Sommergibile di
grande crociera della classe Brin (dislocamento di 1016 tonnellate in
superficie e 1266 in
immersione). Svolse un’unica missione di guerra, conclusasi col suo
affondamento, percorrendo 1400 miglia in superficie e 120 in immersione.
Breve e parziale cronologia.
3 dicembre 1936
Impostazione nei
cantieri Franco Tosi di Taranto (numero di costruzione 49).
22 maggio 1938
Varo nei cantieri
Franco Tosi di Taranto.
29 luglio 1938
Entrata in servizio.
Assegnato, con i
gemelli Brin, Archimede, Guglielmotti e Torricelli
nonché i più anziani Galileo Galilei e Galileo Ferraris, alla XLIV Squadriglia
Sommergibili del Gruppo Sommergibili di Taranto.
Il Galvani in Mar Rosso nel 1940, poco prima dello scoppio della guerra (da “Le navi del re. Immagini di una flotta che fu” di Achille Rastelli, SugarCo Edizioni, 1988, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net) |
1939
Galvani e Brin vengono posti
alle dipendenze della Flottiglia Sommergibili in Africa Orientale Italiana, e
lì trasferiti.
Per molti membri
dell’equipaggio l’assegnazione ad un battello inviato nella torrida Africa
Orientale, a migliaia di chilometri dall’Italia, è stata decisa per punizione,
come ricordato dall’allora tenente di vascello Antonio Mondaini, comandante in
seconda del Galvani.
Nei mesi precedenti
l’inizio della seconda guerra mondiale il Galvani
partecipa ad intensa attività addestrativa e numerose esercitazioni, allo scopo
di determinare le migliori condizioni d’impiego della propria classe; ma la situazione
addestrativa non è delle migliori: richieste come quelle di mettere un aereo a
disposizione per verificare se e quanto un sommergibile immerso sia visibile
nelle acque del Mar Rosso, o di fare una crociera diurna e notturna verso lo
stretto di Bab el Mandeb per constatar la consistenza del dispositivo di
sorveglianza britannico nella zona, vengono negate per mancanza di carburante.
10 giugno 1940
All’entrata in guerra
dell’Italia, il Galvani ha
base a Massaua (Eritrea, Africa Orientale Italiana), in Mar Rosso, dove forma
la LXXXI Squadriglia Sommergibili insieme al gemello Guglielmotti ed ai più anziani Galileo Galilei e Galileo
Ferraris.
L’affondamento
Il 10 giugno 1940,
giorno dell’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il Galvani (capitano di corvetta Renato
Spano) salpò da Massaua diretto in una vasta area di agguato situata
all’imboccatura del Golfo di Oman, lungo le affollate rotte percorse dalle navi
cisterna che caricavano il petrolio nel Golfo Persico.
Originariamente, nel
maggio 1940, il Comando Superiore di Marina in A.O.I. aveva previsto di
impiegare solo tre degli otto sommergibili a disposizione nelle operazioni
iniziali, in agguati legati al progettato attacco contro Gibuti; ma il 10
giugno ne partirono invece quattro, Galvani,
Galileo Galilei, Galileo Ferraris e Macallè,
che furono assegnati a zone e compiti molto differenti (solo il Ferraris fu effettivamente inviato nelle
acque di Gibuti).
La missione del Galvani sarebbe dovuta durare circa 28
giorni, ed aveva per obiettivo l’interdizione del traffico petrolifero dal
Golfo Persico; il settore assegnato al Galvani
era il più lontano dalla base tra quelli assegnati, in quei giorni, ai
sommergibili di Massaua, e la missione risultava la più lunga.
Il 13 giugno il
sommergibile attaccò infruttuosamente un incrociatore ed un cacciatorpediniere che
aveva avvistato 15 miglia a nordovest di Perim, poi proseguì per la sua rotta.
Diverse fonti
britanniche, erroneamente, attribuiscono al Galvani
il siluramento dello sloop indiano Pathan,
danneggiato da un’esplosione il 22 giugno 1940 ed affondato il giorno seguente
in posizione 18°56’ N e 72°45’ E, poco al largo di Bombay. Ovviamente il Galvani, che si trovava dall’altra parte
dell’Oceano Indiano, alle porte del Golfo Persico, non ebbe nulla a che fare
con la perdita del Pathan: l’unità
indiana affondò per i danni causati da un’esplosione accidentale (un’esplosione
interna, forse l’accidentale esplosione delle sue stesse bombe di profondità,
oppure una mina alla deriva). Non è chiaro dove si sia originato l’errore
dell’attribuzione del suo affondamento al Galvani,
poi ripreso e diffuso, evidentemente, da varie fonti successive.
Dopo essere passato
dal Mar Rosso all’Oceano Indiano ed aver circumnavigato la penisola araba
diretto verso il Golfo Persico, la sera del 23 giugno il Galvani raggiunse il settore assegnato. Ma il comandante Spano non
poteva sapere che quattro giorni prima un altro sommergibile, il Galileo Galilei, era stato catturato dai
britannici dopo un duro combattimento contro il peschereccio antisommergibili Moonstone: e che a bordo del Galilei i britannici avevano rinvenuto
una copia dell’ordine d’operazioni per i sommergibili di Massaua, nel quale
erano indicate le zone in cui avrebbero dovuto operare i sommergibili italiani
in Mar Rosso in quelle settimane del giugno 1940. Dai documenti catturati sul Galilei, i britannici poterono
apprendere che il Galvani era partito
da Massaua il 10 giugno e che avrebbe raggiunto il Golfo di Oman il 23, per poi
operare in un raggio di otto miglia dall’imboccatura del golfo.
