Il varo del Finzi (g.c. Giorgio Parodi via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net) |
Sommergibile oceanico classe Calvi (1550 tonnellate di dislocamento in superficie e 2060 in immersione). Durante il conflitto svolse 10 missioni, tutte in Atlantico, ed affondò 5 navi mercantili per totali 30.760 tsl.
Breve e parziale cronologia.
1° agosto 1932
Impostazione nei
cantieri Odero Terni Orlando di La Spezia.
29 giugno 1935
Varo nei cantieri
Odero Terni Orlando di La Spezia.
Un’altra immagine del varo
del Finzi (da “Gli squali
dell’Adriatico” di Alessandro Turrini, Vittorelli Edizioni, 1999, via www.betasom.it)
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8 gennaio 1936
Entrata in servizio.
Primo comandante dell’unità, dal 13 ottobre 1935, è il capitano di corvetta Francesco Dell'Anno, da Taranto.
Con le altre due
unità della sua classe, il Pietro Calvi e l’Enrico Tazzoli, ed il più
anziano Ettore Fieramosca, il Finzi va a formare la II Squadriglia Sommergibili
della I Flottiglia, di base a La Spezia, poi (sempre ad inizio 1936), insieme i
gemelli ed ai più piccoli Glauco ed Otaria, va a formare la I Squadriglia
Sommergibili e viene dislocato a Taranto, svolgendo intensa attività
addestrativa con il IV Gruppo Sommergibili.
Nello stesso 1936 Finzi e Tazzoli effettuano una crociera nel Dodecaneso, facendo scalo,
durante il ritorno, anche in Libia.
Presta servizio sul Finzi, in questo periodo, anche il tenente di vascello Junio Valerio Borghese, futura MOVM nonché comandante della X MAS (nella quale
dopo l’armistizio, coincidenze della storia, confluirà parte dell’ultimo
equipaggio del Finzi).
I tre “Calvi” in allestimento
al Muggiano: da sinistra Tazzoli, Calvi e Finzi (da "I sommergibili italiani fra le due guerre
mondiali" di Alessandro Turrini - MariStat/UDAP - 1990, per g.c. Sergio
Mariotti, via www.betasom.it)
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15 agosto 1937
Lascia Napoli (al
comando del capitano di corvetta Alvise Minio Paulello) per effettuare una singola missione
clandestina durante la guerra civile spagnola.
20 agosto 1937
Arriva nel settore
d’operazioni assegnato, al largo di Valencia, e lancia due siluri da 533 mm
contro altrettanti cacciatorpediniere spagnoli repubblicani delle classi
Churruca e Lazaga (uno dei due, anzi, è proprio il Lazaga), ma le armi non vanno a segno (anche se il comandante
pensa, sbagliando, di aver colpito il Lazaga
a poppa) e, causa l’immediata reazione delle navi repubblicane, il Finzi viene costretto all’immersione
rapida e sottoposto a tre ore di caccia con bombe di profondità (le prime 4-5
bombe di profondità lanciate danneggiano il periscopio, sebbene non gravemente),
subendo lievi danni, prima di riuscire ad allontanarsi.
Nei giorni seguenti
il Finzi effettua altre tre manovre
d’attacco contro navi mercantili, ma in un unico caso giunge al lancio dei
siluri, il 22 agosto, quando ne lancia due (uno da 450 ed uno da 533 mm) contro
un piroscafo che si ritiene stia contrabbandando rifornimenti per le forze
repubblicane (forse l’Escolano), che
riesce tuttavia ad avvistarli, schivarli con un’accostata e quindi allontanarsi.
4 settembre 1937
Conclude la missione
tornando a Napoli.
1938
Finzi,
Calvi e Tazzoli vengono assegnati alla XV Squadriglia Sommergibili del I
Grupsom (La Spezia), formata dai più grossi sommergibili oceanici della Regia
Marina: oltre ai tre “Calvi”, anche il Fieramosca
e gli anziani Balilla, Domenico Millelire, Antonio Sciesa ed Enrico Toti.
Nello stesso anno il capitano di corvetta Minio Paluello viene sostituito al comando del Finzi dal parigrado Alberto Dominici.
1939
Finzi,
Calvi, Tazzoli e Fieramosca
vanno a costituire la XII Squadriglia, ancora inquadrata nel I Grupsom di La
Spezia.
Giugno 1939
Al comando del capitano di corvetta Alberto Dominici, il Finzi compie una
crociera fino ad El Ferrol (Golfo di Biscaglia), onde verificare quali siano le
condizioni per il passaggio dello stretto di Gibilterra, in vista di un
possibile futuro impiego bellico in Atlantico. Gli ordini prevedono però, per
evitare d’immergersi nella zona di maggior traffico dello stretto, dove vi sono
forti correnti, di navigare solo in superficie da 60 miglia ad est di
Gibilterra sino ad 80 miglia ad ovest della stessa località: il contrario di
ciò che dovrebbe avvenire in guerra, con lo stretto sottoposto a serrata
vigilanza. In base alle disposizioni, la navigazione diurna avviene in
immersione, quella notturna in superficie.
In questo periodo
presta servizio sul Finzi il marinaio
elettricista Arduino Forgiarini, futura MOVM.
Giugno 1940
Insieme a Calvi, Tazzoli e Fieramosca, il Finzi fa parte della XI Squadriglia
Sommergibili del I Grupsom di La Spezia. Viene scelto per essere uno dei
sommergibili da inviare in Atlantico non appena le ostilità inizieranno: sarà
anzi il primo sommergibile italiano a compiere una missione in Atlantico.
5 giugno 1940
Prima ancora della
dichiarazione di guerra dell’Italia, il Finzi
(capitano di corvetta Alberto Dominici) lascia Cagliari diretto in Atlantico.
12 giugno 1940
Nelle prime ore del
12, mentre si avvicina in immersione a Punta Almina, subisce ed elude un
attacco da parte del cacciatorpediniere britannico Watchman, senza riportare danni ma dovendo restare immerso e posato
sul fondo fino a notte per far perdere le proprie tracce (lo stretto è
sorvegliato da nove cacciatorpediniere della 13th Destroyer Flotilla
e da diversi pescherecci antisommergibile).
13 giugno 1940
Emerge poco dopo
mezzanotte (la luna è tramontata ed è prevista la massima oscurità, così che il
battello possa passare inosservato), come da disposizioni, ed attraversa a
tutta forza (motori diesel a 12 nodi) lo stretto di Gibilterra, primo
sommergibile italiano a passare lo stretto in tempo di guerra. Le condizioni
meteorologiche sono favorevoli, non si verificano imprevisti; al largo di
Tangeri, alle prime luci dell’alba, si immerge per poi proseguire immerso fino
a notte. Si porta poi in agguato al largo delle Canarie e successivamente di
Madera, ma non trova nessuna nave nemica.
6 luglio 1940
Inizia alle 00.00, in
superficie e senza luce lunare (il cielo è coperto e c’è vento da libeccio), il
riattraversamento dello stretto di Gibilterra, che continuerà poi in
immersione, senza che si abbiano a lamentare problemi.
Il Finzi poco dopo l’entrata in servizio (g.c. Aldo Cavallini via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
10 luglio 1940
Conclude la missione
con l’arrivo a Cagliari. L’assenza di risultati della missione è compensata dal
fatto che si siano potute verificare le difese britanniche dello stretto di
Gibilterra e l’assenza di grossi problemi nel suo attraversamento.
13 luglio 1940
Lasciata Cagliari,
giunge a La Spezia.
Viene poi deciso che,
come da accordi prebellici tra Italia e Germania, i sommergibili oceanici della
Regia Marina vengano dislocati in una base atlantica, Betasom, stabilita nel
porto di Bordeaux, nella Francia occupata.
Il Finzi è tra di essi, assegnato al primo
gruppo che si trasferirà a Bordeaux (con Dandolo,
Marconi, Bagnolini e Barbarigo):
la missione, della durata prevista di 11 giorni (in principio 8, poi portati ad
11 a seguito dell’informazione che a Gibilterra si appresta a partire un convoglio
di una trentina di navi), comprenderà anche un pattugliamento di un settore
ampio un grado di latitudine nell’Atlantico centrale, per quanto obiettivo
principale sia il mero trasferimento a Bordeaux.
7 settembre 1940
Salpa da La Spezia di
nuovo diretto in Atlantico, sempre al comando del capitano di corvetta Alberto Dominici.
12-13 settembre 1940
Nottetempo,
attraversa in immersione lo stretto di Gibilterra senza essere localizzato,
grazie anche al tempo buono ed alla leggera foschia.
18 settembre 1940
Al lago di Capo San
Vincenzo, durante la navigazione verso il settore assegnato (situato al largo
della baia di Vigo), avvista di giorno un aereo, che passa all’attacco: due membri dell’equipaggio, il capo di seconda
classe Aldo Fortini ed il marinaio Nicola Solipaga, rimangono uccisi.
Successivamente il Finzi viene anche attaccato con bombe di
profondità da un cacciatorpediniere, ma elude l’attacco senza danni seri.
Rimane poi per nove
giorni nella propria area d’operazioni, ma non avvista altro che naviglio
neutrale.
29 settembre 1940
Arriva a Bordeaux,
dov’è stata stabilita la base atlantica dei sommergibili italiani, Betasom,
senza aver colto alcun successo.
Il Finzi in arrivo a Bordeaux il 20 settembre 1940 (g.c. Giorgio
Parodi; la foto è talvolta identificata anche come del Calvi)
|
Un’altra immagine del
battello in arrivo a Betasom (Coll. E. Bagnasco via M. Brescia e www.associazione-venus.it)
|
30 settembre 1940
Il Finzi viene visitato a Bordeaux, insieme
al sommergibile Malaspina, dall’ammiraglio Karl Dönitz recatosi in visita alla
base italiana.
24 ottobre 1940
Assegnato al gruppo
«Bagnolini» (Bagnolini e Baracca, partiti insieme al Finzi, e Marconi), lascia Bordeaux (al comando del capitano di corvetta Dominici) per la terza
missione di guerra, diretto nelle acque ad ovest della Scozia.
30 ottobre 1940
In mattinata, durante
la navigazione verso la propria zona d’operazioni, ad ovest delle Isole
Britanniche, avvista un mercantile armato di circa 3000 tsl ad una decina di km
e si immerge per prepararsi ad attaccare, ma a causa del mare grosso, che
impedisce di mantenere la quota periscopica e fa affiorare il battello
improvvisamente il superficie, viene avvistato. Lancia egualmente un siluro
contro il mercantile armato, senza riuscire a colpirlo, e subisce poi il
violento contrattacco con cariche di profondità (ne conta nove esplodere) da
parte di una nave da guerra a turbina, cui scampa comunque senza danni.
31 ottobre 1940
Raggiunge il proprio
settore d’operazione ed inizia a pattugliarlo.
16 novembre 1940
In serata, informato
da Betasom dell’avvistamento di un convoglio veloce, si pone in navigazione per
incontrarlo il prima possibile, ma il mattino del 17 un improvviso
peggioramento del tempo lo obbliga a desistere.
18 novembre 1940
Intercetta il segnale
di scoperta di un altro convoglio veloce e di nuovo fa rotta per raggiungerlo a
tutta forza, ma il mattino del 19 intercetta anche informazioni sulla presenza
di aerei e le condizioni del tempo, di nuovo sfavorevoli (nebbia), lo
costringono ad immergersi e rinunciare per la seconda volta. Poi s’immerge e,
nel pomeriggio del 19, rileva con l’idrofono che il convoglio transita a grande
distanza a 14 nodi; constatato che le condizioni del mare non permetterebbero
comunque di riprendere contatto con il convoglio, a causa della sua elevata
velocità, lascia perdere definitivamente.
22 novembre 1940
A mezzogiorno, con
mare forza 8-9, avvista un piroscafo a breve distanza e s’immerge
immediatamente a quota periscopica per attaccare, ma a causa delle condizioni
del mare deve rinunciare all’attacco ed immergersi in profondità. Dalle 12.40
alle 19.50 sente, tramite gli idrofoni, che un convoglio di 10-20 mercantili,
scortati da navi con macchine alternative – verosimilmente incrociatori
ausiliari –, sta passando a poca distanza diretto verso est; rileva anche le
detonazioni di parecchie bombe di profondità, in lontananza. Alle 19.50, dato
che le condizioni del mare non consentono di raggiungere il convoglio, desiste
dall’inseguimento e lancia il segnale di scoperta.
Uno dei convogli avvistati
dal Finzi è l’«OB 244», partito da
Liverpool il 17 novembre e formato da 46 mercantili, sette dei quali verranno
affondati da U-Boote tedeschi.
23 novembre 1940
In immersione, con
mare forza 8/9, sente agli idrofoni un altro convoglio che transita diretto
verso est, che non riesce ad avvistare, perché il mare mosso gli impedisce di
restare a quota periscopica. Alle 13 emerge, ma le condizioni del mare
impediscono di mettere in moto i motori diesel, ed è così costretto a restare
alla cappa con i motori elettrici; lancia il segnale di scoperta.
24 novembre 1940
Avvista un altro
convoglio di 10-15 mercantili in navigazione verso est, ma ancora una volta il
maltempo gli impedisce di avvicinarsi.
Uomini del Finzi in posa accanto al cannone: in primo piano, con il binocolo, il comandante Dominici (g.c. Giovanni Pinna) |
27 novembre 1940
Avvista un piroscafo
che procede a 15 nodi ed un cacciatorpediniere, ma di nuovo non può attaccare
per il maltempo.
La notte stessa
giunge al limite di autonomia ed intraprende la navigazione di rientro.
4 dicembre 1940
4 dicembre 1940
Rientra a Bordeaux in
mattinata, dopo aver eluso un attacco da parte di un sommergibile britannico al
largo della costa.
La fallimentare
missione ha portato a scoprire che la presa d’aria per i motori diesel (valvola
a fungo) è troppo esposta al maltempo, obbligando ad utilizzare il portello
della torretta, la chiusura del quale causa tuttavia un’improvvisa perdita di
pressione (che si ripercuote sull’equipaggio) causata dal risucchio del motore;
ma il maltempo dell’Atlantico impedisce di tenere il portello aperto, dato che
tonnellate d’acqua si riverserebbero nello scafo, causando danni e problemi.
10 marzo 1941
Il Finzi (capitano di corvetta Dominici) lascia Bordeaux
diretto in missione nell’Atlantico centrorientale (è il secondo sommergibile di
Betasom ad essere inviato in missione nell’Atlantico centrale, dopo gli scarsi
risultati ottenuti nel Nordatlantico), dapprima al largo di Oporto, poi a
ponente delle Canarie e successivamente a levante delle Isole di Capo Verde
(l’area è, complessivamente, delimitata dai meridiani 17° O e 21° O, zona in
cui transita la maggior parte del naviglio in navigazione tra Freetown e
l’Inghilterra); localizza due convogli, ma a causa della scorta non riesce ad
attaccare.
Staziona per 4 giorni
al largo di Oporto, ascoltando agli idrofoni un convoglio, verso nord, diretto
a Gibilterra, ma deve immergersi a causa della scorta e perde il contatto,
senza più riuscire a trovarlo.
Dirige poi verso sud.
27 marzo 1941
Arriva nel settore
tra le Isole di Capo Verde e la costa africana, ma, a causa dell’autonomia
ormai troppo ridotta per proseguire la missione, resta in zona un solo giorno
prima di iniziare la navigazione di ritorno.
Passa 11 giorni ad
ovest delle Canarie, dove è stato avvistato un convoglio di una ventina di
mercantili in navigazione verso nord, ma di nuovo rinuncia ad attaccare per via
della scorta; poi si avvia sulla rotta di rientro.
17 aprile 1941
Giunge a Bordeaux. Il
capitano di corvetta Dominici viene rilevato dal parigrado Ugo Giudice.
Il capitano di corvetta Ugo Giudice (da www.uboat.net) |
1° agosto (o 27 luglio) 1941
Prende nuovamente il
mare, al comando del capitano di corvetta Giudice, diretto al largo di Freetown in una missione
coordinata con i gemelli Calvi e Tazzoli ed il Marconi.
Raggiunge la propria
aerea d’agguato (al largo dello stretto di Gibilterra ed a cento miglia da Capo
San Vincenzo).
10 agosto 1941
Trovandosi in agguato
nelle acque di Capo San Vincenzo, il Finzi
riceve l’ordine di portarsi sul meridiano 10° O per formare, insieme ad otto
sommergibili tedeschi ed all’italiano Marconi,
uno sbarramento lungo la rotta di un convoglio di circa venti navi salpato da
Gibilterra il 9 ed in navigazione verso ovest, l’«HG 69». Successivamente gli ordini
vengono modificati, e diventano di assumere posizione avanzata rispetto alla
direttrice di marcia del convoglio. Il convoglio verrà avvistato ripetutamente
nei giorni seguenti, ma nessun sommergibile riuscirà a mantenere il contatto,
così che il 17 si riuncerà alla sua localizzazione.
18-24 agosto 1941
Nuovamente inviato
alla ricerca di un convoglio salpato da Gibilterra alle 18 del 18, non riesce a
trovarlo; dal momento che nessun sommergibile vi riesce, il 24 vengono
abbandonate le ricerche.
2 settembre 1941
Informato dal
servizio informazioni tedesco che un altro convoglio ha lasciato Gibilterra
alle 19 del 2, si mette alla sua ricerca, con altri battelli operanti
nell’area.
4 settembre 1941
Una consistente perdita
di nafta lo costringe ad avviarsi sulla rotta di rientro.
