Il Da Mosto in uscita da Taranto tra il 1932 e il 1938 (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net) |
Cacciatorpediniere,
già esploratore, della classe Navigatori (dislocamento standard 2125
tonnellate, 2760 in carico normale, 2880 a pieno carico). Compì in guerra 79
missioni, percorrendo in tutto 23.531 miglia e trascorrendo 1440 ore in mare.
Breve e parziale cronologia.
22 agosto 1928
Impostazione nei
Cantieri del Quarnaro di Fiume.
1° luglio 1929
Varo nei Cantieri del
Quarnaro di Fiume. Il nome originario è Alvise
Ca Da Mosto, poi cambiato in Alvise Da Mosto il 12 giugno 1930.
Durante le prove di
collaudo riuscirà a toccare una velocità di 42,7 nodi, la maggiore della sua
classe.
15 marzo 1931
Entra in servizio
classificato come esploratore. È la penultima unità della sua classe ad entrare
in servizio: grazie a ciò, sia il Da
Mosto che l’ultima unità della classe (l’Antonio Pigafetta) entreranno in servizio già beneficiando delle
prime modifiche per migliorare la stabilità (cioè con le sovrastrutture
alleggerite ed abbassate: la plancia viene modificata ed abbassata, le due
gambe laterali dell’albero a tripode vengono eliminate e così pure i depositi
di carburante sopra la linea di galleggiamento, così però riducendo la capacità
complessiva di serbatoi di oltre 100 tonnellate, e conseguentemente anche
l’autonomia).
4 ottobre 1931
Da Mosto, Pigafetta ed i
gemelli Giovanni Da Verrazzano e Nicolò Zeno ricevono la bandiera di
combattimento a Venezia. Le bandiere sono donate dalle città natali dei
navigatori eponimi: per il Da Mosto,
proprio Venezia.
Negli anni successivi
il Da Mosto parteciperà a normale
attività di squadra, compiendo una crociera di rappresentanza nell’America
meridionale (insieme al gemello Emanuele
Pessagno).
2 ottobre 1936
Il Da Mosto (capitano di fregata Angelo Varoli Piazza) ed il gemello Antonio Pigafetta (capitano di vascello Giuseppe Bestagno), inquadrati nella II Squadriglia Esploratori della 1a Squadra Navale, salpano da La Spezia per sostituire i gemelli Nicoloso Da Recco e Leone Pancaldo come stazionari a Tangeri durante la guerra civile spagnola.
4 ottobre 1936
Da Mosto e Pancaldo arrivano a Tangeri.
5 ottobre 1936
Il Da Mosto, con la copertura a distanza dell’incrociatore leggero Alberico Da Barbiano, compie un’uscita da Tangeri per scortare nello stretto di Gibilterra il transatlantico Saturnia, proveniente da Napoli e diretto a New York.
Il servizio di scorta ai transatlantici in navigazione nello stretto di Gibilterra è stato istituito in seguito al calo di flussi di passeggeri seguito allo scoppio della guerra civile spagnola: temendo che durante l’attraversamento delle acque dello Stretto le navi possano essere coinvolte in combattimenti aeronavali tra repubblicani e nazionalisti, molti viaggiatori preferiscono imbarcarsi sui transatlantici che partono dai porti atlantici della Francia.
8 ottobre 1936
Di nuovo con la copertura a distanza del Da Barbiano, il Da Mosto scorta attraverso lo stretto di Gibilterra il transatlantico Rex, proveniente da New York e diretto a Napoli e Genova.
15 ottobre 1936
Sempre con la copertura a distanza del Da Barbiano, il Da Mosto scorta nello stretto di Gibilterra il transatlantico Conte di Savoia, in navigazione da New York a Napoli e Genova.
18 ottobre 1936
Ancora una volta con la copertura a distanza del Da Barbiano, il Da Mosto scorta nello stretto di Gibilterra il transatlantico Duilio, in navigazione da Genova a Durban.
31 ottobre 1936
Il Da Mosto scorta fuori dallo stretto di Gibilterra il trasporto Aniene, in navigazione da La Spezia a Siviglia con a bordo un reparto di avieri italiani (sotto false generalità) inviati ad assistere i nazionalisti di Franco («Operazione Militare in Spagna»).
Il Da Mosto (capitano di fregata Angelo Varoli Piazza) ed il gemello Antonio Pigafetta (capitano di vascello Giuseppe Bestagno), inquadrati nella II Squadriglia Esploratori della 1a Squadra Navale, salpano da La Spezia per sostituire i gemelli Nicoloso Da Recco e Leone Pancaldo come stazionari a Tangeri durante la guerra civile spagnola.
4 ottobre 1936
Da Mosto e Pancaldo arrivano a Tangeri.
Il Da Mosto, con la copertura a distanza dell’incrociatore leggero Alberico Da Barbiano, compie un’uscita da Tangeri per scortare nello stretto di Gibilterra il transatlantico Saturnia, proveniente da Napoli e diretto a New York.
Il servizio di scorta ai transatlantici in navigazione nello stretto di Gibilterra è stato istituito in seguito al calo di flussi di passeggeri seguito allo scoppio della guerra civile spagnola: temendo che durante l’attraversamento delle acque dello Stretto le navi possano essere coinvolte in combattimenti aeronavali tra repubblicani e nazionalisti, molti viaggiatori preferiscono imbarcarsi sui transatlantici che partono dai porti atlantici della Francia.
8 ottobre 1936
Di nuovo con la copertura a distanza del Da Barbiano, il Da Mosto scorta attraverso lo stretto di Gibilterra il transatlantico Rex, proveniente da New York e diretto a Napoli e Genova.
15 ottobre 1936
Sempre con la copertura a distanza del Da Barbiano, il Da Mosto scorta nello stretto di Gibilterra il transatlantico Conte di Savoia, in navigazione da New York a Napoli e Genova.
18 ottobre 1936
Ancora una volta con la copertura a distanza del Da Barbiano, il Da Mosto scorta nello stretto di Gibilterra il transatlantico Duilio, in navigazione da Genova a Durban.
31 ottobre 1936
Il Da Mosto scorta fuori dallo stretto di Gibilterra il trasporto Aniene, in navigazione da La Spezia a Siviglia con a bordo un reparto di avieri italiani (sotto false generalità) inviati ad assistere i nazionalisti di Franco («Operazione Militare in Spagna»).
L’Alvise Da Mosto a Taranto negli anni Trenta (Coll. Guido Alfano via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
Il Da Mosto, insieme al gemello Giovanni Da Verrazzano (il Pigafetta è rientrato in Italia a inizio mese), passa alle dipendenze del neocostituito "Gruppo Navale italiano nei porti prossimi allo Stretto", al comando del contrammiraglio Alberto Marenco di Moriondo che ha la sua insegna sul vecchio esploratore Quarto, con base a Tangeri.
A fine mese le tre navi verranno rilevate dall’esploratore Aquila e dalla torpediniera Audace.
19-21 novembre 1936
Altra uscita da Tangeri, stavolta per scortare attraverso lo stretto di Gibilterra un piroscafo da carico, l’Ernani (noleggiato dalla Regia Marina e posto al comando del tenente di vascello Francesco Murzi), proveniente da La Spezia, da dov’è partito il 16 novembre, e diretto a Cadice e Siviglia (per altra versione, probabilmente erronea, Lisbona) con un carico di rifornimenti per le forze aeree italiane operanti in appoggio alle truppe nazionaliste spagnole (dodici caccia FIAT CR. 42, bombe, mitragliatrici, 14 motori per aereo FIAT ed altro materiale di ricambio), oltre a tubi da caldaia destinati all’incrociatore Almirante Cervera della Marina nazionalista. L’Ernani raggiunge Cadice il 21 novembre; da qui, sbarcata parte del carico, proseguirà da solo per Siviglia dove sbarcherà il resto del materiale.
27 novembre 1936
Il Da Mosto lascia Tangeri per fare ritorno in Italia.
3 dicembre 1936
Arriva a La Spezia.
7 febbraio 1937
Il Da Mosto, dislocato a Palma di Maiorca, si reca incontro ad un convoglio in arrivo dall’Italia e formato dalla nave cisterna Persiano (sotto il nome fittizio di Consolata), dalla piccola nave cisterna per acqua Teodolinda e dalla bettolina per nafta G.R. 254, inviate a Palma per essere adibite al rifornimento di acqua e di nafta delle navi da guerra nazionaliste ed italiane ivi stanziate. Ne assume quindi la scorta fino all’arrivo in porto.
Aprile-Maggio 1937
In seguito ad un accordo internazionale per il non intervento nella guerra civile spagnola, stipulato l’8 marzo 1937 da 27 Paesi (tra cui Italia, Germania, Francia, Regno Unito, Unione Sovietica e tutti i Paesi europei ad eccezione della Svizzera) al fine di impedire l’afflusso di rifornimenti militari alle due fazioni in lotta, il Da Mosto è tra le unità scelte per pattugliare le acque del Mediterraneo occidentale al fine di garantire il rispetto degli accordi e contrastare il contrabbando di materiale militare verso la Spagna.
Il piano di controllo internazionale delineato dagli accordi dell’8 marzo prevede per la parte marittima che vengano condotte ispezioni nei porti di partenza delle navi dirette in Spagna, e che sulle navi stesse imbarchino con funzioni di controllo osservatori esteri facenti parte del Comitato di Non Intervento, costituitosi nel settembre 1936; le acque attorno alla Spagna dovranno inoltre essere pattugliate da unità navali delle nazioni aderenti al Comitato, con lo scopo di impedire alle navi mercantili che rifiutassero i controlli e l’imbarco degli osservatori di raggiungere la Spagna. Il sistema di controllo marittimo, entrato in vigore il 20 aprile 1937, prevede che i mercantili dei Paesi aderenti diretti in Spagna siano dirottati in alcuni porti convenuti delle principali potenze aderenti (Dover, Downs, Cherbourg, Brest, Le Verdon, Lisbona, Madera, Gibilterra, Orano, Cette, Marsiglia, Palermo) dove imbarcheranno un osservatore internazionale quale controllore e garante della liceità del carico. Entro una fascia compresa tra le tre e le dieci miglia dalla costa spagnola potranno essere fermati da unità delle Marine italiana, francese, tedesca e britannica, al fine di verificare la presenza a bordo dell’osservatore internazionale; le quattro Marine si dividono le zone di competenza, che per quella italiana comprende le acque tra il confine franco-spagnolo (costa mediterranea), Capo Oropesa e Minorca, per quella tedesca quelle tra Cabo de Gata e Capo Oropesa, per quella britannica quelle tra il confine franco-spagnolo (costa atlantica) e Capo Buso e tra quello ispano-portoghese e Cabo de Gata, e per quella francese quelle tra Capo Buso ed il confine settentrionale ispano-portoghese e quelle tra Maiorca, Ibiza ed il Marocco spagnolo. Saranno escluse dai controlli le navi spagnole, sia repubblicane che nazionaliste, e quelle di Paesi non aderenti all’accordo.
Di fatto questo sistema danneggerà prevalentemente i repubblicani, che si ritroveranno sostanzialmente sottoposti ad embargo, mentre i nazionalisti continueranno a ricevere clandestinamente aiuto da parte di Italia e Germania, formalmente aderenti all’accordo di non intervento ma di fatto aperte sostenitrici della fazione nazionalista.
La Marina italiana adibisce ai controlli la VI Divisione dell’ammiraglio Alberto Marenco di Moriondo, dislocata a Palma di Maiorca, e divide la sua zona di controllo in quattro sotto-zone: la prima compresa tra il confine franco-spagnolo ed il meridiano di Capo Tessa, la seconda tra tale meridiano e quello di Geltru, la terza tra quest’ultimo meridiano ed il parallelo di Oropesa, e la quarta costituita dalle acque attorno a Minorca. Partecipano ai pattugliamenti di controllo il Da Mosto, il gemello Leone Pancaldo, l’esploratore Quarto (nave ammiraglia di Marenco di Moriondo), gli esploratori leggeri Aquila e Carlo Mirabello, i cacciatorpediniere Francesco Nullo e Daniele Manin e gli incrociatori ausiliari Adriatico e Barletta.
Il dispositivo italiano è così articolato: Adriatico e Barletta, le unità meno armate e con maggiore autonomia, si alternano nella I Zona, la più distante dalla base nonché quella dove meno probabile è l’incontro con unità da guerra della Marina repubblicana spagnola; un cacciatorpediniere si mantiene in servizio di controllo lungo la costa spagnola non più di 40 miglia a sudovest dell’incrociatore ausiliario di servizio nella I Zona, in modo da poter prontamente intervenire in suo aiuto se questi venisse attaccato; un altro cacciatorpediniere pattuglia le acque attorno a Minorca; altre due unità si tengono pronte a muovere a turno, due pronte alla successiva missione od in trasferimento, ed una in riserva. Un’unità tra Quarto e Da Mosto deve sempre essere in porto a Palma, dovendo assicurare il collegamento con la stazione radio e con le autorità locali. Il dispositivo navale è integrato dalla ricognizione aerea e dal servizio informazioni e decrittazione della base di Palma, avente lo scopo di mantenere sotto controllo le navi repubblicane onde poter, se necessario, inviare uno dei cacciatorpediniere attivi nella II e III Zona in appoggio all’incrociatore ausiliario di turno.