Era stata dunque
preparata una trappola: deviato dalla zona il traffico mercantile britannico e
norvegese (i britannici temevano peraltro che il Galvani potesse essere un sommergibile posamine), vennero inviati
sul posto il cacciatorpediniere Kimberley
e lo sloop Falmouth (provenienti da
Bombay), per attendere al varco il sommergibile italiano e distruggerlo non
appena si fosse presentato.
Il Galvani entrò nel Golfo di Oman nella
tarda serata del 23 giugno, ma non trovò nessuna delle navi cisterna che
solitamente navigavano nel Golfo Persico trasportando petrolio per conto
dell’Impero britannico; a trovare il sommergibile, poche ore dopo, fu invece il
Falmouth (capitano di corvetta Cecil
Campbell Hardy, che avrebbe ricevuto il Distinguished Service Order per
l’affondamento del Galvani). Sul Galvani, che procedeva in superficie,
l’impianto di condizionamento dell’aria era in avaria fin dalla partenza, ed il
caldo sottocoperta era soffocante.
Alle 22.57 del 23
giugno il Falmouth avvistò un’ombra a
prora sinistra, a 2,5 miglia di distanza (in posizione 25°55’ N e 56°55’ E,
appena dentro l’area d’operazioni del Galvani),
ed accostò per avvicinarsi; in breve il comandante Hardy comprese che l’ombra
era la sagoma di un sommergibile che navigava in superficie, da sinistra verso
dritta (rispetto al Falmouth), a
bassa velocità e con rotta 110°, forse intento a ricaricare le batterie.
Hardy decise di non
aprire subito il fuoco, ma cercare invece di avvicinarsi il più possibile senza
essere notato, mantenendo la luna di fronte a sé, per minimizzare la
probabilità di essere avvistato. La relazione britannica sull’attacco commentò
in seguito che da parte italiana il servizio di vedetta doveva comunque essere
stato alquanto scadente, per non notare la presenza del Falmouth fino all’ultimo momento; il tenente di vascello Antonio
Mondaini, comandante in seconda del Galvani,
ricordò poi in un’intervista che solo lui ed il comandante Spano erano in grado
di svolgere il servizio di guardia, mentre il resto degli ufficiali di Stato
Maggiore non avevano ancora sufficiente esperienza.
Alle 23.08 (ora di
bordo del Falmouth), ridotte le
distanze a soli 550 metri (700-800 secondo una fonte italiana), lo sloop
britannico effettuò il segnale notturno di “chi va là”, poi, non ricevendo
risposta, aprì il fuoco col cannone prodiero da 100 mm.
Più o meno nello
stesso momento – le 2.09 del 24 giugno per l’orario di bordo del Galvani, che differiva da quello del Falmouth per via del fuso orario –, sul Galvani (la cui posizione stimata era a
50 miglia per 130° da Little Qoin), il guardiamarina Andrea Car, sottordine di
rotta, avvistò un’ombra di prora a dritta: il Falmouth. Il comandante Spano avvistò a sua volta la sagoma
dell’unità nemica, con beta di 10° a dritta, su rilevamento polare 45°, ad una
distanza stimata di 700-800 metri. In plancia si trovava anche il comandante in
seconda Mondaini, libero dal turno di guardia: dato il caldo tremendo che
regnava sottocoperta, anziché andare a dormire in cuccetta era rimasto seduto
in plancia a sonnecchiare accanto al periscopio.
Il Galvani diede subito inizio alla manovra
d’immersione rapida con accostata a sinistra, ma prima di poterla completare
venne colpito più volte: un primo colpo, caduto corto ma “rimbalzato” sulla
superficie del mare, esplose sulla parte prodiera della plancia (uccidendo il
timoniere, secondo fonti britanniche), ed un secondo colpo scoppiò anch’esso in
plancia mentre il sommergibile s’immergeva (per una versione, passando da parte
a parte la torretta subito dopo che il comandante Spano ebbe chiuso il
portello); ma un’altra cannonata colpì il Galvani
a poppa, perforando lo scafo resistente ed aprendo una falla in camera di lancio.
Dalla falla, l’acqua
prese subito a riversarsi all’interno del sommergibile.
In camera di lancio
era di guardia il secondo capo silurista Pietro Venuti, un friulano di ventotto
anni: rendendosi conto che tutto il battello rischiava di essere in breve tempo
invaso dall’acqua, senza scampo per tutto l’equipaggio, Venuti scelse di
sacrificarsi per consentire la salvezza dei compagni. Anziché cercare di
salvarsi, il giovane sottufficiale, lottando contro l’acqua che irrompeva
furiosamente nel compartimento, si lanciò sulla porta stagna e si chiuse nel
locale danneggiato, bloccando la porta stagna dall’interno e condannandosi a
morte certa, per impedire che l’allagamento si estendesse ad altri locali, e
consentire al Galvani di mantenere la
galleggiabilità necessaria a poter tornare in superficie. Il suo generoso sacrificio
venne onorato da una Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Pietro Venuti in una foto del 1936, a bordo del sommergibile Antonio Sciesa (g.c. Giovanni Pinna) |
Frattanto, il
comandante Spano aveva ordinato di chiudere tutte le porte stagne. Mentre
scendeva fortemente appruato, con tutti i timoni in basso, il Galvani sbandò bruscamente,
raddrizzandosi da solo subito dopo; Spano ritenne che lo scafo della nave
britannica avesse sfiorato il sommergibile sulle draglie di poppa, che in quel
momento dovevano essere solo due o tre metri sotto la superficie. Era proprio
così: vedendo il Galvani immergersi e
tagliargli la rotta, il Falmouth
aveva manovrato per speronarlo, ma l’aveva urtato a poppavia della torretta
(unica parte non ancora scomparsa sotto la superficie) troppo debolmente per
poter danneggiare lo scafo resistente.