6-28 dicembre 1941
Il Finzi (capitano di corvetta Ugo Giudice) viene inviato,
insieme ai gemelli Calvi e Tazzoli ed al sommergibile Luigi Torelli, a soccorrere i naufraghi
della nave corsara tedesca Atlantis
(affondata il 22 novembre dall’incrociatore pesante HMS Devonshire) e della rifornitrice tedesca Python (affondata il 1° dicembre dall’incrociatore pesante HMS Dorsetshire dopo aver recuperato i
superstiti dell’Atlantis). I quattro
grossi sommergibili italiani, richiesti appositamente da Karl Dönitz per
l’operazione di soccorso in virtù della loro capienza, partono con equipaggi
ridotti (in modo da avere spazio per i naufraghi) e dirigono verso sud alla
massima velocità (gli ordini consentono di attaccare solo mercantili isolati
all’andata ed in condizioni favorevoli, mentre al ritorno, imbarcati i
naufraghi, sarà interdetta ogni azione offensiva), raggiungono al largo delle
Isole di Capo Verde i sommergibili tedeschi U-A,
U 68, U 124 ed U 129, che hanno
recuperato i 414 sopravvissuti, e – tra il 13-14 ed il 17-18 dicembre, con mare
forza 4-5 – trasbordano 254 naufraghi, principalmente dell’Atlantis, usando per
il trasbordo le piccole zattere di gomma degli U-Boote. Il 16 dicembre il Finzi imbarca 70 superstiti trasbordati
dall’U 129 e rifornisce quest’ultimo
con 80 tonnellate di carburante e provviste, poi raggiunge Saint-Nazaire con i
naufraghi il 28 dicembre (per altra fonte il 24; per altra giunge a St. Nazaire
il 25, per poi ripartirne il 26 e giungere a Bordeaux il 27). A Saint-Nazaire i
sommergibili con i naufraghi vengono accolti dal contrammiraglio Eugen Lindau,
comandante della Kriegsmarine nella Francia settentrionale; il comandante
Giudice del Finzi riceverà la Croce
di Ferro di prima classe dall’ammiraglio Karl Dönitz.
Successivamente il Finzi viene sottoposto a lavori per
aumentarne le scorte di carburante, viveri, siluri e munizioni, per
permettergli di operare nelle acque delle Americhe.
Il Finzi con l’equipaggio schierato in coperta (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net) |
6 febbraio 1942
Lascia Bordeaux e
raggiunge Le Verdon il 7 febbraio.
10 febbraio 1942
Lascia Le Verdon (al
comando del capitano di corvetta Ugo Giudice) diretto in un’area a levante delle Bahamas e dello
stretto di Florida, per partecipare all’Operazione «Neuland», l’attacco al
naviglio alleato nelle acque dei Caraibi deciso dai comandi tedeschi, al quale
parteciperanno, insieme a numerosi U-Boote, anche diversi battelli italiani.
L’operazione, grazie all’effetto sorpresa, all’impreparazione ed inadeguatezza
delle difese antisommergibili alleate ed alla cooperazione italo-tedesca, sarà
un pieno successo, portando all’affondamento di 45 navi (tra cui parecchie navi
cisterna), 16 delle quali da sommergibili italiani, senza subire alcuna
perdita.
I sommergibili
italiani assegnati a «Neuland» fanno parte del Gruppo «Da Vinci»: Finzi e Tazzoli, che, in virtù delle loro
maggiori dimensioni ed autonomia – sul Finzi
sono state caricate provviste, carburante e munizioni in quantità sufficiente
ad assicurargli almeno una decina di giorni nel settore d’operazioni prima di
dover tornare –, vengono assegnati al settore operativo più lontano (Florida e
Bahamas), nonché Da Vinci, Morosini e Torelli che vengono invece inviati ad est delle Antille.
Pochi giorni dopo la
partenza, il Finzi viene colto da una
grave avaria ad uno dei motori diesel, che necessita di sei giorni per le
riparazioni in condizioni decisamente avverse, tanto che il 10 febbraio il
battello, pur avendo avvistato un convoglio a 250 miglia da Lisbona, deve
rinunciare ad attaccarlo.
28 febbraio 1942
Durante la
navigazione di avvicinamento al settore d’operazione ad est delle Bahamas, al Finzi viene ordinato di fare invece
rotta verso il Mona Pass per poi entrare nel Mar dei Caraibi, passare tra Haiti
e Cuba e raggiungere l’area assegnata.
3 marzo 1942
Quando il Finzi è arrivato a poca distanza dal
Mona Pass, il valvolone di scarico di uno dei motori diesel viene afflitto da
una grave avaria, che costringe il battello ad allontanarsi da quella zona,
dove la vigilanza aerea alleata costringe i sommergibili a frequenti
immersioni.
4 marzo 1942
Mentre si tenta di
riparare il valvolone, nel punto 23°40’ N e 62°22’ E viene avvistata una nave
cisterna che viene attaccata di giorno in immersione e di notte in superficie,
ma, dato che anche entrambi i periscopi ed i timoni orizzontali di prua sono
malfunzionanti, la nave sfugge.
5 marzo 1942
Ottiene il suo primo
successo, affondando con quattro siluri, in posizione 23°36’ N e 63°28’ N (350
miglia a nordest del Mona Pass), la motonave cisterna britannica Melpomene da 7011 tsl, in navigazione da
Falmouth e Belfast Lough (dov’è partita il 12 febbraio con il convoglio «OS
19», dal quale si è separata il 22 del mese) a Baton Rouge e New Orleans al
comando del capitano A. Henney, in zavorra. Il Finzi colpisce la Melpomene
con un primo siluro, all’altezza della cisterna numero 4, sul lato sinistro e
sotto la plancia, alle 21.10 (ora locale) del 5 marzo, nel punto 23°35’ N e
62°39’ O, a nordest di Porto Rico e tra Bermuda ed Anegada. Tre membri
dell’equipaggio rimangono gravemente feriti, ma il comandante della cisterna,
dato che non si è sviluppato uno sbandamento rilevante, ritiene di poter
salvare la nave, ed invia tre volontari a rimettere in moto le macchine e
controllare i danni. Quando la Melpomene
rimette in moto, tuttavia, inizia a girare in cerchio, così rivelando che gli
apparati di governo sono stati danneggiati, dunque, alle 21.30, il comandante
Henney ordina di abbandonare la nave. Alle 21.40, mentre le tre scialuppe con i
49 membri dell’equipaggio della petroliera (non vi sono vittime) si stanno
allontanando dalla nave, il Finzi la
colpisce con un secondo siluro sul lato sinistro, seguito alle 22 da un terzo,
che abbatte l’albero situato tra le cisterne numero 7 ed 8. La Melpomene affonda di poppa, impennando
la prua, alle 22.25 (3.08 per altre fonti), 330 miglia a nord dell’isola di St.
Maarten e 350 miglia a nordest di Mona Pass.
Le tre lance della Melpomene fanno rotta per Puerto Rico;
l’8 marzo verranno tutte soccorse dalla motonave statunitense Idaho, che sbarcherà i naufraghi a San
Juan di Puerto Rico.
6-7 marzo 1942
Poche ore dopo aver
affondato la Melpomene il Finzi avvista il piroscafo svedese
(neutrale) Skane da 4528 tsl, in
navigazione a 9 nodi su rotta 163° (verso sud/sudest, durante un viaggio da New
York all’India via Table Bay, con merci varie), e lo insegue durante il giorno,
per poi attaccarlo nella notte 160 miglia a nord/nordest di Anegada, colpendolo
con due o tre siluri (ne vengono lanciati tre in tutto). Il mare è agitato, ma
il tempo e la visibilità sono buoni. Il Finzi
apre poi il fuoco con i cannoni; il primo colpo induce il primo ufficiale dello
Skane ad ordinare di abbandonare la
nave, senza consultare il comandante. Il Finzi
continua poi a cannoneggiare il piroscafo al ritmo di una trentina di colpi
all’ora, mentre l’ufficiale radio dello Skane
invia un segnale SSSS che non viene ricevuto; il cannoneggiamento è così
intenso che l’equipaggio della nave svedese ritiene erroneamente di essere
sotto attacco da parte di due sommergibili contemporaneamente. I 36 membri
dell’equipaggio dello Skane (tra cui,
singolarmente per l’epoca, due donne) abbandonano la nave su due scialuppe; il
piroscafo continua a galleggiare per altre cinque ore. Il Finzi viene costretto ad interrompere l’attacco ed allontanarsi
dall’arrivo di un aereo, ma all’1.50 lo Skane
affonda egualmente a causa dei gravi danni riportati, senza che nessuno abbia
tentato di tornare a bordo, nel punto 20°50’ N e 62°05’ O (oppure 22°50’ N e
60°10’ O, o 22°42’ N e 60°07’ O), 180 miglia a nord di Antigua. Tutti i 36
membri dell’equipaggio della nave svedese verranno soccorsi il 9 marzo dal
mercantile statunitense Ipswich e
sbarcati a Puerto Rico.
(Per altra fonte
l’azione del Finzi dura dall’1.50
alle 7, quando l’avvistamento di un aereo illuminato – verosimilmente civile –
lo obbliga ad immergersi.)
Frattanto, il Finzi riceve da Betasom l’ordine di restare
in zona (circa trecento miglia a nord di Barbuda), dato che vi è altro traffico
mercantile isolato da attaccare, e poi di andare incontro al sommergibile Morosini per rifornirlo di carburante.
Il 7 marzo le avarie
al valvolone vengono finalmente riparate.
9 marzo 1942
Incontra il Morosini nel punto prestabilito, a
nordest di Anegada, ed inizia a rifornirlo di carburante, ma durante
l’operazione, poco prima del tramonto – con tempo buono, vento da est, notte
buia ma buona visibilità –, viene avvistata una petroliera: si tratta della moderna
motonave cisterna norvegese Charles
Racine da 9957 tsl, partita da Clyde (Bowling) il 23 febbraio con il convoglio
«OS 20» (partito da Liverpool il 22 febbraio 1942 e giunto a Freetown il 12
marzo), dal quale si era separata il 1° marzo, e diretta in zavorra a Baytown,
in Texas. Il Finzi interrompe il
rifornimento del Morosini e si mette
all’inseguimento della Charles Racine
(in navigazione su rotta 245° a 12 nodi di velocità), che alle 23.10, portatosi
al suo traverso a sinistra, colpisce con un siluro sul lato sinistro, a
proravia della sala macchine, immobilizzandola nel punto 23°10’ N e 60°28’ O
(secondo gli ufficiali della Charles
Racine), a nordest di Anguilla. Poco dopo il Finzi colpisce la nave con un secondo siluro, anch’esso sul lato
sinistro, mentre la nave lancia un SOS (nonché almeno quattro segnali SSSS,
che, come pure l’SOS, vengono sentiti anche a bordo del Finzi).
Dopo che l’equipaggio
ha abbandonato la nave, il sommergibile (emerso mezz’ora dopo aver messo a
segno il primo siluro) la colpisce con altri due siluri, stavolta sul lato di
dritta, e più tardi, durante la notte, la centra con due ulteriori siluri che
ne causano l’incendio. L’equipaggio della cisterna norvegese ritiene che il Finzi abbia affiancato ed abbordato la
cisterna abbandonata (sulla quale, comunque, codici e documenti segreti sono
stati distrutti prima di abbandonare la nave), e non è certo se le ultime due
esplosioni siano state dovute a siluri oppure a cariche esplosive piazzate a
bordo dall’equipaggio del sommergibile.
(Per altra versione,
l’attacco iniziò alle 19.45 nel punto 23°33’ N e 60°10’ O, ed il primo siluro
mancò la poppa della motocisterna di tre metri, mentre il secondo colpì alle 23,
seguito da altri tre che andarono a segno sia a prua che a poppa, su entrambi i
lati; le macchine dovettero rallentare a causa dell’acqua imbarcata dalle falle
e del carburante che colava dalle cisterne. In ogni caso il Finzi lanciò in tutto sei siluri).
La Charles Racine, con la chiglia spezzata,
affonderà infine entro le sei del mattino del 10 marzo (altre fonti indicano
l’1.24 o le 3.16, ora tedesca) nel punto 23°08’ N e 60°28’ O (per il diario di
bordo del Finzi), circa 425 miglia a
nordest di San Juan (Puerto Rico) e 400 miglia a nordest delle Isole Vergini
Britanniche, lasciando sul mare una vasta chiazza di carburante in fiamme. In
tutto il Finzi ha lanciato sei siluri,
ritenendo di averne messi segno tre. Non avendo visto i naufraghi, a bordo si pensa
erroneamente che non ci siano stati superstiti.
In realtà, non vi
sono state vittime: tutti i 41 uomini dell’equipaggio della petroliera si
mettono in salvo su quattro scialuppe, tre delle quali, con 34 naufraghi (tra
cui il comandante della nave, capitano Arthur Svendsen), verranno soccorse il
mattino del 12 marzo, nel punto 21° 29’ N e 62° 57’ O, dal cacciatorpediniere
statunitense Moffett (i superstiti
saranno quindi sbarcati a San Juan di Puerto Rico), mentre la quarta, con altri
sette uomini al comando del primo ufficiale Nils Nilsen, verrà trovata da una
nave argentina ed i suoi occupanti sbarcati a Trinidad.
Con le sue 9957 tsl
la Charles Racine risulterà essere la
più grande nave cisterna affondata dai sommergibili dell’Asse durante
l’Operazione «Neuland».
Ritorna dal Morosini e lo rifornisce con 21
tonnellate di nafta. Dirige poi per il rientro alla base.
31 marzo 1942
Arriva nel pomeriggio
a Le Verdon (Bordeaux). Il comandante Giudice riceverà anche la Croce di Ferro
tedesca per i successi colti durante l’Operazione «Neuland».
Il comandante Giudice, appena rientrato dalla missione, parla con il sottotenente tedesco Willi Beinstein della Propagandakompanie, imbarcato sul Finzi per filmare i momenti salienti della missione caraibica (da “Operazione Westindien” di Francesco Mattesini, via www.academia.edu) |
Aprile-maggio 1942
Viene sottoposto in
cantiere ad un turno di lavori di riparazione.
6 giugno 1942
Salpa da Bordeaux (al
comando del capitano di corvetta Giudice) insieme al Tazzoli,
diretto in un settore d’agguato compreso tra Cuba, Santo Domingo, la Giamaica e
Pedro Bank, zona d’incrocio di parecchio traffico mercantile tra le due
Americhe.
20 giugno 1942
Come da ordini
ricevuti da Betasom durante la navigazione, s’incontra 550 miglia a nordovest
delle Isole di Capo Verde con il sommergibile Leonardo Da Vinci, che sta tornando alla base ma ha carburante in
eccesso, e riceve da questi 11 tonnellate di nafta e delle provviste (in futuro
ricambierà abbondantemente il favore).
28 giugno 1942
Supera la linea tra
Bermuda ed Anegada, così divenendo unico sommergibile italiano ad entrare nelle
Bahamas (gli altri operano al largo di questo arcipelago), delle quali poi
pattuglierà la zona meridionale nonché Turks e Caicos, tenendosi a sud di
Crooked Island. Segue rotta verso sudovest, in direzione del Winward Passage.
9 luglio 1942
Entra nel Mar dei
Caraibi e si pone in agguato nel Crooked Island Passage, per poi trasferirsi,
nei giorni seguenti, nel Mira por Vos East Passage, nel Windward (o Windham)
Passage e nel passo tra Haiti e Navassa, pattugliando così le acque delle
Bahamas, ma senza mai trovare navi nemiche.
11 luglio 1942
Emerge al largo di
Cuba.
12 luglio 1942
Emerge nel Windward
Passage.
12-13 luglio 1942
Avvista nella notte,
al largo di Navassa, un cacciasommergibili e, dopo qualche ora, una grande e
veloce nave passeggeri, scortata da unità leggere e da due aerei, che non
riesce ad attaccare.
Poi s’immerge e
rileva agli idrofoni due navi propulse da turbine, per poi avvistare
successivamente due bombardieri.
14 luglio 1942
Dopo la constatazione
che il consumo di olio è anomalo, si sposta verso nordest, rinunciando a
portarsi nel Golfo del Messico come originariamente ordinato, e fa invece rotta
per l’area compresa tra i canali tra l’Isola di Crocked ed il Mar dei Caraibi.
18 luglio 1942
Arriva a nord di
Turks e Caicos.
19 luglio 1942
Torna al largo
dell’isola di Crooked; riceve ordine di portarsi 330 miglia a nord di Barbuda,
per incontrare e rifornire il sommergibile Reginaldo
Giuliani.
20 luglio 1942
Durante la
navigazione verso nordest (in allontanamento dalle Bahamas), ai primi bagliori
dell’alba, avvista una nave cisterna che procede a 15 nodi scortata da tre
cacciatorpediniere, e che, proprio in virtù dell’elevata velocità, sfugge
all’attacco.
23 (o 24) luglio 1942
Rifornisce con 50
tonnellate di carburante e 5 di acqua potabile il Giuliani, poi prosegue per un altro punto d’incontro, dove troverà
il Morosini, anch’esso da rifornire.
Durante la navigazione verso est, attacca in posizione 22°15’ N e 60°25’ O, con
il lancio di due siluri, una moderna motonave a due fumaioli, e ritiene di
averla colpita una volta, ma la motonave riesce ad allontanarsi ad elevata
velocità.
27 (o 29) luglio 1942
Rifornisce il Morosini di acqua e di 25 (o 35)
tonnellate di nafta.