23 aprile 1937
Il Da Mosto (capitano di fregata Carlo Margottini) prende il mare per la sua prima missione di pattugliamento nell’ambito del dispositivo di controllo sul non intervento.
25 aprile 1937
Durante la mattina ferma il piroscafo francese Soliner, non segnalato dalle autorità, diretto ad Alicante e non in regola. Il comandante del piroscafo dichiara di essere carico di viveri ma sprovvisto di documenti, e di non avere l’autonomia necessaria a rientrare a Cette; viene quindi lasciato proseguire, ma venendo segnalato al Ministero degli Esteri.
Più tardi, a mezzogiorno, ferma il piroscafo britannico Springwear, segnalato da Londra il 22 aprile come in partenza da Gibilterra e diretto a Barcellona. Avendo riscontrato che tutto è in regola, viene lasciato proseguire.
27 aprile 1937
Rientra alla base.
28 aprile 1937
Prende il mare per una seconda missione di pattugliamento, al comando del capitano di fregata Carlo Margottini.
29 aprile 1937
Rientra alla base.
9 maggio 1937
Salpa da Palma di Maiorca per la terza missione di pattugliamento, sempre al comando del capitano di fregata Carlo Margottini.
All’inizio della missione incrocia al largo di Barcellona a protezione di una missione della nave posacavi Città di Milano, inviata a tagliare i cavi telegrafici sottomarini Anzio-Barcellona e Barcellona-Malaga della società Italcable per poi riallacciare i due tronconi in un’unica tratta Anzio-Malaga, onde ripristinare il collegamento telegrafico tra l’Italia, la Spagna e l’America Latina evitando il territorio controllato dai repubblicani (Barcellona è in mano repubblicana, mentre Malaga è stata conquistata dai nazionalisti nel precedente febbraio). Il Da Mosto, con la sua crociera, deve proteggere la Città di Milano – che fruisce della scorta diretta del suo gemello Leone Pancaldo – contro un eventuale intervento navale repubblicano, che però non ci sarà. La posacavi porta regolarmente a termine la sua missione in un solo giorno di lavoro, dopo di che il Da Mosto passa al pattugliamento anticontrabbando.
11 maggio 1937
Alle 18.10 il Da Mosto ferma il piroscafo olandese Telamon, diretto a Barcellona, che viene lasciato proseguire avendo il controllore a bordo.
12 maggio 1937
Alle 7.20 ferma il piroscafo francese Iméréthie II, in navigazione da Marsiglia a Barcellona, che viene lasciato proseguire in quanto provvisto di controllore.
13 maggio 1937
Alle 00.30 ferma il piroscafo britannico Essex Envoy, in navigazione da Orano a Barcellona, anch’esso con controllore a bordo; lo lascia dunque proseguire.
14 maggio 1937
Rientra alla base, concludendo così la missione.
21 maggio 1937
Al comando del capitano di fregata Umberto Salvatori, il Da Mosto salpa per la sua quarta ed ultima missione di pattugliamento anticontrabbando in acque spagnole.
22 maggio 1937
Ferma alle 15.50 il piroscafo britannico Dover Abbey, proveniente da Barcellona e diretto a St. Louis du Rhone, con controllore a bordo. Viene lasciato proseguire.
26 maggio 1937
Conclude la missione rientrando alla base.
Il sottotenente di vascello Arnolfo Ciampini a bordo del Da Mosto (g.c. Alberto Villa) |
1938
Declassato a cacciatorpediniere,
entra a far parte della XV Squadriglia Cacciatorpediniere. Rimane dislocato a
Tangeri per poco tempo, poi viene adibito a ruoli addestrativi.
16 aprile-2 agosto 1940
Secondo ciclo di
lavori di grande modifica dello scafo, che comportano l’allargamento di un
metro dello scafo e modifiche alla prua, effettuati nell’Arsenale di La Spezia.
Contestualmente viene potenziato l’armamento.
10 giugno 1940
All’ingresso
dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il Da Mosto (in realtà ancora ai lavori) forma in teoria, insieme ai
gemelli Antonio Pigafetta, Giovanni Da Verrazzano, Lanzerotto Malocello e Nicolò Zeno, la XV Squadriglia
Cacciatorpediniere, alle dipendenze della IX Divisione Navale.
Inizio agosto 1940
Terminati i lavori,
torna a far parte della XV Squadriglia Cacciatorpediniere, di base a Brindisi
ed assegnata alla VIII Divisione Navale.
Fino alla primavera
del 1941 parteciperà ad intensa attività di squadra, con missioni di ricerca
del nemico, posa di mine, caccia antisommergibile e bombardamento contro costa,
questi ultimi in Albania per supportare le truppe italiane impegnate nella
campagna di Grecia.
Dopo la primavera del
1941 opererà quasi esclusivamente in compiti di scorta convogli diretti in
Libia nonché posa di mine.
1-2 settembre 1940
Partecipa all’uscita
in mare della flotta a contrasto dell’operazione britannica «Hats». La XV
Squadriglia cui appartiene (con Pigafetta,
Da Verrazzano e Zeno) parte da Taranto alle sei del mattino del 31 agosto insieme
alla IX Divisione (corazzate Littorio,
nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Inigo Campioni, e Vittorio Veneto), alla V Divisione
(corazzate Duilio, Conte di Cavour e Giulio Cesare, quest’ultima
aggregatasi solo il 1° settembre a causa di avarie), alla I Divisione
(incrociatori pesanti Zara, Pola, Fiume e Gorizia),
all’VIII Divisione (incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) ed ad alle Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia, Dardo, Saetta, Strale), VIII (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno), X (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), XIII
(Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino) e XVI (Nicoloso Da Recco, Emanuele
Pessagno, Antoniotto Usodimare).
Complessivamente all’alba del 31 prendono il mare da Taranto, Brindisi e
Messina 4 corazzate, 13 incrociatori della I, III, VII e VIII Divisione e 39
cacciatorpediniere. Alle 22.30 la formazione italiana, che procede a 20 nodi,
riceve l’ordine di impegnare le forze nemiche lungo la rotta 155°, a nord della
congiungente Malta-Zante, dunque deve cambiare la propria rotta per
raggiungerle (o non potrebbe prendere contatto con esse), dirigendo più verso
sudovest (verso Malta) e superando la congiungente Malta-Zante. Il mattino del
1° settembre, tuttavia, il vento, già in aumento dalla sera precedente, dà origine
ad una violenta burrasca da nordovest forza 9, che verso le 13 costringe la
flotta italiana a tornare alle basi, perché i cacciatorpediniere non sono in
grado di tenere il mare compatibilmente con le necessità operative (non potendo
restare in formazione né usare l’armamento). Poco dopo la mezzanotte del 1°
settembre le unità italiane entrano nelle rispettive basi; tutti i
cacciatorpediniere sono stati danneggiati (specie alle sovrastrutture) dal mare
mosso, alcuni hanno perso degli uomini in mare. Le navi verranno tenute pronte
a muovere sino al pomeriggio del 3 settembre, ma non si concretizzerà alcuna
nuova occasione.
29 settembre-1° ottobre 1940
Lascia Taranto la
sera del 29 settembre, insieme al gemello Da
Verrazzano nonché all’incrociatore pesante Pola, alle Divisioni I (incrociatori pesanti Zara, Fiume, Gorizia), V (corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour), VII (incrociatori leggeri Muzio Attendolo e Raimondo
Montecuccoli, da Brindisi), VIII (incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi e Luigi di
Savoia Duca degli Abruzzi) e IX (corazzate Littorio e Vittorio Veneto)
e le Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Dardo,
Saetta, Strale), X (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), XIII
(Granatiere, Bersagliere, Alpino) e
XVI (Pessagno, Usodimare) (il Pola con
la I Divisione e 4 cacciatorpediniere partono alle 18.05 e le altre unità alle
19.30) e da Messina la III Divisione con 4 cacciatorpediniere per contrastare
un’operazione britannica in corso, la «MB. 5». La formazione uscita da Taranto
assume rotta 160° e velocità 18 nodi, riunendosi con le navi provenienti da
Messina alle 7.30 del 30 settembre. In mancanza di elementi sufficienti ad
apprezzare la composizione ed i movimenti della Mediterranean Fleet ed in
considerazione dello svilupparsi di una burrasca da Scirocco (che avrebbe reso impossibile una navigazione ad alta
velocità verso sud da parte dei cacciatorpediniere) Supermarina decide di
rinunciare a contrastare l’operazione ed ordina alle unità in mare di invertire
la rotta alle 6.25 del 30 ed incrociare dapprima tra i paralleli 37° e 38°, poi
(dalle 10.30) 38° e 39° ed alle 14 fare rotta verso sudovest sino a raggiungere
il 37° parallelo, poi, alle 17.20, di rientrare alle basi. Navigando nella
burrasca, la flotta italiana raggiunge le basi tra l’una e le quattro del
mattino del 1° ottobre, vi si rifornisce in fretta e rimane in attesa di
un’eventuale nuova uscita per riprendere il contrasto, ma in base alle nuove
informazioni ottenute ciò risulterà impossibile, pertanto, alle 14.00 del 2
ottobre, le navi riceveranno l’ordine di spegnere le caldaie.
8 dicembre 1940
Alle 17.30 il Da Mosto salpa da Bengasi per scortare ad Ain-el-Gazala il piroscafo Promontore.
10 dicembre 1940
Le due navi giungono ad Ain-el-Gazala alle 9.30.
18 aprile 1941
Tra le 20 e 24 il Da Mosto (capitano di fregata
Ollandini), ormeggiato alla banchina Sussitenza del porto di Taranto, imbarca
con le proprie gruette le mine che dovrà posare nell’operazione di posa della
prima tratta («S 11») della prima spezzata («S 1», che si estenderà dal punto
37°00’ N e 11°08’ E al punto 37°27’ N e 11°17’ E) del campo minato «S». Sul Da Mosto vengono caricate 122 boe
strappanti.
19 aprile 1941
Le navi incaricate
dell’operazione – il Da Mosto, i
gemelli Nicoloso Da Recco (capitano
di vascello Muffone, caposquadriglia della XVI Squadriglia Cacciatorpediniere),
Giovanni Da Verrazzano (capitano di
fregata Avelardi), Emanuele Pessagno
(capitano di fregata Scammacca), Antonio
Pigafetta (capitano di vascello Mezzadra, caposquadriglia della XV
Squadriglia Cacciatorpediniere) e Nicolò
Zeno (capitano di fregata Piscicelli) e gli incrociatori leggeri Raimondo Montecuccoli (capitano di
vascello Solari), Eugenio di Savoia
(capitano di vascello Lubrano, nave di bandiera dell’ammiraglio Casardi), Muzio Attendolo (capitano di vascello
Conti) ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta
(capitano di vascello Rogadeo) della VII Divisione – iniziano a muovere alle
2.50. Alle 3.55 al formazione supera le ostruzioni foranee: in testa Da Recco, Pigafetta, Pessagno e Zeno, adibiti alla scorta, poi i quattro
incrociatori ed infine Da Mosto e Da Verrazzano in posizione di scorta
arretrata notturna (mentre di giorno saranno in posizione di scorta laterale a
dritta ed a sinistra). Le mine sistemate sulla coperta delle navi sono
occultate con sferzi mimetizzati con strisce bianche; si pone grande attenzione
nel non fare fumo, per non essere avvistati da aerei avversari. La formazione,
al comando dell’ammiraglio di divisione Ferdinando Casardi, prosegue tenendosi
al largo della costa, zigzagando nello stretto di Messina.
20 aprile 1941
Alle 3.50, ad ovest
di Trapani, la formazione s’imbatte in una petroliera isolata che procede
oscurata verso nord; la nave defila lungo gli incrociatori e poi accosta a
sinistra, passando tra Da Mosto e Da Verrazzano, così vicino da
costringere quest’ultimo a compiere una manovra d’emergenza per non entrare in
collisione. Alle 6 le navi italiane riducono la velocità a 14 nodi; a causa della
scarsa visibilità, l’ammiraglio Casardi decide di proseguire a velocità ridota
in attesa di migliori condizioni, tali almeno da riconoscere la costa, prima di
procedere alla posa delle mine, a costo di ritardarla. Alle 6.27, sette minuti
dopo l’arrivo di un idrovolante che funge da scorta antisommergibile (i caccia
previsti non decolleranno invece da Pantelleria a causa della foschia), è
possibile riportare la velocità a 18 nodi, ed alle 6.52 le navi incaricate
della posa (cioè il Da Mosto, il Da Verrazzano e gli incrociatori)
iniziano la manovra per disporsi in linea di fronte, con distanza di 300 metri
tra gli incrociatori e 200 tra gli incrociatori ed i cacciatorpediniere,
posizionati sui lati esterni. Tra le 7.07 e le 7.41 viene eseguita la posa
delle mine, che si svolge senza particolari problemi esclusa l’esplosione
prematura di 22 ordigni. Il Da Mosto,
che occupa la fila esterna sinistra (andando verso dritta ci sono nell’ordine
l’Eugenio di Savoia che posa 124 boe
esplosive e 37 mine ad antenna, il Montecuccoli
ed il Duca d’Aosta che posano
ciascuno 112 mine ad antenna, l’Attendolo
che posa 124 boe esplosive e 37 mine ad antenna ed infine il Da Verrazzano che posa 122 boe
strappanti; le file, dal Da Mosto al Da Verrazzano, sono denominate in ordine
da «A» a «F») posa le sue 122 boe strappanti (regolate per tre metri di
profondità e sfalsate rispetto a quelle esplosive della fila «B» dell’Eugenio di Savoia) ad intervalli di 60
metri su una lunghezza di quattro miglia. Terminata la posa, eseguita a 14 nodi,
Da Mosto e Da Verrazzano accelerano gradualmente a 18 nodi ed accostano di 30°
in fuori per poi assumere la posizione di scorta laterale.
