra cui i
comandanti civile e militare Pratovich e Biondo, e 22 tedeschi, uno dei quali
morì successivamente). Le vittime furono 39, compresi alcuni feriti deceduti
dopo il salvataggio.
Ultimato il recupero
dei naufraghi, Granatiere e Bersagliere fecero rotta per Messina
lungo la rotta di levante, giungendo nel porto siciliano nelle prime ore del 19
novembre.
La Giordani bruciò per tutta la notte,
finché all’alba del 18 novembre venne scossa da un’ultima violenta esplosione e
s’inabissò 45 miglia a nord-nord-est di Misurata. Questo secondo il volume
U.S.M.M. "La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale dal 1°
ottobre 1942 alla caduta della Tunisia", che attribuisce tale esplosione
allo scoppio di parte del carico, mentre invece "Navi mercantili
perdute" (anch’esso dell’U.S.M.M.) riferisce che "Alle ore 08.00 del
mattino del 18 il relitto era ancora in fiamme sul mare", dunque
l’affondamento sarebbe avvenuto più tardi. In effetti, sembra che in realtà il
relitto della Giordani, completamente
consumato dall’incendio, sia rimasto a galla fino alle prime ore del 19
novembre, quando venne finito dai siluri del sommergibile britannico Porpoise (tenente di vascello Leslie
William Abel Bennington).
Questi era in zona
fin dalla sera del 17 novembre: avendo avvistato, alle 21.40 di quel giorno,
dei bengala verso est (erano quelli lanciati dagli aerei britannici all’inizio
dell’attacco contro la Giordani), il Porpoise aveva accelerato ed assunto
dapprima rotta 090° e poi (21.50) 105° per avvicinarsi alla zona in cui si
trovavano i bengala, e vedere cosa ci fosse. Subito prima delle 22 Bennington
aveva osservato una violenta esplosione, seguita da una seconda dopo qualche
minuto; aveva continuato ad avvicinarsi ad elevata velocità ed alle 2.10 del 18
aveva avvistato una nave in fiamme, che alle 2.25 aveva identificato come una
grande e moderna nave cisterna, in fiamme da prora a poppa e sbandata di circa 15
gradi sulla sinistra. A centro nave, sul lato sinistro, il comandante
britannico aveva osservato un enorme squarcio. Visto lo stato in cui la
petroliera era ridotta, Bennington aveva concluso che questa fosse ormai
irrecuperabile e che le unità della scorta (che non erano visibili) avrebbero
dovuto darle il colpo di grazia, pertanto alle 2.35 aveva assunto rotta per
tornare nella sua area d’agguato, senza sprecare siluri per un bersaglio già
spacciato.
Alle 3.23 del 19
novembre, tuttavia, il Porpoise avvistò
una luce tremolante a proravia sinistra, ed assunse rotta 360° per portarsi al
largo rispetto ad essa, ed avvicinarsi; dopo aver accostato per 030° (alle
4.13) e qualche minuto dopo per 070°, Bennington si accorse che la luce era
quella di un piccolo incendio, ed alle cinque del mattino avvistò una grossa
nave con un piccolo incendio a poppa. Avvicinatosi a tutta forza, si rese
presto conto che la nave era la stessa petroliera che aveva visto in fiamme
ventiquattr’ore prima; galleggiava in assetto di navigazione, visibilmente
appruata (la prua era più bassa sull’acqua di circa due metri), e stranamente
lo squarcio visto nel lato sinistro la notte precedente sembrava sparito
(appare qui verosimile che esso non fosse più visibile perché finito sott’acqua
con il graduale affondamento della nave). Questa volta il comandante britannico
decise di spendere un siluro per finire la cisterna; alle 5.46 il Porpoise lanciò dunque un siluro che
colpì la nave a proravia della plancia, scatenando un nuovo, violento incendio.
Circa cinque minuti più tardi, l’intera petroliera eruppe in un’enorme
conflagrazione; alle 6.08 il Porpoise
s’immerse in posizione 32°43’ N e 15°46’ E, continuando ad osservare il suo
bersaglio divorato dalle fiamme. Alle 6.24 del 19 novembre, infine, la Giulio Giordani pose fine alla sua
lunghissima agonia scivolando per sempre sotto le onde, nel punto 32°58’ N e
15°38’ E (circa 45 miglia a nordest di Misurata).
La Giulio Giordani fu l’ultima nave
cisterna a tentare di raggiungere Tripoli. Dopo, e fino alla caduta di quella
città avvenuta il 23 gennaio 1943, non fu più possibile inviare altre
petroliere nell’ultimo porto rimasto in Libia.
Caduti tra l’equipaggio civile della Giulio Giordani:
(nominativi
tratti dall’Albo d’Oro della Marina Mercantile – si ringrazia Carlo Di Nitto
per la ricerca)
Sergio Amato, sguattero, da Molfetta (Bari)
Leonardo Castagneto, operaio, da Porto
Maurizio (Imperia)
Salvatore Comisso, cameriere, da Trieste
Pasquale Mezzina, marinaio, da Molfetta (Bari)
Sebastiano Salmeri, operaio meccanico, da
Milazzo (Messina)
Caduti tra l’equipaggio militare della Giulio Giordani:
Bruno Ballarini, sergente cannoniere, da
Ancona, disperso
Gastone Belardi, sergente cannoniere, da
Terni, disperso
Enrico Boldrini, sergente meccanico, disperso
Arnaldo Capriotti, sergente cannoniere, da
Giulianova (Teramo), disperso
Francesco Cirillo, marinaio, da Torre
Annunziata (Napoli), disperso
Gaetano Ferraro, secondo capo
radiotelegrafista, da Roma, disperso
Agatino Gangi, marinaio, da Catania, disperso
Agrippino Mandrà, marinaio cannoniere, da
Mineo (Catania), disperso
Giovanni Puzone, sottocapo segnalatore, da
Napoli, disperso
L’affondamento della Giordani nel giornale di bordo del Porpoise (da Uboat.net):
“17 November 1942
2140 hours - Sighted aircraft flares to the eastward. Altered course to 090°
and increased speed.
2150 hours - Altered
course to 105°. Flares now appeared much closer and now appeared right ahead of
Porpoise. Just before 2200 hours a
large explosion was seen and another one followed a few minutes later.
Continued to close at speed.
18 November 1942
0210 hours - Sighted a burning ship ahead.
0225 hours -
Identified the target as a large modern tanker that was on fire from stem to
stern and was listing about 15° to port. There appeared to be an enormous gash
in the hull, port side amidships. No escorts were seen in the area. The tanker
was in a bad shape and it was thought the Italians would have to finish her off
as she appeared beyond salvage.
0235 hours - Set
course to return to our patrol area.
19 November 1942
0323 hours - Sighted a flickering light on the port bow. Altered course to 360°
to get to the seaward of it.
0413 hours - Altered
course to 030° and a few minutes later to 070°. At about this time it was
discovered that the light was a small fire.
0500 hours - Sighted
a large ship with a small fire burning aft. Closed at full speed. The ship was
soon identified as the same tanker seen the previous night. She was floating
upright. no trace could be seen of the rent in the port side. The tanker
appeared to be 6 feet down by the bow. Decided to finish her off.
0546 hours - Fired
one torpedo at the tanker. The torpedo hit forward of the bridge and started a
large fire. After about 5 minutes th whole ship burst into one huge conflagration.
0608 hours - Dived in
position 32°43'N, 15°46'E. The tanker was seen to sink at 0624 hours.”
Un'altra foto della Giulio Giordani a Genova nel 1940 (g.c. Pietro Berti via www.naviearmatori.net) |
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