Il Loreto (da www.regionesicilia.it) |
Piroscafo da carico
di 1055 tsl, 541 tsn e 1300 tpl, lungo 67,90-70,6 metri, largo 10,20 e pescante
4,88, con velocità di 10,5-11 nodi. Appartenente all’armatore napoletano
Achille Lauro ed iscritto con matricola 390 al Compartimento Marittimo di
Napoli; nominativo di chiamata IPOK.
Breve e parziale cronologia.
25 gennaio 1912
Varato come francese Astrée (numero di cantiere 268) nel
cantiere South Dock della Sunderland Shipbuilding Company di Sunderland (Regno
Unito).
Febbraio 1912
Completato come nave
carboniera Astrée per la Société
Navale Caennaise (armatori Gaston Lamy & Cie.) con sede a Caen. Caratteristiche
originarie 1069 tsl, 427 tsn e 1480 tpl.
20 novembre 1915
Requisito a Caen,
entra in servizio per la Marine Nationale (la Marina francese) come nave
ausiliaria Astrée I. Armato con un
cannone da 47 mm.
2 dicembre 1916
L’Astrée, in navigazione a 8 nodi da
Glasgow a Lorient con un carico di carbone, al comando del capitano Honoré
Moizan, avvista alle 10.20, in posizione 50°55’ N e 08°58’ O, un piroscafo
sotto attacco da parte di un U-Boot, che lo sta cannoneggiando da circa 500
metri di distanza. Si tratta del piroscafo britannico Harpalus, in navigazione da Penarth a Nantes con un carico di
carbone, e del sommergibile tedesco U 33
(tenente di vascello Heinz Ziemer).
Subito dopo
l’avvistamento, l’Astrée vira a
dritta in modo da dare la poppa all’U-Boot, mentre viene ordinato il post di
combattimento; le macchine sono spinte al massimo per sottrarsi al pericolo, ed
il denso fumo generato dalla combustione del carbone caricato a Glasgow occulta
sia l’Harpalus (che finirà con
l’essere affondato dal sommergibile) che l’U
33, i quali vengono così persi di vista.
L’Astrée si dirige verso Queenstown per
riferire dell’accaduto; incontrati due piropescherecci armati, li informa
dell’attacco, dopo di che prosegue a zig zag nella navigazione verso Lorient,
dove giunge il giorno seguente.
31 marzo 1917
Derequisito e radiato
dai quadri della Marine Nationale.
Settembre 1917
Affonda a seguito di
una collisione con il piroscafo norvegese Dageide.
Successivamente recuperato e riparato.
10 marzo 1918
L’Astrée (al comando del capitano P. Le
Bihan) salpa da Cardiff diretto a Cherbourg, con un carico di carbone
bituminoso e merci varie per il Governo francese. Navigando a zig zag lungo la
costa, alle 12.18 viene ricevuto per radio il messaggio «Germaine silurato»; viene subito ordinato il posto di
combattimento, ed alle 12.30 si comunica con il piroscafo Radium, che informa l’Astrée
della presenza di un sommergibile al largo di Trevose Head, in Cornovaglia (ed
a circa un miglio dalla costa nei pressi di Padstow). Alle 13.30 l’Astrée avvista la scia di un
sommergibile immerso a 45° a dritta, in posizione 50°35’ N e 05°00’ O;
l’equipaggio apre subito il fuoco con i due cannoni in dotazione (per primo
quello di poppa, con alzo 1500 metri), mentre le macchine vengono portate
sull’avanti tutta. I primi colpi sparati cadono lunghi, ma il terzo ed il
quarto sembrano andare a segno; il periscopio dell’U-Boot viene visto per un
po’, dopo di che sparisce, ed altri colpi vengono sparati nella scia.
Nondimeno, il sommergibile continua a guadagnare terreno; la scia scompare dopo
una decina di minuti, ma riappare a 140° a sinistra, venendo nuovamente fatto
oggetto del tiro dei cannoni di bordo (ora con alzo 700 metri). Dopo tre
cannonate, il sommergibile scompare, e viene cessato il tiro.