29 luglio 1942
Alle 5.36, mentre,
come da ordini di Betasom, è in navigazione per raggiungere la rotta percorsa
dal naviglio in navigazione da New York a Capo San Rocco, attacca
infruttuosamente una grossa nave passeggeri, in navigazione verso ovest a 18
nodi, con tre siluri lanciati da grande distanza.
31 luglio 1942
Avendo finito il
carburante, si avvia sulla rotta di rientro nelle prime ore del giorno.
Dopo aver superato il
meridiano 10°00’ O, inizia la navigazione occulta, ossia in superficie solo per
il tempo indispensabile a ricaricare i motori elettrici (operazione da
compiere, se possibile, di giorno e con ottima visibilità), in modo da sfuggire
all’intensificata attività aerea, che constata soprattutto poco prima
dell’imbocco della Gironda.
18 agosto 1942
Arriva a Bordeaux nel
pomeriggio, per poi essere sottoposto ad un turno di lavori.
29 ottobre 1942
Viene visitato a
Bordeaux da Dino Alfieri, ambasciatore italiano in Germania, e da alti
ufficiali della Kriegsmarine e dell’esercito tedesco.
1° novembre 1942
Assume il comando del
Finzi il tenente di vascello Angelo Amendolia.
14 novembre 1942
Dopo un periodo di
manutenzione ed addestramento, e dopo aver dovuto rimandare un paio di volte la
partenza a causa di mine lanciate da aerei britannici nel canale di uscita, il Finzi lascia Bordeaux, giungendo a Le
Verdon alle 18.
15 novembre 1942
Parte da Le Verdon
alle 9.15, scortato da un’unità tedesca e con tutto l’equipaggio in coperta e
con i salvagenti per il pericolo rappresentato dalle mine, arrivando a La
Pallice alle 18.
18 novembre 1942
Esce in mare per
esercitazioni dalle 11 alle 16, venendo anche infruttuosamente attaccato con
qualche bomba da aerei alleati, che attaccano poi la città.
19 ottobre 1942
Altra esercitazione
nel pomeriggio.
26 novembre 1942
Lascia La Pallice
alle 10.15 diretto nelle acque di Capo San Rocco (Brasile), con l’ordine di
tenersi entro 400 miglia dalla costa e comunque quanto più vicino possibile
alla costa stessa, visto che il traffico è più intenso in quell’area, per poi
spostarsi più a sud sino al limite dell’autonomia. Durante la navigazione nelle
acque prospicienti la città francese, alle 17.25 ed alle 17.48, viene investito
dallo scoppio di due mine, che tuttavia non causano danni.
28 novembre 1942
Doppia Capo
Finisterre.
3 novembre 1942
Avvista in mattinata
un piroscafo di 5000 tsl e lo insegue per alcune ore, prima di scoprire che è
portoghese, dunque neutrale, e rinunciare quindi all’attacco.
4 dicembre 1942
Alle 12.25,
procedendo in superficie, con mare mosso, al largo di Gibilterra, avvista una
grossa nave cisterna con rotta nord, s’immerge rapidamente, si avvicina e si
prepara a lanciare, ma ci si rende conto che la nave è spagnola e neutrale,
quindi l’attacco viene interrotto.
6 dicembre 1942
Durante la notte due
delle quattro pompe dei motori vanno in avaria. Per tutto il giorno rimane
immerso mentre gli uomini, seminudi per il caldo soffocante che c’è all’interno
dello scafo – 40 gradi – tentano vanamente di riparare i guasti.
8 dicembre 1942
Il comandante
Amendolia, stando un centinaio di miglia a sud delle Canarie (a 4000 miglia da
Bordeaux), dato che l’equipaggio non dorme da due giorni e che continuano a
verificarsi avarie, chiede al comando di Betasom dei pezzi di ricambio oppure
l’ordine di rientro. Betasom risponde di rientrare con due motori (impossibile,
essendocene solo uno funzionante). Alla fine gli sforzi dell’equipaggio nelle
riparazioni sembrano pagare, ed il comandante decide di proseguire verso
l’America.
9 dicembre 1942
Mentre le riparazioni
proseguono con buoni risultati, nel pomeriggio il Finzi insegue un piroscafo, che ancora una volta si rivela essere
spagnolo.
10 dicembre 1942
Alle otto una nuova
avaria ai motori, non riparabile in mare, costringe a dirigere per il rientro.
12 dicembre 1942
Nella notte la
bussola elettrica si guasta e quella magnetica va fuori scala, facendo finire
il battello, entro mezzogiorno, 200 miglia fuori rotta.
15 dicembre 1942
Nuova avaria in
nottata, che può tuttavia essere riparata.
21 dicembre 1942
Alle sei il Finzi s’incontra con la nave tedesca
incaricata di scortarlo alla base, ma nell’ultimo tratto evita di stretta
misura due mine vicine alla poppa, mentre la nave tedesca ne urta una ed
affonda. Intorno alle 14 il sommergibile si arena su un banco di sabbia,
dovendo, dopo parecchie manovre fallite, rimanere in attesa della marea
dell’indomani.
22 dicembre 1942
Si disincaglia e
giunge a Bordeaux alle 18.
Durante i successivi
lavori di manutenzione e riparazione, il tenente di vascello Amendolia viene rilevato dal
parigrado Mario Rossetto.
4 febbraio 1943
Il Finzi a Bordeaux (da www.piombino-storia.blogspot.com)
|
4 febbraio 1943
Lascia Bordeaux alle
16 (al comando del tenente di vascello Mario Rossetto, il più giovane dei
comandanti alle dipendenze di Betasom – e che sarebbe poi stato anche il più
longevo, diventando il decano dei sommergibilisti italiani – nonché “la più
bella barba dell’Atlantico”) diretto nell’Atlantico meridionale, incaricato di
rifornire il sommergibile Leonardo Da
Vinci, per consentirgli di estendere la sua missione offensiva spingendosi
nell’Oceano Indiano. Essendo impiegato come rifornitore, il Finzi ha l’ordine di astenersi
dall’attaccare navi nemiche: il suo obiettivo primario è rifornire il Da Vinci.
Sopra, il
tenente di vascello Mario Rossetto e sotto, “la barba più bella dell’Atlantico”
(da www.pionierieni.it). Nato a
Sanremo nel 1915, prima di assumere il comando del Finzi era stato comandante in seconda dell’Enrico Tazzoli, sotto Carlo Fecia di Cossato. Il titolo di “barba
più bella dell’Atlantico” fu decretato dalla signorina Rosenthal (visibile
nella foto sotto: ella soleva accogliere i sommergibili di Betasom, al loro
rientro dalle missioni in Atlantico, con un omaggio floreale), assistente e
traduttrice del capitano di corvetta Franz Becker (ufficiale di collegamento
della Kriegsmarine presso Betasom), al rientro del Tazzoli da una missione, il 5 settembre 1942. Nel dopoguerra
Rossetto divenne dirigente all’interno della SNAM e poi della SAIPEM; ultimo
superstite dei comandanti di Betasom e “decano” dei sommergibilisti italiani,
si è spento nel 2015, pochi mesi dopo il suo centesimo compleanno.
6 febbraio 1943
Dopo essere dovuto
rimanere all’ancora sulla Gironda a causa della nebbia, riparte ed arriva a La
Pallice alle 17.
7 febbraio 1943
7 febbraio 1943
Breve uscita in mare
di prova.
9 febbraio 1943
Breve uscita in mare
di prova.
11 febbraio 1943
Salpa da La Pallice
alle 11.30.
14 febbraio 1943
A seguito della
segnalazione, da parte del radioricevitore, di un aereo diretto verso il Finzi, il sommergibile è costretto
all’immersione rapida, restando poi immerso per circa 36 ore.
15 febbraio 1943
Essendo le batterie
scariche e l’aria molto viziata, il Finzi
tenta di emergere alle 5, azionando i motori termici, ma si deve subito
reimmergere con la rapida, dato che l’aereo è ancora sulla sua verticale.
Emerge di nuovo alle 20, ma l’aereo c’è ancora, per cui si deve nuovamente
immergere con la rapida alle 23.45, dopo aver caricato le batterie.
16 febbraio 1943
Emerge alle tre, per
poi doversi nuovamente immergere rapidamente dopo quattro ore, avendo però
potuto ricaricare completamente le batterie (e pertanto restare a lungo
immerso).
Emerge in serata,
vedendo che finalmente il velivolo è scomparso, e prosegue in superficie con
mare mosso.
18 febbraio 1943
Durante la
navigazione a 500 miglia da Lisbona un errore nel calcolo dell’assetto fa
sprofondare il Finzi a 140 metri,
senza però conseguenze.
19 febbraio 1943
Intorno alle 22
incontra un piroscafo che tuttavia è illuminato, dunque neutrale.
20 febbraio 1943
Giunge all’altezza di
Gibilterra.
21 febbraio 1943
21 febbraio 1943
Passa al largo di
Madera.
23 febbraio 1943
Superate le Canarie,
dirige verso Dakar.
26 febbraio 1943
Supera in mattinata
il Tropico del Cancro, facendo rotta verso il 15° parallelo tra le Isole di
Capo Verde e Dakar.
28 febbraio 1943
Transita in
superficie nel canale tra le Isole di Capo Verde e Dakar, passando al largo di
quest’ultima città alle 21.
1° marzo 1943
Uscito dal canale
senza aver avvistato nulla, si dirige verso l’Equatore.
2 marzo 1943
2 marzo 1943
Un aereo che sorvola
l’aerea costringe il Finzi, durante
la notte, a ripetute immersioni rapide ed a rimanere immerso per dieci ore. A
mezzanotte deve nuovamente immergersi.
5 marzo 1943
Passa il 3°
parallelo, al largo della Liberia.
7 marzo 1943
7 marzo 1943
Alle 18 il Finzi attraversa l’Equatore: per 74 dei
75 uomini del suo equipaggio – non Rossetto, che l’ha già passato cinque anni
prima sull’incrociatore Montecuccoli
– è la prima volta, celebrata con un rituale “battesimo collettivo” ed un
brindisi.
8 marzo 1943
Passa nel centro del
Golfo di Guinea, a 500 miglia dalla costa.
L’unità in una foto tratta
dall’Almanacco Navale (da www.betasom.it)
|
12 marzo 1943
Passa a 600 miglia
dall’Angola, non lontano dal Tropico del Capricorno.
18 marzo 1943
Alle 21, poco prima
dell’incontro con il Da Vinci, il Finzi incontra il piroscafo britannico Lulworth Hill da 7628 tsl (in navigazione
isolato dalle Mauritius a Mersey via Table Bay e Freetown con un carico di
zucchero, rum e fibre) e, per quanto gli ordini siano di non attaccare per dare
la proprità a rifornire il Da Vinci –
il comandante Rossetto non riesce a resistere –, passa all’attacco,
avvicinandosi lentamente sino ad essere a soli 600 metri di distanza, senza
che, apparentemente, la nave britannica se ne accorga. Messa la prua sul
bersaglio, il Finzi lancia un primo
siluro che passa un metro a poppavia del Lulworth
Hill, poi un secondo che viene evitato con la manovra, poi un terzo che non
va nemmeno esso a segno. Poi il piroscafo apre il fuoco con i cannoni, ed il Finzi s’immerge rapidamente, mentre il Lulworth Hill si dà alla fuga a tutta
forza, forzando l’andatura; il sommergbile riemerge e si pone all’inseguimento,
ma quando ha quasi raggiunto la sua preda entrambi i motori del Finzi vanno in avaria. (Per altra
versione, il Finzi cannoneggiò e
silurò il Lulworth Hill, riuscendo a
danneggiarlo gravemente, ma vedendolo egualmente sfuggire a causa dell’avaria
ai propri motori). Nel mentre, però, il Finzi
ha informato via radio il Da Vinci,
che si trova nei pressi: proprio quando sembra che il Lulworth Hill stia per sfuggire, l’equipaggio del Finzi vede apparire il Da Vinci, che si pone all’inseguimento
della nave nemica. Piroscafo e sommergibile scompaiono presto all’orizzonte,
sottraendosi alla vista dell’equipaggio del Finzi:
alla fine anche il Lulworth Hill
andrà ad aggiungersi alla lunga lista delle vittime del Da Vinci.
19-20 marzo 1943
La sera del 19 (per
altra fonte nelle prime ore mattutine del 20) il Finzi incontra nel punto 12°06’ S e 12°06’ E, 550 miglia ad
est-nord-est di Sant’Elena ed a sud del Golfo di Guinea (a ben 4500 miglia da
Bordeaux), il Da Vinci, che rifornisce
con tre siluri A100 da 450 mm, 93 tonnellate di nafta, 10 tonnellate di acqua
dolce, 5,7 tonnellate di olio per motori (5320 kg per i motori e 400 per
l’impianto Calzoni) e provviste per 20 giorni, così permettendogli di penetrare
in Oceano Indiano per proseguire con la sua puntata offensiva. L’operazione di
rifornimento, effettuata a mezzo di gommoni, inizia alle 22 del 19 marzo e si
conclude solo alle 23.40 del 20. L’unico sopravvissuto del Lulworth Hill recuperato dal Da
Vinci, il marinaio cannoniere James Leslie Hull, viene trasbordato dal Da Vinci sul Finzi stesso, così come il sottotenente medico Vittorio Del Vecchio
del Regio Esercito, unico prigioniero italiano recuperato dal Da Vinci dopo che quest’ultimo aveva
affondato anche il transatlantico britannico Empress of Canada, il quale, purtroppo, trasportava anche alcune
centinaia di prigionieri italiani, come lo stesso Del Vecchio racconta
all’equipaggio del Finzi. Il
trasferimento sarà provvidenziale per Hull e Del Vecchio, perché il Da Vinci, dopo aver operato con grande
successo nel Sudatlantico e nell’Oceano Indiano (grazie anche al rifornimento
appositamente effettuato dal Finzi),
verrà affondato con tutto l’equipaggio durante la navigazione di ritorno: gli
uomini del Finzi saranno così gli ultimi
a vedere i loro commilitoni del Da Vinci.
Alle 23.40 del 20
marzo Rossetto e Gazzana Priaroggia, comandante del Da Vinci, si salutano con quest’ultimo scambio di battute: alla
domanda di Rossetto se necessiti ancora di qualcosa, Gazzana replica “Sì, di
qualche nave”, al che Rossetto risponde: “Anch’io”. Le avranno entrambi.
Poi il Finzi, compiuta la sua missione e
rimasto solo con la nafta indispensabile al rientro, assume rotta 312° e dirige
verso nord per iniziare la navigazione di rientro, che si rivelerà piuttosto
fruttuosa.
27 marzo 1943
Riattraversa
l’Equatore.
28 marzo 1943
Il Finzi avvista nel pomeriggio il
piroscafo greco Granicos da 3689 tsl,
in navigazione da Rio de Janeiro a Freetown (diretto poi a Loch Ewe) con un
carico di minerali ferrosi e quarzo (al comando del capitano Georgios A.
Valantasis), lo insegue senza che questi se ne accorga e da circa mille metri
lancia una coppiola di siluri, uno dei quali va a segno. Subito dopo il Finzi lancia una seconda coppiola:
entrambe le armi colpiscono il bersaglio, ed alle 22.02 (16.05 per altra fonte
e 20 per altra, probabilmente discrepanze nei fusi orari) il Granicos affonda nel punto 03°49’ N e
15°15’ O (nell’Atlantico Meridionale, a 120 miglia da Freetown; per altra fonte
nel punto 02°00’ N e 15°30’ O, 350 miglia a sudovest Freetown, 300 miglia a sud
di Monrovia o 430 miglia a sudovest della stessa città). A causa del suo carico
di minerale di ferro, il Granicos
affonda in meno di mezzo minuto, portando con sé quasi tutti i 34 membri
dell’equipaggio. Il Finzi si avvicina
lentamente in mezzo ai rottami, scorgendo nell’oscurità le luci rosse e verdi
dei salvagenti dei pochi sopravvissuti, che gridano nel mare infestato dagli
squali. Il sommergibile riesce ad inquadrare col proiettore un naufrago aggrappato
ad un rottame, e si avvicina per prenderlo a bordo, ma quando è giunto a pochi
metri di distanza, quando già se ne distingue la fisionomia, il naufrago
scompare.
Uno altro
sopravvissuto, il portoghese Joaquim Rodriguez, aggrappato ad un piccolo pezzo
di legno, grida aiuto ma, ogni volta che la luce del proiettore gli passa
vicino, si nasconde perché ha paura di essere mitragliato: alla partenza da Rio
de Janeiro, infatti, all’equipaggio del Granicos
è stato detto che i sommergibili dell’Asse mitragliano i naufraghi (tanto che,
dopo il salvataggio, si inginocchierà davanti a Rossetto chiedendo di non
essere ucciso o buttato in pasto agli squali; secondo una fonte, durante
l’attacco al Granicos il Finzi avrebbe anche sparato sul
piroscafo con le mitragliere da 13,2 mm, il che avrebbe alimentato le paure dei
superstiti, ma questo non sembra risultare). Rodriguez viene infine trovato,
recuperato e fatto prigioniero dal Finzi.
L’unico altro superstite, della cui presenza il Finzi non si è accorto, verrà tratto in salvo da una zattera il 4
aprile (nel punto 01°00’ N e 17°00’ O), dalla cisterna alleata Leighton.