Pochi secondi dopo,
dato che il Galvani, sceso a 30 metri
di profondità, continuava ad essere appruato, Spano fece togliere un po’ di
timone di poppa; ma in quel momento il Falmouth,
passando sulla verticale del sommergibile, lanciò tre bombe di profondità (una
regolata per scoppiare a 45 metri, le altre due a 30 metri), che esplosero
vicinissime al battello italiano, investendolo in pieno. La situazione a bordo
del sommergibile divenne in breve drammatica: mancava la luce, tutti i timoni
erano bloccati, i manometri rotti; il quadro della forza, in camera di manovra,
venne divelto dalla sua sede e lanciato al centro del locale, il motore
elettrico di sinistra si fermò e quello di dritta precipitò a 600 giri. Non era
più possibile comunicare tra la camera di manovra e gli altri compartimenti.
L’appoppamento,
causato dall’allagamento del locale poppiero colpito dalla cannonata, andava
rapidamente aumentando: quando ebbe raggiunto i 40°, senza che si riuscisse ad
arrestare la caduta con manovra, il comandante Spano concluse che il
sommergibile era perduto, e che non restasse altro da fare se non ordinare
l’emersione, per tentare di reagire in superficie col cannone e per mettere in
salvo almeno parte dell’equipaggio.
Venne dunque ordinato
“aria per tutto” e motori avanti tutta; il Galvani
rispose a fatica, emergendo soltanto parzialmente (secondo una relazione
britannica, alcuni superstiti del Galvani
avrebbero affermato che gli scoppi delle bombe di profondità avrebbero avuto
proprio l’effetto di “spingere” il sommergibile verso la superficie, e che
altrimenti la manovra non sarebbe riuscita, stante l’appesantimento a poppa
causato dall’allagamento). Dal Falmouth
si vide la prua del sommergibile affiorare dal mare verticalmente, poi il
battello si raddrizzò gradualmente ed assunse un assetto relativamente
bilanciato, con la torretta e parte dello scafo sopra la superficie. Lo sloop
britannico riaprì il fuoco, colpendo il Galvani
altre due volte coi cannoni da 100 mm, e parecchie volte con i cannoncini da 47
mm.
Spano fece aprire il
portello, seguendo i serventi del cannone che salivano in torretta, ed
ordinando al guardiamarina Car di distruggere i cifrari.
Una volta all’aperto,
Spano vide la Falmouth sulla dritta,
a circa 300 metri di distanza, che sparava colpi di cannone, e di prora a
sinistra un cacciatorpediniere (il Kimberley).
Il “T” poppiero dell’aereo del Galvani
era troncato, ed in plancia vi era un ampio squarcio; l’acqua arrivava già al
portello di poppa, ed il sommergibile stava già perdendo l’assetto e ricominciando
ad affondare di poppa. Il cannone fu trovato inservibile; le mitragliere, a
scomparsa, non risultarono più estraibili dai loro alloggiamenti.
Tra questo ed il
forte sbandamento, risultava inutile ed impossibile armare il cannone e
rispondere al fuoco; il comandante Spano ordinò quindi a tutto l’equipaggio di
salire in coperta, ed agli uomini già in coperta di abbandonare la nave.
Vedendo l’equipaggio salire in coperta (con alcuni marinai, secondo una
relazione britannica, che agitavano stracci bianchi per chiedere di cessare il
fuoco), il Falmouth interruppe il
tiro.
Il comandante in
seconda Mondaini, passando nello squarcio tra le lamiere della torretta, andò a
prua ad aprire il portello prodiero, dal quale uscì in coperta il personale dei
locali prodieri; l’acqua intanto lambiva già il portello della torretta (per
altra fonte, Mondaini si recò anche a poppa per aprire quel portello e
consentire agli uomini che si trovavano nei compartimenti poppieri di uscire,
ma il portello venne sommerso prima che Mondaini potesse raggiungerlo).
Come
Pietro Venuti, altri uomini sacrificarono la loro vita per la salvezza dei
compagni: il direttore di macchina, capitano del Genio Navale Aldo Torzuoli, il
suo sottordine tenente del Genio Navale Rodolfo Bassetti ed il capo meccanico
di seconda classe Emanuele Perrone, all’ordine di abbandonare la nave, anziché
correre in coperta per mettersi in salvo, si trattennero sottocoperta per
prolungare il più possibile la galleggiabilità del sommergibile, e così
permettere a quanti più uomini possibile di salvarsi: ma non riuscirono a
mettersi in salvo a loro volta, ed affondarono con il Galvani. Emanuele Perrone, un pugliese di 38 anni di cui 18 passati
in Marina, prima dell’ultima missione aveva parlato con un compaesano,
anch’egli in Marina, che aveva cercato di convincerlo a darsi malato,
sostenendo di “sentire” che qualcosa sarebbe andato storto: Perrone lo aveva
congedato con una pacca sulla spalla, commentando sorridente “Ne ho sentite
tante di queste storie di premonizioni in quasi vent’anni di mare: a dare retta
a tutte…”. Alla memoria di tutti e tre fu conferita la Medaglia d’Argento al
Valor Militare.