Per cercare di
ostacolare eventuali lanci di siluri, la nave mette prima tutta la barra a
sinistra, poi a dritta. Alle 14, sparita ogni traccia del sommergibile, il
piroscafo cessa il fuoco e prosegue per la sua rotta zigzagando, mantenendo
però l’equipaggio ai posti di combattimento. Sono stati sparati in tutto venti
colpi di cannone: otto dal pezzo di prua e dodici da quello di poppa.
Il sommergibile
avvistato era quasi certamente l’U 110
(capitano di corvetta Carl Albrecht Kroll), che aveva appena silurato ed
affondato il piroscafo francese Germaine.
1° ottobre 1932 o 1933
Venduto all’armatore Giovanni
Longobardo & C. di Napoli, registrato a Napoli e ribattezzato Loreto.
1935
Venduto all’armatore
Giuseppe Parisi, sempre di Napoli.
1937
Venduto all’armatore
Achille Lauro di Napoli.
6 luglio 1934
Il Loreto viene coinvolto in un sinistro al
largo di Gallipoli, durante la navigazione da Ravenna a Gallipoli.
20 novembre 1934
Coinvolto in un altro
incidente nelle acque di Gallipoli, mentre è in navigazione sulla rotta
Ravenna-Lissa-Brindisi-Otranto-Gallipoli.
6 marzo 1941
Il Loreto, con a bordo 572 tonnellate di
munizioni e materiale da costruzione, salpa da Brindisi alle due di notte
insieme al piroscafo postale Merano,
con la scorta del vecchio cacciatorpediniere Augusto Riboty. Le tre navi raggiungono Durazzo alle 11.
6 aprile 1941
Il Loreto, insieme ai piroscafi Polcevera e Bucintoro, lascia scarico Durazzo alle 19.20 per rientrare in
Italia, con la scorta della torpediniera Castelfidardo.
7 aprile 1941
Il convoglio
raggiunge Bari alle 21.30.
15 aprile 1941
Il Loreto ed il piroscafo Armando, entrambi adibiti a traffico
civile, salpano da Bari alle 20.15 diretti a Durazzo. Al largo di Brindisi
vengono raggiunti dalla torpediniera Sirio,
che ne assume la scorta.
16 aprile 1941
Le navi arrivano a
Durazzo alle 16.25.
3 giugno 1941
Il Loreto lascia Durazzo e rientra a Bari,
solo e senza scorta.
2 luglio 1941
Compie un viaggio da
Valona a Brindisi, di nuovo da solo e privo di scorta.
12 luglio 1941
Il Loreto ed il piroscafo Tripolino trasportano un carico di
materiali vari da Brindisi a Patrasso, scortati dall’incrociatore ausiliario Olbia.
25 luglio 1941
Il Loreto lascia Patrasso e rientra a
Brindisi, passando per Prevesa, da solo e senza scorta.
3 agosto 1941
Il Loreto ed il piroscafo Acilia, privi di scorta, trasportano da
Bari a Valona un carico di materiali del Regio Esercito.
15 agosto 1941
Parte da Porto Edda e
raggiunge Brindisi, da solo e senza scorta.
23 agosto 1941
Compie un viaggio da
Bari a Valona, in navigazione isolata.
13 settembre 1941
Altro viaggio da
Porto Edda a Brindisi, da solo e senza scorta.
8 ottobre 1941
Il Loreto ed il piroscafo Costante C. compiono un viaggio da
Valona a Brindisi.
18 ottobre 1941
Trasporta un carico
di materiali vari da Bari a Valona, da solo e privo di scorta.
24 novembre 1941
Trasporta un carico
di materiali vari da Bari a Valona, sempre in navigazione isolata.
14 dicembre 1941
Il Loreto, in convoglio con i
piroscafi Audace, Carlo Zeno e Capo Pino, trasporta truppe e materiali dal Pireo a Kavaliani, con
la scorta della torpediniera Castelfidardo e
di due motovedette tedesche.
29 dicembre 1941
Loreto, Audace e Carlo Zeno rientrano da Kavaliani al
Pireo scortati dal dragamine RD 17 e
da un MAS.
24 gennaio 1942
Il Loreto lascia Valona e raggiunge Bari,
da solo e senza scorta.
21 febbraio 1942
Viaggio da Bari a
Durazzo, in navigazione isolata.
23 maggio 1942
Viaggio da Durazzo a
Bari, da solo e senza scorta.