29 marzo 1943
Nel pomeriggio, alle
15.55, il Finzi avvista a grande
distanza il piroscafo britannico Celtic
Star da 5575 tsl, in navigazione isolato da
Freetown (dov’era giunto da Manchester, via Greenock) a Montevideo (da
dove sarebbe dovuto proseguire per Buenos Aires) con 4410 tonnellate di merci
varie e posta, al comando del capitano J. H. A. Mackie. Il sommergibile si pone
all’inseguimento del mercantile, che naviga a buona velocità verso sud, e,
calato il buio, si avvicina alla sua preda, che ad un certo punto sembra
aumentare la velocità; il Finzi
lancia due coppiole di siluri in rapida successione, da 2600 metri di distanza.
Alle 22.10 (orario di bordo) il Celtic
Star viene colpito alla sala macchine; queste ultime vengono poi fermate e
vengono messe a mare due scialuppe (altre due sono andate distrutte nel
siluramento) ed alcune zattere. Il mercantile affonderà all’1.12 (00.48 per
altra fonte) nel punto 04°08’ N e 17°35’
O (per altra fonte 04°16’ N e 17°44’ O, 350 miglia a sudovest di Freetown).
(Secondo altra versione, il Finzi
avrebbe usato anche il cannone, oltre ai siluri, per affondare il Celtic Star).
Dei 66 membri dell’equipaggio del Celtic Star, due rimangono uccisi nel siluramento, mentre gli altri si mettono in salvo (quelli che sono in acqua o sulle zattere vengo tutti trasferiti sulle due lance). Il Finzi emerge e si avvicina alle imbarcazioni, ma il comandante Mackie del Celtic Star fa manovrare la sua in modo da nasconderla nell’oscurità, così che il battello italiano non nota la sua presenza; il sommergibile raggiunge invece l’altra scialuppa, al comando del primo ufficiale W. Tulip, affiancandola, ed il comandante Rossetto chiede se vi sia il comandante, che è consuetudine prendere prigioniero. I naufraghi rispondono, mentendo, che questi è morto, pertanto dal Finzi viene chiesto se ci siano il direttore di macchina oppure altri ufficiali nella scialuppa, ma tutti tacciono; Rossetto, non volendo indugiare oltre perché conscio del fatto che anche dalle altre imbarcazioni riceverebbe le stesse risposte, e perché il sommergibile ha intercettato la richiesta d’aiuto del Celtic Star, nella quale si riferiva la posizione dell’attacco (il che verosimilmente avrebbe causato l’arrivo sul posto di unità nemiche), dice ai naufraghi che prenderà prigioniero uno di loro. Immediatamente uno di essi, il marinaio canadese George Pattinson, che è già stato affondato un paio di volte in precedenza, si offre come prigioniero e viene pertanto preso a bordo dal Finzi (alla domanda incuriosita del comandante Rossetto, sul perché si fosse offerto, Pattinson risponderà “E’ la terza [o quarta] volta che faccio naufragio. Ogni volta sono stato salvato, riportato a terra, nuovamente imbarcato, nuovamente affondato: sono stanco di fare il naufrago!”. L’episodio sarà poi ritratto dal pittore di Marina Rudolf Claudus in un suo dipinto). Rossetto domanda poi ai naufraghi se desiderino qualcosa, e questi ultimi chiedono solo sigarette e fiammiferi; il comandante Rossetto fa distribuire ai superstiti la sua razione personale di sigarette, dato che lui non fuma. (Secondo Amleto Sommaruga, reduce del Finzi, invece, nessuno degli occupanti della scialuppa volle salire a bordo del Finzi e darsi prigioniero, così che – dato che occorreva prendere un prigioniero –, quando i naufraghi chiesero le sigarette, diversi pacchi delle quali furono loro consegnati, il primo naufrago che prese i pacchi venne portato a bordo del Finzi quale prigioniero, mentre gli altri ringraziarono calorosamente e poi si allontanarono). Il Finzi lascia poi la zona dell’attacco; i 63 uomini del Celtic Star rimasti sulle due imbarcazioni verranno avvistati l’indomani da un Sunderland della RAF e tratti in salvo dal peschereccio antisommergibile HMT Wastwater in giornata, per poi essere sbarcati a Freetown.
Dei 66 membri dell’equipaggio del Celtic Star, due rimangono uccisi nel siluramento, mentre gli altri si mettono in salvo (quelli che sono in acqua o sulle zattere vengo tutti trasferiti sulle due lance). Il Finzi emerge e si avvicina alle imbarcazioni, ma il comandante Mackie del Celtic Star fa manovrare la sua in modo da nasconderla nell’oscurità, così che il battello italiano non nota la sua presenza; il sommergibile raggiunge invece l’altra scialuppa, al comando del primo ufficiale W. Tulip, affiancandola, ed il comandante Rossetto chiede se vi sia il comandante, che è consuetudine prendere prigioniero. I naufraghi rispondono, mentendo, che questi è morto, pertanto dal Finzi viene chiesto se ci siano il direttore di macchina oppure altri ufficiali nella scialuppa, ma tutti tacciono; Rossetto, non volendo indugiare oltre perché conscio del fatto che anche dalle altre imbarcazioni riceverebbe le stesse risposte, e perché il sommergibile ha intercettato la richiesta d’aiuto del Celtic Star, nella quale si riferiva la posizione dell’attacco (il che verosimilmente avrebbe causato l’arrivo sul posto di unità nemiche), dice ai naufraghi che prenderà prigioniero uno di loro. Immediatamente uno di essi, il marinaio canadese George Pattinson, che è già stato affondato un paio di volte in precedenza, si offre come prigioniero e viene pertanto preso a bordo dal Finzi (alla domanda incuriosita del comandante Rossetto, sul perché si fosse offerto, Pattinson risponderà “E’ la terza [o quarta] volta che faccio naufragio. Ogni volta sono stato salvato, riportato a terra, nuovamente imbarcato, nuovamente affondato: sono stanco di fare il naufrago!”. L’episodio sarà poi ritratto dal pittore di Marina Rudolf Claudus in un suo dipinto). Rossetto domanda poi ai naufraghi se desiderino qualcosa, e questi ultimi chiedono solo sigarette e fiammiferi; il comandante Rossetto fa distribuire ai superstiti la sua razione personale di sigarette, dato che lui non fuma. (Secondo Amleto Sommaruga, reduce del Finzi, invece, nessuno degli occupanti della scialuppa volle salire a bordo del Finzi e darsi prigioniero, così che – dato che occorreva prendere un prigioniero –, quando i naufraghi chiesero le sigarette, diversi pacchi delle quali furono loro consegnati, il primo naufrago che prese i pacchi venne portato a bordo del Finzi quale prigioniero, mentre gli altri ringraziarono calorosamente e poi si allontanarono). Il Finzi lascia poi la zona dell’attacco; i 63 uomini del Celtic Star rimasti sulle due imbarcazioni verranno avvistati l’indomani da un Sunderland della RAF e tratti in salvo dal peschereccio antisommergibile HMT Wastwater in giornata, per poi essere sbarcati a Freetown.
(Per altra fonte il Finzi avvistò il Celtic Star il 29 marzo, ma lo affondò solo il giorno seguente).
1° aprile 1943
Intorno alle 21,
mentre procede all’altezza del Tropico del Cancro, deve immergersi a causa
dell’arrivo di un aereo.
3 aprile 1943
Transita in
superficie una ventina di miglia a nordovest di Capo Verde.
6 aprile 1943
Avvista in serata un
piroscafo che, tuttavia, è illuminato, dunque neutrale, pertanto non attacca.
10 aprile 1943
A causa della
scarsità di nafta, il Finzi deve
fermare uno dei motori, dovendo per questo proseguire a velocità molto bassa.
Durante la notte transita al largo dello Stretto di Gibilterra.
12 aprile 1943
12 aprile 1943
Intorno alle otto è
costretto all’immersione dall’arrivo di un velivolo; rimane immerso per alcune
ore, avvertendo diverse bombe di profondità esplodere in lontananza ed il
rumore delle eliche di un cacciatorpediniere in allontanamento. Riemerge alle
10.30, al largo di Lisbona.
14 aprile 1943
Intorno alle sei
rileva un aereo in arrivo e s’immerge, restando poi sott’acqua sino a tarda
sera, sino a dopo aver sentito diversi lanci di bombe di profondità effettuati
a grande distanza. Procede poi con entrambi i motori.
15 aprile 1943
Nuova immersione,
intorno alle 4, a causa di un aereo. Riemerge nel pomeriggio ma deve immergersi
di nuovo.
16 aprile 1943
Dopo aver navigato in
superficie per gran parte della notte, giunge a circa 200 miglia dall’imbocco
della Gironda. Di giorno si deve immergere per sei volte a causa di aerei.
17 aprile 1943
Comunica a Betasm la
propria posizione, concordando l’appuntamento con l’unità tedesca assegnata
alla scorta fino all’estuario, e s’immerge poi a circa 50 metri, avvertendo nel
pomeriggio bombe di profondità che scoppiano in lontananza ed il rumore delle
macchine di cacciatorpediniere che si avvicinano. Dopo aver atteso, immobile e
silenzioso, che le unità nemiche se ne vadano, il Finzi riemerge nel tardo pomeriggio, restando in superficie solo il
tempo necessario alla ricarica delle batterie prima di immergersi.
18 aprile 1943
18 aprile 1943
Il mattino della
Domenica delle Palme il Finzi giunge
all’estuario della Gironda, per essere scortato nell’ultimo tratto, come d’uso,
da un dragamine tedesco. Giunto ad un centinaio di miglia da Bordeaux, ed a
sole 25 miglia dal punto prefissato per l’incontro con la scorta, il Finzi s’immerge e durante l’attesa,
nell’arco di un’ora e mezza, avverte una mezza dozzina di esplosioni di mine
magnetiche.
Alle 6.33 viene avvistata la prima nave scorta, dunque il sommergibile emerge, issa la bandiera italiana e le bandierine rosse che indicano la stazza delle navi affondate durante la missione; tutti gli uomini si radunano in coperta.
Dal momento che nottetempo gli aerei britannici sono soliti lanciare mine magnetiche nell’estuario della Gironda, sebbene i dragamine magnetici provvedano quotidianamente a dragare le rotte di sicurezza, il Finzi segue il dragamine nella sua scia (altre tre navi tedesche, disposte con la prima “a croce” rispetto al sommergibile, lo proteggono da eventuali attacchi dall’aria nonché dal pericolo delle mine vaganti), e tutto l’equipaggio non in servizio viene fatto salire in coperta, per maggior sicurezza.
Alle 6.33 viene avvistata la prima nave scorta, dunque il sommergibile emerge, issa la bandiera italiana e le bandierine rosse che indicano la stazza delle navi affondate durante la missione; tutti gli uomini si radunano in coperta.
Dal momento che nottetempo gli aerei britannici sono soliti lanciare mine magnetiche nell’estuario della Gironda, sebbene i dragamine magnetici provvedano quotidianamente a dragare le rotte di sicurezza, il Finzi segue il dragamine nella sua scia (altre tre navi tedesche, disposte con la prima “a croce” rispetto al sommergibile, lo proteggono da eventuali attacchi dall’aria nonché dal pericolo delle mine vaganti), e tutto l’equipaggio non in servizio viene fatto salire in coperta, per maggior sicurezza.
Alle 8.1, un paio
d’ore prima dell’arrivo nella foce della Gironda, proprio quando appaiono
all’orizzonte la terra ed il faro che segna l’imbocco del canale e l’equipaggio
inizia a cantare di gioia per l’agognato ritorno dopo 76 giorni in mare, il Finzi fa scoppiare una mina magnetica,
che, posata sul fondale a 30-40 metri di profondità, detona a centro nave,
proprio sotto lo scafo, facendo sobbalzare il sommergibile e sollevando
un’enorme colonna d’acqua a poppavia; gli uomini che sono sottocoperta si
precipitano all’esterno, ma nel giro di pochi minuti appare evidente che il
battello non sta per affondare, dopo di che il direttore di macchina ed il
contabile ispezionano rapidamente l’interno e confermano che non vi sono
perdite: il Finzi è miracolosamente
uscito dall’esplosione senza danni gravi. Nel frattempo anche le navi scorta
tedesche si sono avvicinate. Gli interni del Finzi sono sconvolti dall’onda d’urto, soprattutto nel locale più
poppiero, dove si è aperta una falla nello scafo resistente, attraverso la
quale viene imbarcata una considerevole quantità di acqua, ma il danno non è di
particolare gravità.
A mezzogiorno il
battello giunge a Le Verdon, dove la posta viene consegnata all’equipaggio, poi
prosegue la navigazione lungo la Gironda in direzione di Bordeaux.
Alle 16 l’unità
giunge in salvo alla base, ormeggiandosi alla banchina De Grasse dopo aver
percorso 9680 miglia, accolto festosamente dal personale di Betasom (un
picchetto d’onore del Battaglione San Marco, donne che consegnano mazzi di
fiori – che verranno poi sistemati tra le bandierine issate sui periscopi –, lo
Stato Maggiore di Betasom, altre autorità, una fanfara che suona l’inno
nazionale ed una folla di marinai) e dal comandante della base, capitano di
vascello Enzo Grossi. Quando il Finzi
si ormeggia, viene accolto da un urrà lanciato dai presenti al suo equipaggio.
Il duplice successo
del Finzi verrà anche annunciato dai
bollettini di guerra, che però, insolitamente, daranno una stima al ribasso,
invece che al rialzo, del tonnellaggio dei mercantili affondati: “Un nostro
sommergibile, operante in Atlantico, al comando del Tenente di Vascello Mario
Rossetto di Imperia, ha affondato il piroscafo greco Granikos di 3.000 tonnellate, che aveva un carico di piriti
destinate all’Inghilterra e il piroscafo inglese Celtic Star di 3.000 tonnellate”. Il comandante Rossetto riceve due
Medaglie di bronzo al Valor Militare.
Il Finzi sulla Gironda al rientro dalla sua ultima missione atlantica,
il 18 aprile 1943 (g.c. STORIA militare)
|
Epilogo
La missione del
febbraio-aprile 1943 fu l’ultima per il Finzi:
la Kriegsmarine, infatti, aveva nel frattempo messo gli occhi sui rimanenti
sommergibili italiani di Betasom. I comandi tedeschi, dotati di ottimi
sommergibili “d’attacco” ma non di battelli da trasporto, avevano infatti
bisogno di grossi sommergibili in grado di effettuare la traversata da e per il
Giappone, per scambiare materie prime non reperibili in Europa (da parte
giapponese) e nuove armi e tecnologia militare (da parte tedesca). La proposta
tedesca, avanzata da Dönitz nel febbraio 1943, prevedeva che la Regia Marina
trasformasse i suoi sommergibili oceanici ancora operanti da Bordeaux, logorati
dal lungo servizio e qualitativamente inferiori agli U-Boote, in unità da
trasporto da impiegarsi poi in viaggi verso l’Estremo Oriente (i lavori di
conversione avrebbero richiesto sei settimane); in cambio la Kriegsmarine
avrebbe ceduto alla Marina italiana altrettanti U-Boote dell’ottimo tipo VII C,
che avrebbero potuto continuare, con bandiera ed equipaggi italiani, l’attività
offensiva in Atlantico.
La proposta fu
accettata, e per il Finzi, così come
per gli altri battelli, ebbero inizio i lavori di trasformazione in
sommergibile da trasporto, svolti dal limitato personale della base – sotto la
direzione del maggiore del Genio Navale Giulio Fenu – che, nonostante non fosse
specializzato né avesse abbondanza di risorse, riuscì ad eseguire i lavori celermente.
Sul Finzi i cannoni ed il periscopio
d’attacco, ormai superflui, vennero eliminati, così come alcuni elementi delle
batterie degli accumulatori principali, mentre i depositi munizioni vennero
trasformati in stive. Si pensò anche di eliminare i tubi lanciasiluri, ma il
lavoro risultò lungo e complesso, pertanto, nell’urgenza di dover partire, si
adottò solo una soluzione provvisoria. Anche buona parte delle poche “comodità”
di bordo venne sacrificata per ottenere maggior spazio per il carico. I lavori
su Finzi e Tazzoli avrebbero dovuto rendere questi due sommergibili in grado
di trasportare fino a 240 tonnellate di materiali, rendendoli così di gran
lunga i più capienti tra i sommergibili trasformati.
L’operazione era
denominata «Aquila»; i sommergibili italiani ad essa destinati ricevettero un
nominativo di copertura composto appunto dalla parola Aquila e da un numero
progressivo: a Finzi fu assegnato il
nominativo di Aquila IV (che da parte
giapponese venne erroneamente traslitterato come “Akira n. 4”). Le unità
coinvolte nell’operazione, partendo da Bordeaux, avrebbero dovuto trasportare a
Sabang (Sumatra) e Singapore 100-200 tonnellate di mercurio, barre d’acciaio ed
alluminio, prototipi di bombe, mitragliere da 20 mm, progetti di carri armati ed
altro ancora, poi tornare in Europa con un’eguale quantità di gomma, zinco,
tungsteno, chinino, oppio, bambù, palme ed altro; sia all’andata che al ritorno
vi sarebbe stata la possibilità di trasportare anche alcuni passeggeri.