Alle 7.52 la
formazione inizia la navigazione di ritorno.
Alle 9.25 il Da Mosto, che occupa la posizione «C»
sulla dritta, avvista una mina alla deriva nel punto 37°41’ N e 11°34’ E e le
spara contro 576 proiettili da 13,2 mm, sino ad affondarla. Alle 9.51 il Pessagno dà l’allarme per sommergibile
avvistato sulla dritta; mentre questi lancia tredici bombe di profondità, la
formazione esegue un’accostata d’urgenza di 50° a sinistra, per poi tornare
sulla rotta originaria una volta a distanza di sicurezza dal presunto
avvistamento. Il Da Mosto, essendo
rimasto indietro per affondare la mina, non può partecipare all’azione
antisommergibile.
Alle 10.35 vi è un
nuovo allarme antisom: il Pigafetta
avvisa la scia di un siluro, dà l’allarme e piomba sul sommergibile attaccante
insieme allo Zeno. Pigafetta e Zeno lanciano rispettivamente 9 e 4 bombe di profondità, fino alla
comparsa di grosse chiazze di nafta.
Alle 10.50
l’ammiraglio Casardi, in base agli ordini prestabiliti, ordina a Da Mosto e Da Verrazzano di raggiungere Trapani per rifornirsi e poi aspettare
nuovi ordini. Casardi ne approfitta anche per evitare di trasmettere via radio
il lungo messaggio cifrato in cui descrive l’operazione: lo trasmette al Da Mosto e gli ordina di inoltrarlo via
filo quando arriverà a Trapani.
Sullo sbarramento «S
11» andranno perduti il piroscafo francese S.N.A.
7 (27 aprile 1941), i piroscafi britannici Parracombe (2 maggio 1941) ed Empire
Song (9 maggio 1941) e probabilmente il sommergibile britannico Usk (forse intorno al 2 maggio 1941).
23 aprile 1941
Da Mosto e Da Verrazzano,
ormeggiati alle boe nel porto di Trapani, iniziano alle 8.10 ad imbarcare altre
82 mine ciascuno, nascondendo l’operazione ad occhi indiscreti eventualmente
presenti in città mediante sferzi stesi sulla dritta. L’imbarco deve essere
interrotto e poi ripreso a causa della mancanza di bettoline, e si conclude
alle 15. Alle 23.25 i due cacciatorpediniere lasciano Trapani per effettuare la
posa del secondo tratto («S 12» e «S 13») della prima spezzata («S 1») dello
sbarramento «S».
24 aprile 1941
Da Mosto e Da Verrazzano
raggiungono alle cinque, in mare aperto, il resto della formazione (Duca d’Aosta, Attendolo, Montecuccoli, Eugenio di Savoia scortati da Da Recco, Pigafetta, Pessagno e Zeno), partita da Augusta. Onde evitare
equivoci, i due cacciatorpediniere raggiungono la formazione e, avvistato il
fanale di coronamento della nave di coda, comunicano la loro presenza con gli
apparati radio ad ultracorte prima di avvicinarsi.
Alle 4.27, intanto,
le navi di Casardi sono arrivate in zona; di nuovo la visibilità è mediocre,
pertanto si attende di poter meglio determinare la propria posizione prima di
procedere alla posa. Alle 6.24 sopraggiungono otto caccia, che assumono la
scorta aerea della formazione; alle 6.37 il Pigafetta
avvista una mina, che viene affondata a colpi di mitragliera dallo Zeno. Alle 6.52, migliorata la
visibilità, le navi iniziano a manovrare per portarsi in linea di fronte a
distanza ravvicinata, come previsto, ed alle 7.34 iniziano la posa delle mine.
L’operazione, svoltasi regolarmente, ha termine alle 9. La posa avviene in
linea di fronte con, da sinistra verso dritta, Da Mosto, Da Verrazzano, Eugenio di Savoia, Montecuccoli, Duca d’Aosta
ed Attendolo; la distanza tra le navi
è di 300 metri. Da Mosto e Da Verrazzano posano ciascuno 82 mine ad
antenna (sfalsate e regolate per 3 metri di profondità) ad intervalli di 150
metri su una distanza di 6,6 miglia, mentre gli incrociatori posano 144 mine ad
antenna ciascuno (le file di mine sono denominate, dal Da Mosto all’Attendolo,
da «G» a «N»). Anche in questo caso la posa viene effettuata a 14 nodi dopo di
che Da Mosto e Da Verrazzano accelerano gradualmente a 18 nodi ed accostano di 30°
in fuori per poi assumere la posizione di scorta laterale.
Alle 7.54, però, la
vecchia torpediniera Simone Schiaffino
– cui Casardi ha appena accordato il permesso di lasciare l’area dopo che,
concluso un rastrello antisommergibile preventivo, era rimasta sul posto ad
attendere la VII Divisione come da ordini – urta una delle mine del primo
tratto ed affonda in tre minuti, portando con sé 79 dei 118 uomini
dell’equipaggio. I naufraghi vengono recuperati dallo Zeno.
Dopo la fine della
posa il Montecuccoli, come da ordini
ricevuti da Casardo, viene lasciato libero di proseguire per La Spezia con Da Recco e Pessagno, mentre le altre navi si avviano sulla rotta di rientro.
Alle 9.49 il Duca d’Aosta prima, ed
altre unità poi, avvista ad est un aereo sospetto – forse un ricognitore
britannico – e dà l’allarme; l’ammiraglio Casardi ordina il diradamento della
formazione, che si ricostituisce poco dopo in seguito all’allontanamento del
velivolo. Ad est di Capo Lilibeo, dov’è stato segnalato un sommergibile, la
formazione procede a zig zag e modifica la rotta per passare a non meno di
dieci miglia dal punto dell’avvistamento; nei suoi pressi il Da Mosto, su ordine dell’ammiraglio
Casardi, lancia quattro bombe di profondità a scopo intimidatorio.
25 aprile 1941
Alle 10 la
formazione, giunta presso il punto «A 1» di Taranto, non riesce ad avvistare
punti cospicui della costa a causa della Foschia, così deve invertire la rotta
ed aspettare l’arrivo del battello pilota. Alle 13 le navi riusciranno infine
ad ormeggiarsi a Taranto.
29 aprile 1941
Tra le 20 e le 23.30
il Da Mosto (sempre al comando del
capitano di fregata Ollandini), ormeggiato al pontile della Sussitenza insieme
al gemello Da Verrazzano, imbarca a
mezzo gruette le mine per le linee «d», «e», «f» e «i» del nuovo sbarramento
difensivo «T» al largo di Tripoli. Fanno lo stesso anche gli incrociatori
leggeri Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta e Muzio Attendolo.
30 aprile 1941
La formazione inizia
a muovere alle 4.30, ed alle 5.50 supera le ostruzioni foranee: in testa sono Da Recco (CV Muffone), Pigafetta (CV Mezzadra), Pessagno (CF Scammacca) e Zeno (CV Piscicelli) di scorta, seguiti
da Eugenio di Savoia (CV Lubrano, nave
di bandiera dell’ammiraglio Casardi), Duca
d’Aosta (CV Rogadeo), Attendolo
(CV Conti), Da Mosto e Da Verrazzano (CF Avelardi). Tra le
10.10 e le 11.05, al largo di Capo Colonne, la formazione zigzaga.
Alle 12.45 le navi
entrano in un denso banco di nebbia, che riduce la visibilità a non più do 600
metri, uscendone solo alle 14.20. Alle 15.30 giunge sul cielo della formazione
una scorta di caccia e bombardieri (prima vi erano degli aerei da ricognizione
marittima), che resteranno sino al tramonto; alle 16.05 le navi ricominciano a
zigzagare, proseguendo sino alle 20. Durante la sera, alle 21.05, le unità
italiane assistono in lontananza ad un’incursione aerea su Malta.
1° maggio 1941
La formazione arriva
nella zona stabilita per la posa, ma la densa foschia (visibilità 5-7 km)
complica e ritarda l’individuazione dei punti di riferimento assegnati per
iniziare la posa, finché, alle 10.15, viene avvistato il fumo della
torpediniera Partenope, mandata da
Marilibia a segnare con la sua presenza l’estremità nordoccidentale della linea
«f». Alle 10.22 Da Mosto e Da Verrazzano, ricevuta libertà di
manovra dall’ammiraglio Casardi, lasciano il gruppo, scortati da Pigafetta e Zeno, per compiere la posa della linea «i» (composta da 200 mine
antisommergibile tipo U.M.A. di produzione tedesche, da ormeggiare a 15 metri
di profondità, con intervalli di 100 metri tra ogni mina, e da suddividere in
due file, con le mine sfalsate, distanziate tra loro di 200 metri), che
iniziano alle 11.10 e completano alle 11.38. Intanto gli incrociatori posano,
tra le 10.52 e le 12.27, le linee «f», «e» e «d». Solo cinque mine ad antenna
esplodono prematuramente, evento abbastanza comune durante le pose.
Entro le 13 la
formazione si è di nuovo riunita, e si mette pertanto in rotta per tornare alla
base. Stante la fitta foschia ed il conseguente rischio di attacchi da parte di
navi nemiche, i cacciatorpediniere vengono posizionati a 4000 metri dagli
incrociatori, in posizione di scorta avanzata.
2 maggio 1941
Alle 5.30, in base ad
ordini ricevuti alle 18.30 della sera precedente, l’ammiraglio Casardi distacca
l’Attendolo con Da Recco e Pessagno
perché raggiungano Messina, mentre il resto delle navi entra ad Augusta alle
6.30.
4-5 maggio 1941
Da Mosto, Da Recco, Da Verrazzano, Zeno, Pigafetta, Eugenio di Savoia, Duca d’Aosta ed Attendolo
danno scorta indiretta ad un convoglio salpato da Napoli con le motonavi
passeggeri (in uso come trasporti truppe) Victoria
e Calitea e le motonavi da carico Marco Foscarini, Barbarigo, Ankara, Andrea Gritti e Sebastiano Venier, protette da una scorta diretta costituita dai
cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi, Lanzerotto Malocello ed Antonio Da Noli e dalle torpediniere Orione, Pegaso e Cassiopea.
Il convoglio, benché
localizzato da un sommergibile – che però non attacca – e ripetutamente
attaccato da aerei, arriverà a Tripoli a destinazione senza alcun danno.
Durante la navigazione il Da Mosto avvista e affonda una mina in posizione 34°22'30" N e 14°55' E.
6 maggio 1941
Da Mosto, Da Recco, Da Verrazzano, Pigafetta, Zeno, Eugenio di Savoia, Duca d’Aosta ed Attendolo,
mentre sono in navigazione a 18 nodi ad est della Sicilia, vengono avvistati in
posizione 37°34’ N e 15°27’ E dal sommergibile britannico Unique (tenente di vascello Anthony Foster Collett), che tuttavia,
essendo a nove miglia di distanza, non può attaccare.
1° giugno 1941
In serata, tra le 21
e le 24, il Da Mosto (ormeggiato alla
banchina Scuola Comando), il Da
Verrazzano (ormeggiato alla stessa banchina), l’Eugenio di Savoia, il Duca
d’Aosta e l’Attendolo imbarcano,
come al solito con le proprie gruette, le mine per le nuove linee dello
sbarramento «T».