La stessa decorazione
fu decretata anche alla memoria del guardiamarina Piero Gemignani, ligure,
ventun anni: tornato sottocoperta di sua iniziativa per accertarsi che tutti i
documenti segreti fossero stati distrutti, non ne riemerse mai più. Con lui era
tornato indietro per lo stesso motivo anche il guardiamarina Car, che però fece
in tempo ad uscire pochi secondi prima che il Galvani s’inabissasse.
Alle 2.17 del 24
giugno, dato che nessuno saliva più in coperta e nessuno, dall’interno del
sommergibile, rispondeva ai suoi richiami, il comandante Spano ritenne che
ormai non vi fosse più nessuno vivo all’interno; ordinò quindi agli uomini
radunati a prua di tuffarsi in mare, proprio mentre l’acqua iniziava a
riversarsi nel sommergibile attraverso il portello della torretta.
Gettatosi in mare a
sua volta, Spano fece appena in tempo ad allontanarsi dal Galvani quando questi impennò verticalmente la prua – che
fuoriusciva dall’acqua per circa otto metri – e colò rapidamente a picco (“come
una lama, senza rigurgiti”, nel ricordo dell’ufficiale in seconda Mondaini),
nel punto 25°55' N e 56°55' E (ad est del Golfo di Oman, in prossimità
dell’imbocco dello stretto di Hormuz; altra fonte indica 24°55' N, 52°35' E o
23°55' N, 56°35' E). Non erano trascorsi più di due minuti dal momento
dell’emersione.
Il Falmouth aveva frattanto calato due
lance, che presero a recuperare i naufraghi italiani; Spano si fece recuperare
per ultimo, dopo essersi sincerato che non vi fossero altri uomini in mare. Anche
il Kimberley si era avvicinato ed
aveva a sua volta messo a mare una lancia per cercare naufraghi, ma non ne
trovò nessuno. Il Falmouth incrociò a
lungo sul luogo dell’affondamento, prima di allontanarsi, per accertarsi che
non vi fossero altri naufraghi in mare.
Il capitano di corvetta Renato Spano (g.c. Giovanni Pinna) |
Una volta a bordo del
Falmouth, il comandante Spano fece
l’appello: dei 57 uomini che componevano l’equipaggio del Galvani, si erano salvati in 31, ossia quattro ufficiali (oltre a
Spano, il tenente di vascello Mondaini, il guardiamarina Car ed il tenente del
Genio Navale Direzione Macchine Pasquale Neri) e 27 tra sottufficiali e marinai.
Mancavano all’appello
26 uomini, in maggior parte personale dei locali poppieri; tra di essi tre
ufficiali (il capitano del Genio Navale Terzuoli, il tenente del Genio Navale
Bassetti ed il guardiamarina Gemignani). La maggior parte era affondata con il
sommergibile, intrappolata nei locali di poppa, mentre alcuni si erano gettati
in mare ma erano annegati prima che le lance del Falmouth li potessero raggiungere (per una fonte, 25 uomini
rimasero intrappolati nel sommergibile, mentre un ventiseiesimo morì in mare
dopo aver abbandonato l’unità).
Morirono con il Galvani:
Giuseppe Andreoni, marinaio radiotelegrafista
Rodolfo Bassetti, tenente del Genio Navale
(MAVM)
Raniero Boldorini, marinaio silurista
Gaetano Bollini, operaio militarizzato
(motorista)
Giacomo Bonodi, sottocapo silurista
Armando Caporuzza, marinaio silurista
Silvio Cois, secondo capo radiotelegrafista
Vincenzo De Rosa, sottocapo cannoniere
Angelo Ferraris, sottocapo motorista
Umberto Gavioli, sottocapo motorista
Pietro Gemignani, guardiamarina (MAVM)
Pasquale Giaccari, marinaio
Rosvaldo Giungato, marinaio
Gerardo Leva, marinaio motorista
Antonino Martinico, marinaio elettricista
Edmondo Perra, marinaio fuochista
Emanuele Perrone, capo carpentiere di terza
classe (MAVM)
Giuseppe Regolo, secondo capo elettricista
Achilleo Ricci, marinaio silurista
Vincenzo Sardella, marinaio
Nunzio Sottile, marinaio fuochista
Ruggero Tedesco, capo meccanico di terza
classe
Aldo Torzuoli, capitano del Genio Navale
(MAVM)
Luciano Vaschetti, sottocapo cannoniere
Pietro Venuti, secondo capo silurista (MOVM)
Dionisio Zampaglioni, marinaio elettricista
I 31 sopravvissuti
raccolti dal Falmouth vennero
rifocillati e trattati con grande cortesia e rispetto dall’equipaggio
britannico; il comandante Hardy cercò in ogni modo di alleggerire lo stato di
angoscia e prostrazione in cui erano sprofondati gli ufficiali superstiti. Al
momento dello sbarco dal Falmouth,
gli ufficiali del Galvani vennero
salutati al barcarizzo dai fischi alla banda prescritti dal regolamento.