31 maggio 1942
Viaggio da Bari ad
Antivari, da solo e senza scorta.
15 luglio 1942
Viaggio da Bari ad
Antivari, in navigazione isolata.
19 luglio 1942
Viaggio da Antivari a
Bari, da solo e privo di scorta.
27 luglio 1942
Viaggio da Bari ad
Antivari, da solo e senza scorta.
18 agosto 1942
Viaggio da Bari a
Valona, ancora in navigazione isolata.
27 agosto 1942
Viaggio da Valona a
Bari, da solo e senza scorta.
2 settembre 1942
Requisito a Bari
dalla Regia Marina, senza essere iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario
dello Stato.
9 settembre 1942
Il Loreto, insieme al piroscafo Leonardo Palomba, salpa da Crotone
diretto a Messina, con la scorta della vecchia torpediniera Giuseppe Sirtori. Il sommergibile britannico
P 42 (tenente di vascello Alastair
Campbell Gillespie Mars), in agguato fuori del porto, avvista entrambi i
piroscafi non appena essi escono dal porto, il primo alle 18.22 ed il secondo
alle 18.40; alle 19.22 attacca il secondo piroscafo col lancio di due siluri,
dalla distanza di 4115 metri. Nessuno dei siluri va a segno, e la Sirtori contrattacca alle 19.50 col
lancio di quattro bombe di profondità, che non arrecano danni al P 42.
17 settembre 1942
Salpa da Palermo per
Tripoli a mezzogiorno, da solo e senza scorta, con un carico di benzina per
aerei in fusti.
21 settembre 1942
Dopo aver seguito le
rotte costiere della Tunisia, il Loreto
raggiunge Tripoli alle 14.20.
La nave con il precedente nome di Astrée, negli anni Venti (g.c. Mauro Millefiorini, via www.naviearmatori.net) |
L’affondamento
Alle 5.20 del 9
ottobre 1942 il Loreto salpò da
Tripoli diretto a Palermo, trasportando fusti di benzina vuoti e soprattutto 400
prigionieri di guerra indiani con 26 (per altra fonte, 21) militari italiani di
scorta, oltre ai 26 uomini dell’equipaggio (tra cui undici militari addetti
all’armamento contraereo del piroscafo). Poco tempo dopo la partenza, al largo
di Djerba, il Loreto venne fermato
dalla nave soccorso Laurana, che
aveva a bordo alcuni naufraghi del piroscafo Alga, affondato poche ore prima in navigazione sulla rotta opposta.
Dal momento che tre dei naufraghi erano gravemente feriti e necessitavano di
essere trasferiti con urgenza a Palermo, dove avrebbero potuto ricevere cure
migliori, la Laurana li trasbordò sul
Loreto, che fu poi lasciato
proseguire per la sua rotta (per altra fonte, i naufraghi furono trasbordati
sul Loreto da un MAS). Il carico
umano del vecchio piroscafo veniva così ad assommare in tutto a ben 455 anime,
tra naufraghi, soldati, prigionieri e marinai.
Dal momento che il Loreto disponeva di un buon armamento
difensivo (4 mitragliere da 20 mm; qualche fonte parla anche di "quattro cannoni contraerei", ma sembra probabile che si intendano in realtà sempre le mitragliere) si decise di
farlo navigare da solo, senza alcuna scorta. Dopo lo scalo a Palermo, dove la
nave avrebbe fatto rifornimento, il viaggio sarebbe dovuto proseguire fino alla
meta finale, Napoli.
Ancora una volta, i
comandi britannici sapevano del viaggio prima ancora che la nave partisse: già
l’8 ottobre, infatti, un dispaccio di “ULTRA” annunciava, sulla base dei
messaggi italiani decrittati, che «…Il Loreto
probabilmente partirà da Tripoli ventiquattr’ore più tardi [rispetto al
piroscafo Castore, che doveva partire
alle 8 dell’8 ottobre], sempre per Napoli.» Il giorno seguente, 9 ottobre,
“ULTRA” precisò la natura del "carico" del piroscafo, insieme a molte
altre informazioni sul viaggio: «Il Loreto
lascerà Tripoli alle 9 del giorno 9, velocità 7 nodi, e dovrà arrivare a Napoli
alle 7.30 del 13. Trasporterà 350 prigionieri di guerra»; il 10 ottobre
l’orario di partenza venne corretto da un nuovo messaggio, il quale annunciò
che «Il Loreto è salpato alle 5.20
del giorno 9 per Napoli». L’11 ottobre, infine, ulteriori intercettazioni
permisero ad “ULTRA” di riferire che «Il Loreto
con 350 prigionieri di guerra è partito da Tripoli alle 5.20 del 9 ottobre per
Napoli, dove giungerà alle 7.30 del 13».