2 giugno 1941
Alle tre di notte le
navi iniziano a mollare gli ormeggi; due ore dopo i tre incrociatori, il Da Mosto (sempre al comando del capitano
di fregata Ollandini), il Da Verrazzano
(CV Avelardi) ed i gemelli Da Recco
(CV Muffone), Pigafetta (CV Mezzadra)
ed Antoniotto Usodimare (CF
Galleani), in franchia delle rotte di sicurezza, assumono rotta 160° con
velocità di 18 nodi. La navigazione procede con mare calmo e brezza da sub; la
visibilità è buona. Tra le 8 e le 9 e tra le 14 e le 18.14, quando le navi si
trovano a passare vicine alla costa, procedono a zig zag. Alle 18.10 viene
avvistata, a 20.000 metri, la IV Divisione (incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere, nave di
bandiera dell’ammiraglio di divisione Porzio Giovanola, ed Alberto Di Giussano e cacciatorpediniere Scirocco e Vincenzo Gioberti),
che dovrà partecipare anch’essa alla posa, e che alle 18.30 assume la sua
posizione in formazione. Proprio in quel momento, però, il Da Mosto viene colto da un’avaria di macchina, che comunica con
l’apposito segnale; la velocità della formazione, che avrebbe dovuto essere
incrementata a 22 nodi, viene pertanto mantenuta a 18. Il Da Mosto scade rispetto alla formazione, e si constata che vi sono
infiltrazioni di acqua salata nel condensatore della macchina di sinistra,
rendendo così inutilizzabile tale motrice. Dato che il Da Mosto ha a bordo metà delle boe strappanti da posare a
protezione della linea “b”, l’ammiraglio Casardi preferisce non privarsene,
dato che altrimenti la posa ne risulterebbe parzialmente menomata; ma per
evitare che la formazione non si venga a trovare all’alba del 3 e del 4 troppo
lontana dalle coste italiane e così sprovvista di scorta di caccia, è
necessario mantenere una velocità di almeno 20 nodi. Casardi decide quindi di
tenere con sé il Da Mosto fino a posa
avvenuta, se riuscirà a tenere una velocità di 20 nodi, per poi mandarlo a
Tripoli, ed altrimenti di farlo rientrare ad Augusta. Alle 21.55 (25 minuti
dopo che la formazione ha assunto rotta 197°), su ordine dell’ammiraglio
Casardi, il Pigafetta si sposta in
coda alla formazione in prossimità del Da
Mosto, per fornirgli assistenza in caso di necessità e scortarlo ad Augusta
qualora si rendesse necessario. Sul Da
Mosto si verificano seri problemi per l’ebollizione di acqua in caldaia, ma
alla fine la nave comunica di poter procedere a 22 nodi, dunque Casardi decide
di proseguire a 20 nodi.
Alle 22.12 anche lo Scirocco, di scorta avanzata, viene
colto da un’avaria, questa volta al timone, ma riesce a ripararla celermente ed
a tornare in posizione in 40 minuti.
3 giugno 1941
All’alba la
formazione, che a causa dell’avaria del Da
Mosto ha accumulato due ore di ritardo, si ritrova senza scorta aerea,
perché il ghibli e la scarsa visibilità impediscono agli aerei di decollare ed
individuare le navi. Alle 10.05 viene avvistato il fumo emesso dalla
torpediniera Castore per segnalare la
posizione della posa, ed alle 10.37, dopo aver via via ridotto la velocità, le
unità ricevono l’ordine di dividersi nei gruppi stabiliti per la posa. Al Da Mosto, prima di separarsi, vengono
trasmesse otticamente le rotte di sicurezza per l’accesso a Tripoli, mentre
contemporaneamente alla Castore viene
ordinato di pilotare il cacciatorpediniere in avaria nel porto libico quando la
posa sarà conclusa.
Alle 11.06 le unità
del gruppo «Eugenio» (Eugenio di Savoia,
Di Giussano, Bande Nere, Da Mosto e Da Verrazzano; si sono separati Duca d’Aosta, Pigafetta, Gioberti e Scirocco) iniziano a manovrare per
assumere rotta e formazione di posa (per la linea «b», linea di fronte con, da
sinistra, Bande Nere, poi Di Giussano a 300 metri, poi Eugenio di Savoia a 200 metri da
quest’ultimo, quindi Da Mosto a 100
metri da esso); l’Usodimare è colto
da avaria al timone, ma la risolve rapidamente. La posa della linea «b» inizia
alle 11.31 e finisce alle 12.15, quella della linea «c» (posata invece dall’Attendolo e dall’Eugenio di Savoia) comincia alle 12.22 e termina alle 12.51;
entrambe vengono compiute a 10 nodi. Il Da
Mosto posa 116 boe strappanti, dopo di che il Da Verrazzano ne posa altre 95 e 17 esplosive. Bande Nere, Di Giussano
ed Eugenio di Savoia posano
rispettivamente 139 mine ciascuno i primi due e 228 boe esplosive il terzo, che
poi, al pari dell’Attendolo, posa 88
mine ad antenna per la linea «c».
La linea «b»
rappresenta il primo sbarramento di mine multiplo posato da unità italiane,
essendo composto da 4 file, di cui 2 di mine antinave ad antenna (con
intervallo di 100 metri tra ogni ordigno), una di boe esplosive (60 metri tra
ogni boa) ed una di boe strappanti (anch’esse a 60 metri l’una dall’altra), con
le armi sfalsate tra le file. Le due file di mine sono distanziate di 300
metri, quella di boe esplosive è a 200 metri dalla seconda fila di mine e la
fila di boe strappanti è a 200 metri da quest’ultima. Si tratta di uno
sbarramento sostanzialmente indragabile, ma la sua posa richiede grande
coordinazione e precisione.
Alle 13.30, arrivate
le navi del gruppo «Eugenio» nel punto di riunione, il Da Mosto riceve da Casardi l’ordine di raggiungere Tripoli anche
senza farvisi pilotare dalla Castore,
perché tale torpediniera è stata persa di vista (c’è molta foschia e la
visibilità è in calo) e, data la mediocre visibilità, sarebbe difficile
ritrovarla. Così viene fatto.
8 giugno 1941
Alle 14.33 il Da Mosto salpa da Tripoli per scortare a Napoli il piroscafo Capo Orso.
10 giugno 1941
Le due navi giungono a Napoli alle 17.
26 giugno 1941
Salpa da Taranto alle
17.20, insieme a Da Recco, Da Verrazzano, Pessagno, Pigafetta, Duca d’Aosta (nave di bandiera
dell’ammiraglio Casardi) ed Attendolo,
per la posa della seconda spezzata («S 2») dello sbarramento minato offensivo «S»
nel canale di Sicilia. Stavolta il Da Mosto
è di scorta, mentre le mine saranno posate, oltre che dagli incrociatori, da Pigafetta e Pessagno.
27 giugno 1941
Vicino ad Augusta Pessagno e Pigafetta vengono distaccati per recarsi a Trapani, dove
imbarcheranno le loro mine, mentre il Da
Mosto e le altre navi entrano ad Augusta alle sei del mattino. Alle 10.17
viene dato l’allarme aereo, essendo stati avvistati velivoli nemici dalle
stazioni di vedetta meridionali della piazzaforte di Augusta, quindi Casardi,
per non rischiare che le navi siano bombardate in porto con il pericolosissimo
carico di mine a bordo, fa partire la formazione con un’ora di anticipo.
28 giugno 1941
Alle 5.10 Pessagno e Pigafetta, provenienti da Trapani, si ricongiungono con il resto
della formazione. Alle 6.54 le navi iniziano la posa delle mine, che concludono
alle 7.32; tutto si svolge regolarmente, salvo per lo scoppio prematuro di sei
mine.
Il Da Mosto e le altre navi, eccetto Pigafetta e Pessagno (nuovamente inviati a Trapani), arrivano ad Augusta a
mezzanotte.
6 luglio 1941
Salpa da Augusta alle
13.30 insieme a Da Recco e Da Verrazzano, scortando l’Attendolo ed il Duca d’Aosta. L’operazione, ancora una volta al comando
dell’ammiraglio Casardi sul Duca d’Aosta,
è la posa della terza tratta («S 3», con le spezzate «S 31» e «S 32» per un
totale di 292 mine e 444 boe esplosive) dello sbarramento «S». A sud dello
stretto di Messina, essendo stata constatata la presenza di un sommergibile, le
navi procedono a zig zag, e dalle 15.45 alle 16.33 portano la velocità a 25
nodi.
7 luglio 1941
Alla formazione si
uniscono dapprima, alle 5.23, Pessagno
e Pigafetta partiti da Trapani, e
poco dopo anche la IV Divisione (Bande
Nere e Di Giussano scortati da Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco), partita da Palermo al comando
dell’ammiraglio Porzio Giovanola per partecipare alla posa. Alle 7 le navi (le
mine saranno posate dagli incrociatori nonché da Pessagno e Pigafetta)
iniziano a manovrare per assumere rotta e formazione di posa, ed alle 7.45
iniziano a posare le mine, terminando alle 8.57.
La VII Divisione
dirige poi per Taranto, mentre la IV Divisione verrà lasciata libera di
raggiungere Palermo alle 15.11.
9 luglio 1941
Il Da Mosto viene danneggiato da un
bombardamento notturno della Royal Air Force su Tripoli.
21-22 luglio 1941
Da Mosto e Da Verrazzano
svolgono vigilanza antiaerea ed antisommergibile a protezione delle corazzate Littorio e Vittorio Veneto della IX Divisione, che, scortate dalla X
Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale,
Grecale, Libeccio, Scirocco), sono
impegnate in esercitazioni di tiro diurno e notturno.
26 luglio 1941
Il Da Mosto, il resto della XV Squadriglia
(Pigafetta – caposquadriglia e
comandante superiore in mare, capitano di vascello Mezzadra –, Da Verrazzano e Zeno) ed i gemelli Pessagno
ed Antonio Da Noli lasciano Taranto
alle 20.
27 luglio 1941
Ai cacciatorpediniere
si uniscono i posamine ausiliari, già traghetti ferroviari, Reggio ed Aspromonte, usciti da Messina alle 7. Le navi dirigono per Trapani,
e durante la navigazione eseguono delle prove evolutive per migliorare la
coordinazione tra traghetti-posamine e cacciatorpediniere, dalle
caratteristiche manovriere molto differenti e che non hanno mai eseguito
un’operazione di posa insieme prima d’ora. Le unità dovranno infatti effettuare
la posa della quarta tratta dello sbarramento «S», la «S 4», composta dalle
spezzate «S 41», «S 42», «S 43» e «S 44».
28 luglio 1941
Dopo aver dovuto
rallentare nell’ultimo tratto per un’avaria dell’Aspromonte e poi essersi dovute ancorare davanti a Trapani in
attesa della dissoluzione di un banco di nebbia, le navi entrano a Trapani alle
cinque del mattino.
29 luglio 1941
Salpa da Tripoli
scortando a Napoli la motonave Francesco
Barbaro.
1-2 agosto 1941
Da Mosto, Da Recco, Da Verrazzano, Pessagno e Pigafetta
vengono inviati in appoggio ad una squadriglia di torpediniere mandata ad
effettuare rastrellamento notturno nell’ipotesi del passaggio di un convoglio
britannico nel Canale di Sicilia, a seguito dell’avvistamento di una forza
navale (due corazzate, una portaerei, due incrociatori ed otto
cacciatorpediniere) uscita da Gibilterra e diretta verso est. L’allarme
rientrerà il 4 agosto, con il ritorno della squadra britannica a Gibilterra.
6 agosto 1941
Cacciatorpediniere e
traghetti imbarcano a Trapani, nel pomeriggio, le mine e le boe strappanti ed
esplosive che dovranno presto posare. Nei giorni successivi le navi restano a
Trapani, pronte a muovere in 6 ore.
7 agosto 1941
Allarme aereo dalle
19.17 alle 19.49.
11 agosto 1941
Da Mosto, Pigafetta (capitano
di vascello Mirti della Valle, caposquadriglia e comandante superiore in mare),
Pessagno, Da Noli, Da Verrazzano, Reggio ed Aspromonte lasciano Trapani alle 22.45 e si dispongono in linea di
fila una volta in franchia delle ostruzioni.
12 agosto 1941
I cacciatorpediniere,
una volta fuori delle rotte di sicurezza, si dispongono in posizione di scorta
ai traghetti-posamine. Alle 6.45 sopraggiunge una scorta aerea di caccia e
ricognitori, che resterà sul cielo delle navi sin al rientro. Alle 8.41 ha
inizio la posa dello sbarramento «S 41», conclusa alle 9.15. Lo sbarramento, al
pari di quelli che saranno posati nei giorni successivi, è formato da due file
centrali («C» e «D», posate da Reggio
ed Aspromonte, con intervallo di 100
metri tra ogni mina e le armi delle due file sfalsate tra di loro) di mine
italiane antidraganti, due file intermedie («B» e «E», posate da Pigafetta e Da Mosto, con intervallo di 66 metri tra ogni boa) di boe esplosive
e due file esterne («A» e «F», posate da Da
Verrazzano, Pessagno, Da Noli e, nelle pose successive, anche Zeno; intervallo tra le boe 60 metri) di
boe strappanti. Tra ogni fila la distanza è di 200 metri; la lunghezza delle
file è di otto miglia. Il Da Mosto
posa le 198 boe esplosive della fila «E».
Tra le 14 e le 15.15
le navi si ormeggiano a Trapani; Da Mosto,
Da Noli, Da Verrazzano, Pessagno, Pigafetta, Zeno, Reggio ed Aspromonte imbarcano le mine della
spezzata «S 42».
Alle 20 i
cacciatorpediniere accendono le caldaie, per partire alle 24.
13 agosto 1941
Causa ritardi
nell’imbarco delle mine, all’una si decide di rimandare la partenza di
ventiquattr’ore.