Dopo aver trascorso qualche
settimana ad Aden, i naufraghi del Galvani
vennero imbarcati il 12 luglio 1940 sul piroscafo Takliva ed inviati in prigionia nel Central Internment Camp di
Ahmednaghar, in India (250 km ad est di Bombay), insieme ai sopravvissuti del Galilei e di un altro sommergibile
affondato negli stessi giorni (anch’esso per conseguenza dei documenti
catturati sul Galilei), il Torricelli: in tutto, 16 ufficiali e 102
tra sottufficiali e marinai. Furono i primi dei quasi 67.000 prigionieri di
guerra italiani ad arrivare in India nel corso del conflitto.
Il campo di
Ahmednaghar era sorto nel settembre 1939 come campo per internati civili
tedeschi; nel giugno 1940 era stato ampliato con la creazione di un settore per
internati civili italiani (circa 400, cittadini italiani residenti in India: perlopiù
religiosi e missionari). Dato il loro ridotto numero, i prigionieri italiani
vennero inviati nel campo creato per gli internati civili loro connazionali,
ancorché in una parte separata (e non comunicante, nemmeno a voce, con la
sezione per gli internati civili) che divenne così il primo campo per
prigionieri di guerra italiani dell’India britannica. Qui i prigionieri erano
alloggiati in tende (a due posti per gli ufficiali, ad otto posti per
sottufficiali e marinai); mancando l’illuminazione elettrica (se non per il
reticolato della recinzione), ogni tenda aveva una lampada a petrolio, che
doveva essere consegnata ogni mattina per essere rifornita e poi restituita la
sera. La mensa ufficiali, allestita sotto una grande tenda, era servita da
personale indiano, che cucinava pietanze “all’inglese” (essendo abituato a
servire i britannici): abbondante colazione con caffè, tè, latte, uova al
bacon, uova al tegamino, uova sode, salamini di bacon, frutta fresca e succhi
di frutta; pranzo leggero con roast beef freddo e talvolta insalata; cena con
zuppa piatto di carne con contorno e dolce. Più sbrigativo il trattamento
riservato ai marinai: dovevano radunarsi in fila indiana per la consegna del
cibo, che dovevano poi cucinare da sé (tra i prigionieri, comunque, tale
compito era delegato ai sottufficiali e marinai con la qualifica di cuochi).
Inizialmente la distribuzione delle provviste per i marinai veniva effettuata
allo scoperto, ma dopo che un grosso uccello locale ebbe rubato un pezzo di
carne buttandosi in picchiata sulla colonna di marinai, si preferì svolgere la
distribuzione, per il futuro, sotto una tettoia.
Nell’agosto 1940 il
numero dei prigionieri si accrebbe di oltre 500 unità con l’arrivo dei
superstiti dell’incrociatore Bartolomeo
Colleoni, affondato in Mediterraneo dall’HMAS Sydney. Quando, nel dicembre 1940, cappellani ed ufficiali medici
vennero rimpatriati, per l’assstenza spirituale ai prigionieri vennero
trasferiti nel campo due missionari salesiani, che oltre al conforto religioso si
dedicarono anche all’insegnamento della lingua inglese.
I sopravvissuti del Galvani rimasero prigionieri in India
fino alla fine della guerra.
Occorre precisare che
non tutti gli storici sono propensi a dare credito alla cattura dei documenti
sul Galilei come causa
dell’intercettazione ed affondamento del Galvani.
Antonio Mondaini, comandante in seconda del Galvani
col grado di tenente di vascello e poi divenuto ammiraglio di squadra nel
dopoguerra (e comandante dei sommergibili della Marina Militare dal 1968 al
1970), elencò nel marzo 1990, in un articolo pubblicato sulla rivista dei
sommergibilisti “Aria alla rapida!”, varie ragioni per cui riteneva che le
informazioni che avevano permesso ai britannici di trovare il Galvani avessero diversa provenienza: in
primo luogo, le direttive per l’impiego dei sommergibili in Africa Orientale,
diramate nel settembre 1939, prevedevano che il comandante del Gruppo
Sommergibili di Massaua convocasse separatamente i comandanti di ogni sommergibile,
comunicando solo a loro la destinazione delle rispettive unità (in modo che il
comandante di ogni sommergibile fosse l’unico a sapere dove fosse diretto il
proprio battello); a Massaua, soltanto il comandante del Gruppo Sommergibili
(capitano di fregata Ferrini) ed il suo segretario conoscevano le destinazioni
di tutti i sommergibili, e solo comandanti ed ufficiali in secondi di ciascuno
di essi conoscevano la destinazione del proprio. Tali misure che non avrebbero
avuto molto senso, se poi la destinazione di tutti i sommergibili avesse dovuto
essere riportata su un ordine d’operazione generale consegnato a ciascuno di
essi. Difatti, sul Galvani non si
trovavano ordini d’operazione che rivelassero la destinazione degli altri
sommergibili di Massaua, e non c’era motivo perché dovessero invece esserci sul
Galilei (ed il guardiamarina
Mazzucchi, unico ufficiale superstite di quel battello, negò sempre che vi
fossero; al di là del fatto che tutti i superstiti del Galilei asserirono che documenti e cifrari fossero stati distrutti).
Le disposizioni per i sommergibili venivano inviate da Roma all’Africa
Orientale mediante aerei civili che facevano scalo in Egitto, e non era
impossibile che durante tale sosta i servizi segreti britannici potessero
riuscire a carpire qualcosa.
Dopo la fine della
guerra, per giunta, si venne a sapere che il barista dell’Albergo dell’Asmara,
frequentato abitualmente dagli ufficiali della Regia Marina, non era siciliano,
come si pensava, ma maltese: una spia britannica infiltrata nel 1938, che
certamente non era rimasta inattiva.