Fin dall’8 ottobre le
autorità navali britanniche nel Mediterraneo furono informate da Londra che il Loreto trasportava prigionieri, come
ammesso in un rapporto dell’Ammiragliato datato 20 novembre 1942; ci sarebbero
stati quattro o cinque giorni per organizzarsi ed impedire che venisse
attaccato, ma si scelse di non fare niente. Se le navi che trasportavano
prigionieri fossero state sempre risparmiate, mentre le altre venivano
attaccate, il rischio era che i comandi italiani sospettassero che i loro
messaggi venivano intercettati e decifrati, e decidessero dunque di cambiare i
codici, vanificando il lavoro fatto da “ULTRA” per penetrarli; i comandi
britannici avevano pertanto deciso che alcune centinaia di prigionieri potevano
essere sacrificate, se ciò permetteva di mantenere il segreto su “ULTRA”. Il Loreto stava per diventare il penultimo
di una triste serie di sanguinosi affondamenti di navi italiane cariche di
prigionieri Alleati; lo avrebbe seguito, esattamente un mese più tardi, lo Scillin, ultimo e più catastrofico di
questi casi.
La piccola e vecchia
nave, data la sua modesta velocità, ci mise più di quattro giorni per
attraversare il Canale di Sicilia; ma nel pomeriggio del 13 ottobre la costa
siciliana appariva finalmente in vista, e sicuramente, a bordo, si doveva
pensare di averla scampata, quando alle 16.40 il Loreto venne avvistato dal sommergibile britannico P 46 (poi Unruffled, al comando del tenente di vascello John Samuel Stevens).
Secondo un articolo del ricercatore Pietro Faggioli, il Loreto raggiunse indenne Trapani, dopo di che imboccò la rotta
costiera verso Palermo, dove avrebbe dovuto fare un rifornimento straordinario
di provviste ed acqua per i prigionieri; l’incontro col P 46 avvenne quando ormai la nave, navigando sottocosta, era quasi
giunta a Palermo.
Il P 46 avvistò dapprima gli alberi ed il
fumaiolo del Loreto, del quale stimò
che stesse navigando verso est ad una velocità di 6 o 7 nodi, cercando di
mimetizzarsi con le alture della costa; alle 17.20 iniziò la manovra d’attaco.
Stevens identificò il suo bersaglio come una nave mercantile di circa 1500 tsl,
con un cannone a poppa, apparentemente scarica. Alle 17.33 (l’orario indicato
dalle fonti italiane differisce di un minuto, risultando le 17.32 come ora del
siluramento), in posizione 38°14’ N e 13°14’ E (a quattro miglia per 280° da
Capo Gallo, cioè ad ovest-nord-ovest di tale capo) il P 46 lanciò infine tre siluri da 1050 metri di distanza.
Due dei siluri mancarono
il bersaglio, uno dei quali esplodendo contro gli scogli dell’isolotto
antistante Isola delle Femmine, ma un altro andò a segno, colpendo il Loreto sotto la poppa.
Il piroscafo affondò di
poppa in soli dodici minuti: alle 17.43 la nave era per metà sott’acqua, con la
poppa già completamente sommersa, ed un minuto più tardi scivolò
definitivamente sotto la superficie, portando con sé 124 uomini, affondati con
la nave o risucchiati dal gorgo generato dall’affondamento.