14 agosto 1941
Tra le 00.00 e l’1.20
Da Mosto, Da Noli, Da Verrazzano, Pessagno, Pigafetta, Zeno, Reggio ed Aspromonte lasciano Trapani; in franchia delle ostruzioni si
mettono in linea di fila ed in franchia delle rotte di sicurezza i
cacciatorpediniere si pongono in formazione di scorta a Reggio ed Aspromonte.
Alle 7.53, giunte
vicine alla zona di posa, le navi devono constatare che il mare agitato al
traverso, da maestrale, impedisce la posa, quindi tornano indietro, entrando a
Trapani tra le 12.50 e le 14.50.
15 agosto 1941
Allarme aereo dalle
2.45 alle 3.
16 agosto 1941
Accese le caldaie
all’1.30, Da Mosto, Da Noli, Da Verrazzano, Pessagno, Pigafetta, Zeno, Reggio ed Aspromonte lasciano Trapani tra le 4.30
e le 5.40. Superate le ostruzioni si dispongono in linea di fila, e fuori dalle
rotte di sicurezza i cacciatorpediniere scortano i traghetti-posamine.
La posa della
spezzata «S 42» inizia alle 12.04 e finisce alle 12.56 (il Da Mosto posa 183 boe esplosive, la fila «E»), poi le navi fanno
rotta su Trapani, arrivandovi tra le 16.30 e le 18.
17 agosto 1941
Le navi imbarcano a
Trapani le mine per la spezzata «S 43», da posare il 18, ma alle 22.30 viene
comunicato il rinvio di 24 ore dell’operazione.
19 agosto 1941
I cacciatorpediniere
accendono le caldaie alle 00.30, e tra le 3.30 e le 4.40 escono da Trapani,
mettendosi in linea di fila in franchia delle ostruzioni e poi di scorta a Reggio ed Aspromonte dalle 6.20.
La posa della «S 43»
inizia alle 10.40 e viene completata alle 11.34 (il Da Mosto posa di nuovo la fila «E», composta stavolta da 225 boe
esplosive), poi le navi mettono la prua su Trapani, dove i cacciatorpediniere
arrivano tra le 15.20 e le 17.10.
20 agosto 1941
A Trapani vengono
imbarcate le mine della spezzata «S 44». Allarme aereo dalle 19.50 alle 20.10,
dalle 21.10 alle 21.45 e dalle 22.55 alle 23.10; vengono avvistati tre
bombardieri Bristol Blenheim ed i cacciatorpediniere aprono un fuoco di
sbarramento con le mitragliere, ma i Blenheim non sganciano alcuna bomba.
La posa della «S 44»
dovrebbe aver luogo il 22 agosto, ma il maltempo la fa rimandare di
ventiquattr’ore.
23 agosto 1941
Da Mosto, Pigafetta, Pessagno, Da Verrazzano, Da Noli e Zeno accendono le caldaie alle 3.30, poi
partono tra le 4.25 e le 5.40. Come al solito, superate le ostruzioni assumono
la linea di fila, poi dirigono per la zona di posa seguendo le rotte
prescritte; alle 7 arriva la scorta aerea, che resterà sino al rientro.
La posa della «S 44»
viene cominciata alle 10.23 ed ultimata alle 11.17 (ancora una volta al Da Mosto tocca la fila «E», composta
stavolta da 208 boe esplosive), poi si assume la rotta di rientro, arrivando a
Trapani tra le 14.30 e le 16.
Metà novembre 1941
Durante un turno di
lavori a Fiume, il Da Mosto riceve un
ecogoniometro tedesco S-Geraet e dei lanciabombe di profondità anch’essi di
fabbricazione tedeschi: si tratta di una delle prime unità italiane a ricevere
tali dotazioni, che la Kriegsmarine ha cominciato a fornire alla Regia Marina
per aiutarla nella lotta antisommergibile. Viene imbarcato anche un nucleo di
marinai tedeschi per istruire l’equipaggio italiano sull’uso dei nuovi
equipaggiamenti, nonché, almeno inizialmente, servire agli stessi: il sergente
(Bootsmaat) Rublack, i sottocapi (Matrosengefreiter) Hartmann e Macar ed i
marinai (Matrose) Retter e Maidenoff.
Viene anche
verniciato con un nuovo schema mimetico, ma la sua efficacia non potrà essere
valutata a causa dell’affondamento della nave poco tempo dopo.
18 novembre 1941
Si trasferisce da
Fiume a Pola; durante la navigazione, mentre procede a 16 nodi, rileva con il
nuovo S-Geraet un sommergibile italiano in immersione a 4200 metri.
24 novembre 1941
Lascia Pola diretto a
Taranto, scortando un piroscafo. Intorno alle 7 l’S-Geraet rileva un contatto
su rilevamento 320°, a distanza imprecisata; si tratta probabilmente di un
sommergibile nemico. Il Da Mosto
zigzaga, mentre il piroscafo accosta per allontanarsi.
25 novembre 1941
Arriva a Taranto alle
15.
Il Da Mosto, ancora classificato come esploratore, nel Jane’s Fighting
Ships del 1938 (g.c. Giuseppe Garufi)
|
Solo contro tre
Alle 13.35 del 30
novembre 1941, nel momento più critico della battaglia dei convogli, il Da Mosto, al comando del capitano di
fregata Francesco Dell’Anno, lasciò Trapani scortando la grande motonave
cisterna Iridio Mantovani, una delle
più moderne in servizio, avente un carico di 8629 tonnellate di carburante (5032
tonnellate di nafta, 1870 di benzina e 1727 di gasolio) che avrebbe dovuto
trasportare a Tripoli per supplire alle precedenti perdite di carburante subite
con la distruzione dei convogli «Duisburg» (9 novembre) e «Maritza» (24
novembre) da parte della Forza K britannica.
La Mantovani era già partita da Napoli per
la Libia il 21 novembre, in convoglio, nell’ambito di una vasta operazione di
rifornimento, ma era rientrata a Taranto senza raggiungere la destinazione dopo
che, a seguito del siluramento degli incrociatori Trieste e Duca degli Abruzzi,
l’operazione era stata annullata e le navi fatte rientrare. Ora Supermarina
aveva deciso di farla ripartire, non più in convoglio per la rotta che passava
ad est di Malta, bensì isolata e con il Da
Mosto lungo la rotta che passava ad ovest dell’isola (passando nel Canale
di Sicilia e presso le Kerkennah).
Alle 15 del 26
novembre il Da Mosto aveva lasciato
Taranto insieme a due vecchie torpediniere, l’Enrico Cosenz e la Giuseppe
Dezza, per scortare la petroliera a Trapani. Nello stretto di Messina una
torpediniera lanciò un allarme sommergibili, ed il Da Mosto effettuò un’infruttuosa ricerca; poi, al largo
dell’estremità meridionale della Sicilia, era stato rilevato un campo minato di
cui non si conosceva la presenza, e l’S-Geraet era servito per localizzare le
mine ed evitarle. La Dezza aveva
dovuto lasciare la scorta per avaria, mentre il resto del convoglio era giunto
a Trapani alle otto di sera del 28 e vi aveva sostato prima che, alle tre del
30 novembre, ne ripartissero la Mantovani
ed il Da Mosto diretti a Tripoli. L’arrivo
a Tripoli, se si fosse mantenuta la velocità prevista di 14 nodi (in realtà la Mantovani non riuscì mai a superare i
13), era previsto per la sera del 1° dicembre.
Tra il 28 ed il 30
novembre avevano preso il mare anche altri tre convogli diretti in Libia (a
Bengasi, però, anziché a Tripoli), oltre a quattro cacciatorpediniere ed un
sommergibile in missione di trasporto. La contemporaneità della partenza del
convoglio «Mantovani», che avrebbe percorso la rotta occidentale, e di tre
convogli che avrebbero seguito quella orientale era voluta: si riteneva infatti
che, come era accaduto in passato, tanto traffico sia a levante che a ponente di
Malta avrebbe confuso i ricognitori britannici. Questa volta, però, il traffico
ad est ed ad ovest dell’isola non era stato sincronizzato a dovere: il
convoglio «Mantovani» avrebbe infatti navigato con 12-15 ore di ritardo
rispetto a quelli diretti a Bengasi, venendo così a rappresentare l’unico
convoglio in mare per tutta la giornata del 1° dicembre.
A protezione di tale
traffico erano uscite in mare la corazzata Duilio, la VII (incrociatori leggeri
Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli) e VIII (incrociatore leggero Giuseppe Garibaldi) Divisione Navale e
le Squadriglie Cacciatorpediniere XI e XIII.
Siffatto traffico
navale non era sfuggito a sommergibili e ricognitori britannici, che avevano
segnalato ai comandi i numerosi avvistamenti fatti (tra cui uno, da parte del
sommergibile Thunderbolt, proprio del convoglio «Mantovani», il 1° dicembre); ma
soprattutto, anche in questo caso “ULTRA” diede il suo contributo. Già il 29
novembre, in seguito all’intercettazione e decifrazione di messaggi italiani, i
comandi britannici sapevano che la Mantovani
sarebbe stata pronta a lasciare Trapani a 14 nodi, scortata dal Da Mosto, in qualunque momento
successivo alle 16 del 29, seguendo la rotta di ponente; il 30 “ULTRA”,
decrittati nuovi messaggi, aggiunse che la Mantovani,
scortata dal Da Mosto, sarebbe stata
pronta a lasciare Trapani tra le 13 e le 15 di ogni giorno, passando ad ovest
di Pantelleria e giungendo a Tripoli alle 19.30 del giorno seguente a quello
della partenza.
Da Malta erano
pertanto uscite (il mattino del 30 novembre), con l’obiettivo di intercettare i
convogli italiani, l’ormai famigerata Forza K (capitano di vascello William
Gladstone Agnew), costituita dagli incrociatori leggeri Aurora (nave di bandiera del comandante Agnew) e Penelope (capitano di vascello Angus
Dacres Nicholl) e dal cacciatorpediniere Lively
(capitano di corvetta William Frederick Eyre Hussey), e la Forza B
(contrammiraglio Rawlings), formata dagli incrociatori leggeri Ajax e Neptune e dai cacciatorpediniere Kingston e Kimberley.
Nemmeno l’uscita in
mare delle navi britanniche sfuggì alle forze italiane, grazie al loro
avvistamento dapprima da parte del sommergibile Tricheco e poi di ricognitori
dell’Aeronautica, ma la sfortuna si accanì contro i piani italiani: nel
pomeriggio del 30 il Garibaldi fu
colto da una grave avaria alle caldaie, che lo lasciò immobilizzato. Dopo
alcune ore, tutta la forza italiana di protezione (il Garibaldi necessitava della protezione della Duilio, e ciò avrebbe lasciato in mare la sola VII Divisione,
numericamente inferiore alle Forze B e K qualora si fossero riunite) ricevette
pertanto ordine di rientrare a Taranto.
La Forza K ebbe così
campo libero nella ricerca dei convogli; dopo aver cercato senza risultato –
grazie ad un opportuno dirottamento ordinato da Supermarina – il convoglio «Veniero»
(motonave Sebastiano Venier e
cacciatorpediniere Giovanni Da Verrazzano),
nelle prime ore del 1° dicembre le navi di Agnew s’imbatterono
nell’incrociatore ausiliario Adriatico,
che navigava da solo. Dopo un breve quanto disperato combattimento, l’Adriatico fu affondato, e la Forza K si
rimise a caccia di convogli, procedendo lungo il 34° parallelo, nel Canale di
Sicilia, arrivando così nel tratto di mare compreso tra Pantelleria e le isole
Kerkennah.
Il convoglio «Mantovani»,
munito anche di una scorta aerea formata da alcuni caccia e da un idrovolante
antisommergibile, proseguiva intanto ignaro per la sua rotta. Sia Supermarina
che il Comando Superiore della Regia Aeronautica (Superaereo) avevano disposto
che l’Aerosettore Ovest rafforzasse la scorta aerea del convoglio durante la
giornata del 1° dicembre. Tale messaggio sarebbe risultato controproducente:
intercettato da “ULTRA”, avrebbe infatti rivelato ai comandi britannici che la Mantovani doveva probabilmente essere
partita il pomeriggio del 30 novembre. Durante la navigazione vennero
individuata una mina alla deriva e più tardi incrociati, a circa 3 km di
distanza, tre piccole navi costiere francesi.
La navigazione
procedette tranquilla fino alle 9.40 del 1° dicembre, quando il Da Mosto avvistò dei ricognitori che
seguivano il convoglio e lanciò il conseguente segnale di scoperta via radio.
Dato che i ricognitori non accennavano ad andarsene, il cacciatorpediniere
reiterò il segnale di scoperta e richiese che intervenisse la caccia:
sopraggiunsero allora dapprima un idrovolante da ricognizione CANT Z. 501, poi
un bombardiere Savoia Marchetti S. 79 “Sparviero” da bombardamento terrestre ed
infine due caccia; il Da Mosto,
avendo notato che il ricognitore britannico era al traverso a sinistra,
all’orizzonte, sparò dei colpi di mitragliera verso di esso per indicarlo ai
caccia (il velivolo era infatti troppo lontano perché il Da Mosto potesse colpirlo con le proprie armi), ma non accadde
nulla. Intanto il ricognitore nemico aveva potuto segnalare posizione, rotta e
velocità del convoglio a Malta; non era possibile effettuare alcun cambiamento
di rotta per disorientare il nemico, perché in quel tratto di Canale di Sicilia
la rotta era pressoché obbligata.