I lavori sul Finzi, svolti nel cantiere di Le Verdon,
furono completati a fine luglio 1943, ed ad inizio agosto 1943 il sommergibile
(del quale aveva assunto il comando il tenente di vascello Nicola Dellino), con
le altre unità del suo gruppo, fu trasferito a Le Verdon in preparazione della
sua partenza per Singapore (che sarebbe dovuta avvenire nel corso del mese
stesso), ma a differenza di altri battelli già partiti per l’Estremo Oriente
nei mesi precedenti, il Finzi non
lasciò mai più Bordeaux. A seguito dell’invasione della Sicilia e della caduta
di Mussolini, infatti, i comandi tedeschi non si fidavano più dell’Italia, che
ritenevano, a ragione, prossima ad arrendersi agli Alleati; pertanto cercarono
di ritardare la partenza da Bordeaux degli ultimi sommergibili italiani. Il Finzi fu quindi dapprima trattenuto a Le
Verdon e poi rimandato a Bordeaux con varie scuse, in attesa dell’evolversi
della situazione, e lì si trovava ancora in attesa di ricevere il carico
quando, l’8 settembre 1943, fu annunciata la firma dell’armistizio tra l’Italia
e gli Alleati. Gli ordini di Supermarina prevedevano la distruzione dei
sommergibili, ma il comandante di Betasom, capitano di vascello Enzo Grossi,
salì invece sul Finzi dopo l’annuncio
dell’armistizio, non parlò a nessuno degli ordini ricevuti da Supermarina,
trasferì i suoi sommergibili nei bunker usati dagli U-Boote della XII
Flottiglia tedesca (essendosi accordato con i comandi tedeschi) ed invitò
l’equipaggio a continuare a combattere insieme alla Germania (ciò avvenne nel
pomeriggio del 9 settembre; Grossi radunò tutto il personale di Betasom tra
l’11 ed il 12 settembre, chiedendo a tutti di scegliere tra la prosecuzione
della guerra a fianco dei tedeschi, oppure la prigionia in Germania). La
maggior parte o tutto l’equipaggio, al pari del resto del personale che si
trovava a Betasom (che fu chiamata per breve tempo «Base atlantica dell’Italia
repubblicana»), aderì alla proposta di Grossi ed alla Repubblica Sociale
Italiana, la cui bandiera fu issata sul Finzi
da dopo l’armistizio fino al 14 ottobre 1943, quando l’equipaggio italiano
venne sbarcato.
Parte degli uomini di
Betasom vennero quindi impiegati nella difesa costiera, molti altri, dopo il
rimpatrio, passarono nelle fila della X Flottiglia MAS (dove parte di essi andò
a formare, nel giugno 1944, il Battaglione «Longobardo»); tra questi era anche
il sottocapo elettricista Giuseppe Makuc del Finzi, istriano, che fu nuovamente assegnato all’imbarco su uno dei
pochi e piccoli sommergibili armati dalla RSI in Adriatico, il tascabile CB 21 della X MAS, e che trovò la morte
nell’affondamento di questo battello, a pochi giorni dalla fine del conflitto,
quando il CB 21 fu speronato da un
trasporto tedesco tipo KT ed affondato al largo di Pola: era il 29 aprile 1945.
Il Finzi fu incorporato nella Kriegsmarine il
14 ottobre 1943 (il giorno dopo che l’Italia ebbe ufficialmente dichiarato
guerra alla Germania), ricevendo dapprima il nominativo di Merkator I (dopo l’armistizio, infatti, il nome dell’operazione di
trasporto da e per l’Estremo Oriente era cambiato da Aquila in Merkator), per
poi assumere il nome di UIT 21. Al
suo comando, il 14 ottobre 1943, venne assegnato il tenente di vascello Friedrich
Steinfeldt, proveniente dall’U 195,
per il quale l’UIT 21 sarebbe stato
il primo, ma inconsistente, comando.
Il 18 novembre 1943
l’UIT 21 salpò Bordeaux alla volta di
Brest, dove giunse due giorni più tardi, entrando in cantiere per essere
sottoposto a lavori di revisione e manutenzione, a seguito dei quali vennero
effettuate delle prove di navigazione e d’immersione.
Il 1° dicembre l’UIT 21 lasciò Brest per tornare a
Bordeaux, dove arrivò il 3 dicembre per essere sottoposto a nuovi lavori di
conversione in trasporto (appare però strano, essendo tali lavori già stati
effettuati nella primavera-estate 1943, anche se per altre fonti all’armistizio
il Finzi era ancora ai lavori) che si
conclusero il 12 marzo 1944. Al completamento dei lavori seguirono altre prove,
che si conclusero il 19 marzo.
Sulle prime i comandi
tedeschi pensarono di impiegare il sommergibile già italiano – come previsto
già da prima, ma con equipaggio tedesco – in missioni di trasporto, ma, dato
che il battello (e soprattutto l’apparato motore) erano ormai ridotti in
cattive condizioni dal logorante impiego bellico, si decise di non impiegarlo e
così l’idea non fu attuata, e l’ex Finzi,
senza mai essere entrato in servizio, venne disarmato nell’aprile 1944. Il 15
aprile il comandante Steinfeldt lasciò pertanto il comando dell’UIT 21 per tornare al suo U 195, questa volta come comandante.
Il 20 agosto 1944
(per altre fonti il 25, il giorno stesso in cui Bordeaux fu conquistata dalle
forze alleate), poco prima che le forze tedesche in ritirata lasciassero
Bordeaux, il sommergibile venne minato da specialisti in demolizioni della
Kriegsmarine e fatto saltare in aria. All’arrivo degli Alleati, ciò che restava
del Finzi venne trovato all’interno
del grande bunker realizzato a Bordeaux per ospitare gli U-Boote.
L’esplosione delle
cariche di demolizione era stata tanto violenta da proiettare dei rottami del Finzi in aria per una quindicina di
metri, fino a farli conficcare nella copertura del bunker: dove rimangono,
incastrati e visibili, ancora oggi.
Caduti in guerra sul Finzi:
Aldo Fortini, capo di seconda classe, 23 anni,
da Napoli (deceduto per attacco aereo il 18 settembre 1940)
Nicola Solipaga, comune (deceduto per attacco
aereo il 18 settembre 1940)
I rottami del Finzi nella copertura del bunker degli
U-Boote di Bordeaux.
|
Qualche passaggio del
diario del sottocapo elettricista Amleto Sommaruga, imbarcato sul Finzi
dall’ottobre 1942 all’aprile 1943 (da www.betasom.it):
“11 ottobre 1942, lunedì
Questa mattina mi viene comunicato che appartengo all’equipaggio del SMG.FINZI. Ciò vuol dire che partirò tra una quindicina di giorni per una missione di tre mesi. Faccio perciò “sacco e branda” e mi sposto al Campeggio. Alloggio riservato ai sommergibilisti e che alloggio!
Mi trovo per la prima volta da che sono in Marina a dormire fra due lenzuola in un villino costruito per venti persone. Il campo è composto da diverse capanne simili e si trova nel bel mezzo di un bosco ove si può trovare quiete e riposo dopo tanti giorni sacrificio bordo. Esco e mi trovo Janette una bionda parigina.
12 ottobre 1942, martedì
Salgo per la prima volta a bordo del “battello”. Sebbene sia in disordine l’interno mi sembra abbastanza pratico e comodo in rapporto ai “Mediterranei”.
I compagni sembrano molto cortesi ed anche la parte anziana ed elevata del personale, sembra buona gente.
Ho passato la serata con Janette.
(…)
29 ottobre 1942, giovedì
Questa mattina verso le dieci tutti ordinati, schierati in coperta sul battello, siamo passati in rivista da sua eccellenza Alfieri e Ufficiali di Stato Maggiore della Marina e dell’Esercito Tedesco. Il FINZI primo battello partente è stato oggetto di ogni ripresa cinematografica, da visite e felicitazioni dagli stessi Uff. di Stato Maggiore. Il resto della giornata non ha avuto nulla di notevole.
(…)
1 novembre 1942, domenica
In mattinata il nuovo comandante Amendolia si è presentato all’equipaggio e con un laconico discorso si è dimostrato un uomo di polso al cui ci si può affidare la proprio vita con fiducia.
Una buona pattinata nel pomeriggio.
(…)
Leviamo le cime. Si esce dalle chiuse dopo esser stati salutati dal picchetto d’onore del San Marco e da una folla (non troppo folta) di Ufficiali e marinai.
Imbrocchiamo il fiume diretti verso l’Atlantico.
È la prima volta che vado in un oceano, in una missione di guerra su un grande sommergibile.
Non nascondo che provo un certo orgoglio nell’essere fra un equipaggio che fiero e sereno parte per una missione di un centinaio di giorni per portare alla vittoria il vessillo della Patria lontana.
La giornata è molto fredda, un forte vento di tramontana rende un po’ faticosa la navigazione nel canale.
Ore 18. Arriviamo a Le Verdon, ove ci si ferma ancora in attesa del giorno per uscire dalla zona pericolosa ed arrivare a La Pallice .
Allarme aereo e come servente mitragliere mi faccio 1 h ½ in plancia ove tira un ventaccio gelido , senza avvistare niente.
Ore 24. Termino la mia guardia, ai motori elettrici.
Domani deve essere una giornata terribile.
15 novembre 1942, domenica
Abbiamo salpato questa mattina alle ore 9.15 da Le Verdon. Si naviga con un mare agitato, scortati da un incrociatore tedesco.
Incontriamo dopo 4 ore di navigazione il SMG Tazzoli che rientra per un’avaria ai motori.
Avvistiamo diverse mine sulla nostra rotta. Navighiamo in zona minata dagli Inglesi, perciò tutto il personale sta in coperta con i salvagenti. Alle 18 entriamo nel porto della “Pallice”.
Allarme aereo e niente altro.
16 novembre 1942, lunedì
Siamo stati attraccati in porto per tutta la giornata. Ho avuto così l’occasione di visitare gli imponenti bacini corazzati tedeschi. Si è fatto scambio di visite sui sommergibili tedeschi. Solito allarme aereo.
(…)
Questa mattina mi viene comunicato che appartengo all’equipaggio del SMG.FINZI. Ciò vuol dire che partirò tra una quindicina di giorni per una missione di tre mesi. Faccio perciò “sacco e branda” e mi sposto al Campeggio. Alloggio riservato ai sommergibilisti e che alloggio!
Mi trovo per la prima volta da che sono in Marina a dormire fra due lenzuola in un villino costruito per venti persone. Il campo è composto da diverse capanne simili e si trova nel bel mezzo di un bosco ove si può trovare quiete e riposo dopo tanti giorni sacrificio bordo. Esco e mi trovo Janette una bionda parigina.
12 ottobre 1942, martedì
Salgo per la prima volta a bordo del “battello”. Sebbene sia in disordine l’interno mi sembra abbastanza pratico e comodo in rapporto ai “Mediterranei”.
I compagni sembrano molto cortesi ed anche la parte anziana ed elevata del personale, sembra buona gente.
Ho passato la serata con Janette.
(…)
27 novembre 1942, martedì
Nel pomeriggio hanno stabilito le destinazioni al posto di combattimento in superficie. Ho avuto dunque un posto abbastanza rischioso: il rifornimento alle mitragliere in plancia. Questa non me l’aspettavo, ma ormai mi debbo abituare ad ogni sorpresa.
(…)Nel pomeriggio hanno stabilito le destinazioni al posto di combattimento in superficie. Ho avuto dunque un posto abbastanza rischioso: il rifornimento alle mitragliere in plancia. Questa non me l’aspettavo, ma ormai mi debbo abituare ad ogni sorpresa.
29 ottobre 1942, giovedì
Questa mattina verso le dieci tutti ordinati, schierati in coperta sul battello, siamo passati in rivista da sua eccellenza Alfieri e Ufficiali di Stato Maggiore della Marina e dell’Esercito Tedesco. Il FINZI primo battello partente è stato oggetto di ogni ripresa cinematografica, da visite e felicitazioni dagli stessi Uff. di Stato Maggiore. Il resto della giornata non ha avuto nulla di notevole.
(…)
1 novembre 1942, domenica
In mattinata il nuovo comandante Amendolia si è presentato all’equipaggio e con un laconico discorso si è dimostrato un uomo di polso al cui ci si può affidare la proprio vita con fiducia.
Una buona pattinata nel pomeriggio.
(…)
6 novembre 1942 venerdì, 7
novembre 1942 sabato
Siamo pronti per la partenza.
8 novembre 1942, domenica
Sono conciato male. Ho la faccia incerottata per un terribile capitombolo.
Con ciò non ho esitato ad uscire con tutto l’equipaggio a celebrare l’ultima sera di franchigia.
Serata che poi si è chiusa con un allarme aereo e un’esemplare ferocie scazzottata con un gruppo di marinai tedeschi.
9 novembre 1942, lunedì
Abbandoniamo il campeggio per prendere i nostri posti a bordo. Nel pomeriggio un ordine ci sospende la partenza. Sembra che il canale sia stato minato dagli Inglesi.
(…)14 novembre 1942, sabatoSiamo pronti per la partenza.
8 novembre 1942, domenica
Sono conciato male. Ho la faccia incerottata per un terribile capitombolo.
Con ciò non ho esitato ad uscire con tutto l’equipaggio a celebrare l’ultima sera di franchigia.
Serata che poi si è chiusa con un allarme aereo e un’esemplare ferocie scazzottata con un gruppo di marinai tedeschi.
9 novembre 1942, lunedì
Abbandoniamo il campeggio per prendere i nostri posti a bordo. Nel pomeriggio un ordine ci sospende la partenza. Sembra che il canale sia stato minato dagli Inglesi.
Leviamo le cime. Si esce dalle chiuse dopo esser stati salutati dal picchetto d’onore del San Marco e da una folla (non troppo folta) di Ufficiali e marinai.
Imbrocchiamo il fiume diretti verso l’Atlantico.
È la prima volta che vado in un oceano, in una missione di guerra su un grande sommergibile.
Non nascondo che provo un certo orgoglio nell’essere fra un equipaggio che fiero e sereno parte per una missione di un centinaio di giorni per portare alla vittoria il vessillo della Patria lontana.
La giornata è molto fredda, un forte vento di tramontana rende un po’ faticosa la navigazione nel canale.
Ore 18. Arriviamo a Le Verdon, ove ci si ferma ancora in attesa del giorno per uscire dalla zona pericolosa ed arrivare a La Pallice .
Allarme aereo e come servente mitragliere mi faccio 1 h ½ in plancia ove tira un ventaccio gelido , senza avvistare niente.
Ore 24. Termino la mia guardia, ai motori elettrici.
Domani deve essere una giornata terribile.
15 novembre 1942, domenica
Abbiamo salpato questa mattina alle ore 9.15 da Le Verdon. Si naviga con un mare agitato, scortati da un incrociatore tedesco.
Incontriamo dopo 4 ore di navigazione il SMG Tazzoli che rientra per un’avaria ai motori.
Avvistiamo diverse mine sulla nostra rotta. Navighiamo in zona minata dagli Inglesi, perciò tutto il personale sta in coperta con i salvagenti. Alle 18 entriamo nel porto della “Pallice”.
Allarme aereo e niente altro.
16 novembre 1942, lunedì
Siamo stati attraccati in porto per tutta la giornata. Ho avuto così l’occasione di visitare gli imponenti bacini corazzati tedeschi. Si è fatto scambio di visite sui sommergibili tedeschi. Solito allarme aereo.
(…)
18 novembre 1942, mercoledì
Siamo usciti, verso le 11 di stamattina per esercitazioni. A poche miglia dal porto ci si immerge a 10 metri quando improvvisamente sentiamo uno scoppio secco sulla sinistra dello scafo. Ci accorgiamo di essere attaccati da aerei. Emergiamo, dato che il fondale è basso per potervisi rifugiare, preparandoci la difesa, ma gli aerei (una quindicina) dopo aver sganciato qualche bomba intorno, proseguono e bombardano La Pallice ammazzando 80 persone. Rientriamo incolumi alle 16.
(…)
25 novembre 1942, mercoledì
È ormeggiato al nostro fianco un sommergibile germanico che ha affondato giorni fa il più grande transatlantico del mondo, il Queen Elisabeth di 85.000 tonnellate [notizia evidentemente errata, visto che questa nave sopravvisse al conflito, ndr].
Sono conciato maluccio a causa di un ascesso che mi sta crescendo sul ginocchio. Non sarebbe niente se si restasse in porto, ma sembra che domani sera si parta definitivamente, perciò con questa febbre e il dolore causato mi fa passare la voglia di affrontare il mare di Giascogna.
26 novembre 1942, giovedì
Ore 10.15 si salpa da La Pallice e definitivamente prendiamo l’Oceano diretti.. (lo sapremo domani mattina alle 8 quando il Comandante aprirò il plico segreto indicante la rotta).
Una discreta folla di tedeschi ci saluta dalla banchina augurandoci una buona missione. Queste spontanee dimostrazioni ci riempiono di entusiasmo e di orgoglio nel vedere che tutti ammirano il nostro bel battellone filare perfetto in mare aperto, con la bandiera che sventola fiera sull’asta in plancia.
Peccato che io debba starmene in cuccetta malamente conciato e con la febbre.
Ore 17.25 è scoppiata a qualche decina di metri dallo scafo una mina.
Ore 17.48 un altro scoppio di mina, ma questa volta più vicina. Usciamo incolumi da questi maledetti campi minati.
(…)
28 novembre 1942, sabato
Come ieri ci si immerge al mattino per saltare fuori alla sera. Doppiamo nella nottata Capo Finisterre, punta sulla costa Nord Occidentale della Spagna.
Con sistemi un po’ subdoli, come di solito si usa sulle navi da guerra, l’equipaggio è al corrente della rotta che si dovrà tenere in questi tre mesi di missione; l’Africa del Nord, Isole di Capo Verde, Costa Brasiliana, Costa Argentina, il ritorno non è ancora stabilito. Il mio ginocchio va meglio.
(…)
1 dicembre 1942, martedì
Nella nottata il mare si è messo abbastanza brutto, tanto che verso le 10 è stato necessario immergerci. Si riesce verso le 19 per caricare le batterie, ma il mare è sempre fortissimo.