Il Loreto in affondamento, in una foto scattata attraverso il periscopio del P 46 (da “Focus” n. 122 – dicembre 2002, via www.pietrocristini.com) |
I pescatori dei
vicini paesi di Isola delle Femmine (distante un miglio e mezzo dal luogo del
siluramento) e Sferracavallo (distante tre miglia), messi sull’avviso dalle
esplosioni dei siluri, avvistarono il Loreto
in affondamento al largo della costa, e si precipitarono sul posto per prestare
soccorso con tutte le barche disponibili, sia a motore che a remi. Tra i
pescatori accorsi vi furono Salvatore Favaloro (che aveva perso un figlio in
guerra, e proprio in mare, scomparso nel 1940 nell’affondamento del
sommergibile Provana) e due suoi
figli, Salvatore Di Maggio (affetto da problemi cardiaci, ebbe una crisi poco
dopo l’affondamento del Loreto e morì
quattro mesi più tardi), Vincenzo Riso, Pietro Riso, Salvatorino d’Ippolito,
Erasmo Lucido, Giuseppe Lucido (la cui barca recuperò dal mare 13 naufraghi
italiani), Giovanni e Cosimo Polizzi, Angelo Randazzo, Ignazio Favaloro ed
altri.
Così l’allora
corrispondente di guerra Libero Accini, nel suo libro “La rotta della morte”,
narra la fine del Loreto, attraverso
le parole di un sottufficiale incontrato con gli altri naufraghi sul Molo Piave
del porto di Palermo: "Il nostro
bastimento, una vecchia carretta, teneva bene il mare. I prigionieri erano
stivati sotto coperta. A bordo avevamo ventisei militari di scorta. Servivano
per la sorveglianza ai prigionieri. Disponevamo anche di un armamento difensivo
contraereo che in caso di attacco dall’aria ci sarebbe servito poco o niente. I
soldati di scorta avevano paura del mare. Si riunivano a prora e guardavano noi
di bordo con espreswioni astiose. Come fossimo stati noi a richiamarli dalle
loro case per mandarli a fare la guerra! Io sono un borghese... Da anni
navigavo sul Loreto e mi ci trovavo
bene. Credevamo di avercela fatta, ormai, dopo quattro giorni di navigazione
eravamo a poche miglia da Capo San Gallo. Là c’era l’Isola delle Femmine. I
soldati della scorta parevano avere ritrovato la fiducia
in noi. Ci chiedevano quando saremmo arrivati in porto e qualcuno di essi
spingeva la propria confidenza fino a mostrarci le
fotografie delle fidanzate
o delle mogli o delle sorelle o delle madri. Un caporale mi ha addirittura
mostrato la lettera che gli aveva scritto una madrina di guerra, una insegnante
delle elementari, di un paese dei dintorni di Bologna. La madrina gli scriveva
le solite parole «gloria, vittoria immancabile» e finalmente,
al fondo della lettera, lo invitava a trascorrere qualche giorno con lei, nella
villetta che abitava. Il caporale pensava ai giorni che sarebbero venuti, alla
sua madrina che si aveva inviato dieci lire. Se gli aveva mandato dieci lire
significava che gli voleva bene. All’improvviso è
avvenuto il disastro. Un sommergibile ci ha avvistati. L’ho già detto, non
avevamo scorta. Che cosa può fare un carretta contro un sommergibile? Il
sommergibile lancia una doppietta di siluri. Un siluro esplode contro l’Isola
delle Femmine. L’altro siluro ci colpisce a poppa. I soldati sono sbiancati
dalla paura…" Il sottufficiale parla, parla. Parole e visioni di fatti che
stanno accadendo. Il Loreto non può manovrare, scade di poppa. Non c’è
niente da fare. I soldati corrono qua e là sulla coperta che rapidamente si
appoppa. I prigionieri urlano. Bisogna salvare i prigionieri. Salvarli. La nave
continua ad appopparsi. Non c’è scampo. Lancio di fuochi Very. Urla. «Madonna
mia... Madonna di Lourdes salvami... » La Madonna, neanche quella di Lourdes,
non si fa viva. La coperta è una confusione di uomini. Prigionieri di guerra e
soldati. I superstiti del naufragio del Loreto non si muovono. Che cosa fanno? Sono lì impietriti e guardano davanti
a sé senza vedere niente. Le barche di salvataggio sono state fracassate
dall’esplosione del siluro. La nave continua a sprofondare. La gente di bordo
tenta di portare un po’ d’ordine. «Calma... Calma... Siamo vicini alla
costa...» Le parole restano parole. Non hanno senso. Una massa impaurita si
lancia in mare senza aspettare l’«abbandono nave». A qualcuno salta in mente di
urlare «Viva il Re». È una voce che si sperde nell’aria. Gli indiani, quelli
restati a bordo, hanno la paura in faccia. (…) L’acqua è a due terzi della nave. Il Loreto continua a sprofondare. Urla, urla, urla. Gemiti di feriti. Finalmente
è dato l’«abbandono nave». I soldati e i prigionieri di guerra indiani sono già
in mare. Alcuni di essi scompaiono inghiottiti dall’acqua. L’abisso ha fame. (…)
Un soldato bacia un cartoncino con
l’immagine di un santo, chiude gli occhi e si lascia andare in mare. Ha la
cintura di salvataggio. Ormai sul bastimento non sono restati che i cadaveri
dei marinai, di quelli uccisi dall’esplosione del siluro. (…) Arrivano barche di pescatori. I pescatori di
Capo Gallo, dell’Isola delle Femmine ricuperano i naufraghi. Ne ricuperano
quanti possono. Dopo un certo tempo arrivano i mezzi della Marina da Guerra."