Lo stesso Mondaini,
quando venne recuperato, nudo, dal Falmouth
dopo l’affondamento del Galvani, fu
avvicinato da un ufficiale britannico che lo guardò bene in faccia e poi gli
disse “Lei è il Tenente di Vascello Mondaini, secondo in comando del Galvani”; ed il capitano di corvetta
Salvatore Pelosi, comandante del Torricelli,
affermò che durante la prigionia i britannici gli avevano mostrato le note
caratteristiche sulla maggior parte degli ufficiali italiani imbarcati sui
sommergibili di Massaua.
Considerato quanto
sopra, non sembra implausibile che i britannici potessero disporre, in Africa
Orientale, di una efficiente rete di spionaggio che era stata in grado di
reperire le informazioni sulle destinazioni dei sommergibili italiani nello
scacchiere, determinando l’intercettazione e distruzione di Galvani e Torricelli, e persino gli specchi caratteristici dei loro ufficiali;
e che la notizia della cattura di documenti sul Galilei fosse stata inventata per “coprire” le vere fonti delle
informazioni (spie come il barista dell’Asmara), che avrebbero potuto essere
ancora utili in futuro, sviando da esse l’attenzione.
D’altra parte, se
così fosse, non si comprende perché la storiografia britannica avrebbe
continuato a mentire ed attribuire tali informazioni a documenti catturati sul Galilei anche dopo la guerra, quando non
c’era più motivo di nascondere l’esistenza di una rete di spie; lo storico
Alberto Santoni, cercando negli archivi britannici (Public Record Office, fondo
ADM 199, cartella 136), trovò documenti che convalidavano la versione della
cattura di materiale segreto sul Galilei
(materiale cifrato ed ordini di operazioni relativi ad altri quattro
sommergibili di Massaua, Galvani
compreso), ed il capitano di corvetta Roselli Lorenzini, comandante del
sommergibile Ammiraglio Cagni, fu
informato dai britannici ad Aden, il 25 novembre 1943 (dopo l’armistizio,
quando Italia e Regno Unito non erano più nemici), che nel 1940 il Galilei era stato rimorchiato in quel porto
“con conseguente cattura dei cifrari”.
Il 24 giugno 1950,
nel decimo anniversario dell’affondamento del Galvani, un gruppo di lavoratori italiani in Arabia Saudita,
esaudendo una richiesta inviata da una delle madri dei 26 uomini affondati con
il sommergibile, commemorò i caduti lanciando due corone di fiori (una a nome
delle madri e dei parenti dei marinai scomparsi, l’altra della Comunità
Italiana d’Arabia) nel Golfo Persico, nel punto in cui era affondato il
sommergibile.
Il 15 dicembre 1988 i
cacciamine italiani Cedro e Castagno, di ritorno in Italia a
conclusione dell’Operazione "Golfo 1" per la tutela al traffico
mercantile nel Golfo Persico (minacciato dalla guerra Iran-Iraq), tennero una
cerimonia commemorativa per i caduti del Galvani,
nel momento del passaggio nelle acque dove 48 anni prima era affondato il
sommergibile.
Nel 2010 il relitto
del Galvani, che si presume giacere
ad una profondità di un centinaio di metri, è stato l’obiettivo di una
spedizione di ricerca da parte del Desert Sports Diving Club di Al Quoz (Dubai,
Emirati Arabi Uniti), guidata da William Leeman. Pur avvalendosi delle
coordinate fornite dall’Ufficio Idrografico di Londra, la spedizione – la prima
mai organizzata per localizzare il Galvani
– non è riuscita a trovare il relitto.
La motivazione della
Medaglia d’Oro al Valor Militare conferita alla memoria del secondo capo
silurista Pietro Venuti, nato a Codroipo (Udine) il 10 giugno 1912:
“Di guardia in camera
di lancio addietro di Sommergibile che nel corso di ardua missione di guerra in
mari lontani dalla Patria, veniva improvvisamente attaccato, in fase di
immersione, da preponderanti forze di superficie avversarie, si distingueva per
bravura e coraggio.
Danneggiata irreparabilmente la zona poppiera da colpo di cannone che apriva
una pericolosa via d'acqua nel locale a lui affidato, anziché cercare la
propria salvezza, consapevole di votarsi a morte certa, vi si chiudeva
stoicamente, bloccando la porta stagna. Con il suo cosciente, sereno sacrificio
evitava l'improvviso allagamento di tutto il Sommergibile, rendeva possibile la
temporanea emersione del battello ed assicurava la salvezza di gran parte
dell'equipaggio mentre Egli - che alla Patria ed al dovere aveva offerto la
vita - scompariva in mare con l'unità che successivamente si inabissava.
Esempio luminoso di sublimi virtù militari.
Mar Arabico, 24 giugno 1940.”
La motivazione della
Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita alla memoria del capo meccanico
di seconda classe Emanuele Perrone, nato a Gallipoli (Lecce) il 12 febbraio
1902:
“Imbarcato su
sommergibile in missione di guerra, costretto ad emergere per i gravi danni
subiti ad opera di navi avversarie, all’ordine di abbandonare l’unità in
procinto di affondare, si attardava all’interno del sommergibile nel disperato
tentativo di protrarre la galleggiabilità, onde permettere la salvezza
dell’equipaggio. Scompariva in mare nell’adempimento del dovere, sempre
serenamente compiuto. Nobilissimo esempio di elevate virtù militari.
Mare arabico, 24
giugno 1940.”