Sto male, “racco” ma constato che molti stanno peggio di me.
Eppure con tutto ciò è necessario fare il proprio quarto di guardia tra il caldo opprimente e il puzzo d’olio dei motori e il lezzo schifoso emanato dalla poppa. Nella cui poppa si crede di poter riposare! E tutto questo deve durare 90 giorni.
Sono sette giorni che navighiamo e siamo ormai tutti luridi, sentiamo il bisogno di un po’ d’acqua per lavarci almeno il viso ma niente, siamo condannati a restare così per tutta la durata della missione. La luce, l’aria fresca e frizzante, come la si desidera; non ho mai apprezzato così tanto la luce del sole; il chiaro della luna e, sono sette giorni che non vedo il chiarore del giorno e della notte.
(…)
Siamo usciti, verso le 11 di stamattina per esercitazioni. A poche miglia dal porto ci si immerge a 10 metri quando improvvisamente sentiamo uno scoppio secco sulla sinistra dello scafo. Ci accorgiamo di essere attaccati da aerei. Emergiamo, dato che il fondale è basso per potervisi rifugiare, preparandoci la difesa, ma gli aerei (una quindicina) dopo aver sganciato qualche bomba intorno, proseguono e bombardano La Pallice ammazzando 80 persone. Rientriamo incolumi alle 16.
(…)
25 novembre 1942, mercoledì
È ormeggiato al nostro fianco un sommergibile germanico che ha affondato giorni fa il più grande transatlantico del mondo, il Queen Elisabeth di 85.000 tonnellate [notizia evidentemente errata, visto che questa nave sopravvisse al conflito, ndr].
Sono conciato maluccio a causa di un ascesso che mi sta crescendo sul ginocchio. Non sarebbe niente se si restasse in porto, ma sembra che domani sera si parta definitivamente, perciò con questa febbre e il dolore causato mi fa passare la voglia di affrontare il mare di Giascogna.
26 novembre 1942, giovedì
Ore 10.15 si salpa da La Pallice e definitivamente prendiamo l’Oceano diretti.. (lo sapremo domani mattina alle 8 quando il Comandante aprirò il plico segreto indicante la rotta).
Una discreta folla di tedeschi ci saluta dalla banchina augurandoci una buona missione. Queste spontanee dimostrazioni ci riempiono di entusiasmo e di orgoglio nel vedere che tutti ammirano il nostro bel battellone filare perfetto in mare aperto, con la bandiera che sventola fiera sull’asta in plancia.
Peccato che io debba starmene in cuccetta malamente conciato e con la febbre.
Ore 17.25 è scoppiata a qualche decina di metri dallo scafo una mina.
Ore 17.48 un altro scoppio di mina, ma questa volta più vicina. Usciamo incolumi da questi maledetti campi minati.
(…)
28 novembre 1942, sabato
Come ieri ci si immerge al mattino per saltare fuori alla sera. Doppiamo nella nottata Capo Finisterre, punta sulla costa Nord Occidentale della Spagna.
Con sistemi un po’ subdoli, come di solito si usa sulle navi da guerra, l’equipaggio è al corrente della rotta che si dovrà tenere in questi tre mesi di missione; l’Africa del Nord, Isole di Capo Verde, Costa Brasiliana, Costa Argentina, il ritorno non è ancora stabilito. Il mio ginocchio va meglio.
(…)
1 dicembre 1942, martedì
Nella nottata il mare si è messo abbastanza brutto, tanto che verso le 10 è stato necessario immergerci. Si riesce verso le 19 per caricare le batterie, ma il mare è sempre fortissimo.
Sto male, “racco” ma constato che molti stanno peggio di me.
Eppure con tutto ciò è necessario fare il proprio quarto di guardia tra il caldo opprimente e il puzzo d’olio dei motori e il lezzo schifoso emanato dalla poppa. Nella cui poppa si crede di poter riposare! E tutto questo deve durare 90 giorni.
Sono sette giorni che navighiamo e siamo ormai tutti luridi, sentiamo il bisogno di un po’ d’acqua per lavarci almeno il viso ma niente, siamo condannati a restare così per tutta la durata della missione. La luce, l’aria fresca e frizzante, come la si desidera; non ho mai apprezzato così tanto la luce del sole; il chiaro della luna e, sono sette giorni che non vedo il chiarore del giorno e della notte.
(…)
3 dicembre 1942, giovedì
Nella nottata il mare si è messo di nuovo male.
Nelle prime ore del mattino si è avvistato un piroscafo di 5.000 tonnellate e dopo una caccia durata qualche ora si scopre che è di nazionalità portoghese. Cosicché ci è scappato un bocconcino.
Nella nottata il mare è molto aumentato.
4 dicembre 1942, venerdì, Santa Barbara
Il mare è sempre forte, navighiamo in emersione, molto al largo di Gibilterra. Alle 12.25 (ora di bordo) avvistiamo una grossa petroliera in rotta verso il Nord.
Immersione rapida, con un’abile manovra si accosta e si sta per lanciare, quando ci accorgiamo che è Spagnola. E questo è il secondo fiasco che ci capita.
(…)
Nella nottata il mare si è messo di nuovo male.
Nelle prime ore del mattino si è avvistato un piroscafo di 5.000 tonnellate e dopo una caccia durata qualche ora si scopre che è di nazionalità portoghese. Cosicché ci è scappato un bocconcino.
Nella nottata il mare è molto aumentato.
4 dicembre 1942, venerdì, Santa Barbara
Il mare è sempre forte, navighiamo in emersione, molto al largo di Gibilterra. Alle 12.25 (ora di bordo) avvistiamo una grossa petroliera in rotta verso il Nord.
Immersione rapida, con un’abile manovra si accosta e si sta per lanciare, quando ci accorgiamo che è Spagnola. E questo è il secondo fiasco che ci capita.
(…)
6 dicembre 1942, domenica
Nella nottata è successo un guaio serio che a quanto sembra, debba compromettere la missione. Due delle quattro pompe dei motori si sono avariate. Tentiamo perciò con un arduo e faticoso lavoro di rimetterle in efficienza, altrimenti il Comandante è propenso a rientrare.
Perciò tutta la giornata in immersione a lavorare con una temperatura di 40 gradi; uomini nudi infilati tra tubi, cilindri, a smontare , rimontare, incuranti di ogni cosa, cacciare braccia e teste in così stretti pertugi, tanto da fare pensare l’impossibilità di uscita dei membri stessi.
E tutto perchè ognuno ha una avversione di un ritorno in Base, dopo aver fatto tanti sacrifici, passati i pericoli maggiori.
No! Iddio ci dovrà aiutare.
Abbiamo avuto finora tanta sfortuna, ma ho ancora fiducia nella buona sorte e nel Comandante che a quanto sembra è l’unico tra gli ufficiali che abbia la testa a posto.
(…)
Nella nottata è successo un guaio serio che a quanto sembra, debba compromettere la missione. Due delle quattro pompe dei motori si sono avariate. Tentiamo perciò con un arduo e faticoso lavoro di rimetterle in efficienza, altrimenti il Comandante è propenso a rientrare.
Perciò tutta la giornata in immersione a lavorare con una temperatura di 40 gradi; uomini nudi infilati tra tubi, cilindri, a smontare , rimontare, incuranti di ogni cosa, cacciare braccia e teste in così stretti pertugi, tanto da fare pensare l’impossibilità di uscita dei membri stessi.
E tutto perchè ognuno ha una avversione di un ritorno in Base, dopo aver fatto tanti sacrifici, passati i pericoli maggiori.
No! Iddio ci dovrà aiutare.
Abbiamo avuto finora tanta sfortuna, ma ho ancora fiducia nella buona sorte e nel Comandante che a quanto sembra è l’unico tra gli ufficiali che abbia la testa a posto.
(…)
8 dicembre 1942, martedì
Nelle prime ore del mattino il Comandante ha disposto di inviare a Betasom un telegramma chiedendo pezzi di ricambio (la distanza dalla base è di 4000 miglia=7408km) oppure un ordine che disponga il rientro.
La risposta è di rientrare a due motori (noi non ne abbiamo che uno efficiente, altrimenti non si sarebbe chiesto il parere di nessuno).
I lavori di bordo procedono alacremente (io rubo per scrivere, qualche minuto delle poche ore di riposo) (…)
9 dicembre 1942, mercoledì
I lavori di bordo proseguono alacremente con buoni risultati, tanto che nel pomeriggio abbiamo inseguito un piroscafo, che poi era spagnolo. La solita disdetta.
10 dicembre 1942, giovedì
Abbiamo fatto l’impossibile, ognuno ha cooperato al massimo per la buona riuscita della missione.
Ma alle 8 di stamani si è messa la prora al rientro.
Siamo tutti stanchi e sfiduciati e solo l’idea di un buon successo teneva gli spiriti ed i morali alti. Mare calmo.
(…)
21 dicembre 1942, lunedì
Ci siamo trovati questa mattina alle ore 6 con la nave di scorta (un incrociatore ausiliare tedesco)
Per poco non prendiamo con la poppa due mine, quando la terza colpisce la scorta che sbanda e affonda. Continuiamo così fino al canale.
Verso le 14 per completare questa sfortunata missione ci areniamo su un banco di sabbia, cosicché dopo una infinità di manovre siamo costretti ad attendere la marea del giorno seguente.
22 dicembre 1942, martedì
Dopo esserci disincagliati proseguiamo e rientriamo finalmente in Base alle 18.
Dopo 30 giorni metto così il piede a terra e respiro un poco di quell’aria naturale.
23 dicembre 1942, mercoledì
Marco visita e sono ricoverato per angina o qualcosa d’altro.
(…)
Nelle prime ore del mattino il Comandante ha disposto di inviare a Betasom un telegramma chiedendo pezzi di ricambio (la distanza dalla base è di 4000 miglia=7408km) oppure un ordine che disponga il rientro.
La risposta è di rientrare a due motori (noi non ne abbiamo che uno efficiente, altrimenti non si sarebbe chiesto il parere di nessuno).
I lavori di bordo procedono alacremente (io rubo per scrivere, qualche minuto delle poche ore di riposo) (…)
9 dicembre 1942, mercoledì
I lavori di bordo proseguono alacremente con buoni risultati, tanto che nel pomeriggio abbiamo inseguito un piroscafo, che poi era spagnolo. La solita disdetta.
10 dicembre 1942, giovedì
Abbiamo fatto l’impossibile, ognuno ha cooperato al massimo per la buona riuscita della missione.
Ma alle 8 di stamani si è messa la prora al rientro.
Siamo tutti stanchi e sfiduciati e solo l’idea di un buon successo teneva gli spiriti ed i morali alti. Mare calmo.
(…)
21 dicembre 1942, lunedì
Ci siamo trovati questa mattina alle ore 6 con la nave di scorta (un incrociatore ausiliare tedesco)
Per poco non prendiamo con la poppa due mine, quando la terza colpisce la scorta che sbanda e affonda. Continuiamo così fino al canale.
Verso le 14 per completare questa sfortunata missione ci areniamo su un banco di sabbia, cosicché dopo una infinità di manovre siamo costretti ad attendere la marea del giorno seguente.
22 dicembre 1942, martedì
Dopo esserci disincagliati proseguiamo e rientriamo finalmente in Base alle 18.
Dopo 30 giorni metto così il piede a terra e respiro un poco di quell’aria naturale.
23 dicembre 1942, mercoledì
Marco visita e sono ricoverato per angina o qualcosa d’altro.
(…)
25 dicembre 1942, venerdì
(Natale)
Messa di Natale. Ho fatto la comunione; ho così passato, sebbene ricoverato il terzo, ma migliore Natale di guerra.
(…)
Messa di Natale. Ho fatto la comunione; ho così passato, sebbene ricoverato il terzo, ma migliore Natale di guerra.
(…)
3 febbraio 1943, mercoledì
Oggi abbiamo imbarcato le ultime cose, l’ultima franchigia, perciò l’ultimo contatto con il mondo frivolo, ma pure delizioso.
4 febbraio 1943, giovedì
Ore 16.00 molliamo le cime. Si parte per la missione.
Ho lasciato a terra fra la mia roba una lettera, forse l’ultima, per mia madre e per Anna. Se non torno una avrà stima di suo figlio e l’altra quanto l’ho amata.
Una discreta folla di compagni, amici, ci salutano dalla banchina, inneggiando alla nostra buona sorte, alla fortunata nostra buona caccia.
Il tricolore in terra straniera sventola dall’alto di una sagoma di periscopio. Fisso sulla banchina il picchetto del San Marco presenta gli onori militari mentre il battello si stacca lentamente trascinato dalla corrente del fiume e fila verso l’Oceano, contro l’Inghilterra, contro la Vittoria e forse contro la morte.
(…)
6 febbraio 1943, sabato
Leviamo l’ancora e scortati da una nave tedesca attraversiamo il pericoloso Golfo e arriviamo alla La Pallice alle 17.
(…)
8 febbraio 1943, lunedì
Nulla di nuovo. Allarme aereo. Una sbronza terribile con i camerati (strano proprio con loro) tedeschi.
(…)
Oggi abbiamo imbarcato le ultime cose, l’ultima franchigia, perciò l’ultimo contatto con il mondo frivolo, ma pure delizioso.
4 febbraio 1943, giovedì
Ore 16.00 molliamo le cime. Si parte per la missione.
Ho lasciato a terra fra la mia roba una lettera, forse l’ultima, per mia madre e per Anna. Se non torno una avrà stima di suo figlio e l’altra quanto l’ho amata.
Una discreta folla di compagni, amici, ci salutano dalla banchina, inneggiando alla nostra buona sorte, alla fortunata nostra buona caccia.
Il tricolore in terra straniera sventola dall’alto di una sagoma di periscopio. Fisso sulla banchina il picchetto del San Marco presenta gli onori militari mentre il battello si stacca lentamente trascinato dalla corrente del fiume e fila verso l’Oceano, contro l’Inghilterra, contro la Vittoria e forse contro la morte.
(…)
6 febbraio 1943, sabato
Leviamo l’ancora e scortati da una nave tedesca attraversiamo il pericoloso Golfo e arriviamo alla La Pallice alle 17.
(…)
8 febbraio 1943, lunedì
Nulla di nuovo. Allarme aereo. Una sbronza terribile con i camerati (strano proprio con loro) tedeschi.
(…)
10 febbraio 1943, mercoledì
Prove a bordo. Domani a quanto sembra prendiamo definitivamente il mare. Sto ascoltando alla radio del quadrato delle deliziose canzonette italiane. Quanta bellezza in quella musica, quanti ricordi! Ed io domani darò addio alla terra per tre mesi.
11 febbraio 1943, giovedì
Ore 11.30 diamo definitivamente addio alla terra.
Partiamo con un discreto entusiasmo per la missione. L’entusiasmo è da notare, è suscitato da una quasi certa licenza di 60 giorni che avremo al rientro.
Navighiamo con mare un poco forte.
(…)
14 febbraio 1943, domenica
Rapida immersione alle 3, è stato segnalato dal radio ricevitore un aereo diretto su noi. Restiamo immersi... Sembra che l’apparecchio ci abbia individuato con le sue onde magnetiche.
15 febbraio 1943, lunedì
Ore 5. Riproviamo ad uscire, abbiamo le batterie scariche e l’aria dell’ambiente si fa pesante (sono circa 36 ore che siamo sotto)
Mettiamo in moto i termici ma ecco che fischia la rapida.
L’aereo non ci abbandona (si saranno dati il cambio) ma aspettano che noi saremo costretti ad uscire; dunque per stasera o se ne va o dovremo affrontarlo. Emergiamo alle 20. Sembra che l’apparecchio non se ne sia andato! Riusciamo così a caricare quando alle 23.45 di nuovo rapida. Sembra proprio deciso a non mollare.
16 febbraio 1943, martedì
Cacciamo il muso fuori verso la 3, ma alle 7 di nuovo sotto e sempre più che in fretta. Per fortuna la carica è completa e possiamo star sotto un bel po’. Bisogna vedere se egli pure avrà la pazienza di aspettarci.
Emergiamo in serata e finalmente l’aereo se ne è andato.
Continuiamo indisturbati la navigazione in superficie con mare forte.
17 febbraio 1943, mercoledì
Emersione alle 4.
E per oggi (Forse l’ultimo di navigazione subacquea) riprendiamo a vivere in questo sozzo, lurido, putrido e fetido ventre d’acciaio.
Hanno un bel pubblicare i giornali, della nostra vita, che bei articolini per quelli che li scrivono e li leggono comodi in una poltrona nel loro desco famigliare. Ma non basta che essi trabocchino di Amor Patrio, di noi giovani eroi del mare. Dovrebbero aggiungere ciò che veramente reale lo sembrerebbe meno, ciò che è per noi e costa a noi giovani ancora imberbi di guerra.
Settimane e settimane di rinuncia alla vita, senza vedere il sole, la terra, il cielo. Non respirare che aria viziata già priva di quell’ossigeno necessario alla nostra esistenza.
Non poter dare al nostro viso, alle nostre mani, quel delizioso e salutare contatto con l’acqua fresca. Se ne deve consumare pochi chilogrammi al giorno, al suo posto sono imbarcati quegli ordigni di morte atti a portare il progresso e la civiltà tra i nostri nemici.
E poi insomma tante cosucce ancora che racconterò se Iddio mi concede...
18 febbraio 1943, giovedì
Navighiamo per tutta la giornata in superficie. Siamo all’altezza di Lisbona ma 500 miglia più al largo.
Per un erroneo calcolo dell’assetto andiamo giù a 140 metri!