Alle 13, mentre il Da Mosto era a prua sinistra della Mantovani, vennero avvistati non molto
lontani due bombardieri Bristol Blenheim provenienti da est, da Malta, volando
bassi sul mare. Gli aerei, divenuti poi tre – in realtà erano quattro,
appartenenti al 107th Squadron della Royal Air Force – puntavano
evidentemente verso la petroliera: il comandante Dell’Anno le ordinò pertanto
di accostare di 90° a dritta, poi mantenne la sua nave con il fianco rivolto ai
bombardieri per poter puntare tutte le armi contro di loro. Non appena gli
aerei furono a tiro, a 2600 metri, il Da
Mosto aprì il fuoco con i cannoni da 120 mm con granate contraeree, cui poi
si unirono tutte le mitragliere di sinistra. Due aerei dovettero alzarsi e non
riuscirono a mettere a segno le loro bombe, ma il terzo, leggermente scaduto
rispetto agli altri due che lo precedevano, riuscì a sganciare le sue bombe
prima che il Da Mosto sparasse di
nuovo e che i caccia della scorta aerea potessero intervenire, ed a metterle a
segno. La Mantovani rimase
immobilizzata: le macchine ferme, il timone bloccato, l’elica danneggiata. Era
l’inizio della fine.
Il Da Mosto si portò subito sotto alla
petroliera danneggiata e la prese a rimorchio: i cavi di canapa inizialmente
utilizzati, però, si spezzarono quando furono messi in trazione, e fu
necessario rimpiazzarli faticosamente con un pesante cavo d’acciaio, perdendo
molto tempo per stenderlo. Il cacciatorpediniere rimise poi in moto, ma anche
il cavo d’acciaio si spezzò, forse perché la Mantovani, avendo il timone in avaria, non seguiva il Da Mosto con rotta rettilinea, così che
i cavi dovevano subire continui strappi anomali fino al cedimento. Via via che
il tempo passava, inoltre, la nave cisterna imbarcava acqua dalle falle aperte dalle
bombe, appoppandosi lentamente.
Come se non bastasse,
alle 16.50 apparvero in lontananza altri quattro bombardieri britannici. Era
proprio l’orario del cambio di pattuglia per i velivoli della scorta aerea: i
caccia presenti fino ad allora se n’erano andati per scarsità di carburante, e
quelli destinati a sostituirli non erano ancora arrivati. Unica fortuna, il Da Mosto aveva appena lasciato i cavi di
rimorchio spezzati, dunque poteva manovrare liberamente. La nave mise la prua
verso gli aerei, aprì il fuoco con tutte le armi disponibili e cercò di fare da
scudo alla petroliera, ma i velivoli attaccanti compirono un ampio giro per
evitare il fuoco del Da Mosto,
piombarono sulla Mantovani ferma ed
inerme e la bombardarono di nuovo, centrando la plancia e la murata. Sulla nave
colpita divampò un incendio; la situazione della cisterna, dopo questi nuovi
danni, parve tanto disperata che i suoi comandanti militare e civile, capitano
di corvetta Nigro e capitano di lungo corso Carlo Merlo, ne ordinarono l’abbandono.
L’equipaggio scese sulle lance, ed il Da
Mosto si avvicinò per prenderlo a bordo.
Nel frattempo, la
Forza K si stava dirigendo proprio nella zona dove la Mantovani ed il Da Mosto
si trovavano. Le unità britanniche erano state informate alle 10.40 della
presenza di una nave cisterna ed un cacciatorpediniere presso le secche di
Kerkennah, ed Agnew, in mancanza di ordini specifici, aveva deciso di dirigersi
sul posto. Le navi di Agnew erano state avvistate già alle 10.10 da un
ricognitore della V Aerosquadra, che aveva indicato una «forza navale
imprecisata» avente rotta 270° e velocità 20 nodi a 60 miglia per 45° da
Misurata, e poi di nuovo (dopo poco più di un’ora) da un secondo ricognitore
che precisò che le navi erano incrociatori e cacciatorpediniere, ma nessuno dei
due aerei riuscì a pedinare la formazione britannica, così che quando
l’Aerosettore Ovest inviò degli aerosiluranti ad attaccarla, questi non
riuscirono a trovarla. Il peggio, però, era che al Da Mosto non era stata data alcuna notizia del fatto che navi da
guerra nemiche stessero filando a 20 nodi verso la propria posizione.
Supermarina,
informata degli attacchi aerei e del danneggiamento della Mantovani, aveva frattanto ordinato a Marina Tripoli di far partire
il cacciatorpediniere Lanzerotto
Malocello e la torpediniera Generale
Marcello Prestinari per rinforzare la scorta, ed il rimorchiatore Ciclope per dare assistenza. Queste
ultime due unità lasciarono Tripoli (Prestinari)
e Zuara (Ciclope) nel primo
pomeriggio, mentre il Malocello richiese
un approntamento più lungo.
La Forza K, invece,
aveva potuto fruire delle indicazioni fornite dai Blenheim che avevano
attaccato il convoglio, nonché di un Vickers Wellington dotato di radar ASV che
l’aveva guidata nelle vicinanze del convoglio, salvo poi trasmettere
rilevamenti errati: queste informazioni avevano rischiato di fuorviare la Forza
K, ma alle 17.14 le vedette dell’Aurora
avvistarono aerei che volavano in cerchio ad una ventina di miglia, pertanto le
navi andarono in quella direzione. Alle 17.43 le unità di Agnew avvistarono le
alberature di una nave ferma, che si rivelò in breve essere una grossa
petroliera: la Mantovani. Subito dopo
la Forza K venne assalita da tre caccia FIAT CR. 42, quelli avvistati prima: il
valoroso intervento dei tre superati biplani non poté però far nulla per
fermare le navi britanniche, che li respinsero con il proprio tiro contraereo
ed alle 17.50 avvistarono anche il Da
Mosto, a dritta della Mantovani.
Il cacciatorpediniere era in quel momento fermo per recuperare i naufraghi
della cisterna dal mare cosparso di benzina in fiamme: e proprio allora le sue
vedette videro due navi molto lontane, con la prua rivolta verso di loro. Era
la Forza K.
Sulle prime il
comandante Dell’Anno sperò che si trattasse del Malocello e della Prestinari,
della cui partenza da Tripoli era stato informato, ma prudentemente diresse
verso di loro prora contro prora ad elevata velocità per riconoscerle. Ogni
speranza svanì rapidamente quando i velivoli della scorta aerea spararono con
le mitragliatrici verso i nuovi arrivati, per segnalarli al Da Mosto quali nemici.
Mentre la distanza
calava rapidamente, Dell’Anno riconobbe correttamente le unità sopraggiunte
come due incrociatori seguiti un cacciatorpediniere, e decise di passare
all’attacco. Il Da Mosto accostò di
50° a sinistra per poter puntare tutti i pezzi da 120 mm sulle navi
britanniche, quindi accostò nuovamente per ottenere un angolo Beta idoneo a
lanciare i siluri; quando la distanza fu scesa a 18.000 metri, alle 18.01, la
Forza K aprì il fuoco con i cannoni prodieri, manovrando intanto per ridurre il
Beta. Fu l’Aurora a sparare (a bordo
dell’incrociatore si valutò la distanza in 14.600 metri), mentre il Penelope si tolse dalla linea di tiro e
non aprì il fuoco per non disturbare la mira della nave gemella. Quando il Beta
fu divenuto di 35°-40°, il comandante Dell’Anno ordinò di lanciare i siluri, ma
questi non partirono; intanto le salve da 152 mm sparate dagli incrociatori
cadevano tutt’attorno al Da Mosto,
inquadrandolo ma senza colpirlo. Le salve sparate dai cannoni del Da Mosto caddero 460-640 (o 550-730) metri
a poppa sinistra del Lively; da bordo
del Da Mosto si pensò di aver colpito
uno degli incrociatori, ma si trattava di un’impressione errata.
Scesa la distanza a
10.000 metri, il cacciatorpediniere italiano mise tutta la barra a sinistra ed
emise una cortina fumogena, per ostacolare il pericolosamente centrato tiro
nemico e tentare di attaccare nuovamente con i siluri. Quando la distanza fu
ulteriormente calata a 8000 metri, il Da
Mosto uscì a sinistra dalla cortina fumogena, riprese subito il fuoco e
lanciò quattro siluri, mentre la distanza scendeva ancora fino a 6000 metri
(nessuna delle armi andò a segno; una passò a 400 metri dal Penelope).
Il cacciatorpediniere
mise poi la barra dritta per tornare nella cortina fumogena ed allontanarsi
definitivamente, ma proprio allora – erano le 18.09 –, quando aveva appena
cominciato ad accostare, il Da Mosto
venne centrato da una bordata che cadde a poppa, colpendo il deposito munizioni
numero 3, che esplose, facendo detonare anche le bombe di profondità ed
asportando la poppa. La nave di Dell’Anno rimase subito immobilizzata,
trasformandosi subito in un bersaglio per i cannoni della Forza K, che la
colpirono ancora, più volte. Alcune salve centrarono un fumaiolo, altre posero
fuori uso parte degli impianti elettrici, rendendo inutilizzabile anche la
telemetria di puntamento. Il Da Mosto
iniziò a sbandare a sinistra, continuando a sparare con il complesso binato
numero uno, ma l’inclinazione sulla sinistra crebbe molto in fretta: ormai la
nave stava affondando.
Il comandante
Dell’Anno, spostatosi sull’ala di plancia di dritta, ordinò a questo punto di
abbandonare la nave. Il comandante in seconda, che aveva lasciato il ponte di
comando per andare verso poppa quando il Da
Mosto era stato colpito, invitò gli uomini a restare calmi, parlando
tranquillamente. I feriti vennero caricati sugli zatterini, mentre quanti erano
illesi si aggrapparono intorno. Dell’Anno aiutò gli ufficiali di rotta a
buttare in acqua la cassetta con gli archivi segreti; quando il direttore del
tiro – tenente di vascello Massimo Busetto – venne a dirgli che non era più possibile proseguire il fuoco con i
cannoni, gli ordinò di mettersi in salvo. (Secondo il superstiti tedeschi
Rublack e Maidenoff, prima di abbandonare la nave l’equipaggio lanciò una
triplice acclamazione: “alla nave, al duce ed al führer”).
Alle 18.15 il Da Mosto affondò nel punto 33°53’ N e
12°28’ E (circa 75 miglia a nordovest di Tripoli o 60 miglia a nord-nord-ovest
di Tripoli), portando con sé 138 tra ufficiali, sottufficiali e marinai.
Il comandante
Dell’Anno, rimasto sull’ala di plancia di dritta, finì in mare e vide la prua
del Da Mosto levarsi nel cielo,
verticalmente, sopra di lui, poi raggiunse a nuoto una zattera Carley che aveva
notato poco lontano.
L’Aurora ed il Penelope defilarono a bassa velocità ad un chilometro di distanza,
ed uno di essi fece dei segnali con la trappola rossa al Lively, che durante lo scontro era rimasto scartato e non aveva
aperto il fuoco. Il cacciatorpediniere britannico, per ricongiungersi con gli
incrociatori, passò in mezzo ai naufraghi, transitando molto vicino alla
zattera del comandante Dell’Anno, tanto vicino che questi riuscì a leggerne il
pennant number G 40 dipinto sulla
murata. Mentre la Forza K si allontanava, l’equipaggio del Lively aveva l’equipaggio schierato sull’attenti: così rendeva gli
onori militari alla valorosa e sfortunata nave italiana. (Secondo il rapporto tedesco
basato sulle affermazioni di Rublack e Maidenoff, invece, il Lively attraversò la zona dei naufraghi
senza cercare di recuperare nessuno, ed i suoi uomini gridarono ai superstiti
in tono irrisorio “Good bye boys”).
Eliminata così
l’unica nave di scorta, la Forza K cannoneggiò l’immobilizzata Mantovani. I due incrociatori si
allontanarono verso Malta alle 18.30, lasciando sul posto il Lively che, raccolti alcuni naufraghi,
finì con un siluro la Mantovani alle
19.53, affondandola nel punto 33°50’ N e 12°50’ E. Dell’equipaggio della
petroliera morirono 49 uomini, tra cui i sui comandanti militare e civile,
mentre 24 superstiti furono recuperati dal Lively
e dall’Aurora (e altri dieci dalla torpediniera Prestinari).
Tra quanti finirono
in mare con l’affondamento del Da Mosto
vi fu anche il furiere segretario Giovanni Favero, di Gemona del Friuli.
Aggrappato ad un salvagente nell’acqua fredda di dicembre, circondato dal
petrolio in fiamme, sorreggeva un compagno ferito, che gli diceva di lasciarlo
andare. Ad un certo punto, il commilitone si liberò con uno strattone e
scomparve sotto la superficie. Il mare era avverso.