L’affondamento
del Loreto in alcune immagini
scattate dalla costa siciliana: sopra, la nave poco dopo essere stata silurata,
verso le 17.32; sotto, il Loreto
impenna la prua al termine alla sua agonia, alle 17.43, mentre le barche dei
pescatori hanno già preso il mare e dirigono verso il luogo del disastro (da www.regionesicilia.it)
Strada facendo,
dirigendo verso il luogo dell’affondamento, gli improvvisati soccorritori incontrarono
le imbarcazioni di salvataggio del Loreto,
dirette verso l’isolotto antistante Isola delle Femmine; una volta giunti sul
posto, i pescatori trovarono il mare pieno di naufraghi, decine se non
centinaia, che si tenevano a galla nuotando nel mare cosparso di olio, alzando
le braccia per chiedere aiuto. Alcuni erano già morti. Alcuni dei pescatori,
raccolti i naufraghi, li portavano immediatamente fino al paese di Isola delle
Femmine, mentre altri li sbarcavano sul vicino isolotto per poi tornare sul
luogo dell’affondamento e soccorrerne altri. Sbarcarono sull’isolotto anche i
naufraghi che erano riusciti ad imbarcarsi su scialuppe e zattere di
salvataggio prima che la nave affondasse. I pescatori recuperarono quanti più
uomini possibile prima di tornare verso terra, ma nelle loro piccole barche non
c’era abbastanza posto per tutti i naufraghi, e intanto stava già calando il
buio.
Vi sono alcune
discrepanze sul numero dei morti e dei sopravvissuti; secondo il volume
dell’USMM "La difesa del traffico con l’Africa Settentrionale
dall’1.10.1942 alla caduta della Tunisia", le vittime furono 124 (un
militare italiano e 123 prigionieri di guerra indiani) ed i sopravvissuti 331,
in parte salvati dai pescatori del posto ed in parte da mezzi della Regia
Marina accorsi sul luogo del siluramento. Altre fonti, indicando sempre in 124
il numero dei morti, parlano invece di 326 sopravvissuti, 49 italiani e 277
prigionieri, dei quali 131 (32 italiani e 99 prigionieri) furono salvati dai
pescatori, e 195 (17 italiani e 178 prigionieri) dalle unità della Regia
Marina. Il Bollettino delle Forze Armate n. 871 del 14 ottobre 1942, riportato
nel diario di guerra di Supermarina e consultato dal ricercatore Platon
Alexiades, menziona invece un bilancio più pesante: si parla di 457 uomini a
bordo del Loreto, 400 indiani e 57
italiani, dei quali sarebbero stati salvati 271 prigionieri e 39 italiani, il
che significherebbe che morirono 129 prigionieri di guerra, anziché 123, e 18
italiani, anziché uno. Ma considerato che tali notizie risalgono al giorno
immediatamente successivo all’affondamento, è possibile che ai Comandi italiani
fossero giunte informazioni incomplete sul numero dei sopravvissuti raccolti
dalle varie unità, e che il dato riportato nel volume USMM sia successivo e più
corretto.