19 febbraio 1943, venerdì
Questa mattina con la scusa di una riparazione ho fatto una scappatella in plancia a vedere dopo 8 giorni il cielo. Per pochi minuti soli. Con il mare un poco mosso navighiamo per tutta la giornata in superficie. Incontriamo verso le 22 un piroscafo, ma è illuminato perciò neutrale.
(…)
2 marzo 1943, martedì
Un aereo nella zona ci fa eseguire nella nottata una serie di rapide e ci costringe a rimanere sotto per 10 ore. Ancora a mezzanotte un’altra tuffata.
(…)
Prove a bordo. Domani a quanto sembra prendiamo definitivamente il mare. Sto ascoltando alla radio del quadrato delle deliziose canzonette italiane. Quanta bellezza in quella musica, quanti ricordi! Ed io domani darò addio alla terra per tre mesi.
11 febbraio 1943, giovedì
Ore 11.30 diamo definitivamente addio alla terra.
Partiamo con un discreto entusiasmo per la missione. L’entusiasmo è da notare, è suscitato da una quasi certa licenza di 60 giorni che avremo al rientro.
Navighiamo con mare un poco forte.
(…)
14 febbraio 1943, domenica
Rapida immersione alle 3, è stato segnalato dal radio ricevitore un aereo diretto su noi. Restiamo immersi... Sembra che l’apparecchio ci abbia individuato con le sue onde magnetiche.
15 febbraio 1943, lunedì
Ore 5. Riproviamo ad uscire, abbiamo le batterie scariche e l’aria dell’ambiente si fa pesante (sono circa 36 ore che siamo sotto)
Mettiamo in moto i termici ma ecco che fischia la rapida.
L’aereo non ci abbandona (si saranno dati il cambio) ma aspettano che noi saremo costretti ad uscire; dunque per stasera o se ne va o dovremo affrontarlo. Emergiamo alle 20. Sembra che l’apparecchio non se ne sia andato! Riusciamo così a caricare quando alle 23.45 di nuovo rapida. Sembra proprio deciso a non mollare.
16 febbraio 1943, martedì
Cacciamo il muso fuori verso la 3, ma alle 7 di nuovo sotto e sempre più che in fretta. Per fortuna la carica è completa e possiamo star sotto un bel po’. Bisogna vedere se egli pure avrà la pazienza di aspettarci.
Emergiamo in serata e finalmente l’aereo se ne è andato.
Continuiamo indisturbati la navigazione in superficie con mare forte.
17 febbraio 1943, mercoledì
Emersione alle 4.
E per oggi (Forse l’ultimo di navigazione subacquea) riprendiamo a vivere in questo sozzo, lurido, putrido e fetido ventre d’acciaio.
Hanno un bel pubblicare i giornali, della nostra vita, che bei articolini per quelli che li scrivono e li leggono comodi in una poltrona nel loro desco famigliare. Ma non basta che essi trabocchino di Amor Patrio, di noi giovani eroi del mare. Dovrebbero aggiungere ciò che veramente reale lo sembrerebbe meno, ciò che è per noi e costa a noi giovani ancora imberbi di guerra.
Settimane e settimane di rinuncia alla vita, senza vedere il sole, la terra, il cielo. Non respirare che aria viziata già priva di quell’ossigeno necessario alla nostra esistenza.
Non poter dare al nostro viso, alle nostre mani, quel delizioso e salutare contatto con l’acqua fresca. Se ne deve consumare pochi chilogrammi al giorno, al suo posto sono imbarcati quegli ordigni di morte atti a portare il progresso e la civiltà tra i nostri nemici.
E poi insomma tante cosucce ancora che racconterò se Iddio mi concede...
18 febbraio 1943, giovedì
Navighiamo per tutta la giornata in superficie. Siamo all’altezza di Lisbona ma 500 miglia più al largo.
Per un erroneo calcolo dell’assetto andiamo giù a 140 metri!
19 febbraio 1943, venerdì
Questa mattina con la scusa di una riparazione ho fatto una scappatella in plancia a vedere dopo 8 giorni il cielo. Per pochi minuti soli. Con il mare un poco mosso navighiamo per tutta la giornata in superficie. Incontriamo verso le 22 un piroscafo, ma è illuminato perciò neutrale.
(…)
2 marzo 1943, martedì
Un aereo nella zona ci fa eseguire nella nottata una serie di rapide e ci costringe a rimanere sotto per 10 ore. Ancora a mezzanotte un’altra tuffata.
(…)
7 marzo 1943, domenica
Navighiamo in superficie con mare abbastanza calmo.
Ore 18. Passiamo l’Equatore e mi trovo così per la prima volta a percorrere il continente australe ammirando i celebri tramonti equatoriali e la famosa Croce del Sud.
La festa con il tradizionale battesimo è stata breve ma non riva di originalità.
Un brindisi comune e via verso il nemico.
(…)
12 marzo 1943, venerdì
Oggi dopo diverse capatine, di tanto in tanto in plancia, incominciamo a salire in coperta in costumi alquanto succinti, alcuni assolutamente privi. Il sole è abbastanza scottante, l’acqua sembra un brodino e così la coperta si è trasformata in spiaggia vagante a 2 miglia di velocità. Non ne compiamo molta di strada a questo passo, ma fretta non ve ne è.
Ci troviamo ora a poca distanza dal Tropico del Capricorno, a circo 600 miglia da Angola (Colonia Portoghese).
Incontreremo il sommergibile Da Vinci il giorno 18 tra l’Isola St.Elena e le coste dell’Angola (Sud Africa).
13 marzo 1943, sabato
In mattinata abbiamo catturato un pescecane! E non di piccole dimensioni, che poi è finito nelle nostre pance. Nel pomeriggio abbiamo fatto a cannonate con delle cassette gettate a mare.. un po’ di rumore cone le bocche dei nostri due 120mm, tanto per passare il tempo! Se gli Inglesi non si fanno vedere che ci possiamo fare noi?
(…)
15 marzo 1943, lunedì
Sempre il caldo torrido delle zone tropicali. Il termometro segna 41 gradi e ancora proseguiamo.
Riforniremo il Da Vinci fra qualche giorno, egli più fortunato di noi ha affondato un transatlantico di 23.000 ton.
(…)
18 marzo 1943, giovedì
In giornata regolare navigazione all’altezza del 12.mo parallelo Sud.
Ore 21. Avvistiamo ed attacchiamo un piroscafo.
Essendo alle mitragliere in plancia ho l’occasione di vedere molto bene le fasi dell’attacco un po’ sfavorite dal falso riflesso della Luna.
Avanziamo lentamente, ci avviciniamo così alla nave nemica (che stazza 8000 ton.) la quale prosegue la sua marcia senza (sembra) avvedersene della nostra presenza. Ci portiamo a 600 metri da essa tanto da distinguerne i particolari di essa.
Il Comandante lancia (abbiamo la prua contro il suo fianco) ma il siluro passa ad un metro dalla sua poppa, lancia il secondo, mi tappo le orecchie e mi preparo a sentire la formidabile esplosione tanto il siluro è ben diretto. Ma l’abile Comandante avversario manovra in modo che questo misteriosamente scompare. Al terzo: fuori! Che pure non raggiunge il bersaglio, l’avversario ci risponde a cannonate ma per fortuna sentiamo solo fischiare degli obici sopra le nostre orecchie.
Ci immergiamo rapidamente (per quale motivo, poi.. noi che siamo armati da due grossi cannoni) e il piroscafo se la fila.
Riemergiamo poco dopo per inseguirlo e quasi raggiuntolo i nostri vecchi motori fanno cilecca ed avvistiamo in questo momento il Da Vinci, che prosegue l’attacco.
19 marzo 1943, venerdì
Il Da Vinci non si fa vedere, probabilmente avrà avuto da fare con la nave da noi lasciata.
20 marzo 1943, sabato
Incontriamo nelle prime ore del mattino il Da Vinci reduce dall’inseguimento, pronto a ricevere nostra nafta e siluri.
Che roba! In pieno Oceano Atlantico far passare dei siluri del peso di 2 tonnellate ad un altro sommergibile, senza essere minimamente disturbati.
Il rifornimento continua fino a tarda sera. Prendiamo a bordo un prigioniero, un marinaio inglese, l’unico superstite dell’equipaggio della nave a noi sfuggita e affondata dal Da Vinci.
Da un ufficiale italiano (passatoci dal Da Vinci) fatto prigioniero in Africa, abbiamo saputo, che veniva trasportato con 500 connazionali e 4500 passeggeri sull’Espress of Canadian [Empress of Canada, ndr], diretto nel Senegal e colato a picco dallo stesso Da Vinci.
21 marzo 1943, domenica
Rotta per 310. Si rientra, ma ci vorrà più di un mese
(…)
24 marzo 1943, mercoledì
Navighiamo sempre in superficie rifacendo quasi esattamente la rotta di andata. Da ieri un immenso branco di delfini ci segue scherzando audacemente con la nostra prora.
Di tanto in tanto scorgo qualche veloce rondine; sfiora, come per salutarci, le cime dei periscopi, poi fila verso la terra che da quasi due mesi non vediamo.
(…)
Navighiamo in superficie con mare abbastanza calmo.
Ore 18. Passiamo l’Equatore e mi trovo così per la prima volta a percorrere il continente australe ammirando i celebri tramonti equatoriali e la famosa Croce del Sud.
La festa con il tradizionale battesimo è stata breve ma non riva di originalità.
Un brindisi comune e via verso il nemico.
(…)
12 marzo 1943, venerdì
Oggi dopo diverse capatine, di tanto in tanto in plancia, incominciamo a salire in coperta in costumi alquanto succinti, alcuni assolutamente privi. Il sole è abbastanza scottante, l’acqua sembra un brodino e così la coperta si è trasformata in spiaggia vagante a 2 miglia di velocità. Non ne compiamo molta di strada a questo passo, ma fretta non ve ne è.
Ci troviamo ora a poca distanza dal Tropico del Capricorno, a circo 600 miglia da Angola (Colonia Portoghese).
Incontreremo il sommergibile Da Vinci il giorno 18 tra l’Isola St.Elena e le coste dell’Angola (Sud Africa).
13 marzo 1943, sabato
In mattinata abbiamo catturato un pescecane! E non di piccole dimensioni, che poi è finito nelle nostre pance. Nel pomeriggio abbiamo fatto a cannonate con delle cassette gettate a mare.. un po’ di rumore cone le bocche dei nostri due 120mm, tanto per passare il tempo! Se gli Inglesi non si fanno vedere che ci possiamo fare noi?
(…)
15 marzo 1943, lunedì
Sempre il caldo torrido delle zone tropicali. Il termometro segna 41 gradi e ancora proseguiamo.
Riforniremo il Da Vinci fra qualche giorno, egli più fortunato di noi ha affondato un transatlantico di 23.000 ton.
(…)
18 marzo 1943, giovedì
In giornata regolare navigazione all’altezza del 12.mo parallelo Sud.
Ore 21. Avvistiamo ed attacchiamo un piroscafo.
Essendo alle mitragliere in plancia ho l’occasione di vedere molto bene le fasi dell’attacco un po’ sfavorite dal falso riflesso della Luna.
Avanziamo lentamente, ci avviciniamo così alla nave nemica (che stazza 8000 ton.) la quale prosegue la sua marcia senza (sembra) avvedersene della nostra presenza. Ci portiamo a 600 metri da essa tanto da distinguerne i particolari di essa.
Il Comandante lancia (abbiamo la prua contro il suo fianco) ma il siluro passa ad un metro dalla sua poppa, lancia il secondo, mi tappo le orecchie e mi preparo a sentire la formidabile esplosione tanto il siluro è ben diretto. Ma l’abile Comandante avversario manovra in modo che questo misteriosamente scompare. Al terzo: fuori! Che pure non raggiunge il bersaglio, l’avversario ci risponde a cannonate ma per fortuna sentiamo solo fischiare degli obici sopra le nostre orecchie.
Ci immergiamo rapidamente (per quale motivo, poi.. noi che siamo armati da due grossi cannoni) e il piroscafo se la fila.
Riemergiamo poco dopo per inseguirlo e quasi raggiuntolo i nostri vecchi motori fanno cilecca ed avvistiamo in questo momento il Da Vinci, che prosegue l’attacco.
19 marzo 1943, venerdì
Il Da Vinci non si fa vedere, probabilmente avrà avuto da fare con la nave da noi lasciata.
20 marzo 1943, sabato
Incontriamo nelle prime ore del mattino il Da Vinci reduce dall’inseguimento, pronto a ricevere nostra nafta e siluri.
Che roba! In pieno Oceano Atlantico far passare dei siluri del peso di 2 tonnellate ad un altro sommergibile, senza essere minimamente disturbati.
Il rifornimento continua fino a tarda sera. Prendiamo a bordo un prigioniero, un marinaio inglese, l’unico superstite dell’equipaggio della nave a noi sfuggita e affondata dal Da Vinci.
Da un ufficiale italiano (passatoci dal Da Vinci) fatto prigioniero in Africa, abbiamo saputo, che veniva trasportato con 500 connazionali e 4500 passeggeri sull’Espress of Canadian [Empress of Canada, ndr], diretto nel Senegal e colato a picco dallo stesso Da Vinci.
21 marzo 1943, domenica
Rotta per 310. Si rientra, ma ci vorrà più di un mese
(…)
24 marzo 1943, mercoledì
Navighiamo sempre in superficie rifacendo quasi esattamente la rotta di andata. Da ieri un immenso branco di delfini ci segue scherzando audacemente con la nostra prora.
Di tanto in tanto scorgo qualche veloce rondine; sfiora, come per salutarci, le cime dei periscopi, poi fila verso la terra che da quasi due mesi non vediamo.
(…)
26 marzo 1943, venerdì
La solita monotona navigazione da impazzire. Nel tardo pomeriggio una balena di discrete dimensioni (circa 15 metri) festosa gironzola attorno al nostro scafo. Con l’intenzione di farci cosa gradita.
27 marzo 1943, sabato
Ripassiamo la linea dell’Equatore.
28 marzo 1943, domenica
Re 16.05. Si va all’attacco di un piroscafo avvistato da pochi minuti sulla nostra rotta. Il siluramento potrebbe difficilmente riuscire.
Con calma esemplare il Comandante dalla plancia dirige la manovra i accostamento verso la nave che ignara della sua sorte continua a procedere (a un migliaio di metri da noi).
Si lancia una coppia di siluri, uno va a vuoto l’altro centra.
Un’altra coppia viene lanciata ed entrambi gli ordigni di morte arrivano a segno. Così la nave, tre volte colpita si inabissa in 30 secondi.
Ci dirigiamo lentamente sul luogo del sinistro e tra i rottami galleggianti si discernono numerose luci, rosse e verdi. Sono i fanalini applicati ai salvagente.
Si odono gridi di lamento, d’invocazione di aiuto, molti, anzi i più di essi sono certo gravemente feriti, terrorizzati dalla presenza di numerosi pescecani che voraci si precipitano su quei corpi dilaniati e quasi finiti.
Col proiettore ne scorgiamo uno aggrappato ad un relitto, accostiamo in modo da riuscire a salvarlo, ma a pochi metri (quando già possiamo distinguerne la fisionomia) questo si inabissa, come preso da un gorgo, un pescecane o chissà.
Riusciamo a issarne uno a bordo che mette a tutti compassione al vederlo. Sul viso sbiancato e con gi occhi fuori dalle orbite vi si legge il terrore recente, il doppio spavento provato gli dà uno shock nervoso che lo scuote continuamente dalla testa ai piedi. Poveraccio! Si inginocchia davanti al Comandante e con le mani giunte prega di non ucciderlo, di non gettarlo in pasto ai mostri che pullulano nel mare.
Come se fosse capitato in mano a dei selvaggi!
Dal racconto fatto (egli è Portoghese) in una lingua mista di francese, spagnolo e inglese si sa che la nave da noi affondata era carica di minerale, il suo nome era “Granitus” [Granicos, ndr] diretta a Fretwoo [Freetown].
Ecco così che ho finalmente partecipato a buttare a fondo qualcosa del nemico inglese, così in un certo qual modo ho cooperato ad ammazzare una cinquantina di persone. Perché la guerra lo vuole!
29 marzo 1943, lunedì
Ore 15.55 Avvistiamo un grosso piroscafo
Ore 23.00 Continuiamo l’agguato alla motonave che fila di buon passo verso Sud.
Col favore delle tenebre ci portiamo sotto la nave nemica…
30 marzo 1943, martedì
…che sembra abbia aumentato velocità.
A 2600 metri partono dalla nostra prora una coppia di siluri, subito una seconda coppia, due sordi boati e la motonave è colpita.
Ore 1.12. La nave affonda.
Dopo esser stata una decina di muniti in agonia, l’incrociatore ausiliario della Marina Inglese scompare tra i flutti.
Come la precedente notte ci avviciniamo al luogo del sinistro e osserviamo numerose barche cariche di naufraghi.
Una di esse per ordine del Comandante si accosta a noi. Chiediamo chi vuole salire a bordo per restare come prigioniero. Nessuno parla, tutti quei marinai preferiscono restare in mare con una scialuppa che passare al nemico.
Domandiamo loro se serve qualcosa prima di lasciarli in balia del destino; nulla all’infuori delle sigarette.
Ne diamo diversi pacchi e giacché ci è necessario un prigioniero il primo che le afferra viene portato a bordo.
Gli altri calorosamente ringraziano e se ne vanno.
Ecco dunque il secondo piroscafo affondato, senza però fare molte vittime. Abbiamo a Bordo 3 prigionieri.