La motivazione della
Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita alla memoria del capitano del
Genio Navale Aldo Torzuoli, nato a Città di Chiusi (Siena) il 22 novembre 1910:
“Direttore di
macchina di sommergibile in missione di guerra costretto ad emergere per gravi
darmi subiti ad opere avversarie, all’ordine di abbandonare l'unità in procinto
di affondare, si attardava nell'interno del sommergibile nel disperato
tentativo di protrarne le galleggiabilità, onde permettere la salvezza dell'equipaggio.
Scompariua in mare con l’unità nell’adempimento del dovere sempre serenamente
compiuto. Nobilissimo esempio di elevate virtù militari.”
La motivazione della
Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita alla memoria del tenente del
Genio Navale Rodolfo Bassetti, nato a Siena il 17 giugno 1913:
“Sottordine di
macchina su sommergibile in missione di guerra, costretto ad emergere pegravi
danni subiti ad opera di navi avversarie, all’ordine di abbandonare l’unità in
procinto di affondare, si attardava nell'interno del sommergibile nel disperato
tentativo di protrarre la galleggiabilita onde permettere la salvezza
dell’equipaggio. Scompariva in mare con l'unità nell'adempimento del dovere
sempre serenamente compiuto.
Nobilissimo esempio
di elevate virtù militari.
Mar Arabico, 24
giugno 1940.”
La motivazione della
Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita alla memoria del guardiamarina
Piero Gemignani, nato a Rivarolo (Genova) il 9 agosto 1918:
“Ufficiale
imbarcato su sommergibile in missione di guerra, costretto ad emergere per gravi
danni subiti ad opera di navi avversarie, procedeva unitamente ad altro ufficiale
alla distruzione dell'archivio segreto; ritornava poi volontariamente
nell’interno del sommergibile per assicurarsi che nessuna pubblicazione fosse
rimasta a bordo. Scompariva in mare con l’unità nell’adempimento compiuto.
Nobilissimo esempio di elevate virtù militari.
Mar Arabico, 24
giugno 1940.”
La motivazione della
Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita al tenente di vascello Renato
Spano, nato a La Maddalena (Sassari) il 26 luglio 1907:
“Comandante di
sommergibile in missione di guerra attaccato e ripetutamente colpito durante la
manovra di immersione da unità avversarie, con ammirevole calma impartiva
ordini per il disimpegno. Constatato l’impossibilità di prolungare l’immersione
per le irreparabili avarie subite, emergeva con l’intendimento di dar
combattimento in superficie. Resosi impossibile ogni tentativo di reazione, a causa
dell’assetto del battello che stava per inabissarsi, disponeva con pronte
intuizioni ed eccezionale calma per il salvataggio del personale, mentre
l’unità rapidamente affondava.
Esempio di sereno
ardimento e di elevate virtù militari.
Mar Arabico, 24 giugno
1940.”
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al tenente di vascello Antonio
Mondaini:
“Ufficiale
in 2a di sommergibile in missione di guerra, costretto ad emergere per gravi
danni subiti ad opera di navi avversarie, dopo aver provveduto a
salvare con calma
esemplare in torretta parte dell’equipaggio mentre l’unità
stava affondando, si
slanciava sulla coperta già parzialmente sommersa, ed
apriva il portello di
prora permettendo in tal modo la salvezza di gran parte
del personale.
Esempio di freddo,
determinato coraggio e di elevate virtu militari.
Mare Arabico, 24
giugno 1940.”
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al guardiamarina Andrea Car:
“Ufficiale di rotta
su sommergibile in missione di guerra, costretto ad emergere per gravi danni
subiti ad opera di navi avversarie, procedeva alla distruzione dell’archivio
segreto; rientrava all’interno del sommergibile per assicurarsi che nessuna
pubblicazione fosse rimasta a bordo, tornando in coperta pochi istanti prima
che l’unità si inabissasse.
Esempio di sereno
ardimento ed elevato senso del dovere.
Mare Arabico, 24
giugno 1940.”
La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita al tenente del Genio Navale Pasquale Neri:
“Sottordine di macchina su sommergibile in missione di guerra, costretto ad emergere per gravi danni subiti ad opera di navi avversarie, rimaneva fino all'ultimo in camera di manovra nel tentativo di salvataggio dell'unità in procinto di affondare. Esempio di sereno ardimento ed elevato senso del dovere.
Mare Arabico, 24 giugno 1940.”
(Coll. E. Bagnasco via M. Brescia e www.associazione-venus.it) |
Sono contento di aver trovato questo esaudiente articolo sul sommergibile Galvani dove morì mio zio Rosvaldo Giungato.
RispondiEliminami unisco all'approvazione dell'articolo, il fratello di mia nonna materna, che lo ricordava continuamente, era Emanuele Perrone
EliminaFinalmente ho trovato un sito che parla ampiamente del sommergibile Galvani, anni fa feci delle ricerche su internet ma trovai poco o niente. Mio padre, Bruno Martelli silurista del fu uno dei superstiti del sommergibile e mi piacerebbe trovare più informazioni possibili sia sul Galvani che sul suo equipaggio non che sulla prigionia dei superstiti. ringrazio anticipatamente quanti potranno aiutarmi.