I tre naufraghi
feriti dell’Alga si trovarono a subire
un secondo affondamento nel giro di quattro giorni, ma sopravvissero tutti e
tre anche a questa nuova disavventura.
La maggior parte dei
prigionieri superstiti furono sbarcati a Isola delle Femmine, ed i restanti a
Sferracavallo; dopo i primi soccorsi prestati dalla gente del luogo, vennero
caricati su degli autobus e trasportati a Palermo. L’incontro con i prigionieri
indiani destò un singolare equivoco tra i poveri pescatori, che ben di rado
vedevano stranieri, di qualsiasi nazionalità, e mai in vita loro avevano visto né
un indiano d’India né un "indiano" d’America: i prigionieri
indicavano sé stessi e dicevano "Amico, io Indian POW", ma i
pescatori non conoscevano il significato della parola "POW"
("Prisoner of War", prigioniero di guerra), e pensarono che quelle
parole volessero dire che quegli uomini erano indiani d’America, della tribù
dei “Pow” o “Poe”. Sulla base del loro aspetto (pelle olivastra, capelli lunghi
e neri con treccine, oltre ad essere sporchi e fradici dopo il naufragio), i pescatori
giunsero anche alla conclusione che dovessero essere indiani catturati come
schiavi; da allora il Loreto divenne
noto, per gli abitanti del luogo, come "nave degli schiavi", un
appellativo che ancor oggi è legato al suo relitto.
Tra i prigionieri
indiani sopravvissuti all’affondameno vi fu anche Chanan Singh Dhillon, dei
Bengal Sappers, che nel dopoguerra avrebbe proseguito la sua carriera nel nuovo
esercito dell’India indipendente fino a raggiungere il grado di tenente
colonnello.
Il 16 ottobre “ULTRA”
completò il suo lugubre lavoro, annunciando freddamente che «Il Loreto è stato affondato a quattro
miglia da Capo Gallo, Sicilia, alle 17.30 del giorno 13 dal sommergibile P 46».
Nei giorni e nelle
settimane successive all’affondamento, anche a seguito di una burrasca,
numerose salme, anche in stato di decomposizione via via che passava tempo da
quando la nave era colata a picco, vennero portate a riva dalle onde, tra Isola
delle Femmine e Sferracavallo. Gli abitanti del posto le recuperarono e le
seppellirono nel locale cimitero.
Il relitto del Loreto, meta di subacquei, giace oggi su
un fondale fangoso a 85-90 metri di profondità, a 1,5 miglia dal porticciolo di
Isola delle Femmine. La prima esplorazione del relitto, ad opera dei subacquei
Deny Orlando, Umberto Trapani, Pino Li Muli e Beppe Montaina, risale al 1991. La
nave si presenta in assetto di navigazione, con la prora rivolta verso terra, a
nordest dell’isolotto che dà il nome al paese; nelle stive si trovano ancora
numerosi fusti vuoti di benzina, ed è ben visibile lo squarcio aperto dal
siluro che provocò l’affondamento. Nonostante l’elevato numero di vittime, sono
mai stati rinvenuti, invece, resti umani all’interno del relitto.
Dal 2015 una targa,
apposta su iniziativa dell’Associazione BCsicilia, ricorda ad Isola delle
Femmine le vittime del Loreto ed i
pescatori che soccorsero i sopravvissuti; il 18 ottobre 2017, nel 75°
anniversario dell’affondamento, una cerimonia commemorativa è stata celebrata
presso il monumento, seguita dal lancio in mare di fiori.
L’affondamento del Loreto nel giornale di bordo dell’Unruffled (da Uboat.net):
“1640 hours - Sighted masts and funnels of an
eastbound ship keeping close inshore.
1720 hours - Started
attack. The target was a merchant vessel of 1500 tons. A gun was seen aft and
she was in ballast.
1733 hours - In
position 38°14'N, 13°14'E fired three torpedoes from 1150 yards. Two hits were
obtained.
1745 hours - The ship
was seen to sink by the stern.”
Looking at 11 men for defense guns probably only 4 machine guns 20mm(technically it is a cannon so that might be the confusion). Besides being so small ship it would have been difficult/strange to have more weapons than even a bigger auxiliary cruiser.
RispondiEliminaDili.
It seems reasonable, I will correct...
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