(…)
6 aprile 1943, martedì
Oggi ci è stato permesso di prendere un po’ d’aria. Che strano spettacolo offrono i nostri copri, flaccidi, unti, le lunghe barbe, gli arruffati capelli, gli abiti stracciati, senza traccia del colore primitivo.
Il colore e l’odore della nafta, il combustibile del quale da 55 giorni ne respiriamo l’emanazione gassosa che intossica i nostri polmoni privi di quel puro ossigeno tanto utile alla nostra esistenza.
Nella serata avvistiamo un piroscafo che dalle visibili sue luci si riconosce l’appartenenza ad una nazione neutrale. Lo lasciamo dunque andare senza disturbarlo con la nostra temibile presenza.
(…)
12 aprile 1943, lunedì
Verso le 8 un aereo ha disturbato la nostra navigazione costringendoci ad immergerci per qualche ora. Sentiamo improvvisamente lo scoppio di diverse bombe di profondità, per fortuna abbastanza lontane, per produrci il minimo danno.
Gli idrofoni notano il fruscio delle eliche di un cacciatorpediniere che si allontana.
Emergiamo verso le 10.30. Navighiamo all’altezza di Lisbona.
(…)
15 aprile 1943, giovedì
Verso le 4. Un aereo ci disturba, perciò sotto nuovamente.
Sbuchiamo fuori nel pomeriggio ma siamo costretti ad immergerci.
16 aprile 1943, venerdì
Abbiamo navigato in superficie per una buona parte della nottata, portandoci così a circa 200 miglia dall’imboccatura della Gironda. Nella giornata abbiamo tentato di procedere ma gli aerei chi hanno costretti ad immergerci per ben 6 volte.
17 aprile 1943, sabato
Scendiamo ad una cinquantina di metri dopo aver segnalato alla Base la nostra posizione, precisando l’appuntamento con la nave tedesca di scorta che ci dovrebbe accompagnare fino alla foce del fiume.
Sentiamo nel pomeriggio lontani scoppi di bombe, indi l’avvicinarsi di cacciatorpediniere, individuati dal caratteristico fruscio delle loro macchine.
Rimaniamo nella assoluta immobilità, nel rigoroso silenzio (scrivo mentre odo i sordi colpi lontani delle bombe di profondità.
Emergiamo nel tardo pomeriggio e senza essere disturbati carichiamo e ci rituffiamo di nuovo.
18 aprile 1943, domenica
Siamo immersi a 25 miglia dal punto ove troveremo la scorta.
È l’una e da una mezz’ora si susseguono forti scoppi (probabilmente le mine magnetiche) che fanno vibrare l’intero scafo. Mentre scrivo queste righe ho contato una mezza dozzina di esplosioni abbastanza vicine. Qualcuno con la classica calma che non si dovrebbe mai perdere, tira fuori qualche santino. Un altro il santo protettore del suo paese. L’allegria di poco fa è scomparsa dal volto di tutti.
La Base è a un centinaio di miglia, ma sappiamo che proprio in questo breve spazio di mare, giacciono decine e decine di nostri compagni, chiusi per sempre nelle loro bare di ferro.
Questa dovrebbe essere l’ultima notte di mare, che le insidie seminate dal nemico in questo mar di Guascogna, lo rendono pericoloso e tanto temuto.
Sono le due e provo a coricarmi sul mio fetido materasso, forse se Dio lo vorrà, fra poche ore vedremo l’ambita terra.
…
Ore 6.33. Avvistamento della nave di scorta.
Si issa la bandiera nazionale, le bandierine rosse con il tonnellaggio delle navi affondate e tutti in coperta.
Si naviga scortati da quattro navi disposti a croce intorno a noi, per proteggerci da eventuali attacchi aerei e dalle mine vaganti.
Ore 8.15. All’orizzonte si profila la frastagliata lingua di terra con il faro che ci indica l’entrata del canale. Crediamo finalmente di essere a contatto con il mondo, con la vita; ma improvvisamente quando tutti cantiamo dimostrando la nostra gioia per l’imminente arrivo si ode una formidabile esplosione, uno schianto un improvviso arresto del sommergibile.
Subito si eleva a pochi metri dalla poppa un’immensa colonna d’acqua.
Una mina magnetica che per un raro e fortunato caso, è scoppiata vicinissima allo scafo senza averlo urtato.
Le navi accorrono verso di noi, mentre stiamo verificando le avarie prodotte dall’esplosione. Povero “battello”, nell’interno, specie verso poppa è un’indescrivibile confusione, nel locale di poppa tutto è infranto da una falla prodotta nello scafo resistente; entra non poca acqua. Ma con questo ci siamo salvati per poco e non tarda a ritornare il buon umore, proseguiamo e la terra è tanto vicina.
Ci fermiamo a mezzogiorno a Le Verdon ove abbiamo finalmente la posta e vediamo la terra dai due lati.
Ore 16. Dopo quattro ore di navigazione nel canale (Gironda) arriviamo a Bordeaux. Sulla banchina oltre al picchetto d’onore del Batt.San Marco, donne, autorità, Stato Maggiore della Base Atlantica e una folla di amici e marinai ci aspettano entusiasti.
Mettiamo le “cime in banchina”, una fanfara suona l’inno nazionale indi un urrà unanime all’equipaggio del Finzi.
Dei mazzi di fiori sono offerti dalla candide mani di quelle donnine assai graziose (che differenza dalla nostra epidermide che da quasi tre mesi non ha avuto contatto con l’acqua) e sono posti tra le bandierine in cima ai periscopi.
Il Comandante scende a terra. Indi il Comandante Grossi ci rivolge parole di elogio e di ammirazione”.
La solita monotona navigazione da impazzire. Nel tardo pomeriggio una balena di discrete dimensioni (circa 15 metri) festosa gironzola attorno al nostro scafo. Con l’intenzione di farci cosa gradita.
27 marzo 1943, sabato
Ripassiamo la linea dell’Equatore.
28 marzo 1943, domenica
Re 16.05. Si va all’attacco di un piroscafo avvistato da pochi minuti sulla nostra rotta. Il siluramento potrebbe difficilmente riuscire.
Con calma esemplare il Comandante dalla plancia dirige la manovra i accostamento verso la nave che ignara della sua sorte continua a procedere (a un migliaio di metri da noi).
Si lancia una coppia di siluri, uno va a vuoto l’altro centra.
Un’altra coppia viene lanciata ed entrambi gli ordigni di morte arrivano a segno. Così la nave, tre volte colpita si inabissa in 30 secondi.
Ci dirigiamo lentamente sul luogo del sinistro e tra i rottami galleggianti si discernono numerose luci, rosse e verdi. Sono i fanalini applicati ai salvagente.
Si odono gridi di lamento, d’invocazione di aiuto, molti, anzi i più di essi sono certo gravemente feriti, terrorizzati dalla presenza di numerosi pescecani che voraci si precipitano su quei corpi dilaniati e quasi finiti.
Col proiettore ne scorgiamo uno aggrappato ad un relitto, accostiamo in modo da riuscire a salvarlo, ma a pochi metri (quando già possiamo distinguerne la fisionomia) questo si inabissa, come preso da un gorgo, un pescecane o chissà.
Riusciamo a issarne uno a bordo che mette a tutti compassione al vederlo. Sul viso sbiancato e con gi occhi fuori dalle orbite vi si legge il terrore recente, il doppio spavento provato gli dà uno shock nervoso che lo scuote continuamente dalla testa ai piedi. Poveraccio! Si inginocchia davanti al Comandante e con le mani giunte prega di non ucciderlo, di non gettarlo in pasto ai mostri che pullulano nel mare.
Come se fosse capitato in mano a dei selvaggi!
Dal racconto fatto (egli è Portoghese) in una lingua mista di francese, spagnolo e inglese si sa che la nave da noi affondata era carica di minerale, il suo nome era “Granitus” [Granicos, ndr] diretta a Fretwoo [Freetown].
Ecco così che ho finalmente partecipato a buttare a fondo qualcosa del nemico inglese, così in un certo qual modo ho cooperato ad ammazzare una cinquantina di persone. Perché la guerra lo vuole!
29 marzo 1943, lunedì
Ore 15.55 Avvistiamo un grosso piroscafo
Ore 23.00 Continuiamo l’agguato alla motonave che fila di buon passo verso Sud.
Col favore delle tenebre ci portiamo sotto la nave nemica…
30 marzo 1943, martedì
…che sembra abbia aumentato velocità.
A 2600 metri partono dalla nostra prora una coppia di siluri, subito una seconda coppia, due sordi boati e la motonave è colpita.
Ore 1.12. La nave affonda.
Dopo esser stata una decina di muniti in agonia, l’incrociatore ausiliario della Marina Inglese scompare tra i flutti.
Come la precedente notte ci avviciniamo al luogo del sinistro e osserviamo numerose barche cariche di naufraghi.
Una di esse per ordine del Comandante si accosta a noi. Chiediamo chi vuole salire a bordo per restare come prigioniero. Nessuno parla, tutti quei marinai preferiscono restare in mare con una scialuppa che passare al nemico.
Domandiamo loro se serve qualcosa prima di lasciarli in balia del destino; nulla all’infuori delle sigarette.
Ne diamo diversi pacchi e giacché ci è necessario un prigioniero il primo che le afferra viene portato a bordo.
Gli altri calorosamente ringraziano e se ne vanno.
Ecco dunque il secondo piroscafo affondato, senza però fare molte vittime. Abbiamo a Bordo 3 prigionieri.
(…)
6 aprile 1943, martedì
Oggi ci è stato permesso di prendere un po’ d’aria. Che strano spettacolo offrono i nostri copri, flaccidi, unti, le lunghe barbe, gli arruffati capelli, gli abiti stracciati, senza traccia del colore primitivo.
Il colore e l’odore della nafta, il combustibile del quale da 55 giorni ne respiriamo l’emanazione gassosa che intossica i nostri polmoni privi di quel puro ossigeno tanto utile alla nostra esistenza.
Nella serata avvistiamo un piroscafo che dalle visibili sue luci si riconosce l’appartenenza ad una nazione neutrale. Lo lasciamo dunque andare senza disturbarlo con la nostra temibile presenza.
(…)
12 aprile 1943, lunedì
Verso le 8 un aereo ha disturbato la nostra navigazione costringendoci ad immergerci per qualche ora. Sentiamo improvvisamente lo scoppio di diverse bombe di profondità, per fortuna abbastanza lontane, per produrci il minimo danno.
Gli idrofoni notano il fruscio delle eliche di un cacciatorpediniere che si allontana.
Emergiamo verso le 10.30. Navighiamo all’altezza di Lisbona.
(…)
15 aprile 1943, giovedì
Verso le 4. Un aereo ci disturba, perciò sotto nuovamente.
Sbuchiamo fuori nel pomeriggio ma siamo costretti ad immergerci.
16 aprile 1943, venerdì
Abbiamo navigato in superficie per una buona parte della nottata, portandoci così a circa 200 miglia dall’imboccatura della Gironda. Nella giornata abbiamo tentato di procedere ma gli aerei chi hanno costretti ad immergerci per ben 6 volte.
17 aprile 1943, sabato
Scendiamo ad una cinquantina di metri dopo aver segnalato alla Base la nostra posizione, precisando l’appuntamento con la nave tedesca di scorta che ci dovrebbe accompagnare fino alla foce del fiume.
Sentiamo nel pomeriggio lontani scoppi di bombe, indi l’avvicinarsi di cacciatorpediniere, individuati dal caratteristico fruscio delle loro macchine.
Rimaniamo nella assoluta immobilità, nel rigoroso silenzio (scrivo mentre odo i sordi colpi lontani delle bombe di profondità.
Emergiamo nel tardo pomeriggio e senza essere disturbati carichiamo e ci rituffiamo di nuovo.
18 aprile 1943, domenica
Siamo immersi a 25 miglia dal punto ove troveremo la scorta.
È l’una e da una mezz’ora si susseguono forti scoppi (probabilmente le mine magnetiche) che fanno vibrare l’intero scafo. Mentre scrivo queste righe ho contato una mezza dozzina di esplosioni abbastanza vicine. Qualcuno con la classica calma che non si dovrebbe mai perdere, tira fuori qualche santino. Un altro il santo protettore del suo paese. L’allegria di poco fa è scomparsa dal volto di tutti.
La Base è a un centinaio di miglia, ma sappiamo che proprio in questo breve spazio di mare, giacciono decine e decine di nostri compagni, chiusi per sempre nelle loro bare di ferro.
Questa dovrebbe essere l’ultima notte di mare, che le insidie seminate dal nemico in questo mar di Guascogna, lo rendono pericoloso e tanto temuto.
Sono le due e provo a coricarmi sul mio fetido materasso, forse se Dio lo vorrà, fra poche ore vedremo l’ambita terra.
…
Ore 6.33. Avvistamento della nave di scorta.
Si issa la bandiera nazionale, le bandierine rosse con il tonnellaggio delle navi affondate e tutti in coperta.
Si naviga scortati da quattro navi disposti a croce intorno a noi, per proteggerci da eventuali attacchi aerei e dalle mine vaganti.
Ore 8.15. All’orizzonte si profila la frastagliata lingua di terra con il faro che ci indica l’entrata del canale. Crediamo finalmente di essere a contatto con il mondo, con la vita; ma improvvisamente quando tutti cantiamo dimostrando la nostra gioia per l’imminente arrivo si ode una formidabile esplosione, uno schianto un improvviso arresto del sommergibile.
Subito si eleva a pochi metri dalla poppa un’immensa colonna d’acqua.
Una mina magnetica che per un raro e fortunato caso, è scoppiata vicinissima allo scafo senza averlo urtato.
Le navi accorrono verso di noi, mentre stiamo verificando le avarie prodotte dall’esplosione. Povero “battello”, nell’interno, specie verso poppa è un’indescrivibile confusione, nel locale di poppa tutto è infranto da una falla prodotta nello scafo resistente; entra non poca acqua. Ma con questo ci siamo salvati per poco e non tarda a ritornare il buon umore, proseguiamo e la terra è tanto vicina.
Ci fermiamo a mezzogiorno a Le Verdon ove abbiamo finalmente la posta e vediamo la terra dai due lati.
Ore 16. Dopo quattro ore di navigazione nel canale (Gironda) arriviamo a Bordeaux. Sulla banchina oltre al picchetto d’onore del Batt.San Marco, donne, autorità, Stato Maggiore della Base Atlantica e una folla di amici e marinai ci aspettano entusiasti.
Mettiamo le “cime in banchina”, una fanfara suona l’inno nazionale indi un urrà unanime all’equipaggio del Finzi.
Dei mazzi di fiori sono offerti dalla candide mani di quelle donnine assai graziose (che differenza dalla nostra epidermide che da quasi tre mesi non ha avuto contatto con l’acqua) e sono posti tra le bandierine in cima ai periscopi.
Il Comandante scende a terra. Indi il Comandante Grossi ci rivolge parole di elogio e di ammirazione”.
L’UIT 21 su Navypedia
La guerra aeronavale lungo le coste dell’America meridionale
La missione atlantica del sommergibile G. Finzi
L'individuazione dei (probabili) resti del Finzi non è avvenuta dopo la guerra ma nell'aprile del 2013 ad opera di un ricercatore francese in seguito ad un sopralluogo nel settore chiuso al pubblico del bunker di Bordeaux.
RispondiEliminaBuongiorno, lo so; quando scrivo che all'arrivo degli Alleati ciò che restava del Finzi fu trovato nel bunker, mi riferisco non ai rottami rimasti incastrati, ma al relitto del sommergibile, che venne poi demolito.
EliminaBgiorno. Ritengo che il primo comandante del Finzi non fosse il CC Alviste Minio Paluello, in quanto dal 10.5.1935 fu primo direttore di tiro dell'Andrea Doria e dal 17.4.1936 del Conte di Cavour. Imbarcò sul Finzi sicuramente nel 1937. Nel 1938 fu sostituito dal CC Alberto Dominici che conservò il comando sino all'aprile 1941.
RispondiElimina.... infatti designato ad imbarcare quale comandante del Finzi sin dal 13.10.35 fu il CC Francesco Dell'Anno, da Taranto, futura MOVM alla mem.
RispondiEliminaGrazie, correggo
EliminaCome si fa a conoscere i nomi delle persone imbarcate sul Finzi mio padre dovrebbe essere stato motorista su detto smg infatti aveva anche un encomio per un rifornimento in atlantico ma non ne so di più.
RispondiEliminaInoltre mi piacerebbe sapere cosa successe alla fine in quanto mi risulta che alla fine della guerra furono dichiarati disertori ma perché? Cosa successe?
Buongiorno,
Eliminaper sapere se suo padre fu imbarcato sul Finzi il modo migliore sarebbe di chiedere il suo foglio matricolare all'Archivio di Stato della provincia di nascita, lì dovrebbe essere riassunta tutta la sua carriera militare con i vari periodi di imbarco etc. Per quanto riguarda la seconda domanda, dipende presumo da quel che accadde dopo l'armistizio. Molti militari che dopo l'8 settembre tornarono a casa o si diedero alla macchia in seguito al dissolvimento dei loro reparti vennero poi considerati 'sbandati' (che è diverso da disertori) per il periodo intercorso tra l'8 settembre 1943 e la fine della guerra. Il discorso potrebbe invece riguardare chi aderì alla Repubblica Sociale Italiana, entità considerata illegittima dal Regno d'Italia e dalla Repubblica Italiana che ad esso successe, ed i cui aderenti dopo la guerra furono sottoposti in varia misura a 'discriminazione'.