RispondiEliminaOrgoglio e rabbia, sono questi i miei sentimenti. Orgoglio perchè da sempre amo la MM e prima la R.M. Rabbia per le tragiche conclusioni già dai primi giorni di guerra.In pratica, in due settimane metà flotta sub in mar Rosso è stata eliminata. Pure mio papà era un marò con base a Massaua/Assab, la sua nave, la Niobe venne autoaffondata con la resa di Massaua. Pazienza.Complimenti per l'articolo. Fra i documenti dell'Archivio Segreto del Vaticano ho trovato una commovente lettera di "ricerca" dei familiari di un componente dell'equipaggio del Galvani. La copio per aggiungere un'altra piccola tessera alle vicende del Galvani.
RispondiEliminaVolume 2
Somm. Galvani
Anna Carrella a Pio XII
(Taranto, 1° ottobre 1944)
A S. S. Pio XII Città del Vaticano Roma
Sono la piccola Carrella Anna di anni 12 che mi rivolgo a S.S. per una supplica e spero che grazia mi sia concessa dalla S.S.
Ho mio padre prigioniero dal giugno 1940, maresciallo della regia Marina, egli era imbarcato sul sommergibile Galvani di base a Massaua (Eritrea) si chiama Carrella Gennaro fu Angelo prima prigioniero in India ora nel campo n. 49 Gran Bretagna. Durante i primi mesi di prigionia di mio padre, dietro notizie ricevute dal ministero della Marina (dopo lunghe e continue richieste) fu comunicato che era disperso e contemporaneamente facevano le condoglianze. Nell’apprendere la triste notizia la mia povera madre fu colpita da un attacco cardiaco e dopo due mesi di degenza a letto morì. Sono rimasta orfana, malaticcia, povera senza i miei genitori non posso vivere. Mi trovo con una zia ma lei non possiede nulla, ho una sorellina adottiva di nove anni e tutte e tre viviamo nella più squallida miseria senza indumenti e col misero assegno mensile di £. 1,5. La grazia che vorrei è che rimpatriasse mio padre, poiché penso di non riabbracciarlo mai più, sono ammalata di polmonite e non ho mezzi per curarmi, se ricado nel mio male io morirò. Prego giorno e notte il buon Dio, ma fino ad oggi nessuna grazia ancora.
S.S. Padre Lei che è fra noi ascolta la voce di una povera e tenera orfanella e faccia del tutto per ridarmi l’affetto del mio povero padre.
Grazie aspetto da lei S.S. Padre, Le bacio la mano e Le chiedo la S. Benedizione.
Carrella Anna di Gennaro
[Uff. Inf. Vat., 489, lista 9/2]
Una vicenda molto triste...
EliminaComplimenti all'autore dell'articolo. Aggiungo una toccante lettera indirizzata al Papa Pio XII.Volume 2
RispondiEliminaSomm. Galvani
Anna Carrella a Pio XII
(Taranto, 1° ottobre 1944)
A S. S. Pio XII Città del Vaticano Roma
Sono la piccola Carrella Anna di anni 12 che mi rivolgo a S.S. per una supplica e spero che grazia mi sia concessa dalla S.S.
Ho mio padre prigioniero dal giugno 1940, maresciallo della regia Marina, egli era imbarcato sul sommergibile Galvani di base a Massaua (Eritrea) si chiama Carrella Gennaro fu Angelo prima prigioniero in India ora nel campo n. 49 Gran Bretagna. Durante i primi mesi di prigionia di mio padre, dietro notizie ricevute dal ministero della Marina (dopo lunghe e continue richieste) fu comunicato che era disperso e contemporaneamente facevano le condoglianze. Nell’apprendere la triste notizia la mia povera madre fu colpita da un attacco cardiaco e dopo due mesi di degenza a letto morì. Sono rimasta orfana, malaticcia, povera senza i miei genitori non posso vivere. Mi trovo con una zia ma lei non possiede nulla, ho una sorellina adottiva di nove anni e tutte e tre viviamo nella più squallida miseria senza indumenti e col misero assegno mensile di £. 1,5. La grazia che vorrei è che rimpatriasse mio padre, poiché penso di non riabbracciarlo mai più, sono ammalata di polmonite e non ho mezzi per curarmi, se ricado nel mio male io morirò. Prego giorno e notte il buon Dio, ma fino ad oggi nessuna grazia ancora.
S.S. Padre Lei che è fra noi ascolta la voce di una povera e tenera orfanella e faccia del tutto per ridarmi l’affetto del mio povero padre.
Grazie aspetto da lei S.S. Padre, Le bacio la mano e Le chiedo la S. Benedizione.
Carrella Anna di Gennaro
[Uff. Inf. Vat., 489, lista 9/2]
Bsera. Potrei sapere la data esatta di assegnazione, nel 1939, del Galvani alla Flottiglia di Massaua?
RispondiEliminaPurtroppo non la conosco, altrimenti l'avrei indicata nel testo...
EliminaDi tutta questa vicenda la storia riporterà nX sommergibili affondati. Con dispiacere ma è e sarà sempre così
RispondiElimina
RispondiEliminaCome si fa per poter mettere una foto?
Buongiorno,
Eliminapuò inviarmela a lorcol94@gmail.com, sarò felice di inserirla nella pagina.
RispondiEliminavorrei poter mettere delle foto
Innanzi tutto grazie per aver postato la mia foto. Vorrei sapere se ci sono perenti prossimi dei marinai che formarono l'equipaggio del Galvani che seguono questa pagina. Cosi da poter entrare in contatto con loro e poter avere notizie e soprattutto foto dei marinai stessi.
RispondiEliminaC'è qualcuno che ha lasciato commenti più in alto, ma purtroppo non dispongo dei loro dati di contatto...
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