Il marinaio fuochista Ferruccio Manicardi, ferito, raggiunse a nuoto delle zattere di salvataggio, ma erano già piene; rischiando di farle capovolgere se vi si fosse aggrappato, gli fu detto di raggiungere delle altre zattere, ma non fu più rivisto. Aveva ventun anni, e lasciava un figlio di un anno che si chiamava come la sua nave, Alvise.
Il marinaio fuochista Ferruccio Manicardi, ferito, raggiunse a nuoto delle zattere di salvataggio, ma erano già piene; rischiando di farle capovolgere se vi si fosse aggrappato, gli fu detto di raggiungere delle altre zattere, ma non fu più rivisto. Aveva ventun anni, e lasciava un figlio di un anno che si chiamava come la sua nave, Alvise.
Due marinai italiani
ed il sergente tedesco Rublack nuotarono verso il relitto ancora galleggiante
della Mantovani, per calare in mare
una scialuppa ancora intatta e per provvedere all’affondamento della cisterna,
ma il Lively aprì il fuoco e la
cisterna affondò poco dopo, vanificando il tentativo. Rublack ed il marinaio
Maidenoff erano gli unici, tra i cinque tedeschi addetti all’S-Geraet, ad
essersi salvati (sarebbero successivamente stati assegnati alla torpediniera
Circe); il sottocapo Macher era caduto presso il complesso poppiero mentre
Hartmann e Retter, addetti all’S-Geraet, erano scomparsi con la nave.
I velivoli della
scorta aerea, avendo osservato l’impari combattimento, lo avevano comunicato a
Marina Tripoli: essendo evidente che le navi inviate non avrebbero mai potuto
affrontare due incrociatori ed un cacciatorpediniere, fu ordinato loro di
tornare in porto. Il Malocello,
appena partito, ed il Ciclope,
essendo ancora vicini ai porti di partenza, tornarono subito indietro, mente la
torpediniera Prestinari, al comando
del tenente di vascello Pompeo Visintin, era giunta già così in prossimità del
luogo dello scontro che riusciva a vedere in lontananza i bagliori delle
cannonate: Visintin decise di proseguire, nell’intenzione di soccorrere i naufraghi
e, se qualche nave fosse rimasta a galla danneggiata, di prestare assistenza.
La torpediniera ebbe anzi la possibilità di assistere, a distanza, allo
svolgersi del combattimento: alle 17.42 la Prestinari
avvistò di prua due navi da guerra – che alle 17.55 identificò correttamente
come due incrociatori classe Arethusa: l’Aurora
ed il Penelope – e l’albero di una
terza (il Lively), in formazione,
intente a sparare granate contraeree contro aerei che non risultavano visibili
(i CR. 42 che avevano attaccato la Forza K); le navi sconosciute assunsero
rotta 270° (prima appariva più inclinata) ed alle 18 aprirono il fuoco contro
navi che la Prestinari non poteva
ancora vedere. Mentre si preparava ad un eventuale combattimento, la Prestinari avvistò la Mantovani, nel momento in cui questa
veniva colpita da una salva a prua; poi, alle 18.04, avvistò una colonna di
fumo seguita da un’altissima fiammata: era appena esploso il deposito munizioni
del Da Mosto. Dopo aver sparato gli
ultimi colpi contro la Mantovani in
fiamme, la Forza K si allontanò verso nord. Il Lively, prima d’andarsene, recuperò parte dei naufraghi della Mantovani. Lo scontro era finito, il
convoglio distrutto.
La Prestinari proseguì verso il luogo in
cui erano affondate le due navi italiane, ed alle 18.30 avvistò un razzo Very
rosso, dirigendo quindi verso il punto da dove era partito. Alle 19.40 la
torpediniera giunse sopravento rispetto alla Mantovani, rallentando, e cinque minuti dopo avvistò delle zattere
cariche di naufraghi. La Prestinari
calò le due proprie imbarcazioni per recuperare quelli che si trovavano
sopravento, mentre fu la torpediniera stessa a scadere da sola verso altre due
zattere sottovento. Mentre l’armamento contraereo restava pronto a reagire ad
un’eventuale offesa proveniente dall’aria, fuochisti e marinai organizzati in
squadre si distribuirono lungo il bordo per procedere al salvataggio. Alle
20.05 la Prestinari si spostò per
raggiungere altre zattere più lontane, ed alle 20.30, avendo avvistato un
aereo, accelerò le operazioni di soccorso.
La torpediniera
trasse in salvo 125 uomini del Da Mosto, tra cui il comandante Dell'Anno, poi fece rotta su
Tripoli, dove giunse all’1.30 del 2 dicembre. Tra i superstiti vi fu il sottocapo
cannoniere gardonese Alfonso Rinaldini, che passò diverse ore aggrappato alla
fune di un’imbarcazione: dopo il salvataggio, avrebbe conservato per sempre le
mutande imbrattate di nafta. Quattro, lui compreso, erano gli uomini della
provincia di Brescia imbarcati sul Da
Mosto: due sopravvissero, due no.
La Forza K arrivò
indisturbata a Malta alle 7.30 del 2 dicembre; l’affondamento del Da Mosto e della Mantovani avrebbe rappresentato il suo ultimo successo.
Marina Tripoli,
sperando che vi fosse ancora qualche naufrago vivo, mandò sul luogo dello
scontro anche la piccola nave soccorso Laurana, ma questa non trovò nessun
altro superstite, così come nessun altro naufrago venne trovato dalle navi
ospedale Arno e Virgilio inviate anch’esse a cercare nella zona.
Il Da Mosto, paradossalmente, riuscì ad
ottenere “da sé” la propria vendetta “postuma”. La nave aveva partecipato, tra
maggio e giugno 1941, alla posa dello sbarramento «T» al largo di Tripoli: e
proprio su questo campo minato terminò la sua esistenza, il 18 dicembre 1941,
la Forza K. Sulle mine posate dal Da
Mosto e dalle altre unità italiane andarono perduti l’incrociatore leggero Neptune ed il cacciatorpediniere Kandahar, mentre subì gravi danni l’Aurora e danni lievi il Penelope.
Il comandante
Dell’Anno venne decorato con la Medaglia d’oro al Valor Militare per la sua
eroica difesa della Mantovani in
condizioni impari, ma per lui l’appuntamento della sorte era soltanto
rimandato. Dopo aver chiesto ed ottenuto il comando del cacciatorpediniere Scirocco, Francesco Dell’Anno si sarebbe
inabissato con la sua nuova nave e tutto il suo equipaggio, ad eccezione di due
uomini, quando questa sarebbe naufragata in una tremenda tempesta il 23 aprile
1942.
I caduti del Da Mosto
Ettore Affaticati, marinaio S. D. T., disperso
Stellario Allegra, sergente S. D. T., disperso
Primo Angelucci, marinaio, disperso
Pietro Ansaldo, marinaio, disperso
Mauro Arezio, marinaio, disperso
Mario Atzeni, marinaio, disperso
Argentino Bacci, marinaio nocchiere, disperso
Delmondo Baldini, sottocapo meccanico,
disperso
Armando Banchero, marinaio, disperso
Cesare Barani, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Giovanni Barosco, capo cannoniere di terza
classe, disperso
Mario Bartolomucci, sergente meccanico,
disperso
Carlo Baruzza, marinaio motorista, disperso
Francesco Bassotti, marinaio fuochista,
disperso
Calogero Bavetta, marinaio, disperso
Salvatore Beffumo, marinaio S. D. T., disperso
Gaetano Bellantone, secondo capo cannoniere,
disperso
Giacomo Bertoldi, marinaio fuochista, disperso
Ferruccio Bianchin, secondo capo meccanico,
disperso
Pietro Boschi, marinaio silurista, disperso
Arcangelo Bovo, marinaio cannoniere, disperso
Arturo Briotti, sottocapo cannoniere, deceduto
Michele Buongiorno, marinaio cannoniere,
disperso
Argimiro Calamari, capo meccanico di prima
classe, disperso
Antonio Calviello, marinaio fuochista,
disperso
Oleno Cantarutti, marinaio silurista, disperso
Salvatore Caraviello, marinaio cannoniere,
disperso
Nunziato Castano, sottocapo cannoniere,
disperso
Michele Catanzaro, marinaio fuochista,
disperso
Vittorio Cesarato, marinaio fuochista,
disperso
Pietro Chialastri, sottocapo
radiotelegrafista, disperso
Domenico Cigna, marinaio fuochista, disperso
Anacleto Cignatta, marinaio cannoniere,
disperso
Antonio Cuccureddu, marinaio fuochista,
disperso
Giuseppe D’Antuono, sottocapo nocchiere,
disperso
Gioacchino D’Asdia, sottocapo elettricista,
disperso
Giovanni De Blasi, sottocapo elettricista,
disperso
Marco De Girolamo, marinaio cannoniere,
disperso
Alvaro De Santis, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe De Santis, marinaio, disperso
Stanislao Devetacchi, marinaio, disperso
Vincenzo Di Russo, marinaio motorista,
disperso
Massimiliano Dini, marinaio cannoniere,
disperso
Giovanni Diodati, capo silurista di terza
classe, disperso
Angelo Divano, marinaio cannoniere, disperso
Sebastiano Dugo, sergente cannoniere, disperso
Giordano Duplancich, marinaio cannoniere,
disperso
Giacomo Favero, capo meccanico di terza
classe, disperso
Silvano Ferretti, sottocapo cannoniere,
disperso
Angelo Franco, marinaio fuochista, disperso
Gino Fregnan, marinaio, disperso
Giacomo Gabriele, marinaio, disperso
Bernardo Galparoli, sottocapo motorista,
disperso
Amedeo Gambardella, sottocapo furiere,
disperso
Giacomo Gambera, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Gattoli, marinaio, disperso
Giuseppe Gaudino, marinaio nocchiere, disperso
Agostino Giacalone, marinaio silurista,
disperso
Pietro Giacalone, marinaio, disperso
Natale Giacinto, sottocapo cannoniere,
disperso
Francesco Giacomantonio, marinaio nocchiere,
disperso
Italo Gorini, sottocapo meccanico, disperso
Nicola Iacono, marinaio torpediniere, disperso
Giovanni La Maestra, marinaio, disperso
Giovanni La Marca, marinaio, disperso
Pio Leoncini, marinaio torpediniere, disperso
Eros Lisimberti, sottocapo nocchiere, disperso
Vittorio Lizzul, marinaio cannoniere, disperso
Mario Lo Bianco, marinaio fuochista, disperso
Angelo Longoni, marinaio elettricista,
disperso
Gino Lucadello, sottocapo motorista, disperso
Luciano Lucherini, sottocapo cannoniere,
disperso
Giuseppe Macchiorlatti, sottocapo meccanico,
disperso
Giovannico Madau, capo cannoniere di prima
classe, disperso
Carlo Maggi, secondo capo furiere, disperso
Giuseppe Magliozzi, marinaio segnalatore,
disperso
Giuseppe Mancuso, marinaio, disperso
Ferruccio Manicardi, marinaio fuochista,
disperso
Michelantonio Marino, marinaio torpediniere,
disperso
Bruno Martini, sergente cannoniere, disperso
Eolo Massaro, marinaio fuochista, disperso
Elios Mauro, marinaio, disperso
Ignazio Mazzeo, marinaio, disperso
Teresio Milanese, marinaio cannoniere,
disperso
Carlo Missaglia, marinaio cannoniere, disperso
Vincenzo Morgione, marinaio fuochista,
disperso
Osvaldo Morozzi, marinaio silurista, disperso
Domenico Musi, marinaio segnalatore, disperso
Altidoro Orlandi, marinaio fuochista, disperso
Duilio Paccagnella, secondo capo meccanico,
disperso
Luigi Pacini, sottocapo cannoniere, disperso
Giuseppe Paiano, sottocapo cannoniere,
disperso
Vinicio Palazzi, sergente cannoniere, disperso
Gorino Parisella, marinaio, disperso
Edoardo Pastorino, sergente radiotelegrafista,
disperso
Enrico Pecci, marinaio cannoniere, disperso
Mario Pellegrini, marinaio fuochista, disperso
Luigi Perego, marinaio fuochista, disperso
Nicola Pesce, marinaio fuochista, disperso
Sergio Pianella, sottocapo S. D. T., disperso
Eriberto Picchiottino, marinaio elettricista,
disperso
Salvatore Piraino, sergente infermiere,
disperso
Celso Pirazzi, marinaio fuochista, disperso
Mario Pistelli, sergente silurista, disperso
Carmelo Poppiti, sottocapo silurista, disperso
Ottorino Porcacchia, secondo capo meccanico,
disperso
Benvenuto Pozzoli, marinaio fuochista,
disperso
Tommaso Radicci, marinaio elettricista,
disperso
Antonino Rando, marinaio cannoniere, disperso
Mario Rava, marinaio fuochista, disperso
Guglielmo Rinaldi, marinaio silurista,
disperso
Giuseppe Ritmo, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Ronciglia, secondo capo meccanico,
disperso
Giuseppe Rossi, marinaio, disperso
Nicola Maria Rubino, marinaio nocchiere,
disperso
Salvatore Sangricoli, marinaio, disperso
Narciso Santoro, marinaio fuochista, disperso
Vincenzo Saraceno, marinaio, disperso
Leopoldo Saracino, marinaio motorista,
disperso
Alberto Sbrana, marinaio fuochista, disperso
Carlo Schirone, sottocapo meccanico, disperso
Mario Senatore, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Romeo Seno, marinaio torpediniere, disperso
Dino Silenzi, marinaio, disperso
Tancredi Spinosi, sottocapo cannoniere,
disperso
Rodolfo Sponton, marinaio elettricista,
disperso
Matteo Stauri, marinaio fuochista, disperso
Ilio Stefani, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Storani, sottocapo S. D. T., disperso
Federico Vanzo, marinaio cannoniere, disperso
Mario Varoletti, marinaio, disperso
Elio Vidovi, marinaio palombaro, disperso
Cesare Vitale, marinaio cannoniere, disperso
Bruno Zambelli, marinaio silurista, disperso
Maurizio Zanfrino, marinaio, disperso
Uomini del Da Mosto: in basso a sinistra il sottocapo Absalon Perini, nato a Chioggia nel 1919 e sopravvissuto all’affondamento (per g.c. del nipote Iginio Boscolo Contadin) |
Sopravvissuti del Da Mosto, probabilmente fotografati su una nave ospedale durante il viaggio di rimpatrio (g.c. Iginio Boscolo Contadin) |
La motivazione della
Medaglia d’oro al Valor Militare conferita al capitano di fregata Francesco
Dell’Anno, nato a Taranto il 16 ottobre 1902:
“Comandante di
Cacciatorpediniere in servizio di scorta ad una nave trasporto, con spirito
animoso e con pronta manovra, impiegando ogni efficace accorgimento ed ogni
mezzo di offesa e difesa, tentava di proteggerla dai ripetuti attacchi aerei
nemici.
Colpito ed inutilizzato il trasporto a lui affidato, con manovra difficile e con perizia, tecnica, sempre sotto l’azione di bombardamento, ne tentava il rimorchio.
Attaccato da una forza navale decisamente superiore, che lo inquadrava col tiro intenso e ben diretto delle artiglierie, cosciente del rischio e deciso nell’intento, le muoveva incontro audacemente tentandone per due volte il siluramento.
Lanciati tutti i siluri, colpita irrimediabilmente la sua nave incendiata da uno scoppio di munizioni, sereno al suo posto di comando, continuava ad infondere energia al suo equipaggio, che rispondeva ancora al martellante tiro nemico, quando l’acqua aveva già invaso la coperta e lo sbandamento preludeva l’imminente inabissarsi.
Esempio di alte virtù militari e marinaresche, di combattività eroica e indomita volontà animatrice, lasciava per ultimo la sua nave, quando questa sprofondava
nelle onde, spiegando ancora al vento la bandiera di combattimento.
(Mediterraneo Centrale, 1° dicembre 1941)”
Colpito ed inutilizzato il trasporto a lui affidato, con manovra difficile e con perizia, tecnica, sempre sotto l’azione di bombardamento, ne tentava il rimorchio.
Attaccato da una forza navale decisamente superiore, che lo inquadrava col tiro intenso e ben diretto delle artiglierie, cosciente del rischio e deciso nell’intento, le muoveva incontro audacemente tentandone per due volte il siluramento.
Lanciati tutti i siluri, colpita irrimediabilmente la sua nave incendiata da uno scoppio di munizioni, sereno al suo posto di comando, continuava ad infondere energia al suo equipaggio, che rispondeva ancora al martellante tiro nemico, quando l’acqua aveva già invaso la coperta e lo sbandamento preludeva l’imminente inabissarsi.
Esempio di alte virtù militari e marinaresche, di combattività eroica e indomita volontà animatrice, lasciava per ultimo la sua nave, quando questa sprofondava
nelle onde, spiegando ancora al vento la bandiera di combattimento.
(Mediterraneo Centrale, 1° dicembre 1941)”
Un rapporto tedesco
(tradotto in italiano), basato sul resoconto dei superstiti Rublack e
Maidenoff, sull’ultima missione del Da
Mosto (si ringrazia Andreas Biermann, autore del blog “The Crusader Project”):
“Il 26 novembre, alle
15, si lascia il porto [di Taranto] con una nave cisterna [la Mantovani] per Trapani. Nello stretto di
Messina allarme sommergibili lanciato da altra nave. Ricerca da parte del Da Mosto senza risultato.
All’estremità
meridionale della Sicilia è stato individuato uno sbarramento minato
sconosciuto. Si è proceduto in base alle localizzazioni da parte dell’S-Geraet.
Il 28 novembre alle
20 si entra a Trapani con la cisterna.
Il 30 novembre alle 3
si lascia il porto con la cisterna seguendo la rotta occidentale per Tripoli.
Lungo il percorso localizzazione [con l’S-Geraet] di una mina alla deriva, una
boa ed un relitto. Inoltre sono state individuate a distanze dai 3600 ai 3800
metri tre navi costiere francesi, che solo allora sono state riconosciute dalla
plancia.
Durante la giornata
del 1° dicembre si sono verificati attacchi di bombardieri inglesi in diverse
ondate. La cisterna è stata colpita a poppa ed è rimasta immobilizzata.
Tentativi di prenderla a rimorchio sono falliti. La difesa aerea della cisterna
era scarsa. Verso le 17.30 navi di superficie inglesi sono giunte in vista. Il Da Mosto è andato immediatamente
all’attacco ed ha messo colpi a segno su un incrociatore. Dopo poco il Da Mosto è stato colpito a poppa.
Munizioni e le bombe di profondità italiane sono esplose. Durante
l’affondamento sono stati lanciati i siluri prodieri, ma senza colpire. Il Da Mosto è affondato intorno alle 18.
L’equipaggio ha lanciato tre acclamazioni alla sua nave, al Duce ed al Fuhrer.
I cacciatorpediniere inglesi sono passati in mezzo all’equipaggio che nuotava
senza tentare di soccorrere nessuno, ed hanno gridato in tono derisorio “Good
bye boys”.
Il sergente Rublack
ha nuotato verso la cisterna con due italiani per calare in mare
un’imbarcazione ancora intatta ed affondare la petroliera. Tuttavia un
cacciatorpediniere ha aperto il fuoco, così non si è potuta attuare
l’intenzione. La cisterna è affondata anch’essa poco dopo. Un altro
cacciatorpediniere sembra aver avuto in precedenza l’intenzione di prenderla a
rimorchio.
L’S-Geraet è stato
presenziato sino all’inizio del combattimento, quando la nave è andata ad alta
velocità. Gli addetti all’ascolto sono quindi andati ai loro posti di
combattimento ai cannoni. Il sergente Rublack ed il marinaio Maidenoff erano in
plancia. Il sottocapo Macher è caduto al cannone di poppa. Nulla è stato
osservato sulla posizione del sottocapo Hartmann e del marinaio Retter, che
hanno presenziato l’S-Geraet sino alla fine.
Intorno alle 23 la
torpediniera Prestinari è giunta sul
luogo del combattimento ed ha preso a bordo i sopravvissuti.
Il comandante, il
capitano di fregata Dell’Anno, si è molto complimentato sulle prestazioni e sul
comportamento coraggioso dell’equipaggio tedesco addetto all’ascolto. Il
sergente Rublack ha ricevuto la Croce di Ferro di Seconda Classe e la Medaglia
di Bronzo al Valor Militare italiana, ed il marinaio Maidenoff la Croce di
Ferro di Seconda Classe e la Croce di Guerra al Valor Militare italiana. Il
comandante ha ricevuto la Medaglia d’Oro (successivamente caduto in azione come
comandante dello Scirocco).”
Il Da Mosto in porto (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)
|
Bsera Lorenzo. Il Direttore di Tiro del Da Mosto era il TV Massimo Busetto (nato a Venezia il 4 dicembre 1913) che si salvò dal naufragio del 1° dicembre 1941. GP
RispondiEliminaGrazie, aggiungo.
EliminaBuonasera Sig. Colombo, la posso contattare per alcune informazioni in merito alle fotografie ed altre notizie sul Da Mosto? Come avrà visto dai miei post, sto raccogliendo testimonianze dei parenti dell'equipaggio per integrare le carte di mio Nonno, all'epoca secondo ufficiale sul Da Mosto, e sto scrivendo un libro. Se avesse piacere, può contattarmi o via email (mario_fuselli@libero.it) oppure via cellulare: 38 3966580. Grazie, cordiali saluti
EliminaBuonasera, certamente, può scrivermi a lorcol94@gmail.com.
EliminaGrazie tra i superstiti ho riconosciuto mio padre Nulvesu Salvatore
RispondiEliminaBuonasera, sono il nipote del comandante Balbo, all'epoca dei fatti secondo comandante del Da Mosto. Tra le carte di mio Nonno ho trovato diversi documenti e fotografie, nonché lettere dei matinai e delle famiglie. Ho contattato diversi familiari dell'equipaggio del Da Mosto e ho raccolto varie testimonianze e sto scrivendo un libro sull'episodio del Da Mosto. Se avesse piacere di raccontarmi qualche aneddoto o testimonianza del suo congiunto, le sarei grato e pa potrei includere nel libro. I miei contatti: mario_fuselli@libero.it, cell 3383966580. Grazie e un cordiale saluto
EliminaMolto interessante dal punto di vista storico e umano. Mio padre si chi chiamava Adriano Pellegri ed era cannoniere è morto nel 1995. Mi ha lasciato la sua storia; ho anche delle fotografie dei superstiti.
RispondiEliminaBuonasera Sig Pellegri, sono Mario Fuselli, nipote del comandante Balbo, all'epoca dei fatti secondo ufficiale del Da Mosto. Tra le sue carte ho trovato molti documenti, fotografie e lettere dei marinai e delle famiglie dei superstiti e degli scomparsi. Da tutti questi documenti ho capito quantonfosse soldo il legame tra tutti gli uomini del Da Mosto e quanto tenessero alla loro bella nave. Da un po' di tempo ho iniziato a contattare i famigliari dei marinai per raccogliere altro documenti e fotografie perché sto scrivendo un libro sull'ultima missione del Da Mosto. Se avesse piacere di raccontarmi qualche testimonianza della vita di suo padre, gliene sarei grato. Puo contattarmi o via email su mario_fuselli@libero.it oppure via cellulare al 3383966580. Grazie e un cordiale saluto
EliminaIl fratello di mio nonno era su quella nave, uno dei dispersi. Se qualcuno ha comunque qualcosa, storie su quel periodo delle loro vite, se esistessero foto in più.
RispondiEliminaBuongiorno, sono Mario Fuselli, nipote del comandante Balbo, all'epoca dei fatti secondo comandante della nave. Tra le sue carte ho trovato molti documenti, fotografie e lettere dei marinai e delle famiglie dei superstiti e degli scomparsi. Da tutti questi documenti ho capito quanto fosse soldo il legame tra tutti gli uomini del Da Mosto e quanto tenessero alla loro bella nave.
EliminaDa un po' di anni, sto raccogliendo documenti e testimonianze da parte delle famiglie dei marinai del Da Mosto, perchè sto scrivendo un libro sulla storia dell'ultima missione del Da Mosto.
Se avesse piacere di contattarmi per raccontarmi qualche aneddoto sul fratello di suo Nonno ne sarei lieto e lo potrei includere nel libro. Di seguito i miei contatti: mario_fuselli@libero.it - cell. 338 3966580.
Sperando in suo cortese riscontro, le invio i miei migliori saluti
Sono la nipote del marinaio cannoniere Michele Buongiorno, disperso il 1 dicembre 1941, era sulla Da Mosto. È stato decorato come il più giovane marinaio italiano caduto in guerra. Era partito volontario. Era nato nel 1923.
RispondiEliminaBuongiorno, sono Mario Fuselli, nipote del comandante Balbo, all'epoca dei fatti secondo comandante della nave. Tra le sue carte ho trovato molti documenti, fotografie e lettere dei marinai e delle famiglie dei superstiti e degli scomparsi. Da tutti questi documenti ho capito quanto fosse soldo il legame tra tutti gli uomini del Da Mosto e quanto tenessero alla loro bella nave.
RispondiEliminaTempo fa contattai e parlai al telefono con Giuseppe Buongiorno, fratello dello scomparso Michele. E' forse suo padre? Mi ha raccontato alcuni aneddoti della storia di Michele e aveva detto che se avesse trovato altra documentazione me la avrebbe fatta avere. Infatti, da un po' di anni, sto raccogliendo documenti e testimonianze da parte delle famiglie dei marinai del Da Mosto, perchè sto scrivendo un libro sulla storia dell'ultima missione del Da Mosto.
Se avesse piacere di contattarmi per raccontarmi qualche aneddoto ne sarei lieto e lo potrei includere nel libro. Di seguito i miei contatti: mario_fuselli@libero.it - cell. 338 3966580.
Sperando in suo cortese riscontro, le invio i miei migliori saluti
Il mio bisnonno combattè su questa nave, Scutari Michele. Mi sembrava familiare la foto sulla nave ospedale
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